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La Giurisprudenza del Lavoro 2010 - Aidp

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AIDP<br />

Associazione Italiana per la Direzione <strong>del</strong> Personale<br />

Gruppo <strong>La</strong>zio<br />

LA GIURISPRUDENZA DEL LAVORO<br />

<strong>2010</strong><br />

ROMA, 6 LUGLIO 2011<br />

A CURA DI<br />

AVV. MAURIZIO MANICASTRI<br />

PROF. AVV. MARCO MARAZZA<br />

VICE PRESIDENTE AIDP/LAZIO<br />

ORDINARIO DI DIRITTO DEL LAVORO<br />

UNIVERSITÀ DI TERAMO<br />

STUDIO LEGALE MARAZZA & ASSOCIATI<br />

CON IL CONTRIBUTO SULL’EVOLUZIONE GIURISPRUDENZIALE IN MATERIA DI<br />

INQUADRAMENTO<br />

DI<br />

AVV. DOMENICO DE FEO<br />

SOCIO<br />

STUDIO LEGALE MARAZZA & ASSOCIATI<br />

* * * * *<br />

HA COLLABORATO ALLA REDAZIONE DELLA RASSEGNA<br />

DR.SSA ISIDE DE GIULIO<br />

STUDIO LEGALE MARAZZA &ASSOCIATI<br />

__________________________________________________________________________________<br />

STUDIO LEGALE MARAZZA & ASSOCIATI<br />

ROMA - MILANO - FIRENZE<br />

WWW.STUDIOMARAZZA.IT<br />

VIA DELLE TRE MADONNE, 8<br />

00197 - ROMA<br />

06/8073201 r.a. - 06/8088208 fax


A. Il contratto collettivo di lavoro<br />

- Interpretazione<br />

- Efficacia<br />

B. <strong>La</strong>voro subordinato e lavoro autonomo<br />

C. Costituzione <strong>del</strong> rapporto<br />

- Collocamento obbligatorio<br />

- Patto di prova<br />

D. I contratti a contenuto formativo<br />

SOMMARIO<br />

E. Il contratto di lavoro a tempo determinato<br />

F. Il contratto di lavoro part-time<br />

G. Il contratto di lavoro a progetto<br />

H. Il contratto di associazione in partecipazione<br />

I. <strong>La</strong> somministrazione di lavoro<br />

J. Orario di lavoro<br />

K. <strong>La</strong> retribuzione<br />

- Obblighi retributivi<br />

- T.F.R.<br />

- Il Fondo di garanzia INPS<br />

- Prescrizione crediti retributivi<br />

L. Inquadramento e mansioni <strong>del</strong> lavoratore<br />

-Inquadramento<br />

- Lo ius variandi<br />

- Le mansioni equivalenti, superiori e promiscue<br />

- Il danno da demansionamento<br />

M. Potere direttivo e modificazione <strong>del</strong> luogo di lavoro<br />

- Il trasferimento<br />

- <strong>La</strong> trasferta<br />

- Il distacco<br />

2


N. Salute e sicurezza sul lavoro<br />

- L’art. 2087 c.c. e le prestazioni di sicurezza<br />

- Infortunio in itinere<br />

- Il mobbing<br />

O. <strong>La</strong> malattia<br />

P. L’appalto<br />

Q. Cessione d'azienda e diritti <strong>del</strong> lavoratore<br />

R. Il potere disciplinare <strong>del</strong> datore di lavoro<br />

- Contestazione e vincoli procedurali<br />

- Proporzionalità <strong>del</strong>la sanzione<br />

S. I licenziamenti individuali<br />

- Varie<br />

- Giusta causa e giustificato motivo<br />

- Superamento <strong>del</strong> periodo di comporto<br />

- Licenziamento <strong>del</strong> dirigente<br />

- Profili risarcitori<br />

T. I licenziamenti collettivi<br />

- Procedure di mobilità e cassa integrazione<br />

U. Le dimissioni <strong>del</strong> lavoratore<br />

V. L’attività sindacale<br />

W. Rapporto previdenziale<br />

X. Rinunce e transazioni<br />

Z. Aspetti processuali<br />

3


A. Il contratto collettivo di lavoro<br />

- Interpretazione<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 22 novembre <strong>2010</strong>, n. 23635<br />

Nel giudizio di legittimità le censure relative all'interpretazione <strong>del</strong> contratto<br />

collettivo offerta dal giudice di merito possono essere prospettate solo sotto il profilo<br />

<strong>del</strong>la mancata osservanza dei criteri legali di ermeneutica contrattuale o <strong>del</strong>la<br />

insufficienza o contraddittorietà <strong>del</strong>la motivazione, mentre la mera contrapposizione<br />

fra l'interpretazione proposta dal ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata<br />

non rileva ai fini <strong>del</strong>l'annullamento di quest'ultima. Sia la denuncia <strong>del</strong>la violazione<br />

<strong>del</strong>le regole di ermeneutica che la denuncia <strong>del</strong> vizio di motivazione esigono una<br />

specifica indicazione, e cioè la precisazione <strong>del</strong> modo attraverso il quale si è<br />

realizzata la violazione anzidetta e <strong>del</strong>le ragioni <strong>del</strong>l'obiettiva deficienza e<br />

contraddittorietà <strong>del</strong> ragionamento <strong>del</strong> giudice, non potendo le censure risolversi, in<br />

contrasto con la qualificazione loro attribuita dalla parte ricorrente, nella mera<br />

contrapposizione di un'interpretazione diversa da quella criticata. (Nella specie la S.C.<br />

ha confermato la sentenza impugnata che, con congrua e logica motivazione e sulla<br />

base <strong>del</strong>l'interpretazione <strong>del</strong>l'accordo integrativo per i giornalisti RAI 18 luglio 1997,<br />

aveva dichiarato la sussistenza di un contratto di assunzione a tempo indeterminato).<br />

(Rigetta, App. Milano, 17/01/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 12 luglio <strong>2010</strong>, n. 16298<br />

Nell'interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune deve ritenersi preminente<br />

la regola che impone di avere riguardo al significato letterale <strong>del</strong>le parole, restando<br />

precluso, in presenza di dati testuali sufficientemente chiari ed univoci, il ricorso ad<br />

altri canoni di interpretazione, ai quali è pertanto riconoscibile natura sussidiaria.<br />

(Nella specie, la S.C., nel cassare la sentenza di merito, ha stabilito che il contratto<br />

collettivo regionale recepito dal D.P. Reg. 19 novembre 1999, n. 26, all'art. 15,<br />

comma terzo, prevede chiaramente l'attribuzione di compensi in favore dei funzionari<br />

per particolari posizioni di responsabilità). (Cassa e decide nel merito, App. Messina,<br />

27/06/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 17 febbraio <strong>2010</strong>, n. 3685<br />

Nell'interpretazione <strong>del</strong> contratto collettivo, è necessario procedere al coordinamento<br />

<strong>del</strong>le varie clausole contrattuali, prescritto dall'art. 1363 cod. civ., anche quando<br />

l'interpretazione possa essere compiuta sulla base <strong>del</strong> senso letterale <strong>del</strong>le parole,<br />

senza residui di incertezza, poiché l'espressione "senso letterale <strong>del</strong>le parole" deve<br />

intendersi come riferita all'intera formulazione letterale <strong>del</strong>la dichiarazione negoziale<br />

e non già limitata ad una parte soltanto, qual è una singola clausola <strong>del</strong> contratto<br />

composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e confrontare fra loro frasi e<br />

parole al fine di chiarirne il significato. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha<br />

cassato la sentenza impugnata, che, nell'interpretazione <strong>del</strong>l'accordo sindacale <strong>del</strong> 24<br />

marzo 1993, concernente la collocazione in cassa integrazione e la rotazione dei<br />

dipendenti <strong>del</strong>la Alenia Aeronavali S.p.A., già Officine Aeronavali S.p.A., non aveva<br />

4


preso in esame la clausola transitoria secondo cui l'accordo annullava e sostituiva le<br />

precedenti intese in ordine ai criteri di rotazione <strong>del</strong> personale, omettendo di valutare i<br />

criteri di collegamento che le parti sociali avevano inteso realizzare fra l'accordo <strong>del</strong><br />

1993 e le precedenti intese <strong>del</strong> 1992). (Cassa con rinvio, Trib. Napoli, 03/06/2005).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 4 febbraio <strong>2010</strong>, n. 2625<br />

È riservata al giudice di merito l'interpretazione <strong>del</strong>l'accordo aziendale, in ragione<br />

<strong>del</strong>la sua efficacia limitata (diversa da quella propria degli accordi e contratti<br />

collettivi nazionali, oggetto di esegesi diretta da parte <strong>del</strong>la Corte di Cassazione, ai<br />

sensi <strong>del</strong>l'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., come modificato dal d.lgs. n. 40 <strong>del</strong> 2006), ed<br />

essa non è censurabile in cassazione se non per vizio di motivazione o per violazione<br />

di canoni ermeneutici. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata la<br />

quale, nell'interpretare l'accordo aziendale 22 giugno 1974 per il personale <strong>del</strong><br />

Poligrafico <strong>del</strong>lo Stato, aveva ritenuto che la previsione in esso contenuta di<br />

assorbimento dei compensi relativi al ritmo di produzione si riferisse solo ai<br />

compensi analoghi riguardanti comunque la produttività, e fosse estranea, invece, ai<br />

compensi percepiti dai lavoratori per la prestazione di lavoro straordinario). (Rigetta,<br />

App. Roma, 09/05/2006).<br />

- Efficacia<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 19 aprile 2011, n. 8994<br />

<strong>La</strong> disdetta <strong>del</strong> CCNL trova applicazione esclusivamente con riferimento alle<br />

organizzazioni sindacali firmatarie <strong>del</strong>lo stesso contratto ma non di certo con<br />

riferimento alle parti <strong>del</strong> rapporto di lavoro individuale, salva l'ipotesi di contratti<br />

aziendali, stipulati dal singolo datore di lavoro e dai sindacati locali dei lavoratori e<br />

dai quali, ricorrendone i presupposti, anche il datore di lavoro, quale parte<br />

contrattuale, può recedere.<br />

Corte giustizia Unione Europea Grande Sez., 12 ottobre <strong>2010</strong>, n. 45<br />

Gli articoli 1 e 2 <strong>del</strong>la Direttiva n. 2000/78/CE devono essere interpretati nel senso<br />

che essi non ostano a che uno Stato membro dichiari applicabile erga omnes un<br />

contratto collettivo come quello di cui trattasi nella causa principale, a condizione che<br />

esso non privi i lavoratori che ricadono nella sfera di applicazione di detto contratto<br />

collettivo <strong>del</strong>la protezione offerta loro dalle citate disposizioni contro le<br />

discriminazioni fondate sull'età.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 7 ottobre <strong>2010</strong>, n. 20784<br />

I contratti collettivi di diritto comune, costituendo manifestazione <strong>del</strong>l'autonomia<br />

negoziale degli stipulanti, operano esclusivamente entro l'ambito temporale<br />

concordato dalle parti, atteso che l'opposto principio di ultrattività <strong>del</strong>la vincolatività<br />

<strong>del</strong> contratto scaduto sino ad un nuovo regolamento collettivo, ponendosi come limite<br />

alla libera volontà <strong>del</strong>le organizzazioni sindacali, sarebbe in contrasto con la garanzia<br />

prevista dall'art. 39 Cost. (Nella specie la S.C., in applicazione <strong>del</strong> principio di cui<br />

5


alla massima, ha escluso l'ultrattività <strong>del</strong> CCNL per i dipendenti <strong>del</strong>l'Ente Poste<br />

Italiane stipulato il 24 novembre 1994, atteso che l'art. 87 <strong>del</strong>lo stesso prevedeva che<br />

l'accordo sarebbe rimasto in vigore fino al 31 dicembre 1997 e che da quella data il<br />

rapporto sarebbe stato disciplinato dalle norme di diritto privato). (Rigetta, App.<br />

Roma, 12/04/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 8 aprile <strong>2010</strong>, n. 8342<br />

<strong>La</strong> reiterazione costante e generalizzata di un comportamento favorevole <strong>del</strong> datore di<br />

lavoro nei confronti dei propri dipendenti che si traduca in trattamento economico o<br />

normativo di maggior favore rispetto a quello previsto dai contratti (individuali e<br />

collettivi) integra, di per sé, gli estremi <strong>del</strong>l'uso aziendale, il quale, in ragione <strong>del</strong>la<br />

sua appartenenza al novero <strong>del</strong>le cosiddette fonti sociali - tra le quali vanno<br />

considerati sia i contratti collettivi, sia il regolamento d'azienda e che sono definite<br />

tali perché, pur non costituendo espressione di funzione pubblica, neppure realizzano<br />

meri interessi individuali, in quanto dirette a conseguire un'uniforme disciplina dei<br />

rapporti con riferimento alla collettività impersonale dei lavoratori di un'azienda -<br />

agisce sul piano dei singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa<br />

efficacia di un contratto collettivo aziendale. Ne consegue che ove la modifica "in<br />

melius" <strong>del</strong> trattamento dovuto ai lavoratori trovi origine nell'uso aziendale, ad essa<br />

non si applica né l'art. 1340 cod. civ. - che postula la volontà, tacita, <strong>del</strong>le parti di<br />

inserire l'uso o di escluderlo - né, in generale, la disciplina civilistica sui contratti -<br />

con esclusione, quindi, di un'indagine sulla volontà <strong>del</strong> datore di lavoro e dei sindacati<br />

- né, comunque, l'art. 2077, comma secondo, cod. civ., con la conseguente<br />

legittimazione <strong>del</strong>le fonti collettive (nazionali e aziendali) di disporre una modifica<br />

"in peius" <strong>del</strong> trattamento in tal modo attribuito. (Rigetta, App. Trieste, 22/02/2006).<br />

Corte giustizia Unione Europea Sez. III, 11 febbraio <strong>2010</strong>, n. 405<br />

<strong>La</strong> direttiva <strong>del</strong> Parlamento europeo e <strong>del</strong> Consiglio 11 marzo 2002, Direttiva n.<br />

2002/14/CE, che istituisce un quadro generale relativo all'informazione e alla<br />

consultazione dei lavoratori nella Comunità europea, deve essere interpretata nel<br />

senso che non osta ad una sua trasposizione, mediante contratto, che comporti che<br />

una categoria di lavoratori ricada sotto il contratto collettivo in causa, benché i<br />

lavoratori appartenenti a tale categoria non siano membri <strong>del</strong>l'organizzazione<br />

sindacale firmataria <strong>del</strong> detto contratto e il loro settore di attività non sia<br />

rappresentato da tale organizzazione, nei limiti in cui il contratto collettivo sia idoneo<br />

a garantire ai lavoratori rientranti nel suo ambito di applicazione una tutela effettiva<br />

dei diritti loro conferiti da questa stessa direttiva<br />

* * *<br />

6


B. <strong>La</strong>voro subordinato e lavoro autonomo<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 29 novembre <strong>2010</strong>, n. 24130<br />

<strong>La</strong> sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra datore e lavoratore non può<br />

essere di per sé esclusa dalla presenza di un vincolo parentale tra le stesse parti. Di<br />

conseguenza, se viene accertata l'esistenza di un rapporto di lavoro dipendente non<br />

può che derivarne anche un obbligo di versamento dei contributi assicurativi.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 25 novembre <strong>2010</strong>, n. 23925<br />

Il mero conferimento <strong>del</strong>l'incarico di direttore responsabile di un periodico, ai sensi<br />

<strong>del</strong>l'art. 3 <strong>del</strong>la legge 8 febbraio 1948, n. 47, con la relativa indicazione <strong>del</strong>lo stesso<br />

nel periodico, non comporta, di per sé, l'instaurazione di un rapporto di lavoro<br />

subordinato che sussiste ove, sulla base <strong>del</strong>le modalità effettive di esecuzione <strong>del</strong>la<br />

prestazione, sia accertato, oltre allo svolgimento di una attività pubblicistica,<br />

ancorché episodica, e alla assunzione <strong>del</strong>le responsabilità esterne derivanti dalla<br />

legge, il continuativo esercizio <strong>del</strong>le responsabilità interne derivanti dalla<br />

preposizione, circa gli orientamenti e gli specifici contenuti <strong>del</strong> quotidiano o<br />

periodico, anche se all'opera redazionale si provveda in collettivo, con gli altri<br />

collaboratori interni <strong>del</strong>la testata; è, invece, irrilevante il contenimento <strong>del</strong>la<br />

soggezione <strong>del</strong> direttore al potere direttivo <strong>del</strong>la proprietà editoriale, nei limiti <strong>del</strong>le<br />

direttive originariamente impartite, derivando l'ampia autonomia decisionale di chi<br />

dirige un quotidiano o periodico sia dalla preposizione al vertice <strong>del</strong>la organizzazione<br />

giornalistica, sia dal contenuto spiccatamente fiduciario <strong>del</strong> rapporto, sia dalla<br />

garanzia costituzionale <strong>del</strong> pluralismo e <strong>del</strong>la libertà di informazione. (Rigetta, App.<br />

Napoli, 31/07/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 22 novembre <strong>2010</strong>, n. 23624<br />

In tema di rapporto di lavoro domestico in situazione di convivenza, l'esistenza di un<br />

contratto a prestazioni corrispettive deve essere escluso solo in presenza <strong>del</strong>la<br />

dimostrazione di una comunanza di vita e di interessi tra i conviventi (famiglia di<br />

fatto), che non si esaurisca in un rapporto meramente affettivo o sessuale, ma dia<br />

luogo anche alla partecipazione, effettiva ed equa, <strong>del</strong> convivente alla vita e alle<br />

risorse <strong>del</strong>la famiglia di fatto in modo che l'esistenza <strong>del</strong> vincolo di solidarietà porti<br />

ad escludere la configurabilità di un rapporto a titolo oneroso. (Nella specie, la S.C.,<br />

in applicazione <strong>del</strong>l'anzidetto principio, ha ritenuto che, pur in presenza di un vincolo<br />

affettivo - attestato dalla partecipazione alle attività familiari da piccoli doni, arredo<br />

<strong>del</strong>le stanze, aiuto prestato da altri familiari - non potesse escludersi l'esistenza di un<br />

rapporto di lavoro subordinato, con obbligo di curare e assistere i figli <strong>del</strong> datore di<br />

lavoro e di provvedere alle faccende domestiche, non assumendo alcun rilievo, ai fini<br />

<strong>del</strong>la qualificazione <strong>del</strong> rapporto, l'originario intento altruistico di accogliere in casa<br />

la lavoratrice perché bisognosa di aiuto). (Cassa con rinvio, App. Cagliari,<br />

11/08/2006).<br />

7


Cass. civ. Sez. lavoro, 16 novembre <strong>2010</strong>, n. 23129<br />

Nelle società di persone è configurabile un rapporto di lavoro subordinato tra la<br />

società e uno dei soci purché ricorrano due condizioni: a) che la prestazione non<br />

integri un conferimento previsto dal contratto sociale; b) che il socio presti la sua<br />

attività lavorativa sotto il controllo gerarchico di un altro socio munito di poteri di<br />

supremazia. Il compimento di atti di gestione o la partecipazione alle scelte più o<br />

meno importanti per la vita <strong>del</strong>la società non sono, in linea di principio, incompatibili<br />

con la suddetta configurabilità, sicché anche quando esse ricorrano è comunque<br />

necessario verificare la sussistenza <strong>del</strong>le suddette due condizioni. (In applicazione<br />

<strong>del</strong>l'anzidetto principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso poiché il socio<br />

si era limitato a dedurre la sua partecipazione ai dividendi e alla gestione <strong>del</strong>la<br />

società, circostanza in sé non decisiva, nonché la mancata corresponsione <strong>del</strong>la<br />

retribuzione, così richiedendo alla Corte la diretta valutazione dei fatti). (Dichiara<br />

inammissibile, App. Salerno, 03/11/2006).<br />

Cass. civ. Sez. II, 11 giugno <strong>2010</strong>, n. 14085<br />

L'esecuzione di una prestazione d'opera professionale di natura intellettuale effettuata<br />

da chi non sia iscritto nell'apposito albo previsto dalla legge dà luogo, ai sensi degli<br />

artt. 1418 e 2231 cod. civ., a nullità assoluta <strong>del</strong> rapporto tra professionista e cliente,<br />

privando il contratto di qualsiasi effetto, con la conseguenza che il professionista non<br />

iscritto all'albo o che non sia munito nemmeno <strong>del</strong>la prescritta qualifica professionale<br />

per appartenere a categoria <strong>del</strong> tutto differente, non ha alcuna azione per il pagamento<br />

<strong>del</strong>la retribuzione, nemmeno quella sussidiaria di arricchimento senza causa,<br />

sempreché la prestazione espletata dal professionista rientri in quelle attività che sono<br />

riservate in via esclusiva a una determinata categoria professionale, essendo<br />

l'esercizio <strong>del</strong>la professione subordinato per legge all'iscrizione in apposito albo o ad<br />

abilitazione. Al di fuori di tali attività vige, infatti, il principio generale di libertà di<br />

lavoro autonomo o di libertà di impresa di servizi, a seconda <strong>del</strong> contenuto <strong>del</strong>le<br />

prestazioni e <strong>del</strong>la relativa organizzazione, salvi gli oneri amministrativi o<br />

tributari.(Nella specie la S.C., in applicazione <strong>del</strong> riportato principio, ha cassato la<br />

sentenza <strong>del</strong>la corte di merito che aveva escluso il diritto al compenso chiesto da un<br />

consulente <strong>del</strong> lavoro, affermando che le attività professionali svolte - tenuta <strong>del</strong>le<br />

scritture contabili <strong>del</strong>l'impresa, redazione dei mo<strong>del</strong>li IVA o per la dichiarazione dei<br />

redditi, effettuazione di conteggi ai fini <strong>del</strong>l'IRAP o ai fini <strong>del</strong>l'ICI, richiesta di<br />

certificati o presentazione di domande presso la Camera di Commercio - non<br />

rientravano in quelle riservate solo a soggetti iscritti ad albi o provvisti di specifica<br />

abilitazione). (Cassa e decide nel merito, App. Genova, 20/10/2004).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 19 aprile <strong>2010</strong>, n. 9252<br />

Ai fini <strong>del</strong>la distinzione tra lavoro autonomo e subordinato, quando l'elemento<br />

<strong>del</strong>l'assoggettamento <strong>del</strong> lavoratore alle direttive altrui non sia agevolmente<br />

apprezzabile a causa <strong>del</strong>la peculiarità <strong>del</strong>le mansioni (e, in particolare, <strong>del</strong>la loro<br />

natura intellettuale o professionale) e <strong>del</strong> relativo atteggiarsi <strong>del</strong> rapporto, occorre fare<br />

riferimento a criteri complementari e sussidiari, come quelli <strong>del</strong>la collaborazione,<br />

<strong>del</strong>la continuità <strong>del</strong>le prestazioni, <strong>del</strong>l'osservanza di un orario determinato, <strong>del</strong><br />

versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita, <strong>del</strong> coordinamento<br />

<strong>del</strong>l'attività lavorativa all'assetto organizzativo dato dal datore di lavoro, <strong>del</strong>l'assenza<br />

8


in capo al lavoratore di una sia pur minima struttura imprenditoriale, elementi che,<br />

privi ciascuno di valore decisivo, possono essere valutati globalmente con indizi<br />

probatori <strong>del</strong>la subordinazione. (Nel caso di specie, la S.C. ha confermato la sentenza<br />

impugnata, che aveva qualificato come di lavoro subordinato il rapporto intercorso tra<br />

una insegnante di scuola privata e l'istituto ove essa insegnava, attraverso<br />

l'individuazione di rilevanti indici sintomatici, quali l'assoggettamento <strong>del</strong> lavoratore<br />

al potere di coordinamento e disciplinare <strong>del</strong> datore di lavoro, il suo inserimento<br />

nell'organizzazione aziendale, la fissazione <strong>del</strong>l'orario di lavoro e degli orari <strong>del</strong>le<br />

attività ausiliarie da parte <strong>del</strong> datore di lavoro, l'obbligo <strong>del</strong> rispetto dei programmi di<br />

insegnamento ministeriali, e la svalutazione, invece, <strong>del</strong>l'importanza <strong>del</strong>la espressione<br />

formale <strong>del</strong>la volontà contrattuale, riportata nella sottoscrizione di un modulo a<br />

stampa ove il rapporto veniva definito come autonomo). (Rigetta, Trib. Modica,<br />

23/05/2005).<br />

App. Firenze, 9 febbraio <strong>2010</strong><br />

Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce, nel nostro<br />

ordinamento, il prototipo negoziale cui ricondurre tutte le ipotesi nelle quali Tizio<br />

lavori per Caio a fronte di un compenso che sia rapportato alla messa a disposizione<br />

<strong>del</strong>le energie lavorative e quando non sia dedotto in contratto un risultato cui il<br />

compenso medesimo sia misurato; quando cioè oggetto <strong>del</strong>la prestazione sia lo<br />

svolgimento di un compito strutturato nella organizzazione aziendale ed al prestatore<br />

non si richieda la spendita <strong>del</strong>la sua qualità di imprenditore o libero professionista;<br />

donde, la regola è la subordinazione a tempo indeterminato e l'eccezione è<br />

rappresentata da ogni altro schema negoziale in astratto utilizzabile dalle parti, con la<br />

conseguenza che la ricostruzione giuridica <strong>del</strong> tipo contrattuale eccezionale obbedisce<br />

a criteri di stretta interpretazione.<br />

* * *<br />

C. Costituzione <strong>del</strong> rapporto<br />

- Collocamento obbligatorio<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 31 maggio <strong>2010</strong>, n. 13285<br />

In caso di assunzione con contratto a tempo determinato di un disabile psichico sulla<br />

base di specifica previsione <strong>del</strong>la convenzione stipulata tra l'impresa che assume e la<br />

P.A. ai sensi <strong>del</strong>la L. 12 marzo 1999, n. 68, art. 11, non è richiesta l Indicazione nel<br />

contratto di lavoro <strong>del</strong>le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o<br />

sostitutivo eh giustificano l'apposizione <strong>del</strong> termine.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 22 giugno <strong>2010</strong>, n. 15058<br />

<strong>La</strong> ratio <strong>del</strong>l'art 9, L. 12 marzo 1999, n. 68, che attribuisce al datore di lavoro la<br />

facoltà di indicare nella richiesta di avviamento la qualifica <strong>del</strong> lavoratore disabile da<br />

assumere a copertura dei posti riservati, in un sistema di c.d. avviamento mirato, va<br />

9


avvisata nel consentire, mediante il riferimento ad una specifica qualifica,<br />

l'indicazione <strong>del</strong>le prestazioni richieste dal datore di lavoro sotto il profilo qualitativo<br />

<strong>del</strong>le capacità tecnico-professionali di cui il lavoratore avviato deve essere provvisto,<br />

secondo la formale indicazione <strong>del</strong>l'atto di avviamento, al fine di una sua collocazione<br />

nell'organizzazione aziendale, che sia utile all'impresa e che nello stesso tempo, per<br />

consentire l'espletamento <strong>del</strong>le mansioni per le quali il lavoratore è stato assunto, non<br />

si traduca in una lesione <strong>del</strong>la sua professionalità e dignità. Ne consegue che il datore<br />

di lavoro può legittimamente rifiutare l'assunzione non soltanto di un lavoratore con<br />

qualifica che risulti, in base all'atto di avviamento, diversa, ma anche di un lavoratore<br />

con qualifica "simile" a quella richiesta, in mancanza un suo previo addestramento o<br />

tirocinio da svolgere secondo le modalità previste dalla stessa L. n. 68 <strong>del</strong> 1999, art.<br />

12.<br />

- Patto di prova<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 17 novembre <strong>2010</strong>, n. 23224<br />

Ai sensi <strong>del</strong>l'art. 2096 c.c. e <strong>del</strong>la legge n. 604 <strong>del</strong> 1966, la disciplina inerente i<br />

licenziamenti individuali non si applica, per un periodo massimo di sei mesi, al<br />

rapporto di lavoro subordinato costituito con patto di prova. <strong>La</strong> caratteristica peculiare<br />

di siffatto rapporto è la natura discrezionale <strong>del</strong>lo stesso: posto che lo scopo <strong>del</strong>la<br />

prova è quello di consentire, tanto al datore di lavoro quanto al dipendente, di<br />

acquisire consapevolezza circa la convenienza di addivenire alla stipula di un<br />

contratto definitivo, è evidente che entrambe le parti devono essere libere di valutare<br />

liberamente la sussistenza di siffatta convenienza e decidere se perpetrare o meno nel<br />

rapporto. L'esercizio <strong>del</strong>la discrezionalità da parte <strong>del</strong> datore di lavoro non è peraltro<br />

assoluta, nel senso che l'eventuale licenziamento <strong>del</strong> lavoratore nel corso <strong>del</strong> periodo<br />

di prova è nullo ove il motivo <strong>del</strong> recesso sia estraneo alla causa <strong>del</strong> patto di prova,<br />

comminato, in altri termini, illecitamente anche se l'esperimento, da parte <strong>del</strong><br />

lavoratore, sia stato positivamente superato.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 17 novembre <strong>2010</strong>, n. 23231<br />

In tema di assunzione in prova, l'illegittimità <strong>del</strong> recesso, per l'inadeguata durata <strong>del</strong>la<br />

prova o l'esistenza di un motivo illecito non comporta l'applicazione <strong>del</strong>le norme di<br />

cui alla legge 15 luglio 1966, n. 604 o <strong>del</strong>l'art. 18 <strong>del</strong>lo Statuto dei lavoratori, ma la<br />

prosecuzione <strong>del</strong>la prova per il periodo mancante oppure il risarcimento <strong>del</strong> danno,<br />

dovendosi escludere che la dichiarazione di illegittimità <strong>del</strong> recesso durante il periodo<br />

di prova determini la stabile costituzione <strong>del</strong> rapporto di lavoro. (Rigetta, App.<br />

Catania, 17/01/2007).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 27 ottobre <strong>2010</strong>, n. 21965<br />

Se il licenziamento <strong>del</strong> lavoratore invalido in prova rientra nell’area <strong>del</strong>la<br />

“recedibilità acausale”, ciò non vuol dire che il datore di lavoro possa esercitare<br />

arbitrariamente il proprio diritto di recesso. Il lavoratore, infatti, potrà sempre<br />

dimostrare che il recesso è stato determinato da motivi illeciti, tra i quali anche lo<br />

svolgimento <strong>del</strong>la prova con l’assegnazione di mansioni incompatibili con lo stato di<br />

10


invalidità, e che esso sia stato intimato nonostante il superamento <strong>del</strong> periodo di<br />

prova, comportando così l’elusione <strong>del</strong>la disciplina sul collocamento dei disabili e<br />

ponendo in essere un licenziamento in frode alla legge. In ogni caso, il lavoratore non<br />

avrà diritto ad essere reintegrato dal momento che non trova applicazione la tutela di<br />

cui all’art. 18 Stat. <strong>La</strong>v.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 22 ottobre <strong>2010</strong>, n. 21758<br />

<strong>La</strong> forma scritta necessaria, a norma <strong>del</strong>l'art. 2096 cod. civ., per il patto di assunzione<br />

in prova è richiesta "ad substantiam", e tale essenziale requisito di forma, la cui<br />

mancanza comporta la nullità assoluta <strong>del</strong> patto di prova, deve sussistere sin<br />

dall'inizio <strong>del</strong> rapporto, senza alcuna possibilità di equipollenti o sanatorie, potendosi<br />

ammettere solo la non contestualità <strong>del</strong>la sottoscrizione di entrambe le parti prima<br />

<strong>del</strong>la esecuzione <strong>del</strong> contratto, ma non anche la successiva documentazione <strong>del</strong>la<br />

clausola verbalmente pattuita mediante la sottoscrizione, originariamente mancante,<br />

di una <strong>del</strong>le parti, atteso che ciò si risolverebbe nella inammissibile convalida di un<br />

atto nullo, con sostanziale diminuzione <strong>del</strong>la tutela <strong>del</strong> lavoratore. (Nella specie, la<br />

S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto la nullità <strong>del</strong> patto di<br />

prova sottoscritto dal dipendente a distanza di alcuni giorni dall'assunzione). (Rigetta,<br />

App. Ancona, 17/07/2006).<br />

* * *<br />

D. I contratti a contenuto formativo<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 23 marzo 2011, n. 6639<br />

Nel rapporto di lavoro subordinato privato non opera, di regola, il principio di parità<br />

di trattamento retributivo; ne consegue la validità <strong>del</strong>l'art. 7 <strong>del</strong> CCNL <strong>del</strong> 1995 <strong>del</strong><br />

settore autoferrotranvieri laddove prevede la riduzione salariale per i primi 15 mesi di<br />

rapporto a tempo indeterminato, a seguito <strong>del</strong>la trasformazione di contratto di<br />

formazione e lavoro, per i motivi espressi dalle parti stipulanti e, cioè, per l'incentivo<br />

premiante per il datore di lavoro che trasformi in rapporti a tempo indeterminato<br />

l'80% dei contratti di formazione e lavoro in scadenza e per la considerazione che i<br />

lavoratori "neoassunti" si trovino in possesso di una professionalità non comparabile<br />

con quella degli altri. (Cassa con rinvio, App. Milano, 01/07/2005).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 28 settembre <strong>2010</strong>, n. 20357<br />

In tema di apprendistato, posto che la disciplina legislativa in materia (legge 19<br />

gennaio 1955, n. 25) è volta a garantire che il percorso <strong>del</strong>l'apprendimento<br />

professionale sia effettivo e non meramente formale, se non addirittura fittizio, il<br />

termine finale <strong>del</strong> rapporto speciale deve essere certo e non può, relativamente ad<br />

esso, esservi ambiguità quanto all'incidenza <strong>del</strong>la detrazione dei periodi di eventuali<br />

sospensioni prolungate dal lavoro. Ne consegue che il datore di lavoro, ove ritenga di<br />

detrarre dall'apprendistato il periodo di assenza <strong>del</strong> lavoratore, spostando la scadenza<br />

convenuta ad altra data, ha l'obbligo di comunicare al lavoratore stesso, prima <strong>del</strong>la<br />

11


scadenza, il differimento, spiegandone le ragioni e indicando la nuova scadenza o il<br />

periodo che deve essere detratto. (Rigetta, App. Torino, 27/10/2005).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 28 settembre <strong>2010</strong>, n. 20357<br />

<strong>La</strong> scadenza <strong>del</strong> termine <strong>del</strong>l'apprendistato in assenza di disdetta da parte <strong>del</strong> datore di<br />

lavoro comporta, in forza <strong>del</strong>l'art. 19 <strong>del</strong>la legge 19 gennaio 1955, n. 25, la<br />

continuazione <strong>del</strong> rapporto lavorativo come ordinario rapporto di lavoro subordinato<br />

assoggettato alla regola generale in materia di durata, <strong>del</strong> tempo indeterminato, con la<br />

conseguente applicazione <strong>del</strong>la disciplina generale sui licenziamenti, dovendo<br />

escludersi, con riferimento al regime giuridico <strong>del</strong>l'apprendistato e <strong>del</strong> rapporto di<br />

lavoro a termine applicabili "ratione temporis" ed attualmente ampiamente<br />

modificati, la trasformabilità <strong>del</strong> primo nel secondo, trattandosi di tipologie di<br />

rapporto di natura speciale, dotate di un proprio, peculiare, regime di recesso e <strong>del</strong>le<br />

sue conseguenze. (Rigetta, App. Torino, 27/10/2005).<br />

Cass. civ. Sez. Unite, 23 settembre <strong>2010</strong>, n. 20074<br />

Il principio contenuto nell'art. 3 <strong>del</strong> d.l. n. 726 <strong>del</strong> 1984, convertito dall'art. 1 <strong>del</strong>la<br />

legge n. 863 <strong>del</strong> 1984, secondo il quale in caso di trasformazione <strong>del</strong> rapporto di<br />

formazione e lavoro in rapporto a tempo indeterminato, ovvero nel caso di assunzione<br />

a tempo indeterminato, con chiamata nominativa, entro dodici mesi dalla cessazione<br />

<strong>del</strong> rapporto di formazione e lavoro, il periodo di formazione e lavoro deve essere<br />

computato nell'anzianità di servizio, opera anche quando l'anzianità sia presa in<br />

considerazione da discipline contrattuali ai fini <strong>del</strong>l'attribuzione di emolumenti che<br />

hanno fondamento nella sola contrattazione collettiva, come nel caso degli aumenti<br />

periodici di anzianità di cui all'art. 7, lett. C), <strong>del</strong>l'accordo nazionale 11 aprile 1995,<br />

riprodotto nel successivo art. 7, lett. C), <strong>del</strong>l'accordo nazionale 27 novembre 2000,<br />

per i dipendenti di aziende di trasporto in concessione. (Rigetta, Trib. Torino,<br />

31/01/2008).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 20 settembre <strong>2010</strong>, n. 19834<br />

In tema di apprendistato è necessario che il rapporto di tirocinio abbia un effettivo<br />

contenuto formativo professionale, la cui valutazione, in coerenza con la previsione di<br />

cui all'art. 16, comma 2, <strong>del</strong>la legge n. 196 <strong>del</strong> 1997, deve essere operata in concreto<br />

in relazione ad ogni singolo rapporto di lavoro. Ne consegue che, pur essendo<br />

ortrattamente ammissibile la stipula di contratti di apprendistato con soggetti in<br />

possesso di titolo di studio post-obbligo o di attestato di qualifica professionale, il<br />

possesso <strong>del</strong> diploma di geometra non legittima la stipula di un contratto di<br />

apprendistato per lo svolgimento di mansioni di disegnatore tecnico, attesa la<br />

formazione specifica, impartita dall'Istituto per geometri, per il disegno tecnico in<br />

generale e per la progettazione, nonché per quello meramente esecutivo e traspositivo<br />

di particolari dei progetti esecutivi che comportano la superfluità di un addestramento<br />

pratico senza che possa considerarsi sufficiente, in senso contrario, una dichiarazione<br />

negoziale meramente qualificatoria <strong>del</strong> rapporto instaurato.<br />

12


Cass. civ. Sez. lavoro, 22 giugno <strong>2010</strong>, n. 15055<br />

In tema di apprendistato, l'art. 21, comma 6, <strong>del</strong>la legge n. 56 <strong>del</strong> 1987, prevede che i<br />

benefici contributivi previsti dalla legge n. 25 <strong>del</strong> 1955 (Disciplina <strong>del</strong>l'apprendistato)<br />

e successive modificazioni ed integrazioni, in materia di previdenza ed assistenza<br />

sociale, possano essere prolungati all'anno successivo alla trasformazione<br />

<strong>del</strong>l'apprendistato in un rapporto a tempo indeterminato, purché il lavoratore venga, a<br />

seguito <strong>del</strong>la predetta trasformazione e per il lasso temporale di un anno, utilizzato<br />

per la qualifica per cui il medesimo ha ricevuto la formazione. In tal senso, nel caso<br />

concreto, sono state considerate legittime le pretese contributive <strong>del</strong>l'I.N.P.S. e<br />

<strong>del</strong>l'I.N.A.I.L. nei confronti <strong>del</strong> datore di lavoro che, solo dopo quattro giorni dalla<br />

formale attribuzione al lavoratore <strong>del</strong>la qualifica (operaio meccanico operatore) per la<br />

cui acquisizione era stato svolto l'apprendistato, gli aveva poi riconosciuto un'altra e<br />

diversa qualifica (impiegato addetto alle revisioni), sì da non poter più usufruire dei<br />

benefici contributivi in parola.<br />

Corte cost., 14 maggio <strong>2010</strong>, n. 176<br />

E' costituzionalmente illegittimo l'art. 23, comma 2, <strong>del</strong> D.L. 25 giugno 2008, n. 112,<br />

recante "Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la<br />

competitività, la stabilizzazione <strong>del</strong>la finanza pubblica e la perequazione tributaria",<br />

come convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 ("Conversione in legge, con<br />

modificazioni, <strong>del</strong> D.L. 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo<br />

sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione <strong>del</strong>la<br />

finanza pubblica e la perequazione tributaria"), nella parte in cui, modificando l'art.<br />

49 <strong>del</strong> D.Lgs. n. 276 <strong>del</strong> 2003, stabilisce che, in caso di formazione esclusivamente<br />

aziendale, la regolamentazione dei profili formativi <strong>del</strong>l'apprendistato<br />

professionalizzante non è definita dalle regioni d'intesa con le associazioni dei datori<br />

di lavoro e dei lavoratori, ma dai contratti collettivi di lavoro. Infatti nell'ipotesi di<br />

apprendistato, con formazione esclusivamente aziendale, deve comunque essere<br />

riconosciuto alle Regioni un ruolo di stimolo e di controllo <strong>del</strong>l'attività formativa.<br />

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale <strong>del</strong> comma 2 <strong>del</strong>la stessa<br />

disposizione nella parte in cui consente che l'apprendistato professionalizzante possa<br />

durare anche meno di due anni anziché, com'era previsto in precedenza, non meno di<br />

due anni, né <strong>del</strong> comma 4 nella parte in cui elimina l'obbligo di sottoscrivere un'intesa<br />

con le regioni, per poter utilizzare il contratto di apprendistato di alta formazione.<br />

* * *<br />

E. Il contratto di lavoro a tempo determinato<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 17 febbraio 2011, n. 3871<br />

In base ad un'interpretazione coerente con il principio di non discriminazione dei<br />

lavoratori a tempo determinato, sancito dall'art. 6 <strong>del</strong> d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368,<br />

in attuazione <strong>del</strong>la direttiva comunitaria 70/1999 relativa all'accordo quadro sul<br />

13


lavoro a tempo determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e dal CES, deve ritenersi<br />

che l'art. 13 <strong>del</strong> c.c.n.l. <strong>del</strong> 16 maggio 2001, relativo al comparto Ministeri e<br />

integrativo <strong>del</strong> precedente c.c.n.l. <strong>del</strong> 16 febbraio 1999, nel prevedere la fruibilità di<br />

permessi retribuiti per motivi di studio, nella misura di 150 ore, da parte dei<br />

dipendenti con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, non esclude che i medesimi<br />

permessi debbano essere concessi a dipendenti assunti a tempo determinato, sempre<br />

che non vi sia un'obiettiva incompatibilità in relazione alla natura <strong>del</strong> singolo<br />

contratto a termine; né l'esclusione <strong>del</strong> beneficio potrebbe giustificarsi, in ragione<br />

<strong>del</strong>la mera apposizione <strong>del</strong> termine di durata contrattuale, per l'assenza di uno<br />

specifico interesse <strong>del</strong>la P.A. alla elevazione culturale dei dipendenti, giacché la<br />

fruizione dei permessi di studio prescinde dalla sussistenza di un tale interesse in capo<br />

al datore di lavoro, pubblico o privato, essendo riconducibile a diritti fondamentali<br />

<strong>del</strong>la persona, garantiti dalla Costituzione (art. 2 e 34 Cost.) e dalla Convenzione dei<br />

diritti <strong>del</strong>l'uomo (art. 2 Protocollo addizionale CEDU), e tutelati dalla legge in<br />

relazione ai diritti dei lavoratori studenti (art. 10 <strong>del</strong>la legge n. 300 <strong>del</strong> 1970).<br />

(Rigetta, App. Trento, 18/10/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 28 gennaio 2011, n. 2112<br />

Deve dichiararsi la rilevanza e non manifesta infondatezza <strong>del</strong>le questioni di<br />

legittimità costituzionale <strong>del</strong>l'art. 32, commi 5 e 6, L. 4 novembre <strong>2010</strong>, n. 183,<br />

sollevate con riferimento agli artt. 3, 4, 24, 111 e 117 Cost. Deve ordinarsi la<br />

sospensione <strong>del</strong> giudizio a quo e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 4 gennaio 2011, n. 80<br />

L'applicazione retroattiva <strong>del</strong>l'art. 32, comma 5, <strong>del</strong>la L. n. 183/<strong>2010</strong> trova limite nel<br />

giudicato formatosi sulla domanda risarcitoria conseguente all'impugnazione <strong>del</strong><br />

termine illegittimamente apposto al contratto di lavoro, in quanto l'impugnazione <strong>del</strong><br />

solo capo relativo alla declaratoria di nullità <strong>del</strong> termine non impedisce la formazione<br />

<strong>del</strong> giudicato sul capo di domanda relativo al risarcimento <strong>del</strong> danno. D'altra parte,<br />

nei procedimenti dinanzi la Cassazione, tale applicazione è possibile solo se la nuova<br />

disciplina sia pertinente alle questioni oggetto di censura nel ricorso e vi sia stata la<br />

formulazione di uno specifico quesito di diritto relativo alle conseguenze patrimoniali<br />

<strong>del</strong>l'accertata nullità <strong>del</strong> termine.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 3 gennaio 2011, n. 65<br />

In tema di rapporto di lavoro a termine, l'applicazione retroattiva <strong>del</strong>l'art. 32, quinto<br />

comma, <strong>del</strong>la legge 4 novembre <strong>2010</strong>, n. 183 - il quale ha stabilito che, in caso di<br />

conversione <strong>del</strong> contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro<br />

al pagamento di una "indennità onnicomprensiva" compresa tra 2, 5 e 12 mensilità<br />

<strong>del</strong>l'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'art. 8<br />

<strong>del</strong>la legge 15 luglio 1966, n. 604 -, prevista dal successivo settimo comma <strong>del</strong><br />

medesimo articolo in relazione a tutti i giudizi, compresi quelli pendenti alla data di<br />

entrata in vigore <strong>del</strong>la legge, trova limite nel giudicato formatosi sulla domanda<br />

risarcitoria a seguito <strong>del</strong>l'impugnazione <strong>del</strong> solo capo relativo alla declaratoria di<br />

nullità <strong>del</strong> termine, e non anche <strong>del</strong>la ulteriore statuizione relativa alla condanna al<br />

risarcimento <strong>del</strong> danno, essendo quest'ultima una statuizione avente individualità,<br />

14


specificità ed autonomia proprie rispetto alle determinazioni concernenti la natura <strong>del</strong><br />

rapporto. (Rigetta, App. Torino, 02/03/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 18 novembre <strong>2010</strong>, n. 23319<br />

Nel giudizio instaurato ai fini <strong>del</strong> riconoscimento <strong>del</strong>la sussistenza di un unico<br />

rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto <strong>del</strong>l'illegittima apposizione<br />

di un termine a numerosi contratti intervallati da periodi di inattività, affinché possa<br />

configurarsi una risoluzione <strong>del</strong> rapporto per mutuo consenso, é necessario che sia<br />

accertata - sulla base <strong>del</strong> lasso di tempo trascorso dopo la conclusione <strong>del</strong>l'ultimo<br />

contratto a termine, nonché <strong>del</strong> comportamento tenuto dalle parti e di eventuali<br />

circostanze significative - una chiara e comune volontà <strong>del</strong>le parti di porre fine ad<br />

ogni rapporto lavorativo, con la precisazione che, a tal fine, non è sufficiente la mera<br />

discontinuità <strong>del</strong>la prestazione lavorativa; la valutazione <strong>del</strong> significato e <strong>del</strong>la portata<br />

<strong>del</strong> complesso dei predetti elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui<br />

conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità, se non sussistono vizi logici o<br />

errori di diritto. (Nella specie la S.C., in applicazione <strong>del</strong> riportato principio, ha<br />

cassato con rinvio la sentenza di merito che, in relazione a quattordici contratti a<br />

termine stipulati tra le parti, aveva affermato la sussistenza di più rapporti a tempo<br />

determinato, sul mero rilievo <strong>del</strong>l'esistenza di significative interruzioni temporali di<br />

circa un anno ripetutesi tre volte, le quali non avrebbero consentito l'unificazione<br />

<strong>del</strong>l'intero rapporto, senza tuttavia spiegare in base a quali criteri tali interruzioni<br />

erano state ritenute significative, senza valutare il comportamento <strong>del</strong>le parti e<br />

l'affidamento derivante dal lungo pregresso rapporto, di tal ché non era dato<br />

comprendere la ragione per la quale, dopo un rapporto riconosciuto a tempo<br />

indeterminato, le predette interruzioni costituissero risoluzioni per mutuo consenso).<br />

