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Scopriamo Gussago - Gussago News

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COMUNE DI GUSSAGO


Provincia di Brescia<br />

Autori:<br />

Fulvio Schiavone (Insegnante di Geologia e Scienze naturali),<br />

Gruppo Sentieri <strong>Gussago</strong>: Angelo Gnocchi, Pierluigi Franzoni, Alfredo Boroni.<br />

Coordinamento editoriale: Giovanna Ferlucci - Giorgio Mazzini<br />

Impaginazione: Rita Cò<br />

Un particolare ringraziamento a:<br />

AGESCI <strong>Gussago</strong>, Angeli Teresa, Bolpagni Angelo, Botti Sperandio, Cunego Franco, Derada<br />

Matteo, Drera Vittorio, Dusi Oliviero, Famiglia Marchina Ermanno, Faroni Rinetta, Gentili Elena,<br />

Giacomuzzi Chiara, Goffelli Caterina, Gozio Riccardo, Medani Ettore, Moliterni Arianna,<br />

Montini Laura, Palamidese Livio, Quaresmini Andrea, Reboldi Arcidio, Reboldi Luigi, Tassi<br />

Gianfranco, Vinetti Giovanni.<br />

Mariotti Goffredo (Professore di Geologia all’Università La Sapienza di Roma)<br />

Banca Popolare Commercio Industria - Agenzia di <strong>Gussago</strong><br />

© Copyright Comune di <strong>Gussago</strong><br />

Via Peracchia, 3 - <strong>Gussago</strong><br />

Tel. 0302522919 - Fax 0302520911<br />

Maggio 2003<br />

Realizzazione e stampa:<br />

Società Editrice Vannini a r.l.<br />

Via Mandolossa, 117/A - 25064 <strong>Gussago</strong> (BS)<br />

Tel. 030213374 - Fax 030314078<br />

2


Presentazione<br />

Negli ultimi anni si è scritto molto su <strong>Gussago</strong>, di volta in volta è stata ricostruita<br />

una parte di storia, di arte o di cultura a testimonianza della crescita e dello sviluppo<br />

che hanno portato il nostro paese a diventare una comunità ricca di valori<br />

sociali e morali. Mancava però un lavoro organico sul territorio che portasse a conoscere, e<br />

quindi ad amare, le nostre ridenti colline, la verde pianura e le gorgoglianti sorgenti che rendono<br />

<strong>Gussago</strong> un paese davvero speciale.<br />

La posizione geografica di questo nostro bel paese è veramente singolare grazie alle colline<br />

che lo “incoronano” a nord e alla pianura che si adagia verso sud, interrotta qua e là da<br />

bassi rilievi con versanti dolci e sinuosi. Anche i torrenti, le seriole, le sorgenti, la ricca varietà<br />

di piante e fiori più o meno rari e le numerose specie di fauna presenti nelle diverse fasce<br />

territoriali rappresentano un mondo ricco e variegato che vale la pena di scoprire “passo<br />

dopo passo” con lo stesso entusiasmo e slancio che già ci era stato suggerito dall’opuscolo<br />

“Quattro passi per <strong>Gussago</strong>”, curato da Rinetta Faroni, col quale ci sono state presentate le<br />

bellezze artistiche del paese, inserite in precisi contesti storici.<br />

Con questo libro vogliamo proporre una “immersione” nelle bellezze naturali che certo<br />

non mancano sul nostro territorio, ciascuno di noi potrà avventurarsi alla scoperta di ambienti<br />

diversi l’uno dall’altro, profumati da viole e sambuco, colorati da splendide orchidee, echeggianti<br />

di melodiosi richiami d’allodola e di striduli gracidar di raganelle. Non sarà meno intrigante<br />

lasciarsi catturare dalla scoperta di querce e gelsi centenari, da percorsi tracciati dai<br />

cinghiali, da ammoniti e brachiopodi imprigionati nelle rocce più antiche o da ambienti accattivanti<br />

come quelli dei “Büs e préfond” che rappresentano fenomeni carsici sconosciuti a<br />

molti gussaghesi.<br />

Gli autori hanno scelto di utilizzare un linguaggio semplice e chiaro, pur rispettando la<br />

precisione e la correttezza scientifica, con l’intento di produrre un’opera a carattere divulgativo,<br />

rivolta particolarmente ai giovani delle nostre scuole ma non solo, che possa incuriosire<br />

e sollecitare i percorsi della conoscenza.<br />

Pagine di natura scritte a più mani senza la pretesa di esaurire gli argomenti legati alla<br />

geologia, alla paleontologia, alla flora e alla fauna di <strong>Gussago</strong>; pagine che hanno come denominatore<br />

comune l’amore per il grande dono ricevuto: un territorio meraviglioso che ciascuno<br />

di noi ha il diritto di fruire e il dovere di rispettare.<br />

Buona passeggiata, quindi!<br />

L’Assessore alla Cultura Il Sindaco<br />

Giovanna Ferlucci Bruno Marchina<br />

3


PRIMA PARTE<br />

IL TERRITORIO<br />

Elementi per la conoscenza<br />

e l’orientamento nel territorio


Premessa<br />

Il territorio di <strong>Gussago</strong> è un punto di raccordo tra il paesaggio collinare e la Pianura Padana.<br />

A Nord prevalgono i colli, la continuazione meridionale dei monti valtrumpini, che<br />

proprio a <strong>Gussago</strong> affondano in modo spettacolare nelle alluvioni della piana. Nel settore<br />

meridionale domina la pianura che degrada a sud con pendenze minime.<br />

L’assetto fondamentale delle colline è determinato dalla successione di rocce calcaree<br />

marine ben stratificate che appaiono ripiegate, contorte o frantumate per le deformazioni subite<br />

durante il sollevamento delle Alpi dal mare.<br />

La morfologia generale risulta modellata dagli agenti meteorici e fisici che esercitano una<br />

forte erosione e una parziale soluzione delle rocce, specialmente dove scarseggia la copertura<br />

arborea. Un sistema di fonti, alimentate dalla infiltrazione delle acque piovane, dà origine<br />

ad alcuni canali che continuano a scavare le valli di modesta entità.<br />

Le rocce più antiche si rinvengono a Ronco di <strong>Gussago</strong> ed in prossimità della cava<br />

del Medolo, le rocce più recenti costituiscono i colli esterni ma si ritrovano anche lungo<br />

la strada che sale a Brione.<br />

La pianura è riempita da materiale alluvionale, come ciottoli, sabbie ed argille provenienti<br />

dall’erosione dei colli, e dall’accumulo dei sedimenti fluvio-glaciali che hanno facilitato il ricoprimento<br />

di tutta la pianura.<br />

La copertura vegetale dei colli è caratterizzata da tipiche piante decidue e nella fascia più<br />

esterna si è instaurata una vegetazione termofila e sub-mediterranea simile a quella presente<br />

tra i laghi del Benaco e del Sebino. Proprio la particolare posizione del territorio ha consentito<br />

lo sviluppo della coltivazione della vite, fiore all’occhiello dell’agricoltura gussaghese.<br />

Il sottobosco presenta una discreta varietà di felci e di arbusti e una discreta ricchezza di funghi.<br />

Molte sono le piante rare e protette da decreti regionali e un numero discreto di orchidee<br />

si possono incontrare specialmente nelle zone assolate.<br />

Per quanto riguarda gli animali si segnalano diverse specie di anfibi, rettili e mammiferi<br />

che occupano ambienti specifici. Anche per gli uccelli esiste una discreta varietà sia di quelli<br />

stanziali che migratori. Moltissimi sono gli insetti che con le loro livree colorano ogni angolo<br />

del territorio.<br />

Dall’alto della frazione di Barche (Brione) è possibile osservare l’allineamento dei colli gussaghesi (Foto 1)<br />

7


<strong>Gussago</strong> è situato a 9,5 km nordovest<br />

dalla città di Brescia, nella zona<br />

della Franciacorta orientale, e confina<br />

con ben otto Comuni: a nord con<br />

Brione e Villa Carcina, ad est con<br />

Concesio e Cellatica, a sud con Brescia<br />

e Roncadelle a ovest con Castegnato,<br />

Rodengo Saiano e Ome.<br />

Il centro del Comune, piazza Vittorio<br />

Veneto situata ai piedi della gradinata<br />

della Parrocchiale Santa Maria<br />

Assunta, si trova a 45° 35’575 di latitudine<br />

nord, a 2° 17’832 di longitudine<br />

est ed è a metri 186 s.l.m.; il territorio<br />

raggiunge un’altimetria massima<br />

di 865 metri s.l.m., sotto la cima del<br />

monte Magnoli, minima di 127 metri,<br />

in località Mandolossa al vertice dei<br />

confini con Brescia e Roncadelle.<br />

MORFOLOGIA<br />

La superficie territoriale è di<br />

24,65 kmq, di forma allungata da nord<br />

a sud (simile alla Corsica o alla Sardegna),<br />

con i vertici quasi perfettamente<br />

in asse, rappresentati a nord dal<br />

rio Stalet (poco sopra Piazzole - confine<br />

con Brione), a sud dalla SS 11<br />

Brescia-Milano (confine con Ronca-<br />

Terrazzamenti a vigneto (Foto 2)<br />

delle e Brescia), distanti tra loro circa<br />

9,35 km. La direttrice est-ovest misura nel punto più ampio circa 3,70 km con il punto posto<br />

più ad est in loc.Camaldoli (vertice sud-est della stradina che costeggia la cinta, in confine<br />

con Concesio) ed a ovest al ponticello che oltrepassa il torrente Gandovere, lungo la pista ciclabile<br />

Brescia-Paratico (in confine con Rodengo Saiano).<br />

Il territorio di <strong>Gussago</strong> è caratterizzato da:<br />

• una parte settentrionale, che occupa circa 10,83 kmq, formata da rilievi collinari-montuosi<br />

che formano un ampio anfiteatro disposto tra colline, dai ripidi<br />

versanti, intersecate da valli e solchi vallivi più o meno profondi;<br />

• una parte meridionale, di circa 13,82 kmq, completamente pianeggiante, da cui<br />

spiccano solo la collinetta di Sale (186 mt) ed il Monticello di Sale (166 mt ).<br />

Questa caratteristica fa sì che nel nostro Comune siano presenti numerosi ambienti ricchi<br />

di particolarità molto diverse tra loro. L’abitato del paese, un tempo articolato in varie frazioni,<br />

si è notevolmente sviluppato ed ora si presenta senza soluzione di continuità.<br />

9


ZONA COLLINARE-MONTUOSA<br />

Questa zona fa parte delle prealpi lombarde, è solcata inizialmente dal Rio del Cristò, che<br />

nasce in territorio di Brione, snodandosi poi nell’omonima valle fino alla località Caricato -<br />

re, in seguito dal torrente La Canale che scorre per circa 4 km lungo la valle di Navezze. I<br />

due torrenti dividono in senso Nord-Sud i due versanti principali delle colline gussaghesi.<br />

Il gruppo collinare-montuoso ad ovest, spartiacque naturale con i comuni di Brione,<br />

Ome e Rodengo Saiano, è caratterizzato da una fascia collinare incisa in maniera regolare e<br />

quasi geometrica da ripide vallette, su cui spiccano delle colme che diminuiscono di quota<br />

man mano ci si avvicina all’abitato di Ronco. Partendo da nord troviamo la Colma Alta<br />

(mt 670,6) che posta esattamente sul confine con Brione ne sovrasta la piccola frazione di<br />

Barche; poco più a sud la Valle Volpione, molto profonda e ripida scende incassata tra il dos -<br />

so Andreolo e l’omonima loc.Volpione, fino al Caricatore. Prima di arrivare al monte Col -<br />

metto (mt 615), attraversato dal confine <strong>Gussago</strong>-Ome e che dista in linea d’aria dalla Col -<br />

ma Alta circa 1200 metri, scende la Valle Gavezzana, più ampia della precedente, che confluisce<br />

nella valle di Navezze esattamente in località Ponte di ferro (püt de fer). I versanti che<br />

la racchiudono portano il nome di dosso di Mezzane (quello di sinistra) e Gavezzana (quello<br />

di destra); a sud e parallela scorre la valle Morta che dalle pendici del dosso dei Cugni (mt<br />

599), posto al vertice tra il confine con i Comuni di Ome e Rodengo Saiano, scende tra due<br />

versanti molto diversi tra loro: ampio e degradante il sinistro che si sviluppa in loc. Ronco -<br />

ni, ripido e stretto il destro che si slancia dal pianoro della Tesa di Sopra (mt 458), confluendo<br />

a valle all’altezza di vicolo Mincio. Infine troviamo il monte Breda (mt 402) ed il<br />

dosso Mirabella (mt 381) che possiamo immaginare come un promontorio che divide la parte<br />

terminale della valle di Navezze a est e la conca di Ronco a ovest; quest’ultima, racchiusa<br />

tra il monte Breda e lo spartiacque che scende dal dosso dei Cugni, è solcata da tre ripide<br />

vallette: Rio Rino, Rio Ronco e Rio Valle Bianca che confluiscono nei terrazzamenti posti<br />

a monte dell’abitato della frazione. A completamento di questo gruppo collinare, anche se fisicamente<br />

separato, troviamo il colle Barbisone, meglio conosciuto come collina della Santissima,<br />

che, con i suoi 277 metri, è posto al centro del territorio comunale e ne è il simbolo<br />

naturale. Esso, vista la sua facile individuazione anche da lunghe distanze, rappresenta un<br />

punto di riferimento chiaro e riconoscibile da ogni punto cardinale. Oltre all’importanza storico-culturale<br />

questa collina ha un notevole valore ambientale–naturalistico.<br />

Il gruppo collinare-montuoso ad est, è più esteso e complesso del precedente, la parte<br />

più a nord è formata dai versanti del monte Pernice (mt 899) e del monte Magnoli (mt 877),<br />

entrambi posti fuori dal territorio di <strong>Gussago</strong> e precisamente sul confine tra i Comuni di<br />

Brione e Villa Carcina. Poco a sud della cima del monte Magnoli, lungo la cresta ed all’intersezione<br />

tra i confini di Brione, <strong>Gussago</strong> e Villa Carcina si trova il punto più in quota del<br />

nostro territorio, a 860 metri s.l.m. Il confine di <strong>Gussago</strong>, con i Comuni di Villa Carcina prima<br />

e Concesio dopo, si sviluppa lungo lo spartiacque naturale con la Val Trompia, degradando<br />

fino al Passo della Forcella (mt 310) passando per la Sella dell’Oca (mt 803), il Dos -<br />

so Croce (mt 736), la forcella di Quarone di Sopra (mt 696) e il dosso di Quarone di Sotto<br />

(mt 783), nelle vicinanze dei quali sorgono le omonime cascine, il monte Navazzone<br />

(mt 522) su cui si erge l’eremo dei Camaldoli che ha dato, nel tempo, il nome alla zona. Da<br />

notare che, lungo la fascia sommitale sopra descritta, la pendenza del terreno non è eccessiva,<br />

ciò è testimoniato dalla presenza di ampi spazi coltivati a prato ed in alcuni casi di piccoli<br />

altopiani come il Pianone nei pressi di Sella dell’Oca o la zona dei Camaldoli. Questa<br />

10


particolarità non si riscontra nella fascia che scende verso le frazioni di Civine e di Navezze,<br />

incisa da numerose valli e vallette dai ripidi versanti che ora andremo a descrivere.<br />

La fascia compresa tra Piazzole e la strada che sale a Civine, che potremmo definire come<br />

il versante sinistro orografico della Valle del Cristò, degrada in maniera ripida ma regolare,<br />

solcata a nord dal Rio Stalet che si unisce al Rio del Cristò, successivamente da alcuni<br />

piccoli solchi vallivi ed infine a sud dalla Valle Fontane, che scende dalla soprastante frazione<br />

di Civine. In località Caricatore, la Valle del Cristò si unisce alla Val Gandine, in questo<br />

punto ha origine il torrente La Canale. Tratteremo successivamente l’aspetto idrologico<br />

e l’importante funzione dell’alveo di queste valli, soprattutto per la captazione delle acque<br />

a carattere torrentizio durante i temporali. La Val Gandine, racchiusa tra i monti di Civine,<br />

Quarone di Sopra e Pian San Martino, corre in direzione est-ovest creando un bacino in cui<br />

confluiscono vallette molto ripide ed incise: a nord le valli Grumello, Altarone e Calcarola,<br />

a sud la Valle dei Lumini ed il Rio Lalasse. Parallela, ma molto più piccola della precedente,<br />

la Val San Martino scende dall’omonimo Pian S. Martino e si immette anch’essa nella<br />

valle di Navezze. La Valle del Faido, compresa tra i monti di Pian San Martino, Quarone di<br />

Mezzo e il Dosso dei Roccoli (detto anche Filone Baita), si sviluppa parallela alla Val Gan -<br />

dine e anch’essa forma un ampio bacino in cui confluiscono numerosi solchi vallivi che ne<br />

incidono i ripidi versanti, e, di rimpetto alla Val Morta, scende fino all’abitato di Navezze.<br />

Delimitata dal Filone Baita e dal monte Navazzone, la Val Volpera, posta in direzione nordest<br />

/ sud-ovest, sbocca a nord dell’abitato di Piè del Dosso; parte del suo versante destro orografico,<br />

che dà direttamente sulla pianura, è caratterizzato da un pendio regolare esposto a<br />

sud, denominato “Volpera”, che degrada fino a valle, ad ovest è delimitato dalla piccola Val -<br />

le di Cascina Rocca, che con direzione nord-sud ha origine poco a valle dell’omonima Cascina<br />

posta a 372 metri di altitudine. Questa valletta sbocca a nord di via Sovernighe coprendo<br />

un dislivello di soli 150 metri. Vale la pena di citare la Valle di Camaldoli che ha origine<br />

a sud del monte Quarone di Sotto nei pressi dell’omonima cascina, per poi scendere in<br />

direzione sud-est fino alla frazione di San Vigilio di Concesio.<br />

Il gruppo collinare est si estende a sud del passo della Forcella con la collina della Stel -<br />

la, da cui si diramano due promontori dove si interrompe questa fascia collinare: quello a<br />

nord che culmina con la collinetta di San Rocco e quello a sud, sul cui spartiacque passa il<br />

confine tra <strong>Gussago</strong> e Cellatica, che degrada fino alla pianura in loc. Caporalino; i loro versanti,<br />

coperti di terrazzamenti, racchiudono la conca nella quale è adagiato l’abitato della frazione<br />

di Casaglio.<br />

ZONA PIANEGGIANTE E IDROLOGIA<br />

Copre tutta la parte centrale e meridionale del territorio comunale, essa si estende con<br />

continuità da una quota che va dai 190 metri s.l.m. delle aree pedecollinari ai 127 metri s.l.m.<br />

della zona Mandolossa e contribuisce a formare la Pianura Padana. L’omogeneità della<br />

morfologia di questa vasta area pianeggiante non richiede particolari descrizioni, tuttavia essa<br />

conserva interessanti ambienti tipici della pianura legati alla ricca presenza di sorgive e canali<br />

irrigui ed è caratterizzata dalla presenza di alcuni corsi d’acqua che andiamo ora a descrivere.<br />

L’idrologia del territorio di <strong>Gussago</strong> è costituita solo da corsi d’acqua a carattere torrentizio<br />

o da seriole. Il torrente più importante è La Canale che riceve tutte le acque sorgive e<br />

torrenziali prodotte da piogge e temporali della zona montuoso-collinare che scendono a val-<br />

11


le lungo il greto delle numerose valli e vallette che abbiamo descritto, escluso il versante collinare<br />

sovrastante la frazione di Ronco. E’perciò evidente la funzione di protezione del paese<br />

da allagamenti, svolta da questo torrente che come già citato ha origine in località Cari -<br />

catore, dalla confluenza delle Valli del Cristò e Gandine. Il torrente percorre tutta la Valle di<br />

Navezze per poi sboccare in pianura dopo aver attraversato il centro abitato del paese, in lo -<br />

calità Caporalino lascia il territorio di <strong>Gussago</strong>, attraversa quello di Cellatica e in località<br />

Bodutto rientra a <strong>Gussago</strong> correndo lungo il confine, prima con Cellatica e poi con Brescia;<br />

infine, al ponte della Mandolossa, si unisce al torrente Gandovere per poi sfociare nel fiume<br />

Mella.<br />

Il torrente Vaila nasce nella conca di Ronco, a sud del cimitero, il suo percorso ha direzione<br />

nord-sud, passa a ovest del colle Barbisone (Santissima), mantenendosi quasi sempre<br />

in aperta campagna attraversa longitudinalmente tutta la zona pianeggiante dividendola in<br />

due; nel tratto finale piega in direzione est e per alcune centinaia di metri corre parallelo al<br />

torrente Gandovere nel quale affluisce all’altezza di via Ponte Gandovere.<br />

Il torrente Gandovere, che nasce nella Valle del Fus nel Comune di Brione, passa attraverso<br />

i Comuni di Ome e Rodengo Saiano, e proveniente da quest’ultimo, all’altezza del ponticello<br />

in legno dove corre la pista ciclabile Brescia-Paratico, entra nel territorio di <strong>Gussago</strong><br />

e prosegue in direzione sud, marcando il confine con Rodengo Saiano, attraversa poi la SP<br />

45, prosegue fino ad incrociare la SS 510 Brescia-Iseo. A questo punto si divide in due rami:<br />

uno piega a sud-ovest e prosegue nel Comune di Castegnato; l’altro piega in direzione sudest<br />

e prosegue costeggiando la Brescia-Iseo, fino in località Mandolossa dove, riceve la acque<br />

del torrente La Canale e si immette nel Comune di Roncadelle fino a confluire nel fiume<br />

Mella.<br />

Il torrente Molinazzo nasce nella zona di Caporalino e precisamente nell’omonima loca -<br />

lità Molinazzo, riceve le acque sorgive ed irrigue della zona est di <strong>Gussago</strong> e della zona limitrofa<br />

di Cellatica. Ha anch’esso un percorso in direzione nord-sud che si sviluppa zigzagando<br />

attraverso la campagna tra <strong>Gussago</strong> e Cellatica, costeggiando alcune località contraddistinte<br />

dalla presenza di alcune cascine: Cascina Bosco, Cascina Gallo, Cascina Lodine e<br />

Cascina Marze; in località Bodutto si immette nel torrente Gandovere.<br />

Sono, inoltre, tuttora esistenti alcune seriole che conservano parte del loro percorso originario,<br />

la più importante e visibile è sicuramente la storica Seriola che parte da Navezze,<br />

alimentata dalle acque della sorgente Gordo (Gùrt) a cui si aggiungono quelle della sorgente<br />

Batoccolo, attraversa tutta la valle di Navezze, mantenendosi per buoni tratti a cielo aperto;<br />

viene poi intubata fino ad ovest del colle Barbisone (Santissima), dove forma una rete irrigua<br />

per la campagna.<br />

SORGENTI<br />

Completiamo il capitolo dedicato all’idrologia con il tema delle sorgenti. Come potremo vedere<br />

nei capitoli successivi, le formazioni geologiche presenti nel sottosuolo e la morfologia<br />

del nostro territorio determinano la presenza di un gran numero di sorgenti carsiche nell’area<br />

collinare e di risorgive in pianura.<br />

Premesso che numerose sorgenti e risorgive, ancora vive nei ricordi di molti, sono inevitabilmente<br />

scomparse nel tempo a seguito di urbanizzazioni o perchè intubate, ci limiteremo a<br />

citare solo quelle esistenti e visitabili.<br />

12


L’elencazione che segue è tratta dal libro “Sulle tracce del tempo” di Rinetta Faroni ed è<br />

frutto di una dettagliata ricerca effettuata dall’autrice. Tale lavoro è stato per l’occasione ripreso<br />

e integrato.<br />

• Sorgente nel terreno sotto Sella dell’Oca;<br />

• piccola sorgente a nord di Civine, posta sul lato nord della strada che porta in loc. Ri -<br />

viere, dove si vedono ancora i resti di un serbatoio in cemento;<br />

• sorgente della Val Gandine, posta in un luogo molto suggestivo raggiungibile seguendo<br />

il sentiero s3; da un tubo conficcato nel terreno sgorga tutto l’anno una buona quantità<br />

d’acqua, la sorgente dissetò per anni gli abitanti di Civine che vi si recavano ad attingere<br />

con il “gambù”, caratteristico bastone ricurvo da tenere sulla spalla, alle cui estremità erano<br />

appesi i secchi;<br />

• sorgente del Cudöl in Val Gandine, si tratta di una risorgiva carsica che sbocca da una<br />

balza rocciosa, aumenta di molto la portata in occasione di intense piogge e temporali;<br />

• sorgente Corno al Caricatore, sotto la Val Gandine; azionò per anni la ruota del maglio<br />

(fucina di un fabbro) posta a circa 50 metri dalla sorgente, a mezza costa (ancora oggi case<br />

del Mài), prima di essere utilizzata per l’acquedotto comunale nei primi anni del secolo<br />

scorso;<br />

• piccola sorgente di Piazzole all’interno del parco naturalistico, forma un piccolo stagno<br />

con rigagnolo;<br />

• polla d’acqua al Canalino, al di là de La Canale, un tempo fonte per il piccolo gruppo di<br />

case in loco;<br />

• sorgente del Gùrt, Gordo, sempre in valle di Navezze, ricca di acque in ogni stagione;<br />

da qui fu derivata la Seriola o Serioletta, il canale che metteva in moto le ruote dei mulini<br />

di Navezze;<br />

• piccola sorgente del Faido, tra gli anfratti della valletta posta più a sud, ancora meta di<br />

brevi escursioni;<br />

• piccola sorgente in valle Morta sita al centro della valle, il filo d’acqua che fuoriesce si<br />

perde nel terreno;<br />

• piccola sorgente in valle Gavezzana, esile filo d’acqua che scorre lungo gli strati rocciosi<br />

del fondo valle;<br />

• sorgente del Batoccolo, in fondo alla strada omonima di fronte alla chiesa di Navezze,<br />

ricca di acqua ben visibile nella vasca di raccolta e nei canaletti tra i vigneti;<br />

• polla verso la Rocca, in direzione di Piedeldosso, a sud di Navezze;<br />

• sorgente in valle di Cascina Rocca posta sul fondo valle, l’acqua è raccolta in una piccola<br />

pozza delimitata da un bordo in pietre, un tempo abbeveratoio per il bestiame;<br />

• sorgente in Val Volpera, sotto i Camaldoli, ancora evidente e costante, forma una piccola<br />

pozza;<br />

• sorgente Fontanelle, sotto i Camaldoli, verso la cascina Variani;<br />

• sorgente Duai, nei vigneti sotto la Stella, sul versante nord che si affaccia sulla Forcella,<br />

forma un piccolo ruscello che scorre in mezzo ai vigneti;<br />

• polla d’acqua nei vigneti Venturelli alla Manica;<br />

• sorgente nel parco di villa Chinelli, della quale alimenta tuttora le vasche;<br />

• sorgente del Tru (buco), in via Sovernighe a Piedeldosso, che ora passa limpida e fresca<br />

ad alimentare il lavatoio;<br />

13


• sorgente del Santolino in proprietà già Averoldi; qui l’acqua forma un laghetto; un tempo<br />

metteva in moto la ruota che azionava un sistema di pompe per mandare l’acqua in alto,<br />

verso la torre passerera al centro del terreno e rinviata per caduta ad una fontana con<br />

zampilli in un belvedere rialzato di 10 m, nelle vicinanze;<br />

• sorgiva nei terreni Valetti, a sud del cimitero, che alimenta il torrente Vaila;<br />

• a Ronco, sorgente del Còp (dal coppo che ne accompagnava l’uscita dal terreno) posta<br />

nel vigneto ai piedi di Val della Volpe e Val Bianca;<br />

• sempre a Ronco, la sorgente dei “Muntì”, dopo la villa Salvi;<br />

• polla d’acqua alla cascina Gallo (èl Gàlo), ad est del Barco.<br />

14


GEOLOGIA<br />

IL TEMPO GEOLOGICO<br />

Che età hanno le rocce dei colli di <strong>Gussago</strong>? E’la domanda spontanea che si pone il naturalista<br />

in erba quando s’inoltra nello studio e nella conoscenza del territorio. Le rocce più<br />

antiche sono del Mesozoico, l’età dei dinosauri, i grandi rettili che affascinano adulti e bambini.<br />

Questa era comincia circa 240 milioni di anni fa ed è divisa in tre periodi: il più antico<br />

è detto Triassico, l’intermedio è il Giurassico e l’ultimo si chiama Cretacico e finisce circa<br />

65 milioni di anni fa.<br />

Durante questi periodi si sviluppò un gran numero di organismi animali e vegetali, molti<br />

dei quali sparirono in circostanze poco note alla fine dell’era stessa, forse per gli effetti devastanti<br />

di un grosso meteorite, oppure per il cambiamento climatico ed ambientale dovuto<br />

a grandi effusioni laviche che sconvolsero i sistemi biologici dell’epoca.<br />

La storia delle rocce di <strong>Gussago</strong> si sviluppa nell’arco di tre ere geologiche. Comincia<br />

proprio nel Giurassico (Era Mesozoica), circa 190 milioni d’anni fa, continua nell’era successiva<br />

denominata Cenozoica e comprende inoltre gli ultimi 2 milioni di anni, corrispondenti<br />

all’Era Neozoica.<br />

Era Periodo Intervallo<br />

(in milioni di anni)<br />

Cenozoico o Terziario<br />

Mesozoico<br />

*Indica il periodo della formazione delle rocce presenti nel territorio di <strong>Gussago</strong> - (Fig.1)<br />

I MARI ANTICHI E LE TERRE<br />

Durata<br />

(in milioni di anni)<br />

Cretaceo 135 - 65 70<br />

* Giurassico 195 - 135 60<br />

Triassico 240 - 195 45<br />

La geografia attuale è il risultato della continua trasformazione nel tempo dei mari e dei<br />

continenti. Circa 300 milioni di anni fa i continenti erano molto più vicini tra di loro, a formare<br />

un macrocontinente: il Pangea, letteralmente terre tutte unite. L’Africa, il Sud-America,<br />

l’India, il Madagascar, l’Australia e l’Antartide ne costituivano la parte meridionale mentre<br />

l’Europa, il Nord-America, la Groenlandia e l’Asia, più o meno saldate assieme, erano<br />

nell’emisfero boreale. Un oceano, la Tetide, era frapposto tra questi due blocchi e si estendeva<br />

dall’area del Portogallo, passava per la zona dove si trova attualmente l’Italia prolungandosi<br />

per il Medio Oriente sino a raggiungere l’Indonesia. Le Alpi e le Prealpi lombarde,<br />

di cui il territorio di <strong>Gussago</strong> fa parte, si trovavano sotto la superficie del mare e nei fondali<br />

marini si depositavano i sedimenti che costituiranno le future catene montuose. La Tetide<br />

è perdurata per più di 150 milioni di anni e gli spessori dei materiali sedimentati lentamente<br />

si sono accresciuti durante questo lungo arco di tempo. I due blocchi che costituivano il Pan-<br />

15


gea, nel frattempo, hanno cominciato a suddividersi in più frammenti e quello che costituirà<br />

l’attuale Africa si è avvicinato all’Europa a tal punto che le rocce sedimentarie conservate nel<br />

fondo dell’oceano si sono ristrette in spazi sempre più ridotti sino a sollevarsi dal mare, formando<br />

diversi edifici montuosi come ad esempio le Alpi. La Tetide ridimensionata da questi<br />

movimenti della crosta non è sparita del tutto, ma ha dato origine al mar Mediterraneo, al mar<br />

Nero e ad una parte del mar delle A n t i l l e .<br />

LA NOSTRA STORIA<br />

Le rocce di <strong>Gussago</strong> raccontano una parte di questa storia, ma come può essere letta e come<br />

è inserita nelle vicende della Tetide?<br />

Andiamo indietro nel tempo a 190 milioni di anni fa, quando il nostro territorio era un<br />

piccolo settore dei fondali della Tetide. Millimetro dopo millimetro, in acque relativamente<br />

basse, si sono depositati calcari di vari colori e nel volgere dei milioni di anni hanno raggiunto<br />

spessori di 600/700 metri. Con il trascorrere del tempo però il mare ha cambiato fisionomia,<br />

si è approfondito oltre i 4000 metri e in questi nuovi fondali hanno trovato spazio<br />

rocce più resistenti come le selci. Le forti compressioni dei continenti in movimento l’uno<br />

contro l’altro hanno giocato un ruolo importante verso la fine dell’Era Mesozoica, periodo in<br />

cui il mare ha risentito di quanto stava avvenendo a livello globale ed ha ripreso ad oscillare<br />

favorendo di nuovo la sedimentazione dei calcari dapprima bianchi e poi di vari colori:<br />

rosso, giallo, rosa ed ocra, colorazioni dovute alla presenza di materiali argillosi. Questo fenomeno,<br />

cioè l’arricchimento di argilla, fa supporre che nelle immediate vicinanze dove si<br />

stavano formando le rocce di <strong>Gussago</strong> fossero presenti aree continentali emerse che apportavano<br />

nel mare grandi quantitativi di questo materiale.<br />

L’area collinare di <strong>Gussago</strong> era già emersa dal mare 30 milioni d’anni fa, probabilmente<br />

con una fisionomia diversa dalla attuale e lungo la fascia che guardava la pianura si<br />

estendeva un golfo, un rimasuglio della vecchia Tetide. Nel periodo successivo si sono avvicendati<br />

da una parte il continuo sollevamento delle Prealpi e dall’altra l’erosione dei colli,<br />

fenomeni che hanno colmato il golfo marino, esteso sino agli Appennini, a formare la Pianura<br />

Padana.<br />

16<br />

Disposizione della Tetide all’inizio del Mesozoico (Fig.2)


Ecco alcuni elementi fondamentali<br />

della geologia che un geologo in erba<br />

deve sapere.<br />

Lo s t r a t oè l’unità di base delle rocce.<br />

Un corpo roccioso presenta molti strati<br />

distinti tra loro da limiti di discontinuità<br />

nette, lo spessore di ognuno di essi può<br />

variare da pochi centimetri sino a qualche<br />

decimetro. Uno strato può estendersi su<br />

una vasta area tanto da consentire il suo<br />

ritrovamento anche in zone distanti. In<br />

genere gli strati sembrano disposti a caso,<br />

invece la loro struttura è determinata dai<br />

complessi movimenti verificatisi durante<br />

il sollevamento delle montagne.<br />

Altro elemento caratteristico della<br />

geologia sono le pieghe. Gli strati si<br />

presentano deformati per fenomeni di<br />

compressione ed assumono caratteristiche<br />

forme arcuate, che possono essere<br />

piccole, ma anche molto grandi, infatti<br />

possono essere individuate su aree estese.<br />

In una piega si distinguono il punto<br />

di massima curvatura, la cerniera e i<br />

due fianchi ai lati della cerniera.<br />

Tutte le rocce di <strong>Gussago</strong> sono<br />

deformate a costituire una grande piega,<br />

la cui cerniera è situata a Navezze, il suo<br />

fianco meridionale sprofonda a sud nella<br />

Pianura Padana e il fianco settentrionale<br />

prosegue per Brione e Polaveno,<br />

per come si può vedere nella ricostruzione<br />

della figura 5.<br />

Ultimo elemento da considerare sono<br />

le faglie, fratture molto estese che separano<br />

in due parti i corpi rocciosi. I<br />

blocchi così frammentati subiscono dei<br />

movimenti relativi che tendono ad abbassare<br />

un settore e a sollevare l’altro.<br />

Le faglie sono molto frequenti nelle zone<br />

collinari e montuose, ma non sono<br />

facilmente osservabili. Una faglia, ad<br />

esempio, è presente al limite tra i colli e<br />

la pianura che ha consentito lo sprofondamento<br />

dell’area di Piedeldosso.<br />

ELEMENTI SEMPLICI DI GEOLOGIA<br />

Le rocce dei colli si presentano quasi sempre stratificate (Foto 3)<br />

Struttura di una piega (Fig.3)<br />

BLOCCO ORIGINARIO<br />

FAGLIA<br />

La faglia è un piano di scivolamento di due blocchi rocciosi,<br />

uno dei quali tende a salire e l’altro a scendere (Fig.4)<br />

17


Le rocce delle colline di <strong>Gussago</strong>.Si osserva una evidente struttura a piega con una probabile faglia in prossimità<br />

della pianura (Fig.5)<br />

LE ROCCE E LE FORMAZIONI<br />

Questa parte descrittiva ha lo scopo di far conoscere al lettore la diversità delle rocce<br />

presenti nel territorio in modo da facilitarne, per quanto sia possibile, il riconoscimento.<br />

