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QUaliTÀ - Pavoniani

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CONGREGAZIONE<br />

RELIGIOSA<br />

DEI FIGLI DI MARIA<br />

IMMACOLATA - PAVONIANI<br />

1GENNAIO - MARZO 2012<br />

Periodico<br />

della<br />

Provincia<br />

Italiana


Periodico della Provincia Italiana n. 1 - gennaio-marzo 2012<br />

Lettera del Superiore provinciale<br />

PAVONIANI DI QUALITÀ<br />

Carissimi religiosi e laici!<br />

Oggi il mondo chiede qualità.<br />

Qualità nelle persone, nel lavoro e nella produzione,<br />

nelle relazioni, nella politica, nella Chiesa. Il futuro si<br />

gioca sulla qualità!<br />

A livello personale la qualità si declina in umanità,<br />

cultura, affidabilità, carattere, tenuta nelle tensioni,<br />

empatia, sano ottimismo.<br />

A livello spirituale si connota di spirito di fede, di<br />

ancoramento nel Signore, di obbedienza fiduciale ai<br />

suoi disegni.<br />

In ambito relazionale si colora di capacità collaborativa,<br />

progettualità condivisa, stima, amalgama, benefica<br />

cordialità, capacità di prendersi cura.<br />

1


2<br />

Anche la nostra Congregazione ha bisogno di “pavoniani<br />

di qualità”: uomini di Dio, che non vivono “la<br />

solitudine dei numeri primi”, ma la comunità; con<br />

l’intelligenza, il cuore e le mani di padre Pavoni. E<br />

quando dico ‘pavoniani di qualità’ intendo sia i religiosi<br />

sia i laici che respirano, a vario titolo, il nostro<br />

carisma.<br />

La seconda programmazione post-capitolare della<br />

Provincia italiana (distribuita a tutti e riportata anche<br />

in questo numero del Periodico), ha pertanto l’obiettivo<br />

della qualità, non solo come efficienza-efficacia nella<br />

missione apostolica – richiesta dal Progetto Educativo<br />

di Attività, da stilare per la fine di giugno – , ma come<br />

‘stile complessivo d’essere’.<br />

Già il Pavoni viene descritto nell’articolo di p. Rossi<br />

come cittadino di qualità, cristiano di qualità, che<br />

propone ed esige qualità, iniziatore di opere di qualità,<br />

amante del lavoro di qualità, degli ambienti di qualità<br />

e di un metodo educativo di qualità.<br />

Nessuna approssimazione, nessun abborracciamento<br />

o pressappochismo… ma incisiva testimonianza dell’amore<br />

per la bellezza, la cultura, il lavoro e la missione.<br />

Appunto mi chiedo: ci può essere qualità che non<br />

sia totalizzante, che non comprenda tutte le facce di<br />

una persona, come un fiore dai petali armonici (la<br />

dimensione spirituale, psicologica, affettiva, morale,<br />

relazionale, apostolica)? Ci può essere un’automobile<br />

che abbia qualità solo di motore o di carrozzeria o di<br />

design? La qualità non è forse un sistema di simmetrie,<br />

di rimandi, di coerenze?<br />

Questa è la sfida per il prossimo triennio: ciascuno<br />

di noi deve mirare a migliorare il peso specifico di se


stesso, la qualità della vita comunitaria e la caratura<br />

della missione.<br />

- Come vivo la mia consacrazione al Signore, la coerenza<br />

nei consigli evangelici, la preghiera? Vivo una<br />

coerenza trasparente oppure “vite parallele”, contaminate<br />

dal ‘doppio schizofrenico’ di chi assembla<br />

scampoli di vita contraddittoria? È Cristo la molla<br />

motivazionale del mio agire o resto aggrappato ad<br />

un narcisismo autoreferenziale?<br />

- So costruire famiglia, gioire dei fratelli che riescono,<br />

spartire gioie, speranze e fatiche, facendo della mia<br />

comunità un ambiente della festa e del perdono?<br />

- Mi impegno nell’evangelizzazione, nella cultura e<br />

nell’educazione con un lavoro ‘a rete’, valorizzando<br />

le forze religiose e laicali della mia comunità? So<br />

perdere tempo nel “lavoro di cura”, vera modalità<br />

che fa crescere e maturare?<br />

Mi ha colpito molto la testimonianza che Francesco<br />

Aliverti, il nostro ex compagno di viaggio, ha reso alla<br />

Famiglia pavoniana, il 12 febbraio scorso a Lonigo, e<br />

qui riportata.<br />

Non è più pavoniano, ma è “sempre pavoniano”.<br />

Francesco ha maturato nel tempo qualità spirituali<br />

ed educative notevoli. Ha continuato a studiare, a<br />

servire i tossicodipendenti ed ora, con la moglie Carla,<br />

ha fondato un’Associazione per avere bambini in<br />

affido familiare, in casa sua. In questa impresa ci ha<br />

messo soldi, fatica e … tanti sogni. Quando lo avvicini,<br />

percepisci il peso specifico di una qualità che è<br />

cresciuta nel tempo e che merita stima ed ammirazione.<br />

Lo stesso dicasi di Federica Broggi, l’insegnante di<br />

Tradate che ci ha testimoniato il suo lavoro fatto di<br />

3


4<br />

alta qualità, dedizione ed eccellenza. Uno scricciolo di<br />

donna con dentro l’energia della bellezza, capace di<br />

rendere la Scuola di Tradate, con i colleghi e gli educatori,<br />

un ambiente appetibile per serietà e valore.<br />

Che bello vedere la qualità in chi respira la vocazione<br />

pavoniana!<br />

La quaresima e la Pasqua che ci stanno dinanzi<br />

siano un tempo di ‘trasfigurazione’: la qualità complessiva<br />

della Congregazione passa nelle vene di ciascuno<br />

di noi!<br />

Con vero affetto nel Signore<br />

Milano, 28 febbraio 2012<br />

Il Superiore provinciale


Dai Verbali Del Consiglio ProVinCiale<br />

Atti del consiglio provinciale<br />

Milano, 5 novembre 2011<br />

Programmazione triennale provinciale:<br />

bozza per l’assemblea di<br />

lonigo. P. G. Battista presenta<br />

uno schema di massima sul quale<br />

stilare la programmazione triennale<br />

della Provincia, da presentare sabato 12 novembre ai religiosi e<br />

ai laici che parteciperanno all’assemblea di Lonigo.<br />

Obiettivo è la “missione di qualità” che preveda, quali pre-condizioni<br />

della missione, una rinnovata vita spirituale e una forte coesione<br />

comunitaria. La “nuova evangelizzazione” in-formerà anche<br />

la stesura del Progetto Educativo Pavoniano di ogni Comunità.<br />

Coordinamento attività scolastiche Pavoniane (CasP). Viene<br />

ufficialmente costituito il CASP. Fr. Paolo Franchin, che ne sarà<br />

il responsabile, ne presenta le finalità didattico-educative e quello<br />

che sarà il ‘logo’. Con fr. Paolo faranno parte del nuovo organismo<br />

il sig. Erik Gadotti, Preside dell’Istituto professionale di Trento;<br />

p. Marcello Cicognara, Direttore dell’Istituto professionale di<br />

Milano; la sig.ra Morena Frigo, Direttrice del CFP di Montagnana;<br />

p. Dario Dall’Era, Direttore della Scuola Media Paolo VI di Tradate<br />

e il sig. Bruno Comolli, Preside della stessa Scuola; p. Francesco<br />

Salomoni, Direttore del Liceo di Lonigo e il prof. Flavio Dal<br />

Bosco, Vice preside. Il Provinciale provvederà a far pervenire a<br />

ciascuno la lettera di nomina.<br />

Professione perpetua e Diaconato. Viene confermato che fr. Pierre<br />

Michel Towada Towada emetterà la Professione perpetua nelle<br />

mani del Padre Superiore generale il giorno 8 dicembre 2011 e che<br />

5


sarà ordinato Diacono il giorno 11 dicembre 2011 da mons. Erminio<br />

De Scalzi, nella parrocchia di S. Giovanni Evangelista a Milano.<br />

esperienza di volontariato in Messico. A seguito di quanto è stato<br />

deciso nella riunione delle équipes di Pastorale vocazionale<br />

giovanile del 29 ottobre, p. Antonio Frison ha presentato un breve<br />

scritto sulla proposta di ripetere l’esperienza di volontariato educativo<br />

per giovani, in Messico, durante l’estate 2012. Il Consiglio<br />

decide di autorizzare la partenza di un gruppo di giovani maggiorenni<br />

(una decina) accompagnati da p. Antonio, ma esige che sia<br />

fatta un’oculata scrematura dei partecipanti e che i giovani siano<br />

adeguatamente preparati, anche in chiave vocazionale. Padre Vallieri<br />

e fr. Losa saranno i referenti locali dell’esperienza.<br />

richiesta da Montagnana. Da Montagnana arriva la richiesta di<br />

utilizzare la zona delle attuali autorimesse per meglio dimensionare<br />

i laboratori della Cooperativa “Crescere Insieme”. Il Consiglio<br />

approva a patto che non si facciano interventi a fini residenziali,<br />

che la sistemazione sia totalmente a carico della Cooperativa<br />

e che siano finanziati contestualmente nuovi garages per la comunità<br />

religiosa, sistemando i vecchi spogliatoi siti lungo il campo<br />

sportivo.<br />

Varie.<br />

Gio-fest Pavoni 2012. Si decide che, dopo l’esperienza maturata<br />

con l’ultima edizione, p. Antonio Frison venga nominato referente<br />

e coordinatore della preparazione del prossimo Gio-fest. Per<br />

l’organizzazione viene messa a sua disposizione l’intera Commissione<br />

di pastorale giovanile e vocazionale.<br />

Genova - Comunità anziani. P. Donato Ruffoni versa in gravi condizioni<br />

di salute. P. Agostino Galavotti e fr. Colombini saranno<br />

sottoposti ad intervento chirurgico.<br />

Genova – Comunità educativa. Il responsabile del Distretto Sociale<br />

ha chiesto di aprire presso la nostra struttura una comunità<br />

diurna per minori. Il Consiglio approva.<br />

François Régis Kimwanga Ginday, che non rinnoverà la professione<br />

religiosa, farà un’esperienza pastorale nella Diocesi di Ventimiglia,<br />

in vista di una sua eventuale incardinazione.<br />

6


Milano, 17 dicembre 2011<br />

report della visita fraterna in Messico. Di ritorno dalla visita alle<br />

comunità del Messico, P. Magoni comunica che l’Associazione<br />

Civile “Familia Pavoniana”, titolare ormai dell’Albergue San José<br />

di Lagos, è operativa dal 1° settembre 2011. Durante la visita si è<br />

organizzato un saluto ufficiale alle Dame di San Vincenzo, che<br />

hanno a loro volta ringraziato i religiosi pavoniani per aver rilevato<br />

l’opera e il relativo progetto educativo. L’Associazione sosterrà<br />

il carico gestionale con gli aiuti della Provincia italiana, dell’APAS<br />

e dei donatori nazionali ed internazionali.<br />

Il Provinciale ha insistito con i Fratelli di Lagos e di Atotonilco<br />

sull’importanza della vita comunitaria e sulla missione di qualità.<br />

La stesura del PEA (Progetto educativo di Attività) renderà più<br />

incisiva e mirata la nostra azione educativa. L’evangelizzazione,<br />

implicita ed esplicita, si inserirà anche negli ambiti esistenziali<br />

dell’affettività, della fragilità, del lavoro e della festa, della cittadinanza,<br />

della tradizione cristiana.<br />

Dentro il progetto di un “sistema di qualità”, si è reso necessario<br />

ricompaginare l’équipe educativa di Atotonilco, che ingloberà<br />

a breve un Coordinatore laico con compiti organizzativi ed educativi,<br />

una nuova psicologa e due educatori.<br />

sostenibilità/ridimensionamento di alcune attività educative.<br />

Anche la Congregazione vive di riflesso la crisi economica italiana<br />

e mondiale. Il ‘costo della carità’ si fa sempre più alto. Si esaminano<br />

alcune attività assistenziali pavoniane per le quali, senza l’erogazione<br />

di fondi pubblici, se ne prevede l’insostenibilità futura.<br />

lettera alla Direzione/amministrazione generale per i progetti<br />

di via Crespi. P. G. Battista propone una lettera da inviare alla<br />

Direzione generale recante la richiesta di collaborazione per far<br />

fronte al progetto dell’area di Milano-Crespi. Il Consiglio approva<br />

ed auspica una risposta scritta.<br />

Formazione permanente (luglio 2012). Si è in attesa del programma<br />

della prossima formazione da p. Pinilla e da p. Bandolini. Di<br />

7


seguito il Provinciale invierà le lettere alle Comunità e, individualmente,<br />

ai religiosi che il Consiglio provinciale ha espressamente<br />

individuato come candidati all’esperienza.<br />

avvio della presenza pavoniana in burkina Faso (11 gennaio<br />

2012). Consci delle ispirazioni piovute dal Cielo e favorite dalle<br />

concomitanze personali e storiche, con la gioia e la trepidazione di<br />

ogni inizio, il Provinciale accompagnerà p. Flavio Paoli e p. Pierre<br />

Michel Towada Towada in Burkina Faso il giorno 11 gennaio 2011,<br />

dando il via così alla nuova missione pavoniana in quel Paese, con<br />

il “Centro Effatà Ludovic Pavoni”, a favore dei sordomuti. Charitas<br />

Christi urget nos!<br />

Siamo grati a Dio, ai due nostri Fratelli e alla signora Paola Garbini<br />

Siani, la cui Associazione “La Goccia” è per noi risorsa e stimolo.<br />

Professione perpetua e diaconato. Lette le domande dell’interessato,<br />

vista la relazione di p. Mario Trainotti e dopo uno scambio<br />

di considerazioni, si dà parere favorevole affinché fr. Didier-Arthur<br />

Kaba Mubesi possa emettere la professione perpetua ed essere<br />

ammesso all’ordine del Diaconato: si inoltrano al Superiore generale<br />

le pratiche per l’ammissione.<br />

P. Battista accompagnerà la domanda con ampia relazione. Si<br />

ipotizza che le date possibili per la professione perpetua e per il<br />

Diaconato possano essere il 2 e il 5 febbraio 2012.<br />

Pastorale vocazionale. P. Giorgio Grigioni comunica le decisioni<br />

prese nell’ultima riunione dei responsabili delle équipes vocazionali<br />

riguardo alla prossima Camminata Pavoniana e al prossimo<br />

Giofest Pavoni del 2012. In ordine all’animazione delle Comunità<br />

pavoniane avvisa che, con il prossimo mese di gennaio, contatterà<br />

i responsabili locali e i rispettivi superiori per concordare visite<br />

alle Comunità e proporre incontri di meditazione vocazionale ai<br />

ragazzi e ai giovani.<br />

le Persone. Dopo aver ricordato che Fr. Marco Manca ha ottenuto<br />

dal governo eritreo un permesso biennale di lavoro per guidare<br />

un Corso di rilegatura filologica e di restauro di volumi antichi, si<br />

esprime la vicinanza e l’affetto per alcuni Fratelli che sono visitati<br />

8


dalla malattia, che hanno subito, o subiranno, interventi chirurgici:<br />

Fr. Gigi Paris, P. Agostino Galavotti, P. Gilberto Zini, P. Luca<br />

Reina, Fr. Hurui di Asmara. Per tutti si è pregato, invocando l’intercessione<br />

di Maria e del beato Pavoni.<br />

sito web da rivisitare – Si discute sulle diverse possibilità di miglioramento<br />

del sito della Provincia e di Àncora s.r.l. Il Provinciale<br />

e fr. Franchin si incaricano di affrontare la questione nel modo<br />

più economico e più consono alle nostre esigenze.<br />

Volontariato: si approva che l’esperienza estiva 2012 di Volontariato<br />

giovanile pavoniano in Messico possa gravitare contestualmente<br />

sui due Albergues di Lagos e di Atotonilco: i due gruppi<br />

saranno accompagnati da p. Antonio Frison e da p. Luigi Sina.<br />

lonigo, 12 febbraio 2012<br />

Al termine del IV Incontro della Famiglia pavoniana, che ha<br />

visto una settantina di presenze tra religiosi e laici, raccolti sotto il<br />

tema della “cura” e dell’“arte del guarire”, si tiene il Consiglio<br />

provinciale.<br />

burkina Faso. P. Battista relaziona sul viaggio di gennaio che ha<br />

significato l’inizio ufficiale della presenza pavoniana a Saaba di<br />

Ouagadougou. P. Flavio e p. Pierre Michel hanno preso dimora<br />

nel Centro “Effatà - Ludovic Pavoni”. Si stanno impegnando a<br />

fondo per seguire i lavori della Casa, perfezionare le pratiche con<br />

il Ministero della Pubblica Istruzione e il Segretariato delle Scuole<br />

Cattoliche, stipulare i primi contratti con docenti e collaboratori.<br />

Il clima di accoglienza dimostrato dagli amici del posto (la sig.<br />

ra Paola Siani in primis) è commovente. Si sta monitorando il<br />

numero e la tipologia dei sordi e le iscrizioni stanno arrivando “a<br />

go go”. Si conta di terminare i lavori della struttura entro il 28<br />

maggio 2012, memoria liturgica di padre Pavoni.<br />

sarno. L’Associazione Centro S. Alfredo – <strong>Pavoniani</strong> onlus (che<br />

ha tra i suoi servizi socio-assistenziali la Comunità Alloggio e il<br />

9


Centro di Aggregazione “La Casa”) non riesce a garantire la sostenibilità<br />

economica, per la mancata corresponsione delle quoteretta<br />

da parte degli Enti pubblici. Per la consistente passività di<br />

detta gestione, causata dai crediti non percepiti, dopo attenta disamina<br />

consiliare, con il parere favorevole della Comunità locale e<br />

del Vescovo di Sarno, la Direzione provinciale decide di chiudere,<br />

con il giugno prossimo, l’attività educativa. Gli operatori laici sono<br />

già stati avvisati e, a breve, lo saranno anche i Servizi Territoriali.<br />

La sofferenza è palpabile in tutti, ma l’impraticabilità dell’impresa<br />

ci induce ad una “Realpolitik” della carità.<br />

10


ViTa Della CongregaZione<br />

Congregazione religiosa dei Figli di Maria Immacolata (<strong>Pavoniani</strong>)<br />

Provincia italiana<br />

PrograMMaZione<br />

Della ProVinCia PaVoniana<br />

D’iTalia Per il Triennio 2011-2014<br />

MISSIONE “DI QUALITÀ”<br />

Siamo al giro di boa del progetto<br />

capitolare 2008-2014: abbiamo<br />

scollinato nel 2° triennio.<br />

La missione, ispirata e motivata<br />

dall’Alto, condivisa fraternamente<br />

con religiosi e laici, per portare vino<br />

nuovo di speranza, ha catalizzato il<br />

nostro impegno di rinnovamento e<br />

di significatività.<br />

Il vasto campo della missione continua<br />

ad interpellarci, come parola<br />

che scuote le nostre coscienze e la<br />

nostra identità di consacrati apostoli.<br />

Gli scenari contemporanei che il<br />

mondo e la cristianità ci presentano<br />

non possono non destare un rinnovato<br />

zelo, quasi una ‘sacra indignazione’<br />

che interpella la nostra corresponsabilità. La missione è<br />

costitutiva della nostra consacrazione ed è ormai sempre più<br />

un’emergenza: “Guai a me se non evangelizzassi!” (1 Cor 9,16).<br />

11


Contesto mondo<br />

In Italia continua a manifestarsi una preoccupante “deriva”<br />

culturale, politica, civile, economica. Palesi sono i problemi di<br />

moralità pubblica, l’estenuante crisi economica non più congiunturale,<br />

ma sistemica, la precarietà che affligge la gioventù, la disoccupazione,<br />

il progressivo impoverimento della gente. Allarmante<br />

è il quadro che emerge dalla recente indagine del Censis<br />

“La crescente sregolazione delle pulsioni”: aumento dei comportamenti<br />

trasgressivi a tutti i livelli, la caduta dei filtri sociali che<br />

regolano i rapporti; l’enorme diffusione di patologie individuali,<br />

fino ad arrivare ad un generale senso di indifferenza rispetto al<br />

vivere sociale. Tutto questo ingenera una sorta di mentalità comune<br />

“frutto della perdita di significato condiviso di molti dei<br />

riferimenti normativi che sono alla guida dei comportamenti”.<br />

Si apre così la strada a comportamenti governati dall’individualismo<br />

egoistico e dalla disobbedienza sregolata, dove il primato<br />

della libera espressione di sé trova la sua massima espressione<br />

nel proprio mondo pulsionale e irrazionale. Quando il vivere<br />

quotidiano è continuamente minacciato dal primato del proprio<br />

“io”, quando il proprio diritto va a scapito del bene comune,<br />

emerge uno scenario etico e valoriale fortemente frammentato,<br />

marcato dalla mancanza del confronto e dalla paura di essere<br />

sopraffatti. I comportamenti pulsionali e sregolati trovano un<br />

habitat tanto più idoneo quanto più la società perde l’abitudine<br />

al desiderio, inteso come la tensione verso un fine strutturato<br />

dalla progettualità e, quindi, dalla condivisione sociale di valori<br />

e di significati”.<br />

La litigiosità familiare, politica, la frammentazione, l’incapacità<br />

di fare squadra a livello Paese, la contrapposizione sterile e narcisistica<br />

impongono una revisione culturale di superamento dell’individualismo<br />

esasperato.<br />

In Eritrea si assiste all’ibernazione delle forze giovani, alla<br />

povertà estrema, alla mancanza di prospettive future. In Messico<br />

aumenta la scristianizzazione, lo sfaldamento dell’istituto familiare,<br />

l’aumento della criminalità, con conseguenti disagi per le<br />

nuove generazioni.<br />

12


Contesto Chiesa<br />

La Chiesa percepisce<br />

la necessità di una<br />

nuova evangelizzazione,<br />

non tanto per intenti<br />

replicanti o proselitistici,<br />

quanto per<br />

la consapevolezza che<br />

senza Cristo non può<br />

esserci un vero Umanesimo.<br />

Dal 7 al 28 ottobre<br />

2012 si terrà a Roma la XIII Assemblea generale ordinaria del<br />

Sinodo dei Vescovi sul nocciolo de “La nuova evangelizzazione per<br />

la trasmissione della fede cristiana”. Nell’Introduzione dei Lineamenta,<br />

si ribadisce che la Chiesa è missionaria per sua natura ed<br />

esiste per evangelizzare. Per farlo in modo adeguato essa deve<br />

cominciare con l’evangelizzare se stessa. Già Paolo VI, nell’esortazione<br />

postsinodale Evangelii nuntiandi (1975) ammoniva: “Gli<br />

uomini potranno salvarsi anche per altri sentieri, grazie alla misericordia<br />

di Dio, benché noi non annunciassimo loro il Vangelo;<br />

ma potremo noi salvarci se, per negligenza, per paura, per vergogna,<br />

o in conseguenza di idee false, trascurassimo di annunciarlo?”.<br />

(n. 80).<br />

L’espressione “nuova evangelizzazione” è stata impiegata per la<br />

prima volta da Giovanni Paolo II il 9 giugno 1979, durante la<br />

Messa celebrata a Mogila, in Polonia, ed è stato ripreso molte<br />

volte da lui stesso e da Benedetto XVI. I Lineamenta lo considerano<br />

un “termine acquisito”, ma si ammette che rimanga un’espressione<br />

con significato non sempre chiaro e preciso. Nel testo, però,<br />

se ne danno varie descrizioni: un impegno “non certo di ri-evangelizzazione,<br />

bensì di una nuova evangelizzazione: nuova nel suo<br />

ardore, nei suoi metodi, nelle sue espressioni”. Non si tratterebbe<br />

di rifare qualcosa che è stato fatto male o non ha funzionato. La<br />

nuova evangelizzazione non è una duplicazione della prima, non<br />

ne è una semplice ripetizione, ma è il coraggio di osare sentieri<br />

nuovi, di fronte alle mutate condizioni (n. 5). “Nuova evangelizza-<br />

13


zione è allora sinonimo di missione; chiede la capacità di ripartire,<br />

di oltrepassare i confini, di allargare gli orizzonti… superando la<br />

mentalità dello status quo” (n. 12).<br />

Nell’emergenza educativa siamo chiamati dalla Chiesa italiana<br />

ad affilare le unghie per Educare alla vita buona del Vangelo, un’educazione<br />

che illumini gli ambiti vitali della esistenza: l’affettività,<br />

la fragilità, il lavoro e la festa, lo spirito della cittadinanza, la tradizione<br />

della memoria cristiana. Un’educazione che si fa accoglienza,<br />

compagnia, indicazione di percorso.<br />

Scrive Luigi Accattoli: “Questa è la Chiesa: ama i derelitti, li<br />

accoglie, li invita alla tavola del Signore, risveglia in loro la speranza<br />

nella vita eterna. Questi sono i segni dell’amore di Dio nell’umanità<br />

di oggi. Io amo la Chiesa per questo”.<br />

la missione pavoniana<br />

La nostra Provincia può essere orgogliosa di essere in campo<br />

con numerose opere che ne testimoniano la vivacità e la “lena”<br />

apostolica: attività educative scolastiche e professionali, Pensionati<br />

giovanili, Comunità alloggio, Centri di aggregazione giovanile,<br />

Centri semiresidenziali, Editrice-Stabilimento grafico-Librerie,<br />

Parrocchie, Cooperative di solidarietà, a breve con un Centro per<br />

sordomuti... Un segno di Chiesa che si fa cura dell’emergenza<br />

educatico-culturale-cristiana, i cui risvolti toccano, a cascata, anche<br />

la costruzione di una cittadinanza esemplare, così come sognava il<br />

nostro Fondatore, il beato L. Pavoni.<br />

Considerati i numeri relativamente esigui di religiosi, rendiamo<br />

grazie a Dio per il concorso numeroso e professionale di tanti<br />

laici, collaboratori, volontari e simpatizzanti, che contribuiscono<br />

a gettare nella nostra società questo grande fiume di grazia. Questa<br />

è la forza della nostra Congregazione che, gradualmente, sta riconfigurando<br />

