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storia pittorica della italia dell'abate luigi lanzi antiquario della r ...

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qualche dotto di quella età, ed eseguite da incerta mano. Di certo vi ha sol lo stile giottesco, che a<br />

me pare avere assai rapidamente occupato il Padovano, il Veronese, il Bergamasco e gran parte<br />

<strong>della</strong> terraferma.<br />

Oltre questa maniera, che può in qualche modo chiamarsi estera, altre se ne veggono e in Venezia, e<br />

nelle città soggette, che più veramente direi nazionali; così son lontane dallo stile di Giotto e de'<br />

suoi seguaci detti poc'anzi. Spesso ho dubitato che a questa qualunque originalità contribuissero i<br />

miniatori, che, in niuna età mancati in Italia, erano moltiplicati in [8] quel secolo e crescevano col<br />

loro ingegno, ritraendo le cose dal naturale, non da alcuno esemplare <strong>italia</strong>no o greco. Né poco si<br />

erano essi avanzati in ogni parte del dipingere quando Giotto venne in quei paesi. Nella gran<br />

raccolta di manoscritti che ha formata in Venezia il sig. abate Canonici, vidi un Evangeliario<br />

acquistato in Udine, con miniature di assai buon gusto pel secolo XIII in cui furon fatte; e di simili<br />

monumenti non son punto scarse le biblioteche dello stato. Sospetto dunque che molti di quei pittori<br />

novelli o perché educati dai miniatori, o perché dalla vicinità delle arti invitati alla loro imitazione,<br />

gli emulassero nel disegno, nel compartimento de' colori, nelle composizioni. Così rendesi buona<br />

ragione perché anche veduto Giotto non tutti fossero giotteschi, e nondimeno dipingessero<br />

lodevolmente.<br />

Tale è quel Maestro Paolo che lo Zanetti trovò ricordato in una pergamena del 1346. È il primo de'<br />

nazionali di cui esista opera non equivoca col nome del suo autore; vedendosi nel gran tempio di<br />

San Marco una tavola, o, come dicesi, un'ancona a più spartimenti con la immagine del Redentor<br />

morto e con vari Apostoli e storie del Santo Evangelista, sotto la quale trovasi scritto: Magister<br />

Paulus cum Jacobo et Johanne filiis fecit hoc opus. Similmente quel Lorenzo pittore, di cui loda lo<br />

Zanetti una tavola in Sant'Antonio di Castello con suo nome e con data del 1358 pagatagli trecento<br />

ducati d'oro, non posso dubitare che non sia veneto, da che si legge in un quadro <strong>della</strong> nobil casa<br />

Ercolani in Bologna: manu Laurentii de Venetiis. 1368. A tutti gl'indizi è quel frescante che [9]<br />

nella chiesa di Mezzaratta fuor di Bologna figurò Daniele nel lago de' leoni e vi soscrisse:<br />

Laorentius P., opera niente giottesca condotta circa il 1370. Veneto senza dubbio è Niccolò<br />

Semitecolo, che in una Pietà con alcune storie di S. Sebastiano, che si conserva nella libreria<br />

capitolare di Padova, si soscrive: Nicoleto Semitecolo da Veniexia impense 1367. L'opera è un bel<br />

monumento di questa scuola: il nudo vi è assai ben dipinto, le proporzioni delle figure sono svelte,<br />

sebbene talora oltre il dovere; e, ciò che fa al proposito di questo luogo, niuna somiglianza vi<br />

traspare collo stile di Giotto, a cui resta indietro nel disegno, ma sta a lato nel colorito. Né tacerò in<br />

questo proposito che il Baldinucci stesso rispettò la veneta libertà e la indipendenza di questa scuola<br />

dalla fiorentina, non avendo inserito alcun veneto nel suo albero di Cimabue. Che nazi confessa<br />

nella vita di un Antonio Fiorentino scolare di Angiol Gaddi, ch’egli dimosrò in Venezia, e ne trasse<br />

il cognome di Antonio Veneziano; ma che ne partì per maneggi de' professori nazionali, ch'è quanto<br />

dire di una Scuola anteriore alla sua. E tanto era anteriore che già a quell'ora tutto lo stato e i luoghi<br />

vicini avea pieni e di quadri e di alunni; comeché di pochi si conosca e il nome e la mano. Fra questi<br />

pochi è un Simon da Cusighe terra presso Cadore e Belluno, nella qual città restan memorie di un<br />

Pietro e di altri pittor trecentisti, e qualche immagine molto ragionevole con la epigrafe Simon<br />

pinxit. Vi son pure Pecino e Pietro de Nova, che in Santa Maria Maggiore di Bergamo operarono<br />

dal 1363 per non pochi anni e molto lodevol[10]mente; ma essi, quasi al par de' padovani già<br />

rammentati, molto si avvicinano al far di Giotto, e poterono da Milano avere attinto quel gusto 3 .<br />

Il valore <strong>della</strong> pittura veneziana maggiormente si scuopre nel secolo quintodecimo, secolo che a<br />

grado a grado venne preparando la strada alla gran maniera de' Giorgioni e de' Tiziani. In Murano,<br />

una delle isole, cominciò il nuovo stile; in Venezia si perfezionò. Un antichissimo artefice, che si<br />

soscrive Quiricius de Muriano, conobbi nello studio del sig. Sasso. La sua pittura è un Nostro<br />

Signore sedente, a' cui piedi sta una divota velata; ma non vi è nota di tempo. D'incerta epoca<br />

3 Prima di questi era in Bergamo scuola di pittura; in prova di che il conte Tassi adduce una pergamena del 1296 col<br />

nome di un maestro Guglielmo pittore. Non si sa in qual gusto egli dipingesse. Uno de' suoi successori, che in Santa<br />

Maria Maggiore dipinse l'Albero di San Bonaventura copioso di sacre immagini, è pittor più rozzo, ma più originale che<br />

i due fratelli de Nova. È ignoto il suo nome, e solo vi appose l'anno 1347.

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