Spesso si osservano le rocce senza particolare attenzione e si ha la sensazione che esse sia -<br />

no tutte molto simili. Invece l’occhio esperto riesce a distinguere le diversità e nello stesso<br />

tempo le somiglianze.<br />

Le rocce di <strong>Gussago</strong> sono di origine sedimentaria, verosimilmente calcari perché la sostanza<br />

fondamentale è il carbonato di calcio, e tutte di origine marina in quanto l’ambiente<br />

di sedimentazione è stato proprio il mare. Nel nostro territorio sono sette i tipi di rocce<br />

presenti; esse prendono il nome da località bresciane e, dalla più antica alla più recente, sono<br />

così denominate:<br />

• FORMAZIONE DEL CALCARE DI DOMARO O CALCARE DEL MEDOLO -<br />

È la formazione più antica costituita da calcari di colore chiaro o grigio con una percentuale<br />

di argilla. E’molto ricca di ammoniti spesso impregnate di minerali di ferro che conferisce<br />

una colorazione ocra e marroncino ai fossili. Questi calcari, comuni nelle Prealpi<br />

bresciane, hanno permesso una raccolta straordinaria di ammoniti, apprezzate sin dal secolo<br />

scorso.<br />

Nel territorio comunale il calcare di Domaro si ritrova intorno alla ex cava del Medolo,<br />

e nel settore di Ronco di <strong>Gussago</strong>.<br />

• FORMAZIONE DI CONCESIO - Questa formazione è successiva alla precedente: in<br />

termini pratici vuol dire che si è depositata nel mare qualche milione di anni dopo. E’costituita<br />

anch’essa da calcari marnosi grigiastri con lenti di selce. La fauna fossile comprende<br />

ammoniti e belemniti.<br />

Si incontra nella valle di Navezze e a Ronco di <strong>Gussago</strong>.<br />

18


• SELCIFERO LOMBARDO - Questa<br />

formazione è completamente diversa<br />

dalle precedenti in quanto è<br />

formata da sedimenti molto ricchi di<br />

selce, una sostanza chimica derivata<br />

dai gusci dei microrganismi, come i<br />

radiolari, oppure dalle impalcature<br />

scheletriche delle spugne. Alla morte<br />

di questi organismi i gusci si depositano<br />

sotto forma di notevoli accumuli.<br />

Questa roccia, rispetto ad un calcare<br />

normale, si distingue facilmente<br />

per la varietà dei colori e la notevole<br />

durezza. Anche l’uomo primitivo la<br />

usava per la sua formidabile resistenza!<br />

Si ritrova verso la parte alta della<br />

salita per Brione.<br />

La cava del Medolo è ricca di rocce molto antiche (Foto 4)<br />

I geologi costruiscono le scale rappresentative delle ro c c e<br />

secondo grafici in cui le più antiche sono poste in basso e le<br />

recenti verso l’alto ( F i g .6 )<br />

19


• MAIOLICA – E’una formazione tipica<br />

del Cretacico, costituita da calcari<br />

biancastri ben stratificati che alla<br />

rottura, con un colpo di martello,<br />

creano una frattura concoide (da provare!).<br />

Questi tipi di calcari sono diffusi<br />

in molte parti della penisola italiana,<br />

dalle Marche alla Sicilia e anche<br />

al di fuori dell’Italia.<br />

Nella nostra area è ben visibile lungo<br />

la tangenziale che porta a Concesio,<br />

nella zona tra le due gallerie.<br />

Qui si osservano strati di calcare<br />

biancastro, con alternanze di selce e<br />

di calcari scuri che appena rotti emanano<br />

il tipico odore di gas. A volte si<br />

possono rinvenire resti di pesci! Fossili<br />

interessanti e abbastanza comuni<br />

sono gli aptici, gli opercoli delle ammoniti<br />

che servivano a chiudere l’apertura<br />

della conchiglia. Difficili da<br />

vedere ad occhio nudo, ma interessanti,<br />

sono le calpionelle, microrganismi<br />

planctonici che vivevano nell’antico<br />

mare.<br />

• SCAGLIA LOMBARDA - Ultima<br />

formazione del Mesozoico è la Scaglia<br />

Lombarda molto diffusa nelle<br />

Alpi e negli Appennini. Sono i calcari<br />

colorati delle colline della Santis -<br />

sima e della Stella ricchi di fossili<br />

microscopici, le globotruncane,<br />

estinte alla fine dell’Era Mesozoica.<br />

Interessanti sono piccoli frammenti<br />

di resti vegetali planctonici che provenienti<br />

dalle terre emerse si accumulavano<br />

all’interno dei sedimenti<br />

marini.<br />

• CONGLOMERATO DI MONTE<br />

ORFANO - La collinetta di Sale offre<br />

l’opportunità di farci scoprire<br />

l’avvento di una nuova era più recente<br />

e diversa dalla precedente, il Cenozoico.<br />

Il conglomerato del colle,<br />

20<br />

Le radiolariti si presentano di vari colori (Foto 5)<br />

La Maiolica è un calcare biancastro ricco di noduli e lenti di<br />

selce (Foto 6)<br />

Le calpionelle, microrganismi dalla forma di calice, abbondavano<br />

nei mari del Cretaceo. In sezione sembrano quasi forcelle<br />

per minuscole fionde (Fig.7)


che ha un’età di circa 20 milioni di<br />

anni, appartiene ad un periodo di<br />

questa era, il Miocene. Potrebbe trattarsi<br />

di materiale eroso ai piedi di alte<br />

scogliere oppure di sedimenti trasportati<br />

da fiumi che in quel periodo<br />

sfociavano nel mare.<br />

• LE ALLUVIONI DELLA PIANU-<br />

RA PADANA - Pur non essendo interessanti,<br />

come invece lo sono le<br />

formazioni sopra segnalate e distribuite<br />

nei colli, le alluvioni della pianura<br />

sono un aggregato molto vario<br />

di sedimenti incoerenti e sciolti che<br />

riempiono l’area pianeggiante. Da un<br />

punto di vista petrografico sono rappresentate<br />

da sabbie, argille e materiali<br />

con grani di maggiori dimensioni<br />

come i ciottoli. L’accumulo è dovuto<br />

principalmente all’erosione dei<br />

colli, che antichi fiumi e modesti canali<br />

hanno trascinato a valle. Anche<br />

le vicende glaciali verificatesi nell’ultimo<br />

milione di anni hanno contribuito<br />

al trasporto di materiali<br />

strappati alle montagne e alla loro sedimentazione<br />

in pianura. Si può così<br />

dire che le alluvioni della pianura sono<br />

di origine fluvio-glaciale.<br />

Nella collina di Sale prevalgono conglomerati misti a sabbia ed argilla (Foto 9)<br />

Le globotruncane, come microscopiche astronavi, solcano i<br />

mari del Cretaceo (Foto 7)<br />

La Scaglia lombarda è un calcare marnoso rosato (Foto 8)<br />

21


22<br />

LE ALLUVIONI DELLE PIANURE<br />

Dalle sezioni dei pozzi di emungimento dell’acqua del comune di <strong>Gussago</strong>, siti in via Staffoli,si ottengono<br />

ottime informazione sugli strati,soggiacenti la pianura, che si sono sedimentati nell’ultimo milione<br />

di anni (Fig.8)


LA PALEONTOLOGIA<br />

IN ANNO DOMINI<br />

Nel marzo del 1908 a Navezze si stava procedendo all’ingrandimento del sagrato della<br />

Chiesa e si stavano effettuando gli scavi preliminari per approfondire il livello di calpestio<br />

su cui sarebbe stato appoggiato il nuovo selciato. Per caso vennero ritrovate alcune ossa e<br />

denti di vertebrati che il prof. Pagani dell’Università di Padova riconobbe come appartenenti<br />

ad un giovane rinoceronte. Le ricerche ripresero l’anno seguente con uno scavo sistematico<br />

e si ritrovarono tutti i resti del rinoceronte insieme a due cervi di specie diverse e<br />

agli scheletri di un cinghiale, di un lupo e di un istrice.<br />

L’autore ipotizzò che si trattassero di carcasse<br />

di vertebrati trasportate dalle piene del<br />

torrente La Canale e depositate in quel punto<br />

dove la morfologia dell’area creava un angolo<br />

di accumulo. L’età di questi mammiferi era abbastanza<br />

recente, meno di un milione di anni,<br />

ma la scoperta rese evidente che le faune del<br />

tempo erano ricche di mammiferi, erbivori e<br />

carnivori, distribuiti in modo uniforme anche<br />

in altre aree dell’Italia e dell’Europa. Probabilmente<br />

variazioni climatiche ed ambientali portarono<br />

all’estinzione di questa originale fauna<br />

antica. La presenza di vertebrati nel bresciano<br />

è confermata dai fossili del Museo di Gavardo<br />

dove ci sono delle complete ricostruzioni dell’orso<br />

delle caverne. Qualche anno fa, presso<br />

l’alveo dell’Oglio ad Orzinuovi, è stato ritrovato<br />

un dente di elefante, liberato dai sedimenti<br />

ghiaiosi dalle piene del fiume. Si pensa<br />

che siano molti i reperti fossili, ancora nascosti<br />

nella coltre alluvionale della pianura, che<br />

attendono di essere recuperati.<br />

Disposizione dei resti di vertebrati ritrovati a Navezze<br />

(da Pagani,disegno modificato) (Fig.9)<br />

DUE PAROLE SULLA FOSSILIZZAZIONE<br />

La fossilizzazione è un processo che permette alle parti dure di un organismo di conservarsi<br />

per molto tempo. E’un processo lungo che richiede migliaia di anni ed avviene assai di<br />

rado. I paleontologi ritengono che una piccola parte, forse meno del 3/4%, delle specie vissute<br />

nel passato abbia lasciato tracce della loro esistenza. Questo valore così limitato dipende<br />

dalle condizioni necessarie a creare un fossile:<br />

❏ innanzitutto l’organismo deve avere parti dure, quali scheletri ossei, conchiglie e parti chitinose;<br />

❏ alla morte dell’organismo, la carcassa in tempi rapidi deve essere ricoperta da sedimenti<br />

fini per impedire la decomposizione completa.<br />

23


Queste estreme condizioni impediscono agli invertebrati dal corpo molle, come le meduse, i<br />

vermi o i lombrichi, di fossilizzarsi. Gli animali terrestri invece se non sono ricoperti in breve<br />

da materiale sedimentario, dopo la morte sono facile preda dei carnivori e completamente<br />

distrutti dai batteri decompositori. L’acqua piovana infine completa la distruzione dissolvendo<br />

la tenace struttura della ossa. Stessa sorte subiscono i vegetali e gli animali marini. Sono<br />

pochi perciò i reperti fossili rispetto alle innumerevoli specie esistite sulla Terra. Dopo la<br />

decomposizione delle parti molli cosa succede ai pochi resti di un organismo ricoperto dai<br />

sedimenti? Il processo più semplice da spiegare è la litificazione, un continuo scambio chimico<br />

tra le sostanze presenti nel sedimento e le parti conservate dell’organismo. In definitiva<br />

solo le parti dure, quali i gusci, le ossa scheletriche, i denti e le strutture chitinose o legnose,<br />

possono conservarsi nel tempo.<br />

24<br />

I FOSSILI DEL TERRITORIO<br />

GLI INVERTEBRATI<br />

Il territorio di <strong>Gussago</strong>, nonostante sia costituito da un’area esigua rispetto alla struttura<br />

collinare che va dal lago d’Iseo al lago di Garda, presenta interessanti fossili dell’Era Mesozoica.<br />

Sono per lo più invertebrati marini, che si possono facilmente reperire con un po’di<br />

pazienza e di fortuna. Di seguito sono segnalate le caratteristiche essenziali di alcuni di questi<br />

gruppi, allo scopo di conoscerne l’organizzazione generale e la biologia e di poterli riconoscere<br />

nelle rocce.<br />

Nel territorio comunale i fossili marini si ritrovano all’interno delle rocce (Foto 10)


LE AMMONITI<br />

Chi si interessa di fossili conosce le ammoniti, un gruppo di molluschi provvisti di conchiglia<br />

(cefalopodi) in cui viveva un organismo molto simile a una seppia perché provvisto<br />

di tentacoli. Abitavano i mari e gli oceani, galleggiando nelle acque in modo perfetto e spingendosi<br />

lontano dalle coste. La conchiglia avvolta a spirale, come le corna del dio egizio<br />

Ammon (che ne ha dato il nome), era suddivisa in tante camere e l’animaletto viveva sempre<br />

nell’ultima, la più spaziosa. Le camerette interne riempite d’aria o d’acqua fungevano da<br />

organo regolatore per accedere nelle profondità del mare oppure per risalire in superficie,<br />

come fa attualmente il Nautilus, abitante dell’Oceano Indiano e del Pacifico. Il Nautilus è l’unico<br />

superstite, imparentato con le ammoniti, salvatosi dall’estinzione alla fine dell’Era Mesozoica.<br />

La storia delle ammoniti è molto antica: le prime forme si sono sviluppate circa 400<br />

milioni di anni fa nel Paleozoico e, dopo momenti di grande attività biologica alternati ad altri<br />

periodi di crisi, sono scomparse definitivamente alla fine del Mesozoico.<br />

I modelli interni delle ammoniti si rinvengono principalmente nei calcari di Monte<br />

Domaro, nella ex cava del Medolo<br />

e nell’area di Ronco di <strong>Gussago</strong>.<br />

Possono avere una colorazione giallo-ocra<br />

per l’impregnazione degli<br />

ossidi di ferro che interessa tutto il<br />

fossile o parte della conchiglia. I tipi<br />

di ammoniti che si rinvengono<br />

più frequentemente sono tre. Il primo<br />

presenta un guscio che si avvolge<br />

su se stesso e ogni giro della conchiglia<br />

ricopre tutti i precedenti; in<br />

pratica si vede solo l’ultimo giro,<br />

come il genere Plylloceras. Di queste<br />

ammoniti se ne rinvengono in<br />

discrete quantità.<br />

Il secondo, il più diffuso, presenta<br />

un guscio che si avvolge su se<br />

stesso e i giri interni rimangono<br />

scoperti; la conchiglia è ornamentata,<br />

come il genere Arieticeras.<br />

Infine il terzo tipo, di sicuro il<br />

più raro, presenta un guscio che si<br />

avvolge velocemente lasciando liberi<br />

i giri interni come nel caso di<br />

Lytoceras (6 cm).<br />

Il Nautilus, il cefalopode imparentato alle ammoniti, è l’unico sopravvissuto<br />

alle grandi estinzioni passate. Vive negli Oceani Indiano<br />

e Pacifico (Foto 11)<br />

25


26<br />

GL I AP T I C I<br />

Sono resti fossili (6 cm) a forma di lamella<br />

che fanno pensare a frammenti di<br />

gusci, ma in realtà si tratta degli opercoli<br />

originali delle ammoniti. Alla morte di<br />

questi cefalopodi, l’opercolo si staccava<br />

depositandosi nei fanghi calcarei. La composizione<br />

chimica, diversa rispetto ai gusci<br />

delle ammoniti, impediva che gli aptici<br />

si fossilizzassero insieme alle conchig<br />

l i e .<br />

Si ritrovano con una certa fre q u e n z a<br />

nella Maiolica e negli scisti ad Aptici del<br />

S e l c i f e ro .<br />

LE BE L E M N I T I<br />

Anche questi erano molluschi cefalopodi<br />

contemporanei delle ammoniti con le quali<br />

hanno condiviso la sorte, quella cioè di<br />

estinguersi alla fine dell’Era Mesozoica.<br />

Avevano la conchiglia interna, allungata<br />

come uno pseudoscheletro a sostegno del<br />

corpo molle. Di esse si conserva il rostro<br />

cilindrico ed appuntito simile a un sigaro<br />

che la fantasia popolare ha collegato ai<br />

fulmini scagliati dal cielo (dal greco belemnon,<br />

folgore).<br />

Si possono ritro v a re nel calcare di<br />

D o m a ro e nella Formazione di Conces<br />

i o .<br />

I BR A C H I O P O D I<br />

A prima vista si potrebbero confondere<br />

con i bivalvi (le cozze per intenderci), ma<br />

osservando la conchiglia si nota che il piano<br />

di simmetria non passa tra le due valve,<br />

come appunto nei bivalvi, ma sul dorso<br />

della conchiglia, che risulta essere asimmetrica,<br />

con le due valve disuguali. La<br />

conformazione delle parti molli interne,<br />

decisamente più complessa, li diff e r e n z i a<br />

ancor di più. Possono formare discreti<br />

Ammonite, Philloceras sp.(7 cm) (Foto 12)<br />

Ammonite, Arieticeras sp.(4 cm) (Foto 13)<br />

Ammonite,Lytoceras sp.(5 cm) (Foto 14)<br />

Un aptico (6 cm) (Foto 15)


accumuli in ambiente marino di scogliera su cui si ancorano o si infossano nei sedimenti.<br />

I brachiopodi sono presenti con un numero limitato di specie nei nostri mari, ma abbondavano<br />

nel Paleozoico e nel Mesozoico.<br />

Si ritrovano nel Calcare di Concesio e nella Maiolica.<br />

Guscio di Brachiopode:il piano di simmetria divide a<br />

metà le due valve della conchiglia (Figura 10)<br />

Terre rosse (Foto 17)<br />

Una belemnite (5 cm) (Foto 16)<br />

27


28<br />

IL CARSISMO<br />

FENOMENI CARSICI SUPERFICIALI<br />

Il carsismo è un fenomeno tipico delle rocce calcaree che tende attraverso processi di soluzione<br />

e di erosione a distruggere la roccia. Il carbonato di calcio, il costituente principale<br />

dei calcari, reagendo con l’acqua meteorica ricca di anidride carbonica si trasforma in un<br />

composto chimico solubile, per cui strati di roccia resistente si dissolvono lasciando un paesaggio<br />

tipico, ricco di forme bizzarre e di straordinaria bellezza. Il carsismo ha forme ipogee,<br />

vale a dire sotterranee, con lo sviluppo di grotte, canali di collegamento e pozzi. Le forme<br />

epigee invece sono superficiali, ma anch’esse risultano appariscenti come gli inghiottitoi, i<br />

campi solcati e le doline. Chi vuol vedere il carsismo nelle sue forme più complete può recarsi<br />

a visitare le grotte in diverse regioni d’Italia. Per i viaggiatori meno intraprendenti il vicino<br />

colle della Maddalena e l’altopiano di Serle possono essere punti di riferimento per il<br />

carsismo locale. Nel comune di <strong>Gussago</strong>, specialmente nel settore dove si ritrovano i calcari,<br />

il carsismo interessa piccole aree separate tra di loro e talvolta situate all’interno<br />

del bosco. Sembra quasi un carsismo in miniatura, ma è interessante perché sono presenti<br />

tutte le manifestazioni di altre aree più note.<br />

Una zona dove si può osservare il carsismo superficiale è l’area della Val Gandine, raggiungibile<br />

facilmente dalla strada per Civine. Il sentiero per raggiungere la zona carsica si<br />

imbocca dopo alcune curve della strada principale e conduce in breve in un’area di calcari<br />

bianchi. Innanzitutto, lungo il percorso dove la vegetazione risulta un po’più diradata, sono<br />

presenti discreti accumuli di brecce di calcare bianco create dall’erosione sulla roccia madre<br />

e modellate dal continuo trasporto verso il fondo valle. Sono posti alla rinfusa come le<br />

pietraie della Val Carrobio a Sant’Eufemia.<br />

Calcari superficiali stratificati (Foto 18)


In località Quarone sono presenti doline di discreta grandezza. (Foto 19)<br />

Gli s f i a t a t o i, fori di modeste dimensioni a prima vista fanno pensare all’ingresso di tane di<br />

animali, ma la conformazione di queste microcavità, tra blocchi di calcare variamente erosi, li<br />

rende inconfondibili. Attraverso questi fori l’acqua piovana entra nel substrato roccioso alimentando<br />

la falda acquifera dei colli. Interessante notare che l’aria che fuoriesce da queste cavità ha<br />

una temperatura costante, a tal punto che può sembrare fresca d’estate e calda d’inverno!<br />

Altro aspetto del carsismo superficiale sono dei blocchi a spigoli taglienti, dalla forma bizzarra<br />

quasi piramidale, creati sia per l’azione erosiva delle acque che per la dissoluzione chimica.<br />

Queste forme ricordano i rilievi ru i n i f o r m idel Carso e sono sparsi tra gli alberi del bosco.<br />

Sulle lastre di roccia calcarea si notano canali di scorrimento delle acque, detti microlapiez,<br />

corrispondenti a scanalature più o meno ampie separate da creste, create dall’azione erosiva<br />

delle acque di dilavamento.<br />

Un fenomeno del carsismo superficiale presente a Quarone sono le doline, depressioni<br />

ellittiche o pseudo-circolari di dimensioni talvolta discrete. Si restringono verso il basso acquisendo<br />

una forma ad imbuto. In genere digradano lentamente verso il fondo e nella zona<br />

centrale è quasi sempre presente un inghiottitoio, una fessura che incanala l’acqua piovana<br />

all’interno della struttura calcarea.<br />

FENOMENI CARSICI SOTTERRANEI<br />

I fenomeni sotterranei o ipogei sono di sicuro più spettacolari: sono le grotte che si sviluppano<br />

principalmente nei settori calcarei del bresciano, come il colle della Maddalena, ma<br />

anche nell’area comunale di <strong>Gussago</strong>. L’azione erosiva delle acque, combinata con gli attacchi<br />

chimici, ingrandisce sempre di più le grotte, mentre il carbonato di calcio presente nelle<br />

acque percolanti favorisce la creazione delle stalattiti e delle stalagmiti, rendendo ancor più<br />

vario e fantastico il paesaggio carsico.<br />

29


n° catastale Nome Località altitudine longitudine latitudine<br />

s.l.m. est nord<br />

80 Lo-BS Büs del Diàol Val Gandine - ramo destro 610 2°17’3” 45°37’5”<br />

81 Lo-BS Büs de la Marta Quarone di Sotto 680 2°16’38” 45 °36’35”<br />

Camaldoli (Concesio)<br />

55 Lo-BS Prefònd Soradùr Dosso Croce 710 2°16’41” 45°34’28”<br />

(Villa Carcina)<br />

84 Lo-BS Prefònd de Quarù Strada Civine-Quarone 700 2°16’59” 45°37’11”<br />

199 Lo-BS Prefònd de le Stàle Dolina Quercia verde 775 2°16’50” 45°37’24”<br />

loc. Pianone<br />

236 Lo-BS Büsa de Andrèa <strong>Gussago</strong> - Riviere 705 2°17’24” 45°37’38”<br />

327 Lo-BS Perdimènt di Follo Loc. Follo 275 2°18’10”,18 45°35’55”,13<br />

340 Lo-BS Prefònd al Buscù Valle del Cristò 365 2°18’6”,79 45°37’32”,43<br />

760 Lo-BS Grotta di Val Cristò Valle del Cristò 350 2°18’5”,66 45°37’30”,81<br />

Ex miniera di Val Volpera Val Volpera 330 2°17’5”,66 45°36’4”,05<br />

Buco artificiale del Follo Loc. Follo 208 2°18’5”,66 45°35’53”,51<br />

Büs del Martör Loc. Follo 210 2°18’5”,66 45°35’54”,32<br />

Buco della Valle di Valle di Camaldoli 555 2°16’29”,14 45°36’28”,36<br />

Camaldoli<br />

Büs del Cudöl Val Gandine - ramo sx 605 2°17’06’’,9 45°37’05’’.6<br />

Büs del Tru Via Sovernighe 202 2°17’39’’,23 45°35’54’’,32<br />

Grotticella di Loc.Pian 495 2°17’39’’,23 45°36’38’’,91<br />

Pian San Martino San Martino<br />

Grotticella di Altarone Dosso Altarone 482 2°17’19’’,06 45°37’18’’,5<br />

o Buca degli Inglesi<br />

Come abbiamo potuto vedere nei paragrafi dedicati alla geologia, le particolari formazioni<br />

rocciose che costituiscono il sottosuolo di porzioni del nostro territorio presentano fenomeni<br />

carsici. Nel comune di <strong>Gussago</strong> sono presenti infatti una ventina di grotte, che sicuramente<br />

non possono essere paragonate, per dimensioni o per la bellezza delle concrezioni,<br />

alle grotte delle più famose ed importanti aree carsiche della Lombardia, ma che tuttavia,<br />

tranne in due casi, sono a tutti gli effetti cavità di origine carsica.<br />

Büs e Prefònd sono le parole bresciane con cui vengono definiti grotte, buche, pozzi e cunicoli,<br />

il più delle volte fungono da prefisso alle singolari denominazioni di queste cavità naturali,<br />

normalmente legate a fatti, storie e leggende che nell’immaginazione popolare hanno da<br />

sempre stimolato paura e curiosità, come del resto avviene per tutti quei fenomeni poco conosciuti.<br />

Per l’occasione si è tentato di effettuare una ricerca a 360 gradi sul “carsismo gussag<br />

h e s e ” , seguendo due filoni: uno di carattere tecnico, relativo alla individuazione e descrizione<br />

delle varie grotte, ed uno di tipo storico-culturale, che riguarda invece curiosità e leggende<br />

che legano queste grotte alla storia della nostra comunità. L’obbiettivo è quello di ricostruire un<br />

quadro generale, e non per soli esperti, su Büs e Pre f ò n d di casa nostra. Di ogni grotta seguirà<br />

una breve relazione accompagnata da qualche schizzo per aiutare il lettore a capirne meglio la<br />

struttura. Il lavoro svolto non ha la pretesa di essere esaustivo dell’arg o m e n t o .<br />

30<br />

BÜS E PREFÒND<br />

Grotte, cunicoli ed anfratti presenti nel territorio di <strong>Gussago</strong>


Si raccomanda a quanti incuriositi da questa lettura e stimolati a esplorare le<br />

grotte descritte di limitarsi a visitarne l’imbocco, se non accompagnati da<br />

persone esperte. Per l’esplorazione di alcune di esse è infatti necessaria ido -<br />

nea attrezzatura e una buona conoscenza delle tecniche di speleologia.<br />

Ex miniera di Val Volpera<br />

Poche persone sono a conoscenza del fatto che a <strong>Gussago</strong> esista una realtà mineraria anche<br />

se dismessa ormai da notevole tempo. In Val Volpera, ai piedi del monte Navazzone,<br />

meglio conosciuto come collina dei Camaldoli, sono ancora ben riconoscibili l’ampia trivellazione<br />

verticale ed i resti di alcune infrastrutture, celati nella vegetazione. Anche se non si<br />

tratta di una grotta naturale abbiamo ritenuto interessante dedicare spazio a questa “cavità”<br />

ed all’attività ad essa legata, attorno alla quale, nel fluire degli anni, sono sorte molte leggende<br />

e si sono fatte le congetture più curiose, che come spesso accade di veritiero hanno ben<br />

poco. Da uno studio effettuato nel primo dopoguerra (1946–47) da Franco Cunego apprendiamo<br />

notizie e dati quanto mai singolari e interessanti che riproponiamo nei passi salienti:<br />

“Nei dintorni di Brescia, e precisamente nella zona di Val Volpera nei pressi di <strong>Gussago</strong>,<br />

da tempo è nota la presenza di scisti bituminosi ittiolici, il cui sfruttamento venne iniziato at -<br />

torno al 1928 e di cui fu presentata proprio in quel periodo un’accurata relazione dal prof.<br />

Arturo Cozzaglio. Rilevata la concessione della S. A. Mineraria Bresciana, furono continua -<br />

ti i lavori ma solo per un breve tempo; i costi di produzione superavano di gran lunga gli uti -<br />

li di realizzo del materiale estratto, che tuttavia alle analisi dava ottimi risultati con percen -<br />

tuali di bitume variabile dal 10% al 13%...<br />

L’indagine geologica eseguita dal prof. Cozzaglio mirava soprattutto a dimostrare non<br />

trattarsi di un fenomeno isolato poiché eguali affioramenti di rocce impregnate di bitume<br />

erano rilevabili sul versante opposto, nei pressi di San Vigilio e lateralmente sia sulla stra -<br />

da della Forcella che in alcuni punti del Dosso dei Camaldoli…. La zona della Val Volpera,<br />

dove si iniziarono alcuni anni fa i lavori di estrazione della roccia bituminosa, è sede di un<br />

grande anticlinale… Il bitume è salito attraverso le fessure degli strati superiori e questo la -<br />

scia supporre, in profondità, un bacino di estensione e potenziale di gran lunga maggiore che<br />

può essere sede di un vero e proprio giacimento di petrolio… Sarebbe una sorpresa per le<br />

persone che a <strong>Gussago</strong> ancora ricordano “la cerca del carbone”.<br />

Era una strana abitudine, bisognava arrancare per un sentiero appena tracciato in una<br />

direzione della Stella,… tornavano alla sera con alcuni sassi scuri: gli scisti della Val Vol -<br />

pera, roba di poco conto, ma che bruciava! Ne sono passati degli anni, ora in quel punto è<br />

sorta una strada e lassù una piccola miniera, frutto dell’iniziativa di un imprenditore di la -<br />

vori stradali, il Signor Luigi Salvi… Volle tentare un esperimento rilevando nel 1946 la con -<br />

cessione dal S. A. Mineraria Bresciana e attorno al pozzo, da anni abbandonato, lavorava -<br />

no alcuni operai con mezzi rudimentali e risultati non proprio incoraggianti… Gli scisti ri -<br />

dotti in graniglia sarebbero dovuti servire per pavimentazioni stradali… la proporzione tra<br />

costi e rese in materiale avrebbero fatto abbandonare l’iniziativa a chiunque… Ma in breve<br />

tempo alla strada con piazzale per manovra (tuttora visibile) si provvide per l’energia ad al -<br />

ta tensione per l’installazione di un moderno montacarichi con benna, alla costruzione di<br />

una baracca–magazzino ed all’impianto di un compressore per perforatrici. I lavori esegui -<br />

ti a tutt’oggi comprendono, oltre che alla galleria che raggiunge i 25 metri di profondità, una<br />

serie di diramazione per complessivi 38 metri lineari… Procedendo i lavori in profondità, la<br />

31


occia ricavata è a percentuale sempre maggiore di bitume, raggiungendo in alcuni cam -<br />

pioni il 48%!… L’estrazione industriale di alcuni minerali da rocce idrocarburate è ovunque<br />

applicata e rappresenta una vera e propria risorsa nazionale… C’è da augurarsi che l’ini -<br />

ziativa del Signor Salvi a <strong>Gussago</strong> venga appoggiata… onde assodare se la nostra provin -<br />

cia è quel grande bacino petrolifero che sembra veramente essere!”<br />

Così si scriveva negli anni 1947-48. La ricerca degli oli minerali si concluse ben presto e<br />

gli scavi furono sospesi. Attualmente l’imbocco ed il pozzo dell’ex miniera sono visibili,<br />

ma una visita all’interno è possibile solo con attrezzatura da speleologia e con le dovute<br />

precauzioni. Le impalcature in legno che conducevano in fondo al pozzo, presenti fino alla<br />

fine degli anni sessanta, sono andate totalmente distrutte. La profondità differisce leggermente<br />

dai dati originari a causa, probabilmente, dei detriti accumulatosi nel tempo. La discesa<br />

si effettua da una breccia nel muretto (massi pericolosamente instabili!) e, superando<br />

la parete artificiale di contenimento, si raggiunge il fondo occupato da voluminoso deposito<br />

detritico che probabilmente ha ostruito la parte finale della trivellazione (perforazione), qui<br />

sono presenti una folta colonia di salamandre ed alcune rane depigmentate.<br />

E’in questo ambiente che maggiormente sono presenti gli affioramenti di rocce idrocarburate<br />

con alto tenore di bitume, dall’inconfondibile colore nerastro. Dal pavimento dipartono<br />

due cunicoli comunicanti: il primo immette in una sala oblunga caratterizzata da densi<br />

depositi di fango limaccioso che sfocia in un laghetto; con il secondo, parallelo al precedente,<br />

si perviene in un’ampia galleria articolata orizzontalmente al cui centro spicca il sopra<br />

citato laghetto il cui fondo costituisce il massimo dislivello e conclude la perforazione.<br />

Anche queste diramazioni si presentano intensamente fangose: singolarmente si possono osservare<br />

deposizioni melmose sino sotto alla volta soprastante. E’ pertanto ragionevole ipotizzare<br />

che, a seguito di violenti temporali o di periodi di pioggia particolarmente intensi,<br />

l’acqua percolante invada completamente le gallerie trasformandole in un grande serbatoio.<br />

32<br />

Buco artificiale del Follo<br />

Presso la località Follo, in frazione Navezze, ai piedi della collina Mirabella (monte Bre -<br />

da), sono visibili già dal sottostante centro abitato alcune balze rocciose formate da calcari<br />

riferibili alle maioliche giurassiche, le cui bancate costituiscono uno spettacolo singolare per<br />

lo spessore e la vistosa inclinazione che ne fa intuire l’immersione. Posta ai piedi della balza<br />

rocciosa, a ridosso delle ultime case ed in proprietà privata, si trova questa piccola caverna,<br />

che fino a poco tempo fa era visibile già dalla sottostante via Navezze, mentre attualmente<br />

risulta parzialmente nascosta dalla vegetazione che crescendo ne ha occultato l’accesso.<br />

Realizzata artificialmente negli anni cinquanta nell’ambito di più estesi lavori realizzati<br />

per verificare la convenienza estrattiva della calce, venne ben presto abbandonata poiché<br />

lo sfruttamento non assicurava certezze economiche. Si tratta di un “foro” squadrato che<br />

penetra orizzontalmente in direzione ovest, percirca quattro metri, sotto le rocce maioliche<br />

del colle Mirabella.<br />

Questa modesta galleria artificiale, non registrata nel catasto, viene spesso confusa col<br />

Büs del Diàol (sito altrove e di cui parleremo successivamente), e le vengono erroneamente<br />

attribuite le relative leggende popolari ricche di fantasie, paure e superstizioni.<br />

Büs del Martör<br />

Posto sempre sopra la località Follo, nel medesimo sito ed a poche decine di metri dal<br />

buco artificiale del Follo, si trova il Büs del Martör. Alla base del costone, sul pianoro erboso,<br />

è situata questa piccola cavernetta dalla sezione regolare, ovoidale e alla quale si ac-


Büs del Martör (Fig.11)<br />

cede attraverso un esile foro orizzontale. Anch’essa si sviluppa nelle rocce maioliche giurassiche<br />

sotto la collina Mirabella. L’interno, leggermente discendente, è occupato da brecciame<br />

incoerente, si conclude dopo circa cinque metri con un piccolo meandro fratturato non<br />

percorribile.<br />

Se speleologicamente è trascurabile, considerate le contenute dimensioni e lo scarso interesse<br />

geologico, va valutata come fenomeno carsogeno “nostrano”, a pochi metri dall’abitato.<br />

Non esistono fonti circa l’origine del nome.<br />

Perdimènt di Follo<br />

Questa grotta si trova nella stessa area delle precedenti. Un centinaio di metri a monte della<br />

balza rocciosa che sovrasta l’antico abitato del Follo, lungo le pendici est della collina Mirabella<br />

(monte Breda). La cavità è raggiungibile seguendo una traccia di sentiero che si sviluppa<br />

tra la folta vegetazione che copre il versante della collina. L’imbocco si presenta come<br />

un’angusta fessura nella roccia maiolica (Giurassico-Mesozoico) che dà accesso al<br />

vano principale con un salto di quattro metri. L’interno, semplice e modesto (asfittico),<br />

delle dimensioni di 7 metri per 6, offre brecciame al suolo, assenza di concrezioni calcitiche<br />

e dipartendosi verso nord, chiude con una camera di 1 metro quadrato.<br />

33


Registrata al catasto speleologico con il numero “327 Lo BS”, pur risultando speleologicamente<br />

trascurabile, è comunque una curiosità carsica a pochissimi passi dal centro abitato.<br />

Per anni è stata irreperibile poiché celata dalla folta vegetazione, si pensava addirittura che<br />

l’imbocco fosse stato ostruito con massi.<br />

Suggestiva anche la toponomastica: “perdimento” che suppone lo sviluppo di questa<br />

grotta all’infinito ed essere ricettacolo di qualsiasi negatività, le esigue dimensioni induco -<br />

no ad escludere ogni relazione tra queste ipotesi e la realtà.<br />

34<br />

Prefònd al Buscù<br />

Partendo dalla base Scout di Piazzole e percorrendo il profondo solco vallivo della Valle<br />

del Cristò che tra dirupi e forre discende verso il Caricatore, sulla destra orografica una vistosa<br />

bancata rocciosa segnala la vicinanza di questo fenomeno carsogeno naturale, visitabile<br />

solo con idonea attrezzatura da speleologia. Poco più in alto dell’alveo, uno scivolo di terriccio<br />

imbutiforme e alquanto instabile, contornato da castagni, immette in una ampia fessura<br />

(5-6 metri) separata centralmente da un grosso masso che, al primo impatto, appare<br />

decisamente precario. L’interno della grotta è costituito da un ambiente articolato e terroso,<br />

fortemente discendente che sovrasta il fondo finale caratterizzato da caos di massi al suolo<br />

(-15 mt). Un sottile ed accidentato pertugio, che diviene dopo pochi metri impraticabile,<br />

determina la massima profondità, a meno 18 metri, che è anche il punto assorbente della cavità<br />

stessa (siamo molto probabilmente al livello del fondo della Valle del Cristò). Formazione<br />

geologica: Aaleniano (Dogger) – Toarciano (Lias) del Giurassico (2° periodo del Mesozoico)<br />

riferibili alla formazione di Concesio. Registrata al catasto speleologico con il numero<br />

“340 Lo BS”.<br />

Considerata l’ubicazione non proprio proibitiva, curiosamente sembra che la grotta sia<br />

stata scoperta casualmente da Don Giovanni Fogazzi in escursione con dei ragazzi tra gli<br />

anni “50 e “60.<br />

Grotta di Val Cristò<br />

L’ubicazione di questa grotta è a poche decine di metri del P refònd al Buscù, sempre in<br />

Valle del Cristò; sulla destra orografica, è collocato l’ingresso di questa cavità scoperta solo<br />

recentemente (1996) da Livio Palamidese. Alla base di una suggestiva rupe, si rende visibile<br />

un esile spiraglio che alita (aspira in inverno), frutto di una risoluta disostruzione e di un successivo<br />

allargamento, teso a migliorare l’accessibilità, possibile però esclusivamente ad esperti<br />

con attrezzatura speleologica. L’ i n g resso è costituito da un leggero scivolo terroso che si<br />

getta in un pozzo vert i c a l e lungo 9 metri, il cui fondo presenta sedimenti argillosi, mentre<br />

le pareti offrono forme di erosione e lame (insidiose!). Segue una breve strettoia che con un<br />

salto di 3 metri immette in un ambiente la cui base è occupata da brecciame e spigoli vivi e<br />

da depositi fangosi di argilla. Il meandro continua con un canale di volta (forma erosiva) lambendo<br />

un masso quanto mai instabile. Poco dopo si innalza un camino di quattro metri la cui<br />

parte sommitale costituisce prosecuzione intransitabile e… inesplorata! Il cunicolo di fondo<br />

prosegue nelle argille, mentre un debole arrivo di acqua, che genera una pozza, rende scomodo<br />

il transito verso il fondo della cavità (-18,5 metri) composto in prevalenza da sabbia e argille.<br />

Un camino ascendente di quattro metri e un cunicolo orizzontale, entrambi non percorribili,<br />

sembrano concludere attualmente gli sviluppi della grotta. Formazione geologica: formazione<br />

di Concesio. Registrata al catasto speleologico con il numero “760 Lo BS”, questa<br />

grotta ben si presta ad uscite didattiche/preparatorie di corsi speleologici.<br />

Vista la scoperta recente non ha particolari storie e leggende.