la propria identità come “Famiglia pavoniana”, nella<br />

logica dell’ecclesiologia di comunione.<br />

Tuttavia, per onestà intellettuale, dobbiamo riconoscere che la<br />

nostra missione non ha ancora i crismi del “certificato di qualità”<br />

in tutti gli ambiti formativi.<br />

14


- Anzitutto la testimonianza che le comunità danno non è sempre<br />

evangelica, perché gli individualismi e le tensioni appannano<br />

l’ideale della fraternità.<br />

- Il “peso specifico spirituale” dei singoli non depone sempre a<br />

garanzia che siamo “uomini di Dio”.<br />

- L’approccio educativo ha un taglio per lo più scolastico o affettivo<br />

o promozionale, ma è labile l’esperienzialità cristiana proposta,<br />

forse per pudore, per disillusione, per la fatica di evangelizzare<br />

con registri e linguaggi giusti, che vanno<br />

continuamente aggiornati.<br />

- Per una sorta di garantismo assistenzialistico, non si progettano<br />

per i nostri assistiti esperienze formative che educhino alla solidarietà,<br />

all’altruismo, alla gratuità, all’alterità sofferente.<br />

- Spesso non incidiamo a livello di coscienza e di moralità, ma<br />

solo a livello dei comportamenti e, talvolta, non otteniamo<br />

nemmeno le osservanze virtuose.<br />

- Raramente inseriamo la questione vocazionale come domanda,<br />

come ricerca, come tensione, come risposta.<br />

Lapidariamente, il prossimo deve essere il “triennio della qualità”,<br />

nel quale tendere all’eccellenza sia in termini di testimonianza<br />

religiosa sia sul versante della missione.<br />

OBIETTIVI di QUALITÀ<br />

Dentro la cornice delle sottolineature<br />

annuali del triennio:<br />

* 2011-2012: Anno della missione<br />

educativa pavoniana, con rivitalizzazione<br />

degli oratori nel bicentenario<br />

dell’oratorio di L. Pavoni<br />

(1812). L’idea forza sarà: “Concepiamo<br />

sui giovani le più belle speranze”.<br />

Ricorderemo il decennio della beatificazione del Fondatore<br />

(2002), il centenario del ritorno della Congregazione a Brescia<br />

15


(1912), i cinquantesimi della presenza pavoniana in Spagna e a<br />

Montagnana (1962);<br />

* 2012-2013: Anno mariano, in riferimento all’icona di Cana. L’idea<br />

forza sarà: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”. Celebreremo il terzo<br />

incontro interprovinciale della Famiglia pavoniana;<br />

* 2013-2014: Anno di preparazione al 39° Capitolo generale, noi,<br />

religiosi della Provincia italiana, intendiamo perseguire i seguenti<br />

obiettivi di qualità:<br />

1. Continuiamo a lavorare per la “svolta copernicana”<br />

della “comunità al centro”<br />

Una Comunità di Dio. La liturgia, la preghiera, i sacramenti, lo<br />

spirito di fede, il sostegno reciproco e il coraggio condiviso, la<br />

castità sostenuta, la povertà vissuta e l’obbedienza gioiosa e corresponsabile:<br />

sono i tratti di una comunità abitata da Dio.<br />

Una comunità che è vera famiglia, prima testimonianza. La stima<br />

reciproca, la cordialità, un auspicabile dosaggio di comunità psichica<br />

e di comunità pneumatica al contempo. Il passaggio dall’Io<br />

al Noi va continuamente cercato. Il superiore ha un grande compito<br />

di collante autorevole, cioè esiste per far crescere; i Fratelli<br />

hanno il compito di confermarsi reciprocamente, preoccupati<br />

l’uno della gioia e della santità dell’altro.<br />

Una comunità che cura la qualità della missione, anche con i<br />

laici. Ci impegniamo maggiormente nel lavoro d’équipe, nella stima<br />

e coinvolgimento dei laici, nella presenza reale con i giovani, nel<br />

coinvolgimento della Comunità e delle famiglie, nella stesura del<br />

progetto educativo con le relative verifiche. La titolarità della missione<br />

compete alla Comunità, non al singolo religioso, benché la<br />

direzione sia affidata ad un suo membro.<br />

2. Una missione di qualità<br />

Attraverso la stesura locale del Progetto educativo pavoniano<br />

(PEA), renderemo esplicite le finalità dell’azione educativa-formativa,<br />

con i relativi punti irrinunciabili: la formazione umana e cristiana,<br />

professionale, civica ed etica. Il PEA aiuterà anche a con-<br />

16


formare i profili dei professionisti collaboratori, stimolandone<br />

l’autoformazione e la collegialità. Verifiche periodiche valuteranno<br />

l’incidenza educativa, gli spazi di evangelizzazione, la formazione<br />

morale, la sensibilizzazione pavoniana.<br />

La Provincia istituirà, in parallelo con il CAEP, anche un Coordinamento<br />

Attività Scolastiche e Professionali Pavoniane (CASP),<br />

per condividere acquisizioni, esperienze, innovazioni, dettati ministeriali,<br />

progetti di Alta Formazione. Il CASP si configurerà<br />

anche come ambito per esercitare il fund raising, cioè la ricerca di<br />

fondi per sostenere le attività scolastiche.<br />

• Per motivare di ‘spirito apostolico’ il lavoro formativo ed assistenziale,<br />

ma anche pastorale ed editoriale, in ogni comunità si celebrerà<br />

un “Mandato missionario annuale” per operatori religiosi e laici.<br />

3. impegno per le vocazioni<br />

La Provincia, con l’aiuto della Congregazione, ha investito risorse<br />

umane ed economiche per una comunità ‘dedicata’, che<br />

coordini e promuova l’azione vocazionale: l’Eremo pavoniano “La<br />

Cappuccina”. I fratelli di questa comunità sosterranno le équipes<br />

vocazionali locali, che andranno costituite e rese operative in ogni<br />

comunità. Dare il tempo per la crescita della coscienza, della persona<br />

e della fede è l’obiettivo fondamentale dell’educazione!<br />

La “Cappuccina” di Lonigo sarà luogo per esperienze di spiritualità<br />

e di discernimento, nonché sede iniziale e di riferimento del<br />

Postulandato. Presso l’Opera Pavoniana di Brescia si terrà il Noviziato<br />

e lo Juniorato.<br />

• Le Comunità tutte dedicheranno un’ora di adorazione mensile per<br />

le vocazioni, saranno disponibili ad offrire tempi di esperienza in<br />

Casa a giovani in ricerca vocazionale e sosterranno l’Eremo Pavoniano<br />

“La Cappuccina” con 1.000,00 euro annui.<br />

4. Qualificazione dell’oratorio pavoniano e dei 3 Pensionati<br />

Luogo di incontro, di umanità, della pre-evangelizzazione e<br />

dell’annuncio, della cultura e della sana sportività, l’Oratorio è<br />

ancora luogo di formazione delle famiglie e della gioventù. Nel<br />

17


icentenario della nascita dell’Oratorio del Pavoni (1812), siamo<br />

impegnati a rivitalizzarlo, coinvolgendo e formando validi collaboratori<br />

laici.<br />

• Terremo presenti le conclusioni delle giornate di sensibilizzazione<br />

vocazionale di Lonigo, del maggio 2010 (cf Periodico 2/10, pagg.<br />

40-42).<br />

• Come segno di festa giovanile pavoniana, il 4 maggio 2012 celebreremo,<br />

presso l’ Oratorio di Brescia, il 3° GioFest provinciale.<br />

Anche i due Pensionati (il 3° nascerà a Monza) saranno maggiormente<br />

connotati in chiave culturale e spirituale, con un accostamento<br />

personale ai giovani, anche in chiave vocazionale.<br />

5. Dentro una pastorale d’insieme della Chiesa locale<br />

Il rapporto con il Territorio e la Chiesa locale è spazio importante<br />

da presidiare: spesso siamo un po’ defilati. Le due parrocchie<br />

di S.M. Immacolata e di S. Barnaba in Brescia costituiscono il 1°<br />

esempio in Diocesi di disponibilità a collaborare con la Chiesa<br />

locale nella missione pastorale.<br />

6. Pastorale dei sordi<br />

Fedeli al proposito capitolare e alla programmazione del triennio<br />

scorso, rilanciamo l’ambito della sordità quale spazio apostolico<br />

ispirato dal padre Fondatore. Nel gennaio 2012 ci sarà l’apertura<br />

del Centro “Effatà Ludovic Pavoni” a Ouagadougou (BF).<br />

• In Italia animiamo una Eucaristia settimanale per i sordi, nelle<br />

nostre parrocchie.<br />

7. Àncora s.r.l.<br />

Dopo aver completato la ristrutturazione delle 5 librerie, continueremo<br />

a profondere un impegno educativo, editoriale e librario<br />

ad oltranza e, Provvidenza permettendo, ottimizzeremo la logistica<br />

della filiera Editrice-Stabilimento.<br />

18


8. la Famiglia pavoniana<br />

Nella realtà delle cose, ogni comunità vive lo spirito di famiglia<br />

con religiosi e laici collaboratori. Manca, tuttavia, in molte, la capacità<br />

di compiere un cammino formale di formazione e di inclusione<br />

più stretta. Questo è una resistenza ecclesiologico-carismatica<br />

che va superata, pena l’autoesclusione dal cammino di<br />

identificazione pavoniana. Occorre fare un passo in avanti nelle<br />

singole Comunità. A livello provinciale si organizzerà sempre un<br />

incontro annuale di formazione a carattere spirituale, biblico e<br />

‘pavoniano’.<br />

• Nel 2013 celebreremo il 3° Incontro interprovinciale della Famiglia<br />

Pavoniana<br />

Nella grande Famiglia pavoniana, continuiamo ad apprezzare<br />

la risorsa del GMA, che aiuta famiglie asmarine che gravitano su<br />

Casa Regalio; le Cooperative di solidarietà in Montagnana e Pressana<br />

e, non ultima, l’A.PA.S. (Associazione Pavoniana di Solidarietà),<br />

che ha allargato gli orizzonti della carità dallo storico Brasile<br />

al Messico, al Burkina Faso e alle Filippine.<br />

9. Formazione permanente<br />

Accanto alla formazione permanente quotidiana, che ogni superiore<br />

locale favorirà, la Provincia organizzerà, con la Congregazione,<br />

un Corso prolungato estivo, con lo scopo di dare una scossa<br />

salutare all’inerzia della vita religiosa. Non ci tireremo indietro!<br />

Il Superiore provinciale inviterà personalmente i religiosi che da<br />

anni non vi partecipano.<br />

• Ci sarà il Corso estivo del luglio/agosto 2012, a Ponte di Legno/<br />

Terrasanta e una ‘cinque giorni’ per gli ultrasettantenni, nel mese di<br />

maggio di ogni anno.<br />

10. Testimonianza di povertà e ridimensionamento<br />

Nel tempo attuale di crisi economica, la disinvoltura nelle esigenze<br />

e nelle spese personali/comunitarie è una controtestimonianza<br />

ed una trasgressione ancora più grave del voto religioso. Inoltre<br />

19


le missioni, italiane e straniere, hanno bisogno di risorse per essere<br />

sostenute: la solidarietà tra Case è stile evangelico e dovere di vita<br />

religiosa.<br />

• Ogni Casa si adopererà anche in vista della sostenibilità economica<br />

delle proprie opere, cercando anche risorse per ovviare alle passività.<br />

Considerate le difficoltà economiche degli Enti Pubblici, nostri<br />

partners nella carità, costretti nell’attuale congiuntura a compiere<br />

tagli sul comparto socio-assistenziale, con sano realismo la Provincia<br />

dovrà ridimensionare alcune attività benefiche, per poter supportare<br />

il carico finanziario delle molte Opere educative e assistenziali,<br />

professionali e scolastiche.<br />

* Verifica<br />

A metà triennio si terrà una verifica provinciale per valutare l’effettiva<br />

realizzazione della Programmazione.<br />

Come anelli di una sola catena<br />

20<br />

* * *<br />

La missione di qualità per il prossimo triennio implica sempre<br />

di più la capacità di lavorare con il regime della “rete”. Religiosi e<br />

laici insieme, abbiamo davanti la prospettiva di un lavoro a maglie,<br />

con la forza della corresponsabilità, con l’onere morale di costituire<br />

ciascuno un anello della catena. La qualità migliora quando<br />

cresce il senso di appartenenza, quando ci si stima e ci si aiuta,<br />

senza delegittimare la persona e l’operato dell’altro, anzi confermandoci<br />

e correggendoci a vicenda per l’unica causa.<br />

Come religiosi, anzitutto, abbiamo la responsabilità di non “mandare<br />

in fumo” il lavoro di chi ci ha preceduto e di chi ci seguirà.<br />

La nostra testimonianza di “esistenza etica e consacrata” sarà<br />

cristallina e suscitatrice di emulazione. Così la nostra obbedienza<br />

si tradurrà in un credibile vangelo.<br />

A Cana il nuovo popolo si dichiara disposto a compiere<br />

qualunque cosa dirà il Messia sposo. (DC, pag. 62)


la “<strong>QUaliTÀ</strong>” Di PaDre PaVoni<br />

di p. Giuseppe Rossi<br />

Una premessa necessaria, prima di affrontare il tema che ci<br />

proponiamo è stabilire cosa si intende per “qualità”, un termine<br />

oggi molto gettonato 1 . Pare che non sia semplice una definizione;<br />

ci troviamo nella stessa situazione in cui s’è trovato sant’Agostino<br />

rispetto al tempo: «Se non mi chiedono cosa sia il tempo lo so; se<br />

me lo chiedono non lo so». Il Dizionario italiano di Devoto e Oli<br />

così definisce la qualità: «Nozione alla quale sono riconducibili<br />

gli aspetti della realtà suscettibili di classificazione o di giudizio».<br />

Chiarissimo!<br />

1 Si pensi alle numerose “Certificazioni di qualità”, alle numerose sigle che dovrebbero<br />

garantire la qualità di un prodotto: DOC (denominazione origine controllata),<br />

DOCG (garantita), DOP (protetta), IGP (indicazione geografica protetta), SGT (specialità<br />

tradizionale garantita), IGT (indicazione geografica tipica); alle “strutture/prodotti<br />

di eccellenza”, ecc.<br />

21


Lasciando da parte il dizionario: cosa intendiamo nel linguaggio<br />

comune con questo termine? Forse potremmo, semplicemente,<br />

dire che la qualità è quel particolare pregio che caratterizza una persona<br />

o un’opera se viene raffrontata con la media delle altre persone<br />

o delle opere analoghe. Un esempio: se uno stesso manufatto, opera<br />

di un apprendista, è fatto anche da un artista, si nota sicuramente<br />

una notevole differenza: questa differenza, questo “qualcosa di<br />

più” (non in senso quantitativo, ma migliorativo) è quanto ci fa<br />

dire che uno dei due lavori, rispetto all’altro, è un lavoro di qualità.<br />

A questa “qualità” si contrappongono il pressapochismo, la superficialità,<br />

l’improvvisazione 2 , la smania di produrre la massima<br />

quantità…<br />

Concretamente: cercheremo di trovare ed evidenziare alcune<br />

costanti nello – stile di vita, nei – suoi scritti, in – testimonianze<br />

attendibili, nelle – opere realizzate da Lodovico Pavoni che ci<br />

permettano di affermare che fu “uomo di qualità”.<br />

Va subito detto che non sarà facile questa ricerca perché p.<br />

Pavoni, secondo la testimonianza di p. Baldini, – era «soprattutto<br />

intento a nascondere il bene che operava»; bisognerà accontentarsi<br />

di qualche scintilla che, nella sua povertà, rivela la luce; inoltre –<br />

non sarà una ricerca esaustiva, ma esemplificativa: spesso saranno<br />

più allusioni che affermazioni; finalmente nonostante lo sforzo per<br />

essere obiettivo, – alcune valutazioni saranno discutibili perché del<br />

tutto personali.<br />

Quali sono le fonti cui attingere i dati necessari per formulare<br />

un giudizio, sia pur provvisorio e «salvo semper meliori judicio»?<br />

Le fonti saranno quelle che abbiamo a disposizione: gli scritti<br />

del Pavoni 3 , le testimonianze dei Processi 4 e i numerosi studi finora<br />

2 «Il Pavoni non pare proprio il tipo che, emozionato dall’ultimo avvenimento, parte a<br />

caso con dei tentativi incerti e approssimativi. È piuttosto uno che matura le sue intuizioni<br />

con ponderata riflessione, studia attentamente i problemi, si confronta pazientemente<br />

con altri, discute le sue scelte e chiede parere e approvazione» (G. Berto lei, L’esperienza<br />

apostolica di Lodovico Pavoni, Congregazione FMI, [Milano] 1997, 132. Sarà citato: EAP.<br />

3 Negli scritti del Pavoni il termine “qualità” è usato quasi sempre nell’espressione:<br />

“in/nella qualità di…”; 15 volte nel senso di “qualità morali” (al plurale) e solo 3 volte<br />

nell’accezione da noi proposta («qualità del lavoro»: Regolamento dell’Istituto 6 e Costituzioni<br />

primitive 262; «qualità del cibo»: lettera a p. Amus del 22 dicembre 1848).<br />

4 G. Ro ssi (a cura di), Lodovico Pavoni visto da vicino, Congregazione FMI, [Milano]<br />

1995. Sarà citato LPV.<br />

22


pubblicati 5 , specialmente gli atti dei quattro Convegni di studio che<br />

si sono tenuti il 30 marzo 1985 6 , il 27 marzo 1999 7 , il 16 maggio<br />

2002 8 e 13 ottobre 2007 9 .<br />

1. lodovico Pavoni, persona di qualità<br />

È indubitabile che la qualità di una persona emerge dalle sue<br />

relazioni.<br />

Mi sono chiesto come doveva presentarsi Lodovico Pavoni a<br />

chi lo incontrava per la prima volta. Lasciandomi guidare dalle<br />

testimonianze del Processo informativo, prese globalmente, penso<br />

che questo incontro sarà stato preceduto da una precomprensione<br />

favorevole, unita a un comprensibile rispetto reverenziale per<br />

quell’uomo di cui tutti parlavano e parlavano bene. Eppure la sua<br />

presentazione era piuttosto modesta rispetto alle attese: era una<br />

persona importante per la società civile (Cavaliere della Corona<br />

Ferrea) e come ecclesiastico (il Signor Canonico)... ma il suo portamento<br />

era dimesso: si metteva al livello dell’ospite, che si sentiva<br />

immediatamente a proprio agio. La sua innata nobiltà, che si esprimeva<br />

in dignitosa signorilità di modi, non allontanava, ma lasciava<br />

trasparire una nobiltà di spirito verso la quale ci si sentiva attratti.<br />

Il dialogo era pacato, semplice, essenziale, cordiale e nasceva da<br />

un ascolto attento e partecipato, senza fretta: era tutto e solo per<br />

l’interlocutore, chiunque fosse.<br />

Si avvertiva evidente in lui il desiderio sincero di soddisfare nel<br />

modo migliore eventuali richieste e, quando non era assolutamente<br />

possibile, si poteva notare un rammarico, una sofferenza che non<br />

5 Nel Bollettino interno 2-2011 si pubblica la Bibliografia pavoniana dal 1945 a oggi.<br />

Oltre ai libri si citano 270 articoli apparsi soprattutto sul BI nel periodo indicato, che si<br />

riferiscono al Pavoni e alla Congregazione. Sono citati in ordine alfabetico e secondo<br />

uno schema logico, per facilitare la ricerca.<br />

6 ee.VR., Lodovico Pavoni e il suo tempo, Editrice Àncora, Milano 1986. Sarà citato<br />

LPT.<br />

7 AR.VR., Lodovico Pavoni – Un Fondatore e la sua città, Congregazione FMI, [Milano]<br />

2000. Sarà citato FSC.<br />

8 ee.VR., Il beato Lodovico Pavoni e la sua opera a Brescia, Congregazione FMI, [Milano]<br />

2003. Sarà citato PBS.<br />

9 ee.VR., L’eredità del beato Lodovico Pavoni, Congregazione FMI, [Milano] 2009.<br />

Sarà citato ELP.<br />

23


iusciva a nascondere. Qualunque fosse stato l’esito, quell’incontro<br />

rimaneva nella memoria e nel cuore: si era conosciuta una persona<br />

del tutto eccezionale, la cui grandezza era velata e svelata dall’umiltà,<br />

una persona dal cuore grande, dallo sguardo limpido, affabile<br />

e chiara al tempo stesso, semplice e dignitosa, desiderosa e capace<br />

di farsi tutto a tutti, ma tanto discreta da suscitare ammirazione e<br />

gioiosa meraviglia. In una parola: si era conosciuta una persona di<br />

alto profilo qualitativo.<br />

Passando dalla immaginazione – che rispetto alla realtà è molto<br />

carente – alla documentazione, vorrei presentare alcune testimonianze<br />

qualificate che ci dicono quale impressione suscitava Lodovico<br />

Pavoni come cittadino e come discepolo di Cristo.<br />

A. Cittadino di qualità<br />

Cosa si vuol dire con questa affermazione? È evidente che ogni<br />

cittadino ha, con la propria comunità civile, un rapporto molto personale,<br />

che abbraccia una vasta gamma di comportamenti: rifiuto,<br />

indifferenza, fredda dipendenza formale, collaborazione… Alcuni<br />

sono ritenuti cittadini esemplari, nei cui riguardi la società si sente<br />

debitrice, e lo esprime con riconoscimenti di vario genere. Fra<br />

questi occupa un posto di rilievo il “bresciano” 10 Lodovico Pavoni.<br />

Lodovico Pavoni fu bresciano per nascita, per indole, per elezione.<br />

Brescia fu per lui un «luogo teologico», dove provvidenzialmente<br />

realizzò il “disegno dettato dal Cielo”. Pare che sia vincolato<br />

alla sua città da una sorte comune, perfino nella morte11 .<br />

Nella sua città, con la sua vita e con le sue opere, «die’ prova<br />

di sapienza civile, di squisita filantropia e di nobilissimo amore di<br />

patria» 12 .<br />

Affermazioni come questa potrebbero sembrare eccessive, se<br />

non fossero convalidate dai fatti, ossia dal comportamento del<br />

Pavoni.<br />

10 Si veda: G. Ro ssi, Lodovico Pavoni e Brescia, in FSC, 195-220.<br />

11 «Moriva il Pavoni … e Brescia stretta d’assedio e avvolta in fiere battaglie non lo<br />

sapeva … Quando fra tante perdite fu posta mente anco a quella dell’uom di Dio …<br />

pensammo che mentre ogni altra cosa crolla e precipita intorno a noi, la pura e perfetta<br />

virtù sola si sostiene fra le rovine, né soggiace alla prepotenza de’ casi, né all’arbitrio e al<br />

furore degli uomini» (Zemeelli, in LPV 804v-805r).<br />

12 Zemeelli, in LPV 796v.<br />

24


Riferisco un solo caso che mi pare emblematico per comprendere<br />

quali fossero i criteri che orientavano il Pavoni nelle sue scelte<br />

e nei rapporti con i suoi concitadini. Il 27 dicembre 1838 l’I. R.<br />

Delegato governativo Fermo Terzi chiede al Pavoni di accettare<br />

nelle sue officine gli “Orfani della Misericordia”. Ecco la risposta:<br />

«Il sottoscritto, senza esitare 13 … di buon grado si offre disposto ad<br />

accogliere quei giovani di detto pio Luogo che … fossero applicabili<br />

alle arti qui in corso … e ciò senza pretesa alcuna di compenso,<br />

essendo per sistema dell’Istituto affatto [del tutto] gratuito anche<br />

l’educazione dei figli esteri [non interni] che a circostanziata e limitata<br />

misura si ammettono per la coltura nelle arti» 14 .<br />

Questo è lo “stile” del Pavoni.<br />

Questo “stile” ha meritato anche dei riconoscimenti ufficiali. Ne<br />

cito tre: due da Brescia e uno da Vienna.<br />

1) Come rispose Brescia?<br />

* A lungo andare, anche l’Amministrazione comunale si rese<br />

conto del valore civico che si doveva attribuire alla persona e<br />

all’opera del Pavoni. Infatti, il 21 agosto 1841, in seduta straordinaria,<br />

delibera «per acclamazione» (era un’eccezione rispetto alla<br />

prassi ordinaria) di lasciare «gratuitam. te al benemerito Sig. r Can.<br />

co Pavoni» «la parte di ex Convento di S. Barnaba di proprietà del<br />

Municipio». È il primo riconoscimento “ufficiale”, che giunge<br />

quando ormai da vent’anni è pienamente in attività l’Istituto Pavoni.<br />

Sono interessanti le motivazioni di questo riconoscimento<br />

forse tardivo ma significativo: «Per l’idea di coltivare un’istituzione<br />

di tanto profitto alla Città, vedendosi ivi raccolti non pochi Orfani<br />

abbandonati, fanciulli traviati condotti al retto sentiero, di rendersi<br />

a se stessi e ai propri Cittadini giovevoli». Viene anche riconosciuto<br />

che l’Istituto di san Barnaba è di «notorio e sempre crescente utile<br />

e gloria del nostro Paese 15 ».<br />

13 Il carattere corsivo, non presente nell’originale, è usato per sottolineare con quali<br />

sentimenti il Pavoni accetta la proposta. Uguale criterio verrà usato abitualmente nelle<br />

citazioni riportate; qualora il corsivo (o sottolineatura) fosse presente nell’originale, verrà<br />

