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CENTRO STORICO

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di AAllessaanddro PPetti<br />

L’ultima lezione di Piero Gobetti<br />

Dove nasce l’anomalia italiana<br />

De Gasperi, Adenauer<br />

Schuman<br />

sidente del Consiglio),<br />

sancì una<br />

sorta di pacificazione<br />

nazionale,<br />

che vide la magistratura<br />

chiamata<br />

ad attuare il decreto<br />

stesso e in<br />

appena quattro<br />

giorni scarcerare 89 fascisti accusati di “collaborazionismo”<br />

o di “atti rilevanti”, che poterono<br />

così tornare alla vita civile. Su questa vicenda<br />

Giorgio Almirante, in un’autobiografia<br />

pubblicata nel 1974, scrisse: “Sarebbe ingeneroso<br />

non ricordare l’amnistia voluta da Togliatti<br />

per i fascisti”.<br />

Attraverso, cioè, un tacito patto sociale, la<br />

maggioranza agnostica e apolitica del Paese<br />

accettò dopo il 1945 di essere governata dalla<br />

nomenklatura antifascista “ purché questa<br />

non le chiedesse conto – come scrive Sergio<br />

Romano in “Finis Italiae”, ediz. Scheiwiller – di<br />

ciò che aveva fatto nei vent’anni precedenti”.<br />

Il patto costrinse a stendere un velo di menzogne<br />

sulla nostra storia e sul nostro sentimento<br />

nazionale. Anzi, il venir meno di questo sentimento<br />

è dovuto in gran parte a quel patto e a<br />

quella bugia originaria che ha spinto molti italiani<br />

a ritrovare rifugio nel municipalismo, nel localismo<br />

e nel campanilismo. Tanto che a tutt’oggi<br />

non esiste nel nostro Paese una solidarietà<br />

nazionale, ma una solidarietà di corporazione<br />

(dei giudici, dei giornalisti, dei docenti universitari,<br />

dei ministeri, dei partiti, dei sindacati,<br />

dei farmacisti, dei tassisti etc. etc.).<br />

In sostanza, quel patto conveniva tanto all’antifascismo,<br />

perché nessuno in tal modo gli<br />

avrebbe chiesto conto delle proprie responsabilità<br />

fra il 1919 e il 1922; quanto al Paese,<br />

perché nessuno gli avrebbe contestato l’entusiastica<br />

adesione al fascismo (chi non ricorda<br />

a proposito, almeno dalle foto ufficiali<br />

dell’epoca, le sterminate folle radunate a Roma,<br />

a Piazza Venezia, durante il ventennio?).<br />

Dobbiamo allora porre i riflettori su quello che<br />

è rimasto finora il lato oscuro della nostra questione<br />

istituzionale e che è invece all’origine<br />

dell’“anomalia italiana” rispetto alle grandi democrazie<br />

occidentali. Un’anomalia basata su<br />

un grande squilibrio tra potere politico (enorme)<br />

e autonomia sociale (troppo limitata). Uno<br />

squilibrio che ha origine dal fatto che la democrazia<br />

italiana non è nata come in Inghilterra<br />

e in Francia dalla società civile, ma è nata<br />

invece dal potere politico, frutto anche di<br />

una scelta che due grandi leader – De Gasperi<br />

e Togliatti – seppero imporre in un contesto<br />

peraltro fragilissimo.<br />

Ci vorrebbe allora una rivoluzione, liberale,<br />

“…quella che l’Italia - scriveva Piero Gobetti<br />

nel 1924 – non ha mai avuto, ma deve ancora<br />

avere, perché il nostro Paese deve ancora<br />

fare la sua vera rivoluzione: “la rivoluzione liberale”.<br />

Il Paese era stato, infatti, fino a quegli<br />

anni dominato da due forze, i comunisti e<br />

i cattolici, entrambi non appartenenti alla tradizione<br />

del Risorgimento.<br />

Gobetti sapeva bene che il fascismo non è un<br />

fenomeno superficiale della vita italiana, ma il<br />

risultato delle insufficienze del Risorgimento.<br />

Il Risorgimento ha dato coscienza politica solo<br />

a una piccola minoranza di italiani, ma non<br />

educò alla libertà le masse. “Cosicché dopo<br />

la guerra del 1915-18 – scrive lo storico Momigliano<br />

- fu facile organizzare un triste carnevale<br />

reazionario e demagogico”.<br />

Il valore dell’insegnamento di Piero Gobetti, perseguitato<br />

dal regime fascista e costretto all’esilio,<br />

è nell’aver colto già in quegli anni, gli anni ’20,<br />

che il rimedio contro il fascismo può essere solo<br />

quello di completare e perfezionare il Risorgimento,<br />

armonizzando questo disegno con le esigenze<br />

della vita economica moderna e delle classi<br />

lavoratrici. Rileggere “La rivoluzione liberale” –<br />

ediz. Einaudi – significa non solo rendere omaggio<br />

alla memoria di una delle più nobili giovani vite<br />