Grotta di Val Cristò (Fig.12)<br />

Buco dei Camaldoli<br />

Questa cavità, non registrata nel catasto, è facilmente individuabile nella Valle dei Ca -<br />

maldoli, che ampia e profonda capta le acque meteoriche convogliandole lungo il versante<br />

che scende verso San Vigilio, poco più a nord della recinzione muraria dell’ex convento posto<br />

in località Camaldoli, sul monte Navazzone. Sulla destra orografica del valzello, due<br />

grossi carpini bianchi delimitano lo scivolo imbutiforme la cui struttura terrosa appare quanto<br />

mai instabile. Verso il fondo, a 7,8 metri di profondità, alcuni banchi di roccia maiolica<br />

(Giurassico – era Mesozoica) si aprono con un sottile meandro molto sinuoso ed accidentato,<br />

percorribile solo per un breve tratto, poiché si tramuta in fessura impraticabile alta meno<br />

di 30 cm che funge da inghiottitoio delle acque piovane.<br />

I terrazzani ed i cacciatori del posto conoscevano da sempre questa depressione per pau -<br />

ra di cadute accidentali di persone o animali.<br />

Büs del Diàol<br />

Salendo dalla frazione di Civine, poco prima di raggiungere la località Quarone di Sopra<br />

e la caratteristica dolina degradante a ovest (verso il Caricatore), a valle della strada parte un<br />

canale che percorre il ramo destro della Val Gandine, esso indica l’itinerario da seguire per<br />

35


individuare l’ingresso del Büs del Diàol. Si tratta di una condotta freatica che dal solco della<br />

valle entra in direzione est sotto l’altopiano di Quarone per circa settanta metri, seguendo<br />

un andamento prima in leggera salita e poi in leggera discesa, completamente percorribile<br />

senza particolari attrezzature, coprendo un dislivello di circa 3-4 metri. L’imbocco, posto<br />

nel solco vallivo dell’accidentato canale, si presenta piano, di facile accesso e di aspetto assai<br />

originale: ricorda vagamente l’orrido antro dell’inferno di Belzebù! Si accede all’interno<br />

tramite la comoda galleria di sezione e di andamento tortuoso. Percorsi i primi venti metri,<br />

leggermente in salita, trovasi un piccolo vano che si apre sulla sinistra e permette una comoda<br />

sosta. Seguono poi una ventina di metri in lieve discesa, caratterizzati da una noiosa fanghiglia<br />

che, a tratti, rallenta l’esplorazione. Indi si continua per circa 15 metri pianeggianti<br />

che costituiscono la parte più bassa della grotta, in questo tratto si forma spesso una pozzanghera<br />

di acqua stagnante che obbliga ad acrobatiche manovre per non “finirci dentro”. Un ultimo<br />

tratto di 10-15 metri, tende nuovamente a salire e, gradualmente, si restringe verso la<br />

parte terminale obbligando a strisciare in un angusto pertugio che sbuca poi in una saletta<br />

ostruita da frana. Fra l’abbondante fauna che popola questa caverna figurano Anellidi, Aracnidi,<br />

Crostacei, Miriapodi, Coleotteri, Ortotteri ecc. La formazione geologica è costituita<br />

dalla formazione di Concesio. Registrata al catasto speleologico con il numero “80 Lo BS”.<br />

Nella fantasia popolare questa grotta ha sempre suscitato paura e timore per l’alone di<br />

mistero che aleggia attorno ad essa. Negli anni sono fiorite numerose leggende di briganti e<br />

assassini che, dopo sanguinose scorribande, vi trovavano rifugio; altre narrazioni la vole -<br />

vano dimora di diavoli e streghe dediti a riti infernali.<br />

36<br />

Büs del Cudöl<br />

L’ingresso del Büs del Cudöl è posto in luogo scomodo e difficilmente raggiungibile, nelle<br />

vicinanze della sorgente di Val Gandine, alla confluenza di due valzelli, risalendo il ramo<br />

sinistro della valle medesima che porta sotto Quarone di Sopra. In un ambiente di consecutivi<br />

dirupi, sulla sinistra orografica del canale, una propaggine rocciosa rende ben visibile<br />

l’ingresso di questa cavità dall’andamento prettamente orizzontale. Impostata su una<br />

frattura (scollamento) della roccia carbonatica, si addentra con un meandro di circa 12 metri<br />

avente sezione irregolare. Il proseguimento del penoso cunicolo risulta inibito alla transitabilità<br />

(sondato per circa 3 metri) e un’opera di disostruzione appare poco attuabile. Geomorfologicamente<br />

i sovrastanti pendii montuosi, sono caratterizzati da rocce degradate e<br />

quanto mai instabili; l’alta densità di fenomeni carsogeni da verificare, potrebbe riservare<br />

inattese sorprese (scoperte). Ad eccezione dei valzelli, a scorrimento intermittente, non esiste<br />

idrografia superficiale, anche in occasione di violenti nubifragi, in quanto l’assorbimento<br />

delle fessurazioni è capillare. Anche se conosciuto da tempo, il Büs del Cudöl non risulta<br />

registrato nel catasto speleologico.<br />

Poco distante dalla grotta, da tempi assai remoti è conosciuta una risorgenza carsica di no -<br />

tevole interesse. Posta più a valle e sulla destra orografica del canale, assume il nome di “Cudöl<br />

di Val Gandine” (toponomastica appresa dagli anziani residenti), che a seguito di intensi tem -<br />

porali o lunghi periodi piovosi, emette una quantità di acqua tale da generare ru m o re poco ras -<br />

sicurante! Principale fonte che alimenta la portata delle acque in Val Gandine. La leggenda re -<br />

cita che se il serbatoio di Val Gandine tracimasse, nessuno tro v e rebbe scampo!<br />

Prefònd de Quarù<br />

Percorrendo la carrareccia che da Civine sale verso la località Quarone di Sopra (già nota<br />

come Quarone dei Cavalli) in prossimità dei prati pianeggianti, ai margini di un castagne-


to e a pochi metri a monte della strada, è facilmente individuabile l’ingresso di un pozzo ad<br />

andamento prevalentemente verticale, la cui profondità è di circa 12 – 13 metri. Si tratta<br />

del Prefònd de Quarù, grotta registrata al catasto speleologico con il numero “84 Lo BS”.<br />

La struttura di questa cavità è piuttosto semplice, caratterizzata da una parete verticale che<br />

presenta bancate di roccia maiolica molto gradinate, ornate in alcuni punti da deposizioni calcitiche<br />

che offrono singolari aspetti del mondo ipogeo. La totale assenza di estensioni orizzontali<br />

preclude perentoriamente futuri sviluppi della cavità stessa. Anche questa grotta non<br />

è visitabile senza idonea attrezzatura, la comoda posizione e la conformazione la rendono<br />

però un’ottima “palestra” per lezioni didattiche/preparatorie di corsi speleologici. Grotta conosciuta<br />

fin dai tempi remoti, data la posizione ed il facile accesso, e per il pericolo di cadute<br />

accidentali. Sovente la si confonde con il Büs de la Marta ubicato altrove.<br />

Prefònd de le Stàle<br />

Pervenuti a Q u a rone di Sopra e proseguendo verso Sella dell’Oca, un poco prima di raggiungere<br />

la parte sommitale, sulla destra della comoda carrareccia, si rende visibile da lontano<br />

una maestosa quercia sempreverde (Quercia crenata, probabilmente unica a <strong>Gussago</strong>), quasi<br />

volesse segnalare autorevolmente la località Pianone, caratterizzata da un appostamento di<br />

caccia e da ridenti prati terrazzati. Percorsi pochi metri verso nord, in direzione di una macchia<br />

densamente vegetata, compare sorprendentemente una vasta dolina al centro della quale<br />

si apre l’ingresso di questa formazione carsica. Non si tratta certamente di una grotta complessa<br />

o labirintica, anche se in passato venne studiata, poiché funge da punto idrovoro molto<br />

assorbente, e valenti biologi ci dedicarono tempo ed energie. Da una relazione del<br />

28.03.1939 apprendiamo che: “Pavan vi è stato attratto dalla voce dell’esistenza di un pozzo<br />

molto profondo, e vi ha trovato invece una cavità di poco conto: trattasi di un inghiottitoio che<br />

si apre eccentricamente sul fondo di una dolina. Si trova a un centinaio di metri ad est di “ L e<br />

S t a l l e ” , a quota 775 metri circa. Ha l’aspetto di fessura larga meno di 1 metro, nella quale si<br />

scende su un fondo inclinato, con corda per una profondità di 10 metri circa. All’estremità termina<br />

per interramento. Cavità fredda!”. Formazione geologica costituita da rocce di maiolica<br />

inframezzata da strati di selci. Registrata al catasto speleologico con il numero “199 Lo BS”.<br />

Legati a questa grotta esistono inoltre fatti e vicissitudini di notevole interesse storico:<br />

pare infatti che durante la II guerra mondiale negli anfratti rocciosi avessero trovato rifugio<br />

alcuni soldati inglesi onde sfuggire ai persistenti rastrellamenti.<br />

Büsà de Andrèa<br />

Percorrendo la strada che da Civine conduce a Riviere e proseguendo poi verso le località<br />

Gerot, Colma e Sella dell’Oca, alcune edificazioni indicano l’approssimarsi della valle Alta -<br />

rone (degradando, confluisce con la principale Val Gandine). E’ sul lato a valle della strada,<br />

lungo il fianco boscoso di questo pendio, a pochi metri dal solco vallivo, che è possibile individuare<br />

la caverna in oggetto, le cui dimensioni risultano quanto mai contenute. L’ampio<br />

ingresso, sormontato da vistose ceppaie che affondano le radici nelle fratture della selce,<br />

prospetta una prosecuzione pianeggiante che non si protrae oltre i 7,5 metri. L’unico vano<br />

della cavità è originato da stratificazioni orizzontali di Selcifero Lombardo (la così detta<br />

“preda funghera”) inframezzate da banchi biancastri di roccia calcarea. Gli strati di selce bruno-verdastri<br />

formano una serie di venature orizzontali dall’aspetto decisamente precario ma<br />

molto suggestivo. Registrata al catasto speleologico con il numero “236 Lo BS”. L’instancabile<br />

Corrado Allegretti, responsabile del Gruppo Grotte Brescia per più di 40 anni, la visitò<br />

nel settembre 1949 per ricerche faunistiche e per effettuare il relativo rilievo topografico.<br />

37


Gli anziani di Civine e Brione rammentano che la caverna, negli anni in cui in montagna<br />

stanziavano gli armenti, veniva utilizzata come riparo naturale contro le intemperie. Fu usa -<br />

ta anche dai prigionieri alleati durante la seconda guerra mondiale.<br />

38<br />

Prefònd Soradùr - Büs de le Stale Longhe – “Picamos”<br />

Questa grotta è situata lungo il versante est del Dosso Cro c e, posto a nord di Q u a rone di S o -<br />

p r a, dove si incrociano i confini dei comuni di Concesio, <strong>Gussago</strong> e Villa Carcina. Anche se per<br />

pochi metri ubicata fuori dal territorio di <strong>Gussago</strong> questa cavità appartiene al vasto fenomeno<br />

carsico che caratterizza l’altopiano di Q u a ro n e. Si è ritenuto parlare anche del Prefònd Soradùr<br />

per la particolare bellezza delle formazioni che ne coprono le pareti rocciose e per l’intensa attività<br />

di esplorazione effettuatavi dagli Scuot di <strong>Gussago</strong>, che la battezzarono familiarmente<br />

“a n t ro dei Picamos”. L’ingresso, sito nella rigogliosa vegetazione che ricopre il versante della<br />

collina, si presenta come la bocca di un pozzo che si apre in un piccolo spiazzo nei pressi di<br />

un carpino nero, il cui tronco funge da sicuro ancoraggio all’attrezzatura speleologica indispensabile<br />

per effettuare la discesa. La complessa conformazione della grotta ne richiede una<br />

descrizione schematica e coordinata con uno schizzo della stessa: la prima parte è costituita da<br />

un pozzo (C), a circa metà del pozzo si trova l’imbocco di un cunicolo laterale (D). Il pozzo ter-<br />

Prefònd Soradùr (Fig.13)


Interno del Prefònd Soradùr: vano G. (Foto 20)<br />

mina in una sala (E) relativamente concrezionata. Da qui un esile foro immette in un secondo<br />

pozzo (A) sul cui fondo si ha la massima profondità della grotta. Ritorniamo all’angusto imbocco<br />

del cunicolo (D) che dà accesso ad un tunnel riccamente concrezionato che si tuffa in un<br />

terzo pozzo (F), il tunnel dà anche accesso alle sale (G – H) caratterizzate da ornamenti di stalattiti<br />

– stalagmiti – cannule di rara bellezza e da uno stillicidio molto intenso. Dalle sale (G –<br />

H) si diramano alcune piccole faglie nonché l’ingresso di un tortuoso pozzo (M) dall’andamento<br />

molto accidentato e chiuso da un fondo frazionato in banchi di roccia maiolica.<br />

Registrata al catasto speleologico con il numero “55 Lo BS”.<br />

Anche questa cavità carsica è stata oggetto di visite e esplorazioni da parte di famosi spe -<br />

leologi tra i quali A l l e g retti Corrado uno dei padri fondatori della speleologia bresciana ac -<br />

compagnatovi dagli Scout di <strong>Gussago</strong>.<br />

Büs de la Marta – pozzo dell’inferno<br />

Questa grotta, nota da moltissimo tempo, si trova nel territorio del comune di Concesio,<br />

a poche decine di metri dal confine con <strong>Gussago</strong>; merita tuttavia di essere presentata perché<br />

anch’essa appartiene al carsismo dell’altopiano di Quarone, ed in particolare per le interessanti<br />

quanto romanzesche vicende che ne originarono il toponimo e entrarono a far parte<br />

della storia della frazione di Civine.<br />

Il Büs de la Marta è ubicato poco a valle dei lussureggianti prati di Quarone di Sotto, l’apertura<br />

si apre sul versante che volge verso i Camaldoli e l’individuazione si rivela sovente<br />

enigmatica. Il bosco densamente vegetato di castagni e carpini, la zona poco frequentata e<br />

l’assenza di riferimenti antropici ne favoriscono l’occultamento naturale. L’ingresso si pre-<br />

39


senta con una depressione imbutiforme e terrosa del diametro di 3 – 4 metri, fortemente<br />

discendente verso uno stretto cunicolo, e tende a riempirsi di fogliame e terriccio che ne<br />

ostruiscono l’imbocco. La visita all’ingresso della cavità è possibile esclusivamente con<br />

attrezzatura da speleologia, e spesso deve essere preceduta da un energico intervento di pulizia<br />

per liberarne l’accesso. Il cunicolo iniziale immette in una angusta concamerazione sovrastata<br />

da un grosso macigno in precario equilibrio. La concamerazione si affaccia su un<br />

pozzo perfettamente verticale profondo 15 metri e del diametro di circa 3 metri che costituisce<br />

la parte più voluminosa della grotta.<br />

Sulle parerti del baratro sono visibilmente diffusi strati di selcifero lombardo, bruno/verdastri,<br />

che con la marna e calcari rossastri intercalano le bianche rocce carbonatiche. Gli strati<br />

selciosi si presentano in spessori variabili, da pochi centimetri a quasi 20 cm, con pronunciamenti<br />

estroflessi rispetto alla roccia calcarea circostante. Gli strati di selce verde presenti<br />

nelle pareti formano una serie di piccoli cornicioni dall’aspetto suggestivo, oppure sono<br />

presenti sotto forma di sfere dal diametro variabile creando uno spettacolo che raramente<br />

capita di osservare. Il fondo del pozzo è coperto da brecciame a spigoli vivi e presenta forme<br />

di erosione probabilmente favorita da un costante stillicidio, il che induce ragionevolmente<br />

a ipotizzare che la grotta funga da punto assorbente dell’area sovrastante. Dal fondo<br />

del pozzo in direzione sud-est si sviluppa in leggera discesa un cunicolo percorribile per circa<br />

7 metri che poi si restringe divenendo impraticabile. A sud si diparte una frattura trasversale<br />

che forma uno stretto ed accidentato meandro discendente, di difficile percorribilità, dal<br />

pavimento e pareti ricoperte da abbondanti depositi fangosi.<br />

Registrata al catasto speleologico con il numero “81 Lo BS”, anche questa grotta venne<br />

esplorata e studiata da famosi ricercatori e speleologi della prima metà del 900 di cui riportiamo<br />

alcune interessanti annotazioni che testimoniano, tra le altre cose, la travagliata storia<br />

di questa cavità.<br />

15/06/24 Trevisani – accertamento – viene accompagnato ad un baratro ricoperto di travi<br />

e lastre sotto Quaroncino;<br />

28/12/29 Ghidini – visita imbocco – ricerca faticosa, individuato foro strettissimo, non<br />

penetrabile, soffia aria tiepida, bocca chiusa con massi;<br />

17/02/39 Pavan – sopralluogo con il Prof. Panizza del seminario di Camaldoli, cavità sita<br />

nella proprietà del vescovo di Mantova – viene attuata disostruzione e ampliamento dell’imbocco<br />

mediante mine (!!), per ricerche idriche (approvvigionamento acqua per il seminario).<br />

Risultato negativo, imbocco nuovamente ostruito.<br />

Riportiamo infine alcuni cenni sulla leggenda, tratta da fatti realmente accaduti sui monti<br />

di Quarone verso la fine del 700, che racconta di due giovani innamorati: “Marta, una ra -<br />

gazza delle Civine, e Ariboldo soldato ricercato della repubblica di Venezia, sono ostacola -<br />

ti nel loro amore da un signorotto di San Vigilio invaghitosi della bella giovane. Durante la<br />

vicenda, Marta precipita accidentalmente nella grotta, allora chiamata “pozzo dell’infer -<br />

no”, Ariboldo credendola morta è costretto alla fuga. Marta esce miracolosamente illesa<br />

dalla rovinosa caduta nella grotta che da allora venne appunto chiamata “Büs de la Mar -<br />

ta”. La storia ha lieto fine e si conclude con il matrimonio dei due protagonisti, ricalcando<br />

la trama di altri romanzi del 1800.”<br />

A chi volesse approfondire questo interessante racconto suggeriamo di leggere il romanzo<br />

intitolato “Marta della buca”, di Giovanni Federici, il lettore avrà l’occasione di fare un<br />

piacevole viaggio nella storia percorrendo luoghi che in duecento anni, tutto sommato, non<br />

sono cambiati di molto.<br />

40


Grotta della sorgente del Tru<br />

Singolare e curiosa la risorgiva del Tru , il cui toponimo deriva probabilmente dal fran -<br />

cese trou (buco) che ne richiama per l’appunto l’aspetto esterno e che si trova nell’antico<br />

borgo di via Sovernighe, a Piedeldosso.<br />

Questa particolare falda carsica è anche probabilmente uno sfogo di acque meteoriche,<br />

poiché in occasione di abbondanti piogge aumenta di molto la sua portata.<br />

Il Tru è quasi sconosciuto ai più giovani, sono invece ancora bene impresse nella memoria<br />

dei più anziani le piene provocate dal getto d’acqua in concomitanza di forti precipitazioni,<br />

esso fuoriusciva violento dal foro andando addirittura a raggiungere la porticina di rimpetto<br />

per poi scorrere lungo la strada in mezzo alle case, trascinando a volte pezzetti di ferro<br />

pestato che si pensava fossero scarti del maglio e delle fonderie della Val Trompia.<br />

Nel 1989, in occasione della sistemazione delle fognature della zona, vennero realizzate delle<br />

opere di incanalazione anche delle acque del “capriccioso” Tru, che da allora cessarono di invadere<br />

la strada, ma che tutt’oggi i residenti di via S o v e r n i g h esentono rombare durante le piene.<br />

L’ingresso, ubicato in proprietà privata, è costituito da un pozzetto di ispezione che tramite<br />

uno stretto tubo in cemento immette in una cameretta in calcestruzzo. Il fondo della came-<br />

Grotta della sorgente del Tru (Fig.14)<br />

41


etta è occupato da una piccola vasca di sedimentazione mentre nella parete nord si trova<br />

un’apertura che si affaccia su uno stretto pozzo verticale, profondo circa 6 metri dal livello<br />

dell’acqua sottostante, di cui i primi 4 sono rivestiti da tubi in cemento dal diametro di 70 cm<br />

che poggiano su una strozzatura della roccia, mentre il restante tratto è rimasto naturale. La<br />

parte terminale del pozzo è costituita da una piccola grotta di circa 2 x 1,5 metri dalle parerti<br />

rocciose formate da strati di calcare bianco intercalato regolarmente da strisce più sottili di selce,<br />

simili a quelle presenti nella ex miniera della Val Vo l p e r a. Gli strati rocciosi presentano<br />

un’inclinazione molto forte di circa 50° e si immergono direttamente nell’acqua, che normalmente<br />

si mantiene a questa quota. La direzione degli strati rocciosi e la profondità dell’acqua<br />

indicano il proseguimento discendente del pozzo verso nord, ed è pertanto ipotizzabile uno<br />

sviluppo in tale direzione, tuttavia non è per il momento possibile fare accertamenti in quanto<br />

sarebbe necessario l’impiego di specifica attrezzatura subacquea da speleologia.<br />

Le pareti del pozzo sono ricoperte da un leggero strato di depositi fangosi che testimoniano<br />

come durante i temporali tutto il pozzo venga invaso dalle acque meteoriche provenienti<br />

da una falda sotterranea.<br />

Questa cavità non è registrata al catasto speleologico anche se viene brevemente citata in<br />

quanto fu oggetto di interesse da parte di alcuni speleologi bresciani che verso la fine degli<br />

anni venti ne raccolsero notizie riportate di seguito: “Foro presso casa Colonna = Ghidini<br />

raccoglie notizia il 28.12.1929 presso casa Colonna a <strong>Gussago</strong> esiste foro che in tempo di<br />

grandi precipitazioni emette getto d’acqua notevole e violento, tale da raggiungere anche<br />

porticina dirimpetto, a parecchi metri di distanza.”<br />

Da una ricerca della maestra Teresa Angeli risulta che: “Questa sorgente viene da sotto i<br />

monti Roccoli e Baita, e giunge dalla Val Trompia perché nelle piene, quando scorreva in<br />

superficie era cosparsa di pezzetti di ferro pestato, scarto del maglio e delle fonderie della<br />

Val Trompia. Nella parte sotterranea della “prima <strong>Gussago</strong>”, in via Sovernighe, c’è una<br />

stanza, una caverna con pareti di roccia e sul basso nasce l’acqua, in forte quantità, della<br />

sorgente Tru. Tale grotta fu visitata negli anni passati dagli scout e nel 1989 dai tecnici in<br />

occasione della progettazione per l’incanalamento delle acque sorgive al fine di evitare l’al -<br />

lagamento della strada. La grande grotta, a sud, presenta un muricciolo costruito dall’uomo<br />

perché il bestiame si abbeverasse senza invadere la grotta. I costruttori della “seconda Gus -<br />

sago” (l’attuale) fecero come si fa oggi, abbatterono le vecchie case cadenti, livellarono il<br />

terreno che restò più alto e ricostruirono, e per conservare la sorgente la lasciarono scorre -<br />

re nei fossi sotterranei; alla grotta fecero un camino che arrivava al livello stradale attuale<br />

con un’apertura (buco) perché quando la grotta si riempiva di acqua, questa potesse uscire<br />

senza portare rovina. Allora l’acqua era pulita e venivano anche da fuori a prenderla per i<br />

malati, la raccoglievano da un pertugio che c’era nella casa. Fuori c’era pure una pozza e<br />

ci si abbeverava il bestiame e sul muricciolo di protezione si sedevano i vecchi la sera a par -<br />

lare mentre i ragazzi correvano lieti nella strada senza autoveicoli. L’acqua entrava nel la -<br />

vatoio dove lavavano tutte le massaie di Piedeldosso ……”<br />

42<br />

Grotticella di Pian San Martino<br />

Si tratta di una cavità molto particolare, situata una decina di metri a valle del comodo<br />

sentiero che conduce in loc. Pian San Martino, circa duecento metri prima di giungere all’omonima<br />

cascina. Tra il fitto bosco che copre il pendio degradante verso la sottostante loc.<br />

Canalino, nei pressi di una singolare ceppaia di Acero montano, si scorge la parte superiore<br />

della bancata rocciosa in cui si sviluppa questo anfratto. La grotta è caratterizzata dalla presenza<br />

di un grosso masso, che staccatosi dalla volta si è adagiato sul pavimento occupando


gran parte del vano. Ne deriva una angusta fessura che in diagonale penetra per circa tre metri<br />

in direzione est sotto il versante della collina. Sul fondo della fessura si trova un piccolo<br />

vano da cui si diramano: a est uno stretto camino ascendente di circa due metri, ricoperto da<br />

concrezioni e cannule che ne testimoniano l’origine carsica anche se attualmente non vi è<br />

presenza di acqua; a sud-est uno stretto e breve cunicolo ascendente non percorribile e a<br />

nord; verso il basso si dirama un secondo cunicolo non percorribile ma che, sondato, pare<br />

prosegua per alcuni metri.<br />

Formazione geologica: conglomerato di rocce calcaree nella prima parte e della formazione<br />

di Concesio nella seconda. Viste le ridotte dimensioni, speleologicamente non è possibile<br />

considerare questa cavità una vera e propria grotta, tant’è che nonostante sia nota da<br />

sempre non è registrata al catasto speleologico. Abbiamo comunque ritenuto importante citarla<br />

in quanto costituisce esempio in miniatura di fenomeno carsico, tutto sommato facilmente<br />

visitabile.<br />

Grotticella di Altarone o Buca degli Inglesi<br />

Questa cavità dalle modeste dimensioni si trova in un luogo di scomodo accesso posto<br />

lungo il dosso che dalla località Altarone, dove sono ubicate le omonime cascine Altarone di<br />

Sopra e Altarone di Sotto, scende ripido nella sottostante Val Gandine.<br />

Risalendo il pendio, coperto da una fitta vegetazione, si raggiunge un’evidente bancata<br />

rocciosa esposta in direzione sud, alta circa tre metri e larga una decina, nella quale è incavato<br />

questo anfratto che si presenta come una piccola stanzetta larga circa 3 metri e profonda<br />

2,5 metri, dall’andamento est–ovest che ne determina l’ottimo mimetismo. Le pareti interne<br />

sono coperte da alcune concrezioni fossili e nel soffitto è presente un leggero stillicidio<br />

che alimenta alcune piccolissime stalattiti. La formazione geologica è quella di Concesio con<br />

presenza di rocce selcifere. Le numerose impronte di cinghiale, visibili nel fango del pavimento,<br />

testimoniano l’assidua presenza di questo animale che abitualmente durante il giorno<br />

rimane rintanato in luoghi impervi e isolati come questo. Si è notata inoltre la presenza di<br />

penne di gallina, probabilmente abbandonate da volpi, che sporadicamente frequentano questo<br />

luogo. Spostata di alcuni metri in direzione nord, dietro lo sperone roccioso che funge da<br />

parete della grotta, è presente una nicchia che non sembra abbia collegamento con l’antro princ<br />

i p a l e . Viste le modeste dimensioni, anche questo anfratto di origine carsica non è da considerare<br />

una vera e propria grotta e non risulta registrato al catasto speleologico.<br />

La cavità in questione riveste invece un notevole interesse storico per le vicende che vi si<br />

svolsero durante la II guerra mondiale, poiché anche in questi anfratti rocciosi rimasero na -<br />

scosti i soldati inglesi che per parecchi mesi sfuggirono ai rastrellamenti spostandosi di con -<br />

tinuo su questi monti, dove guidati e rifocillati dagli abitanti della zona si rifugiavano in al -<br />

cune delle grotte ivi presenti.<br />

43


44<br />

ITINERARI E CURIOSITA’<br />

Dopo aver illustrato il territorio da un punto di vista geologico e paleontologico vengono<br />

proposti due itinerari sviluppati in modo da coinvolgere una buona parte dell’area comunale.<br />

Infatti il primo segue una direttrice Nord-Sud, l’altro è trasversale al precedente secondo<br />

un orientamento Est-Ovest; i due percorsi sono stati studiati in modo che servano al<br />

naturalista in erba per osservare e riconoscere le rocce, le strutture geologiche ed eventualmente<br />

i fossili di quasi tutto il territorio. Potrà capitare che durante le peregrinazioni siano<br />

scoperti aspetti non segnalati. Ciò non significa una dimenticanza da parte dell’autore, ma<br />

piuttosto che l’osservazione e la comprensione dei fenomeni geologici, sollecitate da questo<br />

opuscolo, hanno portato “l ’ e s p l o r a t o re” a guardare la natura con l’occhio di chi ha voglia<br />

di scoprire e di comprendere i segreti celati nelle rocce. Di sicuro all’inizio si farà fatica<br />

a capire il “linguaggio geologico”, ma con il tempo e l’abitudine ad indagare, le passeggiate<br />

per i colli diventeranno un banco di prova per verificare quanto sia stato immagazzinato<br />

ed assimilato.<br />

Il primo itinerario parte da Sale e si articola sino all’imbocco della valle di Navezze per<br />

giungere alla cava del Medolo ed infine su a Brione. Il secondo invece parte dal Colle<br />

della Stella e tagliando per il settore delle gallerie giunge sino a Ronco di <strong>Gussago</strong>. Per<br />

ogni sosta si evidenzieranno la caratteristiche geologiche e paleontologiche e la even -<br />

tuale storia che si può decifrare. Si prenderanno in considerazione quegli affioramenti<br />

più facili da raggiungere, evitando di entrare nei boschi dove l’osservazione diventa dif -<br />

ficile per la fitta vegetazione.<br />

PRIMO ITINERARIO<br />

LA COLLINA DI SALE<br />

Chi guarda questo dosso che si solleva di poche decine di metri dal livello della pianura,<br />

non immagina che rappresenti la sommità di una struttura geologica più estesa, nascosta nelle<br />

alluvioni. In effetti è l’altura più meridionale delle colline di <strong>Gussago</strong> che si collega andando<br />

verso Nord alle altre ondulazioni visibili in direzione della Santissima. La collina di<br />

Sale ha molte analogie con la collina della Badia di Brescia e con il Monte Orfano di Coccaglio:<br />

anche questi infatti si sollevano sulla pianura, a differenza delle zone adiacenti immerse<br />

nei conglomerati della piana. Da un punto di vista delle litologie si notano accumuli<br />

di conglomerato, di ciottoli separati, di sabbie ed argille ben compatte. Non sono mai stati<br />

segnalati fossili, che però si incontrano nei colli indicati in precedenza, specie nei livelli più<br />

argillosi, ricchi in prevalenza di fossili marini e subordinatamente di piante fossili terrestri.<br />

Al Colle della Badia infatti è stata rinvenuta una flora abbastanza diversificata dell’era Cenozoica.<br />

Questi tipi di materiali si sono depositati circa 20 milioni di anni fa in prossimità di<br />

antiche spiagge, dove alcuni fiumi scendendo verso il mare, contribuivano a depositare foglie<br />

e resti vegetali nei sedimenti più fini.