detto.<br />

14 Raccolta ufficiale di documenti e memorie d’archivio [citata RU] II 291.<br />

15 Lo Zambelli afferma: «Fu accolta come gloria cittadina la fama in che venne il suo<br />

nome [del Pavoni]» (LPV 802 v).<br />

25


In particolare viene ricordato l’intervento del Pavoni durante la<br />

terribile pestilenza del 1836, in un momento di estrema difficoltà<br />

per l’Istituto 16 : «Per l’attenzione di corrispondere alla generosa<br />

beneficenza del Monsignor Canonico nel fatale anno 1836, che<br />

lasciando superstiti molti, e molti fanciulli ancora inutili [inabili<br />

al lavoro], questi con semplice invito Municipale, e senza speranza<br />

di sovvenimento di spesa, vennero caritatevolmente accolti nel Pio<br />

Ricovero, ivi alimentati, ed educati con vero e paterno amore».<br />

** Ci sarà un altro riconoscimento, probabilmente inatteso, del<br />

31 marzo 1848. Brescia è governata dal Governo Provvisorio del<br />

Sovrano Popolo Bresciano, di chiara ispirazione giacobina che si<br />

preoccupa di abolire «in questa provincia ogni Congregazione di<br />

Gesù che esistesse, in specie quella addetta in Brescia al Collegio<br />

denominato dei Gesuiti nonché tutte le figliazioni della società<br />

Gesuitica» 17 . Subito dopo, lo stesso Decreto aggiunge: «Si dichiara<br />

fin d’ora non appartenente a questa figliazione l’Istituto sotto il<br />

nome di Servi di Maria [!] recentemente fondato dal benemerito<br />

cittadino già Canonico Pavoni». Il titolo di “benemerito cittadino”<br />

è il massimo riconoscimento che ci si poteva attendere da quell’autorità<br />

non molto sensibile ai valori a cui si è ispirata la vita e l’opera<br />

del Pavoni.<br />

2) Da Brescia a Vienna.<br />

La fama del Pavoni varcò le frontiere e giunse fino a S. M. l’Imperatore<br />

Ferdinando I°.<br />

* Tutto, pare, iniziò nell’ottobre 1842. Il 12 o il 13 il Serenissimo<br />

Arciduca Viceré, Ranieri, visitò «il privato Stabilimento del<br />

Rev. Canonico sig. Pavoni … ed ebbe la bontà di manifestare al<br />

benemerito Istitutore la propria soddisfazione» 18 . In quella visita il<br />

16 P. Baldini scrive: «La spesa dell’Istituto … era assai maggiore, dovendo dare un<br />

vitto più squisito … ed era assai minore l’entrata delle Officine perché poco vi si lavorava<br />

durante il morbo e … pochissime furono le Commissioni pel lavoro. In tali circostanze<br />

il santo uomo … accrebbe fino verso i sessanta» il numero dei ricoverati (LPV 637<br />

r-v). 17 RU II 324-326.<br />

18 La Gazzetta Privilegiata di Milano, citata da R. Cen tù, Lodovico Pavoni Cavaliere<br />

dell’Ordine Austriaco della Corona di Ferro (I), in BI 1994,1, 37-58. A questo primo articolo<br />

ne seguiranno altri due, sempre sul BI del 1994: pp. 178-196; 242-271. A questi<br />

articoli abbiamo attinto la documentazione riportata.<br />

26


Viceré s’era certamente persuaso che non era possibile che lo Stato<br />

ignorasse un’opera tanto benemerita 19 e nell’incontro del 16 marzo<br />

1843 a Desenzano chiede al Delegato Breinl di ricordargli i meriti<br />

del Pavoni. La sera stessa il Delegato chiede al Pavoni informazioni<br />

di prima mano, che vengono fornite nella Relazione dell’Origine e<br />

Progressi del Pio Istituto di S. Barnaba, che verrà consegnata il 1°<br />

aprile. Il giorno successivo il Delegato spedisce la sua relazione al<br />

Viceré. La complessa macchina burocratica s’è messa in moto 20 e<br />

si giunge al 1° giugno 1844 quando l’Imperatore Ferdinando firma<br />

l’Imperial Regia Risoluzione.<br />

** A noi interessa riportare alcune espressioni delle relazioni<br />

stese dalle Autorità consultate.<br />

– L’I. R. Delegato provinciale, Karl Breinl, conclude la sua<br />

«deferente presentazione esprimendo … l’assicurazione, sorretta<br />

da una mia precisa convinzione, che un segno di altissimo riconoscimento<br />

sul petto di questo Sacerdote, così pieno di meriti,<br />

troverebbe la più simpatica approvazione di ogni buon cittadino<br />

e il più grato riconoscimento da parte della popolazione di questa<br />

Città e Provincia».<br />

– Il Vescovo Mons. Ferrari, dopo aver parlato del «grado<br />

di benemerenza che [il Pavoni] possa aversi acquistato colla<br />

sua attività, col suo zelo e co’ suoi generosi sacrifici pecuniari»,<br />

conclude: «Quanto a me assicuro che per sì nobili qualità si è<br />

meritata la stima e la venerazione di tutta la Città e Provincia<br />

Bresciana».<br />

– La relazione forse più bella, elogiativa e concreta, la dobbiamo<br />

a Carlo Torresani, che presenta il Pavoni come «uno di<br />

19 Abbiamo un conferma importante nella lettera che “Sua Altezza Imperiale il Serenissimo<br />

Viceré” spedisce a Vienna assieme alla documentazione relativa all’onorificenza<br />

da tributare al Pavoni. In essa dice: d’aver «in persona visitato l’istituto … e ha trovato<br />

il collegio [!] così perfetto, così corrispondente ai fini del fondatore che … ha ritenuto<br />

suo dovere richiamare l’attenzione di Sua Maestà e illustrare le prestazioni di questo degno<br />

canonico» (in G. Ro ssi, Lodovico Pavoni educatore e maestro di vita, Congregazione<br />

FMI, [Milano] 2004, p. 133, n. 423). Sarà citato PEM.<br />

20 La pratica passerà dalla Delegaziome di Brescia alla cancelleria del Viceré, poi a<br />

un tavolo aulico di Vienna; verranno interpellate la Cancelleria di Stato e la Commissione<br />

di Studi che chiederanno informazioni al Governatore di Milano, Spaur, il quale si rivolge<br />

al Vescovo Mons. Ferrari e al Direttore generale di Polizia, cav. Torresani, le cui<br />

Relazioni allega alla sua.<br />

27


quegli esseri, che raramente s’incontrano nella Civile società. La<br />

di lui condotta è uno specchi di morale e di virtù … Sacerdote<br />

illuminato, unisce alla vera pietà quella tolleranza evangelica, che<br />

lo colloca in eminente grado fra il numero de’ buoni. Di maniere<br />

affabili e civili con tutti, e specialmente coi poverelli, e di carattere<br />

integerrimo, franco e leale, egli riunisce in sé il complesso di<br />

quelle rare e pregevoli doti d’animo, che gli attirano meritamente<br />

la stima e perfino la venerazione del pubblico». Altro punto che<br />

è messo in evidenza: «l’amore e la stima che tutti i giovani ricoverati<br />

professano al loro benefattore, riguardandolo qual loro<br />

padre e guida nel sentiero dell’onore». E conclude: «È certo che<br />

tornerebbe di grande effetto nel pubblico, ove venisse premiato<br />

con un distintivo onorifico … Qualunque fosse per essere un tale<br />

contrassegno, è indubitabile che andrebbe a fregiare l’Uomo, che<br />

onora la Civil Società».<br />

Non v’è dubbio che il triplice riconoscimento che abbiamo<br />

presentato (Amministrazione comunale, Governo provvisorio,<br />

Imperatore) esprime la profonda stima che i suoi concittadini 21<br />

hanno voluto manifestare a Lodovico Pavoni, ritenuto, a ragione,<br />

persona meritevole per quanto ha fatto e, prima ancora, per chi<br />

era. Non è quindi improprio parlare di lui come di un “cittadino<br />

di qualità».<br />

B. Cristiano di qualità<br />

In questo senso si esprimono tutte le numerose testimonianze<br />

escusse nei Processi per la beatificazione e canonizzazione, sia nelle<br />

deposizioni giurate, come nei documenti presentati22 .<br />

Mi limito, per il momento, a citare tre documenti che ritengo<br />

molto importanti per l’autorevolezza di chi li ha estesi, anche se va<br />

tenuto presente il genere letterario di tali scritti.<br />

21 Anche la decorazione imperiale, in ultima analisi, è stata almeno implicitamente richiesta<br />

dalla gente.<br />

22 Si rimanda a LPV.<br />

28


1) Il primo è il necrologio pubblicato sul Calendario diocesano<br />

del 1850 23 , a pochi mesi dalla morte di Lodovico Pavoni, quando<br />

era vivo il ricordo da lui lasciato nella sua città e moltissimi coloro<br />

che l’avevano conosciuto. Queste circostanze obbligavano ad<br />

essere oggettivi nell’estendere il necrologio 24 , che esprime, quindi,<br />

un giudizio condiviso da molti, per non dire da tutti.<br />

Riprendo alcune affermazioni: «Sarebbe troppo lungo narrare<br />

le luminosissime virtù di quest’Uomo … che si dedicò assiduamente<br />

a coltivare la gioventù e … fu uno di quegli uomini religiosissimi<br />

… che diedero impulso nella nostra Città agli Oratori… A<br />

questa pia impresa [il suo Istituto] consacrò tutti i suoi beni e<br />

immolò se stesso sino al termine della sua vita … Rifulgeva per<br />

carità ed umiltà: somma era in lui l’astinenza e l’austerità della<br />

vita; meravigliosa la pazienza nelle avversità; assiduo alla preghiera<br />

… Fondò una Congregazione … Durante i tristissimi giorni<br />

in cui il fremito di guerra scuoteva la Città … s’addormentò nel<br />

Signore. Il caro ricordo e il rimpianto di sì grande Uomo resterà<br />

presso di noi».<br />

Così Lodovico Pavoni fu ritenuto dai suoi contemporanei.<br />

2) Il secondo documento è il Decreto sulla eroicità delle virtù,<br />

steso dalla S. C. dei Riti e approvato da Pio XII, il 5 giugno 1947. Il<br />

suo valore è di prima evidenza: praticare la virtù “in grado eroico”<br />

equivale ad affermare che una persona ha vissuto la sua vocazione<br />

cristiana in modo “qualitativamente” eccezionale. Oltre agli<br />

elogi, quasi scontati, il Decreto paragona Lodovico Pavoni a tre<br />

santi molto conosciuti: «un altro Filippo Neri» per la sua attività<br />

nell’Oratorio 25 ; «precursore … di san Giovanni Bosco» per il suo<br />

Istituto; «perfetto emulatore di S. Giuseppe Cottolengo» per la<br />

23 Il testo latino e italiano si trova in LPV, pp. 389-391. Mons. Rota, Vescovo di Lodi,<br />

che l’aveva mandato a p. Rolandi dice che c’è già pronta la lettura propria per la sua<br />

Beatificazione.<br />

24 Questo necrologio può essere completato con quello che venne steso da don Antonio<br />

Lodrini, che conobbe bene il Pavoni, per la Società sacerdotale di san Giovanni<br />

Nepomuceno, di cui il Pavoni era membro e fu Presidente. Lo si veda in: ee.VR., Lodovico<br />

Pavoni e il suo tempo, pp. 247-248 (nota 22).<br />

25 Nonostante i sopragiunti e gravi impegni, il Pavoni di dedicò all’Oratorio «fino alla<br />

morte» (Zemeelli, in LPV, 794v).<br />

29


sua «illimitata fiducia nella Divina Provvidenza, che non gli venne<br />

mai meno».<br />

Così appare Lodovico Pavoni dai Processi (Informativo, Apostolico,<br />

Suppletivo).<br />

3) Infine il Breve pontificio per la Beatificazione, del 14 aprile<br />

2002. La Beatificazione permette un culto liturgico pubblico,<br />

anche se parzialmente limitato, ma soprattutto vuole proporre il<br />

nuovo Beato come modello di santità, una santità sancita anche da<br />

un miracolo e, almeno per questo, eccezionale. Dopo una breve<br />

biografia, il Breve fa una bella sintesi della spiritualità vissuta dal<br />

Pavoni: «Il dono totale di sé, fatto “tanto volentieri”, divenne tenerezza<br />

paterna per i piccoli e gli ultimi. La sua illimitata fiducia<br />

nella Divina Provvidenza fu unita alla ricerca creativa dei mezzi più<br />

opportuni per rispondere adeguatamente alle richieste dei giovani.<br />

Con ammirevole operosità, visse l’ideale dell’ora et labora e lo propose<br />

ai suoi figli, che saranno chiamati “i frati operai”. Pur essendo<br />

convinto che la sua opera rispondesse a “un disegno dettato dal<br />

Cielo”, sottopose ogni suo progetto ai Pastori della Chiesa e volle<br />

che l’obbedienza fosse “virtù caratteristica” – assieme all’umiltà e<br />

alla semplicità – della sua famiglia religiosa. Ebbe per “la cara Madre<br />

Maria” una filiale devozione e considerò l’Immacolata “celeste<br />

ispiratrice e speciale protettrice” della Congregazione».<br />

Lodovico Pavoni è presentato dalla Chiesa come esemplare di<br />

vita cristiana.<br />

2. lodovico Pavoni propone ed esige qualità<br />

Forse il titolo di questo paragrafo non è del tutto chiaro. Con<br />

esso vorrei riferirmi alla proposta che, soprattutto nelle Costituzioni<br />

primitive, p. Pavoni indirizza a chi fa parte della sua Famiglia<br />

religiosa, anche perché sono convinto – e lo possiamo dare per<br />

scontato – che quanto lui esige da altri, per primo lo vive. Si tratta<br />

di due momenti di una medesima realtà: l’ideale vissuto da p.<br />

Pavoni diventa proposta per i suoi Religiosi. Questi due momenti<br />

si intersecano perché, come osserva giustamente p. Baldini (utilizzando<br />

una formula stereotipa, ma non per questo meno vera),<br />

«nella stessa vita dell’illustre Fondatore risplendettero così nelle<br />

30


parti principali le Costituzioni, che ben si può dire Lui medesimo<br />

esserne il Libro vivente» 26 . Ancora più esplicito è lo Zambelli: «La<br />

regola [Costituzioni] che loro lasciò [ai suoi Religiosi], scritta con<br />

bontà di stile e con mirabile unzione, è il succo di tutte le massime<br />

che regolarono la sua vita» 27 .<br />

Non intendo affrontare tutta la problematica inerente a questo<br />

tema; vorrei limitarmi a due rilievi apparentemente di poca<br />

importanza, ma che a me pare mettano in evidenza l’esempio e la<br />

richiesta di “qualità”. Il primo consiste nell’uso che Pavoni fa di<br />

due aggettivi qualificativi: “grande” e “vero”, il primo usato nel<br />

grado superlativo: “sommo” o nella forma avverbiale di “sommamente”.<br />

Il secondo rilievo presenterà alcune antinomie che, a mio<br />

parere, possono servire a completare la riflessione.<br />

1) L’uso degli aggettivi “sommo” e “vero”. Questi aggettivi, come<br />

tutti gli aggettivi qualificativi, servono a valorizzare il sostantivo<br />

al quale si riferiscono. Nel nostro caso – riferendosi a sostantivi che<br />

hanno in sé un chiaro valore positivo – suggeriscono che non basta<br />

“fare” qualcosa di buono o esercitare una virtù; si richiede che lo si<br />

faccia in “sommo” grado, naturalmente «per quanto è possibile»;<br />

in altri termini: il bene che si fa deve essere di qualità 28 .<br />

* Come l’aggettivo “sommo” e l’avverbio “sommamente” vengono<br />

usati specialmente nelle Costituzioni primitive 29 .<br />

Dovrà essere «impegno di tutti il dimostrare somma sollecitudine<br />

30 nel recarsi» alla preghiera (91); in particolare l’orazione<br />

mentale (meditazione) va tenuta in «somma stima» (86). La devozione<br />

«alla cara madre Maria, ed al Cuore SS. di Gesù» non solo<br />

va praticata, ma anche “promossa” e questo impegno deve essere<br />

26 LPV 625v.<br />

27 LPV 803v.<br />

28 In questo senso il Pavoni si esprime riguardo a possibili aspiranti: «Non si accetteranno<br />

in questa Congregazione che individui conosciuti di costumi non solo buoni,<br />

ma esemplari» (CP 23).<br />

29 Analizzando le Costituzioni non si intende affermare che tale aggettivo è in esse<br />

presente in modo esclusivo, ma inclusivo; è utilizzato nella “lettere” una decina di volte,<br />

nel “Regolamento dell’Istituto”, nel documento indirizzato dal Direttore ai suoi<br />

“Alunni Coadiutori”, nella “Regole fondamentali”, ecc.<br />

30 Si noti che qui, come altrove, il sostantivo esprime già di per sé un particolare impegno;<br />

“sommo/a” o “vero/a” lo sottolineano con efficacia.<br />

31


«sommo» (101). Un altro tema caro al Pavoni è la confidenza che<br />

il Religioso deve avere con il suo Superiore: a lui dovrà aprire il<br />

proprio animo «con somma semplicità» (67). Ai «Maestri delle<br />

arti» viene chiesta «somma circospezione nel trattare gl’interessi<br />

della propria officina» (144). La verità va «sommamente» “amata”<br />

e mostrata/proclamata «sempre quale si conserva nel cuore» (81).<br />

La vigilanza educativa è raccomandata «sommamente al Viceréttore»<br />

(231), il quale si mostrerà «sommamente rispettoso verso il<br />

Rettore» (233).<br />

** Altro termine che fa riferimento implicito alla qualità è l’aggettivo<br />

“vero”, che sottolinea l’autenticità, condizione ed espressione<br />

di qualità.<br />

Si parla di “vero spirito dell’Istituto” (133, 175, 279), “vera<br />

umiltà” (69, 108), “pietà vera” (123). Solo due volte, nelle Costituzioni,<br />

appare l’appellativo “figli di Maria”, che darà il nome<br />

alla Congregazione; ambedue le volte è preceduto dall’aggettivo<br />

“vero”: “veri figli di Maria” (104, 266). Il Superiore amerà i suoi<br />

Religiosi “da vero padre” (213), il Vicerettore “procederà sempre<br />

con vero spirito di discrezione e di evangelica carità” (232). Altre<br />

citazioni: 25 (“vera vocazione”), 72 (“vera sorgente” [dello spirito<br />

dell’Istituto], 99 (“vera necessità”), 210 (“vero bisogno”).<br />

2) La “qualità” di una persona risulta dall’equilibrio armonico<br />

tra le diverse componenti della sua personalità. Tale equilibrio lo<br />

si nota nel Pavoni anche attraverso le testimonianze dei testi, in<br />

occasione dei Processi canonici, i quali frequentemente ricorrono<br />

alle ‘antinomie’ che, unendo attributi apparentemente contrapposti<br />

ma in realtà complementari, ne evidenziano l’equilibrio. Solo<br />

qualche esempio. «Mirabile amabilità e serietà assieme» (LPV<br />

454r); «Umile e dignitoso, benigno e forte» (LPV 354v); «[Amore<br />

e zelo] non meno ardente che saggio e illuminato» (LPV 793v);<br />

«Perseverante nel bene quanto ardente nell’intraprenderlo» (LPV<br />

800r); «Era uomo avveduto insieme e semplice» (LPV 267r)… E<br />

nelle CP dice come vuole i suoi Religiosi: «[I maestri] si faranno<br />

salutarmente temere e rispettosamente amare» (257); «Non esigano<br />

troppo ma non si mostrino deboli» (258); «Vestire un’aria contemperata<br />

di dolcezza e di gravità» (135); «Si attenderà al travaglio<br />

con tranquilla sollecitudine» (118).<br />

32


3. lodovico Pavoni iniziatore di opere di qualità<br />

P. Aurelio Gallina ha implicitamente trattato il tema della nostra<br />

riflessione in un bel articolo 31 che fin dal titolo definisce con due<br />

parole Lodovico Pavoni: Umile pioniere. L’aggettivo umile qualifica<br />

il suo comportamento 32 , il sostantivo pioniere allude alla sua<br />

genialità o, se vogliamo, alla sua “qualità”, che si esprime attraverso<br />

le opere da lui create: l’opera rivela l’artefice 33 .<br />

Il Pavoni è poco conosciuto sia nella storia della Chiesa sia nella<br />

cosiddetta opinione pubblica 34 . Le sue realizzazioni, infatti, non<br />

furono mai molto vistose per estensione geografica o per imponenza<br />

quantitativa.<br />

31 Pubblicato in ee.VR., Il Beato Lodovico Pavoni e la sua opera a Brescia, Congregazione<br />

FMI, [Milano] 2003, pp. 134-139. È apparso anche su L’Osservatore Romano, in<br />

occasione della Beatificazione.<br />

32 L’umiltà, che dal Pavoni è presentata come “caratteristica” dei suoi Religiosi (CP<br />

24), fu elogiata da molti testimoni dei Processi. E si comprende. Forse, però, è meno<br />

scontato il rilievo che danno a questa virtù personaggi e documenti di ben diversa estrazione<br />

e cultura: un Delegato imperiale, un Governatore, un Capo della Polizia. Breinl<br />

scrive: «Questo eccellente sacerdote … umilmente si tira in disparte dove altri esigentemente<br />

fanno valere le proprie benemerenze»; Spaur: «[Pavoni] riunisce in sé il massimo<br />

successo della prestazione con una solida modestia della persona». Torresani: «Sebbene<br />

egli non ambisca onori e notoriamente si sappia che contento del proprio stato preferisca<br />

vivere nel suo Istituto con tutta umiltà e frugalità…». Il Viceré, spedendo a Vienna<br />

la documentazione per richiedere che venga concessa al Pavoni una onorificenza, l’accompagna<br />

con una lettera personale dell’8 dicembre 1843, in cui si dice:«Il Pavoni è un<br />

degno sacerdote, estremamente semplice … che divide il pasto frugale con i suoi alunni<br />

e continua ad imporsi ogni privazione per il mantenimento del suo Istituto» (PEM p.<br />

133, n. 423). Non solo Pavoni volle lavorare per i poveri; scelse di vivere come loro e con<br />

loro. Questa è la vera “incarnazione” che sta alla base dell’efficacia apostolica. Meraviglia<br />

questo “vivere con loro”. Lo nota argutamente Manzoni: «Il marchese fece loro una<br />

gran festa, li condusse in un bel tinello, mise a tavola gli sposi, con Agnese e con la mercantessa;<br />

e prima di ritirarsi a pranzare altrove con don Abbondio, volle star lì un poco<br />

a far compagnia agl’invitati, e aiutò anzi a servirli. A nessuno verrà, spero, in testa di dire<br />

che sarebbe stata cosa piú semplice fare addirittura una tavola sola. Ve l’ho dato per<br />

un brav’uomo, ma non per un originale, come si direbbe ora; v’ho detto ch’era umile,<br />

non già che fosse un portento d’umiltà. N’aveva quanta ne bisognava per mettersi al di<br />

sotto di quella buona gente, ma non per istar loro in pari (I Promessi sposi, cap.<br />

XXXVIII).<br />

33 Le pagine che seguono si ispirano e riprendono in parte il citato articolo di p. Gallina.<br />

34 È molto più noto invece fra gli studiosi di storia della pedagogia, dell’editoria ot-<br />

tocentesca e della vita religiosa.<br />

33


Egli si distingue per le sue qualità di precursore e di innovatore.<br />

Il genio umano e religioso del Pavoni non sta quindi nella vastità<br />

delle risonanze suscitate nella cronaca – che nei suoi riguardi è<br />

molto scarna – ma nell’umile pionierismo che apre esemplarmente<br />

le vie a nuovi corsi della storia. Proprio questo “umile pionierismo”<br />

è testimone dell’originalità e della validità delle sue scelte, che<br />

legittimamente si possono definire “di qualità”.<br />

Mi limito a presentare tre ambiti nei quali questo “pionierismo<br />

qualitativo” appare più evidente: il suo Istituto; il lavoro; la Congregazione.<br />

A. L’Istituto di san Barnaba<br />

Lodovico Pavoni sviluppò nell’Istituto di san Barnaba il suo<br />

«metodo educativo, che lo pone all’avanguardia degli Educatori<br />

più illuminati dell’800; organizzò un modello di istruzione e di avviamento<br />

al lavoro che prelude alle moderne scuole professionali;<br />

diede inizio ad un’eccezionale attività tipografica ed editoriale,<br />

precorrendo l’apostolato attuale dei mezzi della comunicazione<br />

sociale; introdusse nel mondo del lavoro sapienti riforme di assoluta<br />

novità, anticipando di mezzo secolo la dottrina sociale della<br />

“Rerum Novarum”; infine fondò la Congregazione religiosa dei<br />

Figli di Maria Immacolata…». Già in questa bella presentazione,<br />

stesa da p. Gallina, estremamente sintetica, è facile individuare<br />

elementi di “qualità” nell’opera di Lodovico Pavoni.<br />

C’è poi un importantissimo documento, il “Rapporto della<br />

Cancelleria unita di Corte” del 29 Aprile 1844, indirizzato all’Imperatore,<br />

in cui si dice: «Tra le molte istituzioni di pubblica utilità<br />

che la generosità di molti privati ha fondato di tanto in tanto e<br />

continua a fondare nel Regno Lombardo-Veneto, l’Istituto S. Barnaba<br />

di Brescia mantiene una posizione di grande preminenza per le<br />

proporzioni e l’espandersi della sua efficacia» 35 .<br />

Cercheremo di mettere in luce due aspetti, forse secondari ma<br />

significativi, che “qualificano” il suo progetto educativo: il metodo<br />

e l’attenzione alla struttura, ambedue ritenuti necessari dal Pavoni.<br />

34<br />

35 PEM, p, 134, n. 424.


1) Se volessimo definire con una sola parola Lodovico Pavoni,<br />

penso che dovremmo dire che è “educatore”.<br />

* Dell’educatore ha la stoffa, educatore si sente 36 , come educatore<br />

coerente è ammirato e ricordato 37 , nel vivere «fino alla fine»,<br />

questa sua scelta di vita ispirata dall’Alto c’è il segreto della sua<br />

santità 38 .<br />

Non si è accontentato di stendere un progetto educativo, ma lo<br />

ha realizzato a san Barnaba. Di questo è cosciente, per cui, prevedendo<br />

che la sua Congregazione si sarebbe sviluppata, chiede che<br />

gli Istituti che sorgeranno «dovranno tutti essere sistemati sulle<br />

36 Frequentemente dirà di sentirsi il “responsabile” dei suoi giovani. Ad esempio:<br />

scrive al Guccini il 20 dicembre 1845: «Metti il tuo cuore in pace; i tuoi cari figliuoli sono<br />

a me pure carissimi, e della loro innocenza ne sono io responsabile prima d’ogn’altro».<br />

C’è poi una circostanza provvidenziale: la carenza educativa nell’officina di don<br />

Barchi, per cui Pavoni ritira i suoi giovani e inizia la “sua” tipografia.<br />

37 Possiamo aggiungere che il suo essere educatore fu vissuto dal Pavoni con la massima<br />

coerenza.<br />

Riporto tre fatti che mi sembrano significativi. Nel 1842 scrive al Card. Mai: «L’I.<br />

R° Governo... continua a stimolarmi d’implorare che [l’Istituto di S. Barnaba] sia dichiarato<br />

Istituto pubblico» (RU II 227). Già il 20 ottobre 1833 aveva chiesto all’Imperatore<br />

che la chiesa di S. Barnaba «venisse definitivamente dichiarata Chiesa di questo pio Istituto»<br />

