storia pittorica della italia dell'abate luigi lanzi antiquario della r ...
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difficoltà del trasporto. Con questo metodo o con altro consimile son dipinte certe pitture del secolo<br />
XVI che oggidì in qualche museo son credute antiche.<br />
Dalla scuola di Giorgione usciron pure Giovanni da Udine e Francesco Torbido veronese<br />
soprannominato il Moro; l'uno e l'altro seguaci egregi delle sue tinte. Di Giovanni, divenuto poi<br />
scolare di Raffaello, si è scritto già e dovrà scriversi altrove. Il Moro poco stette con Giorgione,<br />
molto con Liberale. E di questo veramente imitò il disegno e la diligenza; anzi in essa lo superò,<br />
riprensore continuo di sé medesimo e tardo a compir le sue opere. Raro è vederne per gli altari; men<br />
raro per le quadrerie, cui servì spesso di sacre immagini e di ritratti: nulla vi si desidera, se non<br />
forse certa maggiore libertà di pennello. Nel duomo di Verona dipinse a fresco varie istorie di<br />
Nostra Signora, fra le quali un'Assunta veramente maravigliosa: ma quivi non vedesi il suo disegno,<br />
avendone Giulio Romano fatti i cartoni. Ben si vede [64] la sua esecuzione, che nella parte del<br />
colorito e del chiaroscuro lo scuopre, come nota il Vasari, così diligente coloritore quanto altro che<br />
vivesse a' suoi tempi.<br />
Quei che succedono son riferiti dalla <strong>storia</strong> alla schiera di Giorgione non come suoi allievi, ma<br />
come suoi imitatori. Tutti tengono del Bellini: perciocché la maniera veneta fino al Tintoretto non<br />
fu inventar nuove cose, ma perfezionare le già trovate; né tanto dimenticare i Bellini, quanto<br />
sull'esempio di Giorgione e di Tiziano rimodernarli. Quindi si formò un popolo di pittori di un gusto<br />
molto uniforme; e prese colore di verità quella esagerazione che chi conosce un pittor veneto di<br />
questa età gli conosce tutti. Ma è esagerazione come io dissi; e vi è fra loro pur differenza di stile e<br />
di merito. Si collocano fra' miglior giorgioneschi tre che spettano alla città o contado di Bergamo: il<br />
Lotto, come credono i più, il Palma, il Cariani. Lo somigliano più comunemente nella sfumatezza,<br />
ma nell'impasto e nella scelta de' colori spesso paion lombardi; e nel Cariani specialmente si trova<br />
certa superficie, come di cera equabilmente diffusa sopra la tavola, che splende e rallegra, e veduta<br />
ancora con poca luce spicca mirabilmente; effetto che altri ha pur notato nelle opere del Coreggio.<br />
Lorenzo Lotto si trova notato nel Vasari e altrove colla patria comune a tutto il Dominio; ed egli<br />
stesso nel suo San Cristoforo di Loreto scrisse: Laurentius Lottus pictor venetus. Il recente<br />
annotator del Vasari, osservandone la grazia de' volti e il girar degli occhi, lo ha creduto allievo del<br />
Vinci; opinione da potersi convalidare coll'autorità del Lomaz[65]zo, che come imitatori del Vinci<br />
nel dare i lumi a suo luogo nomina Cesare da Sesto e Lorenzo Lotto. Io credo che questi profittasse<br />
<strong>della</strong> vicinanza di Milano per conoscere e per imitare anche il Vinci in alcune cose, ma non perciò<br />
rinunzio alla <strong>storia</strong>, che lo fa scolar del Bellini ed emulatore del Castelfranco. Lo stile de'<br />
leonardeschi, tanto uniforme nel Luini e negli altri milanesi, non si vede mai, se non in qualche<br />
parte, espresso dal Lotto. Veneta nel totale è la sua maniera, forte nelle tinte, sfoggiata ne'<br />
vestimenti, sanguigna nelle carni come in Giorgione. Ha però un pennello men libero che<br />
Giorgione, il cui gran carattere va temprando col giuoco delle mezze tinte; e sceglie forme più<br />
svelte, e dà alle teste indole più placida e beltà più ideale. Ne' fondi delle pitture ritiene spesso un<br />
certo chiaro o azzurro, che se non tanto si unisce colle figure, le distacca però e le presenta<br />
all'occhio assai vivamente. Fu de' primi e de' più ingegnosi in trovar nuovi partiti per tavole d'altare.<br />
Il S. Antonino a' Domenicani di Venezia e il S. Niccolò al Carmine son composizioni bizzarrissime<br />
e originali. Altrove non si diparte molto dall'usato stile di una Madonna in trono cinta da' Santi, con<br />
Angiolini in aria o in su' gradi; ma v'introduce novità ora di prospettive, or di attitudini, or di<br />
contrapposti. Così in quella di San Bartolommeo a Bergamo, che il Ridolfi chiama maravigliosa, dà<br />
alla Vergine e al divino Infante mosse diverse e in contrarie parti, quasi favellino co' Beati astanti<br />
quella a destra, questi a sinistra. E in quell'altra di Santo Spirito tutta aspersa di grazie pose [66] un<br />
S. Giovanni Batista fanciullo che standosi a piè del trono tiene abbracciato un agnellino; e in quel<br />
sollazzo mostra una gioia così viva, semplice, innocente, e ride con sì bel modo che più oltre non<br />
avriano forse potuto Raffaello e il Coreggio.<br />
Questi suoi capi d'opera ed altri che sono in Bergamo per chiese e per quadrerie lo fan quasi<br />
competere co' primi luminari dell'arte; e se nel Vasari fa men comparsa è perché l'istorico non vide<br />
di lui se non le cose meno studiate e men grandi. E veramente egli non ha sempre la stessa forza e<br />
disegno. La sua età migliore par che deggia computarsi dal 1513, quando fra molti professori di