LA SANTISSIMA, IL COLLE ROSA<br />

L’altura si eleva ad un’altezza di 277 metri, è formata esclusivamente dalla scaglia lombarda<br />

ricca di globotruncane, i foraminiferi plantonici che sparirono alla fine dell’era Mesozoica.<br />

Ciò che si nota salendo da diversi punti è il colore rosa o salmone degli strati di calcare,<br />

intercalati spesso da elementi fini come le sabbie o le argille. Questa colorazione dipende<br />

dalla presenza di materiale argilloso proveniente dalle terre emerse che si mescolava<br />

al calcare marino.<br />

Collina della Santissima (Colle Barbisone) (Foto 21)<br />

IL SAGRATO DELLA CHIESA DI NAVEZZE<br />

La valle di Navezze comincia nella zona di raccordo con la SP 19: in questo punto è possibile<br />

osservare la posizione verticale degli strati e le complesse ondulazioni createsi durante<br />

il processo di formazione dei colli. Appena la si imbocca ci si accorge subito di un rapido<br />

restringimento della valle con pareti ripide su entrambi i versanti. Le case della frazione sono<br />

infatti a ridosso della strada principale che si allunga in modo serpentiforme. La mancanza<br />

di fiumi di una certa portata ha impedito una forte erosione delle rocce e quindi un allargamento<br />

ulteriore. Ci fermiamo in prossimità della chiesa per cercare di individuare il punto<br />

dove furono trovati i resti fossili dei vertebrati mammiferi. Osservando la parte retrostante<br />

della chiesa si vede lo spuntone segnalato dal Prof. Pagani, ai cui piedi giacevano in modo<br />

sparso le ossa e gli scheletri dei mammiferi, e il sagrato che risulta essere un metro più basso<br />

rispetto al materiale franato lungo il colle. E’probabile che i fossili siano stati raccolti nel<br />

materiale sbancato per creare questo dislivello.<br />

LA CAVA DEL MEDOLO<br />

L’area della cava, attualmente, è completamente trasformata, le vecchie strutture murarie<br />

sono state recuperate ad uso residenziale, mentre la zona estrattiva presenta le caratteristiche<br />

di una cava abbandonata. All’interno si vedono le pareti di calcare grigio e azzurrino da cui<br />

si distaccano materiale fine e blocchi che rotolano ai piedi delle pareti. L’interesse di questa<br />

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cava è molteplice: innanzitutto sono presenti molti<br />

tipi di fossili. Si possono trovare ammoniti, belemniti,<br />

e conchiglie di altri organismi marini. A l t r o<br />

aspetto importante è che nel settore a nord della cava<br />

si trova la Formazione del Medolo, le rocce più<br />

antiche e a sinistra si rinviene la Formazione di<br />

C o n c e s i o, in pratica è il punto di contatto tra le due<br />

formazioni. Altro aspetto fondamentale è che lungo<br />

la strada sterrata che sale alla zona della cava si notano<br />

strati di calcare (80 cm circa di spessore) alternati<br />

a materiale più argilloso spesso pochi cm. Il<br />

significato che i geologi danno a questa strana alternanza<br />

è che durante la sedimentazione del calcare<br />

sopraggiungeva da zone limitrofe materiale trasportato<br />

dal continente o da frane sottomarine. Sulla<br />

parte alta della cava è presente uno strato part ic<br />

o l a re . A d i fferenza di quanto si vede tutto attorno<br />

questo livello risulta essere di calcare molto compatto<br />

e ben cementato ed assai ricco di fossili di<br />

marini. Si tratta di un pezzo di una antica piattaforma<br />

marina impostata in superficie per il sollevamento<br />

del fondale dell’oceano che ha favorito<br />

una così abbondante vita di scogliera. Si può osservare<br />

lo strato anche risalendo (con un po’ di attenzione!)<br />

il piccolo sentiero che costeggia a nord la<br />

stessa cava.<br />

46<br />

Nella cava del Medolo è possibile osser vare<br />

gli strati del calcare medoloide (Foto 22)<br />

Lungo la strada per salire a Brione si ritrovano pieghe dalla forma particolare (Foto 23)


LA GRANDE PIEGA A GINOCCHIO<br />

Alcuni effetti della formazione delle montagne si vedono negli strati contorti, frantumati<br />

e piegati, come quelli presenti nelle colline del Comune. Salendo per Brione si osserva dopo<br />

i primi tornanti una piega dalla forma particolarissima. I geologi la chiamano piega a gi -<br />

nocchio in quanto sembra assumere la configurazione delle ginocchia quando si è seduti su<br />

una sedia. Infatti i fianchi sono ripiegati tra di loro a formare un angolo di 90°, proprio come<br />

l’angolatura caratteristica. Gli strati prima della piega sembrano mantenere un andamento<br />

abbastanza rettilineo, poi cambiano del tutto l’orientamento, si incurvano e diventano verticali<br />

immergendosi verso il basso. Proseguendo verso l’alto in direzione di Brione gli strati<br />

evidenziano maggiormente la loro stratificazione e cominciano ad apparire significativi livelli<br />

di selce marina che si forma per la presenza di organismi e microrganismi dal guscio siliceo.<br />

Superato il Parco Naturalistico di Piazzole si è già nel territorio di Brione, ma noi continuiamo<br />

il viaggio per scoprire altri aspetti e curiosità geologiche presenti nel tratto superiore<br />

della valle.<br />

LE RADIOLARITI: ROCCE DI OCEANI MOLTO PROFONDI<br />

Poche curve prima del bivio Barche-Brione, si nota sulla sinistra uno slargo, in cui si può<br />

accedere facilmente, con la presenza di strane rocce multicolori miste ad argille e a materiale<br />

terrigeno. Si tratta delle radiolariti molto comuni in questi colli che raggiungono spessori<br />

complessivi intorno ai 100/150 metri. L’interesse è legato alla loro formazione all’interno del<br />

mare. La selce si origina, come già detto, dai gusci dei radiolari costituiti da silicio. La prevalenza<br />

di queste rocce rispetto ad altri tipi indica che la loro sedimentazione è avvenuta in<br />

un mare profondo, di sicuro superiore a 4000 metri. Ci troviamo in prossimità di un fondale<br />

molto profondo della Tetide che gli sconvolgimenti legati alla nascita delle Alpi hanno sollevato<br />

a questa altezza. Proseguendo per la strada asfaltata si incontra il calcare bianco chiamato<br />

Maiolica, lo stesso che si ritrova lungo le gallerie di <strong>Gussago</strong>. Ciò è possibile per la<br />

struttura ripiegata dell’area che riporta verso l’alto gli strati di calcare situati a Piedeldosso.<br />

La dolina di Barche (Foto 24)<br />

47


48<br />

LA DOLINA AL CONFINE DEL COMUNE<br />

La dolina di cui si parla si trova in località Barche nel territorio comunale di Ome, ma<br />

è talmente vicina al confine di <strong>Gussago</strong> che vale la pena andare a visitarla. Si trova dopo le<br />

ultime case della frazione Barche e vi si giunge seguendo un piccolo sentiero. Si tratta di una<br />

depressione ad imbuto di forma subcircolare di una ottantina di metri di diametro, i cui fianchi<br />

scendono verso il fondo che si presenta relativamente piatto, come una scodella. L’inghiottitoio<br />

che convoglia le acque piovane nelle cavità sotterranee non è visibile perché ricoperto<br />

da materiale fine ed argilloso.<br />

Termina qui il primo itinerario durante il quale sono stati messi in risalto gli aspetti essenziali<br />

e più interessanti dell’area, molto altro rimane comunque da scoprire e da raccontare.<br />

SECONDO ITINERARIO<br />

LA STELLA<br />

Il colle della Stella dal punto di vista geologico è una struttura molto simile a quello della<br />

Santissima. Entrambi rappresentano la fine del sistema collinare oltre la quale si estende<br />

la pianura. Il colle della Stella però non è isolato ma si prolunga con la collina terminale di<br />

Cellatica, a formare un dosso allungato in direzione est. A livello di litologia prevalgono i<br />

calcari marnosi del colle gemello, ricchi di materiale terrigeno, di microrganismi fossili e di<br />

minuscoli pezzetti vegetali. Anche se distanziati di qualche centinaio di metri i due colli segnalati<br />

collegano le loro radici sotto la coltre alluvionale.<br />

EX MINIERA VAL VOLPERA<br />

Struttura dell’ex miniera della Val Volpera (fig.15)


La località si raggiunge facilmente da P i e d e l d o s s o. Lungo il sentiero principale, dopo<br />

qualche centinaio di metri dal suo imbocco, si giunge ad una rete di recinzione che circonda<br />

il già citato pozzo scavato negli anni passati per le ricerche di bitume (pag. 31). Proseguendo<br />

lungo il fondo valle, si giunge in una zona disastrata, dove negli ultimi anni si è originata una<br />

frana. L’interesse sta nel materiale crollato, molto ricco di aptici di diverse grandezze. Chi si<br />

accinge a curiosare dovrebbe comunque fare molta attenzione per evitare incidenti pericolosi.<br />

LE DOLINE DI QUARONE DI SOPRA<br />

Molte delle forme del carsismo superficiale si osservano salendo dai Camaldoli per<br />

giungere in Quarone. Poco a valle della cascina, si notano una grande dolina di un centinaio<br />

di metri ripiena di alberi e, nelle immediate vicinanze, cinque piccole cavità molto simili<br />

a minuscole doline. Col tempo, il progressivo allargamento delle stesse favorirà la distruzione<br />

delle pareti di separazione e la formazione di conche multiple collegate tra di loro,<br />

note con il nome slavo di uvala.<br />

GLI AFFIORAMENTI DELLA MAIOLICA<br />

Lungo la tangenziale SP 19, nel tratto compreso tra le due gallerie, si osserva il calcare<br />

bianco della formazione della Maiolica nella sua manifestazione caratteristica. Ciò che si nota<br />

è la conformazione degli strati che si presentano contorti con orientamenti variabili, generatasi<br />

durante la formazione dei colli gussaghesi. Ogni tanto la presenza di livelli di calcari<br />

più scuri testimoniano episodi di scarsa circolazione delle acque nei sedimenti che hanno<br />

impedito la completa ossidazione dei resti organici. Rompendo con un martello pezzi di questa<br />

roccia più nera si sente un forte odore di idrocarburi. In questi strati si ritrovano con una<br />

certa frequenza aptici e subordinati brachiopodi. Interessanti sono i noduli di selce e straterelli<br />

più o meno estesi.<br />

LE GROTTE DI QUARONE<br />

La località in questione presenta una serie di grotte più o meno conosciute, di cui si è già<br />

parlato in precedenza nel capitolo dedicato al carsismo. Alcune sono nel territorio del nostro<br />

Comune, altre invece sono localizzate nelle immediate vicinanze. Occorre comunque fare<br />

molta attenzione a rintracciarle e alla stesso tempo usare un po’di accortezza nel visitarle.<br />

L’AREA DI RONCO<br />

L’area ad occidente della valle di Navezze risulta essere la continuità morfologica naturale<br />

dei colli gussaghesi che si estendono ad Ovest. Da un punto di vista della disposizione delle<br />

rocce si nota invece una grande diversità. Infatti in questo settore prevalgono le rocce<br />

più antiche, vale a dire i calcari di Monte Domaro e di Concesio con tutte le caratteristiche<br />

già presentate in precedenza. Questo aspetto particolare deriva da un innalzamento degli<br />

strati più profondi, che sono sollevati alla medesima altezza della Maiolica, o di rocce più recenti<br />

dell’area della Stella e del Quarone. Chi visiterà tutta questa zona, a partire da via Pia -<br />

marta, potrà osservare la conformazione degli strati molto piegati e contorti, a conferma che<br />

il sollevamento dei colli è avvenuto in modo traumatico, come d’altronde è possibile osservare<br />

anche in altre parti quando strati marini abbastanza regolari vengono innalzati a diverse<br />

altezze durante la formazione delle montagne.<br />

49


50<br />

CU R I O S I T À<br />

MATERIALE DEI MURI A SECCO<br />

Andando in giro per le strade del Comune e per i sentieri dei boschi si possono osservare i<br />

muri di contenimento e le palizzate a secco che dividono le diverse proprietà. Ci si può divertire<br />

a riconoscere il materiale che compone i diversi blocchetti sovrapposti: in base all’area, prevalgono<br />

pezzi di calcare di Domaro o di Concesio, di radiolariti, di maiolica o di scaglia.<br />

IL BITUME DELLA VAL VOLPERA<br />

Nella Val Vo l p e r a si conoscono da molto tempo piccoli strati bituminosi che erano stati<br />

oggetto di studi per poter praticare l’estrazione di questo prezioso idrocarburo, come già riportato.<br />

L’origine del bitume e degli idrocarburi in genere è da collegare alla mancanza di ossigeno<br />

che impediva la distruzione dei resti organici. E’molto probabile che l’episodio di <strong>Gussago</strong><br />

sia da collegare ad un breve momento di scarsa ossigenazione delle acque marine che ne<br />

ha favorito la genesi, come peraltro si è verificato anche in altri settori delle Prealpi e degli<br />

Appennini. Al di là dell’aspetto economico gli strati bituminosi hanno sempre riservato sorprese<br />

perché all’interno si possono ritrovare resti di pesci e di vertebrati marini.<br />

LE TERRE ROSSE<br />

Chi va in giro per le colline di <strong>Gussago</strong> avrà notato che spesso i calcari sono ricoperti da materiale<br />

terrigeno rosso-ocra, disposto a lenti, più o meno esteso. La presenza non è casuale,<br />

ma è il risultato dell’alterazione dei calcari stessi da parte delle acque meteoriche che sciolgono<br />

lo stesso calcare, lasciando che si accumulino minerali insolubili quali ossidi ed idrossidi<br />

ferrosi. La terra in questo modo si arricchisce di argilla rosso-vivo, la colorazione tipica<br />

degli ossidi di ferro. Queste terre rosse sono importanti perché nel residuo si possono ritrovare<br />

fossili di ammoniti dal tipico colore rosso ocra.<br />

LE LENTI SCURE NELLA MAIOLICA<br />

La Maiolica, il calcare formatosi all’inizio del Cretacico si presenta quasi sempre biancastro<br />

o grigio, con lenti o grossi noduli di selce. Di tanto in tanto però, osservando gli aff i o r amenti<br />

lungo le gallerie, si notano strati scuri di modesto spessore, intercalati a grossi banconi<br />

di calcare. Come per il bitume occorre considerare che la loro deposizione è legata ad episodi<br />

di scarsa ossigenazione, che impedivano la normale distruzione dei resti organici. In tal modo<br />

i calcari si arricchivano di sostanza scura<br />

che dà la tonalità a questi livelli di calcare.<br />

LA CALCITE<br />

Qualche volta rompendo un pezzo di<br />

calcare si rimane meravigliati per la presenza<br />

di piccoli cristalli distribuiti in modo<br />

omogeneo che brillano come diamanti<br />

alla luce del sole. Si potrebbe quasi pensare<br />

che il nostro territorio sia ricco di<br />

questo minerale! Invece si tratta di calcite,<br />

minerale di carbonato di calcio, che l’acqua<br />

percolante deposita all’interno di piccole<br />

cavità della roccia.<br />

Gli strati neri bituminosi sono frequenti nella Maiolica (Foto 25)


SECONDA PARTE<br />

FLORA E FAUNA<br />

Elementi per la conoscenza<br />

di piante e animali del territorio


FLORA<br />

TIPOLOGIA SPECIFICA DI ALCUNE ZONE<br />

Nel territorio di <strong>Gussago</strong> sono presenti numerose e variegate specie botaniche tipiche<br />

delle zone di pianura, dei bassi rilievi collinari e del territorio sub-montano prealpino.<br />

La secolare opera dell’uomo, la morfologia del territorio, la notevole variabilità dei ti -<br />

pi di terreno ed in particolare del sub-strato, nonché la varietà dei microclimi presenti,<br />

costituiscono i fattori principali che hanno fatto sì che in un territorio relativamente<br />

esteso vi sia la presenza di specie tipiche di aerali diversi che, sulle nostre colline, non<br />

di rado crescono associate, confondendo ed intrecciando le diverse aree botaniche. Per<br />

i motivi sopra esposti, è spesso difficile collocare in fasce territoriali omogenee (per<br />

esempio tenendo conto della quota s.l.m.) i diversi habitat, dove solitamente crescono<br />

determinate specie.<br />

In questo capitolo intendiamo descrive alcune zone, facilmente individuabili e raggiun -<br />

gibili da tutti, dove sia possibile identificare un insieme di piante tipiche di un specifico<br />

habitat e che ne rappresentino un esempio sufficientemente chiaro.<br />

LOC. BOSCO - Pianura<br />

La campagna di pianura, che si estende nella zona sud del territorio gussaghese, è sicuramente<br />

l’area che più di tutte è stata modificata dalla presenza umana. I campi da sempre coltivati<br />

a rotazione o a vigneto sono lavorati ancora più intensivamente ai nostri giorni e occupano<br />

gran parte del territorio pianeggiante di <strong>Gussago</strong>. Tuttavia gli ampi spazi, una fitta rete<br />

di fossi e canali irrigui alimentati da seriole e le numerose sorgenti che garantiscono la presenza<br />

d’acqua durante tutto l’anno costituiscono un ambiente agreste che dal punto di vista<br />

botanico ha conservato parecchie peculiarità invariate nel tempo.<br />

Pianura gussaghese (Foto 26)<br />

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La località Bosco è una vasta zona agricola posta ad est di viale Italia e via Mandolossa,<br />

si estende fino al confine con Cellatica, dove la campagna prosegue (loc. Marze) verso la<br />

Fantasina e Torriccella. E’ raggiungibile imboccando l’omonima via Bosco, una stradina<br />

campestre, posta appena a nord dei capannoni di via Donatori di Sangue, oppure più a sud<br />

imboccando via G. Galilei. La numerose stradine e capezzagne offrono diverse possibilità e<br />

varianti per una piacevole passeggiata immersi nella campagna, dove possiamo incontrare le<br />

seguenti principali piante:<br />

❐ ai lati delle stradine e nell’impianto arboreo di alcuni appostamenti di caccia, alcuni begli<br />

esemplari di Farnia e, più rari, di Carpino bianco crescono slanciati con ampi palchi;<br />

❐ lungo le ripe che dividono gli appezzamenti abbondano filari di Robinia e Platano, quest’ultimo<br />

spesso cresce anche sulle sponde di fossi e canali irrigui;<br />

❐ qualche Pioppo solitario svetta imponente con la sua fitta chioma tra le “piane”;<br />

❐ alcuni esemplari di Olmo, sopravvissuti all’epidemia che alcuni anni fa ha decimato la<br />

popolazione di questa specie, crescono sulle ripe che costeggiano il percorso unitamente<br />

a cespugliose e ombrose macchie di Sambuco;<br />

❐ lungo le umide rive di fossi e di canali possiamo osservare il Sanguinello, l’Ontano ne -<br />

ro ed il Salice;<br />

❐ la costante presenza d’acqua nei vasi irrigui suddetti costituisce l’ambiente ideale dove<br />

crescono copiosi il Giaggiolo d’acqua, l’Iris d’acqua, la Tifa, la Lenticchia d’acqua, il<br />

Larice (carèze, un tempo usato per l’impagliatura delle sedie) ed il Crescione.<br />

54<br />

COLLINA SANTISSIMA - Microclima particolare<br />

Il colle Barbisone, meglio conosciuto come la collina della Santissima, sulla sommità del<br />

quale si trova l’omonima costruzione ex convento dominicano, si erge isolato dal resto della<br />

zona collinare del nostro territorio. E’ possibile compiere il periplo di questa collina, seguendo<br />

il percorso vita ciclo-pedonale, che si sviluppa alla base delle pendici, oltre che raggiungere<br />

a piedi la sommità attraverso la strada che sale da piazza V. Veneto. Ha una forma<br />

grosso modo circolare, interrotta da una profonda ed ampia insenatura ad anfiteatro aperta in<br />

direzione sud – sud-est, riparata dai freddi venti di tramontana. In questa porzione di collina<br />

troviamo un microclima particolarmente mite nel periodo invernale, unico a <strong>Gussago</strong> e zone<br />

limitrofe, che consente la sopravvivenza di una pianta tipicamente mediterranea come il Cap -<br />

pero, che cresce nel muro di sostegno del Taglietto. Altrettanto interessante, anche se non così<br />

eccezionale e rara, è la presenza, sul versante ovest, di una piccola stazione floreale dove<br />

crescono numerose specie di orchidee spontanee.<br />

VAL VOLPERA - Versante soleggiato<br />

Con il toponimo di Volpera viene identificato il versante sud del monte Roccoli, che partendo<br />

dallo spartiacque con la valle del Faido degrada fino sul fondo dell’omonima Val Vol -<br />

pera, posta a monte della frazione di Piedeldosso. Quest’area è limitata a nord, come abbiamo<br />

detto, dal crinale del monte Roccoli, a est ed a sud dalla Val Volpera e ad ovest dalla val -<br />

letta di cascina Rocca. Si tratta di un versante di media pendenza, che degrada in maniera regolare<br />

e costante in direzione sud, con esposizione molto soleggiata. Ben visibile da più punti<br />

del paese, è caratterizzato da vistosi resti di muri a secco longitudinali che tagliano il dorso<br />

della collina da monte a valle, detti in bresciano Müràche, e nella parte pedecollinare dai


caratteristici terrazzamenti trasversali, un tempo coltivati a vite. Alcune foto di inizio ‘900<br />

mostrano i pendii del monte Roccoli tenuti a prato, con rare macchie alberate, mentre oggi li<br />

vediamo quasi totalmente ricoperti di alberi. Questo significa che nell’arco di circa un secolo,<br />

nonostante la ceduazione, il progressivo abbandono della coltivazione e dell’allevamento,<br />

su quest’area, ha consentito un lento ma inarrestabile rimboschimento.<br />

La bassa altitudine, l’esposizione particolarmente soleggiata che garantisce un clima caldo,<br />

l’assenza di corsi d’acqua e sorgenti, il terreno calcareo ed asciutto, creano un habitat<br />

ideale per le piante termo-xerofile, ossia dei climi caldi-asciutti. La Val Volpera si può<br />

visitare percorrendo il sentiero s1 della Guida ai Sentieri di <strong>Gussago</strong>, che parte da via Sovernighe<br />

e compie in senso orario un ampio giro di circa tre chilometri attraverso boschi cedui<br />

e cespuglieti, intervallati da piccole radure che offrono scorci panoramici sulla pianura.<br />

Lungo questa passeggiata di circa due ore possiamo osservare numerose specie che ora<br />

andremo a descrivere:<br />

❐ Roverella, Orniello e Carpinella, costituiscono l’impianto arboreo principale di questi<br />

boschi;<br />

❐ alberelli e arbusti cespugliosi di Corniolo, Biancospino, Prugnolo, Lantana, Sangui -<br />

nello e Rosa Canina formano delle fitte macchie e siepi delicatamente colorate nel periodo<br />

primaverile e cariche di bacche in autunno;<br />

❐ i cespugli di Rovo, Ginestra, Dondolina, Ligustro ed in particolare di Scotano e Pugito -<br />

po occupano principalmente le zone di raccordo tra il bosco di latifoglie e le radure, anche<br />

se non di rado formano il sottobosco nei punti meno ombrosi;<br />

❐ nelle radure, in mezzo alle macchie arbustive o sotto le latifoglie fioriscono il Giglio Ros -<br />

so, il Croco, alcune specie di Orchidee e l’Elleboro Fetido.<br />

Val Volpera (Foto 27)<br />

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56<br />

VAL GANDINE - Umido<br />

La Val Gandine si trova al centro di un’ampia conca caratterizzata da ripidi versanti incisi<br />

da valli e vallette che confluiscono a raggiera nel ramo principale. Nei prolungati periodi<br />

di pioggia o durante i temporali, riceve le acque di scolo di questa vasta area, diventando un<br />

vero e proprio torrente che sfocia a sua volta nel torrente La Canale all’altezza del Carica -<br />

tore. Delimitato a nord dal versante che scende da Civine, a est dall’altopiano di Quarone ed<br />

a sud dallo spartiacque di Pian San Martino che lo divide dalla valle del Faido, questo bacino<br />

imbrifero è tagliato in due dalla Val Gandine che si sviluppa con direzione da est a ovest.<br />

Il toponimo Gandine, come del resto molti altri del nostro territorio, si presume possa derivare<br />

dal termine longobardo “Ganda“ cumulo di sassi o di rocce frantumate, oppure sempre<br />

dal longobardo “Gaghi” che significa bosco. La Val Gandine è raggiungibile da più sentieri,<br />

tuttavia suggeriamo di visitarla percorrendo il tracciato s3, che tocca i luoghi più significativi<br />

di quest’area e permette di osservare le più interessanti specie arboree che andremo a segnalare.<br />

La costante presenza d’acqua, garantita dal naturale displuvio ed in particolare da alcune<br />

importanti sorgive carsiche (come il Cudöl di Gandine, la sorgente di Gandine e la sorgente<br />

Corno), la quota s.l.m., la posizione geografica con scarsa esposizione al sole, il terreno umido<br />

ed il clima fresco sono gli elementi che creano, in particolare a ridosso dei solchi vallivi,<br />

l’habitat ideale di boschi misti di latifoglia.<br />

❐ I boschi sono costituiti prevalentemente da Acero di Monte, Rovere, Carpino bianco, Ca -<br />

stagno, e nei terreni più umidi Ontano e Salicone;<br />

❐ all’ombra degli alberi sopra citatati, crescono alberelli e arbusti di Nocciolo, Nespolo,<br />

Sorbo montano e Sambuco;<br />

❐ nel sottobosco la parte del leone spetta alle felci, cespugli di Felce maschio spiccano un<br />

po’ovunque nell’ombra di questa zona;<br />

❐ tra i numerosi affioramenti rocciosi che caratterizzano questa zona abbonda la L i n g u a c e r -<br />

v i n a, sulle umide rupi dei salti rocciosi delle vallette e all’imbocco di grotte e anfratti della<br />

zona crescono copiosi i ciuffi di C a p e l v e n e r e, non mancano il B u c a n e v e, la R o s a di natale<br />

e la F e g a t e l l aed alcune specie di o r c h i d e e, che con la loro fioritura vivacizzano l’ambiente.<br />

IL DOSSO DI MEZZANE - LOC. CARDELLI E ANDREOLO<br />

Con il toponimo di Mezzane e Andreolo vengono definiti i due dossi che scendono parallelamente,<br />

separati da un piccolo ma inciso solco vallivo, dalla piccola colma posta in loc.<br />

Magnoli nella frazione Barche di Brione fino nella valle di Navezze, rispettivamente all’altezza<br />

della loc. Medolo (ex fabbrica della calce) e del Caricatore. L’area è delimitata a nord<br />

dalla Val Volpione, a est dalla sottostante valle di Navezze, a sud dalla Val del Goi e dalla Val<br />

Gavezzana ed a ovest dal soprastante spartiacque naturale, costituito dal crinale che dalla<br />

Colma Alta giunge al Monte Colmetto. Questa fetta di collina gussaghese è esposta ad est ed<br />

è caratterizzata da un versante piuttosto ripido che copre un dislivello di circa 300 mt. E ’p o ssibile<br />

visitare questa zona percorrendo il panoramico sentiero s4 che si sviluppa in senso orario<br />

risalendo il dosso di Mezzane, aggirando la piccola colma posta sullo spartiacque e poi scende<br />

parallelamente al tracciato di salita costeggiando il dosso A n d re o l o.<br />

Nel complesso questa porzione di territorio presenta delle condizioni ambientali e tipologie<br />

di terreno abbastanza eterogenee che permettono la presenza di fasce arboree molto di-


verse. Tuttavia, l’assenza di corsi<br />

d’acqua, l’inclinazione del<br />

terreno che favorisce un rapido<br />

displuvio, il terreno piuttosto<br />

povero, acido e sassoso che garantisce<br />

un buon drenaggio, determinano<br />

in alcuni settori l’habitat<br />

ideale per tre particolari<br />

specie di sempreverdi: l’Agrifo -<br />

glio, il Ginepro e l’Erica scopa.<br />

Tralasciamo quindi l’elenco delle<br />

numerose piante che possiamo<br />

incontrare, perché già segnalate<br />

in altre zone, per soffermarci<br />

invece sulle tre specie sopra<br />

citate.<br />

L’Agrifoglio si trova nelle<br />

zone più in quota, in particolare<br />

nella prima parte di discesa dove<br />

alcuni begli esemplari adulti<br />

crescono in mezzo ad un bosco<br />

di R o b i n i a. Spiccano vistosamente,<br />

soprattutto nel periodo<br />

invernale, grazie alle bacche<br />

rosso vivo ancora attaccate alla<br />

pianta.<br />

Un po’ più in basso, in mezzo<br />

a bosco ceduo di latifoglie,<br />

fitte macchie di Ginepro crescono<br />

ai bordi del sentiero, possiamo<br />

ammirare questi veri e pro-<br />

Sentiero lungo il dosso di Mezzane (Foto 28)<br />

pri gineprai che emanano il caratteristico<br />

odore resinoso. E’inoltre interessante osservare che spesso alla base degli arbusti<br />

vi sono le evidenti tracce del terreno rimosso dai cinghiali alla ricerca dei piccoli tartufi<br />

che si celano tra le radici dei Ginepri.<br />

Sparsa in punti diversi del percorso, dove spesso cresce associata al G i n e p ro con cui forma<br />

delle suggestive macchie, abbonda anche l ’Erica Scopa. Essa cresce indifferentemente in<br />

macchie, boschi cedui o piccole radure; in quest’area segnaliamo la bella stazione posta quasi<br />

alla fine della salita del dosso di Mezzane, nei pressi della piccola colma. Nonostante un recente<br />

incendio abbia danneggiato gli esemplari più grandi, i folti cespugli si stanno rinnovando<br />

e nel periodo primaverile, durante la fittissima fioritura bianca, assumono un aspetto piumoso.<br />

Successivamente, quando comincia l’impollinazione, scotendo le fronde si sollevano<br />

vere e proprie nuvole di polline.<br />

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58<br />

ALTOPIANO DI QUARONE<br />

La zona collinare, posta a ridosso del confine nord-est di <strong>Gussago</strong> con i Comuni di Brione,<br />

Villa Carcina e Concesio è l’area più in quota del nostro territorio. Questo ampio crinale,<br />

spartiacque naturale con la Val Trompia, degrada dolcemente in direzione sud e lo possiamo<br />

considerare un unico altopiano. Esso tocca numerose località: Colma, Sella dell’Oca,<br />

Pianone, Dosso Croce, Sella di Quarone, Quarone di Mezzo e Quarone di Sotto, che, se pur<br />

distinte dal punto di vista toponomastico, presentano una spiccata omogeneità territoriale di<br />

tipo sub-montano. Per questo motivo chiameremo convenzionalmente quest’area altopiano<br />

di Quarone. Per raggiungere questa zona si consiglia di salire dalla sottostante frazione di Civine<br />

o dalla strada dei Camaldoli, seguendo il sentiero s9 o il sentiero provinciale 3V, una<br />

volta giunti in quota è possibile effettuare a scelta percorsi diversi ed alternativi che consentono<br />

numerose varianti.<br />

L’altopiano di Quarone è caratterizzato da ampi prati intervallati da spazi cespugliati, da<br />

vasti boschi di latifoglie in cui troviamo pozze d’acqua che creano angoli suggestivi e dai secolari<br />

castagni che troneggiano ai bordi dei prati. Anche qui troviamo una situazione estremamente<br />

variegata dal punto di vista botanico, sia per l’allevamento e la silvicoltura praticata<br />

per secoli, sia per le recenti piantumazioni di specie non spontanee. La quota elevata, il<br />

terreno né troppo umido né troppo secco ed il clima fresco rendono particolare questo ambiente<br />

e favoriscono alcune specie che ora andremo a citare, descrivendo due piccole e caratteristiche<br />

zone che geograficamente si trovano rispettivamente ai vertici nord e sud di quest’area<br />

sub-montana.<br />

Sella dell’Oca è la piccola sella che divide il crinale che scende dal monte Magnoli e il<br />

dosso su cui sorge l’omonima costruzione, che sovrasta da un lato i prati ed i boschi del Pia -<br />

Bosco di betulle nei pressi di Sella dell’Oca (Foto 29)


Pozza del Paradiso (Foto 30)<br />

none e dall’altro i ripidi versanti della Val Trompia sopra Villa Carcina. In quest’area segnaliamo<br />

due angoli molto interessanti:<br />

❐ il primo, nel tratto che costeggia la stradina che dalla loc. Pianone, porta in direzione nord<br />

verso Magnoli, dove, ai bordi dei prati, cresce copiosa la Felce Aquilina e, nelle immediate<br />

vicinanze, possiamo ammirare una bella stazione di Faggi;<br />

❐ il secondo, molto suggestivo, è il boschetto di Betulle posto sul crinale dello spartiacque<br />

a lato della casa (in terreno privato), tappezzato da gradevoli cuscini di Erica carnea dalla<br />

caratteristica fioritura colore rosa-violetto; questo piccolo angolo diviene fiabesco in<br />

tarda estate quando si riempie di macchie di Amanita muscaria, dagli inconfondibili cappelli<br />

rossi punteggiati di bianco.<br />

La Pozza del Paradiso, il cui nome trae origine da un’interessante storia legata a fatti realmente<br />

accaduti alla fine del settecento (Büs de la Marta - capitolo delle grotte), è un piccolo<br />

stagno che crea un angolo veramente gradevole degno del toponimo. E’posta in un luogo molto<br />

particolare, nel mezzo della sella che separa i dossi di Q u a rone di Mezzo a sud-ovest e Q u a -<br />

rone di Sotto a nord-est ed a cavallo tra due v a r z e l l i: quello che scende in direzione sud e che<br />

dà origine alla Valle di Camaldoli e quello che scende a nord e prosegue nella Val Gandine.<br />

La Vegetazione circostante è costituita da alberi di Carpino Bianco, Betulla, Castagno, Ace -<br />

ro di Monte, all’interno crescono piante acquatiche, in particolare lo sparganium erectum:<br />

nel periodo estivo volteggiano diverse specie di libellule, si notano gerridi (ragni d’acqua),<br />

lumache d’acqua e ditischi.<br />

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ALBERI<br />

ACER CAMPESTRE - LOPPIO<br />

denominazione scientifica: Acer Campestre - famiglia Aceraceae<br />

denominazione italiana: Oppio, Loppio<br />

denominazione bresciana: Àser, Òpol<br />

Albero o arbusto alto sino a 20 metri cresce nei boschi mesofili da 0 a 800 metri su suolo ricco,<br />

viene coltivato nelle siepi e terreni coltivi. Specie Europea Caucasica molto diffusa, in Italia,<br />

è mancante in alta montagna e nella fascia mediterranea. Tronco e rami con corteccia giallo-rosea,<br />

verde bruna nei rami di un anno. I rami presentano quasi sempre ali sugherose. Foglie<br />

con picciolo lungo quasi quanto la lamina, quest’ultima palmata con cinque lobi ottusi e<br />

con denti laterali nulli. Infiorescenza formata da corimbi eretti, pubescenti, formatisi assieme<br />

alle foglie. Fioritura maggio - giugno. Frutti leggermente pelosi o glabri di color giallognolo con<br />

le ali divergenti a 180°.<br />

Questo albero cresce sulle nostre colline sparso un po’ovunque in mezzo a boschi di altre<br />

specie. Nei pressi della cascina Rocca lungo il sentiero s1 ne possiamo ammirarne un bell’esemplare<br />

dalle ragguardevoli dimensioni, alto circa 20 metri, sicuramente tra i più grandi<br />

della nostra zona.<br />

ALNUS GLUTINOSA - ONTANO<br />

denominazione scientifica: Alnus Glutinosa - famiglia Betulaceae<br />

denominazione italiana: Ontano nero - Ontano comune<br />

denominazione bresciana: Onés, Ontà<br />

Albero con chioma ovata-piramidale (conica), alto<br />

sino a 20 metri con il tronco slanciato e la ramificazione<br />

sporgente, espansa e rada, anche se<br />

spesso lo vediamo crescere con portamento arbustivo<br />

o a ceppaia perché tagliato periodicamente. I<br />

rami sono fragili e quelli giovani sono vischiosi.<br />

Specie Paleotemperata diffuso su tutto il territorio<br />

italiano, cresce in boschi a cespugleti lungo i corsi<br />

d’acqua e acquitrini o in zone fresche ed umide, fino<br />

a 1200 metri; vive fino a 100-150 anni.<br />

Corteccia grigio-verde-bruna negli esemplari giovani,<br />

che con l’età diventa completamente grigia,<br />

ricoperta da lenticelle fessurate., gemme brevemente<br />

peduncolate e rotondeggianti di 6-10 mm.<br />

Foglie caduche alterne, vischiose, obovate e rotondeggianti<br />

di 6-10 cm, con dentature grossolane,<br />

base cuneata, apice spesso inciso con 7-8 nervature<br />

per lato.<br />

Fioritura febbraio – aprile prima della fogliazione,<br />

gli amenti maschili e femminili coesistono sulla medesima<br />

pianta. L’infiorescenza porta amenti ma-<br />

Ontano (Foto 31)


schili penduli color giallo rossastro e amenti femminili ovoidi rossicci. Frutti strobili ovali, legnosi,<br />

marroni; a maturazione liberano dei semi alati.<br />

L’apparato radicale aspira l’acqua in eccesso, presente nel terreno, contribuendo a bonificarlo<br />

e a consolidare le zone paludose. Il legno dell’Ontano, all’aria, è poco resistente e si<br />

altera facilmente tuttavia viene impiegato in artigianato per la fabbricazione di zoccoli e<br />

spazzole, la segatura è usata per affumicare carni e pesci, con i tannini estratti dalla corteccia<br />

si conciano cuoio e pelli, si producono inchiostri e tinture. Nell’acqua questo legno è invece<br />

molto resistente, quasi imputrescibile, tant’è che nella preistoria veniva utilizzato per la<br />

costruzione delle palafitte. La leggenda vuole che le fondamenta di Venezia siano state costruite<br />

con tronchi di Ontano. Un ramo di Ontano sistemato nel pollaio aiuta a tenere lontani<br />

i parassiti. La corteccia dei rami giovani e le foglie hanno proprietà medicinali contro febbre,<br />

reumatismi e ulcere. In alcune leggende dei paesi del Nord Europa si narra che l’Onta -<br />

no consentisse alle maghe di resuscitare i morti.<br />

Questa specie, un tempo molto diffusa soprattutto nelle zone paludose di pianura che nei<br />

secoli vennero bonificate, è ancora presente lungo gli argini di alcuni fossi e canali della campagna<br />

gussaghese e in collina nelle vallette più fresche e umide, dove alligna frammisto a Sa -<br />

licone, Frangola e Lingua Cervina.<br />

BETULA PENDULA ROTH - BETULLA<br />

denominazione scientifica: Betula Pendula Roth - famiglia Betulaceae<br />

denominazione italiana: Betulla<br />

denominazione bresciana: Béola<br />

Albero a foglie caduche, elegante, fusto eretto alto sino a 30 metri. Specie Eurosiberiana, presente<br />

nell’Italia Centrosettentrionale. Cresce in boschi umidi, sabbiosi, ciottolosi, acidi e torbosi,<br />

da 500 a 2000 metri, spontaneo oppure coltivato per ornamento. C o rteccia bianca con des<br />

q u a m a t u r e. Rami generalmente lunghi, esili, penduli e ru g o s i . Foglia verde rombotri a n g o l a r e,<br />

con denti grossolani con doppia dentatura . Lamina superiore glutinosa da giovane e poi glabra ,<br />

lamina infe riore ghiandolosa e con peli sulla nerva t u ra . Amenti maschili penduli, lunghi 3-6 cm;<br />

1-3 cm i fe m m i n i l i ;si presentano dapprima eretti, snelli, poi penduli. F i o ri t u ra aprile - maggio. f ru tti<br />

con nucula stretta.<br />

Gemme, foglie, corteccia e linfa hanno proprietà cicatrizzanti, diuretiche, depurative ed<br />

antisettiche. Il legno tenero e bianco è sempre stato utilizzato, in carpenteria, per fabbricare<br />

oggetti di artigianato e per gli sci, i primi costruiti nei paesi scandinavi. Dalle desquamature<br />

della corteccia vengono estratte sostanze usate per la concia del pellame, per la produzione<br />

di tinture e per confezionare profumi.<br />

Come il faggio cresce spontanea sui terreni più alti e freschi, tuttavia presente in numero<br />

cospicuo forma anche dei boschetti che richiamano paesaggi scandinavi, molto caratteristico<br />