(RU II 57). La risposta venne il 12 luglio dell’anno seguente: «L’I. R. Governo...<br />

si riserva di prendere in considerazione la domanda... quando... l’Istituto... venga definitivamente...<br />

riconosciuto come pubblico» (RU II 60). Il Pavoni preferì rinunciare alla chiesa<br />

e alle sovvenzioni governative, pur di garantirsi la libertà nelle scelte educative, che<br />

avrebbe potuto essere compromessa se l’Istituto fosse diventato pubblico.<br />

Giuseppe Losio ricorda che «essendogli state offerte [al Pavoni] delle beneficiate in<br />

teatro per sovvenire alle ristrettezze del suo Istituto, egli sempre le rifiutò, non volendo<br />

ricorrere a una forma di beneficenza che egli condannava» (LPV 318r).<br />

È facile immaginare la necessità che Pavoni avesse di bravi operai nelle sue officine,<br />

anche perché dovevano insegnare il mestiere ai ragazzi. Ma anche in questo caso, va rispettata<br />

la gerarchia dei valori: «Se si avessero ad ammettere Maestri mercenarj» si insista<br />

sulle loro «qualità segnatamente morali, non lasciandosi abbagliare dalla sola abilità<br />

nel lavoro ancorchè straordinaria» (CP 20).<br />

Le scelte del Pavoni sono sempre subordinate ai valori, non al vantaggio.<br />

38 Seguendo san Tommaso, la teologia spirituale afferma che la santità consiste “primo<br />

et essentialiter” nella carità. Al riguardo, c’è una bella riflessione dello Zambelli, inserita<br />

in un contesto che presenta il Pavoni educatore: «Siffatta carità così piena e sovrabbondante,<br />

così inalterabile, così imperturbata nelle contrarietà e negli ostacoli, così<br />

piena di patimenti e di sacrifizi, comprende in sè l’esercizio d’ogni virtù e costituisce la<br />

santità più raccomandata ai cristiani, perché n’è principio l’amor di Dio, dal quale solamente<br />

le vengono quegli eccitamenti sì vivi, que’ motivi sì puri, e quelle forze e quella<br />

perseveranza instancabile che qualificarono tutta la vita del nostro Pavoni» (LPV 800v).<br />

In queste poche righe mi pare che venga tracciato l’alto profilo della santità di Lodovico<br />

Pavoni, che la Chiesa ha riconosciuto essere stata da lui praticata in grado eroico.<br />

35


asi del Regolamento a stampa con cui si dirige il già stabilito in s.<br />

Barnaba di Brescia» 39 .<br />

Non è certo possibile, in questa sede, presentare adeguatamente<br />

tale progetto nel suo contenuto e nella sua originalità, che ne metterebbero<br />

in luce la “qualità” 40 . Rimando ad alcuni fra i numerosi<br />

studi già apparsi e accessibili, quindi di facile e proficua consultazione<br />

41 . In ordine di tempo, gli ultimi, pregevoli, sono: Il progetto<br />

educativo pavoniano della Provincia italiana (luglio 2010) e la Tesi<br />

di laurea di p. Dario Dall’Era: Oltre la “Scholé” – Il valore educativo<br />

del lavoro (Anno accademico 2010-2011).<br />

** È “qualità” anche l’amorevole attenzione, veramente paterna,<br />

che Pavoni aveva nei riguardi dei suoi ragazzi, ai quali intendeva<br />

dare tutto quanto fosse possibile, ritenendo loro diritto non<br />

essere privati da nulla di quanto un povero potesse desiderare.<br />

Bella, al riguardo, la testimonianza di p. Baldini: «[Essi dovevano]<br />

trovare nell’Istituto … tutto ciò che un povero vi poteva ricevere<br />

e godere» 42 .<br />

2) Qui ci limitiamo ad alcuni cenni che, globalmente presi, aiutano<br />

a comprendere come per il Pavoni contava “quanto” si faceva,<br />

ma più ancora “come” si faceva: mentre il primo è nell’ordine della<br />

quantità, il “come” allude alla qualità.<br />

Concretamente ci soffermeremo su due particolarità da lui<br />

ritenute importanti e attuate con tenacia: un metodo ben preciso<br />

39 CP 122.<br />

40 Un solo rilievo, che sottolinea la dimensione sociale dell’educazione. Secondo il<br />

Pavoni l’educazione, quando è vera educazione, non deve limitarsi a formare una determinata<br />

persona, dev’essere tale per cui chi è stato educato possa, a sua volta diventare<br />

educatore. È quanto viene detto nel Decreto di erezione canonica steso da Mons. F. Luchi<br />

l’11 agosto 1847 (ma sicuramente concordato col Pavoni): «un Istituto, dove i giovinetti<br />

… coi principi della cristiana religione e della pietà s’informassero, e nelle Volgari<br />

Arti s’instruissero per modo che all’uscirne potessero anch’essi ugualmente i propri e gli<br />

altrui figliuoli istruire ed educare». Da notare che questa frase viene ripresa nel Decreto<br />

per l’approvazione pontificia della Congregazione, del 24 settembre 1892.<br />

41 Si veda la Bibliografia pavoniana (1945-2010) pubblicata sul Bollettino interno,<br />

2-2011 (luglio-dicembre), pp. 78-113.<br />

42 LPV 632r. Quindi non solo quanto è indispensabile per vivere o sopravvivere, ma<br />

anche ciò che può rendere lieta la vita. Analoga affermazione troviamo in una Circolare<br />

del 1846 indirizzata ai Vicari foranei riguardo i sordomuti: «Potrà assicurare i Genitori<br />

che nella sua condizione di povero nulla gli mancherà» (RU II 283).<br />

36


e l’impegno perché anche le strutture (comprese quelle murarie)<br />

favoriscano l’intervento educativo.<br />

* Lodovico Pavoni, cosciente della novità e dell’attualità 43 della<br />

sua opera, si preoccupa di proporre un “metodo” che da tutti accettato<br />

serva a raggiungere lo scopo che si prefigge.<br />

Il “metodo” per Pavoni, è importante 44 e lo afferma chiaramente<br />

scrivendo ai suoi «Alunni Coadjutori [collaboratori]» ai<br />

quali presenta il Regolamento dell’Istituto (1831). Ecco le sue<br />

parole: «Per quanto fossimo conformi di sentimento [a livello di<br />

idee] non potremmo riuscire nell’impresa senza essere pienamente<br />

concordi nel metodo di educazione [a livello operativo]. Io qui vi<br />

espongo il Regolamento riordinato sull’esperienza di vari anni pel<br />

buon governo di questa pia casa, affinchè vi occupiate a studiarne<br />

il complesso sistema 45 e in particolare le incombenze de’ vari uffici<br />

in cui potreste essere occupati, onde abilitarvi a tutto disimpegnare<br />

con metodo e regolarità» 46 . Sono parole limpide che non ammettono<br />

interpretazioni ambigue.<br />

Già dieci anni prima, in una lettera indirizzata a don Barchi il<br />

22 maggio 1821, il Pavoni esige che il sacerdote nella sua tipografia<br />

43 La novità dell’ Istituto consiste nello scopo specifico e dichiarato: la promozione<br />

sul piano umano e specificamente professionale e l’inserimento positivo nella vita sociale.<br />

Fin dal 1825 scriveva all’Imperatore Francesco I° dichiarando che si proponeva,<br />

col suo «Istituto o Collegio d’Arti» [già la terminologia è nuova], sorto a favore dei più<br />

abbandonati, di «formarli insieme cari alla Religione, utili alla Società ed allo Stato» (4<br />

luglio 1825, in RU II 90). Sotto un altro aspetto possiamo dire che la “novità” dell’Istituto<br />

pavoniano consiste nell’unificare in una sola istituzione tre aspetti che normalmente<br />

erano disgiunti: è assistenziale: offre una casa (come le Case d’Industria), educativo:<br />

offre una famiglia (come i Collegi) e professionale: offre un lavoro (come le officine artigianali).<br />

«La vera novità nell’ambito istitutivo bresciano che apportò l’Istituto di san Barnaba<br />

fu quella di unire l’aspetto assistenziale e l’aspetto educativo-formativo, di considerarne<br />

la reciprocità, un requisito fondamentale» (R. Cen tù, in LPT, 132).<br />

44 Anche un metodo personale (oggi chiamato progetto personale) è importante e Pavoni<br />

lo esige dal Guccini durante la sua permanenza a Milano (Lettere a Domenico Guccini,<br />

Àncora, Milano 1984, 21,1-2; 37,12).<br />

45 Giustamente si parla di “sistema” perché un Regolamento non è un succedersi di<br />

numeri indipendenti fra di loro, ma è un insieme di norme collegate e complementari<br />

che esprimono e applicano i principi e i valori cui si ispirano. Pavoni, nelle sue lettere,<br />

parla più volte di “Sistema di educazione”, scrivendo all’I. R. Delegato (16 marzo 1822<br />

e 21 luglio 1829), al Municipio di Brescia (10 febbraio 1833) e al Papa (28 dicembre<br />

1846).<br />

46 RU I 43.<br />

37


(che aveva aperto a san Barnaba) provveda davvero 47 (e non solo<br />

a parole) al «benessere spirituale» dei giovani che provenivano<br />

dall’Oratorio del Pavoni, «dipendendo tutto da un metodo esatto<br />

di vita comune sotto regolare disciplina»; altrimenti «richiamo i<br />

miei giovani, de’ quali sono responsabile, e penserò ad impiegarli<br />

altrimenti» 48 . Così nasce la tipografia del Pavoni.<br />

Il Pavoni non tollera l’improvvisazione o il pressapochismo:<br />

vuole che tutto sia programmato non in astratto, ma come frutto<br />

di maturo discernimento, partendo da una prolungata esperienza.<br />

Il “Regolamento”, quindi, dell’Oratorio o dell’Istituto, non è<br />

tanto un insieme di norme, quanto un “metodo”, ossia una traccia<br />

che si basa su valori ben definiti, che va accolto da tutti e da tutti<br />

fedelmente seguito, quando si tratta di un intervento educativo.<br />

Ordine, precisione, esattezza 49 – che derivano da un metodo<br />

collaudato – sono un necessario prerequisito per una proposta<br />

educativa seria ed efficace, “di qualità”. Anche in questo emerge,<br />

una volta ancora, la ricca personalità del Pavoni «che ha fatto le<br />

sue scelte di vita con chiarezza di spirito, con passione e sensibilità<br />

… e le ha vissute con un’intensità interiore pari al caldo senso di<br />

umanità … A questa personalità era però indispensabile far parte<br />

d’una provata struttura, ben delineata e capace di offrire solidi<br />

punti di riferimento, per esprimere al meglio tutto se stesso» 50 .<br />

** Pavoni – che aveva iniziato la sua attività a san Barnaba in<br />

un «piccolo tugurio» 51 – manifesta la sua passione educativa anche<br />

nell’offrire materialmente ai suoi ragazzi una casa il più possibile<br />

accogliente, e lo fa nel modo che gli è proprio, ossia con «quel<br />

47 Il sacerdote imprenditore aveva preparato un bel Regolamento, in cui aveva<br />

espresso molto bene una “dichiarazione d’intenti” che, però, era rimasta sulla carta.<br />

48 RU II 127.<br />

49 È una qualità che il Pavoni richiede con più insistenza. «Si attenderà» al lavoro<br />

«con tutta [un altro rafforzativo!] esattezza» (CP 118); «condurre anche queste opere di<br />

carità con esattezza, ed a norma dei Regolamenti» (CP 130); «Si raccomanda … la vigilanza<br />

sui cucinieri, perché serbino grande polizia ed esattezza» (CP 231); il Viceréttore<br />

dovrà «essere informato con esattezza d’ogni cosa riguardante gli alunni» (CP 238); «Il<br />

Vice-Segretario … avrà per impegno speciale sorvegliare … affinchè si proceda con la<br />

massima esattezza» (RO 66); I Sacristani «riposti con esattezza gli arredi…» (RO 104);<br />

«Ne’ giorni festivi l’esattezza e l’impegno di ognuno dev’essere sommo…» (RI 35).<br />

50 neen n e LeeerB Ro ssi, Analisi grafologica di Padre Lodovico Pavoni, In LPT, p.<br />

261. 51 Sono parole sue, in RU II 156.<br />

38


modo d’intraprender le cose piuttosto alla grande 52 , badando al<br />

fine più che ai mezzi, che il santo uomo affidava sempre alla divina<br />

Provvidenza» 53 , suscitando la meraviglia e l’ammirazione 54 di persone<br />

qualificate, con una vasta competenza ed esperienza nel settore.<br />

– L’Abate Gaetano Giudici scrive al Pavoni: «Tra le cose e le<br />

persone ch’io ricordo con piacere di aver conosciute a Brescia,<br />

certamente lo Stabilimento e la degna persona del Sig. Canonico<br />

Pavoni mi hanno fatta e lasciata la più viva e grata impressione;<br />

poiché il vedere da vicino come l’intelligenza, la carità, lo zelo di un<br />

Sacerdote abbia potuto divisare tal modo di educazione cristiana<br />

e socievole … non ha potuto non commuovermi» 55 .<br />

– L’I. R. Delegato Provinciale, Karl Breinl, così scrive al Viceré<br />

56 : «I locali vennero in gran parte trasformati in modo adatto agli<br />

scopi e i dormitori in particolare, si presentano eccellentemente: in<br />

essi vi sono più di 60 ragazzi in scomparti completamente separati.<br />

Non ho mai visto in nessun altro Istituto tale arredamento che offre<br />

le più positive conseguenze per la moralità, e in rapporto con la<br />

pulizia degli educandi stimola una emulazione molto costruttiva<br />

per la loro salute e per l’amore all’ordine».<br />

– Il Capo della Polizia, Carlo Torresani, scrivendo al Governatore<br />

Spaur il 31 gennaio 1844, dirà: «Insomma il detto Istituto è<br />

riguardato siccome uno che potrebbe servire di modello a qualunque<br />

altra pia istituzione» 57 .<br />

Le due frasi da me scritte in corsivo equivalgono, senza alcuna<br />

forzatura, a una affermazione esplicita di “qualità”.<br />

52 Questa caratteristica pavoniana è confermata anche dallo Zambelli, il quale parlando<br />

dell’Istituto dice che «denota in chi la intraprese [questa istituzione] ampiezza e<br />

generosità di concetti» (LPV 793v).<br />

53 Belein i, in LPV 633v.<br />

54 Lo Scandella ritiene che chiunque, «osservata minutamente la disposizione e i lavori<br />

delle officine, i vari scompartimenti dell’edificio proporzionati al fine di ciascheduno,<br />

tutto disegno di lui medesimo, e informatosi dell’ordine e della disciplina che regolava<br />

quella famiglia di artieri [artigiani] se ne partiva ammirando e benedicendo lo zelo<br />

del fondatore» (LPV 786v-787r).<br />

55 Lettera del 24 febbraio 1840, in RU II 174.<br />

56 Lettera del 22 aprile 1843 in RU II 160 (nuova versione dal tedesco). Lo stesso Delegato,<br />

il 28 febbraio1845 assicura: «… l’Istituto suddetto, la cui utilità è fuori di ogni<br />

controversia e trovasi dimostrata da prove luminosissime di fatto» (RU II 188).<br />

57 RU II 165.<br />

39


B. Il lavoro<br />

Sebbene il “fare” sia costitutivo dell’attività artigianale, tuttavia<br />

il “prodotto” che si vuole ottenere, se così si può dire, non è primariamente<br />

l’oggetto su cui si lavora, ma colui che lavora l’oggetto,<br />

l’operaio, specialmente se giovane, perché il lavoro, secondo il<br />

Pavoni, ha come finalità prioritaria di essere un mezzo educativo<br />

per i suoi ragazzi 58 e costitutivo dello spirito pavoniano per i suoi<br />

Religiosi.<br />

1) Il lavoro nel metodo educativo pavoniano<br />

L’Istituto di S. Barnaba è un «Collegio d’arti» e questa sua caratteristica,<br />

decisamente e più volte affermata dal Pavoni, esige che<br />

il lavoro che ivi si apprende e si esercita tenga presente i principi<br />

di una sana pedagogia del lavoro.<br />

– Anzitutto il lavoro è rapportato alla persona e come tale deve<br />

essere adeguato al talento (attitudini) e alle capacità dei ragazzi, alla<br />

loro condizione e inclinazioni, «per applicarli a quell’arte a cui si<br />

credessero meglio adattati o dove spiegassero più genio per potesse<br />

più facilmente riuscire» 59 . Proprio perché rapportato alla persona,<br />

il lavoro è anzitutto a vantaggio del ragazzo che lo svolge e deve<br />

servire a farlo «progredire nelle cognizioni dell’arte» che professa 60 .<br />

Con questo progredire mi pare si voglia insistere su una dinamica<br />

che consista nell’arricchimento di cognizioni, abilità, sicurezze.<br />

58 Questo aspetto, importantissimo per il Pavoni, è da lui espresso presentando<br />

il famoso “torchio” preparato dalle officine di san Barnaba, che otterrà<br />

la menzione onorevole: «Avendo i Giovani artisti di questo pio Istituto condotto<br />

a termine un Torchio tipografico [che] … è commendevole per la dilicatezza,<br />

e precisione d’ogni sua parte, e per tutto quello che può raccomandare nell’uso<br />

tali macchine [È quindi un lavoro di “qualità”]. Tornando degno della<br />

pubblica approvazione, servirà d’incoraggiamento, e di stimolo a questi Alunni,<br />

tale è appunto il motivo che mi determina ad assecondarli nel loro desiderio…»<br />

(12 agosto 1832, inedito). Il motivo che spinge il Pavoni non è vincere<br />

un premio, ma che quella partecipazione sia d’incoraggiamento e di stimolo ai<br />

suoi alunni.<br />

59 CP 124. Si tratta di un vero orientamento professionale, anche se attuato con metodi<br />

prescientifici. Si veda: t. Lo meerei, Lodovico Pavoni Educatore ed Orientatore professionale,<br />

in BI 1981, 2, pp. 137-151.<br />

60 Regolamento dell’Istituto [citato RI], 6.<br />

40


– La “regola d’oro” per assicurare al lavoro questa finalità<br />

educa tiva è quella che il Pavoni suggerisce ai maestri: «Li renderanno<br />

[gli alunni] amici del lavoro, e li accostumeranno ad operare<br />

più per amore che per timore» 61 .<br />

Naturalmente non può essere un lavoro qualsiasi, ma deve essere<br />

qualificato 62 , serio 63 , diligente 64 .<br />

– Per ottenere questi risultati il Pavoni non esita anche ad affrontare<br />

sacrifici, preparando i suoi alunni e a tale scopo è disposto<br />

a inviarli a Milano, a Trento e perfino a Roma 65 . Anche questa è<br />

scelta di “qualità”.<br />

– Altra significativa scelta di “qualità”: le officine, in particolare<br />

la Tipografia. Per comprendere la rilevanza di queste scelte è<br />

opportuno fare un raffronto con le attività lavorative svolte dagli<br />

Orfani della Misericordia, l’istituzione più simile a quella del Pavoni:<br />

«Gli alunni teneri si esercitano a far nestole, ossia cordelle<br />

di stoffa, e filo. Gli alunni provetti nell’arte di tesser tele d’ogni<br />

sorta .. l’arte del calzolaio e l’arte del sarto» 66 . L’importanza della<br />

tessitura era motivata economicamente e commercialmente, dato<br />

che il prodotto poteva essere venduto facilmente e a prezzo concorrenziale;<br />

non è un “arte”, ma un mestiere.<br />

Il Pavoni fa la scelta più dispendiosa per attrezzature (e non aveva<br />

grossi capitali), più rischiosa (difficoltà per ottenere la Patente 67 ;<br />

pericolo di fraintendimento e di concorrenza dura; incertezza di un<br />

61 CP 258.<br />

62 I Maestri si preoccupino della «qualità dei lavorieri [lavori]» (RI 6) «e le commissioni<br />

sieno eseguite con soddisfazione de’ committenti... riguardo alla qualità dei lavori»<br />

(CP 262), «con tutta la maestria, e possibile perfezione» (RU II 176). Fra le diverse testimonianze,<br />

riporto quella dell’Abbadessa delle Clarisse di Lovere: «Sono soddisfattissima<br />

de’ due Giovani artisti, ch’Ella favorì destinarci, come neppur cadevami dubbio, per<br />

essere allievi di codesto Pio Istituto, sotto la saggia ed oculata di Lei direzione. Così non<br />

potrei essere meglio appagata anche riguardo all’opera, veramente eseguita con tutta<br />

quella perizia, che si possa desiderare» (8 luglio 1845, in RU III 254).<br />

63 Da parte dei Maestri e degli allievi. A questi si richiede assiduità (RI 6), pron tezza<br />

ad iniziare il lavoro (RI 69), presenza continua (RI 37 e 69) e disponibilità generosa, «anche<br />

in tempo di ricreazione... senza ritrosia» (RI 40).<br />

64 RI 70.<br />

65 Afra Amus depone ai Processi: «… mandò a Roma il mio povero papà, il quale vi<br />

rimase per circa sei mesi a spese dell’Istituto» (LPV 306r).<br />

66 LPT 148.<br />

67 Occorreranno dieci anni.<br />

41


lavoro continuo e finanziariamente rimunerativo), più innovativa<br />

(nessun altro Istituto assistenziale aveva tale officina), più difficile<br />

(si assume una responsabilità per la quale non è personalmente<br />

preparato); al tempo stesso, però, è la scelta più utile, più vantaggiosa,<br />

più illuminata per i suoi ragazzi, che vuole non semplici<br />

manovali, ma operai e artigiani qualificati. Diventerà la sua scelta,<br />

una difficile scelta di “qualità”.<br />

2) Il lavoro nella vita del religioso pavoniano<br />

Si può leggere il n. 8 della RV, con relativo commento, che qui<br />

viene sostanzialmente ripreso.<br />

– È importante notare dove il Pavoni colloca il capitoletto sul<br />

lavoro, nell’insieme organico delle sue Costituzioni. Lo mette nella<br />

IV a parte, che tratta dei «Mezzi per la perfezione religiosa».<br />

– Il primo numero (116) è il più importante. Il lavoro è presentato<br />

nella sua duplice valenza: come mezzo normale di sostentamento<br />

delle opere e nel suo valore teologico, in quanto imitazione<br />

di Cristo e dell’apostolo Paolo.<br />

Nella seconda parte del numero si accenna ad alcune caratteristiche<br />

del lavoro “pavoniano”:<br />

è un lavoro impegnato («con tutta lena») 68 ; è un lavoro geniale<br />

e creativo («con tutta l’industria») 69 ;<br />

è un lavoro qualificato («rendersi abili a sostenere... anche il<br />

carico di maestri»): non ci si può accontentare d’una manovalanza<br />

ripetitiva!<br />

Questo tipo di lavoro è talmente importante per un pavoniano<br />

che diventa qualificante: «mancando a ciò, si mancherebbe allo spirito<br />

dell’Istituto; e trascurando, si tradirebbe la propria vocazione».<br />

– Il n. 117 aggiunge un’altra caratteristica: deve essere un lavoro<br />

motivato dal «fine santissimo».<br />

68 Questa espressione doveva essere cara al Pavoni se, scrivendo al Guccini, gli raccomandava:<br />

«Non perdere la lena per le tue occupazioni» (37,3); e poco più avanti: «di<br />

questo non temo sentendo che vi attendi toto homine ... » (37,4). «Lena», per il Pavoni,<br />

equivale a «toto homine», ossia a totalità d’impegno. Nelle lettere al Guccini il termine<br />

è usato sei volte.<br />

69 Si noti l’efficacia del rafforzativo “tutta”: «con tutta lena», «con tutta l’indu stria».<br />

Più avanti, al n. 118, si dirà: «con tutta esattezza». È un’insistenza voluta, anche perché<br />

le citazioni ricordate sono tutte originali del Pavoni.<br />

42


– Al n. 118 potremmo scorgere un’ulteriore caratteristica del<br />

lavoro: sia sublimato da una abituale offerta a Dio; offerta che non<br />

si limita alle fatiche «a cui [il religioso] sta per dedicarsi», ma che<br />

comprende tutta la persona («se stesso»).<br />

– A questo punto è doveroso accennare all’ascetica del lavoro,<br />

ossia al lavoro visto come mezzo di ascesi personale 70 . In CP 103 si<br />

dice chiaramente che «in questa nostra Congregazione non si prescrivono<br />

digiuni, o penitenze corporali», e subito spiega perché:<br />

«avuto riguardo alla vita laboriosa, e continuamente attiva che vi<br />

si esercita». Ecco allora che il lavoro è la penitenza del pavoniano.<br />

Sempre in questa linea, il nostro Fondatore vuole che la mortificazione<br />

(altra forma classica di ascesi) consista «nella generosa<br />

annegazione della propria volontà» 71 e quando parla del lavoro<br />

richiede che lo si accetti «senza lamento, e più allegramente se fosse<br />

contrario al proprio genio» (CP 118): il lavoro è qui indicato come<br />

una possibile ed efficace forma di mortificazione per il pavoniano.<br />

– Forse non è arbitrario affermare che il lavoro fa parte del<br />

carisma pavoniano; è sicuramente, così come viene proposto dalle<br />

CP, uno dei punti caratterizzanti lo spirito pavoniano. In ogni caso,<br />

sicuramente, il lavoro richiesto è un lavoro di “qualità” per quello<br />

che è 72 , per come si vive 73 , per quanto produce 74 .<br />

C. La Congregazione pavoniana<br />

Riguardo alla Congregazione, viene presentata dal Pavoni in una<br />

lettera al Consigliere Giudici con una quadruplice caratteristica:<br />

novità, utilità, attualità, dono della Provvidenza: «L’Istituzione,<br />

a dir vero, sarebbe nuova, ma non men utile all’educazione degli<br />

indigenti di tant’altre religiose Corporazioni … e chi sa che non<br />

70 Nel secolo XIX tra i valori ascetici primeggia quello classico del digiuno e della penitenza.<br />

71 CP 104. v. anche RF 30; CP 24, 70, 77, 113, 182, 211, 274, 276.<br />

72 Valorizzazione e sviluppo della persona, apprendimento di valori come l’impegno,<br />

l’amore alla fatica, la preparazione del proprio futuro per i ragazzi; dono di sé, collaborazione<br />

per il bene di tutti per il Religioso.<br />

73 Apprendimento di uno stile di vita qualificato, serio, diligente, per i ragazzi; comportamento<br />

impegnato, geniale e creativo, qualificato e qualificante per il Religioso.<br />