(Cassa con rinvio, App. Roma, 31/05/2006).<br />

Cass. civ. Sez. VI, 16 novembre <strong>2010</strong>, n. 23119<br />

L'art. 23 <strong>del</strong>la legge 28 febbraio 1987, n. 56, che demanda alla contrattazione<br />

collettiva la possibilità di individuare - oltre le fattispecie tassativamente previste<br />

dall'art. 1 <strong>del</strong>la legge 18 aprile 1962, n. 230 e successive modifiche nonché dall'art. 8<br />

bis <strong>del</strong> d.l. 29 gennaio 1983, n. 17, convertito con modificazioni dalla legge 15 marzo<br />

1983, n. 79 - nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata <strong>del</strong> rapporto di<br />

lavoro, configura una vera e propria "<strong>del</strong>ega in bianco" a favore dei sindacati, i quali,<br />

pertanto, senza essere vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine<br />

comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al<br />

contratto di lavoro a termine per causali di carattere "oggettivo" ed anche - alla<br />

stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale - per ragioni di tipo<br />

meramente "soggettivo", consentendo (vuoi in funzione di promozione<br />

<strong>del</strong>l'occupazione o anche di tutela <strong>del</strong>le fasce deboli di lavoratori) l'assunzione di<br />

speciali categorie di lavoratori, costituendo anche in questo caso l'esame congiunto<br />

<strong>del</strong>le parti sociali sulle necessità <strong>del</strong> mercato <strong>del</strong> lavoro idonea garanzia per i suddetti<br />

lavoratori e per una efficace salvaguardia dei loro diritti. (Principio affermato ai sensi<br />

<strong>del</strong>l'art. 360 bis, comma 1, cod. proc. civ.). (Rigetta, App. Palermo, 16/07/2009)<br />

15


Cass. civ. Sez. lavoro, 15 novembre <strong>2010</strong>, n. 23057<br />

Nel rapporto di lavoro a tempo determinato, la mera inerzia <strong>del</strong> lavoratore dopo la<br />

scadenza <strong>del</strong> contratto a termine è di per sé insufficiente a ritenere sussistente una<br />

risoluzione <strong>del</strong> rapporto per mutuo consenso in quanto, affinché possa configurarsi<br />

una tale risoluzione, è necessario che sia accertata - sulla base <strong>del</strong> lasso di tempo<br />

trascorso dopo la conclusione <strong>del</strong>l'ultimo contratto a termine, nonché <strong>del</strong><br />

comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative - una chiara<br />

e certa comune volontà <strong>del</strong>le parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni<br />

rapporto lavorativo dovendosi, peraltro, considerare che l'azione diretta a far valere la<br />

illegittimità <strong>del</strong> termine apposto al contratto di lavoro, per violazione <strong>del</strong>le<br />

disposizioni che individuano le ipotesi in cui è consentita l'assunzione a tempo<br />

determinato, si configura come azione di nullità parziale <strong>del</strong> contratto per contrasto<br />

con norme imperative ex artt. 1418 e 1419, comma 2, cod. civ. di natura<br />

imprescrittibile pur essendo soggetti a prescrizione i diritti che discendono dal<br />

rapporto a tempo indeterminato risultante dalla conversione "ex lege" <strong>del</strong> rapporto a<br />

tempo determinato cui era stato apposto illegittimamente il termine. (Nella specie,<br />

relativa ad una pluralità di contratti a tempo determinato conclusi tra un aiuto<br />

arredatore e la RAI S.p.a., la S.C., in applicazione <strong>del</strong>l'anzidetto principio ha ritenuto<br />

che correttamente la Corte di merito avesse dichiarato la nullità <strong>del</strong> termine apposto,<br />

restando priva di rilievo la mera inerzia tenuta dal lavoratore per oltre un anno e<br />

mezzo, dalla scadenza <strong>del</strong> termine <strong>del</strong>l'ultimo dei cinque contratti intervenuti).<br />

(Rigetta, App. Roma, 23/08/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 28 ottobre <strong>2010</strong>, n. 22015<br />

In tema di assunzione a termine dei lavoratori subordinati, l'art. 23 <strong>del</strong>la legge 28<br />

febbraio 1987, n. 56, nel consentire alla contrattazione collettiva di individuare nuove<br />

ipotesi rispetto a quelle previste dalla legge 18 aprile 1962, n. 230, non impone di<br />

fissare contrattualmente dei limiti temporali alla facoltà di assumere lavoratori a<br />

tempo determinato, ma, ove un limite sia stato invece previsto, la sua inosservanza<br />

determina l'illegittimità dei contratti scadenti (o comunque stipulati) al di fuori di tale<br />

limite temporale, in quanto non rientranti nel complesso legislativo negoziale<br />

costituito dall'art. 23 citato e <strong>del</strong>la successiva legislazione collettiva che consente la<br />

deroga alla legge n. 230 <strong>del</strong> 1962. Né - avuto riguardo alle assunzioni a termine, nella<br />

specie di dipendenti postali, effettuate oltre il 30 aprile 1998, limite temporale<br />

stabilito con l'accordo attuativo <strong>del</strong> 16 gennaio 1998, con cui era stato prorogato<br />

l'originario termine <strong>del</strong> 31 gennaio 1998 previsto con l'accordo <strong>del</strong> 25 settembre 1997<br />

- può attribuirsi efficacia sanante all'accordo <strong>del</strong> 18 gennaio 2001, dovendosi<br />

escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo strumento<br />

<strong>del</strong>l'interpretazione autentica, di intervenire su diritti indisponibili dei lavoratori in<br />

quanto già perfezionati e, quindi, di autorizzare retroattivamente la stipulazione di<br />

contratti a termine non più legittimi. (Rigetta, App. Ancona, 25/08/2009).<br />

Cass. civ. Sez. VI, 26 ottobre <strong>2010</strong>, n. 21919<br />

In tema di risarcimento <strong>del</strong> danno dovuto al lavoratore per effetto <strong>del</strong> riconoscimento<br />

ad opera <strong>del</strong> giudice <strong>del</strong>la nullità <strong>del</strong> termine apposto al contratto di lavoro,<br />

l'eccezione, con la quale il datore di lavoro deduca che il dipendente licenziato ha<br />

percepito un altro reddito per effetto di una nuova occupazione ovvero deduca la<br />

16


colpevole astensione da comportamenti idonei ad evitare l'aggravamento <strong>del</strong> danno,<br />

non è oggetto di una specifica disposizione di legge che ne faccia riserva in favore<br />

<strong>del</strong>la parte. Pertanto, allorquando vi è stata rituale allegazione dei fatti rilevanti e gli<br />

stessi possono ritenersi incontroversi o dimostrati per effetto di mezzi di prova<br />

legittimamente disposti, il giudice può trarne d'ufficio (anche nel silenzio <strong>del</strong>la parte<br />

interessata ed anche se l'acquisizione possa ricondursi ad un comportamento <strong>del</strong>la<br />

controparte) tutte le conseguenze cui essi sono idonei ai fini <strong>del</strong>la quantificazione <strong>del</strong><br />

danno lamentato dal lavoratore illegittimamente licenziato. Ai fini <strong>del</strong>la sottrazione<br />

<strong>del</strong>l'"aliunde perceptum" dalle retribuzioni dovute al lavoratore, è necessario che<br />

risulti la prova, il cui onere grava sul datore di lavoro, non solo <strong>del</strong> fatto che il<br />

lavoratore licenziato abbia assunto nel frattempo una nuova occupazione, ma anche di<br />

quanto percepito, essendo questo il fatto che riduce l'entità <strong>del</strong> danno presunto.<br />

(Rigetta, App. Taranto, 28/08/2009).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 10 settembre <strong>2010</strong>, n. 19360<br />

Quando il rapporto di lavoro a tempo determinato (ovvero un contratto di formazione<br />

e lavoro senza formazione) viene qualificato come rapporto a tempo indeterminato,<br />

l'atto con il quale il datore di lavoro comunica la scadenza <strong>del</strong> termine integra nella<br />

sostanza un licenziamento. Non incombe, pertanto nel vizio di extrapetizione il<br />

giudice il quale dichiara invalido il recesso e liquida il danno, nell'esercizio <strong>del</strong> suo<br />

potere di qualificazione giuridica dei fatti prospettati dalla parte qualora tale recesso<br />

sia stato impugnato come licenziamento illegittimo. (Rigetta, App. Napoli,<br />

21/04/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 12 luglio <strong>2010</strong>, n. 16302<br />

In tema di contratto a termine dei dipendenti postali l'assunzione per "punte di più<br />

intensa attività stagionale", rientra nell'originaria formulazione <strong>del</strong>l'art. 8 <strong>del</strong> c.c.n.l.<br />

<strong>del</strong> 1994 ed è una ipotesi di contratto a termine direttamente introdotta dalla<br />

contrattazione collettiva, che ha natura autonoma non solo rispetto alla previsione<br />

legale <strong>del</strong> termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie ai sensi <strong>del</strong>la<br />

legge n. 230 <strong>del</strong> 1962, ma anche rispetto ai vincoli cui è sottoposta la fattispecie<br />

introdotta dall'accordo integrativo 25/9/1997 (le c.d. esigenze eccezionali). Pertanto<br />

deve essere escluso per le "punte stagionali" il limite temporale <strong>del</strong> 30/4/1998<br />

previsto per l'assunzione per esigenze eccezionali, in quanto l'autorizzazione conferita<br />

dal contratto collettivo contempla, quale unico presupposto per la sua operatività,<br />

l'assunzione in periodo caratterizzato da intensa attività di servizio. Ne discende che il<br />

giudice di merito è tenuto unicamente a verificare se sussistano elementi di fatto tali<br />

da supportare l'esistenza <strong>del</strong>le "punte" richieste dal CCLN. (Cassa e decide nel<br />

merito, App. Roma, 21/07/2005).<br />

Corte giustizia Unione Europea Sez. IV, 24 giugno <strong>2010</strong>, n. 98<br />

<strong>La</strong> clausola 8, n. 3, <strong>del</strong>l'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il<br />

18 marzo 1999, che compare in allegato alla direttiva <strong>del</strong> Consiglio 28 giugno 1999,<br />

Direttiva n. 1999/70/CE, relativa all'accordo quadro Ces, Unice e Ceep sul lavoro a<br />

tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa non osta ad una<br />

normativa nazionale, come quella di cui alla causa principale, che ha eliminato<br />

17


l'obbligo, per il datore di lavoro, di indicare nei contratti a tempo determinato<br />

conclusi per sostituire lavoratori assenti il nome di tali lavoratori e i motivi <strong>del</strong>la loro<br />

sostituzione, e che si limita a prevedere che siffatti contratti a tempo determinato<br />

debbano risultare da atto scritto e debbano specificare le ragioni <strong>del</strong> ricorso a tali<br />

contratti, purché dette nuove condizioni siano compensate dall'adozione di altre<br />

garanzie o misure di tutela oppure riguardino unicamente una categoria circoscritta di<br />

lavoratori con un contratto di lavoro a tempo determinato, circostanza che spetta al<br />

giudice <strong>del</strong> rinvio verificare.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 18 giugno <strong>2010</strong>, n. 14785<br />

Le "specifiche ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo e sostitutivo" cui<br />

fa riferimento il D.Lgs. n. 368/2001 richiedono, ai fini di tutela <strong>del</strong> lavoratore e di<br />

controllo sulla corretta applicazione <strong>del</strong>l'istituto in questione, la trasparenza, la<br />

riconoscibilità e la verificabilità <strong>del</strong>la causale addotta allo scopo di giustificare il<br />

termine apposto al contratto di lavoro. Ne consegue che tale indicazione deve avere<br />

un sufficiente grado di dettaglio e non può limitarsi all'apodittica ripetizione di quanto<br />

disposto dalla legge o dal contratto collettivo. In caso di conversione in contratto di<br />

lavoro a tempo indeterminato, il diritto <strong>del</strong> lavoratore alle retribuzioni successive alla<br />

scadenza <strong>del</strong> contratto a termine illegittimo non è automatico ma postula quantomeno<br />

la costante messa a disposizione <strong>del</strong> datore le energie lavorative da parte <strong>del</strong><br />

lavoratore ricorrente.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 13 maggio <strong>2010</strong>, n. 11625<br />

<strong>La</strong> specificazione <strong>del</strong>le ragioni giustificatrici <strong>del</strong> termine può risultare anche<br />

indirettamente nel contratto di lavoro e da esso "per relationem" in altri testi scritti<br />

accessibili alle parti.<br />

Corte giustizia Unione Europea Sez. I, 22 aprile <strong>2010</strong>, n. 486<br />

<strong>La</strong> clausola 4 <strong>del</strong>l'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18<br />

marzo 1999, figurante in allegato alla direttiva <strong>del</strong> Consiglio 28 giugno 1999,<br />

Direttiva n. 1999/70/CE, relativa all'accordo quadro Ces, Unice e Ceep sul lavoro a<br />

tempo determinato, deve interpretarsi nel senso che osta ad una disposizione<br />

nazionale come l'articolo 1, n. 2, lett. m), <strong>del</strong>la legge <strong>del</strong> <strong>La</strong>nd <strong>del</strong> Tyrol relativa agli<br />

agenti contrattuali 8 novembre 2000, nella versione in vigore sino al 1° febbraio<br />

2009, che esclude dall'ambito di applicazione di tale legge i lavoratori con un<br />

contratto di lavoro a tempo determinato <strong>del</strong>la durata massima di sei mesi o occupati<br />

solo occasionalmente.<br />

Corte cost., 24 febbraio <strong>2010</strong>, n. 65<br />

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1,<br />

comma 1, e 11 <strong>del</strong> D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, impugnati, in riferimento agli<br />

artt. 76, 77 e 117, primo comma, Cost., nella parte in cui aboliscono l'onere<br />

<strong>del</strong>l'indicazione <strong>del</strong> nominativo <strong>del</strong> lavoratore sostituito previsto dalla legge n. 230<br />

<strong>del</strong> 1962 quale condizione di liceità <strong>del</strong>l'assunzione a tempo determinato di altro<br />

dipendente. <strong>La</strong> questione è già stata ritenuta infondata con la sentenza n. 214 <strong>del</strong> 2009<br />

18


e, successivamente, manifestamente infondata con l'ordinanza n. 325 <strong>del</strong> 2009, né vi è<br />

ragione di discostarsi dalle motivazioni <strong>del</strong>le dette decisioni.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 16 febbraio <strong>2010</strong>, n. 3598<br />

Il lavoratore assunto a termine ai sensi <strong>del</strong>l'art. 1, secondo comma, lett. b), <strong>del</strong>la legge<br />

n. 230 <strong>del</strong> 1962, per la sostituzione <strong>del</strong> lavoratore assente con diritto alla<br />

conservazione <strong>del</strong> posto, non deve essere necessariamente destinato alle medesime<br />

mansioni e/o allo stesso posto <strong>del</strong> lavoratore assente, atteso che la sostituzione<br />

ipotizzata dalla norma va intesa nel senso più confacente alle esigenze <strong>del</strong>l'impresa.<br />

Pertanto, non può essere disconosciuta all'imprenditore - nell'esercizio <strong>del</strong> potere<br />

autorganizzatorio - la facoltà di disporre (in conseguenza <strong>del</strong>l'assenza di un<br />

dipendente) l'utilizzazione <strong>del</strong> personale, incluso il lavoratore a termine, mediante i<br />

più opportuni spostamenti interni, con conseguente realizzazione di un insieme di<br />

sostituzioni successive per scorrimento a catena, sempre che vi sia una correlazione,<br />

di tipo causale tra l'attività <strong>del</strong> sostituto e quella <strong>del</strong> soggetto sostituito, in difetto <strong>del</strong>la<br />

quale si avrebbe una mera coincidenza temporale tra la sostituzione interna <strong>del</strong><br />

dipendente assente e l'assegnazione <strong>del</strong> sostituto ad una posizione lavorativa non<br />

correlata a quella lasciata scoperta dal dipendente assente.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 1 febbraio <strong>2010</strong>, n. 2279<br />

Per evitare un uso indiscriminato <strong>del</strong>l'istituto <strong>del</strong> contratto a tempo determinato, il<br />

legislatore <strong>del</strong> 2001 ha imposto la trasparenza, la riconoscibilità e la verificabilità<br />

<strong>del</strong>la causale assunta a giustificazione <strong>del</strong> termine, già a partire dal momento <strong>del</strong>la<br />

stipulazione <strong>del</strong> contratto di lavoro, attraverso la previsione <strong>del</strong>l'onere di<br />

specificazione, vale a dire di una indicazione sufficientemente dettagliata <strong>del</strong>la<br />

causale nelle sue componenti identificative essenziali, sia per quanto riguarda il<br />

contenuto che con riguardo alla sua portata spazio-temporale e più in generale<br />

circostanziale. In altri termini, per le finalità indicate e alla luce <strong>del</strong>l'interpretazione<br />

comunitaria <strong>del</strong>la Direttiva n. 1999/70/CE (sentenze Kyriaki Angelidaki e Mangold) e<br />

<strong>del</strong>la clausola di non regresso, le ragioni giustificatrici devono essere<br />

sufficientemente particolareggiate sin dal primo contratto, in maniera tale da rendere<br />

possibile la conoscenza <strong>del</strong>l'effettiva portata <strong>del</strong>le stesse e quindi il controllo di<br />

effettività <strong>del</strong>le ragioni. D'altra parte, la clausola di non regresso è stata<br />

esplicitamente dalla Corte di giustizia riferita ad ogni aspetto <strong>del</strong>la disciplina<br />

nazionale <strong>del</strong> contratto a termine e quindi anche a quella <strong>del</strong> primo o unico contratto e<br />

la verifica <strong>del</strong>l'esistenza di una sua "reformatio in peius" deve effettuarsi in rapporto<br />

all'insieme <strong>del</strong>le disposizioni di diritto interno di uno Stato membro relative alla tutela<br />

dei lavoratori in materia di contratti di lavoro a tempo determinato, perseguendo lo<br />

scopo, in generale, di impedire arretramenti ingiustificati <strong>del</strong>la tutela nella materia<br />

considerata. Una interpretazione <strong>del</strong> termine "specificate" che non consentisse, nella<br />

piena trasparenza, quel controllo di effettività, assicurato, seppur in maniera diversa,<br />

dalla disciplina previdente, risulterebbe in contrasto con la clausola di non regresso,<br />

in quanto rappresenterebbe un ingiustificato arretramento in rapporto al livello<br />

generale di tutela applicabile nello Stato italiano e finirebbe altresì per configurare un<br />

eccesso di <strong>del</strong>ega da parte <strong>del</strong> governo a quanto stabilito dalla legge n. 422/2000. Per<br />

quanto riguarda le ragioni tecniche, organizzative o produttive, la specificazione <strong>del</strong>le<br />

ragioni <strong>del</strong> termine può risultare anche indirettamente nel contratto di lavoro e da esso<br />

19


per relationem in altri testi scritti accessibili alle parti, in particolare nel caso in cui,<br />

data la complessità e l'articolazione <strong>del</strong> fatto organizzativo, tecnico o produttivo che è<br />

alla base <strong>del</strong>la esigenza di assunzioni a termine, questo risulti analizzato in documenti<br />

specificamente ad esso dedicati per ragioni di gestione consapevole e/o concordata<br />

con i rappresentanti <strong>del</strong> personale.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 26 gennaio <strong>2010</strong>, n. 1577<br />

In tema di assunzione a termine di lavoratori subordinati per ragioni di carattere<br />

sostitutivo, alla luce <strong>del</strong>la sentenza <strong>del</strong>la Corte costituzionale n. 214 <strong>del</strong> 2009, con cui<br />

è stata dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale <strong>del</strong>l'art. 1, comma<br />

2, <strong>del</strong> d.lgs. n. 368 <strong>del</strong> 2001, l'onere di specificazione <strong>del</strong>le predette ragioni è<br />

correlato alla finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità <strong>del</strong>la causa<br />

<strong>del</strong>l'apposizione <strong>del</strong> termine e l'immodificabilità <strong>del</strong>la stessa nel corso <strong>del</strong> rapporto.<br />

Pertanto, nelle situazioni aziendali complesse, in cui la sostituzione non è riferita ad<br />

una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica, occasionalmente<br />

scoperta, l'apposizione <strong>del</strong> termine deve considerarsi legittima se l'enunciazione<br />

<strong>del</strong>l'esigenza di sostituire lavoratori assenti - da sola insufficiente ad assolvere l'onere<br />

di specificazione <strong>del</strong>le ragioni stesse - risulti integrata dall'indicazione di elementi<br />

ulteriori (quali l'ambito territoriale di riferimento, il luogo <strong>del</strong>la prestazione<br />

lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla<br />

conservazione <strong>del</strong> posto di lavoro) che consentano di determinare il numero dei<br />

lavoratori da sostituire, ancorchè non identificati nominativamente, ferma restando, in<br />

ogni caso, la verificabilità <strong>del</strong>la sussistenza effettiva <strong>del</strong> prospettato presupposto di<br />

legittimità. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione <strong>del</strong>la corte territoriale<br />

che aveva ritenuto esistente il requisito <strong>del</strong>la specificità con l'indicazione nell'atto<br />

scritto <strong>del</strong>la causale sostitutiva, <strong>del</strong> termine iniziale e finale <strong>del</strong> rapporto, <strong>del</strong> luogo di<br />

svolgimento <strong>del</strong>la prestazione a termine, <strong>del</strong>l'inquadramento e <strong>del</strong>le mansioni <strong>del</strong><br />

personale da sostituire; inoltre, quanto al riscontro fattuale <strong>del</strong> rispetto <strong>del</strong>la ragione<br />

sostitutiva, la S.C. ha ritenuto correttamente motivato, e come tale incensurabile,<br />

l'accertamento effettuato dal giudice di merito che, con riferimento all'ambito<br />

territoriale <strong>del</strong>l'ufficio interessato, aveva accertato il numero dei contratti a termine<br />

stipulati in ciascuno dei mesi di durata <strong>del</strong> contratto a termine, confrontandolo con il<br />

numero <strong>del</strong>le giornate di assenza per malattia, infortunio, ferie, etc. <strong>del</strong> personale a<br />

tempo indeterminato, pervenendo alla valutazione di congruità <strong>del</strong> numero dei<br />

contratti stipulati per esigenze sostitutive). (Rigetta, App. Milano, 17/09/2007).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 19 gennaio <strong>2010</strong>, n. 839<br />

Nel contratto di lavoro a termine, per poter configurare una risoluzione <strong>del</strong> rapporto<br />

per mutuo consenso, si richiede l'accertamento rigoroso <strong>del</strong>la comune volontà <strong>del</strong>le<br />

parti, i cui elementi di fatto che ne comprovano l'esistenza vanno dedotti dal datore di<br />

lavoro; incombe sul medesimo datore l'onere di dimostrare il rispetto <strong>del</strong>le percentuali<br />

di assunzione con tale contratto rispetto al totale dei dipendenti, essendo condizione<br />

di giustificazione <strong>del</strong>la stessa apposizione <strong>del</strong> termine.<br />

* * *<br />

20


F. Il contratto di lavoro part-time<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 20 ottobre <strong>2010</strong>, n. 21518<br />

In tema d'indennità di disoccupazione per i lavoratori "part-time", poiché la<br />

determinazione di un'unica soglia minima retributiva per l'accesso all'indennità di<br />

natura previdenziale, con riguardo sia ai lavoratori a tempo pieno che a quelli a tempo<br />

parziale, costituisce un ingiustificato elemento di discriminazione a danno dei<br />

lavoratori "part-time" per l'uguale trattamento di situazioni disuguali dovuto alla<br />

mancanza di un sistema di riparametrazione <strong>del</strong>la retribuzione minima settimanale<br />

analogo a quello adottato <strong>del</strong>l'art. 1, quarto comma <strong>del</strong> d.l. n. 338 <strong>del</strong> 1989, convertito<br />

nella legge n. 369 <strong>del</strong> 1989, è rilevante e non manifestamente infondata - per<br />

contrasto con gli art. 3 e 38 <strong>del</strong>la Costituzione - la questione di legittimità<br />

costituzionale <strong>del</strong>l'art. 7, primo comma, <strong>del</strong> d.l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito<br />

nella legge 11 novembre 1983, n. 638, nella parte in cui, in sede di computo <strong>del</strong><br />

numero dei contributi settimanali da accreditare ai lavoratori dipendenti nel corso<br />

<strong>del</strong>l'anno solare al fine <strong>del</strong>le prestazioni pensionistiche, non prevede che la soglia<br />

minima di retribuzione utile per l'accredito <strong>del</strong> singolo contributo ivi indicata venga<br />

ricondotta al valore <strong>del</strong>l'opera lavorativa <strong>del</strong> lavoratore a tempo pieno, e, quindi,<br />

rapportata al numero di ore settimanali effettivamente prestate dal lavoratore a tempo<br />

parziale. (Rimette gli atti alla Corte Costituzionale, App. Bologna, 22/08/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 13 ottobre <strong>2010</strong>, n. 21160<br />

Con riferimento ad una prestazione continuativa di un orario di lavoro pressoché<br />

corrispondente a quello previsto per il lavoro a tempo pieno, un rapporto di lavoro<br />

part-time può trasformarsi in rapporto a tempo pieno, nonostante la difforme, iniziale,<br />

manifestazione di volontà <strong>del</strong>le parti, non essendo necessario alcun requisito formale<br />

per la trasformazione di un rapporto a tempo parziale in rapporto di lavoro a tempo<br />

pieno, bastando in proposito dei fatti concludenti, in relazione alla prestazione<br />

lavorativa resa, costantemente secondo l'orario normale, o, addirittura, superiore.<br />

* * *<br />

G. Il contratto di lavoro a progetto<br />

Cons. Stato Sez. V, 25 novembre <strong>2010</strong>, n. 8229<br />

Il rapporto con i collaboratori a progetto è assimilabile al lavoro autonomo, anche se<br />

in questo la libertà <strong>del</strong> lavoratore è piena e concerne anche la scelta <strong>del</strong>l'opus, mentre<br />

così non avviene nel lavoro a progetto, in cui la definizione <strong>del</strong>la dimensione<br />

finalistica verso la quale far convergere in modo coordinato ed organizzato le<br />

complessive energie lavorative aggregate pertiene unicamente alla parte committente,<br />

tuttavia con evidenti differenze con il lavoro subordinato (Conferma <strong>del</strong>la sentenza<br />

<strong>del</strong> T.a.r. Lombardia - Milano, sez. III, n. 1356/2009).<br />

21


Cons. Stato Sez. V, 25 novembre <strong>2010</strong>, n. 8229<br />

Ai lavoratori autonomi, quali quelli a progetto, non sono applicabili né direttamente<br />

né indirettamente i contratti collettivi che disciplinano il lavoro subordinato, né è loro<br />

applicabile il principio costituzionale di retribuzione sufficiente, che riguarda<br />

esclusivamente il lavoro subordinato, sicché il lavoro a progetto risulta<br />

esclusivamente disciplinato dalle norme dettate dal codice civile in materia di lavoro<br />

autonomo e dalle norme speciali di cui al D.Lgs. n. 276 <strong>del</strong> 2003, che prevedono che,<br />

fatta salva la applicazione di accordi collettivi più favorevoli, il compenso corrisposto<br />

deve essere proporzionato alla quantità e qualità <strong>del</strong> lavoro eseguito e debba tenere<br />

conto dei compensi normalmente erogati per analoghe prestazioni di lavoro<br />

autonomo.<br />

Trib. Bergamo, 20 maggio <strong>2010</strong><br />

Nel caso in cui la prestazione dedotta in un contratto a progetto "certificato" sia<br />

estremamente elementare e ripetitiva, in assenza di organizzazione imprenditoriale e<br />

di rischio d'impresa, con predeterminazione <strong>del</strong> compenso, il rapporto di lavoro<br />

intercorso tra le parti dovrà essere qualificato quale rapporto di lavoro subordinato e<br />

l'accertamento giurisdizionale <strong>del</strong>l'erroneità <strong>del</strong>la qualificazione avrà effetto fin dal<br />

momento <strong>del</strong>la conclusione <strong>del</strong>l'accordo contrattuale, secondo quanto stabilito dal<br />

primo periodo <strong>del</strong> secondo comma <strong>del</strong>l'art. 80, D.Lgs. n. 276/2003.<br />

Trib. Pistoia, 12 maggio <strong>2010</strong><br />

<strong>La</strong> mancata contestazione, da parte <strong>del</strong> datore di lavoro resistente, <strong>del</strong>la affermazione<br />

relativa a modalità di svolgimento di mansioni assimilabili a quelle di un lavoratore<br />

subordinato, rende incontroverse tali circostanze e consente al giudice di interpretare<br />

il contratto di collaborazione coordinata e continuativa alla stregua di un contratto di<br />

lavoro subordinato.<br />

Trib. Bologna, 16 marzo <strong>2010</strong><br />

Il raccordo tra gli artt. 62 e 69 <strong>del</strong> D.Lgs. n. 276/2003 va inteso nel senso che, stante<br />

il requisito <strong>del</strong>la forma scritta previsto soltanto "ad probationem" <strong>del</strong> contratto a<br />

progetto, in suo difetto o in presenza di sue carenze si dà una mera presunzione "iuris<br />

tantum" <strong>del</strong>la natura subordinata <strong>del</strong> rapporto di lavoro, vincibile qualora risulti<br />

provata l'autonomia <strong>del</strong> rapporto e non la mera natura coordinata e continuativa o<br />

subordinata <strong>del</strong>la prestazione.<br />

Trib. Cassino, 5 marzo <strong>2010</strong><br />

L'accertamento giudiziale e la conseguente declaratoria di nullità <strong>del</strong> contratto di<br />

lavoro a progetto già perfezionatosi tra le parti determina l'inapplicabilità alla<br />

fattispecie <strong>del</strong> disposto codicistico di cui all'art. 2126 c.c., nella parte in cui, avuto<br />

riguardo alle prestazioni di fatto rese, pone una fictio iuris di validità <strong>del</strong> rapporto<br />

nullo, ovvero equipara il rapporto di lavoro invalido a quello valido relativamente al<br />

22


periodo di una sua effettiva esecuzione. Nell'ipotesi di nullità <strong>del</strong> contratto a progetto<br />

viene, invero, in rilievo un rapporto di lavoro autonomo, sia pure con i tratti <strong>del</strong>la<br />

parasubordinazione, il quale comporta che la declaratoria giudiziale di nullità esclude<br />

che i compensi già pattuiti tra le parti possano trovare fondamento nello stesso<br />

contratto stipulato tra le parti, al contrario residuando unicamente la possibilità di far<br />

valere l'azione di arricchimento senza causa di cui all'art. 2041 c.c. (azione nella<br />

specie, tuttavia, non proposta).<br />

* * *<br />

H. Il contratto di associazione in partecipazione<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 28 maggio <strong>2010</strong>, n. 13179<br />

L'associazione in partecipazione ha, quale elemento causale indefettibile di<br />

distinzione dal rapporto di collaborazione libero-professionale, il sinallagma tra<br />

partecipazione al rischio d'impresa gestita dall'associante e conferimento <strong>del</strong>l'apporto<br />

lavorativo <strong>del</strong>l'associato. Ne consegue che l'associato il cui apporto consista in una<br />

prestazione lavorativa deve partecipare sia agli utili che alle perdite, non essendo<br />

ammissibile un contratto di mera cointeressenza agli utili di un'impresa senza<br />

partecipazione alle perdite, tenuto conto <strong>del</strong>l'espresso richiamo, contenuto nell'art.<br />

2554, secondo comma cod. civ., all'art. 2102 cod. civ., il quale prevede la<br />

partecipazione <strong>del</strong> lavoratore agli utili "netti" <strong>del</strong>l'impresa. (Rigetta, App. Ancona,<br />

26/04/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 8 febbraio <strong>2010</strong>, n. 2728<br />

In caso di domanda diretta ad accertare la natura subordinata <strong>del</strong> rapporto di lavoro,<br />

qualora la parte che ne deduce l'esistenza non abbia dimostrato la sussistenza <strong>del</strong><br />

requisito <strong>del</strong>la subordinazione - ossia <strong>del</strong>la soggezione <strong>del</strong> lavoratore al potere<br />

direttivo, organizzativo e disciplinare <strong>del</strong> datore di lavoro, che discende<br />

dall'emanazione di ordini specifici oltre che dall'esercizio di un'assidua attività di<br />

vigilanza e controllo sull'esecuzione <strong>del</strong>la prestazione lavorativa - non occorre, ai fini<br />

<strong>del</strong> rigetto <strong>del</strong>la domanda, che sia provata anche l'esistenza <strong>del</strong> diverso rapporto<br />

dedotto dalla controparte (nella specie, di associazione in partecipazione), dovendosi<br />

escludere che il mancato accertamento di quest'ultimo equivalga alla dimostrazione<br />

<strong>del</strong>l'esistenza <strong>del</strong>la subordinazione, per la cui configurabilità è necessaria la prova<br />

positiva di specifici elementi che non possono ritenersi sussistenti per effetto <strong>del</strong>la<br />

carenza di prova su una diversa tipologia di rapporto. (Rigetta, App. Roma,<br />

27/07/2005).<br />

* * *<br />

23


I. <strong>La</strong> Somministrazione di lavoro<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 17 febbraio <strong>2010</strong>, n. 3681<br />

Il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro (art. 1 legge<br />

23 ottobre 1960, n. 1369), in riferimento agli appalti "endoaziendali", caratterizzati<br />

dall'affidamento ad un appaltatore esterno di tutte le attività, ancorché strettamente<br />

attinenti al complessivo ciclo produttivo <strong>del</strong> committente, opera tutte le volte in cui<br />

l'appaltatore metta a disposizione <strong>del</strong> committente una prestazione lavorativa,<br />

rimanendo in capo all'appaltatore-datore di lavoro i soli compiti di gestione<br />

amministrativa <strong>del</strong> rapporto (quali retribuzione, pianificazione <strong>del</strong>le ferie,<br />

assicurazione <strong>del</strong>la continuità <strong>del</strong>la prestazione), ma senza che da parte sua ci sia una<br />

reale organizzazione <strong>del</strong>la prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo<br />

autonomo. Tale divieto si applica anche agli appalti concessi dalle Ferrovie <strong>del</strong>lo<br />

Stato successivamente all'entrata in vigore <strong>del</strong>la legge 17 maggio 1985, n. 210, senza<br />

incontrare limiti nella disciplina dettata dall'art. 2, primo comma, lett. i) (speciale e<br />

posteriore rispetto all'art. 1 <strong>del</strong>la legge n. 1369 <strong>del</strong> 1960), la quale, pur conferendo<br />

ampio rilievo alle finalità di economicità ed efficienza <strong>del</strong>l'organizzazione <strong>del</strong>le<br />

Ferrovie ed alle conseguenti esigenze di elasticità e flessibilità nella dislocazione dei<br />

servizi e <strong>del</strong> personale, non ha, tuttavia, inteso consentire all'Ente Ferrovie <strong>del</strong>lo Stato<br />

più di quanto non fosse consentito all'imprenditore privato in tema di appalti di mano<br />

d'opera. (Rigetta, App. Firenze, 12/10/2006).<br />

Trib. di Vicenza, sent. 17 febbraio 2011<br />

In merito alle causali giustificative <strong>del</strong>l’utilizzo <strong>del</strong> contratto di somministrazione di<br />

lavoro a tempo determinato le ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o<br />

sostitutivo individuate all’art. 20, co. 4, D.Lgs. n. 276/2003 non devono essere<br />

necessariamente indicate in maniera specifica e dettagliata nel contratto di<br />

somministrazione, potendo ritenersi sufficiente che le stesse si presentino conformi a<br />

quelle indicate nel contratto collettivo e, come tali, già ex ante idonee a soddisfare<br />

quanto richiesto dalla legge. Inoltre, il merito al controllo giudiziale <strong>del</strong>le clausole il<br />

giudice non può pensare di dirigere l'organizzazione aziendale secondo un proprio<br />

progetto, magari riconsiderando i reparti produttivi, o procedente ad altre operazioni<br />

invasive <strong>del</strong>lo stesso genere, ma deve limitarsi a verificare che le ragioni indicate nel<br />

contratto abbiano natura di ragioni tecniche o produttivo o organizzative o sostitutive.<br />

Il controllo giudiziale non può avere ad oggetto il livello di specificità <strong>del</strong>la causale;<br />

l'unico limite che le scelte aziendali incontrano è che devono avere natura tecnica<br />

organizzativo produttiva o sostitutiva, essere qualitativamente e quantitativamente<br />

conformi a quanto indicato nella contrattazione collettiva e non incorre nei divieti<br />

espressi previsti dalla legge.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 23 novembre <strong>2010</strong>, n. 23684<br />

Nel caso di interposizione di manodopera vietata, il rapporto di lavoro si instaura<br />

effettivamente con l'interponente, sicché il licenziamento <strong>del</strong> lavoratore intimato dal<br />

datore apparente o interposto è non solo illegittimo, ma giuridicamente inesistente,<br />

con conseguente impossibilità di ratifica da parte <strong>del</strong>l'interponente, trattandosi di atto<br />

proveniente da soggetto estraneo al rapporto lavorativo. (Nella specie, relativa a<br />

24


apporto di lavoro svolto prima <strong>del</strong>l'entrata in vigore <strong>del</strong> d. lgs. 1 settembre 2003, n.<br />

276, una impresa aveva fatto illegittimamente ricorso a fornitura di lavoro<br />

temporaneo, destinando i lavoratori, in violazione <strong>del</strong> divieto di intermediazione di<br />

manodopera, ad un altro utilizzatore, con conseguente realizzazione di un rapporto<br />

contrattuale diretto con quest'ultimo). (Rigetta, App. Brescia, 21/04/2007).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 23 settembre <strong>2010</strong>, n. 20143<br />

In tema d'interposizione nel rapporto di lavoro, il pagamento dei contributi da parte<br />

<strong>del</strong>l'intermediario (datore di lavoro apparente) non ha effetto estintivo rispetto al<br />

debito contributivo cui è tenuto esclusivamente il datore di lavoro effettivo. (Cassa<br />

con rinvio, App. Trento, 23/12/2005).<br />

Trib. di Torino, sent. 1° luglio <strong>2010</strong><br />

Il contratto di somministrazione è nullo solo quando non risulti rispettata la forma<br />

scritta, mentre non è da ritenersi causa di nullità la genericità <strong>del</strong>le clausole che<br />

indicano le ragioni giustificatrici <strong>del</strong> contratto stesso. Se è vero che la previsione<br />

<strong>del</strong>l’art. 22, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003 richiama la disciplina <strong>del</strong> contratto a<br />

termine in quanto compatibile, deve in ogni caso prevalere la previsione <strong>del</strong>l’art. 21,<br />

comma 4 <strong>del</strong> medesimo decreto, in forza <strong>del</strong> quale il contratto di somministrazione è<br />

nullo solo laddove non venga rispettata la forma scritta.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 19 marzo <strong>2010</strong>, n. 6726<br />

In tema di interposizione vietata nelle prestazioni di lavoro, l'art. 1 <strong>del</strong>la legge n. 1369<br />

<strong>del</strong> 1960 non riguarda l'impresa interposta nella sua globalità, ma soltanto il rapporto<br />

tra appaltante e appaltatore con riferimento alla prestazione dei lavoratori impegnati<br />

nell'esecuzione <strong>del</strong>l'opera o <strong>del</strong> servizio in concreto appaltati, dovendosi<br />

conseguentemente ritenere priva di rilievo l'eventuale esistenza di prestazioni<br />

<strong>del</strong>l'appaltatore a favore di altri soggetti. (Rigetta, App. Torino, 30/05/2005)<br />

J. Orario di lavoro<br />

* * *<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 29 luglio <strong>2010</strong>, n. 17725<br />

Il diritto dei lavoratori turnisti ad essere compensati per lo svolgimento <strong>del</strong>l'attività<br />

lavorativa nella giornata di domenica (ancorché con differimento <strong>del</strong> riposo<br />

settimanale in un giorno diverso) può essere soddisfatto, oltre che con supplementi di<br />

paga o con specifiche indennità, con l'attribuzione di vantaggi e benefici economici<br />

contrattuali di diversa natura (quale la concessione di un maggior numero di riposi),<br />

atteso che, da un lato, la penosità <strong>del</strong> lavoro domenicale - a seconda <strong>del</strong>le circostanze<br />

di fatto e <strong>del</strong>le particolari esigenze <strong>del</strong> lavoratore, da valutare peraltro nell'attuale<br />

contesto socio - economico - può anche essere eliminata o comunque ridotta mediante<br />

un sistema di riposi settimanali che, permettendone il recupero in forma continua e<br />

concentrata nel tempo, risulti suscettibile di reintegrare compiutamente le energie<br />

25


psicofisiche <strong>del</strong> lavoratore e che, dall'altro, l'attribuzione alla contrattazione collettiva<br />

di margini di flessibilità nella regolamentazione dei regimi <strong>del</strong>l'orario e dei riposi<br />

lavorativi discende da ripetuti riconoscimenti legislativi intesi, nel rispetto <strong>del</strong>le<br />

direttive comunitarie, alla modernizzazione <strong>del</strong>la materia. (Nella specie, la S.C ., in<br />

applicazione <strong>del</strong>l'anzidetto principio, ha ritenuto adeguatamente compensata la<br />

prestazione domenicale atteso che i lavoratori turnisti, oltre ad usufruire di una<br />

specifica indennità, lavoravano per quattro giorni e riposavano per due, mentre gli<br />

altri lavoratori svolgevano la loro prestazione per cinque giorni di seguito prima di<br />

godere <strong>del</strong> periodo di riposo). (Rigetta, App. Messina, 21/04/2009).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 26 luglio <strong>2010</strong>, n. 17511<br />

Il tempo per raggiungere il luogo di lavoro rientra nell'attività lavorativa vera e<br />

propria (e va, quindi, sommato al normale orario di lavoro come straordinario)<br />

allorché lo spostamento sia funzionale rispetto alla prestazione; in particolare, sussiste<br />

il carattere di funzionalità nei casi in cui il dipendente, obbligato a presentarsi presso<br />

la sede aziendale, sia poi di volta in volta destinato in diverse località per svolgervi la<br />

sua prestazione lavorativa. (Fattispecie relativa al compenso per lavoro straordinario<br />

prestato dal lavoratore in occasione <strong>del</strong> trasporto giornaliero da lui effettuato, per la<br />

durata di circa un'ora, di operai e mezzi dalla sede <strong>del</strong>la società ai singoli cantieri).<br />

(Rigetta, App. Reggio Calabria, 27/03/2007).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 7 giugno <strong>2010</strong>, n. 13674<br />

Il lavoratore turnista, che presta la propria opera per sette o più giorni consecutivi, ha<br />

diritto ad un trattamento differenziato per l'attività svolta, che, però, non deve avere<br />

natura necessariamente economica. Il disagio, infatti, può essere compensato da<br />

giorni consecutivi di riposo successivi a quelli <strong>del</strong>la prestazione.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 7 aprile <strong>2010</strong>, n. 8255<br />

Il patto di conglobamento <strong>del</strong> compenso per lavoro straordinario nella retribuzione<br />

ordinaria deve determinare quale sia il compenso per lavoro ordinario e quale per<br />

quello straordinario, così da permettere al Giudice il controllo in merito all'effettivo<br />

riconoscimento al dipendente dei diritti inderogabili spettanti per legge o per contratto<br />

collettivo. Pertanto, il patto deve ritenersi nullo quando non risultano riconosciuti tali<br />

diritti inderogabili o se non sussiste la distinzione.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 15 marzo <strong>2010</strong>, n. 6204<br />

In tema di trattamento di fine rapporto dei dipendenti <strong>del</strong>le Casse di risparmio, la<br />

mancanza, nella disciplina collettiva di settore (in particolare, l'art. 40 <strong>del</strong> c.c.n.l. <strong>del</strong><br />

9 marzo 1983, l'art. 40 <strong>del</strong> c.c.n.l. <strong>del</strong> 19 marzo 1987 e l'art. 44 <strong>del</strong> c.c.n.l. <strong>del</strong> 16<br />

gennaio 1991) di un'espressa esclusione, dalla base di calcolo <strong>del</strong> trattamento di fine<br />

rapporto, dei compensi per lavoro straordinario svolto in modo non occasionale, si<br />

interpreta nel senso che le parti collettive non hanno inteso avvalersi <strong>del</strong>la facoltà<br />

derogatoria <strong>del</strong> regime legale prevista dall'art. 2120, secondo comma, cod. civ.<br />

(Rigetta, Trib. Torino, 24/07/2008).<br />

26


Cass. civ. Sez. lavoro, 4 febbraio <strong>2010</strong>, n. 2625<br />

Il lavoratore può far valere il suo diritto al trattamento di fine rapporto mediante<br />

l'azione di accertamento, fin tanto che persista l'interesse ad eliminare uno stato di<br />

incertezza in ordine alle modalità di maturazione <strong>del</strong> trattamento (sia nel caso in cui la<br />

composizione <strong>del</strong>la base di computo <strong>del</strong> trattamento sia stata conosciuta mediante la<br />

comunicazione degli accantonamenti, sia in quello in cui tale composizione possa<br />

venire in discussione a seguito <strong>del</strong>l'eventuale erogazione di anticipazioni), ovvero<br />

mediante l'azione di condanna, una volta che il rapporto sia cessato e si intenda<br />

ottenere la liquidazione di tale trattamento; allorché venga proposta quest'ultima<br />

azione, diretta ad una diversa liquidazione mediante il ricalcolo <strong>del</strong> t.f.r., l'interesse ad<br />

agire, identificandosi, non tanto con l'eliminazione di uno stato di incertezza che si<br />

protrae "de die in diem", quanto con il ricevimento di una somma di denaro in<br />

conseguenza di un inesatto adempimento, sorge al momento <strong>del</strong>la cessazione <strong>del</strong><br />

rapporto di lavoro, cui sono oggettivamente subordinate l'esistenza <strong>del</strong> diritto e la<br />

proposizione <strong>del</strong>l'azione, sicché soltanto da tale momento può decorrere la<br />

prescrizione. (Rigetta, App. Roma, 09/05/2006)<br />

K. <strong>La</strong> retribuzione<br />

* * *<br />

- Obblighi retributivi<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 23 novembre <strong>2010</strong>, n. 23683<br />

Lo sciopero è un diritto costituzionalmente garantito e produce l'effetto di sospendere<br />

l'obbligazione <strong>del</strong> datore di lavoro di corrispondere la retribuzione, mentre il rapporto<br />

di lavoro resta in vita per tutti gli altri profili; ne deriva che, ove una disciplina<br />

contrattuale preveda la corresponsione <strong>del</strong>le prestazioni economiche sulla base di una<br />

graduatoria che tenga conto <strong>del</strong>la durata e continuità <strong>del</strong> servizio prestato dal<br />

lavoratore, deve ritenersi continuativo il servizio prestato anche se nell'ambito <strong>del</strong>lo<br />

stesso siano intercorse alcune giornate di sciopero. (Rigetta, App. Bari, 07/03/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 22 novembre <strong>2010</strong>, n. 23614<br />

In tema di rapporto di lavoro subordinato, le obbligazioni <strong>del</strong>le parti si inseriscono<br />

all'interno di un rapporto contrattuale sinallagmatico di carattere continuativo che<br />

rende inapplicabile il principio, valido per le obbligazioni unilaterali, secondo cui le<br />

obbligazioni non possono avere carattere perpetuo, dovendosi ritenere che le<br />

erogazioni da parte <strong>del</strong> datore di lavoro trovano la loro causa nelle prestazioni<br />

lavorative dei dipendenti, intesi sia come singoli che come collettività, mentre queste<br />

ultime traggono, a loro volta, la giustificazione nelle erogazioni a carico <strong>del</strong> datore,<br />

tra le quali rientrano tutte le somme di denaro, a qualsiasi titolo, anche diverso dallo<br />

stipendio di base e dalle voci previste dalla contrattazione collettiva, corrisposte ai<br />

dipendenti in maniera stabile e continuativa. Ne consegue che il datore di lavoro non<br />

può recedere unilateralmente, senza accordo preventivo, dall'obbligo a suo carico di<br />

27


corrisponderle, integrando l'eventuale loro cessazione, in assenza di specifica<br />

giustificazione di carattere giuridico (e non semplicemente di natura economica), una<br />

forma di inadempimento contrattuale che può essere, secondo i casi, totale o parziale.<br />

(Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto<br />

inadempiente il datore di lavoro per aver unilateralmente congelato la quattordicesima<br />

mensilità). (Rigetta, App. Ancona, 06/07/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 15 ottobre <strong>2010</strong>, n. 21274<br />