è quello nei pressi di Sella dell’Oca.<br />

61


CARPINUS BETULUS - CARPINO BIANCO.<br />

denominazione scientifica: Carpinus Betulus - famiglia Corilaceae<br />

denominazione italiana: Carpino Bianco, Carpino Comune<br />

denominazione bresciana: Càrpen, Càrpen dei ròcoi<br />

Albero con chioma tondeggiante più sviluppata<br />

in altezza che in larghezza, a foglie caduche,<br />

alto sino a 25 metri. Specie Centro<br />

Europea e Caucasica, diffusa in tutta la penisola<br />

italiana eccetto nelle isole, cresce nei<br />

boschi mesofili, cedui misti della zona climatica<br />

del castagno e del faggio, sopporta l’adduggiamento<br />

e preferisce terreni sciolti, silicei,<br />

si adatta anche a quelli magri. Tronco<br />

eretto con corteccia grigio-bruna, liscia con<br />

fratture trasversali, bruno-rossastri i rami giovani.<br />

Foglie con picciolo di 1 cm circa, dentate,<br />

lamina ellittica con apice acuto, dal colore<br />

verde intenso la pagina superiore e più chiara<br />

la pagina inferiore, assumono bei colori in<br />

autunno. Gemme rossastre. Amenti maschili<br />

penduli da 2-4 cm; amenti femminili terminali<br />

lunghi 1-2 cm con stami rossi che formano<br />

un’infruttescenza pendula.Fioritura maggio -<br />

giugno. Il frutto ha caratteristici gruppi di barrette<br />

trilobate con una piccola nocciola dura,<br />

piriforme, solcata.<br />

Sopporta molto bene potature e capitozzature,<br />

per questo viene coltivato per siepi, tese,<br />

Carpino Bianco (Foto 32)<br />

roccoli e parchi, proprio per le forme magnifiche<br />

che può assumere e mantenere. Il legno ottimo come legna da ardere è ricercato per torneria,<br />

un tempo veniva impiegato per la costruzione dei gioghi, da quest’uso prende probabilmente<br />

origine il suo nome latino “Carpinus” derivato appunto dal celtico “car” (legno) e<br />

“pen” (testa).<br />

Albero caratteristico per i suoi rami contorti e per il fogliame che perde solo in inverno<br />

inoltrato, il Carpino spesso costituisce l’elemento essenziale dell’impianto arboreo di tese e<br />

roccoli. Un chiaro esempio di quanto detto è la “Tesa”, raggiungibile seguendo il sentiero s5.<br />

CASTANEA SATIVA - CASTAGNO<br />

denominazione scientifica: Castanea Sativa - famiglia Fagaceae<br />

denominazione italiana: Castagno<br />

denominazione bresciana: Castègno, Castègn<br />

62<br />

Altezza della pianta dai 5 ai 30 metri, albero a foglie caduche può vivere oltre i 1.000 anni.Specie<br />

Sud Est Europea, presente in tutta Italia, è uno dei costituenti principali dei boschi di collina<br />

e montagna fino a 1.300 metri. Cresce nei boschi generalmente su terreni acidi, silicei,


profondi e drenati, non vegeta nei terreni calcarei.Fusto<br />

e rami con corteccia liscia nei primi anni<br />

con lenticelle trasverse e poi fessurate longitudinalmente<br />

in liste larghe 2-4 cm.Gli esemplari<br />

più vecchi hanno un tronco massiccio e spesso<br />

dotato di ampi rami che formano imponenti<br />

palchi. Foglie dentate a mo’ di sega con lamina<br />

disposta in un solo piano, lucide sopra e con peli<br />

corti lanosi sotto. Picciolo lungo 2 cm circa. La<br />

caratteristica fioritura gialliccia avviene nel periodo<br />

aprile - maggio - giugno. Amenti maschili in<br />

gruppi eretti, con qualche fiore femminile alla base.<br />

Frutti spinosi con quattro valve contenenti 1-<br />

3 castagne; gustosi e commestibili, maturano da<br />

fine agosto a novembre a seconda, della qualità.<br />

Pianta che ha costituito anche per la comunità gussaghese una delle principali risorse economiche<br />

di montagna; dopo aver perso molto della sua importanza anche per la moria causata<br />

dal cancro della corteccia, negli ultimi anni ha superato la malattia: si sta assistendo ad<br />

alcuni interessanti recuperi di vecchi castagneti e/o ad impianto di nuovi.<br />

Oltre ai pregiati frutti, questo albero è sfruttato anche per la produzione di paleria destinata<br />

al sostegno di viti, piante da frutto, realizzazione di recinzioni, utilizzando i polloni o i<br />

giovani alberi di 5-8 anni. Un tempo con il legno di Castagno venivano costruiti numerosi<br />

attrezzi ed oggetti necessari alla vita campestre: manici di zappa e di badile, spine per botti.<br />

Il legno è inoltre usato anche per la fabbricazione di mobili. La corteccia, le foglie, gli amenti<br />

ed i preziosi frutti sono usati in erboristeria per le proprietà di astringente, sedativo, tonico<br />

e remineralizzante. Oltre che nei numerosi castagneti, il castagno cresce un po’ovunque nel<br />

territorio comunale, mescolato ad altre specie nei boschi mantenuti a ceduo.<br />

CORNUS MAX L. - CORNIOLO<br />

denominazione scientifica: Cornus Max L. - famiglia Cornaceae<br />

denominazione italiana: Corniolo<br />

denominazione bresciana: Cornàl<br />

Piccolo albero caducifoglio che può crescere anche<br />

ad arbusto, alto da 1 a 8 metri. Specie S.E.<br />

Europea Pontica. Diffuso su tutto il territorio italiano<br />

nei boschi di latifoglia fino a 1400 metri.<br />

Corteccia grigia con spaccature rossastre, rami<br />

giovani quadrangolari. Le gemme sono avvolte<br />

da due squame, foglie opposte da ovali ad ellittiche,<br />

acuminate, da 3-5 x 6-8 cm, con vistose<br />

nervature su ambo i lati.Infiorescenza gialla, dal<br />

diametro di 1 cm circa, composta da 10-25 fiori<br />

con petali ripiegati verso il basso. Brattee giallorosate.<br />

Fioritura febbraio - marzo. Frutto (drupa)<br />

detto corniolo, carnoso, ovoidale, lungo 1,5 cm,<br />

liscio, lucido, rosso a maturità in estate inoltrata.<br />

Con il duro e resistente legno del Corniolo<br />

venivano realizzati i denti dei rastrelli, mentre le<br />

Infiorescenza di Castagno (Foto 33)<br />

Corniolo in fioritura (Foto 34)<br />

63


corniole (i frutti) avevano un impiego alimentare: trasformate in marmellata o conservate in<br />

salamoia. A <strong>Gussago</strong> è presente nelle aree meno elevate nei boschi misti di Orniello, Carpi -<br />

nella e Roverella, dove si confonde con il prugnolo ed il biancospino. E’ comunque facilmente<br />

riconoscibile in primavera per la sua inconfondibile fioritura gialla.<br />

CORNUS SANGUINEA L. - SANGUINELLO<br />

denominazione scientifica: Cornus Sanguinea L. - famiglia Cornaceae<br />

denominazione italiana: Sanguinello<br />

denominazione bresciana: Sanguanì<br />

64<br />

Piccolo arbusto caducifoglio, cespuglioso, alto<br />

sino a 4 metri. Specie Euroasiatica temperata<br />

presente su tutto il territorio italiano, nei boschi di<br />

latifoglia fino a 1300 metri. Corteccia verde kaki,<br />

rosso scuro nei rami giovani, con due angoli appena<br />

accennati. Foglie opposte, intere, ellittiche,<br />

ricurve, di 4-10 cm, con 3-4 vistose nervature su<br />

ciascun lato; pubescenti di sotto sulle nervature,<br />

verde pallido, e in autunno rosso scuro. Gemme<br />

senza squame, fioritura da fine aprile a giugno,<br />

infiorescenza nomerosa a corimbo, 4-6 cm. di<br />

diametro; 4 petali stretti, molto patenti, bianchi,<br />

lunghi 4-6 mm.Drupa amara, sferica 5-7 mm, zigrinata,<br />

lucida, nero porpora.<br />

Molto usato per siepi oltre che dai contadini<br />

per fare scope, cresce nelle stesse aree del Cor -<br />

niolo e con i sui cespugli contribuisce a formare<br />

Fiori del Sanguinello (Foto 35)<br />

gran parte dei boschi che coprono le nostre colline.<br />

Percorrendo la campagna gussaghese possiamo vedere folte siepi di Sanguinello che costeggiano<br />

le stradine e le ripe.<br />

CRATEGUS MONOGINA JACQ. - BIANCOSPINO<br />

denominazione scientifica: Crategus Monogina Jacq. - famiglia Rosaceae<br />

denominazione italiana: Biancospino<br />

denominazione bresciana: Pignatìnà, Spì<br />

Arbusto o piccolo albero caducifoglio alto sino a 6 metri, può raggiungere i 500 anni di vita.<br />

Specie Paleotemperata presente su tutto il territorio italiano, in boschi xerofili, depradati, cespuglieti,<br />

coltivato per siepi da 0 a 1200 metri.Corteccia bruno rossiccia che si desquama.Rami<br />

giovani scuri con spine da 1 a 2 cm. Foglia più chiara sotto, molto variabile, con 1-4 incisioni<br />

profonde. Base con contorno ovale o rombico, lobi allungati con 2-4 dentelli all’apice. Infiorescenza<br />

a corimbo. Fiori da 8-15 mm di diametro, con assi lanosi e pubescenti.Petali bianchi,<br />

stili. Fioritura maggio - giugno. Frutto commestibile (nel nostro dialetto detto “pignatìnà” per la<br />

caratteristica forma a pentolino), ovoidale dalla polpa farinosa, 6-10 mm di diametro, da rosso<br />

vivo a rosso porporino lucido, ha un solo seme; la maturazione avviene in tarda estate.<br />

Questo alberello cespuglioso, dotato di legno durissimo e spine acuminate, mantiene tuttavia<br />

un aspetto fresco e delicato. Nella preistoria era riserva alimentare anche per l’uomo, come


testimoniato dal ritrovamento di noccioli in alcuni siti archeologici risalenti a quell’epoca. Molto<br />

diffuso ed utilizzato nelle isole Britanniche per formare siepi, è protagonista in alcune leggende<br />

di quei luoghi dove, protetto da fate e folletti è salutato dagli uomini che gli danno il<br />

buongiorno con un inchino e togliendosi il cappello. Il Biancospino riveste un importante ruolo<br />

anche nell’habitat di numerose specie animali, in particolare per gli uccelli che tra i sui spinosi<br />

cespugli trovano un luogo sicuro per nidificare, mentre i frutti rappresentato un’abbondante<br />

riserva alimentare. Da sempre usato per le sue proprietà diuretiche ed astringenti, solo negli<br />

ultimi decenni è stata scoperta la sua particolare ed efficace azione cardiaca.<br />

Cresce nelle aree meno elevate ed in terreni particolarmente asciutti, può essere confuso con<br />

il P ru g n o l ocon cui condivide lo stesso areale. Tuttavia, un facile quanto curioso particolare permette<br />

a chiunque di distinguerli: mentre il P ru g n o l ofiorisce nel periodo marzo-aprile per poi ricoprirsi<br />

di foglie, nel Biancospino prima germogliano le foglie e successivamente, nel periodo<br />

maggio-giugno ha luogo la fioritura bianca che spicca nei boschi ormai completamente verdi.<br />

FAGUS SYLVATICA - FAGGIO<br />

denominazione scientifica: Fagus Selvatica - famiglia: Fagaceae<br />

denominazione italiana: Faggio<br />

denominazione bresciana: Fai, Fò, Fasöl<br />

Grande albero a foglie caduche alto sino a 40<br />

metri, è uno dei più begli alberi europei. Specie<br />

Centro Europea, diffusa in tutta Italia, in particolare<br />

sulle Alpi e sugli Appennini centro-settentrionali.Cresce<br />

nei boschi mesofili fino a 2000 metri.<br />

Coltivato per ornamento nei giardini e nei parchi.<br />

Tronco diritto e con corteccia grigio scuro metallico<br />

che nei rami sino ai tre anni è bruna, lucida,<br />

glabra. Foglie con lamina ellittica arrotondate alla<br />

base, margine con crenature ottuse: sopra lucide<br />

e glabre;sotto ricoperte da peli rossi.Picciolo lungo<br />

10-15 mm. Gli amenti maschili sono numerosi<br />

e penduli, color rossastro;i femminili poco vistosi.<br />

Fioritura da maggio a giugno. I frutti detti “faggiole”sono<br />

ricoperti da aculei sottili, formano 4-5 valve<br />

a maturità.<br />

Faggiole (Foto 36)<br />

Tipica latifoglia di montagna, forma estesi boschi cedui e qualche fustaia che creano fitti tetti<br />

all’ombra dei quali difficilmente cresce vegetazione erbacea, predilige un clima umido, temperato,<br />

ama l’ombra e sopporta l’adduggiamento. Vuole terreni fertili, umiferi, profondi, freschi.<br />

Il legname è pregiato. La corteccia dei giovani rami ed il legno possiedono proprietà medicinali<br />

come astringente, antisettico e febbrifugo. Il F a g g i o, poco presente nel nostro territorio,<br />

cresce sui terreni più alti e freschi. Ne troviamo alcuni esemplari nella zona che da S e l l a<br />

d e l l ’ O c ascende a sud verso Q u a ro n ee a nord verso Brione; anche se meno numerosi, alcuni<br />

esemplari crescono a ceppaia sul ripido versante sinistro della Val Gandine. Molto interessanti,<br />

per il fatto che crescono ad una quota molto bassa, sono due esemplari solitari che si trovano<br />

rispettivamente in loc. Piazzole, ed il loc. Faido pochi metri a monte della sorgente.<br />

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FRAXINUS ORNUS - FRASSINO, ORNIELLO<br />

denominazione scientifica: Fraxinus Ornus - famiglia Oleaceae<br />

denominazione italiana: Orno, Orniello, Frassino da manna<br />

denominazione bresciana: Frasén<br />

66<br />

Albero a chioma rotondeggiante, norm a l m e n t e<br />

alto 10 metri può raggiungere un’altezza di 20<br />

m e t ri, anche se spesso si presenta cespuglioso;<br />

da non confondere con la specie Fra x i nus ex c e l -<br />

sior Frassino comu n e di dimensioni più gra n d i .<br />

Specie Euro Mediterranea Po n t i c a, presente in<br />

tutta Italia, cresce in boscaglie, boschi misti, luoghi<br />

rocciosi;predilige terreni con substrato calcareo<br />

con le esposizioni più calde, resiste alla siccità<br />

e si adatta a terreni superficiali, sopport a<br />

t e m p e rature rigide fino a 25° sotto ze r o. Tr o n c o<br />

con corteccia gri g i o - s c u r o, liscio-opaca, compatta,<br />

rami opposti dal colore gri g i o - verdastro da<br />

g i ova n i . Foglie caduche, opposte, pari p e n n a t e<br />

con 5-9 fo g l i o l i n e, da lanceolate ad ova t e, fine- Particolare dell’infiorescenza (Foto 37)<br />

mente dentate e picciolettate irregolarm e n t e. F i orescenza<br />

conica color bianco crema, profumata. F i o ri con 4 petali nastri fo rm i . F i o ri t u ra aprile -<br />

m a g g i o. Frutti (samara) lunghi 2-2,5 cm circa, appuntiti e incisi.Seme lungo 10 mm circa.<br />

Nell’Italia Meridionale ed in Sicilia viene coltivata una varietà di Frassino da cui viene<br />

estratta la manna (mannite) una sostanza zuccherina che viene impiegata in medicina. Semi,<br />

foglie e corteccia hanno proprietà astringenti, diuretiche, lassative, sudorifere e toniche e come<br />

la manna sono usate in erboristeria.<br />

Il legno particolarmente flessibile e resistente, veniva utilizzato per la costruzione degli sci,<br />

attualmente è richiesto per lavori artigianali, particolarmente in ebanisteria e lavori di tornitura.<br />

Il Frassino cresce abbondante nelle aree meno elevate delle nostre colline misto alla Carpinella<br />

ed alla Roverella. Possiamo vedere numerose fasce arboree dove è copiosamente presente.<br />

ILEX AQUIFOLIUM - AGRIFOGLIO<br />

denominazione scientifica: Ilex Aquifolium - famiglia Aquifoliaceae<br />

denominazione italiana: Agrifoglio<br />

denominazione bresciana: Scanfòi<br />

Noto arbusto o piccolo albero sempreve r d e, alto sino a 10-15 metri con una longevità di 300 ann<br />

i . Specie S u b - M e d i t e r ra n e ae S u b - A t l a n t i c a diffusa su tutto il terri t o rio italiano, si trova nei sottoboschi<br />

più freschi di latifoglie dove ra ramente fo rma dei boschi puri, predilige terreni pove ri o<br />

p rivi di calcare. Ha una crescita lenta ad arbu s t o, anche se in condizioni ambientali part i c o l a rmente<br />

favo r evoli assume portamento arboreo. Il tronco dal legno molto duro ha corteccia liscia<br />

di colore verde bruno che tende al grigio negli esemplari adulti.Rami giovani, verdi o porp o ri n i ,<br />

g l a b ri . Foglie sempreverdi con lamina verde lucente e coriacea, bordo ondulato genera l m e n t e<br />

con aculei pungenti. Picciolo allargato lungo circa 2 cm con fiori carnosi unisessuali di circa 8<br />

mm di diametro.Colore bianco nei femminili, orlati di rosso nei maschili. F i o ri t u ra da aprile - magg<br />

i o.Bacca (drupa) subsfe rica color rosso, giunge a maturazione nel periodo settembre-ottobre,<br />

contiene 4-5 semi ve l e n o s i .


Pianta molto popolare i cui rami ricoperti dalle caratteristiche<br />

foglie verde lucido che contrastano con le<br />

bacche rosse sono utilizzati per gli addobbi natalizi.<br />

Viene coltivato per formare siepi o in parchi e giardini<br />

per ornamento. I suoi frutti rappresentano una riserva<br />

alimentare per numerose specie di uccelli, in particolare<br />

tordi e merli, che sono immuni alla tossicità delle bacche.<br />

Le foglie e la corteccia, ricche di tannino e ilicina,<br />

sono utilizzate in erboristeria come antispasmodico,<br />

emolliente, febbrifugo e tonico.<br />

In territorio gussaghese questa “pianta minore” vive<br />

nelle zone più alte e fresche, sui suoli un po’ aridi. Ne<br />

possiamo ammirare dei begli esemplari che risaltano,<br />

soprattutto del periodo invernale, in mezzo al bosco, dove<br />

spicca il rosso dei frutti maturi, nella zona sottostante<br />

Pian San Martino e lungo dosso Andrelo poco sotto<br />

la loc. Barche.<br />

MESPILUS GERMANICA L. - NESPOLO<br />

denominazione scientifica: Mespilus Germanica L. - famiglia Rosaceae<br />

denominazione italiana: Nespolo<br />

denominazione bresciana: Nèspol<br />

Arbusto o piccolo albero caducifoglio a chioma<br />

espansa, alto sino a 6 metri. Specie Europea<br />

Pontica, presente su tutto il territorio italiano,<br />

in boschi di latifoglia, su terreno subacido. E’<br />

coltivato per i frutti gustosi e molto digeribili.<br />

Corteccia desquamante in placche verticali.<br />

Rami spesso spinosi, pubescenti quelli giovani.<br />

Foglie subsessili, lanceolate lunghe 6-12<br />

cm, finemente dentate, sopra quasi glabre,<br />

sotto più pallide e pubescenti. Fiore isolato,<br />

molto appariscente, grande 3-4 cm, petali<br />

bianchi 10-12 mm, sessile, annidato fra le foglie.<br />

Sepali lesiniformi di 10-16 mm. Fioritura<br />

maggio - giugno. Frutto color bruno, globoso,<br />

con apice depresso, circondato da lunghi sepali<br />

2-3 cm che giunge a maturazione nel periodo<br />

autunno-inverno.<br />

Agrifoglio (Foto 38)<br />

Fiore del Nespolo (Foto 39)<br />

Nel medioevo i suoi frutti erano usati come rimedio per la febbre, col tempo si sono scoperte<br />

anche la sue proprietà diuretiche ed astringenti efficaci per la regolazione intestinale.<br />

Pure i noccioli, la corteccia ed i fiori appassiti ricchi di tannino, acidi, zuccheri e vitamina C<br />

sono impiegati in erboristeria. Il Nespolo, che per crescere spontaneamente ha bisogno di terreni<br />

abbastanza freschi, nel nostro territorio è presente, sparso in diverse aree, in boschi misti<br />

dove spicca nel periodo della sua fioritura.<br />

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OSTRYA CARPINIFOLIA SCOOP. - CARPINO NERO / CARPINELLA<br />

denominazione scientifica: Ostrya Carpinifolia Scoop. - famiglia Corilaceae<br />

denominazione italiana: Carpino Nero, Carpinella<br />

denominazione bresciana: Taèrò<br />

68<br />

Albero caducifoglio alto sino a 15 metri dalla chioma ampia, arrotondata od ovoidale. Specie<br />

Circumboreale-Pontica, presente su tutto il territorio italiano; cresce sia in pianura che in collina<br />

su terreno calcareo, roccioso e debolmente acido; non sopporta i terreni troppo umidi ed è<br />

invece resistente alla siccità. Generalmente forma boschi misti associato a Roverella ed Or -<br />

niello.Tronco diritto e lineare con corteccia bruno-grigia, compatta, liscia, con lenticelle nulle e<br />

puntiformi, con l’invecchiamento dell’albero tende a fessurizzarsi in placche grigie.Foglia obovata,<br />

lanceolata, acuminata, seghettata o con denti aguzzi;sulla pagina superiore pubescente<br />

da giovane, lunga 4-6 cm e con 10-15 nervature per lato. Gemme fusiformi. Fioritura aprile -<br />

maggio. Amenti maschili, cilindrici, penduli, lunghi 4-8 cm. Amenti femminili, cilindrici-ovoidali,<br />

penduli con brattee di 4-9 mm molto simili ai frutti del Luppolo. Nucula da 3 a 4 mm.<br />

Più frugale del Carpino bianco, vegeta bene anche nei terreni calcarei superficiali, il suo<br />

legno serve per torneria e si usa come legno da ardere. Questa specie, che come abbiamo detto<br />

cresce spesso associata a Orniello e Roverella, è componente importante dei boschi cedui<br />

che coprono i versanti meno elevati delle colline gussaghesi.<br />

QUERCE<br />

La quercia è una pianta molto diffusa e conosciuta, ne esistono numerose specie che spesso<br />

occupando lo stesso areale, tendono ad ibridarsi dando origine ad esemplari di difficile<br />

identificazione. Anche nel nostro territorio questo genere è abbondantemente diffuso principalmente<br />

con la presenza di quattro specie: Roverella, Rovere, Farnia e Cerro. Inoltre in parchi<br />

e giardini, coltivato come albero ornamentale, troviamo anche il Leccio, specie mediterranea,<br />

ed infine in località Pianone (posta a metà strada tra Quarone e Sella dell’Oca) cresce<br />

maestoso un esemplare di Quercia Crenata (Ruer verdò), rarissimo ibrido originato dall’incrocio<br />

del Cerro e della Quercia da Sughero.<br />

La quercia è considerata il re degli alberi, è sinonimo di forza, la sua storia è molto ricca<br />

ed antica e ne troviamo traccia in numerose civiltà del passato: i Greci credevano che fosse<br />

l’albero prediletto da Zeus e che fosse stato proprio il padre degli dei a piantare una quercia<br />

come primo albero sulla terra; i Romani ornavano il capo con corone di quercia ai cittadini<br />

meritevoli ed ai guerrieri più valorosi; il sacro bosco di Mamre dove il Signore apparve<br />

ad Abramo annunciandogli la nascita del figlio Isacco è descritto nella Bibbia come<br />

un querceto; anche nella cultura celtica la quercia era sacra, i Druidi la veneravano. Sono<br />

poi numerose le leggende e curiosità legate a questo albero: la mitica Tavola Rotonda di re<br />

Artù e dei suoi cavalieri, che aveva un diametro di 33 metri e che poteva ospitare 140 persone,era<br />

stata costruita con il legno di cento querce provenienti dalla foresta di Ingle Wo o d ;<br />

il bosco incantato di Pimpol, in Bretagna, dove dimorava il mago Merlino era formato da<br />

querce secolari.<br />

La quercia ha sempre avuto numerosi impieghi sia per la compattezza e resistenza del suo<br />

legno sia per le proprietà medicinali della corteccia, delle ghiande e delle foglie. Il legno era<br />

largamente usato per la costruzione di navi, travi, piloni per impalcature, pavimenti, mobili,<br />

scale, botti per l’invecchiamento di vini distillati, traversine ferroviarie, attrezzi agricoli e da<br />

cucina oltre che come combustibile, sia come legna da ardere che per la produzione di car-


one. Le selve glandarie nelle foreste di Farnie e Cerri, che un tempo coprivano anche la<br />

Pianura Padana, erano sfruttate per l’abbondante presenza di ghiande per l’allevamento di<br />

maiali allo stato semibrado; le ghiande venivano usate dall’uomo per fare il pane durante le<br />

carestie, in medicina, per le proprietà astringenti, antisettiche e febbrifughe come rimedio a<br />

febbre, geloni, intossicazioni, dissenteria ed emorragie.<br />

Di seguito tratteremo singolarmente alcune delle querce sopra elencate che per la verità<br />

sono molto simili tra loro, tanto che in alcuni casi ne risulta difficile l’identificazione<br />

anche per gli esperti. Con un po’di attenzione, però, è possibile notare alcuni caratteri<br />

distintivi che consentono di riconoscere le diverse specie.<br />

QUERCUS CERRIS - CERRO<br />

denominazione scientifica: Quercus Cerris - famiglia Fagaceae<br />

denominazione italiana: Cerro, Quercia lombarda<br />

denominazione bresciana: Ruer femina de mont, Seradel<br />

Pianta chiomosa, caducifoglia, che può raggiungere 35 metri, longeva fino a 200 anni. Specie<br />

N. Euromediterranea presente su tutto il territorio italiano prevalentemente sulla fascia appenninica<br />

da 100 a 1000 metri, anche se nei secoli scorsi abbondava nei boschi della Pianura Padana.<br />

Cresce nei boschi, su suolo subacido e calcareo, coltivata nei parchi ed anche per ornamento.Tronco<br />

slanciato con corteccia grigiastra desquamante a piastre compatte sui bordi,<br />

con i caratteristici solchi rossastri. I numerosi rami formano una chioma ampia con cima arrotondata.<br />

Foglie caduche con picciolo 5-7 mm; lamina dapprima opaca, lucida in seguito, ruvida<br />

sopra, di sotto con peli lanosi color grigio bruno. Le foglie sono lobate o incise con 10-14 lobi,<br />

a punte strette o con denti grandi, margine molto variabile specialmente nei germogli.I Fiori<br />

maschili sono raggruppati in amenti cilindrici, i femminili, leggermente peduncolati, si sviluppano<br />

singoli o a piccoli gruppi da 2 a 5.Fioritura da aprile a maggio. Frutti con cupola emisferica<br />

con squame (fino a 1 cm) lineari, patenti, filiformi, che coprono per metà la ghianda lunga<br />

2-3 cm, maturazione biennale.<br />

Il Cerro è una delle tre principali specie del genere Quercus presenti sulle nostre colline.<br />

La cerreta (Sareda) più estesa nel nostro territorio è sicuramente quella che si trova sul fianco<br />

ovest del monte Navezzone (Camaldoli) e dà il toponimo alla zona compresa tra la Vià del<br />

Termen e il fondo della Val Volpera come ancora riportato nelle carte topografiche del 1900.<br />

Alcuni esemplari di Cerro formano l’impianto arboreo di appostamenti di caccia; fra questi<br />

uno dei più maestosi è sicuramente quello che possiamo ammirare poco a monte della ca -<br />

scina Rocca, ben visibile anche dal centro di <strong>Gussago</strong>.<br />

QUERCUS PETRAEA - ROVERE/QUERCIA<br />

denominazione scientifica: Quercus Petraea - famiglia Fagaceae<br />

denominazione italiana: Rovere, Quercia<br />

denominazione bresciana: Rùer<br />

Albero slanciato e maestoso a chioma aperta, caducifoglio, alto sino a 40 metri, longevità che<br />

varia da 500 a 1000 anni. Specie Europea (Subatlantica) presente su tutto il territorio italiano,<br />

in boschi di collina e di mezza montagna, preferibilmente su terreni freschi sufficientemente<br />

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umidi e non eccessivamente acidi, sino a<br />

1000 metri. Tronco robusto e lineare con corteccia<br />

grigio, bruna, con screpolature longitudinali.<br />

Corteccia dei rami bruno-rossastra,<br />

con lenticelle trasversali di 1 mm nel primo<br />

anno, grigio-bruna negli anni successivi. Foglia<br />

glabra con picciolo di 10-18 mm, lamina<br />

obovata, base cuneata, apice arrotondato,<br />

con 5-7 lobi poco profondi, più larghi che lunghi,<br />

arrotondati. Fiori maschili raggruppati in<br />

infiorescenze giallognole, i femminili si sviluppano<br />

singoli o a gruppi;si presentano sia sessili<br />

che brevemente peduncolati, fioritura aprile<br />

- maggio. Frutti sessili, a gruppi di 2-6<br />

(ghiande), ovali o subsferiche, con capsula ricoprente<br />

circa un terzo della ghianda, formata<br />

da squame lanceolate.<br />

A <strong>Gussago</strong> è presente nei terreni più freschi e a quote più elevate rispetto alla Roverella.<br />

QUERCUS PUBESCENS - ROVERELLA<br />

denominazione scientifica: Quercus Pubescens - famiglia Fagaceae<br />

denominazione italiana: Roverella, Quercia Lanugginosa, Quercia Pubescente<br />

denominazione bresciana: Seradèl, Rùer, Gianda, Darmèla<br />

Arbusto o piccolo albero a foglie caduche che raggiunge i<br />

20 metri con una longevità di circa 500 anni. Specie Sud<br />

Est Europea diffusa in tutto il territorio nazionale. Cresce<br />

nei boschi e cespuglieti aridi, generalmente su terreni calcarei<br />

ed asciutti da 0 a 1200 metri. Dal tronco molto contorto<br />

partono numerosi rami che si sviluppano a corona<br />

emisferica formando la caratteristica chioma ampia, dalla<br />

cima arrotondata, che contraddistingue questa piccola<br />

quercia. Il tronco adulto è ricoperto da screpolature longitudinali,<br />

mentre i rami giovani sono coperti da un feltro,<br />

denso di peli biancastri. Foglie con 10-12 lobi incisi a volte<br />

anche profondamente; lamina verde-scura sopra, sotto<br />

densamente pelosa e vellutata da giovane e quasi glabra<br />

appena raggiunta la dimensione definitiva.Le foglie si staccano<br />

dall’albero quasi alla fine dell’inverno, hanno un picciolo<br />

lungo 5-15 cm.Fioritura da aprile – maggio;frutti sessili,<br />

raramente su breve peduncolo, le squame della cupola<br />

che copre quasi la metà del frutto sono strettamente appressate.<br />

Rovere (Foto 40)<br />

Germoglio della Roverella (Foto 41)<br />

Presente nelle aree meno elevate su tutto l’arco delle colline gussaghesi, la Roverella è sicuramente<br />

la specie più diffusa.