74 Vita dignitosa e sicura, contributo al bene comune per i ragazzi; espressione dello<br />

spirito pavoniano, penitenza e mortificazione, mezzo di santificazione per il Religioso.<br />

43


sia questa una disposizione di Provvidenza riservata al bisogno ed<br />

alle circostanze dei nostri giorni?» 75 . Il Pavoni collega l’ispirazione<br />

divina (Provvidenza) e il bisogno dei tempi (segni dei tempi) come<br />

elementi che costituiscono la sua vocazione di educatore e di<br />

fondatore.<br />

La Congregazione pavoniana «apparve così nuova e audace (i<br />

“frati operai”) 76 da lasciare a lungo perplesse autorità civili e religiose,<br />

che solo dopo oltre un decennio di pratiche estenuanti le<br />

diedero il riconoscimento ufficiale». Osserva giustamente p. Sicari:<br />

«In un tempo in cui si preferiva sopprimere gli istituti religiosi,<br />

Pavoni si trovò a inventarne uno nuovo e con modalità inedite,<br />

scontrandosi una volta di più con la lentissima ed esasperante burocrazia<br />

austriaca (alla quale spettava la prima approvazione) e poi<br />

con quella ecclesiastica (altrettanto minuziosa) sempre alle prese<br />

con funzionari che non riuscivano a capire come egli intendesse<br />

combinare le cose, mettendo assieme preti e operai (tutti religiosi,<br />

però!), celle e laboratori, preghiere e rumore di macchine» 77 .<br />

Per l’autorità civile il progetto pavoniano non rientrava negli<br />

stretti parametri della legislazione vigente; stessa difficoltà rendeva<br />

difficile l’approvazione da parte dell’autorità ecclesiastica: era un<br />

Istituto di «chierici regolari» o aveva la struttura di un Istituto religioso<br />

«laicale»? La componente presbiterale era necessaria anche<br />

nei riguardi dell’opera educativa; a sua volta l’assistenza educativa<br />

e il magistero del lavoro assunti dai Religiosi laici, erano altrettanto<br />

necessari e non potevano essere trascurati. I “laici coadiutori” – ed<br />

è questa la novità più rilevante 78 – non offrivano solo un supporto<br />

75 6 marzo 1840, in RU II 175. Nella Relazione sull’origine… dell’aprile 1843, il Pavoni<br />

ritiene la sua «opera di Carità tanto fruttuosa, e tanto opportuna a’ tempi nostri»<br />

(RU II 158).<br />

76 Giustamente osserva p. Palazzini: «L’inversione di tendenza nel processo di clericalizzazione<br />

della vita religiosa e i nuovi rapporti con le realtà terrene e il lavoro umano,<br />

erano elementi caratteristici della nuova Congregazione: non stupisce che a quei tempi<br />

tale progetto di vita religioso-apostolica apparisse piuttosto insolito e rischioso» (in La<br />

figura, lo spirito, l’opera di Lodovico Pavoni, a cura di L. Agosti, p. 25).<br />

77 e. Sieeri, Ritratti di Santi, “Indicare nuove strade all’amore”, Beato Lodovico Pavoni,<br />

in BI 2007, 1, pp. 50-66.<br />

78 P. Baldini ricorda che «il Pavoni pensava di affidare ai Confratelli Laici l’insegnamento<br />

delle arti, creandone Maestri nelle singole officine. Ottimo pensiero che dava un<br />

carattere singolare alla Congreg[azione]» (LPV 443v). Più avanti asserisce che la Con-<br />

44


secondario e indiretto alla missione apostolica esercitata dalla<br />

classe sacerdotale; erano anch’essi, a pieno diritto, inseriti direttamente<br />

nella “missione” propria della Congregazione, per la quale<br />

i sacerdoti e i laici sono co-essenziali.<br />

Non v’è dubbio: si trattava di un progetto “qualitativamente<br />

nuovo” di vita religiosa; un progetto al quale Pavoni non poteva<br />

rinunciare e non rinunciò nonostante le difficoltà, perché era convinto<br />

che gli fosse stato «dettato dal Cielo». La storia gli ha dato<br />

ragione 79 .<br />

Conclusione<br />

Si è cercato di percorrere rapidamente la vita di Lodovico<br />

Pavoni, soffermandoci su alcuni punti che mettono in risalto una<br />

“qualità” che ha suscitato la meraviglia di chi l’ha conosciuto. Non<br />

si vuole affermare che tutto e sempre suscita questa meraviglia,<br />

ma non v’è dubbio che nei momenti più significativi (e spesso più<br />

difficili), nelle scelte più impegnative, nelle proposte più esigenti<br />

affiora quanto è per lui abituale e tale da dare un’impronta caratteristica<br />

a tutta la sua vita.<br />

La semplicità e la spontaneità, unite a una profonda coerenza,<br />

sono la testimonianza più efficace dell’autenticità di un comportamento<br />

fondato su valori umani ed evangelici mai contraddetti che<br />

hanno strutturato la sua vita.<br />

Possiamo quindi ritenere se non esaustivo almeno sufficiente<br />

quanto abbiamo potuto dire, per affermare senza forzature che<br />

davvero Lodovico Pavoni fu “uomo di qualità”.<br />

gregazione pavoniana «ha il suo compimento, che dirò caratteristico, nei Religiosi Maestri<br />

degli Artigiani» (LPV 644r).<br />

79 P. Gallina, nell’articolo citato, così si esprime:«Molte Congregazioni moderne riconoscono<br />

la priorità del Pavoni come ideatore di un diverso tipo di religioso-prete e di<br />

religioso-laico, integrati, a pari dignità di consacrazione e a complementare compito nella<br />

missione, in un nuovo tipo di Istituto apostolico che si fa carico dell’educazione totale<br />

di vasti strati di giovani poveri o dal futuro compromesso, per i quali il progetto educativo<br />

culminerà sì nella formazione religiosa, ma concedendo autonomia e ampio<br />

spazio all’attività professionale e al perseguimento dei valori umani e terrestri; un progetto<br />

educativo in cui il sacerdote e il religioso laico collaborano alla pari senza reciproche<br />

subordinazioni, come educatori della fede, come maestri d’arte e di umanità».<br />

45


46<br />

TesTiMonianZa<br />

alla FaMiglia PaVoniana<br />

Francesco Aliverti<br />

Lonigo, 12 febbraio 2012<br />

È per me particolarmente emozionante tornare dopo tanti anni<br />

in questo posto dove ho trascorso 5 anni della mia giovinezza, gli<br />

anni del liceo (ancor più lo è rivedere qualche volto di quel periodo,<br />

seppur leggermente segnato dagli anni).<br />

È stata una sorpresa, solo una settimana fa essere chiamato al<br />

telefono da p. Battista per propormi di intervenire a questo incontro:<br />

forse l’ultima volta che ci siamo incrociati è stato a Roma per<br />

la beatificazione del Pavoni.<br />

Prepararmi a questo incontro è stato per me un’occasione straordinaria<br />

di riguardare la mia vita, con più attenzione e coscienza<br />

e rendermi conto di quanta grazia ho ricevuto.


Già nelle ore e poi nei giorni successivi a quella telefonata<br />

hanno cominciato a scorrermi davanti i ricordi di 17 anni passati<br />

con i pavoniani, dentro la storia di questo piccolo, stupendo gruppo<br />

di uomini dedicati a Dio e all’educazione dei giovani.<br />

Nella mia vita tre sono stati i pilastri fondamentali della mia<br />

formazione umana e cristiana.<br />

a) Per prima la mia famiglia, dove soprattutto mio padre è stato<br />

per me un uomo per il quale era evidente quale fosse il senso di tutto<br />

quello che faceva; tutto per lui aveva un riferimento unico in Dio.<br />

b) In secondo luogo l’esperienza pavoniana dagli 11 ai 27 anni,<br />

dalle medie a Tradate, al liceo qui, poi il noviziato in Spagna, la teologia<br />

a Tradate, infine un anno a Genova. Durante questi anni il<br />

Signore ha seminato con pazienza, attraverso la persona di Lodovico<br />

Pavoni, la presenza di autentici testimoni, la convivenza con i<br />

confratelli pavoniani, l’esperienza educativa ricevuta e provata.<br />

Devo confessare che per diversi anni questa esperienza è rimasta<br />

come relegata nella memoria nostalgica di qualche momento,<br />

ma non coscientemente presente. In questi giorni dovendo preparare<br />

questa testimonianza,<br />

mi sono reso conto di come<br />

invece, in maniera decisiva,<br />

sia stata la materia<br />

prima con cui il Signore ha<br />

costruito la mia vita.<br />

Infatti, per diversi anni<br />

questo seme pavoniano è<br />

rimasto come assopito, nascosto,<br />

pur avendo scelto,<br />

una volta uscito dalla Congregazione,<br />

di andare a lavorare<br />

in una comunità per<br />

tossicodipendenti, a Cascina<br />

Verde. Ricordando<br />

adesso quegli anni iniziali,<br />

mi è evidente come fossi<br />

più mosso da una spinta di<br />

buona volontà, di genero-<br />

47


sità, ma sappiamo bene tutti per esperienza come questo non basti<br />

a reggere gli urti della vita.<br />

Ma il Signore ha continuato a costruire. Mi ha fatto incontrare<br />

Carla, che è ora mia moglie, che è sempre stato un continuo pungolo<br />

a rilanciare la nostra vita su obiettivi importanti.<br />

Poi mi sta facendo fare questa lunga esperienza a Cascina Verde<br />

(ormai sono 27 anni che ci lavoro, prima come educatore per<br />

15 anni e poi come responsabile della comunità) che è stato il<br />

modo con cui ha con pazienza educato la mia mania di onnipotenza.<br />

I primi anni è stato molto facile credersi capaci, con le proprie<br />

forze e una professionalità adeguata, di curare e guarire i tossici,<br />

perché pur essendoci diversi abbandoni e ricadute, il numero<br />

delle persone che finivano il programma e stavano poi bene era<br />

considerevole. Col tempo sono aumentati i casi di persone molto<br />

compromesse anche dal punto di vista psichico, per cui risultava<br />

molto più difficile “guarire”. C’è stato un periodo di frequenti e<br />

precoci abbandoni, con un senso alto di frustrazione, per la reale<br />

incapacità di far fronte ai bisogni delle persone in modo adeguato.<br />

A questo punto c’è stato un passaggio importante dall’idea di<br />

curare e guarire al “prendersi cura”. Il curare comunque tiene<br />

dentro un’idea di protagonismo e onnipotenza, di me come<br />

prim’attore. Il prendersi cura esprime di più un’attenzione, l’essere<br />

presente all’altro e mantenere la presenza dell’altro nella nostra<br />

vita e in questo modo si diventa più capaci di leggere le necessità<br />

dell’altro per tentare di dare delle risposte.<br />

Penso siamo d’accordo tutti che l’essenza dell’uomo sia relazione,<br />

apertura e dono: tutti valori che, solo se realizzati, fanno gustare<br />

la felicità di un’esistenza autentica. È proprio dell’uomo, quindi,<br />

prendersi cura del proprio essere e di quello altrui. Prendersi cura<br />

acquista allora il significato di rispettare, stimolare e valorizzare lo<br />

svolgersi dell’esistenza dell’altro, a partire dalla sua unicità. Questo<br />

comporta un atteggiamento attento all’altro, di accoglienza, ascolto<br />

e apertura non condizionata.<br />

Il prendersi cura, l’accoglienza di un altro non è anzitutto rispondere<br />

a un suo bisogno, ma è mettersi in relazione con lui, da<br />

persona a persona; è dire “io sono qui, sono disposto a condividere,<br />

ti abbraccio”; è cioè una presenza, il gesto di una persona<br />

presente ad un’altra persona presente.<br />

48


Questo ci ha permesso di accompagnare i nostri ospiti in percorsi<br />

di cura più adeguati alle loro reali possibilità e risorse, modellando<br />

gli obiettivi del percorso il più possibile sul singolo.<br />

c) Nel frattempo c’è stato il terzo incontro importante della mia<br />

vita.<br />

Spero di non scandalizzare nessuno, perché mi capita spesso di<br />

incontrare una certa ostilità, o almeno qualche naso storto, quando<br />

ne parlo, ma il terzo pilastro della mia formazione è stato l’incontro<br />

con l’esperienza di un altro grande educatore di giovani, morto<br />

solo 7 anni fa, il 22 febbraio del 2005.<br />

Ora capisco che non è stato un caso, perché questo nuovo incontro<br />

ha risvegliato tutta la potenzialità che già c’era nell’esperienza<br />

pavoniana, ma che si era andata assopendo, forse anche<br />

perché poco coltivata. È straordinario come si riescano a trovare<br />

forti somiglianze tra questi due maestri, pur con le differenze dovute<br />

al diverso contesto socio-culturale: tutt’e due profondamente<br />

appassionati a Cristo e perciò all’uomo, in particolare ai giovani e<br />

alla loro educazione; convinti che la fede non è qualcosa che si<br />

mette accanto alla vita o si appiccica sopra dopo, ma qualcosa che<br />

la plasma, la modella, la impasta; ambedue sostenitori del metodo<br />

persuasivo attraverso l’uso pieno della ragione, che fa appello alla<br />

libertà personale, e non della forza, la centralità della persona e<br />

della sua dignità e unicità, il valore grande dato alla cultura e al<br />

lavoro, il tutto vissuto con letizia<br />

e gioia.<br />

Parlo dell’incontro con don<br />

giussani e con l’esperienza di<br />

Comunione e liberazione, che<br />

per me è stato soprattutto l’incontro<br />

con persone vive, che<br />

vivono con intensità e profondità<br />

la loro appartenenza a Cristo<br />

e alla Chiesa, e che hanno suscitato<br />

in me lo stesso desiderio di<br />

pienezza di vita. Questo lentamente<br />

e non senza intoppi sta<br />

educando la mia persona ad<br />

aderire al vero bene.<br />

49


Riprendendo proprio il tema di questo incontro, devo dire che<br />

io per primo mi sento uno di cui Lui si è preso cura e che, pian<br />

piano, mi sta guarendo. Del resto è per me evidente che solo un io<br />

curato, salvato, guarito è capace di prendersi a cuore un altro uomo.<br />

Voglio dire che non è per uno slancio di generosità personale,<br />

per una bravura personale, ma solo per una gratitudine per il bene<br />

ricevuto, che questo bene viene moltiplicato attraverso la nostra<br />

persona.<br />

Non a caso mi viene spontaneo accostare il “prendersi cura” ad<br />

un’altra parola che è l’“accoglienza”, perché hanno delle assonanze<br />

di significato non solo lessicale, ma proprio esistenziale. Sono<br />

le parole che dicono di più, di che cosa siamo fatti e per cosa. La<br />

nostra esperienza ci dice che l’accoglienza è la relazione fondamentale<br />

di cui siamo costituiti, nel senso che ci siamo perché<br />

qualcuno ci ha pensato, voluto e accolto. La coscienza di questo<br />

è quello che permette ad uno di aprire la propria esistenza all’esistenza<br />

di un altro, diverso da sé, appunto altro da sé. Ripeto il<br />

volontarismo o la generosità non tengono alla distanza, perché<br />

hanno origine da dentro noi, che siamo dei poveri peccatori, per<br />

cui oggi ci impegniamo e domani, perché cambiano le circostanze,<br />

non ce la facciamo più. Se invece l’origine è qualcosa di più solido,<br />

tiene.<br />

Nel maggio del 1988 io e Carla ci sposiamo e questo per me, a<br />

distanza di anni capisco meglio, è stato ed è diventato decisivo e<br />

definitivo (< da “definire” = chiarito, precisato, specificato).<br />

L’anno dopo mi iscrivo alla Scuola serale per Assistente Sociale<br />

e al terzo anno faccio il tirocinio con una certa Giovanna, altro<br />

incontro decisivo. Lei lavora in ospedale a Varese e segue situazioni<br />

che necessitano di ospitalità.<br />

Mi diplomo a fine marzo del ’90, venti giorni prima della nascita<br />

del nostro primo figlio, che decidiamo di chiamare, in ricordo<br />

di un carissimo amico, morto pochi anni prima di tumore, Gabriele,<br />

‘forza di Dio’. Anche i nomi non risulteranno casuali.<br />

Quando ci siamo sposati, durante la messa di nozze, all’offertorio<br />

abbiamo portato all’altare tra le altre offerte, anche il mazzo di<br />

chiavi di casa nostra, con l’intenzione di offrirGli la nostra povera<br />

50


disponibilità all’accoglienza: desideravamo che la nostra casa e la<br />

nostra famiglia fosse aperta agli altri.<br />

Negli anni questa cosa è rimasta lì, come desiderio e qualche<br />

volta come richiesta, da parte soprattutto di Giovanna, che quando<br />

le capitava di incontrarci, aveva sempre qualcuno da sistemare.<br />

Ma l’arrivo dei tre figli e la nostra piccola casetta (70 mq su due<br />

piani) non ci permetteva gran che. E non è che accogliere tre figli<br />

in cinque anni e prima di tutto, quotidianamente, mia moglie sia<br />

stato un gioco da poco. Anzi penso proprio che questi primi dieci<br />

anni siano proprio stati un paziente lavoro di educazione della mia<br />

persona che il Signore ha insistentemente condotto.<br />

Di carattere sono abbastanza riservato, metodico e abitudinario,<br />

per cui non mi entusiasmano i casini, le troppe novità, la troppa<br />

gente attorno, eppure non mi hai mai fatto mai mancare niente di<br />

tutto questo e piano piano mi ha insegnato.<br />

Poi arriva la prima vera prova di accoglienza ed è stato un buco<br />

totale, un fallimento completo.<br />

La decisione a 27 anni di abbandonare il seminario, non è stata<br />

per niente digerita bene nella mia famiglia. Di conseguenza anche<br />

Carla non ha mai goduto di una grande accoglienza, né abbiamo<br />

avuto dei buoni rapporti con loro.<br />

Mia mamma si ammala gravemente, tanto da passare più di un<br />

anno a letto paralizzata, ed io con un sacco di scuse, raramente la<br />

vado a trovare e lascio gran parte del carico assistenziale a mia sorella.<br />

Questa malattia mi mette a disagio e per di più non siamo<br />

abituati a parlarci molto. Altro che disponibilità all’accoglienza; ma<br />

ancora non ero arrivato a capire che questa non poteva essere una<br />

capacità mia, ma solo un dono da chiedere e non sapendolo, non<br />

ho chiesto. Carla in questo è stata molto più brava. Nonostante le<br />

precedenti tensioni, va più spesso a trovarla e porta anche i figli.<br />

La morte della mamma rompe d’improvviso questa strana “routine”<br />

e mi lascia pieno di rimorsi e sensi di colpa, ma non ci cavo<br />

gran che. Oggi riesco a riconoscere che opportunità di crescere mi<br />

era stata data, ma ero incapace di sfruttarla.<br />

Pochi mesi dopo la seconda grossa prova e questa va un po’<br />

meglio. Stiamo cercando casa, perché i figli crescono e gli spazi si<br />

51


estringono. Capita che mio fratello, che viveva nella casa con mio<br />

papà, e che per motivi di lavoro era spesso via da casa, ci propone<br />

di venire a viverci insieme, così avremmo assicurato al papà, che<br />

ormai ha 88 anni e comincia ad avere qualche problema di salute,<br />

una compagnia e un’assistenza per gli anni che gli rimangono da<br />

vivere.<br />

Certo c’era da tener conto che la maggior accoglienza l’avrebbe<br />

dovuta fare lui con noi, perché da un giorno con l’altro si sarebbe<br />

trovato in casa sua una tribù di cinque persone, e i nostri figli non<br />

sono mai stati tipi “tranquilli”.<br />

È stata più dura di quello che potevamo immaginarci. Per lui<br />

soprattutto la presenza dei bambini era spesso motivo di disturbo,<br />

abituato com’era a stare ormai spesso da solo.<br />

I nostri figli Gabriele 9 anni, Daniela 7 ed Elisa 4 erano molto<br />

vivaci e questa cosa non era molto gradita da lui, ma piano piano<br />

e con molta pazienza, ha apprezzato la compagnia che gli facevano.<br />

Per noi è stato un duplice dono, non solo una casa più grande,<br />

ma soprattutto cominciare a imparare cosa significa davvero accogliere<br />

e prendersi cura, fuori dalla poesia.<br />

Sono stati anni di preziosa educazione per tutti all’accoglienza<br />

reciproca, con tutto quello che comporta di perdono e di pazienza.<br />

Particolarmente in questi tre anni ci sono stati vicini alcuni amici.<br />

Non posso non riconoscere come la Presenza del Signore in questa<br />

circostanza sia stata chiara, amorevole, misericordiosa per tutta la<br />

mia famiglia e quindi un segno limpido anche della vocazione<br />

della nostra famiglia. Se oggi tutti siamo più capaci di accoglienza<br />

è proprio per l’esperienza di questi tre anni con mio papà, che<br />

oltre ad essere un uomo taciturno e riservato, ma non scontroso,<br />

aveva però una fede semplice e certa, che l’ha accompagnato fino<br />

alla fine.<br />

La vocazione è proprio una “chiamata” nel senso letterale del<br />

termine.<br />

Giovanna, che non aveva mai smesso di interpellarci occasionalmente<br />

per qualche accoglienza, poco dopo la morte del papà ci<br />

capita di incontrarla e diventa proprio la voce precisa, nei dettagli,<br />

di questa chiamata. Le parole che vi riporto possono non essere<br />

52


precise ma il senso era quello, ci disse: “ora che il papà è morto,<br />

nella vostra casa c’è più posto per fare accoglienza”. Detta così<br />

potrebbe anche sembrare impudente, ma a noi ci ha subito colpito<br />

per l’immediatezza e la chiarezza dei termini, nel senso che ci<br />

richiamava subito, senza fronzoli, a fare i conti col dono ricevuto,<br />

nel senso di esperienza che avevamo fatto e della casa che avevamo<br />

a disposizione.<br />

Abbiamo lì capito meglio cosa intende Giussani quando parla<br />

di accoglienza come “dono di sé commosso”, cioè grato per tutto<br />

quello che ci era stato dato.<br />

In altre parole ci veniva detto: “con la morte del papà è come<br />

finito il percorso di formazione di base, ora si sono create le condizioni<br />

sia fisiche, sia umane per fare il passo”.<br />

Abbiamo così deciso di mettere a frutto il dono ricevuto, mettendo<br />

a disposizione una parte della casa per ospitare le famiglie<br />

di bambini che venivano da tutta Italia per periodici controlli<br />

all’ospedale di Varese e che avevano bisogno di soggiornare per<br />

qualche giorno.<br />

In seguito ci è stato chiesto di esseri disponibili per accoglienze<br />

in pronto intervento temporaneo per minori trovati in situazioni<br />

di abbandono, col bisogno di una sistemazione urgente, in attesa<br />

della decisione del giudice per affido, adozione o istituto. Per tre<br />

mesi abbiamo accolto tre fratelli di 13, 11 e 1 anno e 1/2 e successivamente<br />

per altri 3 mesi una ragazza di 19 anni con la sua bimba<br />

neonata.<br />

Nell’estate 2006 ci hanno chiesto di accogliere in affido un<br />

bimbo di quasi due anni con la sua mamma di 19. Dopo 3 anni la<br />

mamma è andata a vivere con un compagno e il bimbo è tuttora<br />

con noi.<br />

Due anni fa mia moglie Carla ha cominciato a pensare di rendere<br />

più stabile questa situazione, con la costituzione di una comunità<br />

familiare. Per un anno ne abbiamo parlato tra noi, con i figli<br />

e con gli amici, in particolare con quelli di Famiglie per l’Accoglienza,<br />

un’associazione che aiuta e sostiene chi decide di attuare<br />

ospitalità di vario tipo.<br />

A maggio 2010 abbiamo costituito una Associazione di promozione<br />

sociale che diventerà gestore della comunità.<br />

53


Nell’’estate del 2010 abbiamo acceso un nuovo mutuo per iniziare<br />

con i lavori di ristrutturazione della casa che aveva bisogno<br />

di essere ulteriormente ampliata per poter ospitare, oltre a noi 5,<br />

fino a un massimo di 6 bimbi. I lavori sono quasi al termine.<br />

Nel frattempo da settembre 2010 abbiamo accolto in affido<br />

altri 3 fratellini di 4, 6 e 8 anni. Poco dopo abbiamo cominciato<br />

anche ad ospitare una ragazza di 17 anni che viene dal veneto per<br />

frequentare una scuola di pallavolo in un paese vicino: in tutto ora<br />

siamo in 10. Tra qualche mese dovremmo diventare ufficialmente<br />

una comunità familiare denominata “Casa S. Gabriele Arcangelo”.<br />

Ho voluto brevemente raccontarvi la storia, perché è importante<br />

partire dai fatti, che dicono di una catena di incontri, avvenimenti,<br />

fatti di grazia. […]<br />

Nonostante i nostri limiti, per quanto siamo dei poveracci,<br />

dobbiamo riconoscere che praticando l’accoglienza, la nostra vita<br />

è cambiata e che siamo dentro l’avvenimento di un miracolo. La<br />

nostra vita di coppia è dentro quotidianamente al richiamo della<br />

reciproca misericordia, e questo cambia il nostro modo di guardarci.<br />

Anche i nostri figli, all’inizio entusiasti ed ora provati dalla<br />

fatica della quotidianità, proprio da questa nuova realtà familiare<br />

sono continuamente richiamati, se non ad alzare lo sguardo, almeno<br />

a porsi qualche domanda in più, e questo credo che sia un’esperienza<br />

educativa unica.<br />

Accogliere nella propria casa, nella propria famiglia, esalta la<br />

verità esistenziale di questi discorsi: perché avere con sé una persona<br />

24 ore su 24, condividere il bagno e il luogo dove si mettono<br />

gli asciugamani e gli spazzolini (che sembrano piccoli particolari,<br />

ma possono essere quelli su cui si comincia la giornata di buono o<br />

di cattivo umore…), richiede una grande verità di atteggiamento.<br />

L’accoglienza in famiglia, cioè il dire “Vieni con me”, “Vieni da<br />

me fisicamente” è più paradigmatica, più espressiva di quel valore<br />

dell’accoglienza che è la verità di qualunque rapporto. Solo che nel<br />

rapporto con il vicino o il compagno di lavoro, il dramma dell’accettare<br />

la diversità ha un termine temporale; per chi è accolto in<br />

famiglia la situazione è invece permanente, ed ha quindi una forza<br />

di spinta dirompente – o in senso positivo o in senso negativo –<br />

molto maggiore. […]<br />

54


Ad un incontro nazionale di FpA don Giussani ci disse: “L’accoglienza<br />

(in famiglia) implica una totalità di abbraccio … La sua<br />

natura totalizzante esprime il carattere proprio della più grande<br />

virtù,… la virtù della carità, cioè dell’amore gratuito, che non è generato<br />