<strong>La</strong> giusta retribuzione spettante al lavoratore, ai sensi <strong>del</strong>l'art. 36 Cost., deve essere<br />

individuata nei minimi retributivi stabiliti per ciascuna qualifica dalla contrattazione<br />

collettiva, i quali devono applicarsi necessariamente, indipendentemente<br />

dall'iscrizione o meno <strong>del</strong> datore di lavoro ad un'associazione sindacale stipulante, ed<br />

anche nel caso si tratti di imprese di non rilevanti dimensioni, ove non sussista una<br />

separata contrattazione collettiva. (Rigetta, App. Bari, 29/06/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 7 ottobre <strong>2010</strong>, n. 20790<br />

In tema di retribuzione, ancorchè l'art. 23 <strong>del</strong> D.P.R. n.600 <strong>del</strong> 1973, e successive<br />

modificazioni, preveda che il datore di lavoro debba effettuare le trattenute prescritte<br />

dalla legge su tutte le somme e i valori erogati al dipendente, non può escludersi un<br />

accordo, purchè espresso ed inequivoco, tra il lavoratore ed il datore con cui si<br />

stabilisca di calcolare la retribuzione al netto e non al lordo <strong>del</strong>le imposte e degli<br />

oneri contributivi. (Rigetta, App. Catania, 04/04/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 27 settembre <strong>2010</strong>, n. 20269<br />

Il principio <strong>del</strong>l'inderogabilità dei minimi tariffari, stabilito dall'art. 24 <strong>del</strong>la legge 13<br />

giugno 1942, n. 794, sugli onorari di avvocato e procuratore, non trova applicazione<br />

nel caso di rinuncia, totale o parziale, alle competenze professionali, allorché<br />

quest'ultima non risulti posta in essere strumentalmente per violare la norma<br />

imperativa sui minimi di tariffa. <strong>La</strong> prestazione d'opera <strong>del</strong> difensore può, infatti,<br />

essere gratuita - in tutto o in parte - per ragioni varie, oltre che di amicizia e parentela,<br />

anche di semplice convenienza. Sotto questo riflesso la retribuzione costituisce un<br />

diritto patrimoniale disponibile e la convenzione relativa può concretarsi, sul piano<br />

sostanziale, anche in un accordo transattivo, in quanto tale, pienamente lecito,<br />

rientrando esso nella libera autonomia dispositiva <strong>del</strong>le parti contraenti, alle quali è<br />

soltanto inibito di infrangere il divieto legale sancito dal citato art. 24, e cioè quello di<br />

predeterminare consensualmente l'ammontare dei compensi professionali in misura<br />

inferiore ai minimi tariffari. (Nella fattispecie, la Corte, confermando la pronuncia di<br />

secondo grado, ha escluso che la richiesta periodica di pagamento a "forfait"<br />

formulata sulla base di un preventivo accordo in violazione dei minimi fosse<br />

qualificabile come lecita rinuncia successiva). (Cassa e decide nel merito, App.<br />

Napoli, 15/09/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 27 settembre <strong>2010</strong>, n. 20269<br />

Il disposto <strong>del</strong>l'art. 429, terzo comma, cod. proc. civ., relativo alla rivalutazione<br />

monetaria (ed interessi) dei crediti di lavoro, trova applicazione - come sottolineato<br />

28


dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 65 <strong>del</strong> 1978 e n. 76 <strong>del</strong> 1981 - in ordine a<br />

tutti i rapporti elencati nell'art. 409 <strong>del</strong>lo stesso codice e, pertanto, opera non solo<br />

nell'ambito <strong>del</strong> lavoro subordinato ma anche in quello autonomo, ove questo sia<br />

caratterizzato dalla continuità e dalla coordinazione <strong>del</strong>le prestazioni eseguite (cd.<br />

parasubordinazione). Tali caratteristiche sono riscontrabili nella convenzione stipulata<br />

tra un avvocato ed una società relativa all'espletamento di tutta l'attività stragiudiziale<br />

e giudiziale concernente il recupero dei crediti contenziosi. (Cassa e decide nel<br />

merito, App. Napoli, 15/09/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 10 settembre <strong>2010</strong>, n. 19358<br />

Nello svolgimento <strong>del</strong> rapporto di lavoro si rivela necessario operare una distinzione<br />

tra una fase finale, che soddisfa direttamente l'interesse <strong>del</strong> datore di lavoro, ed una<br />

fase preparatoria, relativa a prestazioni o attività di carattere accessorio e strumentale,<br />

da eseguire nell'ambito <strong>del</strong>la disciplina d'impresa ed autonomamente esigibili dal<br />

datore di lavoro, con la conseguenza che al tempo impiegato dal prestatore<br />

<strong>del</strong>l'attività lavorativa per prepararsi alla stessa, estraneo alla prestazione finale, deve<br />

corrispondere una retribuzione aggiuntiva. In tal senso, in particolare, al fine di<br />

stabilire se il tempo impiegato dal dipendente per indossare gli abiti da lavoro debba o<br />

meno essere retribuito, si afferma che la relativa attività rientra negli atti di diligenza<br />

preparatoria allo svolgimento <strong>del</strong>l'attività lavorativa, e come tale non deve essere<br />

retribuita, qualora sia al lavoratore concessa la facoltà di scegliere il tempo ed il luogo<br />

ove indossare la divisa, mentre nella diversa ipotesi in cui, come nella specie, tale<br />

operazione è diretta dal datore di lavoro, il quale ne disciplina il tempo e le modalità<br />

di esecuzione (nello specifico, in particolare, imponendo ai lavoratori l'obbligo di<br />

timbrare il cartellino di presenza anche all'entrata ed all'uscita dallo spogliatoio, oltre<br />

che dall'azienda), essa rientra nel lavoro effettivo e, conseguentemente, deve essere<br />

retribuita.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 30 agosto <strong>2010</strong>, n. 18856<br />

In tema di lavoro minorile, l'avvenuta violazione <strong>del</strong>la norma imperativa di cui all'art.<br />

3, primo comma, <strong>del</strong>la legge 17 ottobre 1967, n. 977, così come sostituito dall'art. 5,<br />

comma 1, <strong>del</strong> d.lgs. 4 agosto 1999, n. 345, che ha fissato a quindici anni l'età minima<br />

per l'assunzione al lavoro, non fa venir meno il diritto alla retribuzione per l'attività<br />

effettivamente prestata dal soggetto tutelato, stante il disposto, oltre che <strong>del</strong>l'art. 2126,<br />

secondo comma, cod. civ., anche <strong>del</strong>l'art. 37 Cost., che sancisce il diritto <strong>del</strong><br />

lavoratore minorenne alla parità di retribuzione a parità di lavoro e di mansioni svolte<br />

rispetto agli altri lavoratori, a nulla rilevando che il lavoratore a dette mansioni, in<br />

ragione <strong>del</strong>l'età, non potesse essere adibito. (Rigetta, App. Napoli, 08/03/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 15 giugno <strong>2010</strong>, n. 14334<br />

In tema di retribuzione dei lavoratori socialmente utili, le tutele tipiche <strong>del</strong> rapporto di<br />

lavoro subordinato, quali la tredicesima mensilità, le ferie retribuite ed il T.F.R., non<br />

sono riconosciute in relazione all'importo integrativo corrisposto dall'ente pubblico<br />

utilizzatore rispetto all'attività coperta dal trattamento previdenziale previsto dall'art.<br />

8 <strong>del</strong> d.lgs. n. 468 <strong>del</strong> 1997, atteso che il T.F.R., previsto dall'art. 2, comma 2 <strong>del</strong>la<br />

legge n. 464 <strong>del</strong> 1972, è determinato sulla sola quota <strong>del</strong>l'integrazione e la tredicesima<br />

29


mensilità, contenuta nel trattamento straordinario di cassa integrazione guadagni<br />

previsto dall'articolo unico <strong>del</strong>la legge n. 427 <strong>del</strong> 1980 (sia nel testo originario che in<br />

quello modificato dall'art. 1 <strong>del</strong>la legge n. 299 <strong>del</strong> 1994) è computata nella<br />

retribuzione costituente la base di calcolo degli importi <strong>del</strong>l'integrazione salariale,<br />

mentre le ferie e le festività sono direttamente coperte dallo stesso trattamento di<br />

cassa integrazione, che viene erogato per dodici mensilità, e quindi anche per il<br />

periodo nel quale non si presta attività lavorativa, dovendosi ritenere la<br />

ragionevolezza <strong>del</strong>la differenziata tutela rispetto al rapporto di lavoro subordinato,<br />

con conseguente infondatezza dei dubbi di costituzionalità, in quanto il complessivo<br />

assetto così <strong>del</strong>ineato risponde ad un equilibrato contemperamento tra l'esigenza dei<br />

lavoratori di continuare a percepire l'indennità di cassa integrazione di lunga durata,<br />

conservando l'iscrizione nelle liste di collocamento speciale, con quella di assolvere<br />

alla richiesta di lavorare presso soggetti pubblici a progetti di utilità generale.<br />

(Rigetta, App. Napoli, 20/08/2005).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 7 aprile <strong>2010</strong>, n. 8255<br />

Il patto di conglobamento nei compensi corrisposti per le prestazioni lavorative di<br />

corrispettivi ulteriormente dovuti al lavoratore subordinato per legge o per contratto<br />

(quali la tredicesima mensilità, il compenso per le ferie e per le festività), può essere<br />

ammesso solo se dal patto risultino gli specifici titoli cui è riferibile la prestazione<br />

patrimoniale complessiva, poiché solo in tal caso è superabile la presunzione che il<br />

compenso convenuto è dovuto quale corrispettivo <strong>del</strong>la sola prestazione ordinaria, e si<br />

rende possibile il controllo giudiziale circa l'effettivo riconoscimento al lavoratore dei<br />

diritti inderogabilmente spettanti per legge o per contratto, senza che, in senso<br />

contrario, possa essere invocato il criterio <strong>del</strong>l'assorbimento - imperniato sul<br />

"trattamento globale più favorevole" tra quello di fatto goduto e quello spettante sulla<br />

base dei minimi contrattuali con conseguente imputazione alle competenze indirette<br />

degli emolumenti eccedenti i primi - che, fondandosi sulla diversa situazione <strong>del</strong>la<br />

conversione di un rapporto qualificato "ab origine" come autonomo in un contratto di<br />

prestazione d'opera subordinata, pone la necessità di operare un raffronto, per la<br />

differente qualificazione <strong>del</strong>le voci di compenso, fra il percepito e il dovuto. (Rigetta,<br />

App. Roma, 12/05/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 26 marzo <strong>2010</strong>, n. 7380<br />

Il datore di lavoro che abbia stipulato un contratto di lavoro con un lavoratore<br />

extracomunitario privo <strong>del</strong> permesso di soggiorno è tenuto all'osservanza degli<br />

obblighi retributivi e contributivi derivanti dal contratto.<br />

- T.F.R.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 9 dicembre <strong>2010</strong>, n. 24897<br />

In relazione ai contratti di assicurazione stipulati dal datore di lavoro (nella specie, un<br />

istituto bancario) in favore dei propri dipendenti ai sensi <strong>del</strong>l'art. 4 r.d.l. 8 gennaio<br />

1942 n. 5, (in sostituzione <strong>del</strong>l'iscrizione al Fondo per l'indennità agli impiegati,<br />

previsto dal medesimo decreto), qualora la Banca stipulante abbia cessato di<br />

30


icomprendere negli accantonamenti gli aumenti stipendiali via via succedutisi ed<br />

abbia omesso, con conseguente diminuzione <strong>del</strong> capitale assicurato e, quindi, <strong>del</strong><br />

rendimento dei premi (ceduto, con convenzione aggiuntiva, ai dipendenti), la<br />

riliquidazione <strong>del</strong>le spettanze di fine rapporto mediante inclusione nell'indennità di<br />

buonuscita <strong>del</strong>le differenze <strong>del</strong> rendimento dei premi di polizza non compete ai<br />

dipendenti assunti dopo il suddetto "congelamento" <strong>del</strong> capitale, che costituisse<br />

revoca <strong>del</strong> contratto a favore di terzi a suo tempo stipulato, efficace nei confronti di<br />

coloro che, assunti successivamente alla stipula <strong>del</strong>la convenzione, non potessero aver<br />

dichiarato di volerne profittare. (Rigetta, App. Bologna, 19/12/2005).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 1 luglio <strong>2010</strong>, n. 15662<br />

Ai fini <strong>del</strong>la tutela prevista dalla legge n. 297 <strong>del</strong> 1982 in favore dei lavoratori per il<br />

pagamento <strong>del</strong> TFR in caso di insolvenza <strong>del</strong> datore di lavoro, ove quest'ultimo, pur<br />

assoggettabile al fallimento, non possa in concreto essere dichiarato fallito per aver<br />

cessato l'attività da oltre un anno, è ammissibile un'azione nei confronti <strong>del</strong> Fondo di<br />

garanzia, ai sensi <strong>del</strong>l'art. 2, quinto comma <strong>del</strong>la legge n. 297 citata, purché il<br />

lavoratore abbia esperito infruttuosamente una procedura di esecuzione forzata, salvo<br />

che risulti l'esistenza di altri beni aggredibili con l'azione esecutiva. (Rigetta, App.<br />

Campobasso, 23/03/2007).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 15 marzo <strong>2010</strong>, n. 6204<br />

In tema di trattamento di fine rapporto dei dipendenti <strong>del</strong>le Casse di risparmio, la<br />

mancanza, nella disciplina collettiva di settore (in particolare, l'art. 40 <strong>del</strong> c.c.n.l. <strong>del</strong><br />

9 marzo 1983, l'art. 40 <strong>del</strong> c.c.n.l. <strong>del</strong> 19 marzo 1987 e l'art. 44 <strong>del</strong> c.c.n.l. <strong>del</strong> 16<br />

gennaio 1991) di un'espressa esclusione, dalla base di calcolo <strong>del</strong> trattamento di fine<br />

rapporto, dei compensi per lavoro straordinario svolto in modo non occasionale, si<br />

interpreta nel senso che le parti collettive non hanno inteso avvalersi <strong>del</strong>la facoltà<br />

derogatoria <strong>del</strong> regime legale prevista dall'art. 2120, secondo comma, cod. civ.<br />

(Rigetta, Trib. Torino, 24/07/2008).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 13 gennaio <strong>2010</strong>, n. 365<br />

In tema di determinazione <strong>del</strong> trattamento di fine rapporto, il principio secondo il<br />

quale la base di calcolo va di regola determinata in relazione al principio <strong>del</strong>la<br />

onnicomprensività <strong>del</strong>la retribuzione di cui all'art. 2120 cod. civ., nel testo novellato<br />

dalla legge n. 297 <strong>del</strong> 1982, è derogabile dalla contrattazione collettiva, che può<br />

limitare la base di calcolo anche con modalità indirette purché la volontà risulti chiara<br />

pur senza l'utilizzazione di formule speciale od espressamente derogatorie. Ne<br />

consegue che, con riferimento al personale dipendente <strong>del</strong>le aziende grafiche e affini<br />

e <strong>del</strong>le aziende editoriali (nella specie, <strong>del</strong>l'Istituto Poligrafico e Zecca <strong>del</strong>lo Stato), a<br />

partire dal c.c.n.l. <strong>del</strong> 1° novembre 1992, la quota annuale di cui all'art. 1 <strong>del</strong>la legge<br />

n. 297 <strong>del</strong> 1982 per il calcolo <strong>del</strong> trattamento di fine rapporto concerne la retribuzione<br />

indicata, con definizione non onnicomprensiva, nell'art. 21 <strong>del</strong> c.c.n.l medesimo sulla<br />

nomenclatura, ossia quella "complessivamente percepita dal quadro, dall'impiegato e<br />

dall'operaio per la sua prestazione lavorativa, nell'orario normale", con esclusione<br />

<strong>del</strong>le prestazioni di lavoro straordinario. (Interpretazione diretta per la prima volta, ex<br />

art. 360, n. 3 cod. proc. civ., da parte <strong>del</strong>la S.C. <strong>del</strong>le disposizioni contrattuali<br />

31


collettive relative al TFR per il personale dipendente <strong>del</strong>le aziende grafiche). (Rigetta,<br />

App. Roma, 22/08/2007).<br />

- Il Fondo di garanzia INPS<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 13 ottobre <strong>2010</strong>, n. 21143<br />

<strong>La</strong> funzione previdenziale <strong>del</strong>l'intervento <strong>del</strong> Fondo di garanzia <strong>del</strong>l'Inps, di cui al<br />

D.Lgs. n. 297/1982, art. 2, non osta all'intervento <strong>del</strong> Fondo a favore <strong>del</strong> cessionario a<br />

titolo oneroso <strong>del</strong> credito relativo al trattamento di fine rapporto spettante al<br />

lavoratore, in quanto l'intervento è previsto in favore degli "aventi diritto" e, con tale<br />

termine, che non può che essere inteso nel medesimo significato attribuito all'identica<br />

espressione contenuta nell'art. 2122 c.c., si fa riferimento agli aventi causa in genere<br />

<strong>del</strong> lavoratore, a prescindere dal titolo, universale o particolare, <strong>del</strong>la successione nel<br />

diritto.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 11 giugno <strong>2010</strong>, n. 14076<br />

In tema di intervento <strong>del</strong> Fondo di garanzia <strong>del</strong>l'INPS per il pagamento <strong>del</strong><br />

trattamento di fine rapporto in favore di soci lavoratori di cooperative in situazione di<br />

insolvenza, l'art. 24 <strong>del</strong>la legge n. 196 <strong>del</strong> 1997 - che ha esteso l'intervento <strong>del</strong> Fondo<br />

a tali lavoratori - è applicabile retroattivamente, in funzione di tutela previdenziale dei<br />

soci lavoratori, a condizione che siano stati pagati i contributi previdenziali per il<br />

periodo precedente all'entrata in vigore <strong>del</strong>la disposizione, attesa la "ratio" <strong>del</strong>la<br />

norma transitoria, che riconosce rilevanza all'assicurazione volontariamente e<br />

irretrattabilmente istituita dalle cooperative, e la finalità <strong>del</strong>l'intervento normativo,<br />

consistente nel riconoscimento <strong>del</strong>la garanzia <strong>del</strong> credito per TFR nei limiti in cui sia<br />

stato reso operativo in favore dei soci dall'autonomia contrattuale, a seguito di<br />

conforme previsione statutaria o assembleare o di comportamenti concludenti (quali il<br />

versamento <strong>del</strong>la prescritta contribuzione). (Rigetta, App. Catania, 09/11/2006)<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 30 aprile <strong>2010</strong>, n. 10531<br />

Con riferimento all'obbligo <strong>del</strong> Fondo di garanzia costituito presso l'INPS, ai sensi <strong>del</strong><br />

d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 80, di pagare ai lavoratori la retribuzione <strong>del</strong>le ultime tre<br />

mensilità rientranti nei dodici mesi che precedono la data <strong>del</strong> provvedimento di<br />

apertura <strong>del</strong>la procedura concorsuale a carico <strong>del</strong> datore di lavoro, alla stregua di<br />

un'interpretazione adeguatrice <strong>del</strong>la norma interna al diritto comunitario, gli ultimi tre<br />

mesi <strong>del</strong> rapporto, per rientrare nella garanzia approntata dalla direttiva, devono<br />

essere tali da dare diritto alla retribuzione e, ove tale diritto non sussista, i medesimi<br />

non possono esser presi in considerazione, mancando lo stesso presupposto a cui la<br />

disposizione comunitaria è preordinata. Conseguentemente, i periodi non lavorati che<br />

non danno luogo a diritti salariali (nella specie, per sospensione di fatto <strong>del</strong>l'attività<br />

aziendale) devono essere esclusi, ossia neutralizzati dalla nozione di "ultimi tre mesi<br />

<strong>del</strong> rapporto", rientrando nella tutela <strong>del</strong>la direttiva i tre mesi immediatamente<br />

precedenti nei quali, invece, vi era diritto alla retribuzione, ma questa non fu pagata.<br />

(Rigetta, App. Roma, 23/01/2006).<br />

32


Cass. civ. Sez. lavoro, 19 aprile <strong>2010</strong>, n. 9231<br />

Il diritto <strong>del</strong> lavoratore alla prestazione <strong>del</strong> Fondo di garanzia <strong>del</strong>l'INPS, in caso di<br />

insolvenza <strong>del</strong> datore di lavoro, sorge, ove il credito sia stato accertato nell'ambito<br />

<strong>del</strong>la procedura concorsuale, secondo le specifiche regole di quest'ultima, dovendosi<br />

ritenere sufficiente a sorreggere la pretesa di pagamento <strong>del</strong> lavoratore nei confronti<br />

<strong>del</strong> Fondo - in coerenza con i principi comunitari in materia, volti a garantire al<br />

lavoratore l'adempimento dei crediti retributivi in caso di insolvenza datoriale -<br />

l'avvenuta ammissione <strong>del</strong> credito al passivo, senza la necessità di una preventiva<br />

informazione all'Istituto previdenziale <strong>del</strong>la sussistenza dei presupposti e <strong>del</strong>la misura<br />

<strong>del</strong> credito. Ne consegue che il potere di organizzazione e regolamentazione attribuito<br />

dalla legge all'INPS, in riferimento alla determinazione <strong>del</strong>la documentazione da<br />

allegare alla domanda <strong>del</strong> lavoratore, deve essere esercitato secondo criteri di<br />

ragionevolezza, così da non vanificare l'esercizio dei diritti riconosciuti al lavoratore.<br />

(Nella specie, l'INPS aveva rifiutato il pagamento <strong>del</strong> TFR al lavoratore a causa <strong>del</strong>la<br />

mancata consegna <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo TFR 3-bis, richiesto dall'Istituto per la liquidazione<br />

<strong>del</strong>la somma, nonostante che tale evento fosse imputabile esclusivamente al curatore<br />

fallimentare, che ne aveva omesso la compilazione; la S.C., in applicazione <strong>del</strong><br />

principio di cui alla massima, ha ritenuto l'interpretazione <strong>del</strong>l'INPS "contra legem",<br />

poiché determinava il venir meno <strong>del</strong> diritto <strong>del</strong> lavoratore pur in presenza dei<br />

requisiti previsti dalla legge per la sussistenza <strong>del</strong> diritto). (Rigetta, App. Bari,<br />

06/10/2005).<br />

- Prescrizione crediti retributivi<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 21 dicembre <strong>2010</strong>, n. 25861<br />

Gli atti interruttivi <strong>del</strong>la prescrizione riconducibili alla previsione <strong>del</strong>l'art. 2943,<br />

quarto comma, cod. civ., consistono in atti recettizi, con i quali il titolare <strong>del</strong> diritto<br />

manifesta al soggetto passivo la sua volontà non equivoca, intesa alla realizzazione<br />

<strong>del</strong> diritto stesso. Essi, pertanto, possono produrre tale effetto limitatamente ai diritti<br />

ai quali corrisponde nel soggetto passivo un dovere di comportamento e non anche<br />

per i diritti potestativi, ai quali fa riscontro una situazione di mera soggezione,<br />

anziché di obbligo, nel soggetto controinteressato. (Nella specie, la S.C. ha<br />

confermato la sentenza impugnata che, con riguardo all'azione proposta dal lavoratore<br />

subordinato per l'annullamento <strong>del</strong>le dimissioni comunicate al datore di lavoro, aveva<br />

ritenuto inidoneo ad interrompere il corso <strong>del</strong>la prescrizione l'atto <strong>del</strong> difensore <strong>del</strong><br />

dipendente volto a sollecitare una soluzione transattiva di una futura controversia).<br />

(Rigetta, Trib. Bologna, 07/03/2005).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 28 luglio <strong>2010</strong>, n. 17629<br />

In tema di prescrizione dei crediti <strong>del</strong> lavoratore, il principio di cui agli artt. 2948 n.4,<br />

2955 n. 2 e 2956 n. 1 cod. civ. (quali risultanti dalla pronuncia <strong>del</strong>la Corte<br />

costituzionale n. 63 <strong>del</strong> 1966), secondo il quale la prescrizione non decorre in<br />

costanza di rapporto di lavoro non assistito da stabilità reale, riguarda per espressa<br />

previsione il solo diritto alla retribuzione e non si estende al diritto <strong>del</strong> lavoratore al<br />

risarcimento <strong>del</strong> danno derivante dalla violazione degli obblighi di cui all'art. 2087<br />

cod. civ., la cui prescrizione (decennale in caso di azione di responsabilità<br />

33


contrattuale) decorre dal momento in cui il danno si è manifestato, anche in corso di<br />

rapporto di lavoro. (Rigetta, App. Venezia, 16/11/2005).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 14 luglio <strong>2010</strong>, n. 16542<br />

L'eccezione di interruzione <strong>del</strong>la prescrizione, configurandosi diversamente<br />

dall'eccezione di prescrizione come eccezione in senso lato, può essere rilevata anche<br />

d'ufficio dal giudice in qualsiasi stato e grado <strong>del</strong> processo, ma sulla base di<br />

allegazioni e di prove ritualmente acquisite o acquisibili al processo e, in ordine alle<br />

controversie assoggettate al rito <strong>del</strong> lavoro, sulla base dei poteri istruttori<br />

legittimamente esercitabili anche di ufficio ai sensi <strong>del</strong>l'art. 421, secondo comma,<br />

cod. proc. civ., dal giudice, tenuto, secondo tale norma all'accertamento <strong>del</strong>la verità<br />

dei fatti rilevanti ai fini <strong>del</strong>la decisione. Pertanto in presenza di un quadro probatorio<br />

che non consenta di ritenere sicuramente insussistente un fatto costitutivo od<br />

impeditivo l'esercizio di tali poteri istruttori è doveroso ove l'incertezza possa essere<br />

rimossa con opportune iniziative istruttorie sollecitate dal giudice. (Nell'affermare il<br />

principio la Corte, in una fattispecie relativa ad una richiesta di pagamento dei<br />

contributi previdenziali, ha cassato la sentenza di merito laddove questa, pure in<br />

presenza di documentati fatti interruttivi quali la presentazione di una istanza di<br />

fallimento da oltre dieci anni, di un atto di successiva diffida, nonché di pagamenti<br />

parziali effettuati dopo l'istanza di fallimento, non aveva adeguatamente motivato<br />

circa il mancato esercizio di detti poteri istruttori ufficiosi). (Cassa con rinvio, App.<br />

Brescia, 20/06/2006).<br />

* * *<br />

L. Inquadramento e mansioni <strong>del</strong> lavoratore<br />

-Inquadramento<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 27 settembre <strong>2010</strong>, n. 20272<br />

Nel procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione <strong>del</strong>l'inquadramento di<br />

un lavoratore subordinato non si può prescindere da tre fasi successive, e cioè,<br />

dall'accertamento in fatto <strong>del</strong>le attività lavorative in concreto svolte, dalla<br />

individuazione <strong>del</strong>le qualifiche e gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e<br />

dal raffronto tra il risultato <strong>del</strong>la prima indagine ed i testi <strong>del</strong>la normativa contrattuale<br />

individuati nella seconda. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito<br />

che, con motivazione logica e adeguata, aveva escluso, sulla scorta <strong>del</strong>l'istruttoria<br />

espletata, di poter ravvisare nelle mansioni svolte dal ricorrente, inquadrato al 3°<br />

livello <strong>del</strong> CCNL <strong>del</strong> settore abbigliamento <strong>del</strong>le aziende artigiane ed addetto alla fase<br />

di stampa di disegni su foulard e sciarpe, l'elemento <strong>del</strong>la particolare complessità che,<br />

unitamente a quello <strong>del</strong>la variabilità, connotava l'inquadramento al 4° livello di detto<br />

CCNL, al cui riconoscimento mirava la domanda giudiziale). (Rigetta, App. Venezia,<br />

08/09/2005).<br />

34


Cass. civ. Sez. lavoro, 2 settembre <strong>2010</strong>, n. 19007<br />

Nel rapporto di lavoro pubblico privatizzato, la materia degli inquadramenti <strong>del</strong><br />

personale contrattualizzato è stata affidata dalla legge allo speciale sistema di<br />

contrattazione collettiva <strong>del</strong> settore pubblico che può intervenire senza incontrare il<br />

limite <strong>del</strong>la inderogabilità <strong>del</strong>le norme in materia di mansioni concernenti il lavoro<br />

subordinato privato. Ne consegue che le scelte <strong>del</strong>la contrattazione collettiva in<br />

materia di inquadramento <strong>del</strong> personale e di corrispondenza tra le vecchie qualifiche e<br />

le nuove aree sono sottratte al sindacato giurisdizionale, ed il principio di non<br />

discriminazione di cui all'art. 45 <strong>del</strong> d.lgs. n. 165 <strong>del</strong> 2001 non costituisce parametro<br />

per giudicare <strong>del</strong>le eventuali differenziazioni operate in sede di contratto collettivo.<br />

(Nella specie, la S.C., nell'enunciare il principio, ha ritenuto la validità <strong>del</strong>la<br />

collocazione, in sede di prima applicazione, in area C/1 degli ispettori <strong>del</strong> lavoro, già<br />

inquadrati nella soppressa VII qualifica funzionale, conformemente alle previsioni<br />

<strong>del</strong>la tabella di corrispondenza contrattuale contenuta nella contrattazione collettiva<br />

integrativa che prevedeva un percorso professionale di inserimento iniziale in area<br />

C/1, ed ha escluso che su tali disposizioni dovessero prevalere quelle <strong>del</strong>la<br />

contrattazione nazionale, che invece contemplavano direttamente un inquadramento<br />

in area C/2). (Cassa e decide nel merito, App. Firenze, 16/07/2005).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 26 maggio <strong>2010</strong>, n. 12852<br />

Ai fini <strong>del</strong> riconoscimento <strong>del</strong> diritto alla qualifica superiore ai sensi <strong>del</strong>l'art. 2103<br />

cod. civ., qualora la qualificazione <strong>del</strong> livello sia connessa alla classificazione in<br />

ambito aziendale <strong>del</strong>l'importanza <strong>del</strong>l'ufficio (nella specie, agenzia postale) presso il<br />

quale il lavoratore svolge le proprie mansioni, va escluso che il giudice, apprezzando<br />

autonomamente l'importanza di detto ufficio, possa anticipare gli effetti <strong>del</strong><br />

provvedimento che lo riclassifichi, rientrando tale atto nell'ambito <strong>del</strong>le scelte<br />

organizzative e gestionali <strong>del</strong>l'imprenditore. Ove, peraltro, l'imprenditore autolimiti la<br />

propria discrezionalità, accettando di procedere alla classificazione degli uffici con il<br />

concerto <strong>del</strong>le organizzazioni sindacali, occorre fare necessario riferimento agli atti<br />

concordati, restando salva la prova <strong>del</strong>la violazione dei criteri fissati dall'azienda e<br />

dalle oo.ss. per dare corso la riclassificazione. (Rigetta, App. Torino, 24/05/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 10 marzo <strong>2010</strong>, n. 5809<br />

Ai fini <strong>del</strong> riconoscimento <strong>del</strong>la qualifica dirigenziale, è necessario e sufficiente che<br />

sia dimostrato l'espletamento di fatto <strong>del</strong>le relative mansioni, caratterizzate dalla<br />

preposizione ad uno o più servizi con ampia autonomia decisionale, e non occorre<br />

anche una formale investitura trasfusa in una procura speciale, perché richiedere<br />

anche tale requisito significherebbe subordinare il riconoscimento <strong>del</strong>la qualifica ad<br />

un atto discrezionale <strong>del</strong> datore di lavoro, di per sé insindacabile, con conseguente<br />

violazione <strong>del</strong> principio <strong>del</strong>la corrispondenza <strong>del</strong>la qualifica alle mansioni svolte.<br />

(Rigetta, App. Perugia, 20/03/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 8 febbraio <strong>2010</strong>, n. 2750<br />

L'art. 6 <strong>del</strong>la legge n. 190 <strong>del</strong> 1985, nell'attribuire alla contrattazione collettiva la<br />

possibilità di stabilire un periodo superiore a tre mesi per conseguire il diritto, in forza<br />

<strong>del</strong>le mansioni di fatto svolte, ad una qualifica propria <strong>del</strong>la categoria dei quadri o dei<br />

35


dirigenti, non ha condizionato tale soluzione alla circostanza che sia prevista una sola<br />

qualifica nella categoria (coincidente con la categoria stessa) ovvero ne sia prevista<br />

una pluralità, né, in quest'ultimo caso, che il dipendente rivesta già una qualifica<br />

compresa nella categoria dei quadri o dei dirigenti. Ne consegue che l'art. 38, comma<br />

7, <strong>del</strong> c.c.n.l. <strong>del</strong> 26 novembre 1994 dei dipendenti postali, che, senza operare alcuna<br />

differenziazione in base ai livelli presenti nella medesima categoria, prevede il<br />

maggior termine di sei mesi per l'assunzione definitiva in caso di "applicazione<br />

temporanea <strong>del</strong> dipendente a mansioni proprie <strong>del</strong>la categoria quadri", si interpreta<br />

nel senso che il tempo necessario per accedere ad uno qualsiasi dei due livelli previsti<br />

per la categoria dei quadri è lo stesso sia che il lavoratore appartenga all'area di base<br />

od operativa sia che rivendichi, quale quadro di secondo livello, il riconoscimento<br />

<strong>del</strong>la qualifica di primo livello. (Cassa con rinvio, App. Genova, 25/01/2007).<br />

- Lo ius variandi<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 25 novembre <strong>2010</strong>, n. 23926<br />

L'impossibilità <strong>del</strong>la prestazione lavorativa quale giustificato motivo oggettivo di<br />

recesso <strong>del</strong> datore di lavoro dal contratto di lavoro subordinato non è ravvisabile per<br />

effetto <strong>del</strong>la sola ineseguibilità <strong>del</strong>l'attività attualmente svolta dal prestatore di lavoro,<br />

perché può essere esclusa dalla possibilità di adibire il lavoratore ad una diversa<br />

attività, che sia riconducibile - alla stregua di un'interpretazione <strong>del</strong> contratto secondo<br />

buona fede - alle mansioni attualmente assegnate o a quelle equivalenti (art. 2103<br />

c.c.) o, se ciò è impossibile, a mansioni anche inferiori, purché tale diversa attività sia<br />

utilizzabile nell'impresa, secondo l'assetto organizzativo insindacabilmente stabilito<br />

dall'imprenditore. <strong>La</strong> validità <strong>del</strong> patto di declassamento <strong>del</strong> lavoratore presuppone<br />

l'impossibilità sopravvenuta di assegnare mansioni equivalenti alle ultime esercitate e<br />

la manifestazione, sia pure in forma tacita, <strong>del</strong>la disponibilità <strong>del</strong> lavoratore ad<br />

accettarle.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 5 agosto <strong>2010</strong>, n. 18283<br />

In tema di provvedimento <strong>del</strong> datore di lavoro a carattere ritorsivo, l'onere <strong>del</strong>la prova<br />

su tale natura <strong>del</strong>l'atto grava sul lavoratore, potendo esso essere assolto con la<br />

dimostrazione di elementi specifici, tali da far ritenere con sufficiente certezza<br />

l'intento di rappresaglia, il quale deve aver avuto efficacia determinativa esclusiva<br />

<strong>del</strong>la volontà <strong>del</strong> datore di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini <strong>del</strong>la<br />

configurazione <strong>del</strong> provvedimento illegittimo. Ne consegue che, in sede di giudizio di<br />

legittimità, il lavoratore che censuri la sentenza di merito per aver negato carattere<br />

ritorsivo al provvedimento datoriale (nella specie, mutamento di mansioni nell'ambito<br />

di quelle equivalenti previste dalla contrattazione collettiva <strong>del</strong> settore pubblico, ai<br />

sensi <strong>del</strong>l'art. 52 <strong>del</strong> d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165), non può limitarsi a dedurre la<br />

mancata considerazione, da parte <strong>del</strong> giudice, di circostanze rilevanti in astratto ai fini<br />

<strong>del</strong>la ritorsione, ma deve indicare elementi idonei ad individuare la sussistenza di un<br />

rapporto di causalità tra le circostanze pretermesse e l'asserito intento di rappresaglia.<br />

(Rigetta, App. Messina, 29/07/2005).<br />

36


Cass. civ. Sez. lavoro, 1 febbraio <strong>2010</strong>, n. 2280<br />

Per lavoratore assente con diritto alla conservazione <strong>del</strong> posto di lavoro, la cui<br />

sostituzione da parte di altro lavoratore avente una qualifica inferiore non attribuisce a<br />

quest'ultimo il diritto alla promozione, ai sensi <strong>del</strong>l'art. 2103 cod. civ., deve intendersi<br />

soltanto quello che non sia presente in azienda a causa di una <strong>del</strong>le ipotesi di<br />

sospensione legale o convenzionale <strong>del</strong> rapporto di lavoro, e non anche quello<br />

destinato, per scelta organizzativa <strong>del</strong> datore di lavoro, a lavorare fuori <strong>del</strong>l'azienda o<br />

in altra unità o altro reparto, o, ancora, inviato a partecipare ad un corso di<br />

formazione. (Nella specie, la S.C. ha cassato, con rinvio, la sentenza di merito che<br />

aveva escluso il diritto alla promozione automatica di un dipendente il quale aveva<br />

sostituito un lavoratore inviato in missione in altra sede, che doveva, quindi, reputarsi<br />

non assente dal lavoro, ma solo dall'unità produttiva). (Cassa con rinvio, App.<br />

L'Aquila, 28/12/2005).<br />

- Le mansioni equivalenti, superiori e promiscue<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 18 marzo 2011, n. 6303<br />

In caso di mansioni promiscue, ove la contrattazione collettiva non preveda una<br />

regola specifica per l'individuazione <strong>del</strong>la categoria di appartenenza <strong>del</strong> lavoratore, la<br />

prevalenza - a questo fine - non va determinata sulla base di una mera<br />

contrapposizione quantitativa <strong>del</strong>le mansioni svolte, bensì tenendo conto, in base alla<br />

reciproca analisi qualitativa, <strong>del</strong>la mansione maggiormente significativa sul piano<br />

professionale, purché non espletata in via sporadica od occasionale.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 18 febbraio 2011, n. 3968<br />

Il lavoratore che abbia scelto di contestare, dinanzi al Giudice, un presunto<br />

demansionamento, non può, successivamente, acconsentire all'espletamento di<br />

mansioni inferiori al fine di evitare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo.<br />

Le ragioni legittimanti un siffatto recesso datoriale devono, invero, sussistere, e<br />

conseguentemente essere verificate, alla data <strong>del</strong> licenziamento e non possono, per<br />

questo, essere integrate da fatti o manifestazioni di volontà successivamente<br />

intervenuti.<br />

Trib. L'Aquila, 15 febbraio 2011<br />

L'art. 2103 c.c. prevede il diritto alla promozione automatica <strong>del</strong> lavoratore che abbia<br />

svolto mansioni superiori alla qualifica cui il medesimo appartiene per un periodo<br />

superiore a tre mesi, sempre che l'esercizio <strong>del</strong>le suddette mansioni sia stato effettivo,<br />

pieno e continuativo. In tal senso, deve accertarsi se l'assegnazione <strong>del</strong> lavoratore a<br />

mansioni superiori abbia implicato anche l'assunzione <strong>del</strong>la relativa responsabilità e<br />

l'autonomia propria <strong>del</strong>la qualifica rivendicata.<br />

Trib. L'Aquila Sez. lavoro, 26 gennaio 2011<br />

37


Al fine di individuare la categoria in cui il lavoratore avrebbe dovuto essere<br />

inquadrato, onde stabilire la spettanza o meno dei diritti conseguenti lo svolgimento<br />

<strong>del</strong>le mansioni superiori, occorre dapprima accertare le mansioni concretamente<br />

svolte dal lavoratore, poi individuare le qualifiche ed i gradi previsti dal relativo<br />

contratto collettivo di categoria ed infine raffrontare i risultati <strong>del</strong>le due indagini ed<br />

individuare la categoria in cui deve essere inserito il lavoratore in base alle mansioni<br />

dal medesimo svolte.<br />

Trib. Milano Sez. lavoro, 24 gennaio 2011<br />

Il divieto di variazioni "in peius" opera anche quando al lavoratore, nella formale<br />

equivalenza <strong>del</strong>le precedenti e <strong>del</strong>le nuove mansioni, siano assegnate di fatto<br />

mansioni sostanzialmente inferiori. Nell'effettuare tale comparazione non è<br />

sufficiente ancorarsi in astratto al livello di categoria ma occorrerà accertare che le<br />

nuove mansioni siano aderenti alla specifica competenza <strong>del</strong> dipendente,<br />

salvaguardandone il livello professionale acquisito e garantendo lo svolgimento e<br />

l'accrescimento <strong>del</strong>le sue capacità professionali ed a condizione che risulti tutelato il<br />

patrimonio professionale <strong>del</strong> lavoratore nel senso che la nuova collocazione gli<br />

consenta di utilizzare ed anzi di arricchire il patrimonio professionale acquisito in una<br />

prospettiva dinamica di valorizzazione <strong>del</strong> proprio bagaglio di conoscenze ed<br />

esperienze.<br />

Trib. Cassino Sez. lavoro, 10 gennaio 2011<br />

Non ogni modifica quantitativa <strong>del</strong>le mansioni, si traduce automaticamente in una<br />

dequalificazione professionale, incombendo, invece, sul giudice il compito di<br />

accertare, di volta in volta, se l'effettuata sottrazione di mansioni sia tale da<br />

comportare un abbassamento <strong>del</strong> globale livello <strong>del</strong>le prestazioni <strong>del</strong> lavoratore o una<br />

sottoutilizzazione <strong>del</strong>le capacità dallo stesso acquisite ed un conseguenziale<br />

impoverimento <strong>del</strong>la sua professionalità.<br />

Trib. Milano Sez. lavoro, 25 ottobre <strong>2010</strong><br />

II divieto di variazioni "in peius" opera anche quando al lavoratore, nella formale<br />

equivalenza <strong>del</strong>le precedenti e <strong>del</strong>le nuove mansioni, siano assegnate di fatto<br />

mansioni sostanzialmente inferiori, per la cui comparazione è necessario accertare<br />

che le nuove mansioni siano aderenti alla specifica competenza <strong>del</strong> dipendente,<br />

salvaguardandone il livello professionale acquisito e garantendo lo svolgimento e<br />

l'accrescimento <strong>del</strong>le sue capacita professionali.<br />

Trib. Perugia Sez. lavoro, 17 settembre <strong>2010</strong><br />

Al fine <strong>del</strong> riconoscimento <strong>del</strong> diritto a differenze retributive, il lavoratore che affermi<br />

di svolgere o di aver svolto mansioni corrispondenti ad una qualifica superiore, ha<br />

l'onere di dedurre e dimostrare quali siano tali mansioni e per quanto tempo siano<br />

state da lui esercitate, nonché le disposizioni che legittimano la sua richiesta e la<br />

coincidenza fra le proprie mansioni e quelle caratterizzanti, secondo le medesime<br />

disposizioni, la qualifica superiore reclamata.<br />

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Trib. Taranto Sez. lavoro, 14 luglio <strong>2010</strong><br />

Stante la valenza generale dei criteri parametrici fissati dalla norma costituzionale in<br />

materia di retribuzione, il disposto <strong>del</strong>l'art. 36 Cost. non può non trovare applicazione<br />

anche nelle fattispecie in cui la pretesa <strong>del</strong> lavoratore alla retribuzione corrispondente<br />

allo svolgimento <strong>del</strong>l'attività prestata riguardi mansioni superiori corrispondenti ad<br />

una qualifica di due livelli superiori a quella di inquadramento.<br />

App. Potenza Sez. lavoro, 17 giugno <strong>2010</strong><br />

Il lavoratore che agisce in giudizio per ottenere l'inquadramento in una qualifica<br />

superiore è tenuto ad allegare e provare gli elementi posti a fondamento <strong>del</strong>la<br />

domanda ed, in particolare, deve indicare espressamente quali sono i profili<br />

caratterizzanti le mansioni di detta qualifica, raffrontandoli con quelli concernenti le<br />

mansioni che egli deduce di avere concretamente svolto. Stante quanto detto, nel caso<br />

di specie, dalle risultanze probatorie non solo è emerso che i ricorrenti non avevano<br />

svolto le asserite mansioni superiori tipiche degli infermieri professionali, ma che essi<br />

si erano limitati ad espletare, su prescrizione medica, i compiti propri <strong>del</strong>la loro<br />

qualifica e che anche i compiti superiori erano stati svolti sotto la diretta<br />

responsabilità <strong>del</strong> medico di turno, la cui costante presenza rendeva non necessaria la<br />

presenza <strong>del</strong>l'infermiere professionale. Di talché, conformemente a quanto statuito in<br />

prime cure, è stato escluso che i ricorrenti avessero svolto compiti superiori con<br />

carattere di prevalenza, sia dal punto di vista quantitativo, per la mancanza di attività<br />

organizzativa, sia dal punto di vista qualitativo data la complessiva assunzione di<br />

responsabilità da parte <strong>del</strong> medico di turno, con la conseguenza che, da un punto di<br />

vista retributivo, nulla era a loro dovuto.<br />

Trib. Trapani Sez. lavoro, 12 maggio <strong>2010</strong><br />

Il lavoratore che agisca in giudizio per ottenere l'inquadramento in una qualifica<br />

superiore ha l'onere di allegare e di provare gli elementi posti a base <strong>del</strong>la domanda e,<br />

in particolare, è tenuto ad indicare esplicitamente quali siano i profili caratterizzanti le<br />

mansioni di detta qualifica, raffrontandoli altresì espressamente con quelli<br />

concernenti le mansioni che egli deduce di avere concretamente svolto.<br />

Trib. L'Aquila, 8 marzo <strong>2010</strong><br />

Al fine <strong>del</strong>la verifica <strong>del</strong> corretto inquadramento <strong>del</strong> lavoratore anche ex art. 2103<br />

c.c., è necessario accertare se l'assegnazione <strong>del</strong> lavoratore a mansioni superiori abbia<br />

comportato anche l'assunzione <strong>del</strong>la relativa responsabilità e l'autonomia propria <strong>del</strong>la<br />

qualifica rivendicata.<br />

Trib. Bologna, 2 marzo <strong>2010</strong><br />

È necessario distinguere le indennità corrisposte in considerazione <strong>del</strong>le qualità<br />

professionali intrinseche alle mansioni da quelle indennità corrisposte in ragione <strong>del</strong>le<br />

particolari modalità <strong>del</strong>la prestazione lavorativa; mentre le prime, data la loro stretta<br />

attinenza alla professionalità conseguita dal lavoratore per effetto <strong>del</strong>l'espletamento di<br />

mansioni complesse o implicanti particolari cognizioni tecnico-scientifiche, non<br />

possono essere soppresse dal datore di lavoro, le seconde, se pur erogate sempre in<br />

39


funzione di corrispettivo <strong>del</strong>la prestazione lavorativa - di talché rientrano pur esse nel<br />

trattamento retributivo <strong>del</strong> lavoratore - restano escluse dalla garanzia <strong>del</strong>la<br />

irriducibilità <strong>del</strong>la retribuzione, in quanto vengono corrisposte solo per compensare<br />

particolari disagi o difficoltà e non possono perciò essere pretese quando vengano<br />

meno le speciali situazioni che le abbiano generate. Da ciò consegue che, una volta<br />

venute meno le suddette condizioni, viene meno anche la giustificazione<br />

sinallagmatica <strong>del</strong> compenso.<br />

Trib. Cassino Sez. lavoro, 25 febbraio <strong>2010</strong><br />

Ferma restando l'irrilevanza di una mera riduzione quantitativa <strong>del</strong>le mansioni svolte<br />

in precedenza, qualora il lavoratore contesti la legittimità <strong>del</strong>lo ius variandi <strong>del</strong> datore<br />

di lavoro per l'asserita derivatane dequalificazione professionale, si rivela necessario<br />

accertare la sussistenza <strong>del</strong>le esigenze aziendali tecnico-produttive poste alla base<br />

<strong>del</strong>l'eventuale modifica, mediante un giudizio di equivalenza tra le precedenti e le<br />

nuove mansioni con riferimento a quelle in concreto svolte dal dipendente,<br />

prescindendo dalle previsioni astratte <strong>del</strong> livello di categoria. In tal senso si impone,<br />

da parte <strong>del</strong> Giudice, un accertamento pluridirezionale afferente l'eventuale<br />

violazione <strong>del</strong> livello retributivo raggiunto, l'accertamento <strong>del</strong>le mansioni previste<br />

all'atto <strong>del</strong>l'assunzione e concretamente poi svolte, oltre l'esatto inquadramento <strong>del</strong>le<br />

stesse nel corrispondente livello <strong>del</strong> CCNL di categoria, la rigorosa individuazione<br />