QUERCUS ROBUR - FARNIA<br />

denominazione scientifica: Quercus Robur - famiglia Fagaceae<br />

denominazione italiana: Rovere, Quercia<br />

denominazione bresciana: Rùer, Gianda<br />

Albero maestoso a chioma ampia, caducifoglio, alto sino a 50 metri, è sicuramente il più<br />

longevo tra le querce fin qui trattate, esistono esemplari di 2000 anni. Specie autoctona<br />

dell’Europa centrale presente su tutto il territorio italiano dove è la quercia più diffusa.Predilige<br />

terreni freschi fertili e drenanti, sino a 1000 metri. Tronco robusto con corteccia grigia,<br />

solcata da spesse creste longitudinali. I grossi e contorti rami che si divaricano dal<br />

tronco formano un grande palco che caratterizza il maestoso portamento della Farnia.Foglia<br />

con picciolo corto, lamina obovata, di colore verde scuro, con 5-7 lobi per lato piuttosto<br />

incisi.Fiori maschili in amenti giallognoli, i femminili sono dotati di lunghi peduncoli, fioritura<br />

aprile - maggio. Frutti a gruppi di 3 (ghiande), cilindrici su lunghi peduncoli, con capsula<br />

scagliosa ricoprente un terzo della ghianda.<br />

A <strong>Gussago</strong> è piuttosto diffusa, è ben identificabile in pianura dove numerosi esemplari<br />

crescono ai lati delle stradine e lungo le ripe di campagna.<br />

SAMBUCUS NIGRA L. - SAMBUCO<br />

denominazione scientifica: Sambucus Nigra L. - famiglia Caprifoliaceae<br />

denominazione italiana: Sambuco<br />

denominazione bresciana: Sambüch<br />

Arbusto molto ramoso alto sino a 9 metri, con odore fetido. Specie Europea-Carsica, presente<br />

su tutto il territorio italiano, cresce in luoghi umidi, nelle siepi e terreni incolti da 0 a 1400 metri.<br />

Corteccia bruna con solchi longitudinali profondi sino a 8 mm. Rami giovani molli con midollo<br />

bianco, la corteccia è verde con lenticelle longitudinali. Foglie caduche, picciolate con 5-<br />

7 foglioline opposte oblunghe e dentate, se strofinate emanano un odore forte e sgradevole. Le<br />

gemme sbocciano a fine inverno. Fioritura aprile - giugno. Inflorescenza bianca ombrelliforme<br />

con diametro da 20-35 cm composta da fiori con corolla larga 5 mm, 5 lobi arrotondati e 5 stami<br />

che portano a maturazione 5 frutti subsferici, lucidi, carnosi, generalmente di colore neroviolaceo<br />

dal diametro di 5 mm. circa con peduncoli sessili, hanno un sapore acidulo.<br />

Anche se comunemente è considerata una pianta ornamentale, ed a tale scopo disposta a<br />

siepe lungo i confini di campi e strade di campagna, il Sambuco ha sempre avuto molteplici<br />

impieghi, soprattutto in campo medico per le numerose proprietà medicinali dei suoi fiori,<br />

frutti, foglie e corteccia. Inoltre con i frutti, ricchi di vitamina C, si confeziona un’ottima<br />

marmellata, il succo del frutto maturo fungeva da inchiostro nei giochi dei bambini. I fiori<br />

erano utilizzati, in passato, per produrre uno sciroppo adatto contro la tosse e ottimo dissetante<br />

diluito nell’acqua, oppure per lo stoccaggio delle mele, alternando nei contenitori strati<br />

di fiori di Sambuco a strati dei frutti da conservare. I rami tagliati, scortecciati e fatti seccare<br />

divenivano dei resistenti e leggeri manici di badile. Ritrovamenti risalenti all’età della<br />

pietra testimoniano la lunga storia di questa pianta e dei suoi numerosi utilizzi da parte dell’uomo<br />

fin dai tempi antichi. Si pensa che il suo nome derivi dalla “sambuca”, uno strumento a corde<br />

con struttura in legno usato da Greci e Romani.<br />

A <strong>Gussago</strong> cresce sparso un po’ovunque sia in pianura che in collina.<br />

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72<br />

ARBUSTI<br />

COTYNUS COGGYGRIA SCOOP. - SCOTANO<br />

denominazione scientifica: Cotynus Coggygria - famiglia Anacardiaceae<br />

denominazione italiana: Scotano<br />

denominazione bresciana: Rös<br />

A r busto di odore resinoso caducifoglio<br />

con chioma tondeggiante alto<br />

sino a 2-3 metri . Specie s u d - E u r o -<br />

p e a presente nell’Italia Settentri onale<br />

in cespuglieti e terreni calcarei<br />

ed assolati. Fusto e rami glabri di<br />

colore grigio rossastri . Foglie con<br />

lamina subrotonda con picciolo 3-6<br />

cm, colore verde chiaro, che in autunno<br />

assume un bel rosso viva c e.<br />

Le gemme appuntite sono di colore<br />

ve r d a s t r o. F i o ri t u ra maggio-giugno.<br />

Infiorescenza a pannocchia, ra m i f icata,<br />

piumosa, rada, lunga 15-20<br />

cm ri c o p e rta di peli.<br />

I fitti cespugli di S c o t a n o abbondano sui versanti più assolati delle nostre colline anche se<br />

tendono a diradarsi man mano che ci si alza di quota. Questa specie arbustiva sopporta molto bene<br />

le potature e riesce a svilupparsi anche radente al terreno tanto da formare in alcuni casi dei<br />

veri e propri cuscini che spiccano nel periodo autunnale per il loro intenso colore rosso.<br />

ERICA ARBOREA - ERICA, SCOPONE<br />

denominazione scientifica: Erica Arborea - famiglia Ericaceae<br />

denominazione italiana: Erica, Scopone<br />

denominazione bresciana: Agöst<br />

Arbusto sempreverde denso e con<br />

aspetto piumoso, alto da 1 a 5 metri.<br />

Specie Steno Mediterranea presente<br />

su tutto il territorio italiano dove<br />

cresce su suoli acidificati, in macchie,<br />

boschi cedui e garighe. Fusto<br />

contorto con corteccia rossastra, i<br />

rami esterni lanosi di colore bianco.<br />

Foglie aghifo rmi sempreverdi con<br />

una linea bianca sotto, generalmente<br />

in verticilli di quattro. Fiori nella<br />

parte superiore dei rami laterali spiciformi,<br />

peduncolati 3 mm con bratteola<br />

verso la metà.Calice bianco 2-<br />

4 mm campanulato con brevi lobi.<br />

Antere bruno-rossastre con appendice<br />

sporgente dal calice 2-3 mm.<br />

Fioritura da marzo - maggio.<br />

Scotano in autunno (Foto 42)<br />

Erica arborea in fiore (Foto 43)


I fitti rami vengono usati per la costruzione di scope, anche se ai nostri giorni questo tipo<br />

di produzione ha lasciato spazio a materiali più economici.<br />

Cresce nello stesso habitat del Ginepro, con il quale forma delle stupende macchie sempreverdi,<br />

possiamo ammirare numerosi arbusti di Erica Arborea lungo il sentiero s2; nel tratto<br />

che sale verso Pian San Martino.<br />

JUNIPERUS COMMUNIS L. - GINEPRO<br />

denominazione scientifica: Juniperus Communis L. - famiglia Cupressaceae<br />

denominazione italiana: Ginepro<br />

denominazione bresciana: Zèner<br />

Arbusto o alberello cespuglioso<br />

alto da 50 centimetri a 6<br />

m e t ri, sempreve r d e. S p e c i e<br />

C i r c u n B o r e a l e, presente in<br />

tutto il nostro territorio nazionale;<br />

cresce nei boschi o nei<br />

prati aridi e sassosi, da 0 a fino<br />

a 2500 metri, anche se in<br />

altitudine, per sopravvivere al<br />

clima molto ri g i d o, assume<br />

forme molto contorte. Il tronco<br />

ha la corteccia grigio-rossastro,<br />

desquamante nei rami<br />

di circa 8 anni. Foglie aghiformi<br />

acuminate, in verticilli da<br />

tre, con una striscia glauca<br />

sulla parte superiore quasi<br />

piana; grigio-verdi sulla parte<br />

Cespuglio di Ginepro (Foto 44)<br />

inferiore. I fiori maschili di colore<br />

giallastro con coni solitari a forma cilindrica, fiori femminili di colore verdastro. Fioritura febbraio<br />

- aprile. I frutti, detti galbuli, sono delle pseudo-bacche dal caratteristico odore resinoso<br />

e dal sapore acre-dolciastro; sono ricoperti da una patina opaca ed hanno colore verde glauco<br />

da giovani, blu violetto a maturazione, che avviene in due anni. Forma ovoide 5-8 mm di diametro,<br />

generalmente con tre semi triangolari.<br />

Il nome di questa specie trae origine dal particolare sapore dei suoi frutti, deriva infatti<br />

dal celtico juneprus che significa acre. Le bacche del Ginepro, in epoca medioevale, erano<br />

considerate, in maniera esagerata, un vero portento per la guarigione di numerosi malanni,<br />

un vero toccasana in grado di operare miracoli. Questa specie ha, di fatto, proprietà di aperitivo,<br />

depurativo, diuretico, rubefacente e per questo viene usata tutt’oggi in erboristeria. Comunque<br />

le bacche di ginepro conservano un ruolo importante in cucina dove sono ingrediente<br />

essenziale in alcune ricette, servono anche per la preparazione del gin e per affumicare<br />

il prosciutto.<br />

Sempreverde presente su tutto il nostro territorio i cui cespugli, che a volte formano delle<br />

fitte macchie impenetrabili, sono facilmente riconoscibili e costeggiano alcuni tratti di sentieri,<br />

in particolare del n. S4 che da Barche scende al Caricatore.<br />

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PRUNUS SPINOSA L. - PRUGNOLO<br />

denominazione scientifica: Prunus Spinosa - famiglia Rosaceae<br />

denominazione italiana: Prugnolo<br />

denominazione bresciana: Brognöl<br />

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Pianta arbustiva decidua, con rami intricati, spinosa, alta sino a 4 metri che vive in media 60<br />

anni.Specie Europea Caucasica, presente su tutto il territorio da 0 a 1500 metri, cresce in boschi<br />

cedui siepi e cespugliati. Fusto quasi inesistente e rami distesi di colore bruno rossastro,<br />

rami laterali brevi, induriti e spinosi. Foglie alterne con picciolo breve, lamina ellittica più o meno<br />

romboidale, color verde smorto, più chiare e lanuginose sulla pagina inferiore. Fioritura marzo-aprile,<br />

prima della comparsa della foglia. Fiori dal diametro di 1 cm circa, petali bianchi su<br />

peduncoli corti. Frutti sferici cm 1-1,5 circa, colore blu-nerastro ricoperti da una pruina biancastra,<br />

sapore acidulo, con un nocciolo globoso.<br />

Questa pianta molto rustica e cespugliosa offre il luogo ideale per la nidificazione di molti<br />

uccelli; i suoi frutti, che rimangono attaccati all’albero anche dopo la caduta delle foglie, contengono<br />

sostanze tanniniche, per questo sono usati in erboristeria, unitamente alla corteccia, alle<br />

foglie ed ai fiori in bocciolo, per le loro proprietà astringenti, depurative, diuretiche e toniche.<br />

Le foglie essiccate vengono a volte mescolate con il tabacco, dai fumatori di pipa.<br />

Cresce nello stesso areale del Biancospino con cui spesso forma delle macchie impenetrabili<br />

che possiamo osservare ai lati di numerosi sentieri.<br />

ROSA CANINA L.S.L. – ROSA SELVATICA<br />

denominazione scientifica: Rosa Canina - famiglia Rosaceae<br />

denominazione italiana: Rosa Selvatica<br />

denominazione bresciana: Brüzacül, Rösa salvàdega<br />

Arbusti decidui, con spine arcuate e molto dure,<br />

alto sino a 3 metri. Specie Paleotemperata presente<br />

su tutto il territorio, in boscaglie, radure e<br />

siepi da 0 a 1500 metri. Fusto verdastro, rami<br />

glabri e spinosi. Foglie imparipennate composte<br />

da 5-7 foglioline ellittiche ovate con dentatura<br />

seghettata. Fioritura da maggio a luglio, fiori<br />

composti da 5 petali bilobi di colore rosa-bianchi<br />

con sepali riflessi e rapidamente caduchi. Il frutto<br />

è ovale-sferico-piriforme 1-2 cm di colore rosso<br />

e racchiude un achenio peloso.<br />

La rosa canina è spesso utilizzata nei vivai come<br />

selvatico d’innesto. I fiori, le foglie ed i frut-<br />

Fiore Rosa Canina (Foto 45)<br />

ti di questo arbusto sono ricchi di vitamine, tannino<br />

e pectine, per questo vengono efficacemente usati in farmacopea come rimedio contro<br />

numerosi disturbi, in particolare: angoscia, astenia, fatica, emorragia, piaga, scottatura e parassitosi.<br />

Persino le galle midollari, prodotte da un insetto parassita della rosa canina, sono<br />

ricchissime di tannino ed hanno proprietà toniche ed astringenti.<br />

A <strong>Gussago</strong> questo arbusto è presente sia in pianura che in collina, nelle zone meno elevate.<br />

Lo possiamo ammirare particolarmente in primavera avanzata, nel periodo della fiori-


tura durante la quale forma delle delicate macchie di colore rosa pallido, ed in autunno per il<br />

vivace colore dei falsi frutti, chiamati cinorrodonti, che rimangono sui rami anche dopo la<br />

caduta delle foglie.<br />

RUSCUS ACULEATUS - PUNGITOPO<br />

denominazione scientifica: Ruscus Aculeatus - famiglia Liliaceae<br />

denominazione italiana: Pungitopo<br />

denominazione bresciana: Spinasöréch<br />

Pianta cespugliosa sempreverde alta da 15 a 60 centimetri.Specie<br />

Euro Mediterranea, presente su tutto il territorio<br />

italiano dove cresce nelle leccete, boschi caduchi<br />

da 0 a 700 metri. Essenza poco esigente che si adatta<br />

anche a terreni aridi, secchi, calcarei e magri. Steli cilindrici,<br />

legnosi, persistenti, di colore verde scuro con striature.<br />

I rami (cladodi) appiattiti sono simili a foglie. Subsessili<br />

a forma ovata, lanceolati con all’apice una spina<br />

acuta e con 6-7 nervature per lato. Brattea alla base del<br />

cladodio a forma di squama appena visibile. I fiori sono<br />

molto piccoli, posti al centro dei cladodi (rami);dioici, dotati<br />

di tre sepali e tre tepali bruno verdastri, a forma più o<br />

meno rettangolare; fioritura da settembre a aprile. Il frutto<br />

è una bacca sferica, polposa color rosso scarlatto,<br />

contenente uno o due semi grandi e di colore giallo.L’apparato<br />

radicale è costituito da un rizoma molto nodoso,<br />

obliquo e strisciante, di colore bianco-grigiastro da cui<br />

partono le fitte radici. I nuovi germogli di gusto amaro sono<br />

buoni, commestibili, considerati nel bresciano una<br />

leccornia.<br />

Bacca di Pungitopo (Foto 46)<br />

L’utilità del pungitopo era conosciuta fin dall’epoca dell’antica Grecia, dove era già denominata<br />

Ruscus. Le sue efficaci proprietà di diuretico, febbrifugo e vaso-protettore, sono<br />

tutt’oggi apprezzate in erboristeria come rimedio a edema, emorroidi, flebite, gotta, ittero e<br />

varici. Il rizoma del Pungitopo è inoltre utilizzato per la preparazione dello “sciroppo delle<br />

cinque radici” unitamente ai rizomi di asparago, prezzemolo, finocchio selvatico e sedano<br />

selvatico.<br />

Essendo una delle piante più frugali e resistenti cresce un po’ovunque; a margine dei numerosi<br />

percorsi collinari, cespugli di Pungitopo ci allietano il cammino.<br />

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FIORI<br />

GALANTUS NIVALIS - CAMPANELLINO, BUCANEVE<br />

denominazione scientifica: Galantus Nivalis - famiglia Amaryllidaceae<br />

denominazione italiana: Campanellino, Bucaneve<br />

denominazione bresciana: Campanilì, Bucaneve<br />

Pianta a fiori t u ra precoce, alta 10-20 centimetri .S p e c i e<br />

Europeo Caucasica è presente in tutta Italia, eccetto in<br />

Sardegna, cresce nei boschi, prati umidi e freschi, da 0<br />

a 1300 metri . Bulbo ovoide dal diametro di 1-2 cm color<br />

verde lucido.Fiore uno, generalmente pendulo, con peduncolo<br />

lungo 10-20 cm. F i o ri t u ra nel periodo fe bb raio -<br />

a p ri l e.Capsula carnosa, ovo i d a l e.I petali interni sono 10<br />

mm più brevi degli esterni e misurano 20 mm circa.<br />

Hanno punte verdi, si vedono solo a fiore apert o.<br />

I bulbi del bucaneve sono tossici, in passato venivano<br />

talvolta confusi con quelli dell’erba cipollina,<br />

provocando vomito e dissenteria a chi ne faceva uso.<br />

Non è raro imbattersi in questo grazioso fiore il cui<br />

nome si attribuisce erroneamente alla Rosa di Natale.<br />

HELLEBORUS NIGER - ELLEBORO, ROSA DI NATALE<br />

denominazione scientifica: Helleborus Niger - famiglia Ranuncolaceae<br />

denominazione italiana: Elleboro, Rosa di Natale<br />

denominazione bresciana: Bucaneve<br />

Foglie e fiori alti 15-30 centimetri . Specie Centro Euro -<br />

p e a, cresce nel sottobosco misto dell’Italia Settentri onale<br />

e Centro-Meri d i o n a l e, dai 200 ai 1100 metri . L a<br />

f i o ri t u ra inizia prestissimo, infatti a Natale abbiamo numerosi<br />

esemplari in fiore.Foglie color verde scuro con<br />

piccioli (1-3 cm) portanti 5-9 foglioline dentate, nella<br />

metà apicale. Scapo floreale robusto liscio con 1-2<br />

b ra t t e o l e, portante generalmente 1-2 fiori, ra ra m e n t e<br />

t r e. Fiore normalmente con cinque petali con colorazione<br />

rosea, oblanceolati, spatolati con 6-7 fo l l i c o l i .<br />

Campanellino,Bucaneve (Foto 47)<br />

E’ una pianta tossica in tutte le sue parti. Questa<br />

specie cresce abbondante su tutta l’area montana di<br />

Rosa di Natale (Foto 48)<br />

<strong>Gussago</strong> dove è chiamata erroneamente bucaneve. Vale la pena di accennare a due specie distinte<br />

ma simili alla Rosa di Natale: l’Helleborus Foetidum (Elleboro Fetido) e l’Helleborus<br />

Viridis (Elleboro Verde). Entrambi diffusi nel nostro territorio, anche se in genere crescono<br />

in una fascia territoriale meno elevata del loro più popolare parente, hanno caratteristiche che<br />

li contraddistinguono: il primo rilascia un odore molto intenso che si accentua divenendo appunto<br />

“fetido” se ne spezziamo o strofiniamo le foglie; il secondo ha un fiore di colore verde<br />

che si confonde con il resto della pianta.


HEPATICA NOBILIS – ANEMONE FEGATELLA<br />

denominazione scientifica: Hepatica Nobilis - famiglia Ranuncolaceae<br />

denominazione italiana: Anemone fegatella<br />

denominazione bresciana: Anemone fegatella<br />

Pianta perenne senza fusto, alta da 8 a 20 centimetri.Specie<br />

circumboreale presente su tutto il<br />

territorio nazionale, eccetto che in Sicilia e Sardegna,<br />

da 0 a 2000 metri. Molto rara in pianura<br />

è invece diffusa in collina e montagna, su terreni<br />

calcarei, nei sottoboschi umidi e freschi di caducifoglie,<br />

aghifoglie e siepi. Foglie tutte basali<br />

con picciolo 5-15 cm, lamine suddivise in tre lobi<br />

poco profondi dalla caratteristica forma a cuore,<br />

pagina inferiore color violetto. I Fiori sono numerosi<br />

con 6-8 petali color violetto - azzurro con<br />

apice arrotondato e con brattee intere ovali, verdi<br />

simili a sepali. La fioritura ha luogo nel periodo<br />

febbraio – maggio e i singoli fiori sopravvivono<br />

solamente otto giorni. L’apparato radicale è<br />

costituito da un rizoma obliquo e scuro.<br />

La fegatella, sconosciuta nell’antichità, venne usata come pianta medicinale a partire dal<br />

XV secolo per curare le malattie del fegato, se ne utilizzavano le foglie essiccate, dalla inconfondibile<br />

forma del fegato umano; da ciò trae origine il nome della pianta stessa: “epatica”.<br />

Questa pianta ha inoltre proprietà astringenti, diuretiche e cicatrizzanti, le foglie essiccate<br />

fanno parte degli ingredienti per la produzione di un vino diuretico che viene anche applicato<br />

alle ferite per favorirne la cicatrizzazione.<br />

A <strong>Gussago</strong> è piuttosto diffusa ed è facile imbattersi in questa pianta tipica del sottobosco<br />

delle nostre colline.<br />

IRIS GRAMINEA L. – IRIS GRAMIGNA<br />

denominazione scientifica: Iris Graminea - famiglia iridaceae<br />

denominazione italiana: Iris gramigna<br />

denominazione bresciana: Iris selvatico<br />

Specie S. E . Europea (sub-pontico) presente nell’Italia<br />

settentrionale cresce in boscaglie e ra d u r e<br />

da 0 a 800 metri . R i zoma legnoso 5 mm circa,<br />

s c u r o. Scapo eretto appiattito. Foglie simili a fili<br />

d’erba eretta, larghe 5-9 mm., più lunghe dello<br />

s c a p o. F i o ri t u ra maggio-giugno. Fiore con petali<br />

ri volto verso il basso, con lamine piccole ve n a t a<br />

di color violetto e giallo nel mezzo. Lamine interne<br />

spatolate, retase di colore violetto.<br />

A <strong>Gussago</strong> questa specie è diffusa un po’<br />

ovunque dove spicca fra il sottobosco, nel periodo<br />

della fioritura.<br />

Anemone fegatella (Foto 49)<br />

Iris gramigna (Foto 50)<br />

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PULSATILLA MONTANA - PULSATILLA DI MONTE<br />

denominazione scientifica: Pulsatilla Montana Reichb - famiglia Ranuncolaceae<br />

denominazione italiana: Pulsatilla di Monte, Barbone<br />

denominazione bresciana: Barbone<br />

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Pianta alta 10-25 centimetri, si allunga fino a 40 centimetri<br />

nell’infruttescenza. Cresce nei prati aridi del<br />

centro e del nord Italia. Fusto eretto con peli bianchi<br />

lunghi 3 mm circa, foglie basali profondamente intagliate<br />

in lunghi e stretti segmenti con picciolo di 5-12<br />

cm e lamina triangolare.Foglie caulinari con circa 15<br />

lancine strettissime e lunghe. Fiore pendulo con in<br />

media 6 petali da color blu a viola; dapprima campanulato,<br />

in seguito aperto in forma stellare. Stami color<br />

giallo-oro. Fioritura marzo - aprile.Tutta la pianta<br />

è interamente villosa compresa la parte esterna del<br />

fiore.<br />

La Pulsatilla Montana è un fiore che cresce abbondante<br />

nei ripidi prati attraversati dal sentiero s1 sopra cascina Rocca, ed è presente in discreto<br />

numero anche nei pressi della loc. Quarone ed in altri luoghi limitrofi.<br />

VINCA MINOR – PERVINCA<br />

denominazione scientifica: Vinca Minor - famiglia Apocynaceae<br />

denominazione italiana: Pervinca<br />

denominazione bresciana: Pervincö, Èrba martìlina<br />

Pianta perenne, sempreve r d e, alta da 15 a 20 cent<br />

i m e t ri, con fusto strisciante che può raggiungere i<br />

3 metri . Specie Medio Europea Caucasica p r esente<br />

su quasi tutto il terri t o rio nazionale in part icolare<br />

nelle zone mediterranee e subalpine fino a<br />

1300 metri, cresce in luoghi erbosi, nei boschi e<br />

lungo le siepi.Foglie opposte, ovali ed ellittiche, di<br />

colore verde lucido. I fiori, sono posti su corti rametti,<br />

hanno 5 petali di colore molto part i c o l a r e. L a<br />

f i o ri t u ra ha luogo nel periodo fe bb raio – maggio e<br />

in alcuni casi si ripete nel periodo autunnale.I ra ri<br />

f rutti sono dotati di un doppio follicolo con nu m erosi<br />

semi.<br />

Pulsatilla di monte (Foto 51)<br />

Pervinca (Foto 52)<br />

E’molto interessante l’origine del nome di questa pianta, “Vinca” si ipotizza derivi dal latino<br />

“vincire” legare, con riferimento alla capacità di sopravvivenza. In epoca medioevale i<br />

suoi fiori erano usati per distillare filtri d’amore, nel XVI secolo era consigliata per la cura<br />

di epistassi ed angina. Attualmente la pervinca è apprezzata in erboristeria come tonico amaro<br />

e come stimolante dell’appetito, inoltre, recenti studi hanno individuato un alcaloide (la<br />

vincamina) in grado di abbassare la pressione arteriosa e dilatare i vasi.<br />

Gli estesi tappeti sempreverdi, da cui a fine inverno spuntano i delicati fiori blu-violetto,<br />

rallegrano il sottobosco di varie aree delle nostre colline.


VIOLA ODORATA - VIOLA MAMMOLA<br />

denominazione scientifica: Viola Odorata - famiglia Violaceae<br />

denominazione italiana: Viola Mammola, Viola<br />

denominazione bresciana: Viöla<br />

Pianta a rosetta basale con stoloni lunghi striscianti,<br />

radicanti al primo anno, con fioritura al<br />

secondo, alta da 10 a 15 centimetri. Specie Eu -<br />

ro mediterranea, è presente in tutta Italia dove si<br />

trova normalmente nei vitigni, ai margini della<br />

strada, nei boschi, nelle siepi, sui pendii, da 0 a<br />

1200 metri. Foglia con lamina reneiforme arrotondata,<br />

con brevi frange. Peduncolo floreale<br />

portante oltre al fiore una bratteola nella parte<br />

superiore. Petali viola-scuri, violetto o bianchi,<br />

profumatissimi. Sperone lungo 5-7 mm, capsula<br />

fruttifera subsferica con peli corti. Fioritura da<br />

febbraio - aprile.<br />

Viola mammola (Foto 53)<br />

Questo fiore profumatissimo e dall’apparente aspetto delicato, è in realtà una pianta molto<br />

resistente che cresce un po’ovunque e tende a propagarsi copiosamente La viola mammola<br />

era conosciuta fin dall’antichità quando ci si cingeva il capo con corone di piantine intrecciate<br />

per superare indigestioni e sbronze. Nell’antica Grecia i fiori venivano sapientemente<br />

distillati per produrre delicati profumi. Nel Medioevo, probabilmente divulgato da medici<br />

arabi, si diffuse l’uso della viola mammola in medicina per la proprietà emetica della “violina”<br />

contenuta nelle sue radici. Lo sciroppo di viola mammola, usato ancora ai nostri giorni,<br />

era già utilizzato nel XVI secolo. In erboristeria fiori, foglie, radice e semi vengono usati come<br />

rimedio a bronchite, intossicazione, screpolature e tosse. Anche nel campo dell’astrologia<br />

la viola è protagonista, essa viene infatti associata ai sagittari, ritenuti individui amanti<br />

della primavera e della vita all’aria aperta.<br />

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80<br />

FELCI<br />

Le felci hanno molte specie diffuse in tutto il mondo e, sono nell’immagine comune sinonimo<br />

di ambienti freschi e terreni umidi. Piante molto particolari, hanno tutte in comune<br />

un ciclo riproduttivo che si sviluppa in due fasi distinte e successive: in primavera, i teneri<br />

germogli dalla forma a riccio, posti a livello del terreno, si trasformano nel giro di poche settimane<br />

in ciuffi di fronde costituite da numerosi lobi a lato della nervatura centrale, sul rovescio<br />

dei quali sono attaccati gli sporangi che contengono le spore; alla fine dell’estate la<br />

membrana degli sporangi si apre e le spore si disseminano sul terreno pronte a dare origine<br />

ad una nuova piantina, assicurando così la riproduzione della specie.<br />

Nel nostro territorio sono presenti principalmente quattro specie di felce: la felce maschio<br />

e la felce aquilina che con le loro ampie fronde formano dei veri e propri cespugli, la lingua<br />

cervina ed il capelvenere, meno vistosi sia per le dimensioni più ridotte, sia per la caratteristica<br />

ubicazione dei luoghi in cui crescono.<br />

ADIANTUM CAPILLUS VENERIS L. - CAPELVENERE<br />

denominazione scientifica: Adiantum Capillus Veneris L. - famiglia Adiantaceae<br />

denominazione italiana: Capelvenere<br />

denominazione bresciana: Caèl dè Vènère<br />

E’ una pianta pantropicale dall’aspetto molto gradevole ed elegante. Presente su tutto il territorio<br />

italiano da 0 a 1500 metri, cresce gregaria su rupi umide, in buchi di grotte, presso sorgenti<br />

e fontane, nei terreni calcarei e tufacei con stillicidio. Alta da 10 a 40 centimetri si sviluppa<br />

a cespi.Foglie delicate, bipennatosette con pinnule cuneate e flabellate o romboidali da 1 a<br />

3 cm, su peduncoli e piccioli molto sottili, neri e flessuosi. Nelle pieghe del bordo esterno delle<br />

foglie sono presenti gli sporangi, la spora t u ra avviene tra giugno e nove m b r e. R i zoma stri s c i a nte<br />

scuro-nerastro ri c o p e rto di scaglie.<br />

Sia il nome scientifico che il nome comune di questa specie sono legati ad alcune sue interessanti<br />

caratteristiche: “capelvenere” infatti e legato alla forma dei sottilissimi piccioli delle<br />

foglie, simili appunto ai capelli; inoltre questa pianta viene usata in erboristeria contro la<br />

caduta dei capelli: “Adiantum” invece deriva dal greco “adiantos” (che non si bagna), effettivamente<br />

le foglie del capelvenere rimangono asciutte alla rugiada e anche sotto la pioggia<br />

in quanto le gocce d’acqua scivolano via dalla loro superficie.<br />

Già nel XVII secolo erano note le proprietà officinali di questa piccola felce, era infatti<br />

usata per curare le malattie dei polmoni e per preparare una bevanda a base di tè e latte caldi<br />

chiamata “bavarese”.<br />

Possiamo trovare eleganti ciuffi di Capelvenere in prossimità delle sorgenti o sulle pareti<br />

rocciose dei solchi vallivi più incisi e profondi, in prossimità di alcune delle grotte esistenti<br />

sulle nostre colline. Si possono osservare queste piantine sul tufo tra il muschio delle fontane<br />

del Parco Richiedei.


DRYOPTERIS FILIX MAX - FELCE MASCHIO<br />

denominazione scientifica: Dryopteris Filix Max - famiglia Aspidiaceae<br />

denominazione italiana: Felce, Felce Maschio<br />

denominazione bresciana: Felès<br />

E’ una pianta chiomosa, alta 30 - 90 centimetri. Specie Sub. Cosmop. cresce su tutto il territorio<br />

italiano nei boschi umidi e nelle vallette da 0 a 2000 metri, sopra il livello del mare. Rizoma<br />

legnoso, avvolto da squame brune lignificate. Foglie a forma triangolare con picciolo breve, ricoperto<br />

da squame color ferrugineo, con lamine pennatosette. Sporatura tra luglio - settembre.<br />

Lamina con la superficie inferiore ricoperta da piccoli sori rotondi.<br />

Questa pianta era conosciuta fin dall’antichità per la proprietà antiparassitaria del rizoma<br />

che contiene una sostanza in grado di eliminare la tenia. Anche le foglie trovano impiego in<br />

erboristeria per le proprietà detergenti.<br />

A <strong>Gussago</strong> è presente nei terreni più alti e freschi e nelle zone più in ombra delle vallette<br />

che solcano i versanti di tutto l’arco collinare.<br />

Germoglio (Foto 54)<br />

Cespugli preso la sorgente di Val Gandine (Foto 55)<br />

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PHYLLITTIS SCOLOPENDRIUM (L.) NEW.MAN. – LINGUA CERVINA<br />

denominazione scientifica: Phyllittis Scolopendrium (L.) New.man. -<br />

famiglia Aspleniaceae<br />

denominazione italiana: Lingua Cervina<br />

denominazione bresciana: Lenguò Cervinò<br />

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E’ una pianta perenne, sempreverde, alta da 20<br />

a 90 centimetri. Specie circumboreale-tempera -<br />

ta, presente su tutto il territorio nazionale, cresce<br />

copiosa nelle sue stazioni in rupi ombrose, all’imbocco<br />

di buchi e grotticelle su terreno umido<br />

e preferibilmente calcareo da 0 a 1500 metri. Foglie<br />

a ciuffi, intere e robuste dotate di picciolo di<br />

1-2 cm ricoperto da un feltro di lamine scariose,<br />

hanno colore verde brillante con pagina superiore<br />

glabra, pagina inferiore con sori obliqui da entrambi<br />

i lati da 3 x 20 mm, base cuoriforme con<br />

apice appuntito. Sporatura da gennaio a dicembre,<br />

più intensa durante l’estate.L’apparato radicale<br />

è costituito da un rizoma verticale di colore<br />

rossastro, fibroso e squamoso.<br />

Lingua cervina (Foto 56)<br />

Anche questa felce è una pianta officinale, un tempo era usata per curare blocchi intestinali,<br />

disturbi del fegato e della milza, mentre ai giorni nostri è utilizzata per le proprietà<br />

astringenti ed emollienti delle foglie. In omeopatia viene consigliata una tintura prodotta dalla<br />

pianta; in fisioterapia è noto l’infuso di foglie di scolopendrio in acqua o latte. Questa pianta<br />

è inoltre uno degli ingredienti della tisana chiamata “tè svizzero” e dello sciroppo officinale<br />

di cicoria.<br />

Anche a <strong>Gussago</strong> possiamo trovare questa felce nei sottoboschi particolarmente umidi ed<br />

in particolare agli ingressi di cavità o grotte, non è raro vederla crescere tra i muri umidi e<br />

cadenti di vecchie costruzioni abbandonate.<br />

PTERIDIUM AQUILINUM (L.) KUHN - FELCE AQUILINA<br />

denominazione scientifica: Pteridium Aquilinum (L.) Kuhn - famiglia Hypolepidaceae<br />

denominazione italiana: Felce Aquilina<br />

denominazione bresciana: Sparès de selès<br />

E’ una pianta cosmopolita presente su tutto il territorio italiano da 0 a 2100 metrii, cresce nei<br />

boschi, brughiere e radure incolte su terreno silicioso. Gambo slanciato, alto da 50 a 120 centimetri.<br />

Foglia con pagina superiore glabra e quella inferiore villosa, con lamina a contorni triangolari<br />

3-8 per 4-10. Pinnula divisa in segmenti con margine quasi sempre intero, o diviso o lobato.<br />

Sori lineari ricoperti dal margine revoluto delle foglie. Sporatura da maggio a novembre.<br />

Più alta e lanciata della felce maschio, da cui si distingue soprattutto per la forma delle<br />

foglie opposte rispetto al gambo, forma che richiama le ali dell’aquila in volo. Cresce abbondante<br />

nel sottobosco e spesso forma delle fitte macchie all’apparenza impenetrabili.


ORCHIDEE<br />

La famiglia delle orchidaceae, con le sue oltre 20.000 specie riunite in 500 generi, è la più<br />

vasta del regno vegetale. Il maggior numero di specie è presente nelle regioni tropicali. In<br />

Europa esistono circa 200 specie, delle quali 120 sono presenti in Italia, dal livello del mare<br />

(orchis incarnata), agli alti prati alpini (chamaeorchis alpina). Apparato radicale: tubero, rizoma<br />

e stolonifero. Fusto non ramificato. Foglie basali 2 - 0 a rosetta a cauline, più o meno<br />

guainanti, talora squamiformi, sempre più ridotte, dalla base all’apice, lungo l’infiorescenza<br />

(brattea). Fiore costituito da tepali, sepali, labello, sperone ovario e brattea floreale.<br />

Sul versante ovest della collina della S a n t i s s i m a, che si affaccia verso l’abbazia olivetana di<br />

Rodengo Saiano, esiste una piccola stazione floreale, di circa un ettaro, dove crescono 13 specie<br />

diverse: O p h rys Sphegodes, Ophrys Benacènsis, Ophrys Apifera, Ophrys Insectifera, Orc h i s<br />

Morio, Orchis Simia, Limodorum A b o rtivum, Listera Ovata, Cephalanthera Longifolia, Cepha -<br />

lanthera Damasionum, Platanthera Bifolia, Gymuadenia Conopsea, Anacàmptis Pyramidalis.<br />

ANACÀMPTIS PYRÀMIDALIS L.C. RICH – ORCHIDEA PIRAMIDALE<br />

denominazione scientifica: Anacàmptis Pyràmidalis - famiglia Orchidaceae<br />

denominazione italiana: orchidea piramidale<br />

denominazione bresciana: orchidea piramidale<br />

Fusto cilindrico eretto con foglie fino all’infiorescenza, alto<br />

sino a 50 centimetri.Specie Euromediterranea presente<br />

su tutto il territorio italiano da 0 a 1.400 metri, in prati<br />

aridi e umidi ed in radure. Foglie lunari con punta acuta,<br />

ridotte le cauline, strette al fusto brattee color violaceo.<br />

Fioritura da maggio a luglio. Infiorescenza conica in seguito<br />

globosa.Labello trilobo con due lamelli petaloidi.Tepali<br />

esterni patenti ovato lanceolati, gli interni: lunghi<br />

quanto i primi. Corolle color rosa violacea sbiancata.<br />

Orchidea piramidale (Foto 57)<br />

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OPHRYS INSECTIFERA L. – ORCHIDEA MUSCIFERA<br />

denominazione scientifica: Ophrys Insectifera - famiglia Orchidaceae<br />

denominazione italiana: orchidea muscifera<br />

denominazione bresciana: orchidea muscifera<br />

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Fusto alto 25 - 40 centimetri, con 4-15 fiori. Specie Europea presente sul territorio settentrionale<br />

in terreni incolti, luoghi asciutti e macchie. Fioritura maggio - giugno.Tepali esterni verdi,<br />

gli interni lunghi metafiliformi color bruno. Labello quasi piano, trilobo con lobo mediano bilobo.<br />

Vellutato bruno, con specchio azzurognolo glabro.<br />

Il labello dell’orchidea imita nelle forme e nel profumo una femmina di Gorytes Mystaceus (una<br />

vespa solitaria che nidifica nel terreno) predisposta all’accoppiamento, permettendo così l’impollinazione.<br />

SPIRÀNTHES SPIRÀLIS (L.) CHEVALL<br />

denominazione scientifica: Spirànthes Spiràlis - famiglia Orchidaceae<br />

denominazione italiana: viticcini<br />

denominazione bresciana: orchidea spiralata<br />

Fusto alto 15-30 centimetri.Con infiorescenza spiralata. Specie Europeo-Caucasica cresce in<br />

pinete e prati aridi da 500 a 900 metri.La rosetta di foglie basali si sviluppa lateralmente al fusto<br />

fiorifero, privo di foglie ma con alcune scaglie. Fioritura settembre – ottobre. Infiorescenza<br />

densa, spiralata, bianco verdastro; labello ottuso. I suoi fiori bianco verdastri sembrano fatti di<br />

ghiaccio. Questa orchidea chiude con la sua fioritura la stagione delle orchidee.