e non si sostiene per un calcolo o per tornaconto, … realizza<br />

la natura stessa della dinamica umana, come imitare Dio, cioè realizza<br />

l’ideale dell’amore. In questo fenomeno si riverbera il mistero<br />

della Trinità. Perché il mistero della trinità è un’accoglienza, analogicamente<br />

parlando, è un’accoglienza infinita e totalizzante all’infinito…<br />

La vera realizzazione del valore dell’accoglienza è là dove<br />

essa, per quello che dipende da noi, non ha limiti nel tempo e nello<br />

spazio. È totalizzante quando uno accoglie l’altro secondala totalità<br />

del suo essere, del suo esistere”.<br />

Dire che l’accoglienza è totalizzante, ci siamo accorti, non è<br />

solo uno slogan o un’intenzione ascetica: cambia operativamente,<br />

cambia il giudizio sulla concreta esperienza.<br />

Nell’affido la connotazione della totalità ha risvolti immediati.<br />

L’amore per sua natura è definitivo, e non può essere a tempo. Il<br />

bene che vogliamo ora ai bimbi che sono in casa nostra continuerà<br />

anche dopo, quando torneranno dai loro genitori: cambieranno<br />

le modalità di espressione, come cambiano con i figli che si sposano,<br />

ma il rapporto con loro non verrà meno nella sostanza. Questa<br />

consapevolezza ci permette di essere veri genitori, non semplicemente<br />

dei custodi, o degli educatori professionali.<br />

Questo poi è vero senza nulla togliere ai genitori biologici.<br />

Proprio perché totalizzante, l’accoglienza non taglia via nulla, non<br />

censura nulla, ma assume e valorizza in positivo tutta la persona,<br />

la vita e la storia dell’accolto. La famiglia d’origine è un pezzo<br />

fondamentale della realtà dei bimbi in affido, un pezzo spesso<br />

“scomodo” per noi e magari anche per i bimbi, ma che non può<br />

essere tolto, perché c’è, perché la realtà è quella che c’è, e non è<br />

in nostro possesso. La totalità è un realismo, perché è quello che<br />

c’è e che viene prima dei nostri progetti e desideri. Questo invita<br />

ad un grande rispetto per la famiglia d’origine, anzi più che rispetto,<br />

il desiderio di essere capaci di simpatia e accoglienza anche<br />

verso di loro. Questo realismo è, per chi crede, un’espressione di<br />

fede.<br />

55


L’accoglienza nel modo in cui noi la stiamo facendo è una vocazione<br />

particolare, ma tutti noi cristiani, avendo fatto l’esperienza<br />

di essere amati da Dio, accolti dalla sua misericordia, stupiti per<br />

questa grazia, non possiamo che sperare di partecipare alla sua<br />

misericordia accogliendo chi ci capita nella vita, a partire dalla<br />

nostra famiglia, fino ad allargare l’abbraccio a tutto il mondo.<br />

Per concludere mi sembra importante in questi periodi di forte<br />

crisi, dove la maggior parte delle persone reagiscono lamentandosi,<br />

pretendendo, accusando altri, pensando che basta essere contro<br />

qualcuno per sconfiggere la crisi, che ci siano persone che, provocate<br />

dalla realtà, si rimettono in moto, accettando le sfide della<br />

realtà, rispondendo ad essa con intelligenza, creatività e capacità<br />

di sacrificio. Questo accade se si è convinti che la realtà, anche<br />

quando appare negativa e difficile, rimette in gioco la voglia di<br />

costruire e di impegnarsi; cioè per attraversare la crisi, e non subirla<br />

rassegnati, occorre vivere la realtà come una provocazione<br />

che ridesta il desiderio vero che ci costituisce. Ma d’altra parte<br />

questo non è possibile da soli: come ci ha insegnato la nostra esperienza,<br />

è solo dentro un popolo che il desiderio ridestato e i tentativi<br />

di costruire che ne scaturiscono, possono durare nel tempo.<br />

Intendendo per popolo il mettersi insieme di gente, non per un<br />

provvisorio tornaconto, ma in modo sostanziale; non contro un<br />

nemico, ma per perseguire insieme un bene desiderato.<br />

Come mi sembra sia questa piccola parte di popolo pavoniano.<br />

56


aggiornaMenTi PeDagogiCi<br />

la “CUra”: agire in MoDo DonaTiVo<br />

di Luigina Mortari<br />

Uno scambio d’essere.<br />

Impegnarsi in pratiche di<br />

cura significa dedicare ad altri<br />

tempo ed energie: fisiche, ma<br />

anche emotive e cognitive. Il<br />

prestare attenzione sensibile<br />

e intensiva all’altro, che per<br />

esempio costituisce un modo<br />

d’essere essenziale dell’aver<br />

cura, consiste nel donare tempo<br />

all’altro. E donare il tempo<br />

è donare l’essenza della<br />

vita. La madre capace di una<br />

buona relazione di cu ra con<br />

il suo bambino non si aspetta<br />

qualcosa per sé; il suo desiderio<br />

è favorire il pieno fiorire<br />

dell’altro. Ciò che sente come<br />

bene, ossia la sua esperienza<br />

del ben-essere, è il sentire il<br />

ben-essere del l’altro. La primarietà del ben-essere dell’altro è<br />

tale da rendere ne cessario donare il proprio tempo, la propria<br />

esperienza all’altro.<br />

Si può dire, dunque, che una fondamentale direzionalità etica<br />

della pratica della cura è l’agire donativo.<br />

57


Il dono nella sua essenza etica non è dare cose, perché le cose<br />

non stanno nell’essenziale, in quanto sono esterne al mio essere.<br />

Poiché c’è eticità dove è in gioco l’essenziale e l’essenza dell’esistenza<br />

è il tempo, il donare come modo etico di stare nella relazio ne<br />

è donare il tempo. Donare il tempo è la più alta forma di cura, perché<br />

«questo è l’unico bene che nemmeno una persona ricono scente<br />

può restituire» (Seneca, Lettere a Lucilio, 1, 3). Proprio per ché la<br />

vita è tempo, dare tempo agli altri è donare ciò che è essen ziale.<br />

Le persone che praticano la cura nel senso del prendersi a cuore<br />

l’altro con premura sanno dov’è l’essenziale, sanno che il senso<br />

dell’esserci, il logos dell’esperienza, sta nel donare il tempo. Per<br />

questo sanno fare dono del tempo a fronte di una situazione diffusa<br />

in cui in genere ci si lamenta di non avere tempo.<br />

L’ordine simbolico che domina lo spazio del nostro agire insegna<br />

a stare nell’efficienza per non perdere tempo, ma proprio quando lo<br />

si tiene tutto per sé, il tempo si perde; è tenere il tempo per sé che<br />

lo consuma. Dalle parole pronunciate per nominare il senso della<br />

propria esperienza da parte di chi-ha-cura nella forma del prendersi<br />

a cuore, si intuisce che queste persone sanno che dal do nare si riceve<br />

la misura fondamentale dell’essere nel mondo. L’es senziale, ossia<br />

quello che senti corrispondere al desiderio infinito di eudaimonia<br />

(= felicità), è volere il bene; Heidegger afferma che volere bene è<br />

donare l’essere e poiché l’essenza dell’esserci è il tempo, stare nell’essenziale<br />

è donare tempo alla ricerca di ciò che fa stare bene.<br />

Donare il tempo, che è donare l’essenziale, non è cosa facile da<br />

comprendere se si sta in un altro ordine simbolico com’è quello<br />

individualistico, che fa coincidere il bene con l’affermazione di sé;<br />

se si considera l’agire donativo dalla prospettiva economicistica,<br />

sembra un modo insensato di abitare il tempo, come un arrischio<br />

temerario. Chi pratica l’etica del dono sente di fare un azzardo, ma<br />

non temerario, perché sa che lì ci sarà un ritorno d’essere.<br />

Lévinas individua un legame fra responsabilità e dono quando<br />

afferma che «riconoscere Altri significa donare» ed è donando che<br />

si costruisce la comunità; tuttavia il suo concetto di responsabilità<br />

indica un modo d’esserci del soggetto che sembre rebbe differente<br />

da quello espresso dalle persone impegnate nelle pratiche di cura,<br />

nelle cui parole è riconoscibile un’interpretazione donativa dell’esperienza<br />

della relazione con altri. Scrive il filosofo:<br />

58


“II volto mi si impone senza che io possa essere sordo al suo appello<br />

né dimenticarlo, cioè senza che io possa smettere di essere ritenuto<br />

re sponsabile della sua miseria. La coscienza non ha più il primo<br />

posto. La presenza del volto significa così un ordine incontestabile”<br />

(Lévinas, 1993, p. 35 s.).<br />

Il venirmi incontro dell’altro nella nudità del suo volto mi impone<br />

responsabilità. Interpretata alla luce di questo concetto, la<br />

direzio nalità etica delle pratiche di cura sembrerebbe quella del<br />

“dover essere” rispetto a un obbligo che mi si impone prima di<br />

ogni li bertà. È questo un modo di concepire l’etica che fa dipendere<br />

l’a gire bene dal rispondere a un dovere che non si può non subire.<br />

È indicativo a questo proposito il linguaggio usato: l’io che viene<br />

espropriato, l’altro che comanda, l’etica come intimazione a rispondere.<br />

L’etica di Lévinas è dunque esigente, perché chiede di esperi re<br />

quella ossessione dell’altro e per l’altro che fa sentire responsa bili<br />

di tutto quello che può accadergli, al punto da «essere respon sabili<br />

della responsabilità di altri», chiedendo di «rispondere di tut to e<br />

di tutti». Nell’io spossessato, che è una delle figure ontologiche di<br />

Lévinas, la debolezza si mescola al persistere di un’immagine a suo<br />

modo onnipotente del soggetto che risponde di tutto.<br />

Non c’è dubbio sul fatto che le persone impegnate in pratiche<br />

di cura segnate dalla disposizione a prendersi a cuore l’altro siano<br />

te stimoni di un agire etico, se per “etica” s’intende la ricerca<br />

aristo telicamente concepita di ciò che fa ben-esser-ci. Tuttavia esse<br />

agi scono un diverso senso dell’etica rispetto a quella imperativa<br />

del dover essere. Per loro la relazione etica con l’altro è un sentirsi<br />

chia mati ad aver cura, e questa chiamata non revoca la libertà di<br />

deci dere se rispondere o meno. L’appello che si sente provenire<br />

dall’al tro, colui che si trova in uno stato di dipendenza, di debolezza,<br />

non è percepito come un obbligo, perché di fronte a una<br />

situazione di bisogno dell’altro si valuta e poi si decide se e come<br />

agire secondo le proprie possibilità. Stare in una relazione etica<br />

con l’altro non si gnifica piegarsi all’obbligo che ti inchioda alla<br />

responsabilità come condizione da subire, ma è sentire e accettare<br />

la necessità che ti apre spazi dell’ esserci e, dunque, ti apre alla<br />

trascendenza.<br />

Sul donare si è scritto molto a partire dall’Essai sur le don (1923<br />

-24) di Marcel Mauss, che ha evidenziato le potenzialità dei cir-<br />

59


cuiti di generosità e di solidarietà che attraversano molti contesti<br />

intersti ziali e spesso non saputi della società contemporanea, mettendo<br />

così in crisi la tesi secondo cui a regolare gli scambi sociali<br />

possa essere solo il principio utilitaristico ed economicistico. Tuttavia<br />

la teoria del dono di origine maussiana non si presta a cogliere<br />

l’es senza dell’ agire donativo proprio delle pratiche di cura. Per<br />

Mauss il dono è una forma di scambio, anzi costituisce la forma<br />

origina ria dello scambio, anche se sfugge alla logica calcolante<br />

dello scambio mercantile. Il “dare” sarebbe infatti inscindibile<br />

dal mo mento del “ricevere” e anche da quello del “ricambiare”,<br />

perché ciò che è donato obbligherebbe il donatario a dare a sua<br />

volta, tra sformando il donatario in donatore e facendo del primo<br />

donatore un donatario, attivando così un ciclo continuo di scambi<br />

e di reci proci riconoscimenti.<br />

Nella cura, invece, soprattutto quando accade in una relazione<br />

asimmetrica, dove l’altro si trova in una condizione di debolezza e<br />

di dipendenza, il dare, che si configura come un donare tempo e<br />

in questo tempo donato impiegare energie che qualificano la cura<br />

co me offerta di un di più, non sta affatto in una relazione necessaria<br />

con il ricevere. Può accadere che qualcosa si riceva, ma non perché<br />

l’altro diventi intenzionalmente donatore che ricambia.<br />

Nella cura come premura per l’altro il dono si configura come<br />

un atto libero e gratuito, svincolato da quel circuito di obbligazioni<br />

re ciproche ipotizzato da Mauss. È vero che chi dona può andare<br />

in cerca di qualcosa, ma questo qualcosa non ha la forma di un<br />

ricam bio, perché quello che si va cercando è capire quali sono<br />

gli effetti del proprio agire sull’altro; chi-ha-cura, infatti, essendo<br />

mosso dal l’intenzione di agire bene, va in cerca di una verifica<br />

degli esiti del la propria azione nella speranza che siano positivi.<br />

L’agire donativo è quello mosso dall’idea che il proprio ben-essere<br />

coincida con il proprio ben-agire e che questo agire bene sia quello<br />

capace di of frire situazioni esperienziali in cui l’altro possa trovare<br />

il proprio ben-essere; vedere che l’altro sta bene fa sentire bene.<br />

Il guadagno che viene dal donare consiste nel poter individuare<br />

quelle evidenze che attestino che l’altro ha trovato il proprio benessere,<br />

o che co munque si trova ora nelle condizioni di migliorare<br />

la qualità della sua vita, e che a questa sua condizione d’essere ha<br />

contribuito il mio agire. C’è dunque un piacere del donare nella<br />

60


pratica di cura che è estraneo a ogni logica di scambio. Aristotele<br />

(Et. Eud., I, 1214 a 5 10) afferma che «la felicità, essendo la più<br />

bella e la migliore tra le cose, è anche la più piacevole»; per chi<br />

pratica la cura mosso dalla logica del dono il piacere della felicità<br />

è vedere il ben -essere dell’ al tro. Il donare nasce dal sentire la<br />

necessità di condividere, perché si sa che in questa forma di agire<br />

c’è una generatività di senso.<br />

Alla domanda “perché si dona?” Jacques Godbout (1998, p. 29)<br />

così risponde: «Per collegarsi, mettersi in presa con la vita, per<br />

far circolare le cose in maniera vivente, per rompere la solitudine,<br />

per far parte di nuovo<br />

della catena, trasmettere,<br />

sentire che non<br />

si è so li e che si appartiene,<br />

che si è parte di<br />

qualcosa di più vasto<br />

e in particolare dell’umanità».Subordinare<br />

il modo esistentivo<br />

del do no al bisogno<br />

di creare alleanze costituisce<br />

una risposta<br />

che può es sere vera ma solo in parte, perché così concepito il dono<br />

sembra ri spondere unicamente al bisogno di colmare qualcosa che<br />

ci manca e al bisogno di costruire legami sociali. Se s’interpreta<br />

l’agire dona tivo della buona pratica di cura alla luce della logica<br />

del dono con cepita funzionale alla costruzione del legame sociale<br />

(Caillé, 1998, p. 12), si impedisce di cogliere l’essenza della cura,<br />

dove il donare non è funzionale ad altro che a provocare buone<br />

condizioni di esi stenza. Nulla si attende in cambio, si spera solo<br />

che l’agire produca effetti congruenti all’intenzione che lo guida.<br />

Anche Elena Pulcini (2003, p. 164) sostiene che «il movente del<br />

dono sta nel desiderio di dare che scaturisce a sua volta dal desiderio<br />

di legarsi, di appartenere, di ampliare i confini del proprio io».<br />

Ma il desiderio di dare da dove scaturisce, ossia dove trova la sua<br />

ragione propulsiva? Se penso alle interpretazioni che chi fa prati ca<br />

di cura dà del proprio agire, senza per questo pronunciare la teoria<br />

del dono, emerge che la ragione del dedicare tempo ad altri sta nel<br />

61


sapere che lì si gioca l’essenziale, che proprio donando il proprio<br />

tempo si trova il senso pieno dell’ essere.<br />

Si può parlare di passione per l’altro, ma io preferisco parlare<br />

di passione per il ben-esserci, ossia di tensione a promuovere una<br />

buona qualità del la vita, il ben-essere nel senso di esistere-bene.<br />

Ciascuno sente il bisogno di esserci; poi accade di scoprire che, per<br />

esserci, perché il proprio tempo sia un tempo vero, deve acca dere<br />

quello scambio d’essere imprevedibile che avviene nelle rela zioni<br />

gratuite, perché il gratuito non è perdita di sé ma guadagno d’altro,<br />

quello che accade in modo imprevisto. Il donare si sottrae a ogni<br />

dimensione sacrificale, perché si sa che è donando che si realizza il<br />

senso dell’esserci e si riconosce nell’altro la fonte della misura del<br />

senso del proprio agire.<br />

Dal di fuori si tende a interpretare questo agire donativo secondo<br />

una logica oblativa e sacrificale. Se fosse mera emorragia d’essere,<br />

perdita di sé, sarebbe cosa per pochi, o forse per nessuno. In<br />

realtà non si perde alcunché, perché quando parli con persone che<br />

praticano la cura, queste affermano che si dà certamente qual cosa<br />

di sé, ma molto, molto di più, è quello che si riceve, con la differenza<br />

che quello che si riceve è assolutamente imprevisto, inatteso, non<br />

sta nel conto. L’etica del dono, quella di chi è incapace di andare<br />

incontro all’altro a mani vuote, è cosa che dai pra tici della cura<br />

non è mai enfatizzata e in molti casi nemmeno di chiarata, ma viene<br />

vissuta e praticata con misura, senza inutili spinte sacrificali; “se si<br />

può si fa, altrimenti niente” è un’espres sione ricorrente che dice<br />

la misura con cui i pratici attivano la po stura del dono. Il donare<br />

è generativo di ulteriori possibilità d’es sere quando è informato<br />

da quella giusta misura che consiste nel l’impegnarsi a soddisfare i<br />

bisogni necessari dell’altro sapendo stare nei limiti del possibile per<br />

sé. È una saggezza, questa, che sa bandire ogni ideologica oblatività,<br />

perché si sa per esperienza che la cosa funziona se avviene come<br />

da sé, obbedendo a una neces sità, quasi senza sforzo.<br />

Non ci si può tuttavia nascondere che esiste il rischio di un’interpretazione<br />

oblativa delle pratiche di cura, rischio gravato dal fatto<br />

che, quando la cura è ritenuta pertinente solo alle donne, confina<br />

queste in ambiti di vita impoverenti. Certamente è necessario<br />

pren dere le distanze da ogni immagine sacrificale dell’agire con<br />

cura; questa cautela però non deve distrarci dal considerare che la<br />

62


con nessione fra cura e dono dice una cosa essenziale dell’ attività<br />

di cu ra, cioè il fatto che solo quando c’è l’elemento del donare la<br />

cura diventa generativa di spazi dell’ essere. Si pensi alla prima e<br />

prima ria relazione di cura, quella materna: quando il neonato si<br />

trova nella situazione di massima dipendenza, questa relazione per<br />

esse re buona non può che essere un atto donativo, perché la vita<br />

del nuovo-venuto-al-mondo all’inizio ha necessità di un atto gratuito,<br />

aurorale. È questo dono di attenzione senza riserve e senza<br />

richie ste che fa vivere. Nascere significa trovarsi subito vincolati<br />

alla re sponsabilità del dover divenire il proprio poter essere, un<br />

dovere drammatico che ci chiede di azzardare continuamente<br />

mosse esistenziali che non hanno alcuna garanzia di dare corpo<br />

ai nostri de sideri. Questo azzardo dell’esistere prende la sua forza<br />

dall’aver esperito all’inizio dell’esistenza una relazione in cui si è<br />

stati desti natari di un’accoglienza gratuita e continuata nel tempo.<br />

La cura come atto donativo si profila, dunque, quale condizione<br />

necessaria affinché l’altro sviluppi la passione ad aver cura di sé.<br />

Avere esperienza di sé, nelle prime fasi della vita, come destinatari<br />

di atti di devozione è un’esperienza primigenia necessaria. E non<br />

è vero che il dono del prendersi a cuore l’altro non chiede nulla in<br />

cambio: chiede all’altro di esistere. Quando questo dono di attenzione<br />

fecondante il respiro dell’ esserci è mancante agli inizi della<br />

vita, questa privazione si patisce per sempre. È come se una parte<br />

del proprio essere rimanesse rattrappita; quando si ha esperienza<br />

di questa mancanza, rispondere alla richiesta di esistere diventa una<br />

fatica non sempre sostenibile, quella che in certi momenti toglie il<br />

respiro. Quando, invece, il venire al mondo è un sentirsi accolti,<br />

al lora è come se la pratica di cura depositasse nell’ anima semi di<br />

energia vitale che con il tempo fioriscono e dischiudono il piacere<br />

di respirare il tempo.<br />

Ciò che è problematico nella nostra cultura non è dunque l’assegnare<br />

una tonalità donativa alla cura materna che si dà all’inizio<br />

della vita, quanto piuttosto il non saper riconoscere il valore della<br />

madre, e poi, a partire da questo non riconoscimento, il non garantire<br />

il necessario sostegno alle madri impegnate in tale compito,<br />

oltre al pretendere da loro un’eccessiva estensione spaziale e temporale<br />

di questo aver cura donativo.<br />

Il dono mette l’atto del donare fuori dalla logica del mercato.<br />

63


L’economia prevede uno scambio: «Scambio circolare, circolazione<br />

di beni, dei prodotti, dei segni monetari o delle merci, ammortamento<br />

delle uscite, entrate, sostituzioni dei valori d’uso e dei<br />

va lori di scambio» (Derrida, 1996, p. 8). Proprio questo scambio<br />

può essere pensato come la legge dell’economia. Il dono, invece, è<br />

pensato come ciò che interrompe l’economia, perché sospende il<br />

calcolo economico, in quanto non dà luogo allo scambio.<br />

In realtà nelle pratiche di cura uno scambio c’è, si tratta di<br />

uno scambio, o meglio di un contagio d’essere, ma si tratta di uno<br />

scambio che è comunque fuori dalle logiche economiche, perché<br />

mentre nell’economia tutto lo scambio è regolato, è calcolato, lo<br />

scambio d’essere che si attua con il donare è al di fuori di ogni logica,<br />

sta nell’aperto dell’imprevisto. Si dona perché si sente che lì<br />

sta la verità dell’agire senza aspettarsi nulla, poi di fatto un ritor no<br />

in genere c’è, ma non è messo in conto. Affinché ci sia dono è necessario<br />

che il donatario non si senta obbligato a nulla. Quan do in<br />

circolo c’è l’essere, tutto è imprevedibile, non c’è misura. Quando<br />

si dona non si fa nulla per calcolo, si fa perché si sa che è necessario<br />

farlo.<br />

Donare è espandere se stessi nella rete del senso.<br />

64


TeMi Di ViTa ConsaCraTa<br />

i religiosi Che oPerano nel soCiale<br />

Da “Testimoni”, 20/2011<br />

DAL “FARE FAMIGLIA” A “VENDITORI DI SERVIZI”?<br />

Gli istituti religiosi impegnati nel sociale erano nati per “fare famiglia”.<br />