<strong>del</strong>le nuove mansioni affidate al lavoratore, l'equivalenza o meno <strong>del</strong>le medesime a<br />

quelle precedentemente espletate, rispetto all'inquadramento astratto e formalistico di<br />

categoria secondo il CCNL, l'accertamento comparativo <strong>del</strong>le stesse in concreto (sotto<br />

il profilo <strong>del</strong>la loro equivalenza o meno in relazione alla competenza richiesta, al<br />

livello professionale raggiunto e all'utilizzazione <strong>del</strong> patrimonio professionale<br />

acquisito nella pregressa fase <strong>del</strong> rapporto e nella precedente attività svolta) e<br />

l'applicazione <strong>del</strong> principio secondo cui il lavoratore deve essere adibito a funzioni<br />

confacenti alle proprie qualità, nell'ottica di un costante loro affidamento e di una<br />

progressiva evoluzione <strong>del</strong>le stesse. (L'istruttoria svolta nella fattispecie ha consentito<br />

di accertare l'illegittimità <strong>del</strong> mutamento di mansioni subito dal dipendente, in quanto<br />

contrario al disposto di cui all'art. 2103 c.c. nonché ai canoni generali di buona fede e<br />

correttezza nello svolgimento <strong>del</strong> rapporto di lavoro, non risultando provato da parte<br />

<strong>del</strong>la società convenuta che il declassamento subito dal lavoratore sia stato sorretto da<br />

idonee motivazioni, quali l'eventuale riorganizzazione <strong>del</strong> settore in cui ha operato il<br />

ricorrente in seguito alla cessione <strong>del</strong> ramo di azienda).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 26 gennaio <strong>2010</strong>, n. 1575<br />

In tema di assegnazione al lavoratore di mansioni diverse da quelle di assunzione,<br />

l'equivalenza o meno <strong>del</strong>le mansioni deve essere valutata dal giudice anche nel caso<br />

in cui le mansioni di provenienza non siano state affidate ad altro dipendente, ma si<br />

siano esaurite, con la conseguenza che anche in tale evenienza può aversi<br />

demansionamento, in violazione <strong>del</strong>l'art. 2103 cod. civ., ove le nuove mansioni<br />

affidate al lavoratore siano inferiori a quelle proprie <strong>del</strong>la qualifica o alle ultime<br />

svolte dal lavoratore. (Cassa con rinvio, App. Trento, 10/01/2006).<br />

40


Trib. Cassino, 14 gennaio <strong>2010</strong><br />

L'attribuzione al lavoratore di una determinata qualifica in relazione all'esercizio di<br />

fatto di mansioni superiori non presuppone l'adozione da parte <strong>del</strong> datore di lavoro di<br />

un provvedimento formale: è sufficiente che risulti manifesta una volontà in tal senso.<br />

Il giudice chiamato a verificare l'applicabilità <strong>del</strong>l'art. 2103 c.c., è tenuto a compiere<br />

un accertamento in fatto <strong>del</strong>le attività concretamente espletate dal lavoratore ed<br />

astrattamente inquadrabili nella qualifica superiore. In particolare la giurisprudenza<br />

ha affermato che l'applicabilità <strong>del</strong>l'art. 2103 c.c., presuppone un'assegnazione alle<br />

mansioni superiori piena: la stessa deve, cioè, aver comportato l'assunzione <strong>del</strong>la<br />

responsabilità e l'esercizio <strong>del</strong>l'autonomia e <strong>del</strong>l'iniziativa proprie <strong>del</strong>la<br />

corrispondente qualifica rivendicata dal prestatore di lavoro, coerentemente con le<br />

mansioni contrattualmente previste in via esemplificativa nelle declaratorie dei<br />

singoli inquadramenti. Dunque il giudice è chiamato a raffrontare le mansioni in<br />

concreto svolte dal lavoratore con le declaratorie contrattuali e successivamente, sulla<br />

base di tale raffronto, a verificare l'effettività <strong>del</strong>le mansioni svolte.<br />

- Il danno da demansionamento<br />

Cass. civ. Sez. Unite Sent., 22 febbraio <strong>2010</strong>, n. 4063<br />

Il danno derivante dal demansionamento <strong>del</strong> lavoratore deve essere dimostrato in<br />

giudizio con tutti i mezzi consentiti dall'ordinamento, assumendo, peraltro,<br />

preminente rilievo la prova per presunzioni. Perciò, dalla complessiva valutazione di<br />

precisi elementi dedotti (caratteristiche, durata, gravità, frustrazione professionale) si<br />

può, attraverso un prudente apprezzamento, risalire coerentemente al fatto ignoto,<br />

ossia all'esistenza <strong>del</strong> danno, facendo ricorso, ai sensi <strong>del</strong>l'art. 115 cod. proc. civ., a<br />

quelle nozioni generali derivanti dall'esperienza, sulle quali si fonda il ragionamento<br />

presuntivo e la valutazione <strong>del</strong>le prove. Il danno non patrimoniale da<br />

demansionamento, inoltre, è configurabile ogni qualvolta la condotta illecita <strong>del</strong><br />

datore di lavoro abbia violato, in modo grave, diritti oggetto di tutela costituzionale,<br />

quale quello allo svolgimento <strong>del</strong>le mansioni di assunzione o successivamente<br />

acquisite: questi diritti, non essendo regolati ex ante da norme di legge, per essere<br />

suscettibili di tutela risarcitoria dovranno essere individuati, caso per caso, dal<br />

Giudice <strong>del</strong> merito, il quale, senza duplicare il risarcimento (con l'attribuzione di<br />

nomi diversi a pregiudizi identici), dovrà discriminare i meri pregiudizi -<br />

concretizzatisi in disagi o lesioni di interessi privi di qualsiasi consistenza e gravità,<br />

come tali non risarcibili - dai danni che vanno risarciti.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 17 settembre <strong>2010</strong>, n. 19785<br />

In tema di demansionamento e dequalificazione, il riconoscimento <strong>del</strong> diritto <strong>del</strong><br />

lavoratore al risarcimento <strong>del</strong> danno professionale, biologico o esistenziale, che<br />

asseritamente ne deriva, non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento<br />

datoriale e non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo<br />

<strong>del</strong> giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche <strong>del</strong> pregiudizio medesimo. Inoltre<br />

mentre il risarcimento <strong>del</strong> danno biologico è subordinato all'esistenza di una lesione<br />

<strong>del</strong>l'integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale - da<br />

intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma<br />

41


oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale <strong>del</strong> soggetto, che alteri le<br />

sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse<br />

quanto all'espressione e realizzazione <strong>del</strong>la sua personalità nel mondo esterno - deve<br />

essere dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall'ordinamento, assumendo<br />

peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni. Ne discende che il prestatore di<br />

lavoro che chieda la condanna <strong>del</strong> datore di lavoro al risarcimento <strong>del</strong> danno (anche<br />

nella sua eventuale componente di danno alla vita di relazione o di cosiddetto danno<br />

biologico) subito a causa <strong>del</strong>la lesione <strong>del</strong> proprio diritto di eseguire la prestazione<br />

lavorativa in base alla qualifica professionale rivestita, deve fornire la prova<br />

<strong>del</strong>l'esistenza di tale danno e <strong>del</strong> nesso di causalità con l'inadempimento, prova che<br />

costituisce presupposto indispensabile per procedere ad una valutazione equitativa.<br />

Tale danno non si pone, infatti, quale conseguenza automatica di ogni comportamento<br />

illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicché non è sufficiente dimostrare<br />

la mera potenzialità lesiva <strong>del</strong>la condotta datoriale, incombendo al lavoratore che<br />

denunzi il danno subito di fornire la prova in base alla regola generale di cui all'art.<br />

2697 c.c..<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 14 aprile 2011, n. 8527<br />

Il lavoratore adibito a nuove mansioni ha diritto al risarcimento <strong>del</strong> danno morale<br />

qualora non abbia ricevuto alcuna formazione stante il disagio dovuto all'evidente ed<br />

incolpevole imperizia e con conseguente pregiudizio per la dignità personale e per il<br />

prestigio professionale, tutelati dall'art. 35 Cost., comma 1.<br />

Cass. civ. Sez. V, 19 marzo <strong>2010</strong>, n. 6754<br />

Le somme corrisposte per le perdite effettivamente subite dal lavoratore (c.d. danno<br />

emergente), che abbiano quindi una funzione di reintegrazione patrimoniale, non<br />

vanno assoggettate a tassazione ai fini Irpef. In particolare, non sono imponibili le<br />

somme percepite dal lavoratore a titolo di risarcimento <strong>del</strong> danno da<br />

demansionamento. Viceversa, concorrono alla formazione <strong>del</strong> reddito <strong>del</strong>le persone<br />

fisiche quegli indennizzi che hanno la funzione di reintegrare un danno concretatosi<br />

nella mancata percezione dei redditi.<br />

* * *<br />

M. Potere direttivo e modificazione <strong>del</strong> luogo di lavoro<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 23 novembre <strong>2010</strong>, n. 23675<br />

In materia di trasferimento collettivo dei dipendenti postali, operato sulla base di una<br />

procedura concordata in sede sindacale con formazione di graduatorie redatte in forza<br />

di criteri predeterminati, è onere <strong>del</strong> datore di lavoro provare il rispetto <strong>del</strong>le regole<br />

stabilite per la formazione <strong>del</strong>le graduatorie, essendo questo condizione <strong>del</strong>la<br />

legittimità <strong>del</strong> mutamento di sede lavorativa <strong>del</strong> dipendente. (Rigetta, App. Torino,<br />

31/07/2006).<br />

42


Cass. civ. Sez. lavoro, 23 novembre <strong>2010</strong>, n. 23766<br />

<strong>La</strong> reintegrazione nel posto di lavoro <strong>del</strong> dipendente illegittimamente licenziato in un<br />

luogo diverso da quello originario costituisce inadempienza contrattuale e comporta,<br />

pertanto, la conseguente nullità <strong>del</strong> provvedimento di trasferimento, giustificando il<br />

rifiuto <strong>del</strong> dipendente di assumere servizio nella sede diversa.<br />

- Il trasferimento<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 19 novembre <strong>2010</strong>, n. 23493<br />

<strong>La</strong> violazione <strong>del</strong>la norma imperativa contenuta nell'art. 2103 cod. civ. e la nullità <strong>del</strong><br />

provvedimento datoriale di trasferimento <strong>del</strong> lavoratore ad un'altra unità produttiva<br />

implicano che la conseguente condanna all'adempimento <strong>del</strong>l'obbligazione in forma<br />

specifica, per sua natura non coercibile, assume nella sostanza natura dichiarativa<br />

<strong>del</strong>le obbligazioni e dei diritti derivanti dal rapporto dedotto in causa, con<br />

conseguente obbligo <strong>del</strong> datore di lavoro al ripristino <strong>del</strong>la precedente situazione<br />

lavorativa in base alle regole <strong>del</strong> contratto di lavoro, senza che ostino, a tal fine, le<br />

successive vicende estintive <strong>del</strong>l'obbligo, rilevanti solo agli effetti <strong>del</strong> risarcimento<br />

<strong>del</strong> danno. (Rigetta, App. Bari, 18/07/2006)<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 18 maggio <strong>2010</strong>, n. 12097<br />

<strong>La</strong> nozione di trasferimento <strong>del</strong> lavoratore, che comporta il mutamento definitivo <strong>del</strong><br />

luogo geografico di esecuzione <strong>del</strong>la prestazione, ai sensi <strong>del</strong>l'art. 2103, primo<br />

comma (ultima parte), cod. civ., e alla stregua <strong>del</strong>le disposizioni collettive applicabili<br />

nella specie (artt. 37 e 74 CCNL per i dipendenti postali), non è configurabile quando<br />

lo spostamento venga attuato nell'ambito <strong>del</strong>la medesima unità produttiva, salvo i casi<br />

in cui l'unità produttiva comprenda uffici notevolmente distanti tra loro (Nella specie<br />

la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto configurabile il<br />

trasferimento di un dipendente <strong>del</strong>l'Ente Poste presso una sede situata in un comune<br />

diverso, situato a circa trenta chilometri dall'ufficio di provenienza). (Rigetta, App.<br />

Cagliari, 14/11/2005).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 17 maggio <strong>2010</strong>, n. 11984<br />

In tema di mutamento <strong>del</strong>la sede di lavoro <strong>del</strong> lavoratore, sebbene il provvedimento<br />

di trasferimento non sia soggetto ad alcun onere di forma e non debba<br />

necessariamente contenere l'indicazione dei motivi, né il datore di lavoro abbia<br />

l'obbligo di rispondere al lavoratore che li richieda, ove sia contestata la legittimità<br />

<strong>del</strong> trasferimento, il datore di lavoro ha l'onere di allegare e provare in giudizio le<br />

fondate ragioni che lo hanno determinato e, se può integrare o modificare la<br />

motivazione eventualmente enunciata nel provvedimento, non può limitarsi a negare<br />

la sussistenza dei motivi di illegittimità oggetto di allegazione e richiesta probatoria<br />

<strong>del</strong>la controparte, ma deve comunque provare le reali ragioni tecniche, organizzative<br />

e produttive che giustificano il provvedimento. (Rigetta, App. Torino, 27/07/2005).<br />

43


Cass. civ. Sez. lavoro, 26 marzo <strong>2010</strong>, n. 7350<br />

In tema di trasferimento nullo, il lavoratore, ove non abbia assolto l'onere probatorio<br />

in ordine al danno, patrimoniale o non patrimoniale, cagionato dal trasferimento<br />

illegittimo, non può richiedere un risarcimento corrispondente all'indennità di<br />

trasferta per il periodo in cui il trasferimento ha avuto esecuzione, attesa la<br />

disomogeneità tra gli istituti <strong>del</strong> trasferimento e <strong>del</strong>la trasferta, e restando esclusa la<br />

conversione <strong>del</strong> negozio, ai sensi <strong>del</strong>l'art. 1424 cod. civ., in difetto <strong>del</strong>la prova che il<br />

datore di lavoro, se fosse stato consapevole <strong>del</strong>la nullità <strong>del</strong> trasferimento, avrebbe<br />

disposto la trasferta. (Cassa e decide nel merito, App. Venezia, 15/03/2006)<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 24 marzo <strong>2010</strong>, n. 7045<br />

Il trasferimento <strong>del</strong> lavoratore ad una sede di lavoro diversa da quella dove prestava<br />

precedentemente servizio, pur potendo essere previsto come sanzione disciplinare<br />

dalla contrattazione collettiva, la quale è abilitata a individuare sanzioni diverse da<br />

quelle tipiche previste dall'art. 7 <strong>del</strong>la legge n. 300 <strong>del</strong> 1970, non assume tale natura<br />

ove il datore di lavoro si limiti ad esercitare lo "ius variandi" riconosciutogli dall'art.<br />

2103 cod. civ., allegando la sussistenza di un giustificato motivo tecnico,<br />

organizzativo e produttivo per il mantenimento <strong>del</strong> luogo di lavoro (nella specie, la<br />

soppressione <strong>del</strong>l'attività presso il luogo di origine ed il suo accentramento nella<br />

nuova sede), e non è pertanto assoggettato alle garanzie previste dai commi terzo e<br />

quarto <strong>del</strong>l'art. 7 e dalla contrattazione collettiva, le quali devono invece assistere il<br />

successivo licenziamento intimato al lavoratore per la sua protratta assenza dalla<br />

nuova sede di servizio, configurandosi tale provvedimento come sanzione<br />

disciplinare, in quanto il predetto comportamento costituisce una tipica inadempienza<br />

degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro. (Cassa con rinvio, App. Venezia,<br />

07/11/2005).<br />

- <strong>La</strong> trasferta<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 5 agosto <strong>2010</strong>, n. 18269<br />

<strong>La</strong> disposizione di cui all'art. 12 <strong>del</strong>la legge 30 aprile 1969, n. 153, che esclude dalla<br />

base imponibile ai fini contributivi le somme corrisposte al lavoratore a titolo di<br />

indennità di trasferta in cifra fissa limitatamente al 50 per cento <strong>del</strong> loro ammontare,<br />

pone una presunzione legale di coesistenza in pari misura nella suddetta indennità di<br />

una parte remunerativa e una parte restitutoria. Affinché tale presunzione possa<br />

operare, è necessario, peraltro, che siano preventivamente accertate l'effettiva natura<br />

<strong>del</strong>l'emolumento e la compresenza in esso di entrambe le componenti, compresenza<br />

che deve escludersi per il compenso attribuito a titolo di rimborso di spese non<br />

documentabili, effettuato a "piè di lista" sulla base <strong>del</strong>le spese sostenute nella trasferta<br />

dal lavoratore per le sue ordinarie esigenze di vita. (Nella fattispecie la natura<br />

meramente retributiva <strong>del</strong>l'importo corrisposto era confermata anche dalla variabilità<br />

<strong>del</strong>l'ammontare correlata alla professionalità, tipo di lavoro e responsabilità dei<br />

singoli dipendenti). (Rigetta, App. Genova, 07/02/2006).<br />

44


Cass. civ. Sez. lavoro, 25 marzo <strong>2010</strong>, n. 7197<br />

In tema di lavoro, per viaggio comandato, la cui metà <strong>del</strong> tempo impiegato si computa<br />

come lavoro effettivo, si deve intendere ogni trasferimento inevitabile per<br />

l'organizzazione dei turni derivante da disposizione aziendale, effettuato sia con<br />

mezzo gratuito di servizio sia con proprio mezzo di trasporto con onere di spesa a<br />

carico <strong>del</strong> lavoratore.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 17 febbraio <strong>2010</strong>, n. 3684<br />

Nell'indennità di trasferta prevista in favore <strong>del</strong> lavoratore che si trasferisce in un<br />

luogo di lavoro diverso da quello abituale possono ravvisarsi due componenti, quella<br />

risarcitoria e quella residuale retributiva, la cui rispettiva determinazione quantitativa<br />

(rilevante nella specie al fine di stabilirne la computabilità per il calcolo <strong>del</strong>l'indennità<br />

di anzianità e <strong>del</strong> trattamento di fine rapporto), discende dalla interpretazione <strong>del</strong>le<br />

specifiche pattuizioni contrattuali, essendo quindi devoluta al giudice di merito.<br />

(Nella specie, la S.C. ha cassato, con rinvio, la sentenza <strong>del</strong>la corte territoriale che,<br />

nell'escludere l'indennità di trasferta dal computo <strong>del</strong>l'indennità di anzianità e <strong>del</strong><br />

T.F.R. sul rilievo <strong>del</strong>la sua natura risarcitoria, aveva omesso di accertare se in essa<br />

fosse presente, e in quale percentuale, anche una componente retributiva, tanto più<br />

che la stessa indennità risultava essere connessa all'impossibilità per i lavoratori<br />

operanti fuori dalla cinta daziaria <strong>del</strong> Comune di Roma di usufruire <strong>del</strong> servizio di<br />

mensa aziendale). (Cassa con rinvio, Trib. Roma, 30/05/2005).<br />

- Il distacco<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 25 novembre <strong>2010</strong>, n. 23933<br />

Il "comando" o "distacco" di un lavoratore disposto dal datore di lavoro presso altro<br />

soggetto, destinatario <strong>del</strong>le prestazioni lavorative, è configurabile quando sussista<br />

oltre all'interesse <strong>del</strong> datore di lavoro a che il lavoratore presti la propria opera presso<br />

il soggetto distaccatario, anche la temporaneità <strong>del</strong> distacco, che non richiede una<br />

predeterminazione <strong>del</strong>la durata, più o meno lunga, ma solo la coincidenza <strong>del</strong>la durata<br />

stessa con l'interesse <strong>del</strong> datore di lavoro allo svolgimento da parte <strong>del</strong> proprio<br />

dipendente <strong>del</strong>la sua opera a favore di un terzo, e che permanga in capo al datore di<br />

lavoro distaccante, il potere direttivo, eventualmente <strong>del</strong>egabile al distaccatario, e<br />

quello di determinare la cessazione <strong>del</strong> distacco. (Rigetta, App. Milano, 24/11/2006)<br />

Cass. civ. Sez. V, 7 settembre <strong>2010</strong>, n. 19129<br />

Nel caso <strong>del</strong>l'operazione di distacco di personale, la somma corrisposta dal soggetto<br />

che beneficia <strong>del</strong> lavoro <strong>del</strong> personale distaccato all'impresa distaccante è suscettibile<br />

di essere considerata imponibile ai fini <strong>del</strong>l'Iva nella misura <strong>del</strong>l'eccedenza rispetto<br />

all'importo necessario al rimborso <strong>del</strong> costo <strong>del</strong> personale sostenuto dal distaccante.<br />

45


Cass. civ. Sez. lavoro, 11 gennaio <strong>2010</strong>, n. 215<br />

In caso di distacco <strong>del</strong> dipendente presso altra organizzazione aziendale, il datore di<br />

lavoro distaccante, in capo al quale permane la titolarità <strong>del</strong> rapporto di lavoro, è<br />

responsabile, ai sensi <strong>del</strong>l'art. 2049 cod. civ., dei fatti illeciti commessi dal dipendente<br />

distaccato, atteso che il distacco presuppone uno specifico interesse <strong>del</strong> datore di<br />

lavoro all'esecuzione <strong>del</strong>la prestazione presso il terzo, con conseguente permanenza<br />

<strong>del</strong>la responsabilità, secondo il principio <strong>del</strong> rischio di impresa, per i fatti illeciti<br />

derivati dallo svolgimento <strong>del</strong>la prestazione stessa. (Rigetta, App. Venezia,<br />

14/02/2006).<br />

* * *<br />

N. Salute e sicurezza sul lavoro<br />

- L’art. 2087 c.c. e le prestazioni di sicurezza<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 23 settembre <strong>2010</strong>, n. 20142<br />

L'esonero <strong>del</strong> datore di lavoro dalla responsabilità civile per infortunio sul lavoro o<br />

malattia professionale opera esclusivamente nei limiti posti dall'art. 10 <strong>del</strong> d.P.R.<br />

n.1124 <strong>del</strong> 1965 e per i soli eventi coperti dall'assicurazione obbligatoria, mentre<br />

qualora eventi lesivi eccedenti tale copertura abbiano comunque a verificarsi in<br />

pregiudizio <strong>del</strong> lavoratore e siano casualmente ricollegabili alla nocività <strong>del</strong>l'ambiente<br />

di lavoro, viene in rilievo l'art. 2087 cod. civ., che come norma di chiusura <strong>del</strong><br />

sistema antinfortunistico, impone al datore di lavoro, anche dove faccia difetto una<br />

specifica misura preventiva, di adottare comunque le misure generiche di prudenza e<br />

diligenza, nonché tutte le cautele necessarie, secondo le norme tecniche e di<br />

esperienza, a tutelare l'integrità fisica <strong>del</strong> lavoratore assicurato. Anche tale<br />

responsabilità datoriale non è, peraltro, configurabile ove il nesso causale tra l'uso di<br />

una sostanza e la patologia professionale non fosse configurabile allo stato <strong>del</strong>le<br />

conoscenze scientifiche <strong>del</strong>l'epoca, sicché non poteva essere prospettata l'adozione di<br />

adeguate misure precauzionali. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di<br />

merito che aveva respinto la domanda di risarcimento <strong>del</strong> danno proposta dagli eredi<br />

di un lavoratore, già addetto alla lavorazione <strong>del</strong>l'amianto, deceduto per mesotelioma<br />

ed esposti al rischio tra il 1953 ed il 1962, ritenendo congruamente motivato il<br />

giudizio secondo il quale il rispetto <strong>del</strong>le limitate prescrizioni cautelative praticabili<br />

all'epoca <strong>del</strong>lo svolgimento <strong>del</strong>l'attività lavorativa, non avrebbe impedito l'insorgere<br />

<strong>del</strong> mesotelioma in quanto malattia dose-dipendente). (Rigetta, App. Trieste,<br />

18/02/2006).<br />

46


Cass. civ. Sez. III, 10 settembre <strong>2010</strong>, n. 19280<br />

Le norme in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire<br />

l'insorgenza di situazioni pericolose, hanno lo scopo di tutelare il lavoratore non solo<br />

dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili a sua<br />

imperizia, negligenza ed imprudenza. Sicché, il datore di lavoro è da ritenere<br />

responsabile <strong>del</strong>l'infortunio in tutti i casi in cui ometta di adottare le idonee misure<br />

protettive, o di vigilare affinché vengano osservate, mentre l'eventuale concorso di<br />

colpa <strong>del</strong> lavoratore non ha di per sé solo alcun effetto esimente. Esso può comportare<br />

l'esonero totale <strong>del</strong>l'imprenditore da responsabilità solo quando si tratti di<br />

comportamento abnorme, inopinabile ed esorbitante in relazione alle mansioni svolte,<br />

al procedimento lavorativo "tipico" al quale è addetto ed alle direttive ricevute.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 5 agosto <strong>2010</strong>, n. 18278<br />

Il potere organizzativo <strong>del</strong> datore di lavoro comprende senz'altro la predisposizione di<br />

regole finalizzate ad una migliore coesistenza <strong>del</strong>le diverse realtà operanti all'interno<br />

dei luoghi di lavoro e ad evitare conflittualità ma non può tradursi in condotte<br />

pregiudizievoli <strong>del</strong>l'integrità fisica e morale dei prestatori d'opera in quanto nell'equo<br />

bilanciamento <strong>del</strong>l'esigenza di funzionalità <strong>del</strong>l'impresa e di tutela <strong>del</strong>le condizioni di<br />

lavoro e <strong>del</strong> lavoratore, il legislatore ha chiaramente privilegiato, con l'art. 41 Cost.,<br />

ripreso dall'art. 2087 cod. civ., i diritti fondamentali dei lavoratori. (Principio<br />

applicato in una fattispecie, caratterizzata dal fatto che, nell'unico ambiente di lavoro,<br />

destinato allo stiro industriale, era stato installato un paravento divisorio che creava<br />

un spazio angusto e poco illuminato per le dipendenti "conflittuali", determinando<br />

una situazione di aggravio materiale <strong>del</strong>le condizioni di lavoro a causa <strong>del</strong>le<br />

esalazioni di vapore a getto continuo, e psicologica per la condizione ingiustificata di<br />

isolamento). (Rigetta, App. Bologna, 31/07/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 28 luglio <strong>2010</strong>, n. 17649<br />

Lo sforzo fisico <strong>del</strong> lavoratore può determinare una patologia riconducibile all'infarto<br />

occorso allo stesso qualora si verifichi un'azione rapida e intensa tale da determinare<br />

una lesione <strong>del</strong> lavoratore medesimo. A tal fine è necessario per il risarcimento <strong>del</strong><br />

danno la dimostrazione <strong>del</strong> nesso causale tra l'attività lavorativa svolta e l'evento<br />

lesivo (nella specie la Cassazione ha rigettato la richiesta di risarcimento <strong>del</strong> danno<br />

<strong>del</strong>la moglie di un fattorino deceduto per infarto sul rilievo che il semplice stress e<br />

affaticamento quotidiano <strong>del</strong> lavoro svolto dal marito non può essere l'unico elemento<br />

per dimostrarne la nocività).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 27 luglio <strong>2010</strong>, n. 17547<br />

In tema di qualificazione <strong>del</strong>la domanda giudiziale, ove il lavoratore chieda il<br />

risarcimento <strong>del</strong> danno derivante dalla lesione <strong>del</strong> diritto all'integrità personale, non<br />

rileva, ai fini <strong>del</strong>la configurazione di un'azione di natura contrattuale, il mero<br />

richiamo <strong>del</strong>l'art. 2087 cod. civ. o <strong>del</strong>le altre disposizioni legislative strumentali alla<br />

protezione <strong>del</strong>le condizioni di lavoro, occorrendo, invece, la specifica deduzione di un<br />

comportamento inadempiente <strong>del</strong> datore di lavoro, dal quale, secondo la<br />

prospettazione attorea, sia derivato il danno lamentato. (Nella specie, la S.C. ha<br />

confermato la sentenza di merito che, in base ad un apprezzamento di fatto<br />

47


congruamente motivato, aveva ravvisato nella domanda <strong>del</strong> lavoratore un'azione di<br />

responsabilità extracontrattuale, soggetta alla prescrizione quinquennale, reputando<br />

<strong>del</strong> tutto generiche le deduzioni sulla violazione <strong>del</strong>l'art. 2087 cod. civ. e <strong>del</strong>le norme<br />

infortunistiche, operate tramite i meri riferimenti al mancato uso <strong>del</strong> casco protettivo<br />

ed alle modalità <strong>del</strong>l'infortunio patito dal lavoratore, in quanto inidonei a configurare<br />

una specifica imputazione di responsabilità in capo al datore di lavoro di<br />

comportamenti negligenti nella predisposizione <strong>del</strong> procedimento lavorativo tipico e<br />

nel controllo <strong>del</strong>la idoneità degli strumenti di lavoro e <strong>del</strong>la sorveglianza degli<br />

interventi a rischio). (Rigetta, App. Messina, 25/11/2005).<br />

Cass. pen. Sez. IV, 9 luglio <strong>2010</strong>, n. 42465<br />

È titolare di una posizione di garanzia nei confronti <strong>del</strong> lavoratore il proprietario<br />

(committente) che affida lavori edili in economia ad un lavoratore autonomo di non<br />

verificata professionalità, ed in assenza di qualsiasi apprestamento di presidi<br />

anticaduta, pur a fronte di lavorazioni in quota superiore a metri due. (<strong>La</strong> Corte ha<br />

precisato che l'unitaria tutela <strong>del</strong> diritto alla salute, indivisibilmente operata dagli artt.<br />

32 Cost., 2087 cod. civ. e 1, comma primo, legge n. 833 <strong>del</strong> 1978, impone<br />

l'utilizzazione dei parametri di sicurezza espressamente stabiliti per i lavoratori<br />

subordinati nell'impresa, anche per ogni altro tipo di lavoro). (Rigetta, App. Lecce,<br />

30/05/2008).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 5 maggio <strong>2010</strong>, n. 10834<br />

In tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, l'esonero <strong>del</strong><br />

datore di lavoro dalla responsabilità civile per i danni occorsi al lavoratore infortunato<br />

e la limitazione <strong>del</strong>l'azione risarcitoria di quest'ultimo al cosiddetto danno<br />

differenziale, nel caso di esclusione di detto esonero per la presenza di responsabilità<br />

di rilievo penale (a norma <strong>del</strong>l'art. 10 d.P.R. n. 1124 <strong>del</strong> 1965 e <strong>del</strong>le inerenti<br />

pronunce <strong>del</strong>la Corte costituzionale), riguarda solo le componenti <strong>del</strong> danno coperte<br />

dall'assicurazione obbligatoria, la cui individuazione è mutata nel corso degli anni. Ne<br />

consegue che per le fattispecie sottratte, "ratione temporis", all'applicazione <strong>del</strong>l'art.<br />

13 <strong>del</strong> d.lgs. n. 38 <strong>del</strong> 2000 la suddetta limitazione riguarda solo il danno patrimoniale<br />

collegato alla riduzione <strong>del</strong>la capacità lavorativa generica, e non si applica al danno<br />

non patrimoniale (ivi compreso quello alla salute o biologico) e morale per i quali<br />

continua a trovare applicazione la disciplina antecedente al d.lgs. n. 38 <strong>del</strong> 2000 che<br />

escludeva la copertura assicurativa obbligatoria. (Rigetta, App. Napoli, 23/08/2005)<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 26 marzo <strong>2010</strong>, n. 7382<br />

Va confermata la statuizione con cui la corte di merito ha ritenuto inoperante la<br />

copertura assicurativa vantata in forza di una polizza stipulata per coprire la<br />

responsabilità civile <strong>del</strong>la società verso i propri dipendenti per infortuni sul lavoro<br />

derivanti da fatti commessi dall'assicurato o da suoi dipendenti, qualora risulti<br />

incontestabilmente dimostrato, e non adeguatamente contestato in sede di legittimità,<br />

il comportamento doloso <strong>del</strong>l'amministratore unico <strong>del</strong>la società responsabile (nella<br />

specie, l'amministratore era stato consapevole dei comportamenti aggressivi e<br />

vessatori tenuti nei confronti di un dipendente e aveva tollerato e assecondato detti<br />

48


comportamenti senza far nulla per farli cessare, così accettando consapevolmente il<br />

rischio che da essi potessero derivare conseguenze dannose).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 8 febbraio <strong>2010</strong>, n. 2736<br />

In caso di infortunio, la responsabilità <strong>del</strong>l'azienda, conseguente alla violazione<br />

<strong>del</strong>l'art. 2087 c.c. per inosservanza <strong>del</strong>le misure di sicurezza sul lavoro, nei confronti<br />

<strong>del</strong>l'Inail che agisce in via di regresso ha natura contrattuale. L'Inail, quindi, deve<br />

allegare e provare l'esistenza <strong>del</strong>l'obbligazione lavorativa e <strong>del</strong> danno, nonché il nesso<br />

causale di questo con la prestazione, mentre il datore di lavoro, per escludere la<br />

propria responsabilità, deve provare che il danno è dipeso da causa a lui non<br />

imputabile, e cioè di aver adempiuto al suo obbligo di sicurezza, apprestando tutte le<br />

misure per evitare il danno, e che gli esiti dannosi sono stati determinati da un evento<br />

imprevisto ed imprevedibile.<br />

Cass. pen. Sez. IV, 5 febbraio <strong>2010</strong>, n. 30897<br />

In caso di decesso <strong>del</strong> lavoratore, cagionato da violazione <strong>del</strong>le norme sulla sicurezza<br />

<strong>del</strong> lavoro, il datore di lavoro ha il diritto di recuperare, in forma di risarcimento, da<br />

chi l'abbia causato, le somme corrisposte ai superstiti a titolo di indennità sostitutiva<br />

di preavviso a norma <strong>del</strong>l'art. 2118, comma terzo, cod. civ., somme non dovute ove la<br />

morte non si fosse verificata e quindi causalmente radicate in quell'evento e nelle<br />

responsabilità di chi lo abbia determinato. (Annulla in parte senza rinvio, App.<br />

Bologna, 14 novembre 2008).<br />

- Infortunio in itinere<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 24 settembre <strong>2010</strong>, n. 20221<br />

In materia di infortuni sul lavoro, l'art. 12 <strong>del</strong> D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, che ha<br />

espressamente ricompreso nell'assicurazione obbligatoria la fattispecie <strong>del</strong>l'infortunio<br />

"in itinere", inserendola nell'ambito <strong>del</strong>la nozione di occasione di lavoro di cui all'art.<br />

2 <strong>del</strong> D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, esprime dei criteri normativi (come quelli di<br />

"interruzione o deviazione <strong>del</strong> tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non<br />

necessitate", che <strong>del</strong>imitano l'operatività <strong>del</strong>la garanzia assicurativa) utilizzabili per<br />

decidere anche controversie relative a fatti antecedenti alla sua entrata in vigore. <strong>La</strong><br />

valutazione in concreto di tali aspetti non può limitarsi alla semplice osservazione che<br />

il tragitto prescelto dal dipendente risulti essere il "più breve" per raggiungere il posto<br />

di lavoro, dovendosi invece verificare che lo stesso risulti conforme al diverso criterio<br />

<strong>del</strong>la "normalità" <strong>del</strong>la percorrenza <strong>del</strong>l'indicato itinerario tra casa e lavoro, secondo i<br />

principi già enunciati dalla giurisprudenza e attualmente codificati nell'art. 12 <strong>del</strong><br />

D.Lgs. n. 38 <strong>del</strong> 2000, che riconoscono la copertura assicurativa qualora il<br />

comportamento <strong>del</strong> lavoratore non sia motivato da ragioni <strong>del</strong> tutto personali, al di<br />

fuori <strong>del</strong>l'attività lavorativa.<br />

49


Cass. civ. Sez. lavoro, 21 settembre <strong>2010</strong>, n. 19937<br />

Ai fini <strong>del</strong>l'indennizzabilità <strong>del</strong>l'infortunio in itinere, occorre procedere in primo<br />

luogo alla valutazione <strong>del</strong>l'elemento topografico e cioè di quello che si presenta come<br />

il percorso più breve dalla abitazione alla sede di lavoro, e verificare successivamente<br />

se le eventuali deviazioni compiute dall'assicurato abbiano comportato, rispetto al<br />

percorso normale, minori intoppi e attraversamenti urbani (la S.C. ha confermato la<br />

sentenza <strong>del</strong> giudice di rinvio che aveva negato l'indennizzabilità <strong>del</strong>l'infortunio<br />

occorso ad un medico convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale in quanto il<br />

luogo <strong>del</strong> sinistro si trovava fuori rotta rispetto all'itinerario che il sanitario avrebbe<br />

dovuto seguire per raggiungere la sede di lavoro).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 29 luglio <strong>2010</strong>, n. 17752<br />

In materia di indennizzabilità <strong>del</strong>l'infortunio "in itinere" occorso al lavoratore che<br />

utilizzi il mezzo di trasporto privato, non possono farsi rientrare nel rischio coperto<br />

dalle garanzie previste dalla normativa sugli infortuni sul lavoro situazioni che senza<br />

rivestire carattere di necessità - perché volte a conciliare in un'ottica di bilanciamento<br />

di interessi le esigenze <strong>del</strong> lavoro con quelle familiari proprie <strong>del</strong> lavoratore -<br />

rispondano, invece, ad aspettative che, seppure legittime per accreditare condotte di<br />

vita quotidiana improntate a maggiore comodità o a minori disagi, non assumono uno<br />

spessore sociale tale da giustificare un intervento a carattere solidaristico a carico<br />

<strong>del</strong>la collettività (nel caso di specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che<br />

aveva escluso l'indennizzabilità <strong>del</strong>l'infortunio occorso ad un lavoratore mentre si<br />

recava al lavoro alla guida <strong>del</strong> proprio ciclomotore nonostante la disponibilità di<br />

mezzi di trasporto pubblico aventi orari compatibili con le sue esigenze di vita e di<br />

lavoro).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 27 aprile <strong>2010</strong>, n. 10028<br />

L'infortunio "in itinere" comporta il suo verificarsi nella pubblica strada e, comunque,<br />

non in luoghi identificabili in quelli di esclusiva proprietà <strong>del</strong> lavoratore assicurato o<br />

in quelli di proprietà comune, quali le scale ed i cortili condominiali, il portone di<br />

casa o i viali di complessi residenziali con le relative componenti strutturali.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 26 marzo <strong>2010</strong>, n. 7373<br />

Non è riconosciuto l'infortunio "in itinere" al dipendente che per uscire dall'azienda<br />

usa un percorso alternativo alla via ordinaria, passando per locali non idonei.<br />

- Il mobbing<br />

Cass. pen. Sez. VI, 22 settembre <strong>2010</strong>, n. 685<br />

Nel nostro codice penale, nonostante una <strong>del</strong>ibera <strong>del</strong> Consiglio d'Europa <strong>del</strong> 2000,<br />

che vincolava tutti gli Stati membri a dotarsi di una normativa corrispondente, non v'è<br />

traccia di una specifica figura incriminatrice per contrastare la pratica persecutoria<br />

definita mobbing. Pertanto, sulla base <strong>del</strong> diritto positivo e dei dati fattuali acquisiti<br />

50


nella fattispecie, la via penale non appare praticabile, mentre è certamente<br />

percorribile la strada <strong>del</strong> procedimento civile.<br />

Cass. pen. Sez. VI, 22 settembre <strong>2010</strong>, n. 685<br />

Le pratiche persecutorie realizzate ai danni <strong>del</strong> lavoratore dipendente e finalizzate alla<br />

sua emarginazione (cosiddetta "mobbing") possono integrare il <strong>del</strong>itto di<br />

maltrattamenti in famiglia esclusivamente qualora il rapporto tra il datore di lavoro e<br />

il dipendente assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni<br />

intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte<br />

nei confronti <strong>del</strong>l'altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole <strong>del</strong> rapporto in<br />

quello che ricopre la posizione di supremazia. (Fattispecie in cui è stata esclusa la<br />

configurabilità <strong>del</strong> reato in relazione alle condotte vessatorie poste in essere dal capo<br />

squadra nei confronti di un operaio). (Rigetta, Gip Trib. Torino, 01/10/2009).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 29 marzo <strong>2010</strong>, n. 7524<br />

Va riconosciuto il risarcimento <strong>del</strong> danno da perdita di “chance” al dipendente che<br />

non ha fatto carriera a causa <strong>del</strong> cattivo rapporto che aveva con il suo superiore. <strong>La</strong><br />

perdita di opportunità per effetto di un comportamento <strong>del</strong> datore di lavoro volto ad<br />

ostacolare la promozione <strong>del</strong> lavoratore, produce dei danni che vanno risarciti, e ciò<br />

anche in ragione <strong>del</strong> fatto che, se è vero che la promozione di un dipendente è<br />

“discrezionale”, comunque il datore di lavoro deve agire secondo buona fede e<br />

correttezza nella procedura di selezione dei dipendenti da promuovere.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 26 marzo <strong>2010</strong>, n. 7382<br />

Per "mobbing" deve intendersi una condotta <strong>del</strong> datore di lavoro nei confronti <strong>del</strong><br />

dipendente in violazione degli obblighi di cui all'art. 2087 c.c. e consistente in<br />

reiterati e prolungati comportamenti ostili, di intenzionale discriminazione e<br />

persecuzione psicologica, con mortificazione ed emarginazione <strong>del</strong> lavoratore,<br />

correttamente individuati dal giudice di merito in continui insulti e rimproveri con<br />

umiliazione e ridicolizzazione davanti ai colleghi di lavoro, e nella frequente<br />

adibizione a lavori più gravosi rispetto a quelli svolti in precedenza.<br />

Cass. civ. Sez. III, 2 febbraio <strong>2010</strong>, n. 2352<br />

In una fattispecie di rapporto gerarchico professionale, quale è quello che ricorre tra il<br />

primario di un reparto ospedaliero di chirurgia pediatrica e l'aiuto anziano, rapporto<br />

che integra un contratto sociale, costituisce un fatto colposo configurante illecito<br />

civile continuato ed aggravato dal persistere <strong>del</strong>la volontà punitiva e di atti diretti<br />

all'emarginazione <strong>del</strong> professionista, la condotta <strong>del</strong> primario che, nell'esercizio<br />

formale dei poteri di controllo e di vigilanza <strong>del</strong> reparto, estrometta di fatto l'aiuto<br />

anziano da ogni attività proficua di collaborazione, impedendogli l'esercizio <strong>del</strong>le<br />

mansioni cui era addetto. Tale condotta altamente lesiva è soggettivamente<br />

imputabile al primario, come soggetto agente, ed esprime l'elemento soggettivo <strong>del</strong>la<br />

colpa in senso lato, essendo intenzionalmente preordinata alla distruzione <strong>del</strong>la<br />

dignità personale e <strong>del</strong>l'immagine professionale e <strong>del</strong>le stesse possibilità di lavoro in<br />

ambito professionale, con lesione immediata e diretta dei diritti inviolabili <strong>del</strong><br />

51


lavoratore professionista tutelati sia dalla Costituzione italiana (articoli 1, 3, comma<br />

2, 4 e 35, comma 1, Cost.) sia dalla Carta dei diritti fondamentali <strong>del</strong>l'Unione europea<br />

(articoli 1 e 15, comma 1). Così stabilita ed accertata in tutti i suoi elementi,<br />

soggettivi ed oggettivi, la fattispecie da sussumere sotto la norma primaria che regola<br />

il fatto illecito (art. 2043 c.c.), il giudice <strong>del</strong> rinvio dovrà procedere alla congrua<br />

liquidazione dei danni patrimoniali e non patrimoniali consequenziali, rispettando il<br />

principio <strong>del</strong> risarcimento integrale (Cassazione, Sez. Un., n. 26972/2008), evitando<br />

di compiere duplicazioni e considerando, ai fini <strong>del</strong>la liquidazione congrua, la gravità<br />

<strong>del</strong>l'offesa (rilevante nel caso di specie) e la serietà <strong>del</strong> pregiudizio. Quanto al ristoro<br />

dei danni patrimoniali dovrà essere considerato il regime professionale vigente<br />

all'epoca dei fatti, e comunque la perdita <strong>del</strong>le "chances" economiche e di clientela in<br />

relazione alla distruzione <strong>del</strong>l'immagine nella comunità scientifica e nel mercato<br />

libero <strong>del</strong>le prestazioni professionali per la perdita di affidabilità scientifica e<br />

curativa.<br />

* * *<br />

O. <strong>La</strong> Malattia<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 18 novembre <strong>2010</strong>, n. 23299<br />

<strong>La</strong> norma di cui all'art. 20, comma 1, <strong>del</strong> d.l. n. 112 <strong>del</strong> 2008, conv. in legge n. 133<br />

<strong>del</strong> 2008 - che esclude l'obbligo di versamento dei contributi da parte <strong>del</strong> datore, che<br />

abbia corrisposto per legge o per contratto collettivo, anche di diritto comune, il<br />

trattamento economico di malattia, con conseguente esonero <strong>del</strong>l'Istituto nazionale<br />

<strong>del</strong>la previdenza sociale dall'erogazione <strong>del</strong>la predetta indennità, prevedendo tuttavia<br />

che restano acquisite alla gestione e conservano la loro efficacia le contribuzioni<br />

comunque versate per i periodi anteriori alla data <strong>del</strong> 1° gennaio 2009 - ha portata<br />

retroattiva quanto all'obbligo datoriale, mentre non si applica alle contribuzioni già<br />

versate, che restano irripetibili, per effetto <strong>del</strong>la seconda parte <strong>del</strong>la norma la quale, in<br />

quanto espressione <strong>del</strong>la discrezionalità di cui gode il legislatore, nella conformazione<br />

<strong>del</strong>l'obbligazione contributiva, è stata ritenuta costituzionalmente legittima dalla<br />

Corte cost. con la sentenza n. 48 <strong>del</strong> <strong>2010</strong>. (Rigetta, App. Venezia, 24/07/2008).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 21 giugno <strong>2010</strong>, n. 14910<br />

<strong>La</strong> sospensione <strong>del</strong>l'obbligo di rendere la prestazione in capo al dipendente richiede,<br />

in caso di malattia, il tempestivo invio <strong>del</strong>la certificazione sanitaria e il rispetto degli<br />

obblighi di collaborazione previsti dal contratto collettivo che regolamenta il rapporto<br />

tra le parti; in caso di grave violazione dei suddetti obblighi, il datore di lavoro è<br />

legittimato al licenziamento.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 31 maggio <strong>2010</strong>, n. 13256<br />

Nell'ipotesi in cui il datore di lavoro si trovi nell'impossibilità di ricevere la<br />

prestazione lavorativa per causa a lui non imputabile (nella specie, per l'adesione ad<br />

uno sciopero da parte <strong>del</strong>la stragrande maggioranza <strong>del</strong> personale dipendente e la<br />

52


conseguente inutilizzabilità <strong>del</strong> personale residuo non scioperante), il diritto alla<br />

retribuzione non viene meno per quei lavoratori il cui rapporto di lavoro sia già<br />

sospeso per malattia ai sensi <strong>del</strong>l'art. 2110 cod. civ., atteso che la speciale disciplina<br />

dettata per ragioni di carattere sociale dall'art. 2110 cod. civ. investe in via esclusiva il<br />

rapporto tra datore di lavoro e singolo lavoratore, e su di essa non possono pertanto<br />

incidere le ragioni che, nel medesimo periodo di sospensione <strong>del</strong> rapporto, rendano<br />

impossibile la prestazione di altri dipendenti in servizio, senza che, peraltro, possa in<br />

tal modo configurarsi una violazione <strong>del</strong> principio di parità di trattamento, posto che<br />

detto principio non può essere validamente invocato al fine di eliminare un regime<br />

differenziale voluto a tutela di particolari condizioni già ritenute meritevoli di un<br />

trattamento privilegiato. (Rigetta, App. Campobasso, 30/06/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 9 marzo <strong>2010</strong>, n. 5718<br />

L'assenza <strong>del</strong> lavoratore in malattia alla visita domiciliare di controllo, per non essere<br />

sanzionata dalla perdita <strong>del</strong> trattamento economico di malattia ai sensi <strong>del</strong>l'art. 5,<br />

comma 14, <strong>del</strong> D.L. n. 463 <strong>del</strong> 1983, convertito nella legge n. 638 <strong>del</strong> 1983, può<br />

essere giustificata oltre che dal caso di forza maggiore, da ogni situazione, che,<br />

sebbene non insuperabile e nemmeno tale da determinare, ove non osservata, la<br />

lesione di beni primari, abbia reso indifferibile altrove la presenza personale<br />

