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storia pittorica della italia dell'abate luigi lanzi antiquario della r ...

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perciocché Jacopo Bellini, venuto in Padova ad operare, par che in lui si specchiasse, come<br />

dicemmo.<br />

Dello Squarcione non rimane in Padova che sia certo, fuorché una tavola che fu già a' Carmini; ora<br />

è presso l'ornatissimo sig. conte cav. de' Lazara. E'in vari comparti: il più degno luogo occupa S.<br />

Girolamo, e a lui d'intorno sono altri Santi; opera qua e là ritocca, ma per ciò che ne resta di<br />

originale molto decorosa al pittore. Ha colorito, espressione, e sopra tutto prospettiva, che lo<br />

dichiarano in queste bande [20] uno de' più eccellenti. La tavola sovraccennata gli fu commessa<br />

dalla nobil famiglia de' Lazara, che ne conserva il contratto stipolato nel 1449 e il saldo fatto nel<br />

1452, quando il lavoro fu finito. Il pittore soscrivesi Francesco Squarcione; onde poter emendare il<br />

Vasari, che, infelice sempre nella nomenclatura de' Veneti, lo chiamò Jacopo; errore propagato<br />

anche negli Abbecedari. Oltre a ciò esistono in un chiostro di San Francesco Grande alcune storie<br />

del Santo in verde terra, che appartengono a' princìpi <strong>della</strong> sua vita, e con molto fondamento si<br />

tengono del medesimo autore; ma non senza cooperazione <strong>della</strong> sua scuola, giacché vi è il più ed il<br />

men buono. Erano contigue ad alcune altre dello Squarcione, pure in verde terra, che furono disfatte<br />

a' tempi dell'Algarotti e in un'erudita lettera sono da lui compiante. Il loro stile è in tutto analogo a<br />

quella scuola; sveltezza nelle figure, piegar fitto, scorti non comuni alla pittura di quei tempi,<br />

tentativi, ma non ancor maturi, di appressarsi allo stile de' greci antichi.<br />

Mentre le scuole dello stato andavan crescendo, il disegno in Venezia acquistava sempre; e passata<br />

già la metà del secolo il comune dei pittori avea quivi un gusto non dissimile da quello che in altri<br />

paesi ho descritto, piuttosto scevero dell'antica rozzezza che ornato <strong>della</strong> moderna eleganza. Benché<br />

fin d'allora si facesse uso in Venezia di tele, come altrove di assi (di che dà ragione il Vasari<br />

scrivendo dei tre Bellini), non si dipingeva altramente che a tempera; metodo eccellente per<br />

conservare le tinte, cosicché anco a' dì nostri rimangono illese, ma nimico alla unio[21]ne e alla<br />

morbidezza. Venne finalmente di Fiandra il segreto di colorire a olio; e questo diede alle Scuole<br />

d'Italia più felice epoca, e specialmente alla veneta, che ne profittò sopra tutte, e, come sembra più<br />

verisimile, prima di tutte.<br />

Raccontai altrove i princìpi di questa invenzione, ascrivendola, come fa il Vasari, a Giovanni van<br />

Eych; né lasciai di rispondere ad acuni scrittori che tale arte hanno creduta nota in Italia e fuori<br />

prima di quei tempi. Poco appresso che il mio libro fu pubblicato seppi che il barone di Barembergh<br />

aveva con un opuscolo stampato in Gottinga ottimamente difeso il Vasari contro i dubbi del sig.<br />

Lessing; di che si fece onorata menzione nell’Esprit des Journaux in data del novembre 1792.<br />

Secondo questo letterato la pittura a olio, prima di Van Eych, non si esercitava che in campi senza<br />

figure, né altri ornamenti; e poco più oltre io mi era avanzato, dicendo <strong>della</strong> Scuola napoletana, che<br />

poteva esser noto qualche metodo di pittura a olio, ma imperfetto. Di questa ipotesi scrisse con<br />

approvazione l’eruditissimo sig. dott. Aglietti nel Giornale Veneto al tomo del dicembre 1793,<br />

facendo anche menzione di Teofilo monaco, che insegna quest’arte 5 ; ma non si sa quanto il suo<br />

libro fosse divulgato e noto agli artefici. Adunque non ricuso, finché tal questione ci sia [22]<br />

sviluppata interamente, che con qualche metodo men perfetto fosser dipinte a olio certe immagini<br />

antiche di Napoli, di Bologna, di Siena; e fors’anche quella di Tommaso da Modena, che avea<br />

risuscitata la sopita questione, e ch’esiste ancora nella Imperial Galleria di Vienna. Ma circa a<br />

questa il sig. conte Durazzo, già legato cesareo a Venezia, che insieme col sig. principe Kawnitz<br />

avea veduto farne l’analisi, mi assicurò l’anno scorso, che i pittori convocati a quell’esame<br />

giudicarono che quella pittura fosse dipinta di finissime gomme impastate con chiara, o con rossi<br />

d’uovo; e che l’istesso può sospettarsi di simili opere che dieder luogo fra noi a tal controversia.<br />

Conferma maravigliosamente questa opinione una osservazione del sig. Zanetti a pag. 20 <strong>della</strong><br />

Pittura Veneziana, ove dice che non è facile distinguere certe opere dipinte con rossi d’uova,<br />

siccome ancora usavano i Greci nostri, dalle prime dipinte timidamente con olio purificato, con<br />

poco colore, sopra gesso asciutto, e assorbente. Dopo tutto ciò non si neghi francamente del tutto<br />

5 Una copia di questo manoscritto esiste in Candbrige, di cui il sig. Raspe pubblicò una piccola parte nel libro intitolato<br />

A critical essay en oil, London 1781. Ne cita altri esemplari in più biblioteche, a’ quali è da aggiugner quello <strong>della</strong><br />

copiosa libreria Naniana di Venezia.

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