Oggi rischiano di diventare dei semplici “venditori di servizi”.<br />

Il futuro sta nella scelta delle povertà a cui nessuno risponde.<br />

Negli istituti religiosi l’impegno sociale a fronte delle nuove<br />

povertà, è rinato negli anni ’70 -’80 in forme rispondenti alle sfide<br />

di quel tempo in cui erano assenti le politiche sociali dello stato.<br />

L’assistenza diventava accoglienza, vale a dire scelta della relazione<br />

interpersonale valorialmente e affettivamente significativa, dettata<br />

dal desiderio di superare i termini tradizionali di “carità” e “servi-<br />

65


zio”, in favore della condivisione, intesa come partecipazione alla<br />

vicenda dell’altro per assumerne condizioni e problemi.<br />

nati dal “fare famiglia”<br />

Prima di allora il termine condivisione non era corrente parlando<br />

di servizi alla persona. L’azione educativa e sociale dei fondatori,<br />

quella che intendeva congiungere professione con vocazione<br />

solidaristica si chiamava lavorare per amore: questa era la “mistica”<br />

della loro azione educativa e sociale che intravvedeva, nel modello<br />

di tipo familiare, il modo di “guarire”, di far crescere equilibrato,<br />

sereno le persone. Tutto ciò è possibile attraverso figure precise di<br />

riferimento in un contesto vero, reale, stabile che scelgano di farlo<br />

per “scelta” e non solo per “lavoro”: era il pensare di vari santi<br />

fondatori sociali di fine ottocento.<br />

Uno di questi, san Leonardo Murialdo, esprimeva ciò con il<br />

dire: «Non è sufficiente fare delle cose per i ragazzi, ma è necessario<br />

fare famiglia con loro». Con queste espressioni si intendeva<br />

l’educare la persona nella sua globalità, affetti, intelletto, apprendimento,<br />

in un contesto di quotidianità, con una interazione che<br />

non prediligesse le barriere del rapporto di ruolo.<br />

Ora sono le scienze sociali a dirlo: «quando nell’allestire un<br />

servizio si incontra un disagio profondo (non la crisi momentanea<br />

ma la sofferenza impastata con le radici stesse della persona, con<br />

la sua storia in quanto persona), allora le professionalità specifiche<br />

servono, sì, ma passano in secondo piano. Quel tipo di disagio è<br />

superabile solo sulla base di un profondo coinvolgimento esistenziale,<br />

di una qualche forma di condivisione della vita» 1 .<br />

È capace di fare questo chi sceglie di amare. Don Benzi era solito<br />

dire: «Il bambino, l’adolescente, avverte se si sta con lui perché<br />

lo si è scelto, e lo si è scelto perché amato, o se pur facendo tante<br />

cose per lui è stato scelto per necessità di lavoro o altro».<br />

E ciò è vero non solo in riferimento ai giovani. Il noto escursionista<br />

Ambrogio Fogar, diventato paraplegico in seguito a un<br />

incidente e scomparso nel 2005, diceva: «Non impegnarti in questo<br />

66<br />

1 Scuola Universitaria Europea per Operatori di Condivisione (Urbino).


settore per senso del dovere, ma solo per amore. Tu che hai capito<br />

quanto bisogno c’è del tuo aiuto non deludermi».<br />

Per i religiosi/e la scelta della condivisione trovava e trova alimento<br />

nella fede, capace di arricchire la risposta ad alcuni grandi<br />

perché, che la cultura della condivisione prima o poi si deve porre:<br />

perché ogni uomo, anche l’ultimo, ha uguale dignità? Perché siamo<br />

responsabili gli uni degli altri? Perché la storia è regolata dalla<br />

legge dell’amore?<br />

Padre Balducci, non certo sospettabile di integrismo, ha scritto:<br />

«Solo se metteremo Dio al primo posto, capiremo bene che cosa<br />

significhi aiutare i poveri, affaticarsi per loro. Quelli che li aiutano<br />

senza Dio nel cuore, senza la contemplazione, a volte alimentano<br />

solo speranze terrene e quindi mentre aiutano distruggono; distruggono<br />

la speranza che non si riposa nelle cose terrene ma va<br />

oltre: ecco perché crescendo il benessere dei poveri non è detto che<br />

cresca il senso spirituale della vita, anzi molte volte diminuisce».<br />

Quel periodo di rinascita (’70-’80) è stato un momento di grande,<br />

positiva enfasi dell’ideale solidaristico fatto proprio da quei<br />

giovani, allora numerosi, per i quali il lavoro sociale era una scelta<br />

di vita orientata al saper mettere in gioco il proprio benessere per<br />

riprodurre continuamente l’idea di “dono”.<br />

Il crescere di queste «nuove vocazioni» laicali coincideva con lo<br />

scemare di quelle di speciale consacrazione, per cui i laici divennero<br />

preziosi compagni di strada nel gestire servizi. Era il modo d’essere<br />

e di fare in cui l’identità carismatica dei religiosi/e si riconosceva.<br />

Per diventare “venditori di servizi”<br />

Da allora sono passate due generazioni. L’impegno nato da<br />

quel clima culturale propenso a mettere insieme realtà e idealità<br />

ha retto finché questo ha tenuto. Man mano che nei collaboratori<br />

è andato diminuendo il “vocazionale”, a determinare la scelta di<br />

servizio, è stata la preoccupazione “occupazionale” relegata alle<br />

cose da farsi o al tempo lavorativo e non la scelta di una solidarietà<br />

che attraversa la vita.<br />

Oggi sono prevalenti gli operatori legittimati dalla professionalità<br />

più che dall’appartenenza a un “mondo vitale”, venendo meno<br />

in tal modo, molti investimenti di senso. Inizia così il mutamento<br />

67


dell’ethos dell’operatore sociale che si porta pian piano, ad essere<br />

lavorista, rendendo prima o poi fragili le logiche di “dono” necessarie<br />

nella relazione di aiuto. Ed è così che il servizio nato da una<br />

passione carismatica si porta a evolversi come un modello d’impresa<br />

di lavoratori, che, per restare sul mercato, deve rafforzare le<br />

proprie capacità di sviluppo imprenditorializzando il lavoro sociale.<br />

Da qui il venir meno dei volontari la cui nativa vocazione non è<br />

quella di essere funzionali a una impresa di lavoro, ma al bisogno<br />

di chi è in difficoltà.<br />

Nel contempo le vocazioni alla vita consacrata sono andate ulteriormente<br />

diminuendo e le nuove, non “contagiate” dal precedente<br />

forte momento culturale, sono diverse in quanto a “passione”, in<br />

riferimento al disagio sociale conclamato.<br />

Altra con-causa di questa deriva è data dal fatto che lo stato ha,<br />

via-via, privato i religiosi/e della “titolarità” dei servizi alla persona<br />

relegandoli in posizione subalterna alle proprie esigenze, con una<br />

normativa tesa a uniformare a sistemi di qualità apparentemente<br />

impeccabili, ma che alla fine si rivelano fragili, ridondanti e frammentari,<br />

attenti più alla legittimità degli “atti” che dei risultati,<br />

non più espressione dell’istanza carismatica di un ente, ricco di<br />

generosità e di intraprendenza, ma sempre più esplicita espressione<br />

di un contratto (stato-ente) dalle forti connotazioni istituzionali e<br />

commerciali.<br />

Una domanda provocatoria<br />

Come mai le attività maggiormente significative sono quelle i cui<br />

iniziatori non sono religiosi?: è la domanda posta in un gruppo di<br />

partecipanti all’incontro di Assisi2 . Era chiaro il riferimento a don<br />

Benzi, don Ciotti, don Picchi, don Albanese, don Clauser, ecc;<br />

o ai laici Riccardi, Oliviero ecc. i quali si sono posti di fronte al<br />

“nuovo” con la mente libera da parole e concetti uditi da altri, da<br />

modelli standardizzati e da livelli decisionali estranei all’inedito. E<br />

tutto questo per cercare di obbedire alla verità sottesa nei “segni<br />

dei tempi”.<br />

In quegli anni la stessa inedita ispirazione dello Spirito era stata<br />

68<br />

2 Assisi 12-15 ottobre 2009, Convegno Cism-Usmi, Il Vangelo nelle opere di carità.


fatta propria da vari religiosi/e, i quali però hanno dovuto fare i<br />

conti con il “glorioso passato” istituzionale. Certamente l’istituzione<br />

è un rilevante patrimonio di memoria e di intelligenza che funge<br />

da “volano”. Funzione preziosa in tempi di cultura omogenea, ma<br />

anche all’origine di difficoltà quando un’epoca finisce, per il fatto<br />

che il volano non è capace di disimparare per apprendere nuove<br />

mappe concettuali.<br />

Nell’istituzione l’accoglienza del nuovo varia a seconda che<br />

conferma o contraddice i propri presupposti. Ma quando la storia<br />

presenta differenti orizzonti, le forme attuative del carisma, per<br />

continuare a essere espressive, domandano “discontinuità” piuttosto<br />

che riproposizione dei “vissuti”. Negli istituti le nuove forme,<br />

non essendo riferibili a prassi consolidate, sono nate non conformi,<br />

stigma che le ha accompagnate per vari anni condizionandone lo<br />

sviluppo sperato. Quanto detto va a dire uno dei motivi che hanno<br />

determinato la differente significatività delle esperienze dei “nonreligiosi”<br />

da quelle dei religiosi/e.<br />

Un altro motivo che determina rilevante diversità di significato<br />

e di esito, sta nel fatto che chi inizia nuove forme di solidarietà,<br />

dopo alcuni anni si rende conto che non è sufficiente fare accoglienza,<br />

ma è necessario simultaneamente organizzare frammenti<br />

di politiche sociali, con la tipica funzione di sensore dei bisogni e<br />

la capacità di stare nei processi, che significa imparare la difficile<br />

arte del promuovere, la sola ad arrivare a prevenire le cause che<br />

determinano le difficoltà.<br />

È quello che hanno voluto, saputo e potuto fare i non appartenenti<br />

a istituzioni, diversamente dai religiosi che a motivo di<br />

scadenze canoniche si trovano all’interno delle esperienze nel ruolo<br />

di persone in transito, mentre invece rimangono fissi gli operatori<br />

assunti per i quali non raramente il cambio della leadership è<br />

un’opportunità per far spazio a linee di indirizzo e di impegno a<br />

misura dell’interesse lavorativo.<br />

Non interpella il fatto che attorno ai vari don Ciotti, don Benzi<br />

... ecc , con mentalità non solo di servizio ma di politiche, si siano<br />

associati molti “condividenti” per lo più volontari, mentre attorno<br />

al religioso/a (ormai soli) ci siano quasi esclusivamente “dipendenti”<br />

e rari volontari?<br />

69


nuove «diaconie» per nuove schiavitù<br />

Ora, per i religiosi/e, una prospettiva di futuro possibile, sta<br />

nella scelta di spostare le tende verso settori ove maggiore è la domanda<br />

di “condivisione”, in particolare le povertà a cui nessuno<br />

risponde 3 . Il Consiglio d’Europa in un convegno internazionale 4<br />

ha indicato nei bisogni di relazione e di affettività le grandi emergenti<br />

povertà dalle quali scaturiscono le altre.<br />

È allora tempo di trasferire gli impegni da situazioni “di difesa”<br />

ad aree di “frontiera”, emancipandosi dalla soggezione culturale<br />

agli odierni orientamenti per poter reinterpretare la creatività<br />

della carità, espressa non solo negli impegni lavorativi ma nell’assunzione<br />

di coerenti “stili di vita”: si tratta di operare ma anche di<br />

interiorizzare e ricondurre ad unità alcune dimensioni del nostro<br />

vivere. In questo c’è il Vangelo narrato con la vita, piuttosto che<br />

nei “servizi” oggi inflazionati.<br />

Un recente censimento ISTAT riporta la cifra di oltre 220 mila<br />

organizzazioni non profit in Italia. In particolare, se un tempo gli<br />

istituti religiosi erano “scuole di spiritualità”, ora devono diventare<br />

“scuole di mistica”, vale a dire una spiritualità resa concreta<br />

e riscontrabile nelle scelte di vita, e nel contempo luoghi aperti ai<br />

laici, per rendere possibile la messa in comune di suggestioni e di<br />

utopie evangeliche che possano dare un futuro e un “di più” di<br />

senso a ciò che si fa e si è.<br />

La cui cultura dell’accoglienza, della condivisione, della solidarietà,<br />

necessita di continue ri-motivazioni, nascendo da un<br />

rilevante bisogno di ricerca di valori, significati della vita, senso<br />

della storia delle persone, il tutto da ricercare nei faticosi percorsi<br />

della quotidianità personale e collettiva, nell’interiorizzazione delle<br />

esperienze, nei necessari equilibri tra il fare e l’essere. Senza questo<br />

– l’attuale storia lo insegna – tutto si brucia in fretta.<br />

Nel recente passato le nostre speranze erano riposte nei «laici»;<br />

ora siamo testimoni che il termine “laico” è inclusivo di possibilità<br />

o di fallimenti a seconda di come si intende la parola laico e di<br />

quanto si è investito nella formazione carismatica di essi. Fortunati<br />

70<br />

3 Pasini.<br />

4 Charleroi, Belgio -1993.


coloro che hanno dei laici che condividono il “cuore” del carisma,<br />

ma di questi quanti sono in grado o disponibili ad accogliere la<br />

consegna delle nostre attività?<br />

«Il coinvolgimento di laici interessati al carisma dell’istituto –<br />

scrive p. Martinelli 5 – può essere utile, ma difficilmente rappresenta<br />

una risposta di lunga durata.<br />

La via da percorrere è quella di un’apertura intelligente a forme<br />

di collaborazione con realtà nuove e vive, siano esse movimenti<br />

ecclesiali laicali o nuove forme di vita consacrata».<br />

Queste espressioni fanno eco all’esortazione apostolica Ripartire<br />

da Cristo: «Dall’incontro e dalla comunione con i carismi antichi<br />

e nuovi, può scaturire un reciproco arricchimento» 6 . È tempo<br />

dunque di uscire dagli “spazi chiusi” per aprirsi al mutualismo<br />

collaborativo. Al punto in cui si è, l’incapacità di associarsi in funzione<br />

di un bene comune porta le attività dei religiosi/e a essere<br />

ad alto rischio.<br />

5 Testimoni n. 12/2011 P. Martinelli.<br />

6 RdC30.<br />

Rino Cozza, csj<br />

71


ViTa Della Chiesa<br />

Celebriamo, nel 2012, il bicentenario della nascita dell’oratorio<br />

del Beato Pavoni (1812-2012). Ci permettiamo di offrire uno scorcio<br />

comparato sull’oratorio di don Bosco, per vedere la sistematizzazione<br />

del suo pensiero pedagogico, molto vicino, peraltro, alle intuizioni<br />

del nostro Fondatore.<br />

il ProgeTTo-oraTorio Di Don bosCo<br />

Progetto operativo<br />

L’Oratorio di Don Bosco<br />

non si qualifica per le sole attività,<br />

ma per l’insieme di obiettivi,<br />

metodo e at tività, più un<br />

certo clima-ambiente che gli<br />

fornisce coloriture caratterizzanti.<br />

Le definizioni - quelle date<br />

occasionalmente da Don Bosco<br />

o da altri - risultano inadeguate<br />

a descrivere realtà e funzione di<br />

questa ‘dinamica e imprevedibile<br />

aggregazione giovanile’, che<br />

nell’arco di centoquarant’anni,<br />

in contesti mutati, si è rivelata<br />

duttile, feconda e viva. Le ragioni<br />

stanno nelle radici stori-<br />

72<br />

don Aldo Giraudo


che del progetto, nel suo essere nato dalla vita e non a tavolino,<br />

nella cultura e nella personalità stessa di Don Bosco.<br />

Pietro Braido, per indicare la totalità degli interventi messi in<br />

atto dal Santo a favore della salvezza della gioventù, preferisce<br />

usare l’espressione ‘progetto operativo’, formula sin tetica che<br />

permette di definire la realtà storica nella sua com pletezza, che<br />

non è solo pastorale o educativa o spirituale. In fatti Don Bosco<br />

si è mosso costantemente e coscientemente su due piani: sul piano<br />

dei fatti, innanzitutto, senza rinunciare al piano delle idee, di<br />

quadri storici di riferimento. Uomo attivo e pragmatico, egli è<br />

pervenuto di fatto a elaborare il suo progetto-Oratorio, mai,<br />

però, rinunciando a un quadro di riferi mento ideale, antropologico<br />

e teologico, come ‘supporto, più o meno riflesso, coerente e<br />

esauriente del progetto’.<br />

La convinzione dell’urgenza operativa fece da molla a tutta la<br />

vita di Don Bosco: ‘siamo in tempi in cui bisogna operare [...] – egli<br />

afferma – Il mondo attuale vuole vedere le opere, vuole vedere il<br />

clero lavorare a istruire e a educare la gioventù povera e abbandonata<br />

[...]. E questo è l’unico mezzo per salvare la povera gioventù<br />

istruendola nella religione e quindi di cri stianizzare la società’. ‘Ora<br />

i tempi sono cangiati, e quindi oltre al fervente pregare, conviene<br />

lavorare ed indefessamente lavorare, se non vogliamo assistere alla<br />

intera rovina della pre sente generazione’.<br />

L’operatività intelligente costituisce un primo elemento caratterizzante<br />

dell’Oratorio di Don Bosco.<br />

Progetto in divenire, nella fedeltà alla storia<br />

Il progetto-Oratorio coincide, dunque, con la vita stessa di Don<br />

Bo sco, con la sua multiforme e infaticabile azione; non è la rappresentazione<br />

di un copione predisposto, come ci potrebbe far<br />

credere una certa agiografia. È stato un crescere continuo di iniziative<br />

e di esperienze, stimolato da urgenze e bisogni, da spinte<br />

interiori ed esterne, religiose e sociali: ‘una formazione “storica”,<br />

faticosamente costruita nell’azione quotidiana’.<br />

È questa la seconda nota che specifica il progetto: fedeltà al<br />

contesto storico in cui si opera e alla realtà dei giovani de stinatari.<br />

Tale attenzione ha conferito all’Oratorio di Don Bosco una<br />

carica dinamica tale da renderlo, ‘al di là di talune rigidità contin-<br />

73


genti, [...] “sistema aperto”, pro-attivo e non re-attivo; capace, quindi,<br />

di mantenere l’equilibrio interno di for ma e di ordine e, nello<br />

stesso tempo, di crescere in complessità e differenziazione di parti<br />

verso equilibri più avanzati, che consentono un rapporto transazionale<br />

con l’ambiente sempre più intenso ed arricchente’.<br />

Quando nella storia si è dimenticata tale attenzione per rinchiudersi<br />

in formule rigide, in schemi ripetitivi, l’Oratorio ha perso la<br />

sua freschezza ed è andato incontro a una irrimedia bile decadenza<br />

e conseguente sterilità.<br />

Progetto globale di intervento<br />

La terza nota caratterizzante dell’Oratorio, così come Don Bosco<br />

lo ha realizzato, è la globa lità di intervento. Il fatto di trovarsi<br />

di fronte a giovani to talmente bisognosi lo ha spinto a offrire loro<br />

tutto ciò di cui necessitavano ‘per vivere con pienezza la loro esistenza<br />

umana e cristiana: fede operosa, grazia, vestito, vitto, alloggio,<br />

lavo ro, studio, tempo libero, gioia, cameratismo, amicizia, partecipazione,<br />

attivismo, inserimento sociale’. Il Santo, di fatto, ‘ha realizzato<br />

e prospettato con chiarezza le linee di un piano di azione, di<br />

un metodo e di uno “stile”, caratterizzati dalla tensione a promuovere<br />

la massima espansione umana e religiosa, individuale e sociale,<br />

dei giovani, con la cura di salvaguardare, insieme alla totalità, la<br />

gerarchia dei valori: dalla sopravvi venza fisica all’esistenza di Dio,<br />

dalla cultura al tempo libero, dall’integrità morale alla disponibilità<br />

comunitaria’.<br />

Anche quando le istituzioni si sono diversificate (collegi, scuole<br />

professionali, missioni), Don Bosco ha voluto che l’Orato rio<br />

festivo mantenesse la sua globalità di proposta, la sua unità e articolazione<br />

originale. Questa sola, infatti, evita la setto rializzazione,<br />

l’ipertrofia di un tratto a scapito degli altri. Quando ciò avviene si<br />

assiste alla perdita dell’identità origina le e ‘nascono così gli Oratori<br />

“ludici-sportivi”, e, per rea zione, quelli “catechistici”, quelli “associazionistici”,<br />

quelli “movimentisti di quartiere”, quelli che si propongono<br />

“casa della comunità”’.<br />

Indichiamo le coordinate essenziali che conferiscono al pro getto<br />

le caratteristiche di una proposta globale.<br />

74


*La ‘salvezza’ della gioventù<br />

è il cuore, lo scopo<br />

principale che sostiene tutta<br />

l’azione di Don Bosco, il quale<br />

‘costruisce se stesso, logora<br />

se stesso e si getta allo sbaraglio<br />

perché si sen te nella trama<br />

di Dio salvatore’.<br />

La salvezza è primariamente<br />

quella eterna, la ‘salvezza dell’anima’; ma queste ‘anime’ da<br />

salvare erano i suoi poveri ra gazzi, vittime della miseria, dell’ignoranza,<br />

del male. Impegnar si per la loro salvezza significò battersi a<br />

livello educativo, pastorale e sociale. Don Bosco si sentì chiamato<br />

per questo, ne percepì l’urgenza e si slanciò in un’azione intensamente<br />

missio naria. Non si accontentava che al suo Oratorio arrivassero<br />

i gio vani per attrazione spontanea, si preoccupava di raggiungerli<br />

e incontrarli dove essi si trovavano fisicamente e<br />

psicologicamen te. ‘Il movimento è sempre verso le frontiere e i<br />

margini reli giosi, sociali e umani, con lo sguardo rivolto a coloro che<br />

le istituzioni regolari non prendono in considerazione, senza escludere,<br />

anzi invitando gli altri. [L’Oratorio] È per tutti, non rivolto<br />

agli speciali dal punto di vista dell’eccellenza o della devianza, ma al<br />

povero comune nel quale sono vive le risorse per accogliere una proposta<br />

di recupero e crescita’.<br />

Dalla tensione salvifica globale scaturisce il tratto della missionarietà<br />

religiosa e sociale, uno dei più marcati e nitidi del primo<br />

Oratorio di Don Bosco.<br />

‘Uno dei mezzi principali per accrescere il numero dei suoi ragazzi<br />

– scrive il suo biografo – fu quello di andarli a cercare sulle piazze,<br />

nelle strade, lungo i viali [...]. Passando innanzi alle officine<br />

nell’ora del riposo o della colazione non si peri tava di avanzarsi dove<br />

scorgeva in crocchio molti di quei giovani apprendisti, e dopo averli<br />

cordialmente salutati, domandava di qual paese fossero, come si<br />

chiamasse il loro parroco, se fossero ancor vivi i genitori, quanto<br />

tempo era che avessero cominciato ad apprendere quel mestiere [...].<br />

La parte vicino a Porta Palaz zo brulicava di merciai ambulanti, di<br />

venditori di zolfanelli, di lustrascarpe, di spazzacamini, di mozzi di<br />

stalla, di spacciatori di foglietti, di fasservizi ai negozianti sul merca-<br />

75


to [...]. Non avendo appresa alcuna professione, crescevano amanti<br />

dell’ozio e del giuoco, dati al furto di borse e fazzoletti [...]. Don<br />

Bosco adunque tutte le mattine recavasi su questa piazza, ove egli<br />

ave va già fatta conoscenza con un certo numero di que’ giovani, fin<br />

da quando l’Oratorio festivo era stato per qualche mese trasferi to dal<br />

Rifugio alla chiesa dei Molini. Incominciò a intrattenersi con qualcuno<br />

di que’ garzoni prima col pretesto di chiedere qual che indicazione<br />

di via, o di farsi lucidare le scarpe; e quindi allorché passava<br />

vicino ad essi, li salutava [...]. A poco a poco li conobbe tutti per<br />

nome e parlava loro colla dimestichezza che un padre usa coi propri<br />

figli, della necessità di guadagnarsi il paradiso’.<br />

* L’espressione che più ricorre negli scritti e nelle parole di Don<br />

Bosco per descrivere l’obiettivo della sua azione educativa e pastorale<br />

è ‘buoni cristiani e onesti cittadini’, che negli ulti mi decenni<br />

della sua vita si va specificando in riferimento all’ampliato orizzonte<br />

della sua opera, protesa alla rigenerazio ne della società mediante<br />

l’educazione, la prevenzione e il recu pero dei giovani abbandonati:<br />

‘Se una mano benefica li strappa per tempo dai pericoli, li avvia<br />

a una carriera onorata, e li forma alla virtù per mezzo della religione,<br />

essi si fanno capaci di giovare a sé e agli altri, diventano buoni cristiani,<br />

savii cittadini, per divenire un giorno fortunati abitatori del<br />

cielo’.<br />

Dunque si tratta di un modello di uomo e di cristiano che è<br />

sintesi del credente tradizionale e del cittadino dell’ordine nuovo,<br />

in cui la centralità della fede cristiana e del trascen dente vanno<br />

uniti ad una schietta valutazione delle realtà tempo rali e dei valori<br />

secolari. Spiccano, poi, tra gli altri tratti fisionomici quelli della<br />

gioia, dell’umanità cordiale, della correttezza morale, della forte<br />

tensione spirituale.<br />

Per contro il modello di società che Don Bosco lascia tra sparire<br />

è quello vetusto della societas christiana, in cui domi nava ‘l’ideale<br />

dello stato confessionale e una società stratifi cata e ordinata, dove<br />

fiorivano il rispetto per le autorità, l’a more alla fatica, il diritto di<br />

proprietà; e le dottrine cattoli che e morali e il santo timor di Dio costituivano<br />

il principio fondante della fraterna e pacifica convivenza di<br />

tutti’. È questo l’aspetto più storicamente condizionato e caduco<br />

che, tut tavia, esercita un’intensa funzione ispiratrice e, d’altra par-<br />

76


te, per il riferimento costante di Don Bosco alla realtà concreta,<br />

viene praticamente superato in nuove visioni pragmatiche.<br />

Quanto al modello di Chiesa, Don Bosco condivise in tutto<br />

l’ecclesiologia del suo tempo. Alla Chiesa, Cattolica, Apostoli ca,<br />

Romana, egli aderì con senso di rispetto, docile obbedienza e<br />

amore. La sentì, nella sua realtà divina, nelle sue istituzioni, nella<br />

sua gerarchia, nei suoi sacramenti, unica arca di salvezza, luogo in<br />

cui si opera una continua esplosione del divino, dove fioriscono le<br />

virtù, la santità e i miracoli. Salvare la gioventù significava per lui<br />

spalancare le porte della Chiesa: portare i giovani alla Chiesa o<br />

avvicinare la Chiesa ai giovani, quando le istituzioni risultassero<br />

distanti e rigide.<br />

Il suo Oratorio divenne per molti ragazzi luogo di esperien za e<br />

di mediazione ecclesiale.<br />

* L’ambiente oratoriano fu per Don Bosco, innanzitutto, luogo<br />

di educazione alla fede. Nel suo programma, dunque, la dimensione<br />

religiosa mantiene il primato, ne costituisce il fondamento e<br />

l’orizzonte in cui operare per la gioventù. La religione è ele mento<br />

educativo inderogabile, come fine e come mezzo per la sus sistenza<br />

del senso etico e l’attuazione della salvezza eterna e temporale.<br />

Le celebrazioni liturgiche, i sacramenti, la preghiera comunitaria<br />

e quella personale, hanno lo scopo di coltivare nei gio vani<br />

la dimensione trascendente, infondere in essi il timore di Dio,<br />

educarli ad una abituale vita di grazia e di unione amorosa con il<br />

Signore da cui scaturiscano motivazioni interiori, energie di impegno<br />

operativo e tensione spirituale.<br />

‘Ma la partecipazione personale alla vita religiosa e la ma turazione<br />

nell’impegno morale suppongono fede illuminata, consa pevole, impossibile<br />

senza una sistematica opera di istruzione e di riflessione.<br />

Molti sono gli strumenti che a questo scopo mette in atto Don Bosco:<br />

la catechesi storica e dottrinale, la cultura religiosa sotto forma di<br />

vera scuola, la predicazione (in genere didascalica, semplice e concreta),<br />

la meditazione e la lettura spirituale. Trovano pure spazio nella<br />

pedagogia della fede espli cite forme di testimonianza pubblica e di<br />

massa: le solenni cele brazioni religiose, la partecipazione organizzata<br />

ai riti litur gici di gruppo particolari (Piccolo Clero, Cantori, Compagnie),<br />