<strong>del</strong>l'assicurato, come l'esigenza di solidarietà e di vicinanza familiare, consistita, nel<br />

caso concreto, nell'assistenza <strong>del</strong> lavoratore alla propria madre, ricoverata in un<br />

centro specialistico di riabilitazione e priva di altro sostegno morale, in quanto<br />

divorziata e senza altri familiari. Tale esigenza è, infatti, senza dubbio, meritevole di<br />

tutela nell'ambito dei rapporti etico-sociali garantiti e tutelati dalla Costituzione di<br />

talchè non può essere sanzionato tale lavoratore che ha dato, comunque, prova <strong>del</strong><br />

fatto che il suo allontanamento dal domicilio durante le fasce di reperibilità era dipeso<br />

dalla necessità di recarsi nel centro predetto, in coincidenza con l'orario <strong>del</strong>le visite<br />

dei familiari, non riuscendo poi a rientrare al proprio domicilio nelle fasce di<br />

reperibilità a causa di un blocco <strong>del</strong> traffico stradale.<br />

* * *<br />

P. L’appalto<br />

Cass. civ. Sez. V, 17 dicembre <strong>2010</strong>, n. 25602<br />

Nelle prestazioni di appalto la società appaltatrice deve emettere fattura al momento<br />

<strong>del</strong>la verifica <strong>del</strong> lavoro appaltato, in quanto si applica il principio, in tema di imposte<br />

sui redditi, secondo cui, con riferimento ai contratti di appalto, concorrono alla<br />

formazione <strong>del</strong> reddito d'impresa, in un periodo determinato, esclusivamente i ricavi<br />

per i corrispettivi dei lavori ultimati, ovverosia di quelli in ordine ai quali sia<br />

intervenuta l'accettazione <strong>del</strong> committente, derivante dalla positiva esecuzione <strong>del</strong><br />

collaudo o conseguente all'espressione, per "facta concludentia", di una volontà<br />

incompatibile con la mancata accettazione<br />

53


Cass. civ. Sez. lavoro, 19 novembre <strong>2010</strong>, n. 23489<br />

L'azione diretta proposta dal dipendente <strong>del</strong>l'appaltatore contro il committente per<br />

conseguire quanto gli è dovuto, fino alla concorrenza <strong>del</strong> debito che il committente ha<br />

verso l'appaltatore al momento <strong>del</strong>la proposizione <strong>del</strong>la domanda, è prevista dall'art.<br />

1676 cod. civ. con riferimento al solo credito maturato dal lavoratore in forza<br />

<strong>del</strong>l'attività svolta per l'esecuzione <strong>del</strong>l'opera o la prestazione <strong>del</strong> servizio oggetto<br />

<strong>del</strong>l'appalto, e non anche con riferimento ad ulteriori crediti, pur relativi allo stesso<br />

rapporto di lavoro. (Rigetta, App. Roma, 05/04/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 19 novembre <strong>2010</strong>, n. 23490<br />

In tema di appalti di opere e servizi di cui all'art. 3 <strong>del</strong>la legge 23 ottobre 1960, n.<br />

1369, la garanzia ivi prevista, in favore dei dipendenti <strong>del</strong>l'appaltatore, di poter fruire<br />

- con obbligazione solidalmente gravante sul committente e sull'appaltatore - di un<br />

trattamento minimo inderogabile retributivo e normativo non inferiore a quello<br />

spettante ai dipendenti <strong>del</strong>l'impresa committente, ricomprende anche la possibilità di<br />

disporre di un servizio di mensa, quale trattamento di carattere normativo ancorché se<br />

ne debba escludere il carattere retributivo in forza <strong>del</strong>l'espressa indicazione di cui<br />

all'art. 6 <strong>del</strong> d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, nella legge 8<br />

agosto 1992, n. 359. (Rigetta, App. Roma, 07/08/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 19 marzo <strong>2010</strong>, n. 6726<br />

In tema di interposizione vietata nelle prestazioni di lavoro, l'utilizzazione da parte<br />

<strong>del</strong>l'appaltatore di beni immateriali <strong>del</strong>la produzione (cosiddetto "know how") assume<br />

rilievo quale fattore distinto dalla manodopera solamente ove le conoscenze di<br />

quest'ultima - alla luce <strong>del</strong>la definizione contenuta nel regolamento CE 772/2004, che<br />

all'art. 1, lett. i) definisce il "know how" come un patrimonio di conoscenze e di<br />

pratiche di uso non comune, non brevettate, derivanti da esperienze e prove -<br />

costituiscano un "quid pluris" rispetto alla mera capacità professionale dei lavoratori<br />

impiegati. (Nella specie, relativa ad un rapporto tra una cooperativa di servizi e una<br />

rete televisiva con prestazioni, da parte dei soci, di operatore di messa in onda, di<br />

ripresa e di regista, la S.C., in applicazione <strong>del</strong>l'anzidetto principio, ha ritenuto<br />

sussistente la fattispecie di intermediazione vietata, attesa l'assenza di competenze e<br />

conoscenze in capo ai lavoratori superiori a quelle proprie <strong>del</strong>l'attività svolta).<br />

(Rigetta, App. Torino, 30/05/2005).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 17 febbraio <strong>2010</strong>, n. 3681<br />

Il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro (art. 1 legge<br />

23 ottobre 1960, n. 1369), in riferimento agli appalti "endoaziendali", caratterizzati<br />

dall'affidamento ad un appaltatore esterno di tutte le attività, ancorché strettamente<br />

attinenti al complessivo ciclo produttivo <strong>del</strong> committente, opera tutte le volte in cui<br />

l'appaltatore metta a disposizione <strong>del</strong> committente una prestazione lavorativa,<br />

rimanendo in capo all'appaltatore-datore di lavoro i soli compiti di gestione<br />

amministrativa <strong>del</strong> rapporto (quali retribuzione, pianificazione <strong>del</strong>le ferie,<br />

assicurazione <strong>del</strong>la continuità <strong>del</strong>la prestazione), ma senza che da parte sua ci sia una<br />

reale organizzazione <strong>del</strong>la prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo<br />

autonomo. Tale divieto si applica anche agli appalti concessi dalle Ferrovie <strong>del</strong>lo<br />

54


Stato successivamente all'entrata in vigore <strong>del</strong>la legge 17 maggio 1985, n. 210, senza<br />

incontrare limiti nella disciplina dettata dall'art. 2, primo comma, lett. i) (speciale e<br />

posteriore rispetto all'art. 1 <strong>del</strong>la legge n. 1369 <strong>del</strong> 1960), la quale, pur conferendo<br />

ampio rilievo alle finalità di economicità ed efficienza <strong>del</strong>l'organizzazione <strong>del</strong>le<br />

Ferrovie ed alle conseguenti esigenze di elasticità e flessibilità nella dislocazione dei<br />

servizi e <strong>del</strong> personale, non ha, tuttavia, inteso consentire all'Ente Ferrovie <strong>del</strong>lo Stato<br />

più di quanto non fosse consentito all'imprenditore privato in tema di appalti di mano<br />

d'opera. (Rigetta, App. Firenze, 12/10/2006).<br />

* * *<br />

Q. Cessione d’azienda e diritti <strong>del</strong> lavoratore<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 15 ottobre <strong>2010</strong>, n. 21278<br />

L'art. 2112, cod. civ., nel testo modificato dall'art. 47, legge 29 dicembre 1990, n.<br />

428, che ha recepito la direttiva comunitaria 77/187/CE (successivamente modificato<br />

dall'art. 1, d.lgs.2 febbraio 2001, n. 18, in applicazione <strong>del</strong> canone <strong>del</strong>l'interpretazione<br />

adeguatrice <strong>del</strong>la norma di diritto nazionale alla norma di diritto comunitario ed in<br />

considerazione <strong>del</strong>l'orientamento espresso dalla Corte di Giustizia <strong>del</strong>le Comunità<br />

europee con le sentenze 20 novembre 2003, C- 340-01, 25 gennaio 2001, C-172/99,<br />

26 settembre 2000, C-175/99 e 14 settembre 2000, C-343/98, deve ritenersi<br />

applicabile anche nei casi in cui il trasferimento <strong>del</strong>l'azienda non derivi dall'esistenza<br />

di un contratto tra cedente e cessionario ma sia riconducibile ad un atto autoritativo<br />

<strong>del</strong>la P.A., con conseguente diritto dei dipendenti <strong>del</strong>l'impresa cedente alla<br />

continuazione <strong>del</strong> rapporto di lavoro subordinato con l'impresa subentrante, purché si<br />

accerti l'esistenza di una cessione di elementi materiali significativi tra le due imprese<br />

(Nella specie, la S.C. ha rigettato il ricorso avverso la sentenza di merito che aveva<br />

ritenuto applicabile l'art. 2112 cod. civ. ai dipendenti di una società concessionaria di<br />

trasporto i quali, fallita la società datrice di lavoro, avevano costituito una cooperativa<br />

avente ad oggetto lo svolgimento <strong>del</strong> medesimo servizio ed erano poi passati<br />

sostanzialmente senza soluzione di continuità, dopo essere stati messi in mobilità<br />

dalle cooperative alle dipendenze di una nuova società, continuando a svolgere le<br />

stesse mansioni, tanto da maturare il diritto, loro riconosciuto dalla Corte territoriale,<br />

all'inquadramento nel 5° livello <strong>del</strong> CCNL a seguito <strong>del</strong> compimento di "sedici anni<br />

di guida effettiva"). (Rigetta, App. Venezia, 19/05/2005).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 2 settembre <strong>2010</strong>, n. 19000<br />

In caso di fusione per incorporazione di una società in un'altra ai sensi <strong>del</strong>l'art. 2501 e<br />

2504 bis cod. civ., sussiste il diritto alla reintegrazione <strong>del</strong> lavoratore illegittimamente<br />

licenziato, già dipendente <strong>del</strong>la società incorporata, nella società incorporante quando<br />

per effetto <strong>del</strong>l'incorporazione l'intera impresa o una ramo di essa venga trasferita ad<br />

altro soggetto (cessionario) conservando la propria identità in conformità alle<br />

condizioni previste dalla normativa comunitaria (direttiva n. 77/187/CE e successive<br />

modifiche e integrazioni) determinandosi in tale ipotesi il trasferimento di azienda ai<br />

sensi <strong>del</strong>l'art. 2112 cod. civ.. (Cassa con rinvio, App. L'Aquila, 30/01/2008)<br />

55


Cass. civ. Sez. lavoro, 12 aprile <strong>2010</strong>, n. 8641<br />

In tema di trasferimento d'azienda, l'effetto estintivo <strong>del</strong> licenziamento illegittimo<br />

intimato in epoca anteriore al trasferimento medesimo, in quanto meramente precario<br />

e destinato ad essere travolto dalla sentenza di annullamento, comporta che il<br />

rapporto di lavoro ripristinato tra le parti originarie si trasferisce, ai sensi <strong>del</strong>l'art.<br />

2112 cod. civ., in capo al cessionario, dovendosi escludere che osti a tale soluzione<br />

l'applicazione <strong>del</strong>la direttiva 77/187/CE, la quale prevede - secondo l'interpretazione<br />

offerta dalla Corte di giustizia CE (cfr. sentenze 12 marzo 1998, C-319/94, 11 luglio<br />

1985, C-105/84, e 7 febbraio 1985, C-19/83) - che i lavoratori licenziati in contrasto<br />

con la direttiva debbono essere considerati dipendenti alla data <strong>del</strong> trasferimento,<br />

senza pregiudizio per la facoltà degli Stati membri di applicare o di introdurre<br />

disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori.<br />

(Nella specie, la S.C., in applicazione <strong>del</strong> principio di cui alla massima, ha ritenuto<br />

che, a seguito <strong>del</strong>l'annullamento <strong>del</strong> licenziamento, sussisteva la legittimazione<br />

passiva anche <strong>del</strong> cessionario per le richieste <strong>del</strong> lavoratore relative al ripristino <strong>del</strong><br />

rapporto di lavoro, escludendo la necessità di una pronuncia pregiudiziale <strong>del</strong>la Corte<br />

di Giustizia). (Cassa con rinvio, App. Messina, 29/07/2005).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 12 aprile <strong>2010</strong>, n. 8641<br />

Il subentro <strong>del</strong> cessionario nei rapporti di lavoro dei dipendenti <strong>del</strong>l'azienda ceduta,<br />

come disciplinato dall'art. 2112 c.c., deve essere escluso solo nel caso in cui detti<br />

rapporti si siano risolti legittimamente e, quindi, definitivamente, in epoca anteriore al<br />

trasferimento stesso, diversamente, infatti, il rapporto di lavoro, apparentemente<br />

interrotto, prosegue "ope legis" con il cessionario e, quindi, il lavoratore conserva<br />

tutti i diritti derivanti dal rapporto medesimo nei confronti <strong>del</strong> "nuovo" datore di<br />

lavoro. In particolare, ribadito che i rapporti di lavoro, quali rapporti giuridici, non si<br />

esuriscono in via di mero fatto ma occorre, al fine di ritenerli davvero estinti, che si<br />

realizzino precisi accadimenti giuridicamente rilevanti, l'effetto estintivo <strong>del</strong><br />

licenziamento annullabile è, in tale quadro, totalmente precario, in quanto<br />

potenzialmente soggetto a pronuncia di annullamento, con la conseguenza che, in<br />

caso di cessione di azienda, il rapporto si ripristina non tra le parti originarie ma tra il<br />

lavoratore ed il cessionario. Nelle controversie inerenti la legittimità <strong>del</strong><br />

licenziamento impartito al lavoratore <strong>del</strong>l'azienda ceduta sussiste, quindi, in base ai<br />

principi appena enunciati, la legittimazione passiva <strong>del</strong>l'azienda cessionaria (ovvero<br />

<strong>del</strong>l'azienda subentrata dopo che il licenziamento medesimo è stato inflitto).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 7 aprile <strong>2010</strong>, n. 8262<br />

Costituisce trasferimento d'azienda ai sensi <strong>del</strong>l'art. 2112 cod. civ., anche in base al<br />

testo precedente le modificazioni introdotte dall'art. 1 <strong>del</strong> d.lgs. n. 18 <strong>del</strong> 2001,<br />

qualsiasi operazione che comporti il mutamento <strong>del</strong>la titolarità di un'attività<br />

economica qualora l'entità oggetto <strong>del</strong> trasferimento conservi, successivamente allo<br />

stesso, la propria identità, da accertarsi in base al complesso <strong>del</strong>le circostanze di fatto<br />

che caratterizzano la specifica operazione (tra cui, il tipo d'impresa, la cessione o<br />

meno di elementi materiali, la riassunzione o meno <strong>del</strong> personale, il trasferimento<br />

<strong>del</strong>la clientela, il grado di analogia tra le attività esercitate). Né osta, alla<br />

configurabilità <strong>del</strong> trasferimento, la mancanza di un fine di lucro, purché sussista<br />

56


un'organizzazione di mezzi produttivi idonei a fornire un prodotto o un servizio<br />

obiettivamente caratterizzati ed economicamente valutabili quanto meno sotto il<br />

profilo dei mezzi di produzione e <strong>del</strong>le prestazioni lavorative necessari per il loro<br />

conseguimento, dovendosi ritenere irrilevante, alla luce <strong>del</strong>la giurisprudenza<br />

comunitaria (cfr. Corte di giustizia CE, sentenza 26 settembre 2000, C-175/99,<br />

Mayeur e con riferimento a vicende diverse dal trasferimento d'impresa, sentenza 16<br />

ottobre 2003, Commissione c. Italia, C-32/02) che, ai fini <strong>del</strong>l'applicabilità <strong>del</strong>la<br />

direttiva CE 77/187, l'attività sia esercitata non a fini di lucro e nell'interesse<br />

pubblico. (Cassa con rinvio, App. Roma, 03/10/2005).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 29 marzo <strong>2010</strong>, n. 7517<br />

Nel caso di trasferimento di azienda la regola di cui all'art. 2558 cod. civ.<br />

<strong>del</strong>l'automatico subentro <strong>del</strong> cessionario in tutti i rapporti contrattuali a prestazioni<br />

corrispettive non aventi carattere personale si applica soltanto ai cosiddetti "contratti<br />

di azienda" (aventi ad oggetto il godimento di beni aziendali non appartenenti<br />

all'imprenditore e da lui acquisiti per lo svolgimento <strong>del</strong>la attività imprenditoriale) e<br />

ai cosiddetti "contratti di impresa" (non aventi ad oggetto diretto beni aziendali, ma<br />

attinenti alla organizzazione <strong>del</strong>l'impresa stessa, come i contratti di somministrazione<br />

con i fornitori, i contratti di assicurazione, i contratti di appalto e simili), sempreché<br />

non siano soggetti a specifica diversa disciplina, come i contratti di lavoro, di<br />

consorzio e di edizione, rispettivamente regolati dagli artt. 2112 cod. civ., 2610 cod.<br />

civ. e 132 <strong>del</strong>la legge 22 aprile 1941, n. 633. (Rigetta, App. Roma, 06/06/2005).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 11 marzo <strong>2010</strong>, n. 5882<br />

L'incorporazione di una società in un'altra è assimilabile al trasferimento d'azienda di<br />

cui all'art. 2112 cod. civ., con la conseguente applicazione <strong>del</strong> principio statuito dalla<br />

citata norma secondo il quale ai lavoratori che passano alle dipendenze <strong>del</strong>l'impresa<br />

incorporante si applica il contratto collettivo che regolava il rapporto di lavoro presso<br />

l'azienda cedente solamente nel caso in cui l'impresa cessionaria non applichi alcun<br />

contratto collettivo, mentre, in caso contrario, la contrattazione collettiva <strong>del</strong>l'impresa<br />

cedente è sostituita immediatamente ed in tutto da quella applicata nell'impresa<br />

cessionaria anche se più sfavorevole. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione<br />

<strong>del</strong>la corte territoriale che aveva ritenuto applicabile ai dipendenti <strong>del</strong>la società<br />

incorporata il premio di rendimento previsto dal contratto integrativo aziendale <strong>del</strong>la<br />

società bancaria incorporante, benché inferiore rispetto a quello previsto dal contratto<br />

integrativo aziendale <strong>del</strong>la banca incorporata). (Cassa con rinvio, App. Catania,<br />

05/08/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 11 marzo <strong>2010</strong>, n. 5882<br />

L'uso aziendale, quale fonte di un obbligo unilaterale di carattere collettivo <strong>del</strong> datore<br />

di lavoro, agisce sul piano dei rapporti individuali con la stessa efficacia di un<br />

contratto collettivo aziendale, sostituendo alle clausole contrattuali e a quelle<br />

collettive in vigore quelle più favorevoli <strong>del</strong>l'uso aziendale, a norma <strong>del</strong>l'art. 2077,<br />

secondo comma, cod. civ. Ne consegue che il diritto riconosciuto dall'uso aziendale<br />

non sopravvive al mutamento <strong>del</strong>la contrattazione collettiva conseguente al<br />

trasferimento di azienda, posto che operando come una contrattazione integrativa<br />

57


aziendale subisce la stessa sorte dei contratti collettivi applicati dal precedente datore<br />

di lavoro e non è più applicabile presso la società cessionaria dotata di propria<br />

contrattazione integrativa. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione <strong>del</strong>la corte<br />

territoriale che aveva riconosciuto ai dipendenti di una banca incorporata in altro<br />

istituto di credito il diritto al superminimo, erogato dalla società incorporata da lungo<br />

tempo, ritenendo erroneamente che tale condotta avesse determinato l'esistenza di un<br />

uso aziendale e l'inserimento <strong>del</strong> diritto nel contratto individuale di lavoro). (Cassa<br />

con rinvio, App. Catania, 05/08/2006)<br />

* * *<br />

R. Il potere disciplinare <strong>del</strong> datore di lavoro<br />

- Contestazione e vincoli procedurali<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 13 dicembre <strong>2010</strong>, n. 25136<br />

Lo svolgimento di un'attività lavorativa altamente qualificata può far alterare anche il<br />

concetto di immediatezza <strong>del</strong>la contestazione nel licenziamento disciplinare. Infatti,<br />

qualora si renda necessario una verifica specifica ed approfondita <strong>del</strong>le prestazioni<br />

svolte da un dato dipendente, aumenta anche il tempo a disposizione <strong>del</strong>l'azienda per<br />

procedere alla formulazione <strong>del</strong>la contestazione.<br />

Cons. Stato Sez. IV, 27 novembre <strong>2010</strong>, n. 8289<br />

In termini generali (che valgono per l'impiego privato e per quello pubblico)<br />

l'esistenza di uno stato di incapacità naturale <strong>del</strong> lavoratore, tale da impedirgli di<br />

rendere le giustificazioni nel termine previsto dalla legge per rispondere agli addebiti<br />

contestati, comporta la necessaria posticipazione <strong>del</strong> termine di scadenza, risultando<br />

altresì violata, nel caso di irrogazione <strong>del</strong> provvedimento disciplinare prima di tale<br />

momento, la garanzia procedimentale <strong>del</strong>l'audizione. Tale principio non può essere<br />

inteso in modo da disconoscere che è onere <strong>del</strong> dipendente che contesti la legittimità<br />

<strong>del</strong>la sanzione, per non aver potuto esercitare il proprio diritto di difesa a causa di una<br />

minorata capacità di intendere e di volere in detto intervallo, dimostrare di essersi<br />

trovato, nella pendenza <strong>del</strong> termine, in stato di incapacità naturale. Il comportamento<br />

<strong>del</strong> datore di lavoro che, in assenza di prova di un effettivo impedimento <strong>del</strong><br />

lavoratore, non abbia acconsentito alla richiesta di una proroga <strong>del</strong> termine per<br />

l'audizione, non concreta una violazione dei principi di correttezza e buona fede, alla<br />

stregua dei quali deve essere valutato l'esercizio <strong>del</strong> potere disciplinare <strong>del</strong> datore di<br />

lavoro (Riforma <strong>del</strong>la sentenza <strong>del</strong> T.a.r. Campania - Napoli, sez. IV, n. 502/2004).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 25 novembre <strong>2010</strong>, n. 23924<br />

In tema di licenziamento disciplinare, la preventiva contestazione <strong>del</strong>l'addebito al<br />

lavoratore incolpato deve riguardare, a pena di nullità <strong>del</strong> licenziamento stesso, anche<br />

la recidiva (o comunque i precedenti disciplinari che la integrano), ove questa<br />

58


appresenti elemento costitutivo <strong>del</strong>la mancanza addebitata. (Rigetta, App. Torino,<br />

09/01/2007).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 18 novembre <strong>2010</strong>, n. 23304<br />

L'art. 7 <strong>del</strong>la legge n. 300 <strong>del</strong> 1970 non prevede, nell'ambito <strong>del</strong> procedimento<br />

disciplinare, l'obbligo per il datore di lavoro di mettere a disposizione <strong>del</strong> lavoratore,<br />

nei cui confronti sia stata elevata una contestazione di addebiti di natura disciplinare,<br />

la documentazione aziendale relativa ai fatti contestati, restando salva la possibilità<br />

per il lavoratore medesimo di ottenere, nel corso <strong>del</strong> giudizio ordinario di<br />

impugnazione <strong>del</strong> licenziamento irrogato all'esito <strong>del</strong> procedimento suddetto, l'ordine<br />

di esibizione <strong>del</strong>la documentazione stessa. Il datore di lavoro è tenuto, tuttavia, ad<br />

offrire in consultazione all'incolpato i documenti aziendali solo in quanto e nei limiti<br />

in cui l'esame degli stessi sia necessario al fine di una contestazione <strong>del</strong>l'addebito<br />

idonea a permettere alla controparte un'adeguata difesa; ne consegue che, in tale<br />

ultima ipotesi, il lavoratore che lamenti la violazione di tale obbligo ha l'onere di<br />

specificare i documenti la cui messa a disposizione sarebbe stata necessaria al<br />

predetto fine. (Rigetta, App. Salerno, 24/07/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 17 novembre <strong>2010</strong>, n. 23223<br />

In tema di procedimento disciplinare, il riferimento a fatti oggetto di un procedimento<br />

penale è sufficiente ad integrare una valida contestazione <strong>del</strong>l'addebito disciplinare,<br />

dovendosi ritenere che, con tale richiamo, sia rispettato il diritto di difesa<br />

<strong>del</strong>l'incolpato, il quale è posto in grado di svolgere, anche in sede disciplinare, le più<br />

opportune difese. (Rigetta, App. Roma, 26/03/2008).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 11 novembre <strong>2010</strong>, n. 22900<br />

Il datore di lavoro, al fine di rispettare il principio di immediatezza <strong>del</strong>la<br />

contestazione disciplinare, posto a garanzia <strong>del</strong> diritto di difesa <strong>del</strong> dipendente, deve<br />

procedere alla suddetta contestazione in un tempo congruo rispetto al momento in cui<br />

i fatti addebitati si sono verificati anche nell'ipotesi in cui il medesimo dipendente sia<br />

sottoposto ad un procedimento penale. In tale situazione, infatti, il datore di lavoro,<br />

dopo aver contestato gli addebiti, potrà eventualmente sospendere il procedimento<br />

disciplinare, riservandosi di irrogare la relativa sanzione all'esito <strong>del</strong> giudizio, tenuto<br />

conto che, in presenza di un'indagine penale, il carattere immediato <strong>del</strong>l'irrogazione<br />

<strong>del</strong>la sanzione disciplinare deve essere inteso in senso elastico.<br />

Cass. civ., Sez. lav., 08 marzo <strong>2010</strong>, n. 5546.<br />

Nel licenziamento per giusta causa, il principio <strong>del</strong>l’immediatezza <strong>del</strong>la contestazione<br />

<strong>del</strong>l’addebito deve essere inteso in senso relativo, potendo in concreto essere<br />

compatibile con un intervallo di tempo più o meno lungo, quando l’accertamento e la<br />

valutazione dei fatti sia molto laborioso e richieda uno spazio temporale maggiore, e<br />

non potendo, nel caso in cui il licenziamento sia motivato dall’abuso di uno<br />

strumento di lavoro, ritorcersi a danno <strong>del</strong> datore di lavoro l’affidamento riposto nella<br />

correttezza <strong>del</strong> dipendente, o equipararsi alla conoscenza effettiva la mera possibilità<br />

di conoscenza <strong>del</strong>l’illecito, ovvero supporsi una tolleranza <strong>del</strong>l’azienda a prescindere<br />

59


dalla conoscenza che essa abbia degli abusi <strong>del</strong> dipendente; in ogni caso, la<br />

valutazione <strong>del</strong>la tempestività <strong>del</strong>la contestazione costituisce giudizio di merito, non<br />

sindacabile in cassazione ove adeguatamente motivato (nella specie, la suprema corte<br />

ha confermato la sentenza impugnata, che, in riferimento al licenziamento di un<br />

dipendente di un’azienda telefonica determinato dall’uso scorretto <strong>del</strong> telefono<br />

cellulare di servizio, consistito nell’invio di decine di migliaia di «sms», aveva<br />

escluso l’intempestività <strong>del</strong>la contestazione, intervenuta a pochi mesi di distanza<br />

dall’inizio <strong>del</strong>le necessarie verifiche, le quali avevano richiesto l’esame di complessi<br />

tabulati e prospetti, al fine di distinguere il traffico telefonico di servizio da quello<br />

illecito).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 26 ottobre <strong>2010</strong>, n. 21899<br />

L'art. 7 <strong>del</strong>la legge n. 300 <strong>del</strong> 1970 sancisce a carico <strong>del</strong> datore di lavoro l'obbligo,<br />

prima di emettere qualsiasi provvedimento disciplinare nei confronti <strong>del</strong> lavoratore, di<br />

contestargli l'addebito e di sentirlo a difesa. Una corretta interpretazione di siffatta<br />

norma, invero, porta ad affermare che la disposizione <strong>del</strong>l'audizione de qua si renda<br />

obbligatoria per il datore di lavoro, pena l'illegittimità <strong>del</strong> provvedimento comminato,<br />

solo ove il lavoratore ne abbia formulato espressa istanza. Incombe, pertanto, sul<br />

dipendente che, sottoposto a procedimento disciplinare, avverta l'esigenza di essere<br />

ascoltato in merito dal datore di lavoro, di formulare apposita richiesta in tal senso (il<br />

cui mancato riscontro, quindi, inficia la legittimità <strong>del</strong> provvedimento comunque<br />

irrogato). A tutela <strong>del</strong>l'affidamento <strong>del</strong> datore di lavoro circa la legittimità <strong>del</strong><br />

provvedimento sanzionatorio comminato senza la preventiva audizione <strong>del</strong> lavoratore<br />

(specialmente nell'ipotesi di licenziamento), risulta necessario, peraltro, che la<br />

richiesta da questi formulata sia esplicita ed univoca, laddove insufficiente e quindi,<br />

irrilevante, deve essere considerata l'istanza che si caratterizzi come generica o,<br />

peggio, come ipotetica ed eventuale.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 26 ottobre <strong>2010</strong>, n. 21912<br />

L'operatività <strong>del</strong> principio d'immutabilità <strong>del</strong>la contestazione <strong>del</strong>l'addebito al<br />

lavoratore licenziato non preclude le modificazioni dei fatti contestati che non si<br />

configurino come elementi integrativi di una fattispecie di illecito disciplinare diversa<br />

e più grave di quella contestata ma che, riguardando circostanze prive di valore<br />

identificativo <strong>del</strong>la stessa fattispecie, non precludano la difesa <strong>del</strong> lavoratore sulla<br />

base <strong>del</strong>le conoscenze acquisite e degli elementi a discolpa apprestati a seguito <strong>del</strong>la<br />

contestazione <strong>del</strong>l'addebito. (Nella specie, la S.C., rigettando il ricorso <strong>del</strong> lavoratore<br />

licenziato, ha ritenuto corrette le valutazioni <strong>del</strong>la Corte territoriale in relazione<br />

all'avvenuta osservanza <strong>del</strong> principio di immutabilità da parte <strong>del</strong> datore di lavoro che<br />

aveva contestato al ricorrente "atteggiamenti di insofferenza e di sfida nei confronti<br />

dei superiori e dei colleghi" oltre che "lentezza e negligenza" nel lavoro adempiuto<br />

"al di sotto di ogni standard quantitativo accettabile"). (Rigetta, App. Bologna,<br />

10/11/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 1 luglio <strong>2010</strong>, n. 15649<br />

In tema di licenziamento per giusta causa, l'immediatezza <strong>del</strong>la comunicazione <strong>del</strong><br />

provvedimento espulsivo rispetto al momento <strong>del</strong>la mancanza addotta a sua<br />

60


giustificazione, ovvero rispetto a quello <strong>del</strong>la contestazione, si configura quale<br />

elemento costitutivo <strong>del</strong> diritto al recesso <strong>del</strong> datore di lavoro, in quanto la non<br />

immediatezza <strong>del</strong>la contestazione o <strong>del</strong> provvedimento espulsivo induce<br />

ragionevolmente a ritenere che il datore di lavoro abbia soprasseduto al licenziamento<br />

ritenendo non grave o comunque non meritevole <strong>del</strong>la massima sanzione la colpa <strong>del</strong><br />

lavoratore; peraltro, il requisito <strong>del</strong>la immediatezza deve essere inteso in senso<br />

relativo, potendo in concreto essere compatibile con un intervallo di tempo, più o<br />

meno lungo, quando l'accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio<br />

temporale maggiore ovvero quando la complessità <strong>del</strong>la struttura organizzativa<br />

<strong>del</strong>l'impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso, restando comunque<br />

riservata al giudice <strong>del</strong> merito la valutazione <strong>del</strong>le circostanze di fatto che in concreto<br />

giustifichi o meno il ritardo. (Nella specie, relativa ad una asserita falsificazione <strong>del</strong>la<br />

sottoscrizione di una ricevuta di lettera raccomandata, la S.C. ha confermato la<br />

sentenza che aveva dichiarato l'illegittimità <strong>del</strong>la sanzione disciplinare irrogata dopo<br />

due anni dalla conoscenza dei fatti, ritenendo irrilevante il rinvio a giudizio <strong>del</strong><br />

lavoratore per i medesimi fatti). (Rigetta, App. Bari, 17/07/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 26 marzo <strong>2010</strong>, n. 7410<br />

In tema di licenziamento disciplinare, ove sussista un rilevante intervallo temporale<br />

tra i fatti contestati e l'esercizio <strong>del</strong> potere disciplinare, la tempestività di tale<br />

esercizio deve essere valutata in relazione al tempo necessario per acquisire<br />

conoscenza <strong>del</strong>la riferibilità <strong>del</strong> fatto, nelle sue linee essenziali, al lavoratore<br />

medesimo, la cui prova è a carico <strong>del</strong> datore di lavoro, senza che possa assumere<br />

autonomo ed autosufficiente rilievo la denunzia dei fatti in sede penale o la pendenza<br />

stessa <strong>del</strong> procedimento penale, considerata l'autonomia tra i due procedimenti,<br />

l'inapplicabilità, al procedimento disciplinare, <strong>del</strong> principio di non colpevolezza,<br />

stabilito dall'art. 27 Cost. soltanto in relazione al potere punitivo pubblico, e la<br />

circostanza che l'eventuale accertamento <strong>del</strong>l'irrilevanza penale <strong>del</strong> fatto non<br />

determina di per sé l'assenza di analogo disvalore in sede disciplinare. (Nella specie,<br />

la S.C. ha confermato la decisione di merito che, con riferimento ad un dipendente<br />

postale, aveva ritenuto violato il principio <strong>del</strong>la immediatezza <strong>del</strong>la contestazione,<br />

avvenuta a distanza di diversi anni dai fatti, ritenendo che il tempo trascorso fosse<br />

oggettivamente eccessivo e tale da ledere il diritto di difesa <strong>del</strong> dipendente, ed<br />

evidenziando che il datore di lavoro aveva comunque avuto adeguata cognizione dei<br />

fatti fin dagli accertamenti ispettivi). (Rigetta, App. Potenza, 12/10/2005).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 17 marzo <strong>2010</strong>, n. 6437<br />

Il licenziamento motivato da una condotta colposa o comunque manchevole <strong>del</strong><br />

lavoratore, indipendentemente anche dalla sua inclusione o meno tra le misure<br />

disciplinari <strong>del</strong>la specifica disciplina <strong>del</strong> rapporto, deve essere considerato di natura<br />

disciplinare e, quindi, deve essere assoggettato alle garanzie dettate in favore <strong>del</strong><br />

lavoratore dal secondo e terzo comma <strong>del</strong>l'art. 7 <strong>del</strong>la L. n. 300/1970 circa la<br />

contestazione <strong>del</strong>l'addebito ed il diritto di difesa.<br />

61


Cass. civ. Sez. lavoro, 12 marzo <strong>2010</strong>, n. 6091<br />

Il principio di necessaria corrispondenza tra addebito contestato e addebito posto a<br />

fondamento <strong>del</strong>la sanzione disciplinare, il quale vieta di infliggere un licenziamento<br />

sulla base di fatti diversi da quelli contestati, non può ritenersi violato qualora,<br />

contestati atti idonei ad integrare un'astratta previsione legale, il datore di lavoro<br />

alleghi, nel corso <strong>del</strong> procedimento disciplinare, circostanze confermative o ulteriori<br />

prove, in relazione alle quali il lavoratore possa agevolmente controdedurre. (In<br />

applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che, in<br />

riferimento al licenziamento di un impiegato pubblico per aver svolto<br />

continuativamente attività libero-professionale senza autorizzazione, aveva escluso<br />

l'intervenuto mutamento <strong>del</strong>l'incolpazione di parte <strong>del</strong> datore di lavoro, che dopo aver<br />

contestato l'illecito disciplinare attraverso il generico richiamo <strong>del</strong> divieto normativo,<br />

aveva allegato, nel corso <strong>del</strong> procedimento, la partecipazione <strong>del</strong> lavoratore ad una<br />

società professionale, lo svolgimento di attività di coordinamento e progettazione di<br />

lavori e la denuncia di redditi di lavoro autonomo per un triennio). (Rigetta, App.<br />

Firenze, 12/04/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 11 marzo <strong>2010</strong>, n. 5864<br />

In tema di procedimento disciplinare a carico <strong>del</strong> lavoratore, le garanzie apprestare<br />

dall'art. 7 <strong>del</strong>la legge n. 300 <strong>del</strong> 1970 per consentire all'incolpato di esporre le proprie<br />

difese in relazione al comportamento addebitatogli non comportano per il datore di<br />

lavoro un dovere autonomo di convocazione <strong>del</strong> dipendente per l'audizione orale, ma<br />

solo un obbligo correlato alla richiesta <strong>del</strong> lavoratore di essere sentito di persona,<br />

sicchè le discolpe fornite dall'incolpato per iscritto consumano il suo diritto di difesa<br />

solo quando dalla dichiarazione scritta emerga la rinuncia ad essere sentito o quando<br />

la richiesta appaia, sulla base <strong>del</strong>le circostanze <strong>del</strong> caso, ambigua o priva di univocità:<br />

al di fuori di tali ipotesi, un sindacato <strong>del</strong> datore di lavoro in ordine all'effettiva<br />

idoneità difensiva <strong>del</strong>la richiesta di audizione orale non può ritenersi consentito<br />

neppure alla stregua <strong>del</strong>l'obbligo <strong>del</strong>le parti di conformare la propria condotta a buona<br />

fede e lealtà contrattuale, il quale può assumere rilievo ai fini <strong>del</strong>la valutazione in<br />

ordine all'ambiguità <strong>del</strong>la richiesta, ma non consente di dare ingresso ad una<br />

valutazione di compatibilità <strong>del</strong>la facoltà di audizione esercitata dal lavoratore<br />

incolpato alla luce <strong>del</strong>le difese già svolte e <strong>del</strong>la sua idoneità ad utilmente integrare<br />

queste ultime. (Rigetta, App. Roma, 11/07/2008).<br />

* * *<br />

- Proporzionalità <strong>del</strong>la sanzione<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 13 dicembre <strong>2010</strong>, n. 25144<br />

Giusta causa di licenziamento e proporzionalità <strong>del</strong>la sanzione disciplinare sono<br />

nozioni che la legge, allo scopo di adeguare le norme alla realtà da disciplinare,<br />

articolata e mutevole nel tempo, configura con disposizioni, ascrivibili alla tipologia<br />

<strong>del</strong>le cosiddette clausole generali, di limitato contenuto e <strong>del</strong>ineanti un modulo<br />

generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la<br />

62


valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che<br />

la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni <strong>del</strong> parametro<br />

normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è, quindi, deducibile in<br />

sede di legittimità come violazione di legge, mentre l'accertamento <strong>del</strong>la concreta<br />

ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro<br />

normativo e le sue specificazioni e <strong>del</strong>la loro concreta attitudine a costituire giusta<br />

causa di licenziamento, ovvero a far sussistere la proporzionalità tra infrazione e<br />

sanzione, si pone sul diverso piano <strong>del</strong> giudizio di fatto, demandato al giudice di<br />

merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici. Pertanto,<br />

l'operazione valutativa compiuta dal giudice di merito nell'applicare le clausole<br />

generali come quella di cui all'art. 2119 o all'art. 2106 cod. civ., che dettano tipiche<br />

"norme elastiche", non sfugge ad una verifica in sede di giudizio di legittimità, sotto il<br />

profilo <strong>del</strong>la correttezza <strong>del</strong> metodo seguito nell'applicazione <strong>del</strong>la clausola generale,<br />

poiché l'operatività in concreto di norme di tale tipo deve rispettare criteri e principi<br />

desumibili dall'ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali e dalla<br />

disciplina particolare (anche collettiva) in cui la fattispecie si colloca. (Rigetta, App.<br />

Lecce, 18/06/2007).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 26 luglio <strong>2010</strong>, n. 17514<br />

In caso di licenziamento per giusta causa, ai fini <strong>del</strong>la proporzionalità fra fatto<br />

addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua<br />

gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia <strong>del</strong> datore di lavoro e di far ritenere che<br />

la continuazione <strong>del</strong> rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali,<br />

dovendosi ritenere determinante, a tal fine, l'influenza che sul rapporto di lavoro sia in<br />

grado di esercitare il comportamento <strong>del</strong> lavoratore che denoti una scarsa inclinazione<br />

ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento<br />

ai canoni di buona fede e correttezza. Spetta al giudice di merito valutare la congruità<br />

<strong>del</strong>la sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta <strong>del</strong> fatto<br />

addebitato, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto <strong>del</strong>la vicenda processuale che,<br />

alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico <strong>del</strong>la sua<br />

gravità rispetto ad un'utile prosecuzione <strong>del</strong> rapporto di lavoro. (Nella specie la S.C.<br />

ha ritenuto adeguatamente motivata la sentenza <strong>del</strong>la Corte territoriale che aveva<br />

respinto il ricorso di un dipendente licenziato da un istituto di credito il quale aveva<br />

consentito ad un cliente, benché in assenza di fondi, l'apertura di un conto corrente al<br />

fine di realizzare operazioni speculative di "trading" con conseguente elevato rischio<br />

per il capitale <strong>del</strong>l'istituto medesimo). (Rigetta, App. Napoli, 06/06/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 29 marzo <strong>2010</strong>, n. 7518<br />

Il giudizio di proporzionalità o adeguatezza <strong>del</strong>la sanzione <strong>del</strong> licenziamento<br />

individuale per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo si sostanzia nella<br />

valutazione <strong>del</strong>la gravità <strong>del</strong>l’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al<br />

concreto rapporto ed a tutte le circostanze <strong>del</strong> caso. In tal senso, l’inadempimento <strong>del</strong><br />

lavoratore, qualora provato dal datore di lavoro, ex art. 5 legge n. 604 <strong>del</strong> 1966, deve<br />

essere valutato avuto riguardo al criterio <strong>del</strong>la non scarsa importanza di cui all’art.<br />

1455 c.c., con la conseguenza che la irrogazione <strong>del</strong>la massima sanzione disciplinare<br />

risulta giustificata nella sola ipotesi in cui sia notevole l’inadempimento <strong>del</strong> prestatore<br />

alle obbligazioni contrattuali, ovvero addirittura tale da non consentire la<br />

63


prosecuzione, neppure temporanea <strong>del</strong> rapporto. Ciò rilevato, l’esito favorevole di un<br />

giudizio avente ad oggetto l’impugnazione di un licenziamento disciplinare che si<br />

assume ingiustificato, è determinato dalla esclusione <strong>del</strong>l’inadempimento imputato al<br />

lavoratore, ovvero da un inadempimento tale da non giustificare, per la usa gravità, la<br />

sanzione disciplinare. (Nella fattispecie la condotta <strong>del</strong> lavoratore concretantesi<br />

nell’impedire ai colleghi di fare ingresso in azienda in occasione di agitazioni<br />

aziendali non è stato ritenuto tale da giustificare la irrogazione <strong>del</strong> licenziamento).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 22 marzo <strong>2010</strong>, n. 6848<br />

In tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, il<br />

giudizio di proporzionalità o adeguatezza <strong>del</strong>la sanzione all'illecito commesso -<br />

rimesso al giudice di merito - si sostanzia nella valutazione <strong>del</strong>la gravità<br />

<strong>del</strong>l'inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto, e<br />

l'inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola<br />

generale <strong>del</strong>la "non scarsa importanza" di cui all'art. 1455 cod. civ., sicché<br />

l'irrogazione <strong>del</strong>la massima sanzione disciplinare risulta giustificata solamente in<br />

presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali ovvero addirittura<br />

tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria <strong>del</strong> rapporto. (Nella<br />

specie, la S.C. ha confermato la decisione <strong>del</strong>la Corte territoriale che aveva ritenuto<br />

ingiustificato il licenziamento disciplinare irrogato ad un lavoratore per aver usato<br />

un'auto aziendale a fini privati - coinvolta in un incidente stradale in cui decedeva il<br />

guidatore, e lo stesso lavoratore licenziato riportava gravi lesioni - in considerazione<br />

<strong>del</strong> fatto che l'autovettura aziendale era stata prelevata da altro lavoratore, <strong>del</strong>le<br />

condizioni di lavoro particolarmente disagiate in cui si era trovato ad operare e<br />

<strong>del</strong>l'assenza di precedenti violazioni). (Rigetta, App. Torino, 12/12/2005<br />

* * *<br />

S. I licenziamenti individuali<br />

- Varie<br />

Cass. civ. Sez. VI, 14 dicembre <strong>2010</strong>, n. 25246<br />

I provvedimenti d'urgenza emessi ai sensi <strong>del</strong>l'art. 700 cod. proc. civ. hanno di norma<br />

il carattere <strong>del</strong>l'atipicità, dovendo essere adottati, secondo le circostanze, allo scopo di<br />

assicurare provvisoriamente gli effetti <strong>del</strong>la decisione di merito, ma non devono per<br />

ciò solo anticipare il prevedibile contenuto <strong>del</strong>la medesima; ne consegue che il<br />

provvedimento d'urgenza con cui si ordina la reintegrazione nel posto di lavoro di un<br />

lavoratore il cui licenziamento appaia illegittimo non ha necessariamente contenuto<br />

ed efficacia analoghi a quelli di un ordine di reintegrazione emesso, ai sensi <strong>del</strong>l'art.<br />

18 <strong>del</strong>la legge n. 300 <strong>del</strong> 1970, con la sentenza di merito, non ricomprendendo il<br />

provvedimento cautelare l'accertamento <strong>del</strong>l'obbligo datoriale <strong>del</strong> pagamento <strong>del</strong>la<br />

retribuzione maturata nel periodo dalla data <strong>del</strong> licenziamento a quella <strong>del</strong>la<br />

reintegrazione, ed essendo conseguentemente inidoneo a fondare la domanda di tali<br />

64


etribuzioni richieste dal lavoratore in sede monitoria. (Rigetta, App. Potenza,<br />

25/09/2009).<br />

Cass. civ. Sez. VI, 14 dicembre <strong>2010</strong>, n. 25249<br />

Ai fini <strong>del</strong>la operatività <strong>del</strong>la tutela reale contro i licenziamenti individuali illegittimi,<br />

il computo dei dipendenti va accertato sulla base <strong>del</strong> criterio <strong>del</strong>la normale<br />

occupazione, da riferirsi al periodo di tempo antecedente al licenziamento e non<br />

anche a quello successivo; nel caso in cui poi la variabilità <strong>del</strong> livello occupazionale<br />

sia strutturalmente connessa al carattere <strong>del</strong>l'attività produttiva, come nella specie<br />

quella stagionale, che richiede normalmente il ricorso al contratto a termine o al parttime<br />

verticale, il riferimento al criterio medio-statistico <strong>del</strong>la normale occupazione<br />

trova conferma nella specifica disciplina <strong>del</strong> part-time e, per l'individuazione <strong>del</strong>l'arco<br />

di tempo in cui calcolare tale media, il periodo temporale utilizzabile più appropriato<br />

è quello riferito all'anno. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la<br />

sentenza impugnata, che aveva ritenuto illegittimo il licenziamento intimato ad un<br />

lavoratore da una società che gestiva un'impresa stagionale, ma rigettato la domanda<br />

di reintegrazione nel posto di lavoro, essendo stato accertato che nell'anno<br />

antecedente il licenziamento la media annuale dei lavoratori occupati era stata di non<br />

oltre quindici dipendenti). (Rigetta, App. Brescia, 23/10/2009).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 1 dicembre <strong>2010</strong>, n. 24350<br />