FUNGHI<br />

Nel nostro territorio sono presenti numerose specie di funghi, da sempre i fungaioli locali<br />

(“fonser”) si contendono le “poste” più conosciute, cercando di anticipare sul tempo la concorrenza.<br />

In alcuni casi, invece, mantengono rigorosamente il segreto sulla localizzazione di<br />

angoli di bosco dove ovuli, russole e porcini, anche nelle stagioni meno propizie, non mancano.<br />

Vogliamo quindi dedicare un breve spazio anche al mondo dei funghi, partendo con alcuni<br />

cenni di carattere generale.<br />

Quello che comunemente viene chiamato fungo è il frutto di una pianta che vive generalmente<br />

nel terreno o nel legno. E’una pianta priva di clorofilla, foglie e fiori e che non necessita<br />

di luce, è formata da una fitta ragnatela di filamenti che si sviluppano nel substrato<br />

del terreno, detta “micelio”. I “miceli”, a differenza degli altri vegetali, non hanno la funzione<br />

clorofilliana e pertanto per nutrirsi hanno bisogno direttamente di sostanze organiche, un<br />

po’come gli animali. A seconda del modo di nutrirsi, i funghi vengono distinti in tre diverse<br />

classificazioni.<br />

❐ Simbioniti: conducono una vita di mutualismo con altri organismi viventi, ossia si legano<br />

ad una pianta con cui si scambiano reciprocamente vantaggi, vivendo in simbiosi. Esistono<br />

due tipi di simbiosi: i Licheni, una associazione tra il fungo ed un’alga; la Miccorizia<br />

che invece è data dall’associazione del fungo con la radice di una pianta. In questo<br />

caso il legame tra pianta e fungo è vitale per entrambe le specie, mentre la pianta cede al<br />

fungo le sostanze nutritive necessarie (zuccheri), il fungo, o meglio il micelio, funge da<br />

apparato radicale suppletivo della pianta, assorbendo su terreni particolarmente poveri,<br />

acqua e sali minerali necessari alla sua sopravvivenza (es. Porcini, Amaniti).<br />

❐ Saprofiti: si nutrono di sostanze organiche, animali o vegetali non viventi, in decomposizione,<br />

fungendo da spazzini del bosco (Lepista, nuda, coprinus).<br />

❐ Parassiti: vivono di sostanze animali o vegetali viventi. In questo caso il fungo contribuisce<br />

alla selezione delle specie attaccate (chiodino polipori).<br />

E’facilmente intuibile l’importanza dei funghi nell’ecosistema del bosco e quindi capire che<br />

la loro raccolta non deve avvenire in maniera selvaggia …<br />

BOLETUS AERUS – PORCINO<br />

denominazione scientifica: Boletus Aerus Bull: Fr.<br />

denominazione italiana: Porcino<br />

denominazione bresciana: Neghèr<br />

Boletus (fungo di zolla) Aerus deriva da Ares (color<br />

bronzo).<br />

Cappello:da 6-20 centimetri in varie tonalità del bruno,<br />

vellutato, non viscido, con zone irregolari scure,<br />

su fondo più pallido a forma ondulata.<br />

Tuboli: biancastri, poi giallo verdastri ed infine olivastri,<br />

lunghi fino a 20 mm.<br />

Pori: piccoli e fitti, prima chiusi, biancastri, poi giallastri.<br />

G a m b o :c m . 7-15 x 3-6, sodo, ingr o s s a t o, panciuto alla<br />

base, poi cilindri c o, ri c o p e rto da una reticolatura<br />

pallida a piccole ve n e, più colorata nel fungo adulto.<br />

Porcino (Foto 58)<br />

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Carne: odore e sapore gradevole, bianca, soda, non colorata sotto le cubicole del cappello.<br />

Spore: bruno oliva, fusiformi 12-16 x 4-5 micron.<br />

Cresce in boschi misti e latifoglie tra maggio e ottobre.<br />

Commestibilità: eccellente.<br />

AMANITA CAESAREA (SCOP. FR.) PERSOON – OVOLO BUONO<br />

denominazione scientifica: Amanita Caesarea (Scop. Fr.) Persoon<br />

denominazione italiana: Ovolo Buono<br />

denominazione bresciana: Ros<br />

Il nome deriva da Amanita (fungo) Caesarea (di<br />

Cesare, per la particolare bontà). E’ un fungo<br />

simbionte.<br />

Cappello: da 20-80 centimetri, carnoso, dapprima<br />

chiuso in un involucro bianco come un uovo,<br />

poi quasi sferico, successivamente ovoidale ed<br />

infine aperto, di colore arancione vivo. Margine<br />

regolare, ma con orlo solcato in corrispondenza<br />

delle lamelle, la cuticola è leggermente viscosa,<br />

facilmente staccabile dal cappello.<br />

Lamelle:libere, molto fitte alte, larghe un po’ventricose,<br />

con lamellule giallo dorato.<br />

Gambo: cm.8-15 x 2-3, carnoso, ingrossato alla<br />

base, finemente lanuginoso, cotonoso di un bel<br />

Ovolo buono (Foto 59)<br />

colore giallo dorato prima, poi fustoloso, ricoperto<br />

alla base da una volva molto ampia e sviluppata,<br />

di colore bianco.<br />

Anello: ampio, cascante, membranaceo, lungamente e fittamente alzato, color giallo.<br />

Carne: compatta, più fibrosa nel gambo, bianca gialla sotto le tubicole del cappello, di sapore<br />

gradevole e odore quasi nullo.<br />

Spore: bianche e leggermente gialle, ellittiche ovoidali 6-14 x 6-7 micron.<br />

Cresce in boschi cedui, sotto i cespugli e le querce nel periodo estivo, predilige zone calde e<br />

secche.<br />

Commestibilità: eccellente, soprattutto crudo.<br />

AMANITA PHALLOIDES (VAILL: FR.) LINK – TIGNOSA VERDOGNOLA<br />

denominazione scientifica: Amanita Phalloides (Vaill: Fr.) Link<br />

denominazione italiana: Tignosa Verdognola<br />

denominazione bresciana: Boler de la saèta<br />

Il nome deriva da Amanita (fungo) phalloides (a forma di fallo). E’ un fungo simbionte.<br />

Cappello: da 4-15 cm, dapprima emisferico-ovoidale, poi spianato, viscoso con l’umidità, generalmente<br />

di colore olivastro, o verde giallastro, biancastro, percorso radialmente da minutissime<br />

fibrille, orlo liscio.<br />

Lamelle: libere, nettamente staccate dal gambo, fitte ineguali, larghe, arrotondate, bianche o<br />

con riflessi verdastri.<br />

Gambo: cm.7-12 x 1-2, cilindrico, ingrossato alla base, bulboso, attenuato verso l’alto, dapprima<br />

pieno poi farcito, midolloso, biancastro, decorato da bande cangianti, sericee a zig-zag giallo<br />

olivastre.Volva ampia a sacco semilibera membranacea bianca.


Anello: collocato molto in alto, cascante a gonnellino,<br />

quasi liscio o leggermente striato, sottile<br />

e bianco.<br />

Carne: bianca, prima soda poi molliccia, leggermente<br />

sfumata di verdastro sotto la cuticola del<br />

cappello, un po’maleodorante. Sapore quasi nullo<br />

un po’ acidulo.<br />

Spore: bianche, sub-globose, ellissoidali, 8-11 x<br />

7-9 micron.<br />

Cresce sotto le latifo g l i e, in particolare noccioli, castagni<br />

e querce nel periodo estivo - a u t u n n a l e.<br />

Commestibilità: velenoso mortale, danneggia<br />

spesso irreversibilmente il fegato, causando<br />

in molti casi la morte.<br />

ARMILLARIA MELLEA (UQHL: FR.) KUMMER – CHIODINO<br />

denominazione scientifica: Armillaria Mellea (Uqhl: Fr.) Kummer<br />

denominazione italiana: Chiodino<br />

denominazione bresciana: Ciodèl<br />

Tignosa verdognola (Foto 58)<br />

Il nome deriva da armillaria (per il nome del tipo di anello di cui è fornito questo fungo) mellea<br />

(color del miele). E’ un fungo saprofita.<br />

Cappello:da 4-7 centimetri, abbastanza carnoso, prima emisferico e conico, quasi sempre leggermente<br />

umbovato, poi convesso o più o meno aperto, di color giallo miele di intensità diverse,<br />

bruno grigioverdastro, o bruno fulvo, segnato da fiocchi scagliosi eretti, meno intensi al margine,<br />

leggermente ondulato alla fine.<br />

Lamelle:non molto fitte, ineguali, poco larghe, adnate, lungamente decorrenti per un dentino e<br />

per la striatura sul gambo, biancastre, giallo brunastre ed infine macchiate, maculate di bruno<br />

rossastro.<br />

Gambo:cm.6-12 x 1-2, cilindrico o ingrossato alla base, dapprima tenace fibroso, legnoso, poi<br />

cavo e farcito, sempre più chiaro dal basso verso l’alto, fioccosità disordinata al di sotto dell’anello,<br />

striato sopra, per la decorrenza delle lamelle.<br />

Anello persistente e grosso, striato sopra, bianco fiocoso sotto.<br />

Carne: biancastra, soda coriacea nel gambo odore fungineo sapore amarognolo.<br />

Cresce a cespi, parassita sul legno degli alberi di diverse specie di latifoglie nel periodo autunnale.<br />

Commestibilità: buono dopo la cottura, da non consumarsi crudo.<br />

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RARITÀ<br />

CAPPARIS SPINOSA - CAPPERO<br />

denominazione scientifica: Capparis Spinosa - famiglia Capparidaceae<br />

denominazione italiana: Cappero<br />

denominazione bresciana: Cappero<br />

Arbusto basso prostrato spinoso. Specie Eu -<br />

roasiatica (sub-tropicale) presente su tutto il<br />

territorio in zone di clima mediterraneo, su rupi<br />

marittime e muri da 0 a 1000 metri. Rami<br />

ascendenti lisci con spine. Foglie con picciolo<br />

3-10 mm, ovali sub-rotonde carnose glauche.<br />

Fioritura maggio luglio. Fiori bianchi con stami<br />

violetti, sono di breve durata. I grandi frutti<br />

scoppiano liberando dei semi di color porpora<br />

lucenti. I boccioli commestibili (capperi) vengono<br />

utilizzati come alimento aromatico, si<br />

conservano sotto sale o in salamoia.<br />

Questa specie tipicamente mediterranea non<br />

sopporterebbe le temperature rigide che ca-<br />

Fiore di cappero (Foto 61)<br />

ratterizzano la nostra stagione invernale, ma<br />

la profonda ed ampia insenatura ad anfiteatro, che caratterizza il versante sud della collina<br />

della Santissima, risulta riparata dai freddi venti di tramontana e ciò favorisce un microclima<br />

particolarmente mite nel periodo invernale, (unico a <strong>Gussago</strong> e zone limitrofe)<br />

che consente la sopravvivenza di alcuni arbusti di questa bellissima pianta che crescono<br />

nel muro di sostegno del “Taglietto”.<br />

CISTUS SALVIFOLIUS - CISTO FEMMINA<br />

denominazione scientifica: Cistus salvifolius - famiglia Cistaceae<br />

denominazione italiana: Cisto femmina, Scornabecco<br />

denominazione bresciana: Cisto<br />

E’ una pianta aromatica sempreverde, cespugliosa,<br />

alta sino a 2,5 mt. Cresce in leccete, macchie, garighe,<br />

su terreno silicioso. Specie Steno Mediterranea,<br />

è presente su tutto il territorio italiano eccetto il Trentino.<br />

Fusto e rami color verde grigiastro con abbondanti<br />

peli stellati. Foglie morbide rugose simili a quelle<br />

della salvia, color grigio-verde, leggermente più<br />

chiare nella lamina inferiore, con nervatura pennata.<br />

Forma ovale ellittica con picciuolo di 2-4 mm. Fiori<br />

bianchi con cinque petali, sepali 6-7 con peduncolo di<br />

3-10 cm.Pianta rara nell’ovest Bresciano (localizzata<br />

in Franciacorta). Fioritura da aprile - maggio.<br />

A <strong>Gussago</strong> abbiamo una bella stazione sulla collina<br />

che dalla loc. Tesa di sopra degrada verso Mirabella.<br />

Questa stazione è stata segnalata, anni or sono, dal<br />

botanico Marchina Ermanno. Cisto femmina (Foto 62)


QUERCUS CRENATA<br />

denominazione scientifica: Quercus Crenata - famiglia Fagaceae<br />

denominazione italiana: Quercia crenata<br />

denominazione bresciana: Ruer verdò<br />

I b rido prodotto dall’incrocio delle<br />

specie Quercus Cerris (cerro) e<br />

Quercus Suber (quercia da sughero)<br />

Possiamo ammirare un bell’esemplare<br />

di questa specie rarissima in<br />

località Pianone a metà strada tra<br />

Quarone e Sella dell’Oca. Alto circa<br />

22 mt e con un palco largo 12 mt tagliato<br />

a ventaglio in quanto forma<br />

l’impianto arboreo di un appostamento<br />

di caccia, ha un tronco possente<br />

che a 1 metro da terra misura<br />

una circonferenza di 310 cm. Lo<br />

spessore della corteccia sugherosa<br />

è di 5-6 cm e si presenta con profonde<br />

solcature verticali. La foglia ha<br />

caratteristiche intermedie tra le due<br />

specie che originano questo ibrido<br />

particolare, lunghe 7-11 cm ellittiche<br />

oblunghe appuntite, seghettate con<br />

5-7 punte, leggermente pubescenti.<br />

Dotate di 6-7 nervature per lato, durante<br />

il periodo invernale sono verdi<br />

e secche a metà. Fioritura Aprile-<br />

Maggio. Produce pochissime ghiande<br />

che difficilmente raggiungono la<br />

maturazione completa.<br />

Quercia crenata (Foto 63)<br />

89


90<br />

DIZIONARIETTO<br />

achenio = frutto secco, con un solo seme, che a maturità non si apre naturalmente<br />

adduggiamento = condizione di una pianta sovrastata dall’ombra prodotta da altre piante più alte<br />

allignare = crescere, svilupparsi, diffondersi<br />

amenti = spiga di fiori sessili unisessuali<br />

a re a l e = territorio comprendente tutte le località dove una specie o un genere cresce allo stato nat<br />

u r a l e.<br />

bosco misto = formato da più specie<br />

bosco puro = formato da una sola specie<br />

caduca = che cade in autunno (foglia)<br />

caducifogli = piante legnose che perdono le foglie (in autunno)<br />

ceduo = bosco o pianta soggetti a taglio periodico<br />

corimbi = infiorescenza con i peduncoli inseriti in punti diversi dall’asse principale, tanto più<br />

brevi quanto si avvicinano all’apice<br />

depresso = organo schiacciato<br />

drupa = frutto carnoso munito di nocciolo<br />

edafico-pedologiche = rapporto fra le piante e il substrato<br />

follicolo = frutto secco che a maturità si apre naturalmente fessurizzandosi longitudinalmente<br />

fustaia = bosco costituito da piante d’alto fusto provenienti da seme<br />

glabro = totalmente privo di peli<br />

glanuloso o glandoloso = organo provvisto di glandole nelle quali ha luogo una secrezione<br />

glauco = di colore verde - azzurognolo<br />

lenticella = piccola escrescenza sporgente sotto la corteccia<br />

lenticolare = che ha forma discoidale e biconvessa (es. seme di lenticchia)<br />

longitudinale = sviluppo in altezza delle piante<br />

mesofila = riferito a pianta che predilige ambienti né troppo umidi né troppo secchi<br />

obovato = organo a contorno ovale, ma con la parte più larga opposta a quella su cui è inserito<br />

pubescente = organo ricoperto di peli corti minuti, morbidi<br />

pruina = rivestimento ceroso biancastro proprio delle prugne<br />

scapo = fusto radicale, portante fiori<br />

sessile = organo privo di picciolo e peduncolo<br />

soro = insieme di sporangi<br />

speci frugali = che si adattano a terreni poco fertili<br />

sporangi = involucro membranoso che contiene le spore<br />

stazione = zona, località, ambiente climatico<br />

strobili = come cono, è l’asse allungato che nelle conifere reca gli organi maschili e femminili<br />

termofila = pianta che vegeta in condizioni di temperatura elevata - legata al clima più caldo<br />

termo-xerofili = dei climi caldo-asciutti<br />

terreno acido = ricco di sostanze acide<br />

terreni limosi = sciolti ma fertili, con un po’di limo o argilla (come quello del Nilo)<br />

terreni sciolti = poco compatti come quelli sabbiosi.<br />

xerico = ambiente caratterizzato da suoli secchi e da scarsa umidità atmosferica dove vivono<br />

piante delle “xerofile”<br />

xerofila = pianta che predilige ambiente xerico<br />

valve = pareti esterne dei frutti secchi che si aprono più o meno profondamente a maturità<br />

verticillo = gruppo di almeno tre organi inseriti su un’asse comune nello stesso punto


FAUNA<br />

ASPETTI GENERALI<br />

Nell’ambito del territorio Gussaghese vi sono ambienti che favoriscono la presenza di una<br />

fauna variegata composta da un buon numero di specie.<br />

Numerosi sono gli uccelli che nidificano in loco quali: il merlo, la ghiandaia, l’averla minore,<br />

l’averla capirossa, il fringuello, la capinera, il cardellino, la cornacchia grigia, il gheppio,<br />

l’alloco, il cucolo, l’usignolo, la tortora, il rigogolo, l’upupa; nonché la presenza di uccelli<br />

stanziali come il fagiano e la starna. Durante il periodo migratorio vi si soffermano: il<br />

prispolone, il tordo bottaccio, il tordo sassello, la cesena, la tordela, il pettirosso, la balia nera,<br />

la passera scopaiola, il lui, il regolo, il saltimpalo, lo stiaccino, il fanello, lo scricchiolo,<br />

il lucarino, le cincie, il frosone, la peppola, gli zigoli, la beccaccia, il codirosso, il beccafico,<br />

il crociere, il colombaccio, ecc. Inoltre negli ultimi anni sono divenuti più frequenti gli avvistamenti<br />

di poiane e falchi.<br />

Tra i mammiferi sono presenti; la volpe, la faina, la martora, la donnola, il riccio, il ghiro,<br />

il nocciolino, le arvicole, la talpa, la lepre (la cui presenza è assicurata dai periodici lanci<br />

di ripopolamento), il cinghiale, ed in casi eccezionali anche il capriolo, ecc.<br />

Non mancano i rettili più comuni come la vipera aspide, il biacco, il saettone, il colubro<br />

d’esculapio, la biscia d’acqua dal collare, la coronella austriaca, l’orbettino, il ramarro ed<br />

altre lucertole più diffuse; gli anfibi, quali: rane, rospi, la salamandra pezzata, la salamandra<br />

nera, alcuni tritoni; i molluschi, come: la chiocciola comune, la cepea dei boschi, le lim<br />

a c c e .<br />

Il gambero d’acqua dolce è ancora presente in alcuni corsi d’acqua .<br />

Tra la fauna minore, assai abbondante, non poche sono le specie di insetti rari o particolarmente<br />

attraenti : coleotteri, ragni, libellule, farfalle, cimici, vespe, cavallette, ecc.<br />

Nel presente capitolo vengono descritte alcune delle specie sopra elencate. A differenza<br />

delle piante, gli animali del bosco il più delle volte risultano molto difficili da osservare, essi<br />

concedono solo rare e casuali apparizioni. Tuttavia è facile trovare resti e tracce che segnalano<br />

la loro presenza.<br />

91


ALLODOLA (ALAUDA ARVENSIS)<br />

Ordine: Passeriformi<br />

Famiglia: Alaudidi<br />

Nome dialettale: Sàrlóda<br />

92<br />

UCCELLI<br />

Principale rappresentante della famiglia degli alaudidi,<br />

uccello di medie dimensioni del peso di 30/40 grammi,<br />

colonizza i terreni asciutti, ghiaiosi e sabbiosi, rifugge<br />

quelli umidi e irrigui;nidifica per terra, costruendo il nido<br />

in un avvallamento del terreno, fa due o tre nidificazioni<br />

nel corso della stagione deponendo 4 o 5 uova<br />

per volta, la cova dura 12 giorni. Solo piccolissimi<br />

particolari permettono la distinzione dei due sessi: il<br />

maschio esplica il suo canto melodioso volando alto nel<br />

cielo, il colore delle sue piume è molto mimetico, la parte<br />

superiore è marrone chiaro screziato e imita alla perfezione<br />

la terra smossa, la parte inferiore del corpo è<br />

quasi bianca, le zampe sono lunghe, da uccello terricolo<br />

( non lo si vedrà mai appoggiato sui rami di un albero).Le<br />

ali sono di buona estensione, da grande volatore.<br />

AVERLA CAPIROSSA (LANIUS SENATOR)<br />

Ordine: Passeriformi<br />

Famiglia: Lanidi<br />

Nome dialettale: Gazarèt - Engànol<br />

Allodola (Foto 64)<br />

Giunge a <strong>Gussago</strong> quando la vegetazione è nel suo<br />

massimo splendore, agli inizi di maggio, dopo ave r<br />

s ve rnato in Afri c a . È uccello di piccole dimensioni un<br />

p o ’ più grosso del passero domestico, deve il suo nome<br />

alla colorazione color porpora della testa e del dorso<br />

nell’esemplare masch i o che ha il petto bianco, ali<br />

e coda bianche e nere;la femmina invece ha colori più<br />

mimetici, marrone chiaro screziato di bianco. È consid<br />

e rato uccello predatore per il suo becco simile a quello<br />

dei rapaci, ma molto probabilmente la nostra ave rl a<br />

è solamente i n s e t t i vo r a. Fa coincidere le n i d i f i c a z i on<br />

i , due all’anno, con lo sfalcio dei prati per avere magg<br />

i o ri possibilità di reperire insetti, costruisce il nido qua-<br />

Averla Capirossa (Foto 65)<br />

si esclusivamente nei vigneti, all’incrocio dei tralci delle<br />

viti; i giovani dell’anno hanno i colori della fe m m i n a . È uccello a r b o r i c o l o, frequenta le siepi,<br />

le alberature di confine dei terreni, piccoli boschetti e i vigneti. Il numero dei soggetti nidificanti<br />

nelle nostre zone è purtroppo in fo rte diminu z i o n e, a causa di un’anomala predazione dei nidi<br />

da parte delle corn a c c h i e, che in questi ultimi anni sono aumentate a dismisura, e a seguito dell’uso<br />

di insetticidi nei vigneti. È uccello abbastanza timido e schivo non sopporta di essere dis<br />

t u r b a t o, è forse l’unico uccello assieme al rigogolo che non frequenta luoghi urbani.


Nemici naturali: Gufi, civette e corvidi.<br />

Dove osservarlo: nidifica nei vigneti a lato del percorso ciclabile, quindi è visibile, nella sua<br />

livrea nuziale, nei mesi estivi posato sulla sommità di qualche tutore, dalla quale controlla il<br />

suo territorio.<br />

BALIA NERA (MUSCICAPA HYPOLEUCA)<br />

Ordine: Passeriformi<br />

Famiglia: Muscicapidi<br />

Nome dialettale: Alì - Alèt<br />

Verso la metà del mese di agosto, dopo i primi temporali che rinfrescano il clima estivo, giungono<br />

da noi i primi esemplari di balia nera, è il primo segnale che l’estate sta finendo, la sua<br />

migrazione durerà fino alla fine di settembre, compiendo nella prima decade di questo mese<br />

una vera e propria invasione dei nostri territori:ogni siepe, giardino, vigna, castagneto, filare di<br />

pioppi ne è popolato. Uccello di piccole dimensioni, pesa circa 15 grammi, è prettamente insettivoro,<br />

frequenta tutti gli ambienti, non è difficile osservarlo catturare insetti in volo.<br />

Durante il passo autunnale è impossibile distinguere il maschio dalla femmina, hanno piumaggio<br />

simile, in primavera, durante il ripasso, il maschio porta la veste nuziale, le sue penne<br />

che in autunno erano grigio oliva diventano di un nero brillante, le parti che erano grigio chiaro<br />

diventano di un bianco candido.<br />

Alcuni esemplari sono ancora da noi alla metà di maggio, le nidificazioni sulle alpi sono rarissime,<br />

fa un’unica nidificazione deponendo 4 o 6 uova, già alla fine di luglio comincia a lasciare<br />

i quartieri di nidificazione per spostarsi verso il sud.<br />

Specie affine e nidificante da noi è il pigliamosche, quasi identico alla balia nera ha colori meno<br />

appariscenti e tendenti al grigio, in dialetto viene chiamato griset, nidifica prevalentemente<br />

nei vigneti, il suo nome latino è muscicapa albicollis, non è difficile osservarlo in estate posato<br />

sui fili di sostegno delle viti.<br />

BECCACCIA (SCOLAPAX RUSTICOLA)<br />

Ordine : Caradriformi<br />

Famiglia: Scolopacidi<br />

Nome dialettale: Àrsia o Àrsa<br />

Uccello di grosse dimensioni che può raggiungere i<br />

450 grammi di peso, è il maggiore rappresentante della<br />

famiglia degli scolopacidi. E’ dotato di un mimetismo<br />

quasi perfetto nell’ambiente autunnale – invernale:<br />

il colore del suo piumaggio è un misto di marrone,<br />

nero, ocra e bianco con barrature longitudinali e trasversali,<br />

chiare e scure.<br />

Mangia sia di giorno che di notte, possiede organi di<br />

senso acutissimi e un becco lungo fino a 70 millimetri,<br />

dotato in punta di sensori che gli permettono di cogliere<br />

la presenza, nel terreno o sotto le foglie, di lom -<br />

brichi o piccoli insetti.Si nutre quasi esclusivamente di<br />

Beccaccia (Foto 66)<br />

lombrichi che strappa dal terreno col suo lungo becco<br />

e di qualche insetto che ricerca rovistando tra le foglie<br />

cadute. Durante il giorno frequenta quasi esclusivamente il bosco che abbandona la sera,<br />

pochi minuti prima del buio, per recarsi in spazi più aperti dove passa la notte alla ricerca di<br />

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94<br />

lombrichi e forse anche per riposare; all’alba, seguendo lo stesso itinerario della sera precedente,<br />

ritorna nel bosco.<br />

In questo modo sembra sfuggire ai suoi nemici naturali quali il gufo reale. Per evitare la predazione<br />

dei rapaci diurni che cacciano in volo, compie le sue migrazioni, verso il Nord Africa,<br />

di notte orientandosi con la luna o le stelle. Non nidifica nel comune di <strong>Gussago</strong> dove giunge<br />

durante il passo autunnale nel periodo ottobre - novembre, alcuni individui riescono ad eludere<br />

cani e cacciatori e riescono persino a svernare sui versanti più soleggiati delle nostre colline.<br />

Essendo la sua alimentazione legata al lombrico, teme e rifugge le forti gelate che induriscono<br />

il terreno e rendono inservibile il suo lungo becco. È uccello solitario e solo in primavera<br />

all’epoca della risalita verso le aree di nidificazione lo si può osservare in coppia.<br />

Nemici naturali: il gufo reale, l’astore e lo sparviero.<br />

Dove osservarla: sul percorso ciclabile nella parte nord della collina della Santissima la si<br />

può vedere in volo al mattino prestissimo o alla sera all’imbrunire nei mesi di ottobre, novembre,<br />

febbraio e marzo.<br />

CARDELLINO (CARDUELIS CARDUELIS)<br />

Ordine: Passeriformi<br />

Famiglia: Fringillidi<br />

Nome dialettale: Raarì<br />

Principale rappresentante del gruppo carduelis, il cardellino<br />

è uno degli uccelli più diffusi sul territorio italiano.<br />

Quasi esclusivamente granivoro, deve il suo nome<br />

all’abitudine di cibarsi dei semi dei cardi. E’ uccello<br />

di piccole dimensioni dal piumaggio molto colorato:<br />

giallo, rosso, nero, marrone e bianco fanno parte<br />

della sua livrea; maschio e femmina sono simili, il<br />

maschio ha la macchia rossa della faccia più estesa.<br />

Nidifica da noi costruendo il nido anche sulle conifere<br />

dei nostri giardini, due nidificazioni annue, finito il<br />

periodo della riproduzione diventa fortemente gregario,<br />

sempre alla ricerca di cibo. Ultimante, grazie alla<br />

diffusione della coltivazione del girasole, anche da noi<br />

Cardellino (Foto 67)<br />

ha trovato una fonte di cibo non indifferente e assieme<br />

al cugino verdone (carduelis cloris) crea non pochi problemi a questo genere di coltura.In mancanza<br />

del girasole va alla ricerca dei prati stabili dove abbonda la centaurea pratensis per cibarsi<br />

dei suoi semi. E’ un uccello solare che ama gli spazi aperti i terreni asciutti e preferibilmente<br />

incolti, durante l’inverno frequenta volentieri i versanti soleggiati delle nostre colline.<br />

Altro parente stretto del cardellino che ha preso a colonizzare il nostro ambiente di pianura e<br />

della collina è il verzellino (serinus serinus), sconosciuto da noi fino a non molti anni fa, uccello<br />

di piccolissime dimensioni somigliante al lucherino (carduelis spinus), ha abitudini molto<br />

simili a quelle del cardellino:nidifica nei vigneti e frequenta gli stessi ambienti nutrendosi delle<br />

stesse essenze.


CODIROSSO (PHOENICURUS PHOENICURUS)<br />

Ordine: Passeriformi<br />

Famiglia: Turdidi<br />

Nome dialettale: Cua rossa, Carosì<br />

Uccelletto molto simpatico che frequenta i nostri giardini<br />

e i nostri orti, è uccello che non sverna a <strong>Gussago</strong><br />

dove però arriva alla fine di aprile per nidificare:<br />

luoghi prediletti sono i buchi dei vecchi muri.Il maschio<br />

in estate ha colori molto vivaci, coda rossa, gola nera<br />

e testa bianca, groppone grigio azzurro, petto rossiccio<br />

e pancia chiara, la femmina invece ha colori più mimetici,<br />

tendenti al marrone chiaro, la coda è comunque<br />

rossa; i giovani avranno i colori della femmina.<br />

Uccello prettamente insettivoro, frequenta i giardini<br />

appena sfalciati, oppure perlustra gli alberi alla ricerca<br />

di insetti; nella nostra campagna è quasi assente,<br />

qualche esemplare nidifica nei muri a secco della col-<br />

Codirosso (Foto 68)<br />

lina. Nel mese di settembre i nostri ospiti ci lasciano,<br />

nella campagna compaiono esemplari che stanno compiendo la migrazione che li porterà in<br />

Africa per svernare.<br />

Ai primi di novembre nella nostra campagna arriva però un codirosso meno freddoloso:è il codirosso<br />

spazzacamino, il suo nome scientifico è Phoenicurus ochruros, è di colore nero fumo<br />

salvo la solita coda rossa; nidifica sulla montagna ad altitudini anche elevate, lo si può osservare<br />

nei pascoli alpini sulla sommità di qualche pietra, fa il nido nelle baite o nei fienili di<br />

montagna.<br />

COLOMBACCIO (COLUMBA PALUMBUS)<br />

Ordine: Columbiformi<br />

Famiglia: Columbidi<br />

Nome dialettale: Colombáss<br />

Da qualche anno a questa parte una piccola colonia di<br />

colombacci si è insediata a ridosso dell’abitato della frazione<br />

Sale, probabilmente nidificano sui grandi alberi delle<br />

ville padronali presenti nella zona.Non sono molti, una<br />

decina, ma contribuiscono a dare un tocco di classe alla<br />

nostra fauna. Il colombaccio è uccello molto bello ed elegante,<br />

ha il piumaggio color grigio azzurro con tonalità rosa,<br />

collarino bianco e l’inconfondibile spettro alare bianco<br />

che lo distingue dai piccioni domestici.È uccello di grosse<br />

dimensioni, grande volatore, ha apertura alare di 70<br />

cm e lunghezza del corpo di 40 cm può pesare otre 500<br />

grammi. Si nutre prevalentemente di granaglie, il suo<br />

piatto forte dovrebbe essere il frutto delle querce, la<br />

ghianda, ma ultimamente ha preferito optare per grano-<br />

Colombaccio (Foto 69)<br />

turco e girasole. Non è difficile vederlo in estate posato a<br />

terra a beccare i germogli di qualche tenera erba, è il momento migliore per poterlo osservare<br />

con l’ausilio di un buon binocolo perché è sempre molto diffidente e non è facile avvicinarlo.<br />

Non passa l’inverno nelle nostre zone, teme il freddo intenso, negli ultimi anni però alcune<br />

popolazioni di colombacci nord europei hanno acquisito l’abitudine di svernare nella Pianura<br />

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Padana. Durante la migrazione è fortemente gregario, non è difficile vedere, nelle mattine di<br />

ottobre sulle rotte di migrazione che da noi vanno da est verso ovest, numerosi stormi composti<br />

da qualche decina di individui. Pare che le variazioni climatiche degli ultimi anni abbiano ritardato<br />

il periodo di passo di questi uccelli, un tempo era la prima decade di ottobre il periodo<br />

di punta, ora non è difficile vederne anche alla fine di ottobre, in notevole quantità.<br />

Un altro columbide è arrivato in tempi recenti: è la tortora dal collare orientale; i primi<br />

esemplari si sono visti a <strong>Gussago</strong> una ventina di anni fa, quasi in sordina hanno colonizzato<br />

i giardini delle nostre abitazioni nidificando su pini e cedri del libano. Non è difficile vedere<br />

questa tortora appollaiata sulle antenne televisive, per alimentarsi si reca nella campagna,<br />

ma molto spesso ruba il becchime a polli e galline. Assieme ai passeri, ai colombacci, ai cardellini,<br />

ai verzellini, ai verdoni fa combutta per saccheggiare le coltivazioni di girasole; fortunatamente<br />

quasi tutte le coltivazioni di girasole da noi sono a perdere, pagate ai contadini<br />

con i soldi dei cacciatori per foraggiare la selvaggina.<br />

A <strong>Gussago</strong> nidifica un’altra tortora, quella detta comunemente africana, quella del collare ha<br />

origini asiatiche. La tortora africana ( streptopelia turtur) è animale solare ed estivo, rifugge<br />

freddo ed umidità, arriva assieme agli altri uccelli estivi ai primi di maggio, contrariamente<br />

all’altra tortora questa è rimasta selvatica, raramente si introduce nell’abitato; nidifica<br />

sugli alti alberi della campagna, pioppi o robinie; è specie in forte regresso numerico nonostante<br />

le abbondanti disponibilità alimentari, forse non riesce a difendere i nidacei dalla predazione<br />

da parte delle cornacchie.<br />

CORNACCHIA GRIGIA (CORVUS CORONE CORNIX)<br />

Ordine: Passeriforni<br />

Famiglia: Corvidi<br />

Nome dialettale: Cornácia, Gróla<br />

Fino ad una ventina di anni fa era quasi impossibile vedere nella campagna gussaghese un<br />

esemplare di cornacchia grigia o una gazza ladra, oggi invece sono centinaia gli esemplari di<br />

cornacchia grigia che popolano il nostro territorio, quasi esclusivamente in pianura;alla sera si<br />

radunano e volano verso il monte Pi Castello nel Comune di Brescia dove passano la notte.<br />

È specie nidificante nel nostro Comune, costruisce il nido fatto di un intreccio di rametti secchi<br />

sui rami più alti dei pioppi, ma alcune coppie sono stanziate nei parchi urbani e nidificano sui<br />

cedri del Libano.<br />

È specie onnivora, gregaria e dotata di notevole intelligenza, dannosa per tutte le specie di<br />

piccoli uccelli, uno dei suoi passatempi preferiti è la ricerca e il saccheggio dei nidi di merli, fringuelli,<br />

cardellini, verdoni, tortore, averle; sono state viste predare piccoli di lepre, ghiri, piccoli<br />

di fagiano e starna, sono una vera calamità. Unica loro attività utile all’uomo è la predazione<br />

dei piccoli roditori che popolano i prati, arvicole e toporagni.Con grande destrezza individua<br />

i filari del granoturco appena seminato o già germogliato, beccandone a dismisura, con grande<br />

disappunto degli agricoltori. In estate è possibile osservare le cornacchie intente a sfogliare<br />

le pannocchie del granoturco ormai vicino alla maturazione e beccarne i teneri semi;hanno<br />

anche acquisito l’abitudine di forare col loro forte becco gli involucri di plastica delle balle di fieno<br />

che si vedono allineate nei campi, provocando la putrefazione del contenuto perché viene<br />

a mancare la tenuta stagna. Non si conosce il motivo di questo comportamento, forse è solo<br />

curiosità di voler capire cosa c’è in quei contenitori, allineati nei campi, dal vago odore caramellato.<br />

In autunno si cibano prevalentemente del granoturco che rimane sul terreno dopo il raccolto, è<br />

forse l’unica stagione in cui non fanno danni, hanno anche imparato a cibarsi delle noci, che<br />

rompono battendole su di una pietra o sulla sommità di qualche grosso tutore delle viti.