pellegrinaggi a chiese e Santuari’.<br />

77


* Don Bosco curò con attenzione, non solo strumentale, altri<br />

elementi che conferiscono all’Oratorio una fisionomia caratteristica<br />

di centro giovanile vivo e attraente, ispirato da un umane simo<br />

cristiano mirante all’educazione integrale dei giovani, alla loro<br />

formazione morale e culturale. Le attività ricreative di ogni genere,<br />

le associazioni, l’espressione teatrale e musicale, le escursioni, le<br />

convivenze estive, le varie forme di scuola, sono esperienze che<br />

solo apparentemente stanno in secondo piano rispetto alla formazione<br />

cristiana e alla maturità spirituale: per il santo educatore<br />

costituiscono espressioni talmente quali ficanti da superare la mera<br />

funzione metodologica e strumentale.<br />

Questa preoccupazione di integralità formativa, perseguita attraverso<br />

attività diverse e complementari, venne tradotta da Don<br />

Bosco in facili formule sintetiche che proponeva ai suoi gio vani o<br />

utilizzava nel far conoscere lo scopo della sua opera: ‘allegria, studio,<br />

pietà’; ‘sanità, sapienza, santità’; ‘lavoro, religione, virtù’; ‘lavoro,<br />

istruzione, umanità’.<br />

* L’importanza della vocazione personale, da scoprire e da seguire,<br />

è un altro dei temi sottolineato con più forza: ognuno, insegna<br />

Don Bosco, è chiamato ad occupare un posto ben preciso<br />

nella storia; per questo ha ricevuto da Dio doti, attitudini e opportunità<br />

di cui deve rendere conto. Nell’Oratorio il giovane viene<br />

educato all’urgenza della scelta vocazionale, e aiutato a maturarla<br />

con la direzione spirituale e la progressiva assunzione di responsabilità<br />

negli ambienti di vita quotidiana. La cura vo cazionale, infatti,<br />

avviene attraverso il coinvolgimento nell’a zione pastorale in<br />

compiti diversificati, dalla catechesi alla vigilanza sulle attrezzature<br />

di gioco, dalla scuola all’interes samento per i compagni più bisognosi,<br />

all’animazione delle ri creazioni. A questo scopo sono<br />

anche mirate le varie associazioni oratoriane.<br />

* Dalla fondazione fin verso gli anni Venti del nostro secolo<br />

l’Oratorio fu frequentato prevalentemente da ragazzi e giovani<br />

lavoratori o figli di operai. Il servizio di istruzione tramite le scuole<br />

diurne elementari e quelle serali ‘di commercio e di musica’ fu<br />

una necessità per molti decenni e conferì all’Ora torio un’importante<br />

funzione di animazione culturale e di forma zione morale.<br />

78


Infatti veniva raccomandato: ‘Si insegni pure la scienza e la letteratura,<br />

ma non si dimentichi mai l’essenziale, che è l’istruzione religiosa<br />

e la pratica della virtù’.<br />

A cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, verso la fine della vita<br />

di Don Bosco, vennero inserite nell’Oratorio anche le ‘Scuole di<br />

Religione’, per gli studenti, e la ‘Classe adulti’ per i giovani operai<br />

e vari Circoli Giovanili. In essi venivano ap profondite tematiche<br />

catechistiche in chiave culturale ed etica.<br />

In ogni Oratorio, poi, accanto all’attività scolastica e ca techistica,<br />

si istituiva sempre una ‘Biblioteca circolante’ co stituita da ‘una<br />

piccola scelta di libri utili ed ameni da di stribuirsi ai giovani, che<br />

desiderano, e che fanno sperare di fa re qualche profitto’. Più tardi,<br />

specialmente con lo sviluppo del Movimento Cattolico, vi si collocarono<br />

anche giornali, perio dici e collane di Amene letture.<br />

La cura e l’attenzione per il primo inserimento dei giovani nel<br />

mondo del lavoro, che caratterizzava gli albori dell’Oratorio di Don<br />

Bosco, continuò ad essere una preoccupazione tipica dell’Oratorio<br />

festivo, in forme diverse, fino a tempi non molto remoti. Il compito<br />

di ‘trovar lavoro’ e verificarne le condizio ni, fu presto affidato<br />

da Don Bosco a gruppi di laici, chiamati nel primitivo Regolamento<br />

‘Patroni o Protettori’, e in seguito svolto dai Cooperatori Salesiani<br />

i quali, ogni domenica ‘prima che gli allievi si rechino alle rispettive<br />

famiglie [...], si fanno a ricercar quelli che non avessero<br />

lavoro e procurano di collocarli presso qualche onesto padrone’.<br />

Spesso, negli Ora tori dei grandi centri, a cavallo tra i due secoli,<br />

l’attività si istituzionalizzò in appositi ‘Uffizi di Collocamento’,<br />

collegati con le Unioni Operaie Cattoliche locali.<br />

L’interessamento per il posto di lavoro e per una qualifica zione<br />

professionale, che ha dato vita ai laboratori e alle scuole professionali<br />

salesiane, si è sviluppato in Don Bosco anche in linea morale<br />

e religiosa, con una vera spiritualità del lavoro e dei lavoratori.<br />

*Il progetto oratoriano di Don Bosco si caratterizza, infine, per<br />

una spiccata attenzione non solo ai bisogni, ma anche ai gu sti, alle<br />

preferenze, ai valori immediatamente percepiti dai gio vani e dalle<br />

classi popolari. Il clima di cordiale amicizia, la convivenza familiare,<br />

il rapporto paterno e fraterno, le feste religiose rallegrate dalla<br />

corale in chiesa e dalla banda in cor tile, le processioni, i diverti-<br />

79


menti popolareschi con fuochi d’artificio, le farse e i drammi, i<br />

canti allegri sul far della sera, le rumorose scampagnate-pellegrinaggio<br />

con merenda sui pra ti... richiamavano ai ragazzi il calore<br />

dell’ambiente familiare e paesano. Le stesse ‘devozioni’, alcune<br />

tematiche religiose ed etiche privilegiate e soprattutto il linguaggio<br />

usato nei contat ti personali, nelle conversazioni di gruppo, nelle<br />

istruzioni re ligiose, poggiavano su una base comune che rendeva<br />

l’intesa imme diata e la proposta educativo-pastorale significativa.<br />

elementi di metodo<br />

Don Bosco, nella sua<br />

ricca attività di educatore e<br />

di pasto re dei giovani, ha<br />

elaborato un sistema educativo,<br />

un ‘metodo’ pedagogico-pastorale<br />

molto articolato.<br />

Elenchiamo gli aspetti<br />

me todologici che ci sembrano<br />

scaturire immediatamente<br />

dall’espe rienza<br />

dell’Oratorio.<br />

L’impegno di Don Bosco<br />

e dei collaboratori<br />

L’attenzione so ciologica e pedagogica rivolta all’Oratorio non<br />

deve farci dimen ticare l’ispirazione di fondo, senza la quale ogni<br />

rappresenta zione è ridotta o tradita. Il nucleo pulsante è la spiritualità<br />

di Don Bosco, la sua esperienza del divino, l’adesione generosa<br />

e senza limiti ad una vocazione che lo cala nel tessuto della<br />

sto ria come missionario dei giovani. Egli si sente chiamato da Dio<br />

e questa consapevolezza lo determina a consacrarsi senza riserve,<br />

a mettere le proprie doti, il proprio tempo, l’esistenza intera a<br />

servizio della missione educativa e pastorale. Senza questo atteggiamento<br />

l’Oratorio non sarebbe mai nato o non avrebbe potuto<br />

essere quello che è stato.<br />

Dall’analisi storica dei fatti e degli enunciati ‘sembra do versi<br />

ricavare, al di là dei “principi”, la forza di una testi monianza, colta<br />

80


nelle sue origini e nei suoi sviluppi: una espe rienza che è a sua volta<br />

sintesi vitale in Don Bosco di vocazione religiosa, di passione e autentica<br />

benevolenza, di carità, di grazia, non scompagnate da intelligenza<br />

e da eccezionali capacità organizzative e di aggregazione’.<br />

L’Oratorio, come Don Bosco lo ha vissuto e insegnato, non è costituito<br />

principalmente da strutture e iniziative: è innanzitutto un<br />

atteggiamento interio re, spirituale e psicologico, un’ascesi, da cui<br />

scaturiscono ze lo, pazienza, costanza, spirito di sacrificio e ogni<br />

altra risor sa necessaria.<br />

Per ‘fare’ l’Oratorio si richiede una dedizione totale, sen za dilettantismi,<br />

un coinvolgimento globale.<br />

A questo spirito attinsero i discepoli e i giovani collabo ratori<br />

del Santo. Don Michele Rua disse un giorno a un salesiano che<br />

inviava per iniziare un Oratorio: ‘Colà non v’è nulla, neppu re il<br />

terreno e il locale per radunare i giovani, ma l’Oratorio festivo è in<br />

te: se sei vero figlio di Don Bosco, troverai bene dove poterlo piantare<br />

e far crescere in albero magnifico e ricco di bei frutti’.<br />

Amore dimostrato e percepito come supremo principio pedagogi co<br />

Descrivendo il suo sistema educativo Don Bosco afferma: ‘Questo<br />

sistema si appoggia tutto sopra la ragione, la religione e sopra<br />

l’amorevolezza’; e ancora: ‘La pratica di questo sistema è tutta appoggiata<br />

sopra le parole di S. Paolo che dice: Charitas benigna est,<br />

patiens est; omnia suffert, omnia sperat, omnia su stinet. La carità<br />

è benigna e paziente; soffre tutto, ma spera tutto e sostiene qualunque<br />

disturbo’.<br />

L’amorevolezza sta al centro di tutto, è sinonimo di carità e di<br />

affetto, e si specifica nella personalità e nell’opera del Santo per<br />

una particolare nota di calore, per il suo essere ‘amo re dimostrato’:<br />

in atteggiamenti di confidenza e familiarità, in apprezzamento<br />

sincero delle cose che i giovani amano, delle loro giuste richieste.<br />

Un tale amore, se percepito, spazza via ogni ostacolo e<br />

costituisce un canale privilegiato di educazione e di proposta di<br />

valori, perché parla il linguaggio del cuore e con quista i cuori dei<br />

giovani.<br />

Questo tratto è la caratteristica di tutte le opere di Don Bosco,<br />

ma più che altrove essa costituisce il vincolo insostitui bile dell’Oratorio:<br />

come amore dalle forti motivazioni morali, religiose e so-<br />

81


ciali, ma anche tradotto in un clima di ‘umana e tangibile amorevolezza,<br />

carità che appare, si manifesta e diventa così mezzo umano<br />

di attrazione e di conquista’.<br />

Il principio ispiratore e unificatore della carità educativa suggerisce,<br />

poi, ed alimenta, una serie di scelte metodologiche, alle quali<br />

si è già in parte accennato in quanto strettamente correlate all’identità<br />

stessa dell’Oratorio.<br />

* Pedagogia dell’accoglienza e della presenza. La persona del<br />

ragazzo è accolta e amata com’è e per quel che è, con i suoi li miti<br />

e le sue potenzialità, ed è valorizzata. Il saluto, il dia logo cordiale,<br />

la condivisione del gioco e dei problemi quotidia ni, la capacità di<br />

ascolto, la disponibilità paziente ad ogni ri chiesta: sono atteggiamenti<br />

in cui si concretizza l’accogliente carità. Nell’Oratorio festivo<br />

questo avviene anche con la costan te presenza di Don Bosco e<br />

dei collaboratori in mezzo ai giovani, particolarmente nei momenti<br />

di ricreazione. ‘Famigliarità con i giovani specialmente in ricreazione<br />

- insegna il Santo -. Senza famigliarità non si dimostra l’amore<br />

e senza questa dimostrazione non vi può essere confidenza [...].<br />

Gesù Cristo si fece piccolo coi piccoli e portò le nostre infermità.<br />

Ecco il maestro della famigliarità. Il maestro visto solo in cattedra è<br />

maestro e non più, ma se va in ricreazione coi giovani diventa come<br />

fratello. Se uno è visto solo predicare dal pulpito si dirà che fa ne più<br />

ne meno del proprio dovere, ma se dice una parola in ricreazione è<br />

la parola di uno che ama’.<br />

* Pedagogia familiare e di ambiente. L’Oratorio, nato come<br />

ca sa per chi era solo e abbandonato, conservò il carattere di grande<br />

famiglia. L’amorevolezza crea ambienti sereni, un’atmosfera di<br />

immediata confidenza tra i giovani e gli educatori, di amicizia tra<br />

i giovani stessi, tra le diverse fasce di età, di solidarietà tra tutti.<br />

I punti forti della comunità oratoriana erano il ‘diretto re’ e i<br />

collaboratori, adulti e giovani. Don Bosco direttore dell’Oratorio<br />

non fu solo un organizzatore, ma soprattutto colui che conosceva<br />

i giovani personalmente, con i loro problemi, e sa peva parlare al<br />

loro cuore. I collaboratori adulti (ecclesiastici e laici) e giovani<br />

erano scelti con cura per le loro doti perso nali, la maturità umana<br />

e il livello di esemplarità e di vita spirituale; avevano la responsa-<br />

82


ilità di determinate attività ed insieme il compito di arricchire<br />

l’ambiente con presenze signi ficative e amichevoli.<br />

Tutto l’Oratorio diventa così ambiente educativo, veicolo di<br />

valori, clima di crescita. Un ambiente che ‘parla’ ai giovani attraverso<br />

una molteplicità di linguaggi: non solo, quindi, quello<br />

verbale, della catechesi e dell’esortazione omiletica, ma quello<br />

della comunicazione affettiva che sa mettersi in sintonia con i vari<br />

codici linguistici preferiti dai giovani.<br />

Lo stile di famiglia diventa anche struttura, definita organizzazione<br />

di rapporti e di ruoli. I Regolamenti stilati da Don<br />

Bosco ci dimostrano che ‘la pedagogia dell’amorevolezza non è debole,<br />

tenera, approssimativa, ma forte, ordinata, disciplinata, formatrice<br />

di uomini seri e di cristiani di carattere’.<br />

* Pedagogia del coinvolgimento e della responsabilizzazione.<br />

Nella comunità oratoriana i giovani non sono trattati da semplici<br />

fruitori di iniziative proposte dagli educatori. Essi costitui scono<br />

una componente principale, sono stimolati alla partecipa zione<br />

attiva sia nella costruzione della propria personalità, sia nella costruzione<br />

dell’ambiente. Don Bosco sa che i giovani sono i migliori<br />

educatori dei loro coetanei. In ogni attività ed àmbi to, dalla<br />

chiesa al cortile, dalla formazione all’espressione, sono tutti coinvolti<br />

attivamente e responsabilizzati progressiva mente: giochi per<br />

tutte le età e abilità fisiche, ruoli diversi ficati nella preghiera e<br />

nella liturgia (cantori, chierichetti, incaricati dei libri, sacrestani),<br />

uffici facili e impegnativi distribuiti e coordinati. Ognuno, dal più<br />

piccolo al più grande, si sente valorizzato. Altre responsabilità,<br />

condivise con i più maturi, sono di carattere più confidenziale:<br />

accostare i più ti midi, inserire quelli che si emarginano, correggere<br />

o recuperare i ‘discoli’ con l’amicizia, arrivare là dove il sacerdote<br />

non può o non è accolto. Il cammino di coinvolgimento non<br />

vuole escludere alcuno, e si adatta alle capacità dei singoli, ma<br />

porta i più do tati ad una crescente tensione missionaria e spirituale.<br />

Don Bo sco non teme di proporre anche mete ambiziose: l’impegno<br />

sociale-apostolico e la santità.<br />

* Pedagogia della festa e della gioia. È uno degli elementi più<br />

vistosi dell’Oratorio, a cui si è già accennato più volte. Dal punto<br />

83


di vista metodologico notiamo che, nella mente e nella prassi di<br />

Don Bosco, la festa e le attività espressive ad essa connesse non<br />

sono lasciate allo spontaneismo e all’improvvisazio ne. Le feste<br />

sono accuratamente dislocate lungo tutto l’anno ora toriano come<br />

tappe di un cammino formativo. La preparazione remo ta comporta<br />

settimane e mesi di lavoro serio per tutte le compo nenti oratoriane;<br />

quella prossima valorizza gli stimoli spiritua li, morali e catechistici.<br />

A Valdocco la musica vocale e strumen tale, ad esempio,<br />

veniva curata con prove settimanali, affidata a maestri ben preparati,<br />

e portava i giovani a livelli di qualità notevoli. Così anche la<br />

recitazione, che si proponeva di ‘ralle grare, educare ed istruire’, non<br />

si limitava allo spontanei smo creativo e alla semplicità popolaresca,<br />

pur senza escluderli; si trattava di una vera scuola di recitazione,<br />

occasione di cul tura e di elevazione morale, con la scelta di buoni<br />

autori, un ventaglio di proposte dal genere storico a quello didascalico<br />

e classico, e il rigore della messa in scena.<br />

I ritiri, le confessioni, le novene e i tridui che prepara vano le<br />

feste - sapientemente dosati con le attività ricreative e formative -<br />

costituivano un costante stimolo spirituale.<br />

La pedagogia della gioia, inoltre, stimolò Don Bosco ad accumulare<br />

un repertorio vastissimo di giochi e attività ricreati ve.<br />

‘Ogni domenica una novità’ - si diceva nel vecchio Oratorio salesiano<br />

- per rendere vivace l’ambiente, stimolare la parteci pazione,<br />

coinvolgere emotivamente e psicologicamente i giovani.<br />

* Pedagogia di massa e di gruppi. Il carattere popolare e missionario<br />

dell’Oratorio di Don Bosco, la scelta preferenziale dei<br />

giovani poveri, ne fanno uno spazio di convocazione più ampio<br />

della comune pastorale giovanile di parrocchia o di associazione.<br />

Fin dai primi anni l’Oratorio di Don Bosco si è sempre caratterizzato<br />

per la pedagogia e la pastorale di massa. Un lavoro dif ficile,<br />

se si vogliono raggiungere risultati soddisfacenti. Don Bosco è riuscito<br />

con una presenza personale continua e diretta nella massa,<br />

con il coinvolgimento di tanti collaboratori, la suddivisione ordinata<br />

di compiti e ruoli, la formazione di un am biente propositivo.<br />

Ma una delle strategie più efficaci è stata la creazione di gruppi ed<br />

associazioni, che gli ha permesso di offrire contenuti qualificati e<br />

maggiori stimoli di crescita ai più recettivi e, simultaneamente,<br />

84


trovare collaborazione efficace per l’animazione della massa e<br />

l’intensificazione dei rapporti. Le Compagnie non erano suddivisione<br />

per fasce d’età o gruppi di interesse, né i giovani erano tenuti<br />

ad inserirsi in alcuna di esse. Si trattava di proposte formative<br />

libere, riservate a po chi, a quelli che potevano affrontare un cammino<br />

formativo più intenso e davano garanzie di efficace inserimento<br />

apostolico nell’ambiente.<br />

La riuscita della proposta educativa dell’Oratorio di Don Bosco<br />

stava anche in questo indovinato equilibrio tra cura della grande<br />

massa e formazione di gruppi scelti.<br />

85


noTiZie<br />

saiano, 1° aprile 2012<br />

Inaugurazione della “rivisitata” stanza del Beato transito del padre<br />

Fondatore. Eucaristia alle ore 10.00.<br />

brescia - saiano, 31 marzo 2012<br />

13ª Camminata Pavoniana, da Brescia al colle di Saiano.<br />

brescia, 18 marzo 2012<br />

Nella Chiesa di Sant’Agata verrà presentato l’oratorio musicale<br />

“Lodovico Pavoni, diario di Dio”, del M° Tessadrelli.<br />

lonigo, 17-18 marzo 2012<br />

Corso di formazione per gli educatori. Tema: “Non solo storie...<br />

ma narrare e intrecciare i significati” - Relatore sarà Gustavo Mejía<br />

Gómez.<br />

lonigo, 11-12 febbraio 2012<br />

4° incontro della Famiglia pavoniana. Tema unificante è stato<br />

quello della “cura”, in quanto modalità autentica di condurre l’esistenza.<br />

P. Magoni ha svolto il capitolo della “cura”, con una<br />

carrellata da Heidegger a Battiato; lo scrittore Paolo Gulisano ha<br />

parlato dell’arte del guarire, presentando il suo libro omonimo<br />

edito dall’Àncora e offrendo la risorsa del ‘sorriso’ quale modalità<br />

terapeutica. Ottime le testimonianze della prof.ssa Broggi e della<br />

famiglia Aliverti sulla loro cura in campo scolastico ed educativo.<br />

86


aVVisi<br />

1. eserCiZi sPiriTUali esTiVi<br />

• Ponte di Legno (23 cena - 29 luglio 2012 dopo pranzo)<br />

Dentro il Corso di Formazione permanente – Posti disponibili:<br />

37 (compresi i partecipanti alla FP).<br />

Predicatore: p. ERNESTO DEZZA (ofm)<br />

• Lonigo (26 agosto cena – 1° settembre 2012 dopo Eucaristia<br />

del mattino)<br />

Predicatore: Biblista ANTONELLA ANGHINONI<br />

2. TUrnaZione a saiano Per l’anno 2012<br />

Associazioni Ex Allievi con comunità pavoniane<br />

BRESCIA domenica 1°aprile (apertura con s. Messa ore 10.00 -<br />

pomeriggio 15.00-18.00)<br />

MONZA domenica 6 maggio (apertura ore 9.00 - s. Messa ore 11)<br />

GENOVA domenica 3 giugno (apertura ore 10.00 - s. Messa ore 11)<br />

TRENTO domenica 1° luglio (apertura ore 9.30 - s. Messa ore 11)<br />

PAVIA domenica 5 agosto (apertura 9.30 - s. Messa ore 11)<br />

MILANO domenica 2 settembre (apertura ore 9.30 - s. Messa ore 11)<br />

BRESCIA domenica 7 ottobre (pomeriggio 15.00-18.00)<br />

87


3. 13 ª CaMMinaTa PaVoniana<br />

88


4. PasQUa gioVani: 5 – 8 aprile 2012 (v. locandina)<br />

89


90<br />

5. logo del gioFesT – brescia, 4 maggio 2012


1987<br />

1982<br />

1972<br />

1962<br />

1952<br />

1947<br />

ANNIVERSARI DEI RELIGIOSI PAVONIANI NEL 2012<br />

25° di Professione<br />

Padre<br />

30° di Professione<br />

Padre<br />

Padre<br />

40° di Professione<br />

Padre<br />

Padre<br />

Padre<br />

Padre<br />

Fratello<br />

Padre<br />

Padre<br />

FRISON ANTONIO<br />

FEDRE GIULIANO<br />

50° di Professione<br />

Fratello<br />

Fratello<br />

Padre<br />

60° di Professione<br />

Padre<br />

Fratello<br />

Fratello<br />

Fratello<br />

65° di Professione<br />

Padre<br />

Fratello<br />

Fratello<br />

MATEOS RODRÍGUEZ MAURO<br />

BANDOLINI ERMENEGILDO<br />

GIORDANI SAVERIO<br />

MATTEVI WALTER<br />

TARTER GIORGIO<br />

OSLER ELIO<br />

GARCÍA DE ANTONIO JOSÉ ANT<br />

HUERTA VELASCO GREGORIO<br />

FRASSON ALBERTO MARCELLO<br />

GHIDONI CESARE VINCENZO<br />

COPRENI ALDO<br />

CRISCIOTTI GABRIELE<br />

COLOMBINI COSTANTINO<br />

FRISMON REMO<br />

VICENZI MARINO<br />

MALGARI PIETRO<br />

PEDUCCI LUIGI<br />

QUESTA RINO<br />

25° di Ordinazione<br />

30° di Ordinazione<br />

Padre<br />

Padre<br />

40° di Ordinazione<br />

Padre<br />

Padre<br />

Padre<br />

Padre<br />

CASIRAGHI ELIO<br />

50° di Ordinazione<br />

Padre<br />

Padre<br />

Padre<br />

Padre<br />

60° di Ordinazione<br />

Padre<br />

65° di Ordinazione<br />

MAGONI GIOVANNI BATTISTA<br />

RINALDI GIUSEPPE<br />

CIOCCHI PIERLUIGI<br />

VITALI VITTORIO GAUDENZIO<br />

MONTANI GIACOMO ANGELO<br />

CLESSI CARLO<br />

PENNATI GIOVANNI ALESSANDR<br />

VARINACCI RENATO<br />

MEDICI SEVERINO<br />

BOTTO PIERINO<br />

91


92<br />

1942<br />

1937<br />

1932<br />

1927<br />

1922<br />

1922<br />

1917 1922<br />

70° di Professione<br />

Padre<br />

Fratello<br />

PAGANI GIOVANNI<br />

CRISTOFORI ERMINIO<br />

75° di Professione<br />

80° di Professione<br />

85° di Professione<br />

90° di Professione<br />

70° di Ordinazione<br />

75° di Ordinazione<br />

80° di Ordinazione<br />

85° di Ordinazione<br />

90° di Ordinazione<br />

95° di Professione 95° di Ordinazione


Un salUTo Dal bUrKina Faso<br />

Dal “Centre Effatà Ludovic Pavoni” di Ouagadougou<br />

un caro saluto!<br />

P. Flavio, p. Pierre Michel, Paola Garbini Siani, Cébastien<br />

e la moglie Madeleine<br />

ci sorridono dalla sala pranzo della Comunità religiosa.<br />

Un piccolo brindisi per bagnare gli inizi della missione con i sordi.<br />

Il Pavoni ci sostenga!<br />

93


94<br />

Scorcio sull’avanzamento dei lavori.


inDiCe<br />

Lettera del Superiore provinciale ..................... pag. 1<br />

Dai Verbali del Consiglio provinciale. ................... » 5<br />

Atti del Consiglio provinciale ........................ » 5<br />

Vita della Congregazione ............................. » 11<br />

Programmazione provinciale 2° triennio (2100-2014) ..... » 11<br />

La “qualità” di padre Pavoni (G. Rossi) ................ » 21<br />

Famiglia pavoniana: la testimonianza<br />

di Francesco e Carla Aliverti. ........................ » 46<br />

Aggiornamenti pedagogici ............................ » 57<br />

La “cura”: agire in modo donativo (Luigina Mortari) ..... » 57<br />

Temi di vita consacrata ............................... » 65<br />

I religiosi che operano nel sociale (R. Cozza) ............ » 65<br />

Vita della Chiesa .................................... » 72<br />

Il progetto-oratorio di Don Bosco (A. Giraudo). .......... » 72<br />

Notizie ............................................ » 86<br />

Avvisi ............................................. » 87<br />

Anniversari ........................................ » 91<br />

Un saluto dal Burkina Faso. ........................... » 93<br />

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