<strong>La</strong> disposizione <strong>del</strong>l'art. 18, quinto comma, legge n. 300 <strong>del</strong> 1970, stabilita per le<br />

sentenze che dispongono la reintegrazione, deve intendersi analogicamente estesa<br />

anche ai provvedimenti cautelari di eguale contenuto, non rilevando in senso<br />

contrario, la circostanza che ad essi non sia seguito il giudizio di merito; ne consegue<br />

che, nell'ipotesi in cui il lavoratore, licenziato e successivamente reintegrato con<br />

provvedimento d'urgenza, non riprenda il lavoro nel termine di trenta giorni dal<br />

ricevimento <strong>del</strong>l'invito in tal senso rivoltogli dal datore di lavoro (ovvero nel diverso<br />

termine indicato nel suddetto provvedimento), il rapporto deve ritenersi risolto, con<br />

preclusione <strong>del</strong>l'esercizio di opzione per l'indennità sostitutiva. (Nella specie, la<br />

lavoratrice - che all'esito <strong>del</strong> provvedimento cautelare di reintegra non aveva ripreso<br />

servizio, rendendosi così destinataria di una sanzione disciplinare per l'ingiustificata<br />

assenza - aveva esercitato la detta opzione all'esito <strong>del</strong>la sentenza di merito che aveva<br />

poi riconosciuto le sue ragioni; la S.C., nell'affermare il principio su esteso, ha<br />

confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto tempestiva l'opzione esercitata<br />

dalla lavoratrice comunque nel termine di 30 giorni dall'invito a riprendere l'attività<br />

lavorativa rivoltale dopo il rigetto <strong>del</strong> reclamo in sede cautelare, e quando la causa era<br />

stata già decisa nel merito, sicchè il titolo per l'esercizio <strong>del</strong> diritto di opzione era<br />

costituito non più dall'ordinanza cautelare ma dal dispositivo <strong>del</strong>la sentenza e il<br />

licenziamento era intervenuto nel corso <strong>del</strong>lo "spatium <strong>del</strong>iberandi" riconosciuto alla<br />

lavoratrice per decidere se dare corso alla reintegra ovvero optare per l'indennità<br />

sostitutiva). (Rigetta, App. Firenze, 17/02/2007).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 1 dicembre <strong>2010</strong>, n. 24361<br />

Rende legittimo il licenziamento per scarso rendimento l'atteggiamento negligente <strong>del</strong><br />

lavoratore, protratto nel tempo e non modificato a seguito dei richiami dei superiori, il<br />

65


quale violi in modo incontestato la clausola di rendimento relativa all'attività<br />

lavorativa espletata, nonostante la qualità di rendimento e la capacità professionale<br />

dimostrate in precedenza.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 1 dicembre <strong>2010</strong>, n. 24361<br />

È legittimo il licenziamento intimato al lavoratore per scarso rendimento qualora sia<br />

risultata provata una evidente violazione <strong>del</strong>la diligente collaborazione dovuta dal<br />

dipendente - ed a lui imputabile - in conseguenza <strong>del</strong>l'enorme sproporzione fra gli<br />

obbiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e quanto<br />

effettivamente realizzato nel periodo di riferimento, avuto riguardo al confronto dei<br />

risultanti dati globali riferiti ad una media di attività tra i vari dipendenti ed<br />

indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di produzione.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 30 novembre <strong>2010</strong>, n. 24242<br />

<strong>La</strong> sentenza che, dichiarando l'illegittimità <strong>del</strong> licenziamento, condanni il datore di<br />

lavoro a corrispondere al lavoratore le mensilità di retribuzione, secondo i criteri di<br />

cui all'art. 2121 cod. civ., per il periodo compreso fra la data <strong>del</strong> licenziamento stesso<br />

e quella <strong>del</strong>l'effettiva reintegra, va parificata, quando non sia indicativa di un importo<br />

determinato o determinabile in base a semplice calcolo aritmetico, ad una pronuncia<br />

di condanna generica, con conseguente eventuale necessità di un ulteriore giudizio<br />

per la liquidazione <strong>del</strong> "quantum", quando insorga successivamente controversia in<br />

ordine alla individuazione <strong>del</strong>la retribuzione globale di fatto assunta dal quarto<br />

comma <strong>del</strong>l'art. 18 <strong>del</strong>la legge n. 300 <strong>del</strong> 1970 quale parametro <strong>del</strong> risarcimento.<br />

(Rigetta, App. Catania, 08/06/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 4 novembre <strong>2010</strong>, n. 22443<br />

Alla stregua di una interpretazione letterale e logico-sistematica <strong>del</strong>l'art. 2118 cod.<br />

civ., nel contratto di lavoro a tempo indeterminato il preavviso non ha efficacia reale -<br />

che comporta, in mancanza di accordo tra le parti circa la cessazione immediata <strong>del</strong><br />

rapporto, il diritto alla prosecuzione <strong>del</strong> rapporto stesso e di tutte le connesse<br />

obbligazioni fino alla scadenza <strong>del</strong> termine - ma efficacia obbligatoria. Ne consegue<br />

che, nel caso in cui una <strong>del</strong>le parti eserciti la facoltà di recedere con effetto<br />

immediato, il rapporto si risolve altrettanto immediatamente, con l'unico obbligo <strong>del</strong>la<br />

parte recedente di corrispondere l'indennità sostitutiva e senza che da tale momento<br />

possano avere influenza eventuali avvenimenti sopravvenuti, a meno che la parte<br />

recedente, nell'esercizio di un suo diritto potestativo, acconsenta, avendone interesse,<br />

alla continuazione <strong>del</strong> rapporto lavorativo, protraendone l'efficacia sino al termine <strong>del</strong><br />

periodo di preavviso. (Nella specie la S.C., rilevato che il datore di lavoro aveva<br />

licenziato il lavoratore per giustificato motivo, individuandolo nell'abolizione <strong>del</strong>la<br />

qualifica rivestita dal lavoratore, per poi convertirlo, due mesi dopo, in licenziamento<br />

per giusta causa, asserendo l'esistenza di gravi inadempimenti, ha dichiarato il<br />

secondo licenziamento privo di efficacia, in quanto intervenuto nell'ambito di un<br />

rapporto già estinto). (Rigetta, App. Venezia, 12/01/2006).<br />

66


Cass. civ. Sez. lavoro, 15 luglio <strong>2010</strong>, n. 16579<br />

In tema di licenziamento, trova applicazione la legge italiana allorquando, dalle<br />

risultanze probatorie, emerga chiaramente, come accaduto nel caso concreto, che il<br />

contratto di lavoro è stato concluso in Italia, benché la sede di lavoro fosse situata in<br />

un Paese estero presso una filiale <strong>del</strong>la società - datrice di lavoro che aveva ottenuto,<br />

in base alla normativa interna italiana, l'autorizzazione per l'assunzione all'estero <strong>del</strong><br />

lavoratore. Tali circostanze, infatti, insieme al fatto che entrambe le parti contrattuali<br />

fossero italiane (nella specie il prestatore di lavoro aveva nazionalità italiana, con<br />

normale residenza in Italia così come la società, datrice di lavoro, aveva sede in Italia,<br />

sì da essere disciplinata dal diritto italiano) e che la lettera di licenziamento fosse stata<br />

sottoscrittta dalla società-datrice di lavoro italiana, senza che in essa si facesse<br />

riferimento alla predetta filiale estera o che fosse specificato che si agiva in qualità di<br />

mandataria di quest'ultima, confermano la correttezza <strong>del</strong>l'applicazione <strong>del</strong>la legge<br />

italiana alla fattispecie in oggetto, con il conseguente rigetto <strong>del</strong> motivo di gravame<br />

sollevato al riguardo.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 13 luglio <strong>2010</strong>, n. 16421<br />

In tema di licenziamento, conformemente al disposto di cui all'art. 2, legge n. 604 <strong>del</strong><br />

1966 (come modificato dall'art. 2, legge n. 108 <strong>del</strong> 1990), il lavoratore ha la<br />

possibilità di richiedere al datore di lavoro di specificare le ragioni poste a<br />

fondamento <strong>del</strong> proprio licenziamento, qualora le stesse non siano state<br />

espressamente indicate nel relativo atto di intimazione. Tale richiesta non può, però,<br />

considerarsi implicita nell'atto con cui il lavoratore impugna il licenziamento, atteso<br />

che la ratio <strong>del</strong>l'impugnazione è quella di contestare in ogni caso il licenziamento, a<br />

prescindere dalla mancata motivazione e non può, conseguentemente, ritenersi idonea<br />

a determinare, pur contenendo la richiesta dei motivi, l'onere in capo al datore di<br />

lavoro di precisarli. Ne deriva che, come accaduto nel caso di specie, laddove il<br />

lavoratore impugni il licenziamento, senza effettuare una separata e preventiva<br />

richiesta dei motivi posti alla base <strong>del</strong>lo stesso, il datore di lavoro non è tenuto a<br />

specificarli, potendolo fare direttamente in sede giudiziale, senza che ciò comporti né<br />

integrazione né modificazione di quanto già espresso nell'atto di intimazione <strong>del</strong><br />

licenziamento.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 11 giugno <strong>2010</strong>, n. 14083<br />

In materia di procedimento disciplinare, qualora una norma di legge affidi ad un<br />

organo collegiale l'inflizione di una sanzione disciplinare ed imponga il segreto <strong>del</strong><br />

voto, la violazione di quest'obbligo produce l'invalidità <strong>del</strong>la <strong>del</strong>iberazione e non la<br />

semplice sua irregolarità, in quanto la legittimità sostanziale <strong>del</strong>la sanzione è<br />

connessa anche alla tutela <strong>del</strong>l'interesse <strong>del</strong> lavoratore incolpato al corretto<br />

svolgimento <strong>del</strong> procedimento disciplinare e, in particolare, alla neutralità dei<br />

giudicanti, liberi da pressioni esterne o da semplici condizionamenti psicologici.<br />

(Nella specie, relativa a procedimento disciplinare nei confronti di dipendente di una<br />

I.P.A.B., nel regime precedente il riordino di cui al d.lgs. n. 207 <strong>del</strong> 2001, la S.C. ha<br />

ritenuto applicabile il principio, di carattere imperativo, di cui all'art. 48 <strong>del</strong> r.d. 5<br />

febbraio 1891 n. 99 secondo il quale le votazioni hanno sempre luogo a voti segreti<br />

quando si tratti di questioni concernenti persone, desumendo dall'inosservanza <strong>del</strong>le<br />

anzidette modalità di voto la nullità <strong>del</strong> licenziamento, ed ha cassato la sentenza<br />

67


impugnata che, invece, aveva ravvisato una mera irregolarità, priva di incidenza sulla<br />

validità <strong>del</strong> recesso). (Cassa con rinvio, App. Trieste, 12/10/2005)<br />

Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 29 marzo <strong>2010</strong>, n. 7531<br />

L'istituto <strong>del</strong> preavviso contemplato dall'art. 2118 c.c., non trova applicazione, salvo<br />

diversa disposizione legale o contrattuale, allorquando l'esecuzione <strong>del</strong>la prestazione<br />

di lavoro dedotta in contratto sia divenuta totalmente ed assolutamente impossibile,<br />

come è accaduto nel caso di specie, in cui il ricorrente, quale pilota di aeromobile,<br />

essendo stato dichiarato inidoneo permanentemente al volo in esito ad un giudizio<br />

medico-legale, potrebbe rendere una diversa prestazione di lavoro nell'ambito <strong>del</strong><br />

personale di terra soltanto in esecuzione di un contratto di lavoro diverso. In similari<br />

ipotesi, infatti, si deve escludere che, nel caso di inidoneità permanente al volo, che è<br />

l'unica prestazione lavorativa dedotta nel contratto dei piloti, configurando ciò una<br />

causa di risoluzione <strong>del</strong> rapporto, il datore di lavoro possieda uno ius variandi che gli<br />

consenta di inserire il pilota nell'ambito <strong>del</strong> personale di terra senza che ciò implichi<br />

una novazione <strong>del</strong> contratto stesso.<br />

Cass. civ. Sez. Unite, 14 aprile <strong>2010</strong>, n. 8830<br />

L'impugnazione <strong>del</strong> licenziamento ai sensi <strong>del</strong>l'art. 6 <strong>del</strong>la legge 15 luglio 1966, n.<br />

604, formulata mediante dichiarazione spedita al datore di lavoro con missiva<br />

raccomandata a mezzo <strong>del</strong> servizio postale, deve intendersi tempestivamente<br />

effettuata allorché la spedizione avvenga entro sessanta giorni dalla comunicazione<br />

<strong>del</strong> licenziamento o dei relativi motivi, anche se la dichiarazione medesima sia<br />

ricevuta dal datore di lavoro oltre detto termine, atteso che - in base ai principi<br />

generali in tema di decadenza, enunciati dalla giurisprudenza di legittimità e<br />

affermati, con riferimento alla notificazione degli atti processuali, dalla Corte<br />

costituzionale - l'effetto di impedimento <strong>del</strong>la decadenza si collega, di regola, al<br />

compimento, da parte <strong>del</strong> soggetto onerato, <strong>del</strong>l'attività necessaria ad avviare il<br />

procedimento di comunicazione demandato ad un servizio - idoneo a garantire un<br />

adeguato affidamento - sottratto alla sua ingerenza, non rilevando, in contrario, che,<br />

alla stregua <strong>del</strong> predetto art. 6, al lavoratore sia rimessa la scelta fra più forme di<br />

comunicazione, la quale, valendo a bilanciare la previsione di un termine breve di<br />

decadenza in relazione al diritto <strong>del</strong> prestatore a conservare il posto di lavoro e a<br />

mantenere un'esistenza libera e dignitosa (artt. 4 e 36 Cost.), concorre a mantenere un<br />

equo e ragionevole bilanciamento degli interessi coinvolti. (Cassa con rinvio, App.<br />

Palermo, 08/09/2005).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 24 marzo <strong>2010</strong>, n. 7044<br />

<strong>La</strong> scrittura con la quale sia intimato il licenziamento può ritenersi valida, ai sensi<br />

<strong>del</strong>l'art. 2 <strong>del</strong>la legge 15 luglio 1966, n. 604, anche quando non venga sottoscritta dal<br />

datore di lavoro o da un suo rappresentante, ma contenga, nell'intestazione ed in<br />

calce, la denominazione <strong>del</strong>l'impresa e <strong>del</strong> suo titolare, sia trasmessa mediante<br />

raccomandata e tempestivamente impugnata dal lavoratore con riferimento al<br />

contenuto e non alla forma. (Rigetta, App. Roma, 14/10/2005).<br />

68


Cass. civ. Sez. lavoro, 10 marzo <strong>2010</strong>, n. 5804<br />

Il lavoratore decaduto dall'impugnativa <strong>del</strong> licenziamento illegittimo può esperire<br />

l'azione risarcitoria generale, previa allegazione dei relativi presupposti, diversi da<br />

quelli previsti dalla normativa sui licenziamenti e tali da configurare l'atto di recesso<br />

come idoneo a determinare un danno risarcibile, ma non può ottenere, neppure per<br />

equivalente, il risarcimento <strong>del</strong> danno commisurato alle retribuzioni perdute a causa<br />

<strong>del</strong> licenziamento, essendogli ciò precluso dalla maturata decadenza. (Rigetta, App.<br />

Torino, 20/04/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 23 febbraio <strong>2010</strong>, n. 4375<br />

In tema di controllo <strong>del</strong> lavoratore, le garanzie procedurali imposte dall'art. 4,<br />

secondo comma, <strong>del</strong>la legge n. 300 <strong>del</strong> 1970 (espressamente richiamato anche<br />

dall'art. 114 <strong>del</strong> d.lgs. n. 196 <strong>del</strong> 2003 e non modificato dall'art. 4 <strong>del</strong>la legge n. 547<br />

<strong>del</strong> 1993, che ha introdotto il reato di cui all'art. 615-ter cod. pen.) per l'installazione<br />

di impianti ed apparecchiature di controllo richiesti da esigenze organizzative e<br />

produttive ovvero dalla sicurezza <strong>del</strong> lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità<br />

di controllo a distanza <strong>del</strong>l'attività dei lavoratori, trovano applicazione anche ai<br />

controlli c.d. difensivi, ovverosia a quei controlli diretti ad accertare comportamenti<br />

illeciti dei lavoratori, quando tali comportamenti riguardino l'esatto adempimento<br />

<strong>del</strong>le obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro e non la tutela dei beni estranei<br />

al rapporto stesso, dovendo escludersi che l'insopprimibile esigenza di evitare<br />

condotte illecite da parte dei dipendenti possa assumere portata tale da giustificare un<br />

sostanziale annullamento di ogni forma di garanzia <strong>del</strong>la dignità e riservatezza <strong>del</strong><br />

lavoratore. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto correttamente<br />

motivata la sentenza impugnata, la quale aveva negato l'utilizzabilità a fini<br />

disciplinari dei dati acquisiti mediante programmi informatici che consentono il<br />

monitoraggio <strong>del</strong>la posta elettronica e degli accessi Internet dei dipendenti, sul<br />

presupposto che gli stessi consentono al datore di lavoro di controllare a distanza ed<br />

in via continuativa l'attività lavorativa durante la prestazione, e di accertare se la<br />

stessa sia svolta in termini di diligenza e corretto adempimento). (Rigetta, App.<br />

Milano, 30/09/2005).<br />

Cass. civ. Sez. V Ord., 25 gennaio <strong>2010</strong>, n. 1349<br />

L'indennità prevista dal contratto collettivo dei dirigenti di aziende industriali per<br />

l'ipotesi di licenziamento ingiustificato o di recesso per giusta causa è assoggettata a<br />

tassazione separata e a ritenuta d'acconto. Secondo la disciplina dettata dagli artt. 6 e<br />

16 <strong>del</strong> T.u.i.r. - D.P.R. n. 917/1986 (ora artt. 6 e 17), infatti, tutte le indennità<br />

conseguite dal lavoratore a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di<br />

redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, e quindi tutte le<br />

indennità aventi causa o che traggano comunque origine dal rapporto di lavoro,<br />

comprese le indennità per la risoluzione <strong>del</strong> rapporto per illegittimo comportamento<br />

<strong>del</strong> datore di lavoro, costituiscono redditi da lavoro dipendente. È comunque onere<br />

<strong>del</strong> contribuente dimostrare che l'indennità si riferisce (in tutto o in parte) a voci di<br />

risarcimento puro, esenti da tassazione, e non è sufficiente che sia precisato che essa<br />

ha carattere risarcitorio, perché costituisce risarcimento anche il ristoro di emolumenti<br />

non percepiti, tassabili ai sensi <strong>del</strong>l'art. 6, comma 2, <strong>del</strong> T.u.i.r.. Tali somme,<br />

percepite dal lavoratore a titolo di transazione <strong>del</strong>la controversia avente ad oggetto il<br />

69


isarcimento <strong>del</strong> danno per illegittimo licenziamento, sono imponibili ai sensi degli<br />

artt. 6, comma 2, e 48 <strong>del</strong> T.u.i.r. (ora art. 51) e soggette a tassazione separata ai sensi<br />

<strong>del</strong>l'art. 16 (ora art. 17), comma 1, lett. i), <strong>del</strong> medesimo Testo Unico.<br />

- Giusta causa e giustificato motivo<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 21 gennaio 2011, n. 1459<br />

Ai fini <strong>del</strong>la valutazione <strong>del</strong>la legittimità <strong>del</strong> licenziamento, è necessario accertare se,<br />

in relazione alla qualità <strong>del</strong> singolo rapporto intercorso fra le parti, ed alla qualità ed<br />

al grado di fiducia che il rapporto comporta, la specifica mancanza risulti<br />

oggettivamente e soggettivamente idonea a ledere in modo grave, così da farla venir<br />

meno, la fiducia che il datore ripone nel proprio dipendente, senza che possa<br />

assumere rilievo l'assenza o la modesta entità <strong>del</strong> danno patrimoniale subito dal<br />

datore. Sul piano probatorio, poi, se all'integrazione dei fatti giuridicamente<br />

legittimanti il licenziamento è necessario il dolo, l'onere datoriale di provare la<br />

sussistenza dei fatti si estende alla prova <strong>del</strong> dolo, e pertanto, ai fini <strong>del</strong>la legittimità<br />

<strong>del</strong> licenziamento, la prova <strong>del</strong>la sussistenza <strong>del</strong> fatto nella sua mera materialità è<br />

insufficiente.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 13 dicembre <strong>2010</strong>, n. 25144<br />

Giusta causa di licenziamento e proporzionalità <strong>del</strong>la sanzione disciplinare sono<br />

nozioni che la legge, allo scopo di adeguare le norme alla realtà da disciplinare,<br />

articolata e mutevole nel tempo, configura con disposizioni, ascrivibili alla tipologia<br />

<strong>del</strong>le cosiddette clausole generali, di limitato contenuto e <strong>del</strong>ineanti un modulo<br />

generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la<br />

valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che<br />

la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni <strong>del</strong> parametro<br />

normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è, quindi, deducibile in<br />

sede di legittimità come violazione di legge, mentre l'accertamento <strong>del</strong>la concreta<br />

ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro<br />

normativo e le sue specificazioni e <strong>del</strong>la loro concreta attitudine a costituire giusta<br />

causa di licenziamento, ovvero a far sussistere la proporzionalità tra infrazione e<br />

sanzione, si pone sul diverso piano <strong>del</strong> giudizio di fatto, demandato al giudice di<br />

merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici. Pertanto,<br />

l'operazione valutativa compiuta dal giudice di merito nell'applicare le clausole<br />

generali come quella di cui all'art. 2119 o all'art. 2106 cod. civ., che dettano tipiche<br />

"norme elastiche", non sfugge ad una verifica in sede di giudizio di legittimità, sotto il<br />

profilo <strong>del</strong>la correttezza <strong>del</strong> metodo seguito nell'applicazione <strong>del</strong>la clausola generale,<br />

poiché l'operatività in concreto di norme di tale tipo deve rispettare criteri e principi<br />

desumibili dall'ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali e dalla<br />

disciplina particolare (anche collettiva) in cui la fattispecie si colloca. (Rigetta, App.<br />

Lecce, 18/06/2007).<br />

70


Cass. civ. Sez. lavoro, 17 dicembre <strong>2010</strong>, n. 25587<br />

<strong>La</strong> diversa valutazione in ordine alla minor gravità <strong>del</strong>la condotta addebitata al<br />

dipendente legittima il giudice a operare la conversione <strong>del</strong> licenziamento<br />

originariamente intimato per giusta causa in giustificato motivo con preavviso.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 25 novembre <strong>2010</strong>, n. 23926<br />

L'impossibilità <strong>del</strong>la prestazione lavorativa quale giustificato motivo oggettivo di<br />

recesso <strong>del</strong> datore di lavoro dal contratto di lavoro subordinato non è ravvisabile per<br />

effetto <strong>del</strong>la sola ineseguibilità <strong>del</strong>l'attività attualmente svolta dal prestatore di lavoro,<br />

perché può essere esclusa dalla possibilità di adibire il lavoratore ad una diversa<br />

attività, che sia riconducibile - alla stregua di un'interpretazione <strong>del</strong> contratto secondo<br />

buona fede - alle mansioni attualmente assegnate o a quelle equivalenti (art. 2103<br />

c.c.) o, se ciò è impossibile, a mansioni anche inferiori, purché tale diversa attività sia<br />

utilizzabile nell'impresa, secondo l'assetto organizzativo insindacabilmente stabilito<br />

dall'imprenditore.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 16 novembre <strong>2010</strong>, n. 23132<br />

È illegittimo, perché sproporzionato, il licenziamento per giusta causa irrogato al<br />

lavoratore il quale abbia rivolto per telefono ingiurie e volgarità ad un azionista di<br />

riferimento di una società controllata dalla datrice di lavoro, che sia stato percepito<br />

dal lavoratore come soggetto estraneo all'organizzazione lavorativa e, quindi,<br />

all'assetto gerarchico <strong>del</strong>la società datrice di lavoro.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 15 luglio <strong>2010</strong>, n. 16579<br />

Ove il datore di lavoro, a giustificazione <strong>del</strong> licenziamento, adduca, con valutazione<br />

rientrante nell'esercizio <strong>del</strong>la libertà di iniziativa economica non sindacabile in sede<br />

giudiziaria, la necessità di sopprimere un posto di lavoro, incombe sul medesimo<br />

datore di lavoro l'onere di provare l'impossibilità di assegnare il lavoratore licenziato<br />

ad altro posto, con riguardo alla sua capacità professionale ed alle caratteristiche<br />

<strong>del</strong>l'intera azienda.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 30 aprile <strong>2010</strong>, n. 10538<br />

In virtù <strong>del</strong> principio di immodificabilità <strong>del</strong> motivo <strong>del</strong> licenziamento è precluso al<br />

datore di lavoro, il quale intimi un licenziamento per giustificato motivo oggettivo<br />

(mancanza di lavoro) invocare in giudizio una giusta causa, tra l'altro senza dedurre in<br />

quale sede e con quali modalità essa sia stata contestata al lavoratore.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 23 aprile <strong>2010</strong>, n. 9700<br />

L'inidoneità sopravvenuta allo svolgimento <strong>del</strong>le mansioni contrattualmente previste<br />

integra un giustificato motivo oggettivo di licenziamento ex art. 3 legge n. 604/1966<br />

da parte <strong>del</strong> datore di lavoro, sul quale ricade l'onere di dimostrare l'impossibilità di<br />

una diversa, ma pur sempre apprezzabile, collocazione <strong>del</strong> lavoratore nell'attuale<br />

ambito aziendale, senza che tuttavia questo si traduca in un obbligo di modifica <strong>del</strong>la<br />

struttura organizzativa.<br />

71


Cass. civ., Sez. lav., Sent. 12 aprile <strong>2010</strong>, n. 8641.<br />

In tema di licenziamento per giusta causa, la condotta <strong>del</strong> lavoratore deve essere<br />

valutata nel suo contenuto obiettivo, con specifico riferimento alla natura e alla<br />

qualità <strong>del</strong> rapporto, al particolare vincolo di fiducia che esso implica per la posizione<br />

rivestita nel suo ambito dal prestatore di lavoro, al grado di affidamento richiesto per<br />

le mansioni ricoperte, nonché nella sua portata soggettiva in relazione alle circostanze<br />

<strong>del</strong> suo verificarsi, ai motivi che l’hanno determinato e alla intensità <strong>del</strong>l’elemento<br />

volitivo, che deve essere riferito anche all’ambito <strong>del</strong>la relazione lavorativa e non<br />

solo ai profili meramente interiori (nella specie, relativa al licenziamento di un<br />

dipendente bancario, il quale, falsificando la firma <strong>del</strong>la propria fidanzata sul<br />

presupposto <strong>del</strong> consenso di quest’ultima, aveva effettuato un prelievo indebito da un<br />

conto bancario, la suprema corte, in accoglimento <strong>del</strong> ricorso, ha annullato la<br />

decisione di merito che non solo aveva omesso ogni considerazione sui profili<br />

oggettivi, ossia sul ruolo ricoperto dal dipendente e sul correlato grado di affidamento<br />

richiesto dalla specifica posizione lavorativa ricoperta, ma anche sul piano soggettivo<br />

aveva preso in considerazione esclusivamente il profilo interno relativo alla relazione<br />

extralavorativa <strong>del</strong> lavoratore, <strong>del</strong> tutto ignorando l’aspetto prognostico <strong>del</strong> giudizio<br />

da formulare sulla potenziale futura compromissione <strong>del</strong>l’idoneità <strong>del</strong>lo stesso<br />

all’esatto adempimento <strong>del</strong>le obbligazioni con la banca).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 7 aprile <strong>2010</strong>, n. 8237<br />

In tema di giustificato motivo di licenziamento relativamente ai necessari profili di<br />

congruità ed opportunità che caratterizzano tale disciplina, la scelta imprenditoriale<br />

che abbia avuto come conseguenza la soppressione <strong>del</strong> posto di lavoro cui era addetto<br />

il dipendente sottoposto a licenziamento non è sindacabile a condizione che risulti<br />

oggettivo e non pretestuoso il riassetto organizzativo <strong>del</strong>la compagine lavorativa che<br />

ha determinato la scelta di licenziare detto dipendente.<br />

Cass. civ., Sez. lav., 29 marzo <strong>2010</strong>, n. 7518.<br />

In tema di licenziamento per giusta causa, la mancanza <strong>del</strong> lavoratore deve essere<br />

tanto grave da giustificare l’irrogazione <strong>del</strong>la sanzione espulsiva e, pertanto, il<br />

comportamento <strong>del</strong> prestatore va valutato non solo nel suo contenuto oggettivo - con<br />

riguardo alla natura e alla qualità <strong>del</strong> rapporto, al vincolo che esso comporta e al<br />

grado di affidamento richiesto dalle mansioni espletate - ma anche nella sua portata<br />

soggettiva, con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è stato<br />

posto in essere, ai modi, agli effetti e all’intensità <strong>del</strong>l’elemento psicologico<br />

<strong>del</strong>l’agente; ne consegue che la condotta <strong>del</strong> lavoratore, il quale, in occasione di uno<br />

sciopero, abbia cercato di impedire l’accesso ai locali <strong>del</strong>l’azienda da parte di un altro<br />

lavoratore, strattonandolo e facendolo arretrare, senza, tuttavia, giungere al<br />

compimento di atti di violenza fisica o di percosse, pur costituendo un illecito non<br />

integra i requisiti di gravità idonei a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario<br />

sotteso al rapporto di lavoro e a giustificare l’irrogazione <strong>del</strong>la massima sanzione,<br />

tanto più ove rilevi, sotto il profilo intenzionale, lo stato di elevata tensione <strong>del</strong>le<br />

relazioni sindacali al momento dei fatti, nonché, quanto all’apparato sanzionatorio<br />

stabilito dal c.c.n.l. applicabile (nella specie, l’art. 25 c.c.n.l. dei metalmeccanici), la<br />

previsione <strong>del</strong> licenziamento per infrazioni connotate da superiori livelli di gravità,<br />

quali la rissa in azienda ovvero il danneggiamento volontario <strong>del</strong> materiale aziendale.<br />

72


Cass. civ. Sez. lavoro, 29 marzo <strong>2010</strong>, n. 7531<br />

In linea generale, il licenziamento per sopravvenuta inidoneità allo svolgimento <strong>del</strong>le<br />

mansioni cui è adibito il lavoratore, viene ricondotto all'ipotesi <strong>del</strong> giustificato motivo<br />

oggettivo (con diritto al preavviso) proprio perché non si può escludere l'impiego <strong>del</strong><br />

dipendente in mansioni diverse. Tuttavia, con riguardo allo speciale rapporto di<br />

lavoro dei piloti, deve escludersi l'indicata evenienza per il caso di inidoneità<br />

permanente al volo, che è l'unica prestazione lavorativa dedotta in questo particolare<br />

contratto di lavoro. Non è configurabile, infatti, per il datore di lavoro, uno "ius<br />

variandi" che consenta di inserire il pilota nell'ambito <strong>del</strong> personale di terra senza che<br />

si produca una novazione <strong>del</strong> contratto.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 26 marzo <strong>2010</strong>, n. 7381<br />

In materia di licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo determinati<br />

da ragioni inerenti all'attività produttiva, il datore di lavoro ha l'onere di provare, con<br />

riferimento alla capacità professionale <strong>del</strong> lavoratore ed alla organizzazione aziendale<br />

esistente all'epoca <strong>del</strong> licenziamento, anche attraverso fatti positivi, tali da<br />

determinare presunzioni semplici (come il fatto che dopo il licenziamento e per un<br />

congruo periodo non vi siano state nuove assunzioni nella stessa qualifica <strong>del</strong><br />

lavoratore licenziato), l'impossibilità di adibire utilmente il lavoratore in mansioni<br />

diverse da quelle che prima svolgeva, giustificandosi il recesso solo come "extrema<br />

ratio". (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza <strong>del</strong>la corte territoriale che, con<br />

riferimento ad azienda di grandi dimensioni, aveva ritenuto non assolto dal datore di<br />

lavoro l'onere probatorio, sul rilievo <strong>del</strong>le numerose assunzioni nell'anno seguente a<br />

quello <strong>del</strong> licenziamento, di personale con la medesima qualifica <strong>del</strong> lavoratore<br />

licenziato, e <strong>del</strong>l'elevato livello di istruzione di questo, che ne consentiva<br />

l'utilizzazione in settori diversi da quello in cui era stato precedentemente addetto).<br />

(Rigetta, App. Roma, 21/08/2006).<br />

Cass. civ., Sez. lav., 08 marzo <strong>2010</strong>, n. 5546.<br />

Ai fini <strong>del</strong>la sussistenza <strong>del</strong>la giusta causa o <strong>del</strong> giustificato motivo di licenziamento,<br />

qualora risulti accertato che l’inadempimento <strong>del</strong> lavoratore è tale da compromettere<br />

irrimediabilmente il rapporto fiduciario, è irrilevante che analoga inadempienza,<br />

commessa da altro dipendente, sia stata diversamente valutata dal datore di lavoro;<br />

solo l’identità <strong>del</strong>le situazioni potrebbe, infatti, privare il provvedimento espulsivo<br />

<strong>del</strong>la sua base giustificativa, non potendo porsi a carico <strong>del</strong> datore di lavoro l’onere di<br />

fornire, per ciascun licenziamento, la motivazione <strong>del</strong> provvedimento adottato,<br />

comparata a quelle assunte in fattispecie analoghe.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 8 marzo <strong>2010</strong>, n. 5548<br />

In tema di licenziamento per giustificato motivo soggettivo, anche una condotta<br />

colposa <strong>del</strong> dipendente, benché non indicativa di un'aperta ribellione alla disciplina<br />

<strong>del</strong>l'impresa, può rivelare una violazione dei doveri di cautela e di attenzione idonea a<br />

ledere il rapporto fiduciario, soprattutto qualora il datore di lavoro abbia affidato al<br />

lavoratore l'uso e la custodia di beni patrimoniali di rilevante valore. (Nella specie la<br />

73


S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto sorretto da giustificato<br />

motivo soggettivo il licenziamento di un autista addetto ai trasporti eccezionali che,<br />

nel condurre un autoarticolato <strong>del</strong>la società di cui era dipendente, si era distratto dalla<br />

guida e, non avvedendosi di un blocco <strong>del</strong> traffico, non era riuscito a conservare il<br />

controllo <strong>del</strong> veicolo ed era finito fuori strada, nel tentativo di effettuare una manovra<br />

di emergenza). (Cassa con rinvio, App. Roma, 27/10/2003)<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 5 marzo <strong>2010</strong>, n. 5403<br />

In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo <strong>del</strong> lavoratore distaccato<br />

presso un terzo, gli elementi costitutivi <strong>del</strong> giustificato motivo oggettivo devono<br />

essere verificati con riferimento all'ambito aziendale <strong>del</strong> datore di lavoro distaccante,<br />

sul quale ricade anche l'onere di provare, con riguardo all'organizzazione aziendale<br />

esistente all'epoca <strong>del</strong> licenziamento, l'impossibilità di adibire utilmente il lavoratore<br />

e mansioni diverse da quelle che prima svolgeva, con la conseguenza che non è<br />

sufficiente ad integrare il giustificato motivo oggettivo di licenziamento la mera<br />

cessazione <strong>del</strong>l'interesse al distacco o la soppressione <strong>del</strong> posto presso il terzo<br />

distaccato. (Cassa con rinvio, App. Venezia, 21/10/2005)<br />

- Superamento <strong>del</strong> periodo di comporto<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 21 dicembre <strong>2010</strong>, n. 25863<br />

È corretta l'interpretazione <strong>del</strong> giudice <strong>del</strong> merito secondo cui la clausola <strong>del</strong> contratto<br />

collettivo nazionale di lavoro, nella parte in cui prevede che, superato il periodo di<br />

comporto di 12 mesi, su richiesta <strong>del</strong> lavoratore, impossibilitato a riprendere servizio,<br />

potrà essere concessa un'aspettativa, gli attribuisce il diritto o, quanto meno, un<br />

interesse qualificato a un ulteriore periodo di sospensione <strong>del</strong> rapporto.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 25 novembre <strong>2010</strong>, n. 23920<br />

Il licenziamento per superamento <strong>del</strong> periodo di comporto è assimilabile non al<br />

licenziamento disciplinare, ma a quello per giustificato motivo oggettivo. Ne<br />

consegue che il datore di lavoro, non ha l'onere di indicare le singole giornate di<br />

assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive come la<br />

determinazione <strong>del</strong> numero totale <strong>del</strong>le assenze verificatesi in un determinato periodo,<br />

fermo restando l'onere, nell'eventuale sede giudiziaria, di allegare e provare,<br />

compiutamente, i fatti costitutivi <strong>del</strong> potere esercitato. (Rigetta, App. Catania,<br />

04/08/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 13 luglio <strong>2010</strong>, n. 16421<br />

Con riferimento al licenziamento che trovi giustificazione nelle assenze per malattia<br />

<strong>del</strong> lavoratore, si applicano le regole dettate dall'art. 2 <strong>del</strong>la legge n. 604/1966<br />

(modificato dall'art. 2 <strong>del</strong>la legge n. 108 <strong>del</strong> 1990) sulla forma <strong>del</strong>l'atto e la<br />

comunicazione dei motivi <strong>del</strong> recesso, poiché nessuna norma speciale è al riguardo<br />

dettata dall'art. 2110 cod. civ. Conseguentemente, qualora l'atto di intimazione <strong>del</strong><br />

licenziamento non precisi le assenze in base alle quali sia ritenuto superato il periodo<br />

74


di conservazione <strong>del</strong> posto di lavoro, il lavoratore - il quale, particolarmente nel caso<br />

di comporto per sommatoria, ha l'esigenza di poter opporre propri specifici rilievi - ha<br />

la facoltà di chiedere al datore di lavoro di specificare tale aspetto fattuale <strong>del</strong>le<br />

ragioni <strong>del</strong> licenziamento, e, nel caso di non ottemperanza con le modalità di legge a<br />

tale richiesta, di dette assenze non può tenersi conto ai fini <strong>del</strong>la verifica <strong>del</strong><br />

superamento <strong>del</strong> periodo di comporto; ove, invece, il lavoratore abbia direttamente<br />

impugnato il licenziamento, il datore di lavoro può precisare in giudizio i motivi di<br />

esso ed i fatti che hanno determinato il superamento <strong>del</strong> periodo di comporto, non<br />

essendo ravvisabile in ciò una integrazione o modificazione <strong>del</strong>la motivazione <strong>del</strong><br />

recesso. (Rigetta, App. Roma, 06/12/2005).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 11 maggio <strong>2010</strong>, n. 11342<br />

Risulta incompatibile con la volontà di recedere dal contratto il comportamento <strong>del</strong><br />

datore di lavoro di accettare il rientro al lavoro <strong>del</strong> dipendente, al superamento <strong>del</strong><br />

periodo di comporto per sommatoria, senza l'adozione nei confronti di questo di alcun<br />

provvedimento, ingenerando così l'affidamento <strong>del</strong>l'interessato sulla tolleranza <strong>del</strong>le<br />

numerose assenze per ripetuti eventi morbosi.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 28 gennaio <strong>2010</strong>, n. 1861<br />

<strong>La</strong> fattispecie di recesso <strong>del</strong> datore di lavoro, per l'ipotesi di assenze determinate da<br />

malattia <strong>del</strong> lavoratore, tanto nel caso di una sola affezione continuata, quanto in<br />

quello <strong>del</strong> succedersi di diversi episodi morbosi (cosiddetta eccessiva morbilità), è<br />

soggetta alle regole dettate dall'art. 2110 cod. civ., che prevalgono, per la loro<br />

specialità, sia sulla disciplina generale <strong>del</strong>la risoluzione <strong>del</strong> contratto per<br />

sopravvenuta impossibilità parziale <strong>del</strong>la prestazione lavorativa, sia sulla disciplina<br />

limitativa dei licenziamenti individuali. Ne consegue che il datore di lavoro, da un<br />

lato, non può recedere dal rapporto prima <strong>del</strong> superamento <strong>del</strong> limite di tollerabilità<br />

<strong>del</strong>l'assenza (cosiddetto periodo di comporto), il quale è predeterminato per legge,<br />

dalla disciplina collettiva o dagli usi, oppure, in difetto di tali fonti, determinato dal<br />

giudice in via equitativa, e, dall'altro, che il superamento di quel limite è condizione<br />

sufficiente di legittimità <strong>del</strong> recesso, nel senso che non è necessaria la prova <strong>del</strong><br />

giustificato motivo oggettivo nè <strong>del</strong>la sopravvenuta impossibilità <strong>del</strong>la prestazione<br />

lavorativa, nè <strong>del</strong>la correlata impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse.<br />

(Cassa con rinvio, App. Palermo, 13/02/2006).<br />

- Licenziamento <strong>del</strong> dirigente<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 13 dicembre <strong>2010</strong>, n. 25145<br />

<strong>La</strong> disciplina limitativa <strong>del</strong> potere di licenziamento di cui alle leggi 15 n. 604 <strong>del</strong><br />

1966 e n. 300 <strong>del</strong> 1970 non è applicabile, ai sensi <strong>del</strong>l'art. 10 <strong>del</strong>la legge n. 604 <strong>del</strong><br />

1966, ai dirigenti convenzionali, quelli cioè da ritenere tali alla stregua <strong>del</strong>le<br />

declaratorie <strong>del</strong> contratto collettivo applicabile, sia che si tratti di dirigenti apicali, che<br />

di dirigenti medi o minori, ad eccezione degli pseudo-dirigenti, vale a dire di coloro i<br />

cui compiti non sono in alcun modo riconducibili alla declaratoria contrattuale <strong>del</strong><br />

dirigente. Ne consegue che, ai fini <strong>del</strong>l'eventuale riconoscimento <strong>del</strong>l'indennità<br />

75


supplementare prevista per la categoria dei dirigenti, occorre fare riferimento alla<br />

nozione contrattuale di giustificatezza che si discosta, sia nel piano soggettivo che su<br />

quello oggettivo, da quello di giustificato motivo ex art. 3, legge n. 604 <strong>del</strong> 1966, e di<br />

giusta causa ex art. 2119 cod. civ., trovando la sua ragione d'essere, da un lato, nel<br />

rapporto fiduciario che lega il dirigente al datore di lavoro in ragione <strong>del</strong>le mansioni<br />

affidate - suscettibile di essere leso anche da mera inadeguatezza rispetto ad<br />

aspettative riconoscibili "ex ante" o da importante deviazione dalla linea segnata dalle<br />

direttive generali <strong>del</strong> datore di lavoro, ovvero da comportamento extralavorativo<br />

incidente sull'immagine aziendale a causa <strong>del</strong>la posizione rivestita - e, dall'altro, nello<br />

stesso sviluppo <strong>del</strong>le strategie di impresa che rendano nel tempo non pienamente<br />

adeguata la concreta posizione assegnata al dirigente nella articolazione <strong>del</strong>la struttura<br />

direttiva <strong>del</strong>l'azienda. (Cassa con rinvio, App. Sassari, 15/09/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 1 dicembre <strong>2010</strong>, n. 24340<br />

In tema di licenziamento di dirigente di azienda bancaria, non trovano applicazione<br />

né la disciplina di cui agli artt. 4 e 24 <strong>del</strong>la legge 23 luglio 2001, n. 223, né la tutela in<br />

materia di licenziamento individuale, bensì le disposizioni <strong>del</strong> CCNL <strong>del</strong> 1 dicembre<br />

2000, che all'art. 26 richiama espressamente il D.M. n. 158 <strong>del</strong> 2000 il quale, all'art. 7,<br />

prevede, quanto agli assegni straordinari per il sostegno <strong>del</strong> reddito ed i versamenti<br />

contributivi correlati ai processi di ristrutturazione o per le situazioni di crisi, la<br />

salvezza <strong>del</strong>le norme di legge e <strong>del</strong> contratto collettivo e, all'art. 29, prevede<br />

l'attribuzione al dirigente ingiustificatamente licenziato di una indennità<br />

supplementare, proporzionata all'anzianità, norma quella da ultimo richiamata,<br />

applicabile anche al caso di recesso per asserite ragioni oggettive di riorganizzazione<br />

aziendale. (Rigetta, App. Milano, 28/07/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 22 ottobre <strong>2010</strong>, n. 21748<br />

Per stabilire se sia giustificato il licenziamento di un dirigente intimato per ragioni di<br />

ristrutturazione aziendale, non è dirimente la circostanza che le mansioni da questi<br />

precedentemente svolte vengano affidate ad altro dirigente in aggiunta a quelle sue<br />

proprie, in quanto quel che rileva è che presso l'azienda non esista più una posizione<br />

lavorativa esattamente sovrapponibile a quella <strong>del</strong> lavoratore licenziato. (Cassa con<br />

rinvio, App. Torino, 10/05/2006)<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 2 settembre <strong>2010</strong>, n. 18998<br />

In tema di licenziamento disciplinare, il lavoratore che abbia subito tale<br />

licenziamento, quale dirigente, per poter fruire <strong>del</strong> più favorevole regime restrittivo<br />

<strong>del</strong> licenziamento, deve provare che al formale inquadramento dirigenziale<br />

riconosciutogli dalla società datrice di lavoro non corrispondeva un'attribuzione<br />

effettiva di mansioni e poteri propri di un dirigente, ovvero che le mansioni<br />

effettivamente svolte non corrispondevano a quelle previste per la categoria<br />

dirigenziale. In tal senso, nel caso di specie, a dispetto di quanto asserito dal<br />

ricorrente, non si è ravvisata alcuna violazione nè falsa applicazione <strong>del</strong>l'art. 2697 c.c.<br />

in ordine all'appartenenza <strong>del</strong>lo stesso alla categoria dei dirigenti, atteso che<br />

quest'ultimo, in violazione all'onere probatorio su di esso ricadente, non ha dimostrato<br />

che le mansioni effettivamente svolte non corrispondevano a quelle di un dirigente.<br />

76


Cass. civ. Sez. lavoro, 22 marzo <strong>2010</strong>, n. 6847<br />

Il dirigente che, in conseguenza <strong>del</strong>la risoluzione <strong>del</strong> rapporto con il datore di lavoro<br />

causata dal recesso ingiustificato di quest'ultimo, chieda il risarcimento <strong>del</strong> danno<br />

biologico riconducibile alla condotta datoriale, è tenuto a provare i comportamenti<br />

datoriali cui addebita, in ragione <strong>del</strong>la loro gravità, la lesione <strong>del</strong> decoro e<br />

<strong>del</strong>l'integrità psico-fisica e l'elemento soggettivo <strong>del</strong>la colpa grave o <strong>del</strong> dolo, non<br />

derivando gli effetti risarcitori automaticamente dall'accertata illegittimità <strong>del</strong> recesso<br />

(a cui è, invece, correlato direttamente il diritto all'indennità supplementare di<br />

preavviso), senza che possa al riguardo operare, ai sensi <strong>del</strong>l'art. 1229, comma primo,<br />

cod. civ., alcuna clausola di esclusione, in via preventiva, <strong>del</strong>la responsabilità<br />

datoriale che, ove prevista, sarebbe inficiata da nullità. (Rigetta, App. Ancona,<br />

02/10/2006).<br />

- Profili risarcitori<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 1 dicembre <strong>2010</strong>, n. 24366<br />

Nel processo <strong>del</strong> lavoro, qualora il lavoratore - in correlazione con la sospensione<br />

cautelare subita, di cui deduca l'illegittimità - abbia richiesto, in primo grado, il<br />

pagamento <strong>del</strong>le retribuzioni a titolo di risarcimento da illegittima applicazione <strong>del</strong>la<br />

detta sospensione, costituisce domanda nuova per modificazione <strong>del</strong>la "causa<br />

petendi", come tale inammissibile in appello, quella, avanzata per la prima volta in<br />

secondo grado, di pagamento <strong>del</strong>le retribuzioni a titolo di adempimento contrattuale,<br />

essendo il diritto alle stesse previsto da un articolo <strong>del</strong> CCNL di categoria. (Cassa<br />

senza rinvio, App. Roma, 06/11/2006).<br />

Cass. civ. Sez. III, 9 dicembre <strong>2010</strong>, n. 24864<br />

Poiché il danno biologico ha natura non patrimoniale, e dal momento che il danno<br />

non patrimoniale ha natura unitaria, è corretto l'operato <strong>del</strong> giudice di merito che<br />

liquidi il risarcimento <strong>del</strong> danno biologico in una somma omnicomprensiva, posto che<br />

le varie voci di danno non patrimoniale elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza<br />

(danno estetico, danno esistenziale, danno alla vita di relazione, ecc.) non<br />

costituiscono pregiudizi autonomamente risarcibili, ma possono venire in<br />

considerazione solo in sede di adeguamento <strong>del</strong> risarcimento al caso specifico, e<br />

sempre che il danneggiato abbia allegato e dimostrato che il danno biologico o morale<br />

presenti aspetti molteplici e riflessi ulteriori rispetto a quelli tipici. (Cassa con rinvio,<br />

App. Napoli, 10/11/2005).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 17 novembre <strong>2010</strong>, n. 23226<br />

