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Tornato a casa, mi preparai a trascorrere il fine<br />
settimana in famiglia e dimenticai completamente i<br />
numeri, mio suocero e il sogno. La domenica mattina, mi<br />
preparai con cura e mi recai a messa. Di poi, mi fermai in<br />
piazza, dove gli amici ingannavano il tempo giocando a<br />
scopone.<br />
Quando si fece l’ora di pranzo e l’odore del ragù si<br />
sentiva il tutto il paese, venne mio figlio Tonino a<br />
chiamarmi. Eravamo in nove a mangiare, con appet<strong>it</strong>o, gli<br />
“z<strong>it</strong>i” col sugo ed a preparare, con una minuziosa<br />
scarpetta, il piatto per il secondo, un vecchio coniglio,<br />
intener<strong>it</strong>o, con due ore di cottura, nella salsa di pomodori.<br />
I miei sei figli mangiarono i pezzi migliori, io divisi con<br />
mia moglie e mia madre il costato, i testicoli, e la testa,<br />
insapor<strong>it</strong>i con qualche goccia di “olio santo”, perché<br />
sposassero bene con il di vino rosso della nostra vigna.<br />
Quella domenica pomeriggio si concluse davanti al<br />
bar Rosa, tra una presa di anisetta e qualche mano di<br />
“scopa”, sui vecchi tavoli rossi di bestemmie e bruciati dai<br />
sigari. Alle ventuno, mi accolse il letto, riscaldato dal<br />
corpo caldo di Maria.<br />
Alle sei e ventisette ero alla stazione vesuviana, con<br />
una nazionale incollata alle labbra ed il pigiama sotto i<br />
pantaloni, per resistere al freddo umido del mattino.<br />
Guardai le vecchie scarpe impolverate e pensai con<br />
grat<strong>it</strong>udine a mio padre Angelo, che me le aveva regalate,<br />
erano dure per la doppia risolatura di màstu Giulìllo.<br />
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