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Farmaci e genoma - Università degli Studi di Verona

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Per una ricerca corretta<br />

Ritornando alla Dichiarazione<br />

universale sul <strong>genoma</strong> umano e i<br />

<strong>di</strong>ritti dell’uomo, per ovviare alle<br />

questioni appena descritte, sono<br />

state date alcune in<strong>di</strong>cazioni per<br />

l’esercizio dell’attività scientifica.<br />

Queste riguardano innanzitutto la<br />

responsabilità dei ricercatori,<br />

intesa come rigore, prudenza,<br />

Contro<br />

il razzismo<br />

genetico<br />

Due articoli pubblicati <strong>di</strong><br />

recente sul New England<br />

Journal of Me<strong>di</strong>cine<br />

portano alla ribalta una questione<br />

etica strettamente correlata<br />

alle indagini genetiche<br />

in generale ma anche agli<br />

stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> questo settore applicati<br />

allo sviluppo dei farmaci:<br />

la <strong>di</strong>scriminazione razziale (3,<br />

4). Le due ricerche in questione<br />

riguardano due farmaci già<br />

in commercio e che si sono<br />

rivelati molto utili nella terapia<br />

dello scompenso car<strong>di</strong>aco:<br />

il carve<strong>di</strong>lolo e l’enelapril. Gli<br />

autori dei due stu<strong>di</strong> concludono<br />

che, mentre il primo è utile<br />

nel ridurre il rischio <strong>di</strong> morte e<br />

<strong>di</strong> ospedalizzazione sia nella<br />

popolazione bianca sia in<br />

quella <strong>di</strong> colore, il secondo lo<br />

è solo per la popolazione<br />

bianca, sottolineando l’importanza<br />

<strong>di</strong> conoscere con anticipo<br />

la possibile costituzione<br />

genetica della popolazione in<br />

esame.<br />

In un e<strong>di</strong>toriale <strong>di</strong> commento<br />

ai due lavori Robert Schwartz,<br />

un me<strong>di</strong>co, sottolinea come<br />

parlare <strong>di</strong> razza e <strong>di</strong> gruppi e<br />

<strong>di</strong>fferenze razziali (come<br />

fanno gli autori delle due<br />

ricerche) sia scorretto dal<br />

punto <strong>di</strong> vista biologico e<br />

rischi <strong>di</strong> promuovere una pratica<br />

clinica <strong>di</strong>scriminante (5):<br />

«E’ un errore attribuire fenomeni<br />

fisiologici e clinici complessi<br />

ad aspetti arbitrari<br />

legati all’apparenza esterna.<br />

Non è plausibile infatti che i<br />

pochi geni che spiegano tali<br />

caratteristiche esteriori possano<br />

essere associati in modo<br />

significativo allo sviluppo <strong>di</strong><br />

malattie o alla risposta ai farmaci.<br />

Alcune popolazioni vengono<br />

stu<strong>di</strong>ate per le loro peculiarità<br />

genetiche (si pensi agli<br />

in<strong>di</strong>ani Pima che hanno una<br />

particolare pre<strong>di</strong>sposizione<br />

allo sviluppo del <strong>di</strong>abete mellito<br />

non insulino <strong>di</strong>pendente),<br />

ma non bisogna <strong>di</strong>menticare<br />

che l’insorgenza <strong>di</strong> un <strong>di</strong>sturbo<br />

ha anche importanti componenti<br />

ambientali e culturali.<br />

Si pensi, per esempio, al caso<br />

delle mutazioni nel gene<br />

BRCA1, che pre<strong>di</strong>spongono<br />

allo sviluppo del tumore alla<br />

mammella e che sono particolarmente<br />

frequenti nella<br />

popolazione <strong>di</strong> donne ebree<br />

Ashkenazi. Il motivo <strong>di</strong> tale<br />

frequenza non è certo correlato<br />

all’origine etnica, ma piuttosto<br />

a un fattore culturale,<br />

onestà intellettuale, integrità<br />

nella conduzione della ricerca,<br />

nella presentazione e nell’uso dei<br />

risultati. È ovvio, infatti, che il<br />

modo in cui vengono trasmesse<br />

alcune informazioni può creare o<br />

meno un’aspettativa da parte del<br />

pubblico.<br />

La <strong>di</strong>chiarazione, poi, assegna<br />

responsabilità particolari anche a<br />

chi ha funzioni decisionali in<br />

che ha fatto sì che, per molti<br />

anni gli Ashkenazi si siano<br />

accoppiati all’interno delle<br />

stesse famiglie, aumentando<br />

così la frequenza <strong>di</strong> alcuni<br />

alleli (le varianti <strong>di</strong> uno stesso<br />

gene).<br />

Per quanto riguarda poi la<br />

popolazione <strong>di</strong> colore africana,<br />

dopo 400 anni <strong>di</strong> <strong>di</strong>spersione<br />

geografica e <strong>di</strong> mescolanza<br />

genetica, non ci sono<br />

alleli che la caratterizzino in<br />

particolar modo rispetto alle<br />

altre, ma è vero che in essa,<br />

come in altri gruppi etnici,<br />

alcuni alleli hanno una prevalenza<br />

maggiore. Un fatto questo<br />

che può essere dovuto, per<br />

esempio, all’effetto protettivo<br />

delle varianti nei confronti <strong>di</strong><br />

certe patologie. E’ il caso, per<br />

esempio, <strong>di</strong> alcune mutazioni<br />

nel gene della betaglobina<br />

che si sono originate nell’Africa<br />

centrale e si sono <strong>di</strong>ffuse<br />

perché determinavano<br />

una resistenza alla malaria. In<br />

questo caso le varianti sono<br />

solo un in<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> una particolare<br />

origine geografica e non<br />

certo <strong>di</strong> una razza. Non si<br />

vuole con questo <strong>di</strong>scorso<br />

negare la rilevanza me<strong>di</strong>ca <strong>di</strong><br />

alcune varianti, ma mettere in<br />

guar<strong>di</strong>a contro il pericolo che<br />

possano indurre a fare <strong>di</strong>stinzioni<br />

<strong>di</strong> razza inesistenti».<br />

RISVOLTI<br />

ETICI<br />

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