In tema di licenziamento illegittimo, il datore di lavoro che contesti la richiesta<br />

risarcitoria pervenutagli dal lavoratore è onerato, pur con l'ausilio di presunzioni<br />

semplici, <strong>del</strong>la prova <strong>del</strong>l'"aliunde perceptum" o <strong>del</strong>l' "aliunde percipiendum", a nulla<br />

rilevando la difficoltà di tale tipo di prova o la mancata collaborazione <strong>del</strong> dipendente<br />

estromesso dall'azienda, dovendosi escludere che il lavoratore abbia l'onere di farsi<br />

77


carico di provare una circostanza, quale la nuova assunzione a seguito <strong>del</strong><br />

licenziamento, riduttiva <strong>del</strong> danno patito. (Rigetta, App. Bologna, 19/01/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 2 settembre <strong>2010</strong>, n. 19000<br />

L'accertamento in ordine all'intervenuta cessazione totale <strong>del</strong>l'attività aziendale nel<br />

corso <strong>del</strong> giudizio instaurato al fine di ottenere la declaratoria di inefficacia <strong>del</strong><br />

licenziamento intimato al ricorrente dalla oramai cessata impresa, oltre al<br />

risarcimento dei danni, impedisce al Giudice di disporre la reintegrazione <strong>del</strong><br />

dipendente nel posto di lavoro. In ipotesi siffatte l'organo giudicante è tenuto, invero,<br />

a limitare la sua pronuncia all'eventuale accoglimento <strong>del</strong>la domanda di risarcimento<br />

<strong>del</strong> danno subito dal dipendente nel periodo compreso tra la data <strong>del</strong> licenziamento e<br />

quella <strong>del</strong>la sopravvenuta causa di risoluzione <strong>del</strong> rapporto. In tal senso <strong>del</strong> tutto<br />

infondato si rivela nella specie il motivo di ricorso alla Corte di legittimità con il<br />

quale, verificatasi la cessazione totale <strong>del</strong>l'attività d'impresa <strong>del</strong> datore di lavoro nel<br />

corso <strong>del</strong> giudizio, il ricorrente lamenta la violazione da parte <strong>del</strong> Giudice <strong>del</strong> merito<br />

<strong>del</strong> principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c. per non<br />

aver egli adottato alcuna decisione in ordine alla richiesta condanna <strong>del</strong>la resistente<br />

parte datoriale alla reintegrazione <strong>del</strong> lavoratore ex art. 18 <strong>del</strong>la legge n. 300 <strong>del</strong><br />

1970.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 28 aprile <strong>2010</strong>, n. 10164<br />

In caso di illegittimo licenziamento <strong>del</strong> lavoratore, il risarcimento <strong>del</strong> danno spettante<br />

a norma <strong>del</strong>l'art.18 <strong>del</strong>la legge n. 300 <strong>del</strong> 1970, commisurato all'importo <strong>del</strong>le<br />

retribuzioni che sarebbero maturate dalla data <strong>del</strong> licenziamento, non può essere<br />

diminuito degli importi eventualmente ricevuti a titolo di indennità di mobilità, che si<br />

sottraggono alla regola <strong>del</strong>la "compensatio lucri cum danno", in quanto tali somme,<br />

percepite ad altro titolo dall'istituto previdenziale, con l'annullamento <strong>del</strong><br />

licenziamento perdono il titolo giustificativo e devono essere restituite, a richiesta<br />

<strong>del</strong>l'ente previdenziale, con la conseguenza che non realizzano un effettivo<br />

incremento patrimoniale <strong>del</strong> lavoratore. (Cassa con rinvio, App. Cagliari, 19/07/2005)<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 12 aprile <strong>2010</strong>, n. 8643<br />

Nel giudizio avente ad oggetto la domanda di risarcimento <strong>del</strong> danno derivante da<br />

licenziamento dichiarato illegittimo, non è ravvisabile vizio di ultrapetizione nella<br />

limitazione <strong>del</strong>la condanna al risarcimento compiuta dal giudice d'appello in base alla<br />

valorizzazione di un fatto incidente sulla permanenza <strong>del</strong>l'obbligo di risarcimento,<br />

quale il richiamo in servizio <strong>del</strong> lavoratore a seguito <strong>del</strong>la pronuncia di<br />

reintegrazione. <strong>La</strong> condanna <strong>del</strong> datore di lavoro al risarcimento <strong>del</strong> danno, ai sensi<br />

<strong>del</strong>l'art. 18 <strong>del</strong>la legge 20 maggio 1970, n.300, costituisce, infatti, una pronuncia in<br />

futuro e condizionata in particolare, alla permanenza <strong>del</strong> rapporto di lavoro e alla non<br />

riattivazione con la reintegra <strong>del</strong> lavoratore, quanto al periodo successivo alla<br />

pronuncia <strong>del</strong>la sentenza, con la conseguenza che, passata in giudicato la sentenza e<br />

devoluta al giudice di appello la controversia per effetto <strong>del</strong>la proposizione<br />

<strong>del</strong>l'impugnazione, anche se per motivi inerenti alla sola illegittimità <strong>del</strong><br />

licenziamento, la cognizione <strong>del</strong> giudice di appello deve ritenersi estesa alla verifica,<br />

anche d'ufficio, circa l'esistenza e la misura <strong>del</strong> danno che concretamente matura solo<br />

78


nel corso <strong>del</strong> giudizio di secondo grado, anche perchè con la eventuale conferma <strong>del</strong>la<br />

sentenza di primo grado la pronuncia relativa al risarcimento <strong>del</strong> danno muta la sua<br />

portata diventando, per il periodo intercorrente tra le due sentenze di merito, una<br />

pronuncia concreta e non più una condanna in futuro. (Cassa e decide nel merito,<br />

App. Roma, 07/10/2005).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 26 marzo <strong>2010</strong>, n. 7344<br />

In tema di risarcimento <strong>del</strong> danno a seguito di licenziamento illegittimo, va esclusa<br />

l'applicazione <strong>del</strong>l'art. 1227, secondo comma, cod. civ. in relazione alle conseguenze<br />

dannose discendenti dal tempo impiegato per la tutela giurisdizionale da parte <strong>del</strong><br />

lavoratore - maggiore <strong>del</strong> previsto a causa di errori difensivi - dovendosi escludere<br />

che la durata <strong>del</strong> processo possa risolversi in un pregiudizio per la parte vittoriosa,<br />

tanto più che le norme processuali garantiscono al datore di lavoro una posizione<br />

paritaria rispetto alle altre parti <strong>del</strong> processo, con l'attribuzione di poteri idonei a<br />

contrastare le altrui strategie difensive o, comunque, per intervenire su errori<br />

processuali suscettibili di incidere sui tempi <strong>del</strong> giudizio. (Nella specie, il ricorrente<br />

aveva dedotto la responsabilità <strong>del</strong> lavoratore per aver instaurato il giudizio nei<br />

confronti <strong>del</strong>l'originaria società datrice di lavoro nonostante che la stessa si fosse<br />

estinta per incorporazione otto mesi prima; la S.C., nel rigettare il ricorso, dopo aver<br />

evidenziato che il lavoratore aveva con tempestività avviato il giudizio, ha rilevato<br />

che era stata la società ad omettere ogni utile attività, non avendo neppure curato di<br />

costituirsi anche solo per far constare l'eventuale nullità <strong>del</strong>la notifica e il difetto di<br />

legittimazione <strong>del</strong>la società intimata). (Rigetta, App. Sassari, 13/04/2006)<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 5 febbraio <strong>2010</strong>, n. 2676<br />

<strong>La</strong> decadenza dall'impugnativa <strong>del</strong> licenziamento impedisce al lavoratore di<br />

richiedere il risarcimento <strong>del</strong> danno secondo le norme codicistiche ordinarie, poiché<br />

non consente di far accertare in sede giudiziale l'illegittimità <strong>del</strong> recesso. L'azione di<br />

diritto comune può essere esercitata, anche in caso di decadenza, soltanto in via<br />

residuale per far valere profili di illegittimità <strong>del</strong> recesso che siano diversi da quelli<br />

previsti dalla normativa speciale sui licenziamenti, individuali o collettivi.<br />

* * *<br />

T. I licenziamenti collettivi<br />

- Procedure di mobilità e cassa integrazione<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 13 dicembre <strong>2010</strong>, n. 25139<br />

In tema di cassa integrazione guadagni, la richiesta <strong>del</strong> lavoratore di risarcimento<br />

danni per l'illegittima sospensione a seguito di collocamento in C.i.g.s. ha ad oggetto<br />

un credito da inadempimento contrattuale, soggetto all'ordinaria prescrizione<br />

decennale. (Rigetta, App. Torino, 10/02/2006).<br />

79


Cass. civ. Sez. lavoro, 1 dicembre <strong>2010</strong>, n. 24343<br />

Deve considerarsi legittimo il licenziamento collettivo di personale irrogato per<br />

ridurre il costo <strong>del</strong> lavoro, se il datore di lavoro ha individuato un solo criterio di<br />

selezione, purché certo e non discrezionale.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 9 novembre <strong>2010</strong>, n. 22760<br />

In tema di trattamento straordinario di cassa integrazione guadagni previsto<br />

dall'articolo unico <strong>del</strong>la legge n. 427 <strong>del</strong> 1980, sia nel suo testo originario che in<br />

quello parzialmente modificato dall'art. 1 <strong>del</strong> d.l. 299 <strong>del</strong> 1994 (conv., con mod., nella<br />

legge n. 451 <strong>del</strong> 1994), ed anche a prescindere dalla norma d'interpretazione autentica<br />

di cui all'art. 44, comma 6, <strong>del</strong> d.l. n. 269 <strong>del</strong> 2003 (conv. nella legge n. 326 <strong>del</strong><br />

2003), le mensilità aggiuntive e, in particolare, la tredicesima mensilità, sono<br />

computabili nella retribuzione costituente base di calcolo degli importi<br />

<strong>del</strong>l'integrazione salariale, nell'ambito dei limiti massimi <strong>del</strong>l'importo mensile<br />

<strong>del</strong>l'integrazione fissati dal citato articolo unico, dovendosi escludere una diversa ed<br />

ulteriore incidenza <strong>del</strong>le mensilità aggiuntive sul trattamento di integrazione salariale;<br />

tale computabilità nei limiti precisati è, coerente con l'esigenza di compensare la<br />

riduzione retributiva causata al lavoratore dipendente da sospensioni temporanee <strong>del</strong><br />

rapporto di lavoro, attraverso una prestazione previdenziale che si riferisca<br />

unitariamente a tutto il pregiudizio maturato nel periodo di riferimento, ferma la<br />

necessità che il trattamento straordinario sia calcolato su base settimanale e che il<br />

massimale sia rapportato all'integrazione dovuta per le ore non lavorate nel mese.<br />

(Cassa e decide nel merito, App. Campobasso, 05/02/2007).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 28 ottobre <strong>2010</strong>, n. 22033<br />

In materia di licenziamento collettivo, l'impresa che intenda cessare l'attività e<br />

licenziare tutti i dipendenti salvo un gruppo individuato in base al possesso <strong>del</strong>le<br />

competenze professionali necessarie per il compimento <strong>del</strong>le operazioni di<br />

liquidazione, deve egualmente effettuare, a pena di inefficacia <strong>del</strong> licenziamento, la<br />

comunicazione di cui all'art. 4, comma 9, <strong>del</strong>la legge n. 223 <strong>del</strong> 1991 con la<br />

precisazione <strong>del</strong>le modalità di attuazione <strong>del</strong> criterio di scelta e la comparazione tra<br />

tutte le professionalità <strong>del</strong> personale in servizio rispetto allo scopo perseguito, senza<br />

che assuma rilievo l'unicità <strong>del</strong> criterio adottato ancorché concordato con le<br />

organizzazioni sindacali. (Rigetta, App. Napoli, 18/12/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 28 settembre <strong>2010</strong>, n. 20358<br />

Il D.M. 28 aprile 2000, n. 158, recante il Regolamento relativo all'istituzione <strong>del</strong><br />

Fondo di solidarietà per il sostegno <strong>del</strong> reddito, <strong>del</strong>l'occupazione e <strong>del</strong>la riconversione<br />

e riqualificazione professionale <strong>del</strong> personale dipendente dalle imprese di credito,<br />

presso l'I.N.P.S., prevede espressamente che il lavoratore, richiedendo i benefici ivi<br />

previsti, rinunci al preavviso di licenziamento ed alla relativa indennità sostitutiva, i<br />

quali implicano la risoluzione <strong>del</strong> rapporto. <strong>La</strong> rinuncia al preavviso ed all'indennità<br />

sostitutiva è, pertanto, considerata dalla normativa richiamata come accettazione<br />

<strong>del</strong>l'anticipata risoluzione <strong>del</strong> rapporto, il che preclude un successivo ripensamento e<br />

80


l'impugnazione <strong>del</strong> recesso. All'uopo deve, altresì, rilevarsi che trattasi di fatto di una<br />

normativa che mira ad eliminare, per quanto possibile, l'eventuale contenzioso<br />

derivante dai processi di ristrutturazione aziendale che non a caso chiama anche il<br />

datore di lavoro a partecipare finanziariamente all'erogazione dei trattamenti previsti,<br />

per cui deve fondatamente dedursi la contrarietà allo scopo legislativo <strong>del</strong>la<br />

previsione che consentisse l'erogazione <strong>del</strong> beneficio mantenendo aperta la possibilità<br />

di rimettere in discussione l'ormai intervenuta conclusione <strong>del</strong> rapporto. (Nella<br />

fattispecie, pacifica la richiesta dei lavoratori ricorrenti di accedere alle prestazioni<br />

<strong>del</strong> Fondo, l'impugnata decisione di merito che ha escluso l'acquiescenza al<br />

licenziamento non è conforme a diritto in quanto non ha considerato l'effetto legale<br />

che la normativa in considerazione riconnette a tale accesso. Ne consegue la<br />

cassazione <strong>del</strong>la sentenza e la conseguente decisione nel merito).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 22 settembre <strong>2010</strong>, n. 20005<br />

Ove il datore di lavoro abbia proceduto al licenziamento di dipendenti per riduzione<br />

di personale, il lavoratore licenziato ha la precedenza nella riassunzione presso la<br />

medesima azienda, sempre che la richiesta di nuova assunzione, numerica o<br />

nominativa, presentata dal datore di lavoro, riguardi lavoratori <strong>del</strong>la medesima<br />

qualifica di quello licenziato. Peraltro, in tal caso, l'azienda che ha proceduto<br />

all'assunzione non ha diritto ai benefici contributivi di legge.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 23 giugno <strong>2010</strong>, n. 15207<br />

In caso di sospensione <strong>del</strong>l'attività lavorativa per l'attualità di una crisi aziendale<br />

implicante la possibilità di intervento <strong>del</strong>la cassa integrazione guadagni, la<br />

qualificazione giuridica <strong>del</strong>le somme corrisposte a titolo di anticipazione <strong>del</strong>la<br />

prestazione previdenziale è consentita solo all'esito <strong>del</strong> procedimento per<br />

l'ammissione al trattamento di integrazione salariale, e in caso di mancato<br />

accoglimento <strong>del</strong>la richiesta di intervento <strong>del</strong>la C.I.G., tali importi costituiscono solo<br />

una parte <strong>del</strong>la retribuzione, al cui pagamento il datore di lavoro continua ad essere<br />

interamente obbligato in base alla disciplina generale <strong>del</strong>le obbligazioni e dei contratti<br />

con prestazioni corrispettive, trovandosi in una situazione di "mora credendi" rispetto<br />

ad una sospensione unilateralmente da lui disposta, in difetto <strong>del</strong> relativo potere.<br />

Conseguentemente, la persistenza <strong>del</strong>l'obbligo retributivo in capo al datore di lavoro<br />

in caso di sospensione <strong>del</strong>l'attività lavorativa non seguita da intervento <strong>del</strong>la c.i.g.<br />

comporta necessariamente l'assoggettamento a contribuzione previdenziale e<br />

assicurativa <strong>del</strong>le somme che risultano corrisposte a titolo di anticipazione<br />

<strong>del</strong>l'integrazione salariale, ma sono da imputare definitivamente alla retribuzione<br />

contrattualmente dovuta.(In applicazione di tale principio la S.C. ha confermato la<br />

sentenza impugnata che aveva escluso che dette somme potessero essere qualificate<br />

come atti di liberalità, ai sensi <strong>del</strong>l'art. 12 <strong>del</strong>la legge n. 153 <strong>del</strong> 1969, per il solo fatto<br />

che fossero state oggetto di accordo transattivo). (Rigetta, App. Caltanissetta,<br />

18/02/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 25 maggio <strong>2010</strong>, n. 12746<br />

L'anticipazione <strong>del</strong>l'indennità di mobilità, prevista dall'art. 7, comma quinto, <strong>del</strong>la<br />

legge n. 223 <strong>del</strong> 1991 in favore dei lavoratori che ne facciano richiesta per<br />

81


intraprendere una attività lavorativa autonoma, risponde alla "ratio" di indirizzare il<br />

più possibile il disoccupato in mobilità verso attività autonome, al fine precipuo di<br />

ridurre la pressione sul mercato <strong>del</strong> lavoro subordinato, così perdendo la sua<br />

connotazione di tipica prestazione di sicurezza sociale, e configurandosi non già come<br />

funzionale a sopperire ad uno stato di bisogno, ma come un contributo finanziario,<br />

destinato a sopperire alle spese iniziali di un'attività che il lavoratore in mobilità<br />

svolge in proprio, e che il lavoratore, in caso di rioccupazione alle altrui dipendenze<br />

entro 24 mesi dalla corresponsione <strong>del</strong>le somme, deve restituire. Ne consegue che, in<br />

ipotesi di temporanea intervenuta rioccupazione quale lavoratore subordinato durante<br />

i ventiquattro mesi successivi all'erogazione <strong>del</strong>l'anticipazione, le somme percepite<br />

dal lavoratore devono essere restituite per intero, e non solo in proporzione alla durata<br />

di tale rioccupazione. (Cassa e decide nel merito, App. Lecce, 28/03/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 10 maggio <strong>2010</strong>, n. 11254<br />

<strong>La</strong> comunicazione aziendale di avere una contrazione <strong>del</strong>l'attività produttiva non è<br />

sufficiente per collocare i dipendenti in Cassa integrazione. Il datore di lavoro, infatti,<br />

è tenuto a mettere il sindacato in condizione di valutare preventivamente, di<br />

concordare i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere e di verificare la possibilità<br />

di applicare o meno la rotazione. In mancanza di tutto questo, i lavoratori colpiti dal<br />

provvedimento possono ottenere il ripristino <strong>del</strong> rapporto e il pagamento <strong>del</strong>la<br />

retribuzione piena e non integrata.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 30 aprile <strong>2010</strong>, n. 10512<br />

In tema di cassa integrazione guadagni, il datore di lavoro che abbia provveduto a<br />

favore dei lavoratori all'anticipazione di somme in misura superiore a quelle che è<br />

possibile conguagliare con i contributi dovuti all'INPS, nel periodo di riferimento ai<br />

sensi <strong>del</strong>l'art. 12 <strong>del</strong> d.lgs.lgt. n. 788 <strong>del</strong> 1945, è tenuto a richiedere il rimborso <strong>del</strong>le<br />

integrazioni corrisposte, nell'ammontare eccedente la parte conguagliata con i<br />

contributi, nel termine decadenziale di sei mesi a far data dalla fine <strong>del</strong> periodo di<br />

paga in corso alla scadenza <strong>del</strong> termine di durata <strong>del</strong>la concessione, il cui decorso non<br />

è impedito dall'invio di un mo<strong>del</strong>lo DM/10 nel quale venga indicato soltanto l'importo<br />

dei contributi da conguagliare e non l'importo complessivo <strong>del</strong>le somme anticipate<br />

ancorché il predetto mo<strong>del</strong>lo DM/10 contenga un esplicito riferimento ai<br />

provvedimenti autorizzatori <strong>del</strong>l'intervento <strong>del</strong>la cassa integrazione ordinaria in base<br />

ai quali sono state effettuate le anticipazioni salariali. (Cassa e decide nel merito,<br />

App. Lecce, 24/10/2005).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 29 marzo <strong>2010</strong>, n. 7519<br />

Ai fini <strong>del</strong>la sussistenza di un licenziamento collettivo e <strong>del</strong>la applicabilità <strong>del</strong>la<br />

relativa disciplina, il termine licenziamento va inteso in senso tecnico, non potendo ad<br />

esso parificarsi qualunque altro tipo di cessazione <strong>del</strong> rapporto determinata (anche o<br />

soltanto) da una scelta <strong>del</strong> lavoratore, come nelle ipotesi di dimissioni, risoluzioni<br />

concordate, o prepensionamenti, anche ove tali forme di cessazione <strong>del</strong> rapporto siano<br />

riconducibili alla medesima operazione di riduzione <strong>del</strong>le eccedenze <strong>del</strong>la forza<br />

lavoro che giustifica il ricorso ai licenziamenti. (Rigetta, App. Napoli, 20/02/2006).<br />

82


Cass. civ., Sez. lav., 22 marzo <strong>2010</strong>, n. 6849.<br />

In materia di licenziamento collettivo, l’onere <strong>del</strong>la prova <strong>del</strong>la sussistenza dei<br />

requisiti prescritti dall’art. 24, l. n. 223 <strong>del</strong> 1991 incombe sulla parte (datore di lavoro<br />

o lavoratore) che sostenga che il licenziamento presenti i requisiti indicati dalla<br />

norma, senza che rilevi la diversa ripartizione <strong>del</strong>l’onere probatorio prevista dall’art.<br />

5, l. n. 604 <strong>del</strong> 1966, in tema di prova <strong>del</strong>la giusta causa o <strong>del</strong> giustificato motivo,<br />

attesa l’inapplicabilità <strong>del</strong>la predetta normativa dai licenziamenti per riduzione di<br />

personale (art. 11 l. n. 604 cit.) (nella specie, la suprema corte ha confermato la<br />

decisione <strong>del</strong>la corte territoriale che aveva escluso l’applicabilità <strong>del</strong>la disciplina sulle<br />

riduzioni <strong>del</strong> personale per non aver il lavoratore assolto l’onere <strong>del</strong>la prova <strong>del</strong><br />

recesso di almeno cinque dipendenti nell’arco di centoventi giorni).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 22 marzo <strong>2010</strong>, n. 6841<br />

Il criterio di scelta dei dipendenti da porre in cassa integrazione ed in mobilità,<br />

determinato nel rispetto <strong>del</strong>le procedure previste dagli artt. 4 e 5 <strong>del</strong>la l. 23 luglio<br />

1991, n. 223, non può essere successivamente disapplicato o modificato, travalicando<br />

gli ambiti originariamente previsti, non essendo consentito che in tale spazio<br />

temporale l'individuazione dei singoli destinatari dei provvedimenti datoriali venga<br />

lasciata all'iniziativa ed al mero potere discrezionale <strong>del</strong>l'imprenditore, in quanto ciò<br />

pregiudicherebbe l'interesse dei lavoratori ad una gestione trasparente ed affidabile<br />

<strong>del</strong>la mobilità e <strong>del</strong>la riduzione <strong>del</strong> personale. (Rigetta, App. Napoli, 07/02/2005).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 19 marzo <strong>2010</strong>, n. 6741<br />

In tema di cassa integrazione guadagni, ai fini <strong>del</strong>la decadenza <strong>del</strong> diritto al<br />

trattamento integrativo salariale è sufficiente lo svolgimento di una attività lavorativa<br />

suscettibile di produrre reddito, restando irrilevante che si tratti di attività non<br />

retributiva o che l'attività sia qualificabile come autonoma o subordinata, dovendosi<br />

ritenere che la "ratio" <strong>del</strong>l'art. 3 <strong>del</strong> d.lgs.lgt. n. 788 <strong>del</strong> 1945, applicabile "ratione<br />

temporis", sia quella di evitare l'erogazione <strong>del</strong> trattamento integrativo in<br />

concomitanza con lo svolgimento di un'attività sostitutiva di quella sospesa. (Rigetta,<br />

App. L'Aquila, 04/05/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 8 febbraio <strong>2010</strong>, n. 2734<br />

In tema di licenziamenti collettivi, l'art. 24 <strong>del</strong>la legge n. 223 <strong>del</strong> 1991 disciplina il<br />

licenziamento collettivo per riduzione di personale in modo diverso dal licenziamento<br />

collettivo preceduto dalla mobilità (c.d. licenziamento collettivo "post mobilità")<br />

previsto dall'art. 4 <strong>del</strong>la medesima legge, richiamando solo alcune <strong>del</strong>le disposizioni a<br />

quest'ultimo applicabili, con esclusione <strong>del</strong> requisito numerico previsto dall'art. 4,<br />

comma 1, <strong>del</strong>la legge n. 223 cit. (cinque licenziamenti in 120 giorni per ciascuna<br />

unità produttiva). Né le disposizioni <strong>del</strong>l'art. 4 citato non richiamate espressamente<br />

dall'art. 24 cit. possono essere applicate analogicamente, a causa <strong>del</strong> carattere<br />

eccezionale <strong>del</strong>la regolamentazione <strong>del</strong> licenziamento "post mobilità", il quale rende<br />

necessaria l'utilizzazione di criteri analoghi a quelli adottati per l'interpretazione<br />

<strong>del</strong>l'art. 18 <strong>del</strong>la legge n. 300 <strong>del</strong> 1970. (Cassa e decide nel merito, App. Firenze,<br />

17/11/2005).<br />

83


Cass. civ. Sez. lavoro, 8 febbraio <strong>2010</strong>, n. 2734<br />

All'esito <strong>del</strong>la procedura di Cassa integrazione straordinaria, l'imprenditore non deve<br />

rispettare il disposto <strong>del</strong>l'art. 24 <strong>del</strong>la legge n. 223/1991, ossia non è tenuto, all'atto<br />

<strong>del</strong>l'intimazione <strong>del</strong> licenziamento collettivo, a rispettare il requisito numerico dei<br />

cinque licenziamenti nell'arco di centoventi giorni, in ciascuna unità produttiva, o in<br />

più unità produttive nell'ambito <strong>del</strong> territorio di una stessa provincia, potendo<br />

procedere al licenziamento anche di un solo dipendente.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 4 febbraio <strong>2010</strong>, n. 2616<br />

In tema di contributo collegato alla messa in mobilità <strong>del</strong> personale, ove il datore di<br />

lavoro, nel contestare la pretesa <strong>del</strong>l'INPS a ricevere nella sua interezza detto<br />

contributo, invochi la riduzione <strong>del</strong>l'onere economico su di sé gravante, in<br />

applicazione <strong>del</strong>l'art. 5, comma 5, <strong>del</strong>la legge 23 luglio 1991, n. 223 - per cui non<br />

sono dovute all'Istituto le rimanenti rate <strong>del</strong> trattamento di mobilità per quei lavoratori<br />

che abbiano rifiutato offerte di lavoro, sempre che l'impresa che li abbia collocati in<br />

mobilità non presenti assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con quelli<br />

<strong>del</strong>l'impresa che assume ovvero risulti con quest'ultima in rapporto di collegamento o<br />

controllo (secondo quanto previsto dall'art. 8, comma 4-bis, <strong>del</strong>la stessa legge n. 223<br />

<strong>del</strong> 1991) - spetta ad esso stesso dimostrare che ricorrono le condizioni richieste dalla<br />

legge per avere diritto alla riduzione anzidetta. (Cassa con rinvio, App. Torino,<br />

15/11/2005)<br />

* * *<br />

U. Le dimissioni <strong>del</strong> lavoratore<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 13 dicembre <strong>2010</strong>, n. 25138<br />

L'atto di dimissioni, nel realizzare il diritto potestativo di recesso <strong>del</strong> lavoratore,<br />

idoneo a determinare la risoluzione <strong>del</strong> rapporto di lavoro indipendentemente dalla<br />

volontà <strong>del</strong> datore di lavoro, non sopporta una condizione risolutiva, che<br />

inammissibilmente porrebbe nel nulla un effetto risolutivo già avvenuto, ma ben può<br />

contenere una condizione sospensiva, permessa dal principio generale di libertà<br />

negoziale. (Nella specie, relativa alla cessazione, per dimissioni volontarie, <strong>del</strong><br />

rapporto lavorativo di un dirigente di una società, titolare di azioni <strong>del</strong>la stessa, la<br />

S.C. ha ritenuto ammissibile l'apposizione, all'atto di dimissioni <strong>del</strong> detto dirigente,<br />

<strong>del</strong>la condizione sospensiva <strong>del</strong> trasferimento ad altra società <strong>del</strong>le azioni di cui il<br />

medesimo era titolare). (Rigetta, App. Genova, 19/04/2006)<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 1 dicembre <strong>2010</strong>, n. 24363<br />

<strong>La</strong> violenza morale esercitabile dal datore di lavoro, che può determinare<br />

l'annullabilità <strong>del</strong>le dimissioni rassegnate dal lavoratore, può esprimersi secondo<br />

modalità variabili e indefinite, anche non esplicite; può agire anche solo come<br />

84


concausa, ed essere ravvisata nella minaccia <strong>del</strong>l'esercizio di un diritto, quando la<br />

relativa prospettazione sia immotivata e strumentale. (Nella specie, il datore di lavoro<br />

aveva disposto il trasferimento di un dipendente in una sede lontana dal suo luogo di<br />

residenza e il lavoratore aveva rassegnato le dimissioni al fine di evitare il<br />

trasferimento ed il connesso mutamento di mansioni, ed aveva poi impugnato in<br />

giudizio l'atto risolutivo; la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva<br />

escluso la configurabilità di una coartazione <strong>del</strong>la volontà <strong>del</strong> dipendente nella<br />

determinazione di rassegnare le dimissioni, riscontrando anzi l'attribuzione al<br />

lavoratore di mensilità aggiuntive quale incentivo all'esodo). (Rigetta, App.<br />

Catanzaro, 16/01/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 11 novembre <strong>2010</strong>, n. 22901<br />

Nel caso in cui non sia prevista alcuna forma convenzionale per il recesso <strong>del</strong><br />

lavoratore, un determinato comportamento da lui tenuto può essere tale da esternare<br />

esplicitamente, o da lasciar presumere (secondo il principio <strong>del</strong>l'affidamento), una sua<br />

volontà di recedere dal rapporto di lavoro, restando incensurabile in sede di<br />

legittimità il relativo accertamento <strong>del</strong> giudice di merito, ove congruamente motivato.<br />

In ogni caso nel giudizio promosso dal lavoratore al fine di impugnare un dedotto<br />

licenziamento, l'indagine circa la sussistenza di dimissioni <strong>del</strong> lavoratore deve essere<br />

rigorosa, essendo in discussione beni giuridici primari, oggetto di particolare tutela da<br />

parte <strong>del</strong>l'ordinamento, sicché occorre accertare che da parte <strong>del</strong> lavoratore sia stata<br />

manifestata in modo univoco l'incondizionata volontà di porre fine al rapporto.<br />

(Rigetta, App. Ancona, 04/04/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 14 aprile <strong>2010</strong>, n. 8886<br />

In caso di dimissioni presentate dal lavoratore in stato di incapacità naturale, il diritto<br />

a riprendere il lavoro sorge con la sentenza di annullamento ai sensi <strong>del</strong>l'art. 428 cod.<br />

civ., i cui effetti retroagiscono al momento <strong>del</strong>la domanda giudiziaria in applicazione<br />

<strong>del</strong> principio generale secondo cui la durata <strong>del</strong> processo non deve andare a<br />

detrimento <strong>del</strong>la parte vincitrice. Ne consegue che anche il diritto alle retribuzioni<br />

maturate sorge solo dalla data <strong>del</strong>la domanda giudiziale, dovendosi escludere che<br />

l'efficacia totalmente ripristinatoria <strong>del</strong>l'annullamento <strong>del</strong> negozio unilatelare<br />

risolutivo <strong>del</strong> rapporto di lavoro si estenda al diritto alla retribuzione che, salvo<br />

diversa espressa eccezione di legge, non è dovuta in mancanza <strong>del</strong>l'attività lavorativa.<br />

(Cassa e decide nel merito, App. Roma, 08/08/2005)<br />

* * *<br />

V. L’attività sindacale<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 12 novembre <strong>2010</strong>, n. 23038<br />

In tema di repressione <strong>del</strong>la condotta antisindacale, ai sensi <strong>del</strong>l'art. 28 <strong>del</strong>la legge n.<br />

300 <strong>del</strong> 1970, il solo esaurirsi <strong>del</strong>la singola azione lesiva <strong>del</strong> datore di lavoro non può<br />

precludere l'ordine <strong>del</strong> giudice di cessazione <strong>del</strong> comportamento illegittimo ove<br />

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questo, alla stregua di una valutazione globale non limitata ai singoli episodi, risulti<br />

tuttora persistente e idoneo a produrre effetti durevoli nel tempo, sia per la sua portata<br />

intimidatoria, sia per la situazione di incertezza che ne consegue, suscettibile di<br />

determinare in qualche misura una restrizione o un ostacolo al libero esercizio<br />

<strong>del</strong>l'attività sindacale. L'accertamento in ordine alla attualità <strong>del</strong>la condotta<br />

antisindacale e alla permanenza dei suoi effetti costituisce un accertamento di fatto,<br />

demandato al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da<br />

adeguata motivazione, immune da vizi logici o giuridici. (Rigetta, App. Catanzaro,<br />

05/09/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 5 agosto <strong>2010</strong>, n. 18260<br />

In tema di rappresentanze sindacali aziendali, l'art. 19, primo comma, lett. b), <strong>del</strong>la<br />

legge n. 300 <strong>del</strong> 1970 va interpretato - in linea con quanto affermato dalla Corte<br />

costituzionale con sentenza n. 244 <strong>del</strong> 1996, nel senso che, a fini <strong>del</strong>la individuazione<br />

<strong>del</strong>le associazioni sindacali legittimate ad ottenere la costituzione <strong>del</strong>le<br />

rappresentanze sindacali aziendali, non è sufficiente la mera adesione formale ad un<br />

contratto negoziato da altra associazione ma è necessaria una partecipazione attiva al<br />

processo di formazione <strong>del</strong> contratto, assumendo rilievo la capacità <strong>del</strong> sindacato di<br />

imporsi al datore di lavoro come controparte contrattuale. (Fattispecie relativa al<br />

sindacato unitario lavoratori trasporti con riferimento ai contratti collettivi sottoscritti<br />

con Alitalia Airport). (Rigetta, App. Roma, 26/10/2005).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 22 luglio <strong>2010</strong>, n. 17217<br />

In tema di diritto dei lavoratori a riunirsi in assemblea durante l'orario di lavoro, il<br />

limite temporale di dieci ore annue retribuite, previsto dall'art. 20, primo comma,<br />

<strong>del</strong>la legge n. 300 <strong>del</strong> 1970 con salvezza <strong>del</strong>le migliori condizioni previste dalla<br />

contrattazione collettiva, va riferito alla generalità dei lavoratori <strong>del</strong>l'unità produttiva<br />

e non ai singoli lavoratori, e nella suddivisione <strong>del</strong> monte ore tra organizzazioni e<br />

rappresentanze sindacali trova applicazione il criterio <strong>del</strong>la prevenzione nelle<br />

convocazioni, dovendo escludersi che l'accordo interconfederale 20 dicembre 1993<br />

(che ha riservato sette ore annuali di assemblea retribuita alle RSU e le ulteriori tre<br />

ore ai sindacati stipulanti il c.c.n.l. applicato nell'unità produttiva) abbia attribuito il<br />

monte ore complessivo a ciascuna organizzazione sindacale. Né tale disciplina<br />

contrasta con i principi costituzionali di uguaglianza, ragionevolezza, tutela sindacale<br />

e tutela dei lavoratori, non avendo essa ad oggetto il diritto all'assemblea in sé, ma<br />

quello all'assemblea retribuita, e dovendosi giustapporre a tali principi quelli <strong>del</strong>la<br />

tutela <strong>del</strong>la proprietà e <strong>del</strong> diritto di impresa. (Rigetta, App. Torino, 18/04/2005).<br />

Cass. pen. Sez. V, 18 marzo <strong>2010</strong>, n. 20722<br />

Le prove di reato acquisite, nei confronti di un dipendente, mediante videoriprese<br />

effettuate con telecamere installate sul luogo di lavoro sono utilizzabili nel<br />

procedimento penale, non rientrandosi nella fattispecie <strong>del</strong> "controllo a distanza"<br />

<strong>del</strong>l'attività dei lavoratori, vietato, in assenza di autorizzazione sindacale o<br />

amministrativa, dagli art. 4 e 38 <strong>del</strong>lo statuto dei lavoratori - legge 20 maggio 1970,<br />

n. 300 - bensì in quella dei controlli c.d. difensivi, legittimi in quanto finalizzati alla<br />

86


tutela <strong>del</strong> patrimonio aziendale da condotte illecite esulanti lo svolgimento di attività<br />

lavorativa.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 4 marzo <strong>2010</strong>, n. 5209<br />

Ai fini <strong>del</strong>l'accertamento <strong>del</strong>la legittimazione ad agire per la repressione <strong>del</strong>la<br />

condotta antisindacale, riservata agli organismi locali <strong>del</strong>le associazioni sindacali<br />

nazionali che vi abbiano interesse, è necessario il concreto riscontro di un'attività<br />

sindacale di carattere nazionale, da verificarsi con specifico riferimento al settore<br />

produttivo cui appartiene l'azienda verso la quale l'associazione intenda agire; assume<br />

rilievo la stipula di un contratto collettivo di livello nazionale ovvero ogni altro<br />

elemento indicativo in concreto di un'attività sindacale al suddetto livello e non il<br />

mero dato formale <strong>del</strong>le risultanze <strong>del</strong>lo statuto <strong>del</strong>l'associazione, che di per sé è<br />

rappresentativo solo di un prefigurato obiettivo o di un'autoqualificazione <strong>del</strong><br />

sindacato.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 4 marzo <strong>2010</strong>, n. 5209<br />

In tema di repressione <strong>del</strong>la condotta antisindacale, ai fini <strong>del</strong> riconoscimento <strong>del</strong><br />

carattere "nazionale" <strong>del</strong>l'associazione sindacale legittimata all'azione ex art. 28 stat.<br />

lav., non assume decisivo rilievo il mero dato formale <strong>del</strong>lo statuto <strong>del</strong>l'associazione<br />

(che affermi il carattere nazionale <strong>del</strong> sindacato), quanto piuttosto la capacità di<br />

contrarre con la parte datoriale accordi o contratti collettivi, anche gestionali, che<br />

trovino applicazione in tutto il territorio nazionale in riferimento al settore produttivo<br />

al quale appartiene l'azienda nei confronti <strong>del</strong>la quale il sindacato intenda promuovere<br />

il procedimento, e attestino un generale e diffuso collegamento <strong>del</strong> sindacato con il<br />

contesto socio-economico <strong>del</strong>l'intero paese, di cui la concreta ed effettiva<br />

organizzazione territoriale si configura quale elemento di riscontro <strong>del</strong> suo carattere<br />

nazionale piuttosto che come elemento condizionante. (Nella specie, la S.C. ha<br />

cassato la decisione <strong>del</strong>la corte territoriale che aveva ritenuto irrilevante, nel valutare<br />

il carattere "nazionale" <strong>del</strong> sindacato ricorrente, la circostanza <strong>del</strong> mancato<br />

svolgimento di attività sindacale a livello nazionale in riferimento alla categoria dei<br />

lavoratori marittimi, attribuendo, invece, rilievo all'enunciazione <strong>del</strong> carattere<br />

nazionale nello Statuto <strong>del</strong> sindacato, S.I.N. Cobas). (Cassa con rinvio, Trib. Napoli,<br />

04/09/2005)<br />

* * *<br />

W. Rapporto previdenziale<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 16 dicembre <strong>2010</strong>, n. 25460<br />

In tema di accredito figurativo per maternità per i periodi corrispondenti all'astensione<br />

obbligatoria dal lavoro svoltisi fuori dal rapporto di lavoro, l'art. 2, comma 504, legge<br />

24 dicembre 2007, n. 244, ha - come affermato dalla Corte costituzionale con la<br />

sentenza n. 71 <strong>del</strong> 26 febbraio <strong>2010</strong> - natura di interpretazione autentica <strong>del</strong>l'art. 25<br />

87


<strong>del</strong> d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151. Ne consegue che detto beneficio previdenziale è<br />

attribuito, con efficacia retroattiva, anche per il periodo di vigenza <strong>del</strong> d.lgs. 16<br />

settembre 1996, n. 564, esclusivamente a coloro che, alla data di operatività <strong>del</strong>la<br />

disposizione poi oggetto di interpretazione autentica (27 aprile 2001), risultavano<br />

iscritti al fondo pensione lavoratori dipendenti e non anche a chi già fruiva di un<br />

trattamento pensionistico, dovendosi intendere la nozione di "iscritto" contenuta<br />

nell'art. 25 cit. riferibile solo ai lavoratori ancora in attività al momento <strong>del</strong>la<br />

domanda di riconoscimento <strong>del</strong>la contribuzione figurativa. (Rigetta, App. Firenze,<br />

21/05/2008).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 7 dicembre <strong>2010</strong>, n. 24803<br />

Le sanzioni civili e l'obbligazione al pagamento per gli interessi conseguenti<br />

all'omesso o tardivo versamento dei contributi previdenziali costituiscono un effetto<br />

automatico "ex lege" <strong>del</strong>l'inadempimento senza che rilevi la sussistenza o meno <strong>del</strong><br />

diritto ad ottenere il rimborso di detti contributi ai sensi <strong>del</strong>l'art. 20 <strong>del</strong>la legge3<br />

gennaio 1981, n. 6. (Rigetta, App. Sassari, 22/02/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 1 dicembre <strong>2010</strong>, n. 24355<br />

Ove il lavoratore sia titolare di una posizione assicurativa presso varie gestioni dei<br />

lavoratori autonomi, ovvero presso una di queste e la gestione per i lavoratori<br />

dipendenti, il limite massimo di quaranta anni di contribuzione (pari a 2080<br />

settimane) utilmente valutabile opera non solo nell'ambito di ciascuna <strong>del</strong>le gestioni<br />

presso cui sono versati i contributi ma anche rispetto al cumulo <strong>del</strong>le quote calcolate<br />

per ogni gestione. Tale conclusione, pur non espressamente affermata dalla legge n.<br />

233/1990, art. 16, risponde ad una interpretazione logico- sistematica, atteso che la<br />

norma, nel prevedere il cumulo dei periodi assicurativi versati nelle diverse gestioni,<br />

riconduce il sistema pensionistico ad una concezione unitaria, caratterizzata da regole<br />

uniformi che si traducono in un cumulo contributivo effettivo e non meramente<br />

virtuale, con la liquidazione di una pensione unica e non di pensioni diverse collegate<br />

funzionalmente; né, per contro, può assumere valore ostativo la circostanza che, per<br />

uno dei trattamenti, la liquidazione sia effettuata con il sistema cosiddetto retributivo,<br />

la cui introduzione è avvenuta in contemporanea all'adozione, sia per il fondo<br />

lavoratori dipendenti che per i fondi speciali dei lavoratori autonomi, <strong>del</strong> limite<br />

massimo di anni di contribuzione, destinato ad operare, attraverso la tendenziale<br />

valorizzazione dei livelli di retribuzione degli anni più favorevoli, proprio quale<br />

limite ai benefici pensionistici conseguenti all'applicazione <strong>del</strong> sistema retributivo.<br />

Cass. civ. Sez. V, 24 novembre <strong>2010</strong>, n. 23793<br />

L'art. 48, comma 2, lett. a) (ora art. 51, comma 2, lett. a, primo periodo), <strong>del</strong> Tuir -<br />

D.P.R. n. 917/1986, laddove dispone che non concorrono a formare reddito<br />

imponibile i contributi previdenziali ed assistenziali versati dal datore di lavoro o dal<br />

lavoratore in ottemperanza a disposizioni di legge, limita con evidenza l'esenzione ai<br />

contributi versati in dipendenza di un rapporto di lavoro, con esclusione di ogni altro<br />

tipo di contributo, a prescindere da eventuali affinità sostanziali con quelli<br />

considerati, e quindi di quelli legati a trattamenti vitalizi derivanti, non da lavoro,<br />

bensì dall'esercizio di cariche pubbliche.<br />

88


Cass. civ. Sez. lavoro, 9 novembre <strong>2010</strong>, n. 22739<br />

Nella retribuzione imponibile a fini previdenziali, a norma <strong>del</strong>la legge 30 aprile 1969,<br />

n. 153, nel testo vigente fino al 31 dicembre 1997 ed oggi sostituito dal d.lgs. 2<br />

settembre 1997, n. 314, devono essere comprese tutte le erogazioni (in denaro o in<br />

natura) provenienti dal datore di lavoro, che trovino la loro giustificazione nella<br />

costanza <strong>del</strong> rapporto di lavoro, con la sola esclusione <strong>del</strong>le somme erogate per uno<br />

dei titoli tassativamente elencati nel capoverso <strong>del</strong>la norma. Ne consegue che le<br />

cosiddette differenze di canone, corrisposte al lavoratore in base alla contrattazione<br />

collettiva per sollevarlo parzialmente dagli oneri <strong>del</strong>la locazione <strong>del</strong>l'immobile<br />

messogli a disposizione a fini abitativi dal datore di lavoro, sono da ricomprendere<br />

nel suddetto concetto limitatamente al periodo temporale non travalicante la data <strong>del</strong><br />

31 dicembre 1997, mentre, per il periodo successivo, ai sensi <strong>del</strong>l'art. 6 <strong>del</strong> d.lgs. n.<br />

314 <strong>del</strong> 1997, i contributi debbono essere corrisposti sulla differenza tra la rendita<br />

catastale, aumentata di tutte le spese inerenti al fabbricato stesso, ivi comprese le<br />

utenze non a carico <strong>del</strong>l'utilizzatore, e il canone corrisposto. (Cassa con rinvio, App.<br />

Firenze, 29/09/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 29 settembre <strong>2010</strong>, n. 20425<br />

In applicazione <strong>del</strong>l'art. 2, comma 1 <strong>del</strong>la legge n. 29 <strong>del</strong> 1979, dettato in tema di<br />

ricongiunzione dei contributi versati in Gestioni diverse, il contribuente ha la<br />

possibilità di convogliare, ricongiungere, appunto, la contribuzione versata presso il<br />

fondo lavoratori dipendenti <strong>del</strong>l'I.N.P.S., o quella versata nelle forme esclusive,<br />

sostitutive ed esonerative, ovvero presso le Gestioni Inps dei lavoratori autonomi, in<br />

un'unica Gestione, da individuare in quella in cui risulti iscritto all'atto in cui presenta<br />

la relativa domanda ovvero in quella, diversa, che lo stesso preferisca, a condizione<br />

che vi risultino versati almeno otto anni di contributi in costanza di prestazione<br />

lavorativa. Dal tenore letterale <strong>del</strong>la norma in parola si deve desumere che al<br />

lavoratore sia attribuita espressamente una facoltà di scelta, ricorrendone i<br />

presupposti (otto anni di iscrizione nella gestione diversa da quella in cui è iscritto<br />

all'attualità), in ordine alla ricongiunzione <strong>del</strong>la contribuzione in una Gestione<br />

piuttosto che in un'altra. Deve pertanto ritenersi illegittimo, come nel caso specifico,<br />

il rifiuto <strong>del</strong>l'I.N.P.S. di trasferire, come legittimamente domandato dal contribuente, i<br />

contributi versati nella Gestione separata dipendenti (sua ultima gestione di<br />

appartenenza), presso la Gestione "commercianti" (una <strong>del</strong>le Gestioni di lavoratori<br />

autonomi) alla quale era stato iscritto per moltissimi anni (per quel che rileva più di<br />

otto) adducendo, come motivazione al diniego, un'interpretazione <strong>del</strong>la norma citata<br />

(che illegittimamente ed immotivatamente si discosta dal dato letterale) in virtù <strong>del</strong>la<br />

quale la stessa avrebbe consentito solo il trasferimento nelle Gestioni pensionistiche<br />

dei lavoratori dipendenti i contributi versati nelle altre Gestioni ma non viceversa<br />

(interpretazione che, all'evidenza, limiterebbe in maniera assolutamente ingiustificata<br />

quella facoltà di scelta, attribuita al contribuente, summenzionata).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 26 luglio <strong>2010</strong>, n. 17526<br />

L'art. 5 <strong>del</strong> d.lgs. n. 80 <strong>del</strong> 1992, nel prevedere l'intervento <strong>del</strong> fondo di Garanzia<br />

costituito presso l'INPS per l'integrazione dei contributi omessi o insufficientemente<br />

versati dal datore di lavoro presso gli enti gestori di forme di previdenza<br />

complementare, si riferisce, in via esclusiva, alla pensione di vecchiaia che il<br />