che il fascismo ha stroncato, ma cogliere l’esattezza,<br />

ancor oggi, della sua diagnosi: che bisogna<br />

attuare in pieno la rivoluzione liberale iniziata<br />

e non compiuta dal Risorgimento italiano,<br />

conciliando la libertà politica con il rinnovamento<br />

sociale. Siamo alla fine del 2008: non è questo<br />

ancora il principale nodo della vita italiana?<br />

La conseguenza di questo stato di cose è che<br />

metà degli italiani non si fida dello Stato: ed è<br />

la questione centrale del nostro Paese. Gli inglesi,<br />

i francesi, gli olandesi, i belgi, gli austriaci,<br />

si. Gli italiani no. “Forse perché siamo<br />

stati per secoli colonia” (ha scritto Eugenio<br />

Scalfari).<br />

Lo Stato è il protagonista negativo della nostra<br />

storia nazionale. Lui ti vuole fregare e tu<br />

lo devi fregare. Meglio ottenere qualche favore,<br />

piccolo o grande che sia, ma meglio non<br />

impegnarsi con lo Stato. Più utile impegnarsi<br />

con chi cercherà di farti avere quel favore cosicché<br />

finirai per far parte della sua clientela,<br />

non per scelta politica ma per fedeltà alla persona<br />

o alla corporazione.<br />

In un Paese normale, cioè di normale democrazia,<br />

ci sarebbero – come negli Stati Uniti e<br />

IL <strong>CENTRO</strong> <strong>STORICO</strong> DI SAN FELICE CIRCEO PPAG. 55<br />

Ci vorrebbe una rivoluzione (liberale)<br />

“l’amnistia Togliatti-De Gasperi”<br />

costrinse a stendere un velo di<br />

menzogne sulla nostra storia e sul<br />

nostro sentimento nazionale<br />

““<br />

la democrazia italiana non è nata<br />

come in Inghilterra e in Francia<br />

dalla società civile, ma è nata invece<br />

dal potere politico<br />

““<br />

Politica<br />

Piero Gobetti nel 1924 invitava a<br />

una “rivoluzione liberale”per<br />

completare e perfezionare il Risorgimento<br />

come in tutta Europa - due schieramenti entrambi<br />

liberali, e questo comune elemento, insieme<br />

ai valori che implica, garantirebbe una<br />

leale competizione fra una destra e una sinistra<br />

entrambe unite nell’adesione a quei principi<br />

e regole comuni.<br />

La destra italiana, diceva Indro Montanelli, è<br />

una parodia di quella vera perché il nostro Paese<br />

non ha conosciuto una vera borghesia. Ciò<br />

che manca è un<br />

codice morale e<br />

una coscienza civile.<br />

“La mia destra<br />

- annotava<br />

nel 1994 – non<br />

nasce dalla paura,<br />

non si alimen-<br />

Biagi e Montanelli<br />

ta di sogni di protezione<br />

e di difesa<br />

e non si accuccia all’ombra dei Mussolini o dei<br />

Berlusconi. La mia destra è invece un codice<br />

di comportamenti, non un pacchetto ideologico.<br />

Il suo luogo si trova al di là della politica ed<br />

è il patrimonio etico di una borghesia oggi forse<br />

estinta ...”.<br />

Se c’è in Italia una pur piccola possibilità di<br />

realizzare una “rivoluzione liberale”, è, dunque,<br />

solo la sinistra che può riuscirci, non certo una<br />

destra – puntualizzava finchè vi ha avuto voce<br />

Orazio M. Petracca sul Corriere della Sera<br />

- che oscilla fra antiche tradizioni populiste e<br />

moderne tentazioni plebiscitarie. Una destra<br />

che, rispetto alla moderna economia che produce<br />

beni e servizi, privilegia chi produce invece<br />

sogni e bisogni, televisione e pubblicità.<br />

Ha scritto Paolo Sylos Labini - un altro grande<br />

italiano - in “Ahi Serva Italia”, ediz. Laterza<br />

(un piccolo libro da non perdere, l’ultimo<br />

che ha scritto poco prima di morire, nel dicembre<br />

del 2006): “Il discorso è angoscioso,<br />

ma mi sembra giusto farlo, dal momento che<br />

sulla questione ho riflettuto molto e riguarda<br />

noi tutti. Perché siamo caduti così in basso?<br />

Non per orgoglio né per presunzione, ma per<br />

disperazione sociale mi rivolgo ai miei concittadini<br />

per esortarli a fare uno spietato esame<br />

critico della coscienza civile evitando ogni formula<br />

consolatoria. E’ la premessa per uscire<br />

dall’abisso. Perché il Cavaliere ci preoccupa<br />

molto gravemente, ma il principale motivo di<br />

angoscia siamo noi italiani. Come abbiamo<br />

consentito che andasse al potere un uomo così?<br />

Che diavolo di Paese siamo ?”.<br />

Insomma, i nemici più pericolosi oggi sono i<br />

populisti travestiti da liberisti, anzi, peggio, da<br />

liberali. ■<br />

““

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