Ne è consentita la caccia, ma non sono facili prede. In natura non ha praticamente nemici,<br />

nemmeno i falchi più grossi azzardano un attacco, verrebbero assaliti dall’intero gruppo, anzi<br />

non è difficile vedere nel cielo un falco o una poiana che vengono attaccati e cacciati da un<br />

gruppo di cornacchie. Le aumentate disponibilità alimentari (la cornacchia assieme ai gabbiani<br />

è un visitatore abituale delle discariche di rifiuti, ripulisce le strade da tutte le carogne di animali<br />

che vengono schiacciati dalle automobili) e le mutate condizioni ambientali stanno facendo<br />

la fortuna di questa specie, purtroppo a discapito di altre.<br />

PETTIROSSO (ERITHACUS RUBECOLA)<br />

Ordine: Passeriformi<br />

Famiglia: Turdidi<br />

Dialetto: Sbesèt, Salta - martì<br />

Il pettirosso è il più piccolo rappresentante della famiglia<br />

dei turdidi, e dopo il tordo è sicuramente il più numeroso<br />

e conosciuto, la sua consistenza numerica durante<br />

il periodo del passo è inferiore solo a quella di<br />

fringuelli, peppole e lucherini.<br />

Arriva nelle nostre zone già alla fine di settembre e<br />

colonizza tutti gli ambienti dove può trovare un minimo<br />

di riparo e sussistenza, si nutre prevalentemente di<br />

bacche selvatiche, piccoli frutti, insetti e lombrichi.<br />

Uccellino molto territoriale occupa anche orti e giardini,<br />

dove trova cibo in abbondanza.<br />

Da poco tempo, alcune coppie nidificano anche nel<br />

Pettirosso (Foto 70)<br />

territorio di <strong>Gussago</strong>, sicuramente nella valle del<br />

Faido a Navezze e in località Quarone.<br />

Alcuni esemplari svernano nel territorio gussaghese scegliendo i versanti soleggiati delle nostre<br />

colline oppure i giardini delle abitazioni, trovano riparo notturno in fienili o nei buchi di vecchi<br />

muri.È uccello molto curioso che non teme la presenza dell’uomo, anzi se lo incontrate durante<br />

un’escursione nel bosco si fermerà ad osservarvi.<br />

Nemici naturali: tutti i rapaci notturni.<br />

Dove osservarlo: nei mesi autunnali, lungo le fitte siepi che costeggiano il Periplo della Santissima.<br />

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CAPRIOLO (CAPREOLUS CAPREOLUS)<br />

Ordine: Artiodattili<br />

Famiglia: Cervidi<br />

Nome dialettale: Cavriol<br />

98<br />

MAMMIFERI<br />

In tutta l’Italia continentale stiamo assistendo ad una<br />

espansione numerica degli ungulati, favorita dalla<br />

scomparsa dalla collina e dalla montagna delle attività<br />

umane;se da un lato questo porta ad un dissesto<br />

territoriale di non poco conto, dissesto di ordine geologico,<br />

dall’altro si crea una maggiore disponibilità alimentare<br />

e di territorio per tutti gli ungulati.<br />

I primi avvistamenti di capriolo sul nostro territorio risalgono<br />

agli inizi degli anni 80 in località Quarone e<br />

Roccoli; altri avvistamenti si sono succeduti negli anni<br />

in località Tesa di Sopra. Nel novembre del 2001,<br />

dopo una settimana di freddo intenso, alcuni esemplari<br />

sono giunti sulle nostre colline, probabilmente<br />

provenienti dalle falde del Monte Guglielmo;un esemplare<br />

femmina è sceso nell’abitato di Ronco, entrato<br />

nel giardino di un’abitazione:è stato catturato dalla forestale<br />

e liberato in località Roccoli.<br />

Il capriolo, in origine, era animale di pianura o della<br />

Capriolo (Foto 71)<br />

bassa collina, teme il freddo intenso e le forti nevicate;nei<br />

vicini Paesi dell’Est europeo con clima simile al nostro è comunissimo nella pianura anche<br />

coltivata.<br />

CINGHIALE (SUS SCROFA)<br />

Ordine: Artiodattili<br />

Famiglia: Suidi<br />

Nome dialettale: Singhial<br />

Compare quasi improvvisamente sulle nostre colline agli inizi degli anni ’80, probabilmente<br />

qualche esemplare è sconfinato da noi dalla vicina Valle Trompia, dove sembra che alcuni<br />

esemplari fossero fuggiti da un allevamento. Negli anni successivi alcune femmine gravide furono<br />

liberate per ripopolamento, nel giro di pochi anni questo suide ha colonizzato tutte le nostre<br />

colline e montagne, incentivato anche dall’abbandono della collina da parte dell’uomo. Infatti,<br />

i boschi cedui non sono più tagliati, il bosco invecchia e la produzione di castagne e ghiande<br />

aumenta a dismisura fornendo a questi animali riserve di cibo quasi illimitate.<br />

Nelle nostre zone, il cinghiale non ha nessun nemico naturale, solo l’uomo lo caccia per contenerne<br />

il numero: nei mesi estivi l’Amministrazione Provinciale incarica tecnici specializzati<br />

per censire il numero di animali presenti sul territorio, viene usato il metodo del rilievo delle impronte,<br />

in base a questo censimento viene stabilita la quota di animali che deve essere abbattuta<br />

durante la stagione venatoria. La caccia a questo animale si apre il 1° di novembre, viene<br />

effettuata con la tecnica della battuta, con l’ausilio di cani addestrati a stanare questi animali.<br />

Nella nostra zona è operante una sola squadra di cinghialai che può operare entro confini ben<br />

precisi, stabiliti dall’Amministrazione Provinciale, che comprendono i monti dei Comuni di Iseo,


Polaveno, Ome, Monticelli Brusati, Brione, Rodengo Saiano, <strong>Gussago</strong> e Villa Carcina. Nel<br />

2002, in questo territorio è stata censita una popolazione di cinghiali stimata in 350/400 unità,<br />

l’anno prima era stato previsto un piano di abbattimento di 120 unità.<br />

Il cinghiale è il capostipite del maiale comune se si accoppia con esso produce ibridi fecondi,<br />

i nostri cinghiali non brillano per purezza di razza, quasi certamente sono ibridati con qualche<br />

maiale. E’ comunque un animale forte, intelligente, di non facile cattura, sa mettere a dura<br />

prova cani e cacciatori e spesso crea qualche problema all’agricoltura della collina; è animale<br />

onnivoro che si ciba di tutto quanto è commestibile: rovista con il suo potente grugno i prati<br />

alla ricerca dei piccoli tuberi dei crocus e delle orchidee, arrecando notevole danno alla cotica<br />

erbosa; scuote le piante da frutto per far cadere a terra i frutti e cibarsene; patate e granoturco<br />

sono la sua passione.Fortunatamente non è ancora sconfinato nella nostra pianura:la S.P.<br />

19 fa da barriera alle sue scorribande notturne. Il maschio dei nostri cinghiali può superare i<br />

100 kg di peso, il periodo degli amori viene in autunno, dopo una gestazione di circa 120<br />

giorni la femmina partorisce da 4 a 10 piccoli col tipico manto striato longitudinalmente.Vederlo<br />

in attività durante il giorno è quasi impossibile, sta rintanato nei fitti roveti delle nostre valli<br />

più impervie: Val Gandine, Val Volpera, i boschi a nord della Tesa di Sopra; di notte esce per<br />

le sue scorribande. Di giorno, in estate, è possibile vedere la femmina con i piccoli, se molestata<br />

in questa situazione può attaccare anche l’uomo rendendosi pericolosa.<br />

LEPRE COMUNE ( LEPUS EUROPAEUS)<br />

Ordine: Lagomorfi<br />

Famiglia: Leporidi<br />

Nome dialettale: Legòr<br />

La lepre che abita le nostre contrade è la lepre<br />

comune europea. Animale molto ve r s a t ile<br />

in grado di colonizzare tutti gli ambienti fino<br />

a circa 2000 metri, oltre i quali può conv ivere<br />

con la lepre bianca va ri a b i l e. Non teme<br />

il caldo torr i d o, il freddo intenso, la neve alta.<br />

Ha pelo color rosso-marrone, screziato di<br />

n e r o, solo la pancia e la coda sono bianche<br />

mentre la punta delle orecchie, che sono di<br />

n o t evoli dimensioni, è nera . Può essere<br />

scambiata per un coniglio, ma una attenta<br />

o s s e rvazione ri l eva zampe posteri o ri molto<br />

Lepre (Foto 72)<br />

più lunghe, orecchie più grandi, fo rma generale<br />

più snella e slanciata.<br />

La lepre è uno dei pochi animali che non costruisce il nido né cerca una tana, di gior n o<br />

d o rme accovacciata nell’erba alta, fidandosi ciecamente del suo mimetismo. U n ’ a l t ra arma di<br />

d i fesa contro i predatori, che con la lepre non possono competere, è la velocità di fuga c h e<br />

per brevi tratti può raggiungere i 70 km ora ri . Ha abitudini prevalentemente notturn e, è erbivo<br />

ra, si nutre quasi esclusivamente di leguminose, erba medica, tri fo g l i o, ladino e di qualche<br />

piccola ginestra : nei mesi inve rnali può provocare qualche danno all’agri c o l t u ra rosicchiando<br />

la corteccia degli alberi da fru t t o, principalmente meli e peri . La femmina può p a rtorire da 1<br />

a 5 piccoli, 4 o 5 volte all’anno, in pr i m ave ra e in estate, ma sono stati osservati parti anche<br />

in autunno e in inve rn o. Depone i piccoli sul terreno nascondendoli nell’erba, distanziati<br />

l’uno dall’altro di qualche decina di metri, per evitare eventuali predazioni collettive. I piccoli<br />

vengono allattati ogni 6 ore per circa 20-25 giorni, poi diventano autonomi e cominciano a brucare<br />

l’erba.<br />

99


Nemici naturali: la volpe, i gatti inselvatichiti e le cornacchie che ne catturano i piccoli; il<br />

gufo reale che attacca soprattutto individui adulti nel cuore della notte; l’uomo che la caccia<br />

senza tregua con l’ausilio dei cani segugi.<br />

Dove osservarla: date le abitudini notturne non è facile la sua osservazione, ma in primavera<br />

o in estate si può incontrare in pieno giorno una femmina che fa il giro per allattare i suoi<br />

piccoli, per gli spostamenti usa le carrarecce di campagna.<br />

VOLPE (VULPES VULPES)<br />

Ordine: Carnivori<br />

Famiglia: Canidi<br />

Nome dialettale: Volp<br />

100<br />

Presente su tutto il territorio del comune di<br />

<strong>Gussago</strong>, la volpe è l’unico canide selvatico rimasto<br />

nel nord d’Italia.È un predatore dotato<br />

di buone doti fisiche; organi di senso molto<br />

sviluppati e un’intelligenza non comune le<br />

permettono di adattarsi e di avere successo in<br />

qualsiasi ambiente. Ha abitudini prevalentemente<br />

notturne, le sue prede più comuni sono<br />

i toporagni, le arvicole, i topi, piccoli e giovani di<br />

lepre, non rifiuta di cibarsi anche di frutti selvatici<br />

e coltivati, è onnivora come i nostri cani domestici.<br />

Alla fine dell’inverno le femmine hanno il loro<br />

ciclo annuale di calore, in questo periodo i maschi<br />

lottano fra di loro per conquistare una<br />

Volpe (Foto 73)<br />

femmina per l’accoppiamento. Le coppie si<br />

formano da noi il mese di febbraio, dopo 60 giorni di gestazione la femmina partorisce i piccoli,<br />

da uno a sei, all’interno della sua tana migliore. Dopo 40 o 50 giorni di lattazione i piccoli<br />

necessitano di un’alimentazione di origine animale, è in questo periodo che le volpi diventano<br />

delle vere ladre: predano pollai, conigliere, catturano lepri e fagiani.In autunno i giovani sono<br />

già indipendenti e abbandonano il territorio occupato dai loro genitori.Il corpo ha forma affusolata<br />

ed è coperto da una folta pelliccia di colore rossastro, la caratteristica coda è lunga e<br />

folta, le zampe sono di colore scuro o quasi nere in qualche esemplare. La femmina pesa 8-10<br />

kg, il maschio 10-15.<br />

Nel nostro territorio, le tane delle volpi sono localizzate sulle colline, di notte le abbandonano<br />

per cacciare in pianura.<br />

Nemici naturali: nel nostro territorio non ha nemici naturali.<br />

Dove osservarla: pur essendo l’animale più difficile da osservare, la si può a volte incrociare<br />

di notte lungo le stradine di campagna o di collina; la sua presenza è però segnalata dalle<br />

orme particolarmente evidenti sulla neve.


ANFIBI E RETTILI<br />

Queste due classi di vertebrati sono stati i primi a colonizzare in modo più o meno integrale<br />

le terre emerse con una serie di trasformazioni anatomiche e fisiologiche che hanno permesso<br />

loro un buon adattamento. I primi a staccarsi dalle acque e ad invadere la terra sono<br />

stati gli anfibi circa 400 milioni di anni fa (Era Paleozoica), ma non hanno mai ottenuto un<br />

evidente successo evolutivo perché condizionati a ritornare all’acqua per lo sviluppo delle<br />

uova e della larva. I rettili, al contrario, riuscirono in pieno a “conquistare le terre” perché<br />

provvisti di un uovo capace di svilupparsi in ambiente secco e subaereo. Per questo motivo,<br />

dalla fine dell’Era Paleozoica in poi sono stati sempre presenti e nel Mesozoico dettero prova<br />

di grande “abilità” formando un impressionante numero di specie, alcune delle quali<br />

straordinarie e gigantesche come ad esempio i dinosauri.<br />

Tutti questi animali nonostante la loro importanza nella storia dell’evoluzione e nello<br />

studio degli ambienti naturali, trovano pochi estimatori e difensori. Timore ed ignoranza<br />

prevalgono sulla simpatia a tal punto che sono sempre evitati e trattati come esseri viscidi<br />

e nauseanti.<br />

Durante le passeggiate nel territorio comunale si possono incontrare con una certa frequenza<br />

diversi anfibi e rettili che, silenziosi e solitari o qualche volta rumorosi a nascondersi<br />

tra l’erba alta, tendono ad abitare ambienti idonei al loro modo di vita. Gli anfibi preferiscono<br />

l’umidità e si ripararano dalla luce per il costante pericolo della disidratazione che impedirebbe<br />

l’assorbimento dell’ossigeno da parte della pelle. Infatti una certa quantità di questo<br />

gas entra nel circolo sanguigno attraverso l’epidermide. Gli adattamenti acquisiti per evitare<br />

tale inconveniente sono diversi e vanno dalla vita acquatica sino alla vita notturna, oppure<br />

questi animali si infossano in buche più o meno profonde. Tutti comunque in primavera<br />

si ritrovano in rigagnoli, paludi o pozze effimere per l’accoppiamento che porta alla deposizione<br />

di una grande quantità di uova. Gli anfibi in Italia sono di due tipi, quelli senza<br />

coda, cioè rane, rospi e raganelle che appartengono agli anuri, e gli urodeli che mantengono<br />

la coda e sono le salamandre e i tritoni. A livello biologico hanno una forma larvale tipicamente<br />

acquatica (il girino per intenderci) che respira con le branchie e possiede la coda per<br />

meglio muoversi nel mezzo liquido. Con la metamorfosi si sviluppano i polmoni, regrediscono<br />

le branchie e si formano gli arti e nelle rane sparisce la coda. Possono a questo punto<br />

abbandonare l’acqua per la terraferma, continuando a mantenere il contatto con gli stagni solo<br />

sporadicamente.<br />

I rettili attuali sono terrestri, ma condizionati dalla temperatura corporea che non è costante,<br />

hanno bisogno di riscaldare il proprio corpo durante le ore calde della giornata e all’alba<br />

ed al tramonto sono quasi sempre inattivi. In inverno vanno tutti in letargo. Ai rettili<br />

appartengono i sauri, cioè le lucertole dotate di zampe e gli ofidi dal corpo allungato e serpentiforme.<br />

Sono rintracciabili ai margini dei boschi e delle petraie, ma anche in prossimità<br />

di laghetti e pozze d’acqua dove si appostano per catturare anfibi o piccoli mammiferi che<br />

vanno per dissetarsi. Alcuni si possono incontrare negli ambienti urbani specialmente dove<br />

sono presenti anfratti e cataste di legna per nascondersi.<br />

101


RAGANELLA (HYLAARBOREA)<br />

Ordine : Anuri<br />

Famiglia: Ilidi<br />

Nome dialettale: Raganéló<br />

Questa piccola rana si può osser vare sulle foglie larghe degli alberi, da cui raramente scende<br />

a terra.La parte dorsale del corpo è di colore verde mentre la parte ventrale è bianca.Le punte<br />

delle dita sono dotate di piccoli rigonfiamenti adesivi a disco con cui si arrampicano con<br />

estrema facilità sui tronchi e sui rami per catturare gli insetti in volo. Si accoppia in acqua dopo<br />

aver rumorosamente ricercato il partner con rapidi crac,crac,crac.<br />

RANA TEMPORARIA (RANA TEMPORARIA)<br />

Ordine : Anuri<br />

Famiglia: Ranidi<br />

Nome dialettale: Campèr<br />

Nel territorio sono segnalati diversi tipi di rane, le<br />

quali si differenziano dai rospi per avere un corpo<br />

più slanciato e la pelle liscia.Si muovono agilmente<br />

e con ottimi balzi sulla terraferma e sono<br />

abili nuotatrici. Si classificano in rane verdi e rane<br />

rosse. Tra quelle rosse è presente la Rana<br />

Temporaria dal colore di fondo bruno rossastro e<br />

un tipico segno di V rovesciata tra le spalle. Tipicamente<br />

terragnola abita una grande varietà di<br />

ambienti e la si incontra in acqua nei periodi dell’accoppiamento.<br />

ROSPO COMUNE (BUFO BUFO )<br />

Ordine : Anuri<br />

Famiglia: Bufonidi<br />

Nome dialettale: Rapat<br />

102<br />

Rana temporaria (Foto 74)<br />

Altro rospo abbastanza comune si incontra al crepuscolo quando esce dal suo nascondiglio<br />

abituale, costituito da sassi o buche scavate nel terreno. Il corpo di colore bruno o marrone è<br />

ricoperto di ghiandole mucipare e verruche e può raggiungere anche i 20 cm in altezza.


ROSPO SMERALDINO (BUFO VIRIDIS )<br />

Ordine : Anuri<br />

Famiglia: Bufonidi<br />

Nome dialettale: Rapat<br />

Il rospo smeraldino non è il maschio delle rane,<br />

ma una specie a se stante dal corpo tozzo con<br />

piccole verruche ed escrescenze. Quasi sempre<br />

notturno emette dei versi simili a quelli di un grillo<br />

per farsi riconoscere dai propri simili. E’ uno<br />

dei rari casi di anfibi che predilige ambienti secchi,<br />

come i prati e i giardini, dove procede a saltelli<br />

veloci quando viene inseguito. Il maschio (altezza<br />

8 cm) è sempre più piccolo della femmina<br />

che depone una grande quantità di uova. Si nutre<br />

di insetti ed altri invertebrati. Si può incontrare<br />

frequentemente nei nostri giardini.<br />

SALAMANDRA PEZZATA (SALAMANDRA SALAMANDRA)<br />

Ordine: Caudati<br />

Famiglia: Salamandridi<br />

Nome dialettale: Beso cagnò<br />

Questo urodelo è facile da riconoscere. Lungo<br />

circa 25 cm da adulto, si presenta nero lucente<br />

con macchie gialle talvolta allungate e con la<br />

pelle impregnata di abbondante secrezione, irritante<br />

per i predatori. E’ notturno e lo si può incontrare<br />

dopo un’abbondante pioggia o all’imbrunire,<br />

quasi sempre vicino a pozze d’acqua,<br />

dove le femmine partoriscono una trentina di larve<br />

branchiate. In primavera si ritrova un gran numero<br />

di partorienti nelle pozze e nelle vallette<br />

più umide del territorio.<br />

Nelle aree di Quarone, Brione e Polaveno è segnalata<br />

la presenza della più rara salamandra<br />

alpina o nera (Salamandra atra) che si differenzia<br />

per essere completamente nera e di dimensioni<br />

ridotte.<br />

Rospo smeraldino (Foto 75)<br />

Salamandra (Foto 76)<br />

103


LUCERTOLA MURAIOLA (LACERTA- PODARCIS MURALIS)<br />

Ordine : Squamati<br />

Famiglia: Lacertidi<br />

Nome dialettale: Luserta<br />

104<br />

Specie tipicamente arrampicatrice si osserva tra<br />

vecchie muraglie e muri a secco nonché tra cumuli<br />

di pietre e abbarbicata tra la vegetazione<br />

dei dirupi. E’ la più comune lucertola bruna che<br />

si trova nei giardini delle abitazioni e all’interno<br />

dei centri urbani. Molto attiva ed agile, ingaggia<br />

lotte per la padronanza del territorio e durante i<br />

periodi degli accoppiamenti;depone sino ad una<br />

decina di uova 2-3 volte l’anno. Spesso, per difesa,<br />

abbandona la coda che si stacca e che ricresce<br />

nel giro di pochi giorni.<br />

RAMARRO (LACERTA VIRIDIS)<br />

Ordine : Squamati<br />

Famiglia: Lacertidi<br />

Nome dialettale: Lusertù<br />

Il corpo di questo elegante sauro è quasi il doppio<br />

di quello di una lucertola normale dalla quale<br />

si differenzia anche per il colore ve r d e - v i vo ; è<br />

presente in ogni ambiente anche se prefe ri s c e<br />

aree con fitta vegetazione cespugliosa.Il ra m a rro<br />

caccia prevalentemente inve rt e b rati, ma anche<br />

uova e nidiacei di piccoli uccelli. E ’ ov i p a r o<br />

e la femmina può deporre sino ad una ventina di<br />

u ova . Gli accoppiamenti seguono rocambolesche<br />

zuffe tra maschi ed inseguimenti prolungat<br />

i .<br />

ORBETTINO (ANGUIS FRAGILISS)<br />

Ordine : Squamati<br />

Famiglia: Anguidi<br />

Nome dialettale: Hiborgula<br />

Lucertola muraiola (Foto 77)<br />

Ramarro (Foto 78)<br />

Il corpo serpentiforme farebbe credere ad una specie di ofide, invece si tratta di un sauro privo<br />

di arti di cui conserva i rudimenti all’interno. Come le lucertole è dotato di palpebre e di coda<br />

autotomica, capace cioè di amputarsi spontaneamente per difesa. Preferisce gli ambienti<br />

umidi, ma si rinviene dappertutto, disdegnando le ore più calde del giorno. Si muove lentamente<br />

sempre vigile catturando invertebrati di cui è ghiotto.Tende a scaldarsi rimanendo sotto<br />

pietre od oggetti caldi piuttosto che direttamente dal sole. Le femmine partoriscono direttamente<br />

fino ad una ventina di piccoli già attivi sin dall’inizio.


BIACCO MAGGIORE (COLUBER VIRIDIFLAVIS)<br />

Ordine : Squamati<br />

Famiglia: Colubridi<br />

Nome dialettale: Bès bastüner<br />

Serpente slanciato molto attivo, lungo anche sino a due metri, dalla colorazione verde-giallastra<br />

in parte oscurata dalla pigmentazione nera di fondo. Estremamente aggressivo quando è<br />

catturato, morde freneticamente ma non possiede veleno, per cui risulta innocuo. L’alimentazione<br />

è assai varia e comprende nidiacei di uccelli, rane e lucertole non disdegnando piccoli<br />

mammiferi. Aggredisce e si nutre di vipere, essendo immune al loro veleno. Le femmine depongono<br />

una quindicina di uova in primavera. Predilige ambienti secchi e ricchi di vegetazione,<br />

quali margini di bosco, zone cespugliose e boschi aperti.Il biacco maggiore, superati gli ottanta<br />

cm, diventa tutto nero. I piccoli di biacco sono molto comuni negli orti e nei giardini.<br />

BISCIA D’ACQUA DAL COLLARE (NATRIX NATRIX)<br />

Ordine : Squamati<br />

Famiglia: Colubridi<br />

Nome dialettale: Bèso d’acquó<br />

Colorazione da marrone a verde olivastro, ma talvolta anche grigio-nera con il caratteristico collare<br />

scuro; può raggiungere i due metri di lunghezza, specialmente la femmina. Presente in<br />

prossimità di pozze e rigagnoli dove può cacciare in modo molto sicuro, è comune però in tutti<br />

gli ambienti. Abbastanza tranquilla non attacca se disturbata, ma può fischiare ed emettere<br />

gocce di un liquido fetido dalla ghiandola anale, per scoraggiare gli aggressori, e in certi casi<br />

può fingersi morta sino a far uscire gocce di sangue dalla bocca. Gli accoppiamenti avvengono<br />

con un groviglio di maschi ed una sola femmina che depone una cinquantina di uova.La biscia<br />

produce un veleno potente che non può essere inoculato per la mancanza di denti adatti<br />

per l’uso.<br />

SAETTONE (ELAPHE LONGISSIMA )<br />

Ordine : Squamati<br />

Famiglia: Colubridi<br />

Nome dialettale: Andó<br />

Grande serpente che può arrivare sino a due<br />

metri circa di lunghezza, dalla colorazione grigio,<br />

verde-oliva, mattone, abitante di zone aride, soleggiate<br />

ed asciutte. Si arrampica con grande<br />

abilità sugli alberi per predare uccelli e nidiacei<br />

che vengono soffocati tra le spire. E’ il vero serpente<br />

costrittore italiano! Oviparo, le femmine<br />

depongono una quindicina di uova biancastre.<br />

Molto particolari sono i corteggiamenti e gli accoppiamenti<br />

che somigliano a danze con movimenti<br />

ritmati ed eleganti. Il morso, anche se privo<br />

di veleno, può risultare pericoloso in quanto<br />

può trasmettere la rabbia.<br />

Saettone (Foto 79)<br />

105


VIPERA COMUNE (VIPERA ASPIS )<br />

Ordine: Squamati<br />

Famiglia: Viperidi<br />

Nome dialettale: Viperó<br />

106<br />

Piccola, mai superiore ai 70 cm, ha il corpo tozzo<br />

con una coda relativamente corta. Diurna,<br />

può occasionalmente muoversi al buio se il clima<br />

lo permette. Vive ai margini di boscaglie, paludi e<br />

litorali sabbiosi; è stata comunque incontrata un<br />

po’in tutti gli ambienti. Gli accoppiamenti avvengono<br />

in primavera dopo violenti e rumorosi duelli:strano<br />

a dirsi ma il perdente si accoppia prima<br />

del vincitore e nel medesimo punto dove è avvenuta<br />

la lotta prenuziale! Il significato di ciò è tutto<br />

da scoprire. Le femmine verso la fine dell’estate<br />

partoriscono una decina di viperini che si<br />

Vipera comune (Foto 80)<br />

rendono subito autonomi. Lucertole e piccoli<br />

mammiferi sono il pasto quotidiano. Pur evitando<br />

la presenza dell’uomo con una salutare e veloce sparizione, se messa alle strette si dimostra<br />

combattente ed aggressiva: il suo veleno è simile a quello della vipera dal corno (assente nella<br />

nostra area).Risulta meno pericolosa della stessa solo perché inocula intorno ai 5 mg di veleno<br />

mentre la dose letale media per l’uomo e di circa 15 mg.Attenzione a sollevare sassi perché<br />

durante le ore più calde trova riparo tra le pietre.<br />

GAMBERO DI FIUME E ACQUA DOLCE (AUSTROPOTAMOBIUS PALLIPES)<br />

Ordine: Decapodi<br />

Sottordine: Eucaridi<br />

Nome dialettale: Gambér<br />

Crostaceo di color bruno-marrone, con cefalotorace<br />

coperto da una corazza e l’addome suddiviso<br />

in anelli, è dotato di antenne lunghe 4-5 cm.<br />

Lo sviluppo è diretto senza fase larvale. Le uova<br />

restano aggrappate all’addome dell’adulto per il<br />

periodo di incubazione. Con l’aumento corporeo<br />

perdono le placche crostacee e le rimpiazzano<br />

con altre nuove e maggiorate, questo si ripete<br />

per tutta la loro esistenza. Si cibano di carogne:<br />

pesci e altri animali caduti casualmente in acqua,<br />

ma sopratutto di lombrichi acquatici intersecati<br />

tra le radici di crescione e di altre piante acquatiche.Vivono<br />

in acqua sorgiva pulita e corrente.<br />

Molto ricercati per la loro gustosa polpa.<br />

Gambero di fiume e acqua dolce (Foto 81)


INSETTI<br />

COCCINELLA (COCCINELLA SETTEMPUNCTATA)<br />

Ordine: Coleotteri<br />

Famiglia: Coccinellidi<br />

Nome dialettale: Caterina<br />

Coccinella dai sette punti neri variabili per forma<br />

e grandezza, a volte quasi assenti sulle elitre. Le<br />

uova di color giallo vengono deposte sulle foglie,<br />

diventando poi lar ve predatrici dal colore grigioblu<br />

con macchie gialle e nere. Si cibano, come<br />

l’insetto adulto, di afidi distruggendone intere colonie.Terminato<br />

lo sviluppo aderiscono con l’addome<br />

alle foglie, entrando in ninfosi. Si trasformano<br />

così in ninfa, di color arancione con macchie<br />

e striature nere. Dopo circa una settimana<br />

sfarfallano in nuovi adulti, questo per una sola<br />

generazione annua. Gli adulti svernanti hanno<br />

una colorazione giallastra rispetto alla rosso vivo<br />

della generazione estiva. Durante l’inverno que-<br />

Coccinella (Foto 82)<br />

sti insetti sopravvivono in colonie rifugiate sotto<br />

pietre, cortecce e in fessure.<br />

La coccinella dai sette punti neri essendo predatrice di afidi è molto utile e svolge un<br />

ruolo importante nell’economia agricola e forestale.<br />

DORIFORA DELLE PATATE (LEPTINOTARSA DECEMLINEATA)<br />

Ordine: Coleotteri<br />

Famiglia: Crisomelidi<br />

Nome dialettale: Catirina de le patate<br />

E’ un insetto molto comune, difficile a confondere<br />

con altre specie per le 10 striature nere poste<br />

sulle elitre, i gusci che proteggono le ali di colore<br />

giallo oro. Si trova soprattutto sulle piante di<br />

patata, tabacco e stramonio. Depone delle uova<br />

color giallastro, a gruppi e incollate alle foglie.<br />

Nascono poi delle lar ve color rosso vivo con dei<br />

puntini neri al lato dell’addome. Crescono rapidamente<br />

e dopo tre mute assumono una livrea<br />

color arancione. Termina lo sviluppo in ninfosi<br />

sotto terra per due settimane, al fine delle quali<br />

sfarfallano e la nuova farfalla è pronta all’accoppiamento.<br />

Il ciclo di riproduzione si ripete per due<br />

o più volte l’anno.<br />

Dorifora delle patate (Foto 83)<br />

107


RAGNO SPINOSO (HERIAEUS HIRTUS)<br />

Ordine: Araneidi<br />

Famiglia: Tomisidi<br />

Nome dialettale: Ragn<br />

108<br />

Lungo circa 6 mm il maschio e circa 10 mm la<br />

femmina, che come nella maggior parte dei ragni<br />

è più grande del maschio.<br />

Predilige trascorrere il tempo di caccia su vegetali<br />

pelosi, in particolare modo l’erba Viperina<br />

(Echium vulgare) sulla quale si mimetizza benissimo.<br />

Il corpo è color verde brillante con motivi<br />

bianchi, e con un eccezionale sviluppo del sistema<br />

pelifero bianco, dal quale prende in nome di<br />

Hirtus.<br />

Dotato di lunghe e sottili zampe, caratteristica<br />

dei tomisidi, questo ragno non costruisce ragnatele<br />

e caccia con appostamento. Presente un po’<br />

ovunque lo si vede muovere con la caratteristica<br />

andatura a spostamenti laterali.<br />

VANESSA ATALANTA (VANESSA ATALANTA)<br />

Ordine: Lepidotteri<br />

Famiglia: Ninfalidi<br />

Nome dialettale: Farfalò<br />

Questa farfalla ha una diffusione cosmopolita.<br />

Apertura alare 50-60 mm. La pagina superiore<br />

delle ali è color nero di fondo con una fascia rossa<br />

obliqua e delle macchie bianche sulle ali anteriori,<br />

una fascia rosso arancio sul margine posteriore<br />

e dei segni bruni atti a funzione mimetizzante.Posizione<br />

assunta normalmente:con ali<br />

chiuse e all’insù. I bruchi, di color nero con strisce<br />

gialle sulla schiena, si nutrono in gran parte<br />

di ortiche.<br />

Si può osservare nei prati e pascoli oltre che in<br />

orti e giardini dei centri abitati.Presente tutta l’estate<br />

e in autunno con due o tre generazioni annuali.<br />

Ragno spinoso (Foto 84)<br />

Vanessa (Foto 85)


BIBLIOGRAFIA<br />

Arnold-Burton, Guida dei rettili e degli anfibi d’Europa. Padova, Muzzio editore, 1985.<br />

Berruti G., Geologia del territorio bresciano. Itinerari geologici dal pedemontano al passo<br />

del Gavia. Brescia, Grafo, 1981.<br />

Boni A., Cassinis G., Carta geologica delle Prealpi bresciane a Sud dell’Adamello. Note il -<br />

lustrative. Università di Pavia, 1973.<br />

Bosellini A., Le Scienze della Terra. Ferrara, Bovolenta editore, 2000.<br />

Brichetti P., Uccelli a Brescia. Guida all’identificazione dell’avifauna urbana. Brescia, Sin-<br />

tesi, 1989.<br />

Brouwer A., Paleontogia generale. Milano, Mondadori, 1972.<br />

Cetto B., I funghi dal vero. Volume 1. Trento, Saturnia, 1983.<br />

Corbet-Ovenden, Guida ai mammiferi d’Europa. Padova, Muzzio editore, 1985.<br />

Dalla Fior G., La nostra flora. Trento, Monauni, 1985.<br />

Del Prete C., Tosi G. Orchidee spontanee d’Italia. Milano Mursia, 1988.<br />

Formenti S., Contributi per una flora bresciana. Brescia, Civico Museo di Scienze Natura-<br />

li, 1994.<br />

Pagani U., Avanzi di vertebrati quaternari scavati a Navezze (<strong>Gussago</strong>) presso Brescia. Boll:<br />

Soc. Geol. Ital. v. 29 n 3-4. Roma, 1910.<br />

Schirolli P., La successione liassica nelle Prealpi bresciane centro-occidentali (Alpi Meri -<br />

dionali, Italia): evoluzione paleogeografico-strutturale ed eventi connessi al rifting. At. Tic.<br />

Sc. Terra. Serie speciale 6 pp. 5-137, Pavia, 1997.<br />

Vailati D., La speleologia in terra bresciane. Brescia, Grafo, 1979.<br />

Ziliani L., Relazione geologica al PGR del Comune di <strong>Gussago</strong>.<br />

Guide Geologiche Regionali. ALPI E PREALPI LOMBARDE. Milano, BE-MA editrice,<br />

1990.<br />

Carta geologica d’Italia. Foglio 47 Brescia, scala 1:100000, 1968.<br />

Sandro Pignatti, Flora d’Italia. Editrice Edagricole.<br />

Alessandro Ferrari e Giorgio Voghi, Segreti e virtù delle piante medicinali. Officine grafiche<br />

F.lli Stianti.<br />

Rinetta Faroni, Sulle tracce del tempo. Tipolitografia Queriniana Brescia, 1993.<br />

Marchina Ermanno dispensa.<br />

Guida dei mammiferi d’Europa. Corbet - Ovenden.<br />

Guida degli uccelli d’Europa. Peterson-Mountfort - Hollon.<br />

Uccelli, mammiferi e tradizioni di caccia nel bresciano. Giuliano P. Salvini.<br />

109


INDICE FOTOGRAFIE E FIGURE<br />

Gnocchi Angelo. Foto 1 - 4 - 11 - 12 - 13 - 14 - 15 - 16 - 19 - 21 - 23 - 24 - 26 - 27 - 28 - 29<br />

- 30 - 33 - 36 - 37 - 38 - 41 - 42 - 43 - 44 - 45 - 46 - 47 - 48 - 49 - 50 - 51 - 52 - 53 - 55 -<br />

56 - 57 - 60 - 61 - 62 - 63 - 74 - 75 - 76 - 77 - 78 - 80 - 81 - 82 - 83 - 84 - 85;<br />

Schiavoni Fulvio. Foto 2 - 3 - 5 - 6 - 8 - 9 - 10 - 17 - 18 - 22 - 25;<br />

Mariotti Goffredo. Foto 7;<br />

Franzoni Pierluigi. Foto 20;<br />

Paletti Alberto. Foto 32 - 34 - 39;<br />

Marchina Ermanno. Foto 31 - 35 - 40 - 54 - 58 - 59 - 79;<br />

Archivio Medani Ettore. Foto 64 - 65 - 66 - 68 - 69 - 70 - 71 - 72 - 73.<br />

Vinetti Giovanni. Figura 1;<br />

Moliterni Arianna. Figura 2 - 4 - 5 - 6 - 7 - 9 - 10;<br />

Franzoni Pierluigi. Figura 11 - 12 - 13 - 14 - 15;<br />

Gentili Elena. Figura 3;<br />

Giacomuzzi Chiara. Figura 8;<br />

Montini Laura. Figura 16.<br />

110


INDICE<br />

Presentazione Pag. 3<br />

PRIMA PARTE<br />

Il territorio Elementi generali per la conoscenza e l’orientamento nel territorio “ 5<br />

Morfologia “ 9<br />

- Zona collinare montuosa - Zona pianeggiante e idrologia<br />

- Sorgenti<br />

Geologia “ 15<br />

- Il tempo geologico - I mari antichi e le terre -La nostra storia<br />

- Elementi semplici di geologia - Le rocce e le formazioni<br />

Paleontologia “ 23<br />

- In anno domini - Due parole sulla fossilizzazione<br />

- I fossili del territorio - Il carsismo<br />

Itinerari e curiosità “ 44<br />

- Primo itinerario - Secondo itinerario - Curiosità<br />

SECONDA PARTE<br />

Flora e Fauna Elementi per la conoscenza di piante e animali del territorio “ 51<br />

Flora: Tipologia specifica di alcune zone “ 53<br />

• Loc. Bosco - Pianura • Collina Santissima - Microclima particolare<br />

• Val Volpera - Versante soleggiato • Val Gandine - Umido<br />

• Il Dosso di Mezzane - Loc. Cardelli e Andreolo • Altopiano di Quarone<br />

Alberi “ 60<br />

Arbusti “ 72<br />

Fiori “ 76<br />

Felci “ 80<br />

Orchidee “ 83<br />

Funghi “ 85<br />

Rarità “ 88<br />

Dizionarietto “ 90<br />

Fauna: aspetti generali “ 53<br />

Uccelli “ 92<br />

Mammiferi “ 98<br />

Anfibi e rettili “ 101<br />

Insetti “ 107<br />

Bibliografia “ 109<br />

Indice fotografie e figure “ 110<br />

111

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