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storia pittorica della italia dell'abate luigi lanzi antiquario della r ...

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e a giudizio del Vasari molto di lui migliore, che morto d'anni 31 lasciò in più chiese be' saggi di<br />

maturo ingegno. Lodansi anco i due Falconetti: Giovanni Antonio eccellente in ritrarre animali e<br />

frutti, e Giovanni Maria, architetto celebre e pittore se non di molte cose, [125] certo di molto<br />

lodevoli, specialmente a fresco. Questi due fratelli erano discendenti dell'antico Stefano da Verona,<br />

o dell’Arzere che deggia dirsi. Né era men degno che il Vasari rammentasse un tal Tullio,<br />

altramente detto l'India il vecchio, frescante di non mediocre abilità, ritrattista e copista insigne; il<br />

cui figlio Bernardino India nelle chiese e nelle quadrerie di Verona fa molto buona comparsa sì nel<br />

forte carattere, sì nel gentile, ove, se non erro, prevale. Il suo stile in varie pitture mostra che volle<br />

tener la via di Giulio Romano. È nominato dal Vasari insieme con Eliodoro Forbicini famoso in<br />

grottesche, e compagno in vari lavori così dell'India, come di altri eccellenti artefici. Due altri pur di<br />

quel secolo sono degnissimi di memoria e per le opere e per gli allievi: Niccolò Giolfino (dal Vasari<br />

detto Ursino) maestro del Farinata; e Antonio Badile maestro del Caliari. Il Giolfino confina colla<br />

secchezza de' quattrocentisti, meno animato e meno scelto che i migliori coetanei; di colori non<br />

troppo vivi, ma graziosi e accordati. Fu educato forse da alcuno di que' miniatori; e perciò più che<br />

nelle tavole grandi è riuscito ne' quadri piccioli, qual è nella chiesa di Nazaret un Risorgimento di<br />

Lazzaro. Il Badile, che nato nel 1480 ne visse altri 80, fu per avventura il primo che in Verona fece<br />

veder la pittura spogliata affatto di ogni residuo d'antichità, buon dipintore non men dell'esterno che<br />

degli animi e degli affetti; e introduttore di una morbidezza e di una franchezza di pennello che non<br />

si sa da chi l'apprendesse. Contrassegnò le sue opere colla prima sillaba del [126] suo nome. La<br />

tavola che pose a San Bernardino, e l'altra a San Nazaro, lodatissime dal Ridolfi, fan vedere onde i<br />

due suoi allievi Paolo e lo Zelotti conformissimi nello stile attingessero quella gentil maniera che<br />

accrebbero concordemente giovandosi l'uno l'altro. Simil maniera tenne in certi anni Orlando Fiacco<br />

o Flacco, onde alcuni lo credono scolar del Badile, quantunque il Vasari, che assai lo loda<br />

specialmente in ritratti, lo faccia di altra scuola. Comunque siasi, egli in molte opere tira al forte e<br />

quasi al caravaggesco. Ebbe poca vita, e in essa più merito che fortuna.<br />

Fu questo effetto del troppo numero de' pittori buoni che in Verona fiorivano; cosa che circa quel<br />

tempo consigliò vari a cercarsi fortuna in paesi esteri. Presero anche consiglio di emigrare dalla città<br />

Batista Fontana, che nella corte imperiale di Vienna dipinse molto; e Jacopo Ligozzi, che visse<br />

lungamente al servigio <strong>della</strong> real corte di Toscana, come ho riferito a suo luogo. E di quello quasi<br />

nulla rimane in patria; di questo son pure alcune opere, fra le quali a San Luca una S. Elena, che<br />

cinta dalle sue Dame di corte assiste al ritrovamento <strong>della</strong> salutifera Croce; quadro che contiene<br />

tutto il buon gusto veneto nelle tinte e nello sfoggio de' vestiti; e tutto il cattivo veneto gusto nel<br />

trasferire agli antichi tempi le usanze de' nostri. Ebbe Giovanni Ermanno non so se fratello o<br />

congiunto; so che di merito non è molto da lui distante, siccome appare a' Santi Apostoli di Verona.<br />

Ma quelli che ivi primeggiavano, quando Paolo [127] cominciava a farsi conoscere, eran tre<br />

concittadini, il cui nome risona in patria tuttavia con celebrità, sarei per dire, poco minore che il<br />

nome di Paolo istesso: Batista d'Angelo soprannominato del Moro perché genero del Tribolo e<br />

allievo; Domenico Ricci detto il Brusasorci da un costume del padre di bruciar topi; e Paol Farinato<br />

detto ancora degli Uberti. Questi tre furono dal cardinal Ercole Gonzaga invitati a Mantova per<br />

dipinger nel duomo ciascuno una tavola; e con esso loro Paolo di tutti più giovane, che nondimeno a<br />

giudizio del Vasari e del Ridolfi gli avanzò tutti in quel concorso. Ma non è ancor tempo di entrar<br />

nelle sue lodi; scriviamo prima di questi suoi competitori per dar poi a lui e a' suoi seguaci senza<br />

interrompimento il rimanente di questa i<strong>storia</strong> fino alla nuova epoca.<br />

Giambatista è il men celebre; nondimeno è sì rispettato ogni suo lavoro, che dovendosi a<br />

Sant'Eufemia demolire per nuova fabbrica un muro ove avea dipinto S. Paolo innanzi Anania, fu<br />

con molta spesa e cautela conservata quella pittura e collocata sopra la porta <strong>della</strong> chiesa; eppur<br />

quella era delle sue prime opere. Altre moltissime ne condusse a olio e a fresco, e talora a<br />

concorrenza di Paolo. Egli siegue il Torbido nella diligenza e nel colorito forte e sugoso; ha però<br />

più pastosità di disegno, e, se io non vo errato, più grazia; nel qual genere è pregiatissimo un suo<br />

Angiolo a Santo Stefano, che distribuisce le palme a' Santi Innocenti. Il Vasari scrisse di lui e di<br />

Marco suo figlio, scolare ed aiuto, assai brevemente; né fra essi nominò Giulio fratello di Batista,

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