89


dipendente o i superstiti non siano riusciti a costituire a causa <strong>del</strong>l'inadempienza<br />

contributiva, consistendo, perciò, l'obbligo <strong>del</strong> Fondo - in coerenza con gli intenti<br />

<strong>del</strong>la direttiva comunitaria n. 80 <strong>del</strong> 1987 (cfr. Corte Giust. 25 gennaio 2007, n. 278<br />

<strong>del</strong> 2005) - nell'integrazione dei contributi nella misura necessaria per la costituzione<br />

<strong>del</strong>la predetta prestazione per l'ipotesi in cui il lavoratore o i superstiti non abbiano<br />

recuperato, mediante l'insinuazione nel fallimento, la contribuzione minima richiesta.<br />

Né tale previsione comporta dubbi di illegittimità costituzionale, in relazione alla più<br />

favorevole disciplina prevista dall'art. 3 <strong>del</strong> medesimo d.lgs. per le prestazioni<br />

<strong>del</strong>l'assicurazione generale obbligatoria, poiché la limitazione <strong>del</strong>la tutela trova<br />

giustificazione - nell'ambito dei diversi livelli di protezione sociale garantiti dall'art.<br />

38 Cost. - nella finalità propria <strong>del</strong>la previdenza complementare, consistente nel<br />

mantenimento <strong>del</strong> tenore di vita raggiunto durante l'occupazione lavorativa. (Cassa e<br />

decide nel merito, App. Catania, 30/12/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 22 luglio <strong>2010</strong>, n. 17223<br />

In tema d'interposizione nelle prestazioni di lavoro, qualora i contributi previdenziali<br />

siano stati versati da soci di una società cooperativa che si sia fittiziamente interposta<br />

nel rapporto di lavoro subordinato in realtà svolto alle dipendenze d'altro soggetto, il<br />

versamento eseguito non estingue l'obbligo contributivo <strong>del</strong>l'effettivo datore di lavoro<br />

che non può invocare ai sensi <strong>del</strong>l'art. 1180 cod. civ. l'adempimento <strong>del</strong>l'obbligo <strong>del</strong><br />

terzo mentre i lavoratori (soci <strong>del</strong>la cooperativa) hanno diritto alla ripetizione di<br />

quanto ad essi indebitamente ritenuto. (Rigetta, App. Torino, 16/11/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 10 maggio <strong>2010</strong>, n. 11261<br />

In tema di obbligazioni contributive nei confronti <strong>del</strong>le gestioni previdenziali ed<br />

assistenziali, l'omessa denuncia all'INPS di lavoratori, ancorché registrati nei libri<br />

paga e matricola, configura l'ipotesi di "evasione contributiva" di cui all'art. 116,<br />

comma 8, lett. B), <strong>del</strong>la legge n. 388 <strong>del</strong> 2000 e non la meno grave fattispecie di<br />

"omissione contributiva" di cui alla lettera A) <strong>del</strong>la medesima norma, che riguarda le<br />

sole ipotesi in cui il datore di lavoro, pur avendo provveduto a tutte le denunce e<br />

registrazioni obbligatorie, ometta il pagamento dei contributi, dovendosi ritenere che<br />

l'omessa denuncia dei lavoratori all'INPS faccia presumere l'esistenza <strong>del</strong>la volontà<br />

<strong>del</strong> datore di occultare i rapporti di lavoro al fine di non versare i contributi, e<br />

gravando sul medesimo l'onere di provare la sua buona fede, che non può reputarsi<br />

assolto in ragione <strong>del</strong>la mera registrazione dei lavoratori nei libri paga e matricola,<br />

che restano nell'esclusiva disponibilità <strong>del</strong> datore stesso e sono oggetto di verifica da<br />

parte <strong>del</strong>l'istituto previdenziale solo in occasione <strong>del</strong>le ispezioni. (Rigetta, App.<br />

Palermo, 09/12/2005).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 10 maggio <strong>2010</strong>, n. 11262<br />

L'indennità sostitutiva di ferie non godute è assoggettabile a contribuzione<br />

previdenziale a norma <strong>del</strong>l'art. 12 <strong>del</strong>la legge n. 153 <strong>del</strong> 1969, sia perché, essendo in<br />

rapporto di corrispettività con le prestazioni lavorative effettuate nel periodo di tempo<br />

che avrebbe dovuto essere dedicato al riposo, ha carattere retributivo e gode <strong>del</strong>la<br />

garanzia prestata dall'art. 2126 cod. civ. a favore <strong>del</strong>le prestazioni effettuate con<br />

violazione di norme poste a tutela <strong>del</strong> lavoratore sia perché un eventuale suo<br />

90


concorrente profilo risarcitorio - oggi pur escluso dal sopravvenuto art. 10 <strong>del</strong> d.lgs.<br />

n. 66 <strong>del</strong> 2003, , come modificato dal d.lgs. n. 213, <strong>del</strong> 2004, , in attuazione <strong>del</strong>la<br />

direttiva n. 93/104/CE - non escluderebbe la riconducibilità all'ampia nozione di<br />

retribuzione imponibile <strong>del</strong>ineata dal citato art. 12, costituendo essa comunque<br />

un'attribuzione patrimoniale riconosciuta a favore <strong>del</strong> lavoratore in dipendenza <strong>del</strong><br />

rapporto di lavoro e non essendo ricompresa nella elencazione tassativa <strong>del</strong>le<br />

erogazioni escluse dalla contribuzione. (Rigetta, App. Venezia, 06/07/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 13 aprile <strong>2010</strong>, n. 8760<br />

L'art. 1 <strong>del</strong>la legge n. 335 <strong>del</strong> 1995, di riforma <strong>del</strong> regime pensionistico a carico<br />

<strong>del</strong>l'assicurazione generale obbligatoria, nell'introdurre la determinazione <strong>del</strong>la<br />

pensione secondo il sistema contributivo, ha compiutamente disciplinato il sistema di<br />

liquidazione <strong>del</strong>le pensioni ivi contemplate, prevedendo - ai commi 12 e 13 - a favore<br />

dei lavoratori che, alla data <strong>del</strong> 31 dicembre 1995, potevano far valere una anzianità<br />

contributiva, il mantenimento <strong>del</strong> sistema retributivo previgente ovvero, ove<br />

l'anzianità maturata fosse inferiore a diciotto anni, la liquidazione secondo il sistema<br />

"pro rata" e consentendo l'integrale determinazione <strong>del</strong>la pensione secondo il nuovo<br />

regime solo nei casi e alle condizioni previste dal secondo periodo <strong>del</strong> successivo<br />

comma 23, come autenticamente interpretato dall'art. 2, comma 1, <strong>del</strong> d.l. n. 355 <strong>del</strong><br />

2001, convertito nella legge n. 417 <strong>del</strong> 2001, consistenti nell'aver "maturato<br />

un'anzianità contributiva pari o superiore a quindici anni, di cui almeno cinque nel<br />

sistema contributivo". Ne consegue che, in mancanza di tali condizioni, non è<br />

possibile, per i lavoratori che alla data di passaggio al nuovo regime avevano già<br />

maturato un'anzianità contributiva, ottenere - anche nel caso in cui siano fatti valere i<br />

soli contributi maturati successivamente al 1 gennaio 1996 - l'integrale liquidazione<br />

secondo il sistema contributivo, dovendosi escludere l'estensibilità <strong>del</strong>la disciplina<br />

prevista dall'art. 1, commi 19 e 20, <strong>del</strong>la medesima legge di riforma, la cui<br />

applicazione è riservata ai soli lavoratori "i cui trattamenti pensionistici sono liquidati<br />

esclusivamente secondo il sistema contributivo". Né possono ravvisarsi dubbi di<br />

costituzionalità atteso che l'elemento temporale è legittimo criterio di discrimine<br />

allorquando intervenga a <strong>del</strong>imitare le sfere di applicazione di norme nell'ambito<br />

complessivo <strong>del</strong>la disciplina di una determinata materia (v. sentenza <strong>del</strong>la Corte Cost.<br />

n. 77/2008). (Cassa e decide nel merito, App. Milano, 25/07/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 9 aprile <strong>2010</strong>, n. 8451<br />

Il pagamento dei contributi previdenziali da parte <strong>del</strong> datore di lavoro "apparente"<br />

estingue il debito con l'Inps anche nei confronti <strong>del</strong>l'imprenditore effettivo.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 7 aprile <strong>2010</strong>, n. 8252<br />

In tema di trasferimento presso l'INPS <strong>del</strong>la contribuzione versata presso il Fondo<br />

elettrici, l'art. 3, comma 14, <strong>del</strong> d.lgs. n. 562 <strong>del</strong> 1996 ha previsto che, una volta<br />

cessata l'iscrizione obbligatoria o volontaria al Fondo speciale, la posizione<br />

assicurativa acquisita può essere trasferita al Fondo per i lavoratori dipendenti gestito<br />

dall'INPS nell'assicurazione generale obbligatoria (A.G.O.) soltanto a domanda degli<br />

iscritti (o dei loro superstiti) solo se non sia già intervenuta la liquidazione <strong>del</strong>la<br />

pensione eventualmente spettante a carico <strong>del</strong> Fondo medesimo. Ne consegue che la<br />

91


domanda di trasferimento nel Fondo A.G.O. per i lavoratori dipendenti ha carattere<br />

costitutivo, dovendosi ritenere, ove l'interessato non abbia esercitato la relativa<br />

opzione, che - in applicazione <strong>del</strong>l'art. 41 <strong>del</strong>la legge n. 488 <strong>del</strong> 1999 che ha<br />

soppresso il Fondo speciale - continuino ad applicarsi le regole previste dalla<br />

normativa vigente ed i criteri di calcolo <strong>del</strong>le pensioni in riferimento alle anzianità<br />

maturate nel Fondo stesso. (Rigetta, App. Torino, 03/04/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 25 marzo <strong>2010</strong>, n. 7194<br />

In materia di contribuzione previdenziale, il richiamo operato dall'art. 1 <strong>del</strong> d.l. n. 338<br />

<strong>del</strong> 1989, convertito nella legge n. 389 <strong>del</strong> 1989, alla retribuzione prevista dai<br />

contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base<br />

nazionale se superiore a quella fissata dai contratti individuali o dagli accordi<br />

aziendali, impone di assumere la contrattazione collettiva quale parametro per il<br />

calcolo dei contributi. Ne consegue che, ove il contratto individuale preveda una<br />

retribuzione meno elevata rispetto al contratto collettivo, il datore di lavoro è tenuto a<br />

pagare i contributi anche sulle differenze tra salario percepito e quello fissato dalla<br />

contrattazione collettiva di settore. (Fattispecie relativa ai contributi relativi al<br />

rapporto di lavoro <strong>del</strong>le suore impiegate in una clinica privata che, in base ad una<br />

convenzione, percepivano una retribuzione inferiore a quella prevista dalla<br />

contrattazione collettiva). (Cassa con rinvio, App. Venezia, 13/01/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 24 marzo <strong>2010</strong>, n. 7043<br />

L'azione od eccezione con la quale l'I.N.P.S. intenda far accertare la nullità, totale o<br />

parziale, <strong>del</strong>la posizione previdenziale di un lavoratore, per inesistenza <strong>del</strong> rapporto di<br />

lavoro sottostante, è imprescrittibile, ai sensi <strong>del</strong>l'art. 1422 cod. civ., ancorché sia<br />

assoggettata a prescrizione decennale, ai sensi <strong>del</strong>l'art. 2946 cod. civ., l'azione di<br />

ripetizione dei contributi indebitamente versati. (Cassa con rinvio, App. Venezia,<br />

31/08/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 18 marzo <strong>2010</strong>, n. 6568<br />

<strong>La</strong> facoltà di riscatto dei periodi di lavoro prestato all'estero senza copertura<br />

assicurativa, prevista dall'art. 51, secondo comma, <strong>del</strong>la legge n. 153 <strong>del</strong> 1969, va<br />

esercitata nei modi previsti dall'art. 13 <strong>del</strong>la legge n. 1338 <strong>del</strong> 1962, che, all'ultimo<br />

comma, stabilisce l'obbligo <strong>del</strong> datore di lavoro o <strong>del</strong> lavoratore di versare all'INPS la<br />

riserva matematica "calcolata in base alle tariffe che saranno determinate e variate,<br />

quando occorra, con decreto <strong>del</strong> Ministro <strong>del</strong> lavoro e <strong>del</strong>la previdenza sociale". Ne<br />

consegue che la decorrenza <strong>del</strong>la pensione non coincide necessariamente con il<br />

momento <strong>del</strong>l'esercizio <strong>del</strong>la facoltà di riscatto, dovendosi ritenere tempestivi i<br />

contributi versati ai sensi <strong>del</strong> citato art. 13 in corrispondenza dei periodi cui si<br />

riferisce la mancanza di contribuzione, fermo restando che la costituzione <strong>del</strong>la<br />

rendita presuppone il versamento, oltre alla riserva matematica, anche <strong>del</strong> capitale<br />

necessario alla copertura <strong>del</strong>le quote di pensione per il periodo compreso tra la data di<br />

decorrenza di quest'ultima e la data <strong>del</strong>la domanda. (Rigetta, App. Roma,<br />

22/11/2005).<br />

92


Cass. civ. Sez. lavoro, 16 marzo <strong>2010</strong>, n. 6340<br />

<strong>La</strong> facoltà riconosciuta dall'art. 22, comma 11, <strong>del</strong> d.lgs. n. 286 <strong>del</strong> 1998 (nel testo<br />

vigente "ratione temporis"), ai lavoratori extracomunitari, che abbiano cessato<br />

l'attività lavorativa in Italia e lascino il territorio nazionale, di richiedere, nei casi in<br />

cui la materia non sia regolata da convenzioni internazionali, la liquidazione dei<br />

contributi che risultino versati in loro favore presso forme di previdenza obbligatoria<br />

maggiorati <strong>del</strong> 5 per cento annuo, compete solo nel caso in cui la cessazione<br />

<strong>del</strong>l'attività lavorativa ed il trasferimento dal territorio nazionale abbiano carattere di<br />

definitività. L'accertamento <strong>del</strong>le situazioni idonee a qualificare in tal senso il<br />

trasferimento spetta al giudice di merito, e il relativo apprezzamento, se correttamente<br />

motivato, è esente da sindacato di legittimità. (Nella specie la Corte ha cassato la<br />

sentenza impugnata che aveva respinto la domanda in quanto il lavoratore non aveva<br />

dato prova <strong>del</strong>l'autorizzazione all'ingresso ed alla residenza in altro Paese, omettendo<br />

di valorizzare la restituzione, da parte <strong>del</strong> lavoratore extracomunitario, <strong>del</strong> permesso<br />

di soggiorno al consolato italiano e <strong>del</strong> libretto di lavoro all'Inps). (Cassa e decide nel<br />

merito, App. Venezia, 19/06/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 10 marzo <strong>2010</strong>, n. 5811<br />

In tema di prescrizione <strong>del</strong> diritto ai contributi di previdenza e di assistenza<br />

obbligatoria, il principio secondo cui, a seguito <strong>del</strong>l'entrata in vigore <strong>del</strong>l'art. 3,<br />

commi 9 e 10, <strong>del</strong>la legge n. 335 <strong>del</strong> 1993, che ha introdotto il nuovo regime per la<br />

prescrizione dei contributi relativi a periodi precedenti, opera, al di fuori dei casi di<br />

conservazione <strong>del</strong> precedente termine decennale, il nuovo termine di prescrizione più<br />

breve, con decorrenza dal 1° gennaio 1996, trova applicazione anche nel caso,<br />

contemplato dal comma 9, lett. a), ultima parte, <strong>del</strong>l'art. 3 cit., di denuncia da parte<br />

<strong>del</strong> lavoratore <strong>del</strong> mancato versamento dei contributi all'Istituto previdenziale, con la<br />

conseguenza che, in relazione ai contributi dovuti per anni anteriori all'entrata in<br />

vigore <strong>del</strong>la legge, il termine entro il quale la denuncia dev'essere inoltrata è quello di<br />

cinque anni dal 31 dicembre 1996, potendo però detto termine essere inferiore, in<br />

applicazione <strong>del</strong>la regola generale di cui all'art. 252 disp. att. cod. civ., se tale è il<br />

residuo <strong>del</strong> più lungo termine determinato secondo il regime precedente, e che il<br />

diritto alla riscossione si prescrive entro il quinquennio dalla denuncia <strong>del</strong> lavoratore.<br />

(Cassa con rinvio, App. Roma, 15/12/2005).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 23 febbraio <strong>2010</strong>, n. 4369<br />

In tema di previdenza complementare, il diritto al riscatto <strong>del</strong>le quote, previsto<br />

dall'art. 10, lett. c), <strong>del</strong> d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124 (in alternativa al trasferimento <strong>del</strong><br />

capitale accumulato ad altro fondo chiuso o al trasferimento ad un fondo aperto) in<br />

favore degli iscritti a fondi preesistenti che abbiano cessato il rapporto senza<br />

maturazione <strong>del</strong> diritto a pensione in epoca successiva all'entrata in vigore <strong>del</strong>la<br />

legge, non trova applicazione in riferimento a forme di previdenza integrativa basate<br />

su un sistema a ripartizione (nel senso che la misura <strong>del</strong>la prestazione erogata non è<br />

calcolata in rapporto con l'insieme dei contributi versati nel tempo dal singolo<br />

lavoratore o per suo conto), non essendo nelle stesse configurabili posizioni<br />

individuali soggette a capitalizzazione, e non essendo detta disposizione inclusa tra<br />

quelle per le quali l'art. 18 <strong>del</strong> d.lgs. cit. prevede precisi termini di adeguamento nei<br />

confronti dei fondi preesistenti, ai quali è pertanto demandato il compito di<br />

93


iorganizzarsi secondo il principio <strong>del</strong>la capitalizzazione anche attraverso<br />

adeguamenti statutari, tenendo conto <strong>del</strong>le proprie caratteristiche strutturali.<br />

(Principio enunciato dalla S.C. in riferimento al Fondo di Trattamento Integrativo<br />

Aziendale <strong>del</strong> Credito Bergamasco, alimentato da versamenti annuali a carico <strong>del</strong>la<br />

banca, senza previsione <strong>del</strong> versamento di contributi da parte dei dipendenti, e nel<br />

quale l'ammontare <strong>del</strong>le prestazioni integrative erogate era prestabilito con<br />

riferimento alla retribuzione percepita nel periodo conclusivo <strong>del</strong> rapporto e al<br />

trattamento pensionistico obbligatorio). (Cassa e decide nel merito, App. Brescia,<br />

15/04/2005).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 26 gennaio <strong>2010</strong>, n. 1584<br />

In tema di omissioni contributive, l'art. 24, primo comma, <strong>del</strong> d.lgs. n. 46 <strong>del</strong> 1999,<br />

nel prevedere espressamente che la riscossione dei contributi o premi dovuti agli enti<br />

previdenziali non versati dal debitore nei termini di legge ovvero di quelli dovuti a<br />

seguito di accertamento d'ufficio, ivi comprese le sanzioni e le somme aggiuntive,<br />

avviene mediante iscrizione a ruolo da effettuarsi entro i termini di decadenza previsti<br />

dall'art. 25 <strong>del</strong> citato d.lgs. n. 46, esclude l'applicabilità <strong>del</strong>la procedura di cui alla<br />

legge n. 689 <strong>del</strong> 1981 e la necessità di atti prodromici per la validità <strong>del</strong>la riscossione.<br />

Ne consegue che, ove sia stata proposta opposizione in sede amministrativa contro<br />

l'atto di accertamento ispettivo, l'ente previdenziale deve procedere all'iscrizione a<br />

ruolo anche se non sia intervenuta alcuna decisione in sede di gravame, senza che la<br />

mancata risposta <strong>del</strong>l'organo competente configuri un tacito accoglimento<br />

<strong>del</strong>l'opposizione o determini l'impossibilità di dare corso alla riscossione. (Rigetta,<br />

App. Trieste, 11/02/2006).<br />

* * *<br />

X. Rinunce e Transazioni<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 10 febbraio 2011, n. 3237<br />

Il verbale di conciliazione non può ritenersi qualificabile agli effetti di cui all'art. 411<br />

c.p.c. nelle ipotesi in cui non risulti sottoscritto in sede sindacale, né dal<br />

rappresentante sindacale alla presenza ed in contestualità <strong>del</strong> lavoratore. In ipotesi<br />

siffatte, invero, non può attribuirsi al menzionato documento quella funzione di<br />

supporto che la legge riconosce al sindacato nella fattispecie conciliativa.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 2 dicembre <strong>2010</strong>, n. 24433<br />

In tema di licenziamento illegittimo, il passaggio in giudicato dei decreti ingiuntivi<br />

ottenuti per il pagamento <strong>del</strong> trattamento di fine rapporto non comporta<br />

l'improponibilità <strong>del</strong>la domanda di reintegra, posto che la mera accettazione <strong>del</strong>la<br />

somma a titolo di trattamento di fine rapporto, ancorché non accompagnata da alcuna<br />

riserva, non può essere interpretata come tacita dichiarazione di rinuncia ai diritti<br />

derivanti dall'illegittimità <strong>del</strong> licenziamento, per assoluto difetto di concludenza.<br />

(Cassa con rinvio, App. Napoli, 20/02/2007).<br />

94


Cass. civ. Sez. lavoro, 23 settembre <strong>2010</strong>, n. 20146<br />

Non è assoggettabile a contribuzione previdenziale la somma versata ad un ex<br />

dipendente nell'ambito di una transazione "novativa" con la quale sia stata definita<br />

una controversia giudiziaria. Caratteristica <strong>del</strong>la transazione novativa è di essere - al<br />

pari <strong>del</strong>la transazione propria - un negozio di secondo grado, ma non un negozio<br />

"ausiliario", ancorché "principale", con la conseguenza che i diritti e gli obblighi <strong>del</strong>le<br />

parti avranno, come "unica fonte" il contratto di transazione e non, come la<br />

transazione propria, il fatto causativo <strong>del</strong> rapporto originario. Ne consegue che, in<br />

base al disposto <strong>del</strong>l'art. 12 <strong>del</strong>la legge n. 169 <strong>del</strong> 1963, la somma dovuta - ancorché<br />

avente natura retributiva - in esecuzione di una transazione novativa, in quanto <strong>del</strong><br />

tutto disancorata dal preesistente, estinto rapporto di lavoro, ormai scomparso dalla<br />

"scena giuridica", non può essere computata per la determinazione <strong>del</strong>la base<br />

imponibile per il calcolo dei contributi di previdenza ed assistenza sociale. Per<br />

determinare il carattere novativo o conservativo <strong>del</strong>la transazione, occorre accertare<br />

se le parti, nel comporre l'originario rapporto litigioso, abbiano o meno inteso<br />

addivenire alla conclusione di un rapporto, diretto a costituire, in sostituzione di<br />

quello precedente, nuove ed autonome statuizioni. Tale accertamento è riservato al<br />

giudice di merito.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 10 settembre <strong>2010</strong>, n. 19345<br />

Qualora tra le medesime parti processuali ci siano stati due giudizi diversi, aventi ad<br />

oggetto domande sovrapponibili conclusisi, rispettivamente, il primo con una<br />

sentenza passata in giudicato che riconosceva la meritevolezza <strong>del</strong>la domanda<br />

risarcitoria formulata dal ricorrente (nella specie inerente al risarcimento dei danni<br />

patiti in virtù <strong>del</strong> licenziamento intimato) ed il secondo con una transazione con cui il<br />

medesimo dichiarava di accettare una data somma "a tacitazione e saldo di ogni sua<br />

pretesa", non è possibile mantenere in vita partite contabili che non trovino riscontri<br />

documentali nell'istruttoria di merito. Ciò vale sia per le domande ormai "coperte"<br />

dalla definizione dei due procedimenti quanto per tutte le ulteriori pretese, in quanto<br />

le stesse risulterebbero prive di ogni base documentale o motivazionale nella sentenza<br />

gravata.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 2 luglio <strong>2010</strong>, n. 15806<br />

In materia di diritti dei lavoratori, la transazione intervenuta innanzi al giudice<br />

straniero può essere qualificata transazione giudiziale, per gli effetti di cui all'art. 410<br />

cod. proc. civ., ove siano assicurate dinanzi all'autorità giudiziaria straniera le<br />

garanzie difensive sottese alla richiamata norma, secondo la valutazione -<br />

incensurabile in sede di legittimità ove congruamente motivata - operata dal giudice<br />

di merito, cui compete anche l'interpretazione di tale transazione. (Nella specie, la<br />

S.C. ha confermato la sentenza di merito italiana che aveva definito la controversia<br />

attribuendo rilevanza ad una transazione tra lavoratore e datore di lavoro intervenuta<br />

in un giudizio tedesco, assicurando questo una tutela dei diritti <strong>del</strong>le parti analoga a<br />

quella garantita dall'ordinamento italiano). (Rigetta, App. Milano, 02/11/2006).<br />

95


Cass. civ. Sez. II, 13 maggio <strong>2010</strong>, n. 11632<br />

Nella transazione c.d. "conservativa", con cui le parti si limitano a regolare il rapporto<br />

preesistente mediante reciproche concessioni, senza crearne uno nuovo (come<br />

avviene invece nel caso di transazione c.d. "novativa"), il rapporto che ne discende è<br />

comunque regolato dall'accordo transattivo e non già da quello che in precedenza<br />

vincolava le parti medesime, con la conseguenza che la successiva scoperta di<br />

inadempimenti non rilevati al momento <strong>del</strong>la transazione (nella specie, relativa ad un<br />

contratto di appalto privato di lavori) può essere eventualmente fatta valere con<br />

l'impugnazione per errore <strong>del</strong>l'accordo transattivo, siccome rilevante ove abbia ad<br />

oggetto il presupposto <strong>del</strong>la transazione e non già le reciproche concessioni.<br />

L'accertamento relativo alla natura ed alla portata <strong>del</strong>l'accordo transattivo integra un<br />

apprezzamento di fatto riservato al giudice <strong>del</strong> merito, incensurabile in sede di<br />

legittimità se la relativa motivazione sia immune da vizi logici e giuridici. (Rigetta,<br />

App. Potenza, 22/01/2004).<br />

* * *<br />

Z. Aspetti processuali<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 4 gennaio 2011, n. 80<br />

Il quesito di diritto, richiesto dall'art. 366 bis cod. proc. civ. (applicabile "ratione<br />

temporis") e formulato con il ricorso, deve essere conferente rispetto alla fattispecie<br />

dedotta in giudizio e rilevante per la decisione <strong>del</strong>la controversia anche nell'ipotesi in<br />

cui la parte alleghi, con memoria ex art. 378 cod. proc. civ., l'applicabilità <strong>del</strong>lo "ius<br />

superveniens" ai fini <strong>del</strong>la decisione <strong>del</strong> ricorso, dovendosi ritenere, in mancanza,<br />

l'inammissibilità <strong>del</strong> motivo. (Nella specie, con riguardo ad un controversia relativa<br />

alla nullità <strong>del</strong> termine apposto ad un contratto di lavoro, la parte, con la memoria ex<br />

art. 378 cod. proc. civ., aveva dedotto l'applicabilità <strong>del</strong>la norma sopravvenuta di cui<br />

all'art. 32, commi 5, 6 e 7, <strong>del</strong>la legge n. 183 <strong>del</strong> <strong>2010</strong>, con la quale il legislatore<br />

aveva disciplinato, con efficacia estesa ai procedimenti pendenti, la determinazione<br />

<strong>del</strong> risarcimento conseguente alla conversione <strong>del</strong> contratto a tempo determinato,<br />

mentre il quesito di diritto formulato con il ricorso non si riferiva all'"aliunde<br />

perceptum", era generico sulla "mora credendi" e non era pertinente rispetto alla<br />

fattispecie, risolvendosi nell'enunciazione in astratto <strong>del</strong>le regole vigenti nella<br />

materia, senza enucleare il momento di conflitto rispetto ad esse <strong>del</strong> concreto<br />

accertamento operato dai giudici di merito). (Rigetta, App. Roma, 06/09/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 4 gennaio 2011, n. 80<br />

L'applicazione retroattiva <strong>del</strong>l'art. 32, comma 5, <strong>del</strong>la L. n. 183/<strong>2010</strong> trova limite nel<br />

giudicato formatosi sulla domanda risarcitoria conseguente all'impugnazione <strong>del</strong><br />

termine illegittimamente apposto al contratto di lavoro, in quanto l'impugnazione <strong>del</strong><br />

solo capo relativo alla declaratoria di nullità <strong>del</strong> termine non impedisce la formazione<br />

<strong>del</strong> giudicato sul capo di domanda relativo al risarcimento <strong>del</strong> danno. D'altra parte,<br />

nei procedimenti dinanzi la Cassazione, tale applicazione è possibile solo se la nuova<br />

disciplina sia pertinente alle questioni oggetto di censura nel ricorso e vi sia stata la<br />

96


formulazione di uno specifico quesito di diritto relativo alle conseguenze patrimoniali<br />

<strong>del</strong>l'accertata nullità <strong>del</strong> termine.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 6 dicembre <strong>2010</strong>, n. 24695<br />

I fori speciali esclusivi, alternativamente concorrenti tra loro, indicati dall' art. 413,<br />

secondo e terzo comma, cod. proc. civ. per individuare il giudice territorialmente<br />

competente in una controversia individuale di lavoro subordinato, sono tre e, cioè,<br />

quello ove è sorto il rapporto, quello ove si trova l'azienda e quello <strong>del</strong>la dipendenza<br />

ove il lavoratore è addetto (o prestava la sua attività lavorativa alla fine <strong>del</strong> rapporto),<br />

senza che gli ultimi due possano intendersi compendiati unitariamente in quello di<br />

svolgimento <strong>del</strong>la prestazione lavorativa e senza che sia dato argomentare<br />

diversamente, nè in base al disposto <strong>del</strong>la legge 11 febbraio 1992, n. 128, relativa ai<br />

rapporti di lavoro di cui all'art. 409, n. 3 cod. proc. civ., nè in base a quello <strong>del</strong>l'art. 40<br />

<strong>del</strong> d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 per le controversie relative al pubblico impiego, attese<br />

le peculiarità <strong>del</strong>le situazioni ivi regolate, alla cui stregua sono altresì da escludere<br />

dubbi di illegittimità costituzionale <strong>del</strong> sistema. (Nella specie, relativa alla domanda<br />

proposta da un informatore scientifico nei confronti <strong>del</strong>la società datrice di lavoro, la<br />

S.C., nel ritenere corretta la qualificazione <strong>del</strong> domicilio <strong>del</strong> lavoratore quale<br />

dipendenza aziendale operata dal giudice di merito, ha escluso che si potesse far<br />

coincidere la nozione di dipendenza aziendale con l'intero territorio di attività <strong>del</strong>la<br />

società, trattandosi di criterio privo di fondamento normativo). (Regola competenza).<br />

Cass. civ. Sez. VI, 6 dicembre <strong>2010</strong>, n. 24692<br />

In tema di lavoro <strong>del</strong> socio di cooperativa, nel regime successivo all'entrata in vigore<br />

<strong>del</strong>la legge 14 febbraio 2003, n. 30, la controversia sul licenziamento intimato in<br />

dipendenza o contestualmente all'esclusione <strong>del</strong> socio non spetta alla competenza <strong>del</strong><br />

tribunale in funzione di giudice <strong>del</strong> lavoro, ma compete al tribunale ordinario (nella<br />

specie, con il rito societario di cui al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, "ratione temporis"<br />

applicabile), avendo la legge richiamata valorizzato la dipendenza <strong>del</strong> rapporto di<br />

lavoro da quello societario, l'accertamento <strong>del</strong>la cui legittima cessazione è<br />

pregiudiziale a quello <strong>del</strong>la legittimità <strong>del</strong> licenziamento. (Rigetta, Trib. Genova,<br />

25/11/2009).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 1 dicembre <strong>2010</strong>, n. 24339<br />

Nel rito <strong>del</strong> lavoro - nel quale il divieto di proporre domande nuove nel corso <strong>del</strong><br />

giudizio di primo grado è particolarmente rigoroso - non è, tuttavia, precluso alla<br />

parte che abbia già proposto, con un primo ricorso, determinate domande, di proporne<br />

ulteriori, nei confronti <strong>del</strong> medesimo convenuto, con un nuovo e separato ricorso il<br />

quale deve ritenersi completo con l'indicazione, a sostegno <strong>del</strong>le suddette ulteriori<br />

domande, di documenti già prodotti nel precedente giudizio di cui sia chiesta la<br />

riunione al secondo per ragioni di economia processuale. (Cassa con rinvio, App.<br />

Roma, 19/12/2005).<br />

97


Cass. civ. Sez. lavoro, 30 novembre <strong>2010</strong>, n. 24241<br />

In caso di pluralità di domande proponibili contro la stessa parte, ai sensi <strong>del</strong>l'art. 104<br />

cod. proc. civ., le quali restano autonome anche nell'ipotesi in cui siano decise nello<br />

stesso giudizio, il giudicato formatosi su una <strong>del</strong>le domande non si riverbera sulle<br />

residue, proponibili, ma in concreto non proposte, nel medesimo giudizio, in<br />

conformità alla regola per cui ha autorità di cosa giudicata soltanto ciò che è stato<br />

oggetto <strong>del</strong>la decisione giudiziale, e, perciò, di contestazione tra le parti, nei limiti<br />

segnati dal giudizio, per come qualificato dai suoi elementi identificativi. (Nella<br />

specie, la S.C. nell'accogliere il ricorso, ha rilevato che la domanda <strong>del</strong> lavoratore di<br />

risarcimento dei danni connessi alla mancata restituzione <strong>del</strong> libretto di lavoro<br />

integrava un profilo di danno ulteriore rispetto alla richiesta di risarcimento connesso<br />

al licenziamento illegittimo che aveva formato oggetto di un precedente giudizio tra<br />

le medesime parti e, quindi, non restava preclusa dal giudicato formatosi). (Cassa con<br />

rinvio, App. Catania, 28/07/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 22 novembre <strong>2010</strong>, n. 23625<br />

Nelle controversie di lavoro il difetto di trascrizione <strong>del</strong>la procura al difensore nella<br />

copia notificata di un ricorso in appello, è privo di rilevanza quando la prova <strong>del</strong><br />

tempestivo conferimento <strong>del</strong>la procura può desumersi dall'originale <strong>del</strong> ricorso,<br />

sottoscritto dal procuratore prima <strong>del</strong> decreto presidenziale di fissazione <strong>del</strong>l'udienza<br />

e di nomina <strong>del</strong> relatore. Pertanto, la mancanza <strong>del</strong>l'indicazione di elementi essenziali<br />

nella copia <strong>del</strong> ricorso consegnata all'appellato in sede di notifica, contenuta invece<br />

nell'originale <strong>del</strong>l'atto stesso, determina una nullità che investe non il ricorso predetto<br />

ma solo la notifica <strong>del</strong> medesimo, ove la stessa non sia autonomamente idonea a far<br />

conoscere al destinatario il contenuto <strong>del</strong>l'atto notificato che è sanata dalla<br />

costituzione in giudizio <strong>del</strong> convenuto. (Cassa con rinvio, App. Roma, 17/07/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 19 novembre <strong>2010</strong>, n. 23495<br />

<strong>La</strong> relazione <strong>del</strong>la causa che, nei giudizi innanzi ad organi collegiali, deve precedere<br />

la discussione <strong>del</strong>le parti sia nel rito ordinario (art. 275 cod. proc. civ.) che in quello<br />

<strong>del</strong> lavoro (art. 437 cod. proc. civ.) non è prescritta a pena di nullità e la sua<br />

omissione non inficia, quindi, la validità <strong>del</strong>la successiva sentenza, non essendo tale<br />

sanzione contemplata da alcuna specifica norma nè derivando la stessa dai principi<br />

fondamentali che regolano il processo civile. (Rigetta, App. Roma, 02/11/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 10 novembre <strong>2010</strong>, n. 22872<br />

In tema di ripetizione di indebito oggettivo, la prova <strong>del</strong>l'inesistenza <strong>del</strong>la "causa<br />

debendi" (nella specie, relativa al pagamento al lavoratore di compensi non pattuiti)<br />

incombe sulla parte che propone la domanda, trattandosi di elemento costitutivo <strong>del</strong>la<br />

stessa ancorchè abbia ad oggetto fatti negativi, dei quali può essere data prova<br />

mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario o anche mediante<br />

presunzioni da cui desumersi il fatto negativo. Ove, peraltro, la domanda sia stata<br />

proposta solo in via riconvenzionale di fronte alla richiesta <strong>del</strong> lavoratore diretta ad<br />

ottenere l'adeguamento annuale <strong>del</strong>l'assegno "ad personam", asseritamente stipulato<br />

con il datore di lavoro, incombe sul lavoratore provare il fatto costitutivo <strong>del</strong> credito<br />

azionato (l'esistenza di detto accordo), senza necessità di provare l'indebito<br />

98


pagamento, dovendosi ritenere la relativa prova già acquisita al giudizio. (Rigetta,<br />

App. Venezia, 18/09/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 9 novembre <strong>2010</strong>, n. 22743<br />

I verbali redatti dai funzionari degli enti previdenziali e assistenziali o <strong>del</strong>l'Ispettorato<br />

<strong>del</strong> lavoro fanno piena prova dei fatti che i funzionari stessi attestino avvenuti in loro<br />

presenza, mentre, per le altre circostanze di fatto che i verbalizzanti segnalino di<br />

avere accertato, il materiale probatorio è liberamente valutabile e apprezzabile dal<br />

giudice, il quale può anche considerarlo prova sufficiente <strong>del</strong>le circostanze riferite al<br />

pubblico ufficiale, qualora il loro specifico contenuto probatorio o il concorso d'altri<br />

elementi renda superfluo l'espletamento di ulteriori mezzi istruttori.<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 22 ottobre <strong>2010</strong>, n. 21760<br />

Nel rito <strong>del</strong> lavoro, l'invocazione a sostegno <strong>del</strong>la domanda di una regolamentazione<br />

di fonte pattizia non dedotta nell'atto introduttivo costituisce mutamento <strong>del</strong>la "causa<br />

petendi" e implica una modifica <strong>del</strong>la domanda possibile solo in primo grado e<br />

unicamente previa autorizzazione <strong>del</strong> giudice a norma <strong>del</strong>l'art. 420 cod. proc. civ.,<br />

sicché la relativa deduzione fatta per la prima volta in appello deve essere dichiarata<br />

d'ufficio inammissibile dal giudice <strong>del</strong> gravame. (In applicazione <strong>del</strong> principio la<br />

Corte, confermando la sentenza di secondo grado, ha ritenuto che con riferimento al<br />

diritto alla tutela reale od obbligatoria <strong>del</strong> rapporto di lavoro subordinato, non potesse<br />

essere invocata dalla parte interessata per la prima volta in appello l'applicabilità <strong>del</strong>la<br />

clausola di stabilità, prevista in sede collettiva). (Rigetta, App. Salerno, 27/02/2006).<br />

Cass. civ. Sez. Unite, 24 settembre <strong>2010</strong>, n. 20161<br />

Il regolamento preventivo di giurisdizione è ammissibile durante la pendenza <strong>del</strong><br />

giudizio di opposizione al decreto conclusivo <strong>del</strong> procedimento di repressione <strong>del</strong>la<br />

condotta antisindacale ex art. 28 <strong>del</strong>lo Statuto dei lavoratori, posto che tale decreto<br />

costituisce, fino al momento in cui venga confermato o revocato in sede di<br />

opposizione, un atto processuale provvisorio che non può contenere alcuna implicita<br />

statuizione concernente la giurisdizione, sulla quale possa formarsi il giudicato.<br />

(Regola competenza,).<br />

Cass. civ. Sez. Unite, 23 settembre <strong>2010</strong>, n. 20075<br />

L'art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., nella parte in cui onera il ricorrente<br />

(principale od incidentale), a pena di improcedibilità <strong>del</strong> ricorso, di depositare i<br />

contratti od accordi collettivi di diritto privato sui quali il ricorso si fonda, va<br />

interpretato nel senso che, ove il ricorrente impugni, con ricorso immediato per<br />

cassazione ai sensi <strong>del</strong>l'art. 420 bis, secondo comma, cod. proc. civ., la sentenza che<br />

abbia deciso in via pregiudiziale una questione concernente l'efficacia, la validità o<br />

l'interpretazione <strong>del</strong>le clausole di un contratto od accordo collettivo nazionale, ovvero<br />

denunci, con ricorso ordinario, la violazione o falsa applicazione di norme dei<br />

contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro ai sensi <strong>del</strong>l'art. 360, primo comma,<br />

n. 3, cod. proc. civ. (nel testo sostituito dall'art. 2 <strong>del</strong> d.lgs. n. 40 <strong>del</strong> 2006), il deposito<br />

suddetto deve avere ad oggetto non solo l'estratto recante le singole disposizioni<br />

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collettive invocate nel ricorso, ma l'integrale testo <strong>del</strong> contratto od accordo collettivo<br />

di livello nazionale contenente tali disposizioni, rispondendo tale adempimento alla<br />

funzione nomofilattica assegnata alla Corte di cassazione nell'esercizio <strong>del</strong> sindacato<br />

di legittimità sull'interpretazione <strong>del</strong>la contrattazione collettiva di livello nazionale.<br />

Ove, poi, la Corte ritenga di porre a fondamento <strong>del</strong>la sua decisione una disposizione<br />

<strong>del</strong>l'accordo o contratto collettivo nazionale depositato dal ricorrente diversa da<br />

quelle indicate dalla parte, procedendo d'ufficio ad una interpretazione complessiva<br />

ex art. 1363 cod. civ. non riconducibile a quanto già dibattuto, trova applicazione, a<br />

garanzia <strong>del</strong>l'effettività <strong>del</strong> contraddittorio, l'art. 384, terzo comma, cod. proc. civ.<br />

(nel testo sostituito dall'art. 12 <strong>del</strong> d.lgs. n. 40 <strong>del</strong> 2006), per cui la Corte riserva la<br />

decisione, assegnando con ordinanza al P.M. e alle parti un termine non inferiore a<br />

venti giorni e non superiore a sessanta dalla comunicazione per il deposito in<br />

cancelleria di osservazioni sulla questione. (Dichiara improcedibile, Trib. Torino,<br />

02/12/2008).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 2 settembre <strong>2010</strong>, n. 18998<br />

In materia di ripartizione <strong>del</strong>l'onere <strong>del</strong>la prova, il principio secondo il quale spetta al<br />

datore di lavoro provare l'appartenenza <strong>del</strong> lavoratore alla categoria dei dirigenti non<br />

si applica ove l'accertamento <strong>del</strong>la natura dirigenziale <strong>del</strong>l'attività lavorativa<br />

costituisca oggetto di specifico interesse <strong>del</strong> prestatore, dovendo trovare applicazione<br />

il principio generale che spetta a chi vuole far valere un diritto in giudizio l'onere di<br />

provare i fatti che ne costituiscono fondamento. Ne consegue che, in caso di<br />

licenziamento di dipendente formalmente inquadrato come dirigente, grava sul<br />

lavoratore, che intenda fruire <strong>del</strong> più favorevole regime limitativo dei licenziamenti<br />

previsto per i dipendenti non aventi tale qualifica, l'onere di provare la natura<br />

meramente convenzionale <strong>del</strong>l'inquadramento, e che le mansioni effettivamente<br />

svolte non corrispondevano a quelle previste o, comunque, difettavano, in concreto,<br />

<strong>del</strong>le connotazioni proprie <strong>del</strong>la categoria dirigenziale. (Rigetta, App. Roma,<br />

28/08/2008).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 1 luglio <strong>2010</strong>, n. 15653<br />

Nelle cause soggette al rito <strong>del</strong> lavoro, l'acquisizione <strong>del</strong> testo dei contratti o accordi<br />

collettivi può aver luogo anche in appello, sia attraverso la richiesta di informazioni<br />

alle associazioni sindacali, la quale non è soggetta al divieto di cui all'art. 437,<br />

secondo comma, cod. proc. civ., non costituendo un mezzo di prova, sia attraverso<br />

l'esercizio da parte <strong>del</strong> giudice <strong>del</strong> potere officioso, riconosciuto dal medesimo art.<br />

437, secondo comma, di invitare le parti a produrre il contratto collettivo, ove non ne<br />

risulti contestata l'applicabilità al rapporto. (Rigetta, App. Catanzaro, 30/09/2005).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 14 giugno <strong>2010</strong>, n. 14197<br />

Nel giudizio tra datore di lavoro ed istituti previdenziali o assistenziali avente ad<br />

oggetto il pagamento di contributi, qualora sorga contestazione sull'esistenza <strong>del</strong><br />

rapporto di lavoro subordinato, con conseguente necessità di preliminare<br />

accertamento di detto rapporto quale presupposto <strong>del</strong>l'obbligo contributivo, la<br />

posizione che il lavoratore assume in detto giudizio determina la sua incapacità a<br />

testimoniare; tuttavia, ciò non esclude che il giudice possa, avvalendosi dei poteri<br />

100


conferitigli dall'art. 421 cod. proc. civ., interrogarlo liberamente sui fatti di causa.<br />

(Nella specie, relativa ad un giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione per<br />

l'omesso versamento di contributi previdenziali, la S.C. ha confermato la sentenza<br />

d'appello che aveva ritenuto legittima l'audizione <strong>del</strong>la lavoratrice ai sensi <strong>del</strong>l'art.<br />

421 cod. proc. civ., rilevando altresì che la decisione in primo grado non era stata<br />

assunta soltanto in base alle dichiarazioni da parte di quest'ultima, ma che esse erano<br />

state valutate nell'insieme <strong>del</strong>le risultanze processuali). (Rigetta, App. Venezia,<br />

06/07/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 25 maggio <strong>2010</strong>, n. 12793<br />

Nel rito <strong>del</strong> lavoro il ricorrente che non deposita contestualmente al ricorso i<br />

documenti dei quali intende avvalersi decade dal diritto di produrli tardivamente; tale<br />

decadenza non opera solo in due casi: a) quando la produzione tardiva dei documenti<br />

sia giustificata dal tempo <strong>del</strong>la loro formazione o dall'evolversi <strong>del</strong>la vicenda<br />

processuale (ad es. a seguito di riconvenzionale o di intervento o di chiamata in causa<br />

di terzo); b) in considerazione dei poteri d'ufficio <strong>del</strong> giudice in materia di<br />

ammissione di nuovi mezzi di prova, ai sensi <strong>del</strong>l'art. 437, comma 2, c.p.c., ove essi<br />

siano indispensabili ai fini <strong>del</strong>la decisione <strong>del</strong>la causa, poteri da esercitarsi sempre<br />

con riferimento a fatti allegati dalle parti ed emersi nel processo (in applicazione <strong>del</strong><br />

suesposto principio, la Corte ha escluso il diritto all'assegno di invalidità per la parte<br />

che solo in appello aveva prodotto la documentazione necessaria a comprovare la sua<br />

situazione; la produzione in appello non era giustificata né dal tempo <strong>del</strong>la<br />

formazione di tali documenti, già a disposizione <strong>del</strong>la parte in precedenza, né<br />

dall'evolversi <strong>del</strong>la situazione processuale).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 4 maggio <strong>2010</strong>, n. 10711<br />

Nel rito <strong>del</strong> lavoro, la facoltà di richiedere osservazioni scritte ed orali alle<br />

organizzazioni sindacali stipulanti un contratto collettivo può essere esercitata solo<br />

nel giudizio di primo grado e non anche in appello, e presuppone che la norma<br />

contrattuale presenti aspetti oscuri ed ambigui o ponga una questione interpretativa<br />

seriamente opinabile. (Rigetta, App. Trieste, 10/08/2005).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 12 aprile <strong>2010</strong>, n. 8650<br />

Qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto<br />

giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato,<br />

l'accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione<br />

di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad<br />

entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile <strong>del</strong>la statuizione<br />

contenuta nel dispositivo <strong>del</strong>la sentenza, preclude il riesame <strong>del</strong>lo stesso punto di<br />

diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da<br />

quelle che hanno costituito lo scopo ed il "petitum" <strong>del</strong> primo. (Principio affermato<br />

dalla S.C. con riferimento all'inquadramento <strong>del</strong> datore di lavoro a fini contributivi,<br />

accertato con sentenza passata in giudicato in relazione al medesimo periodo per il<br />

quale l'INPS aveva successivamente proceduto alla riscossione dei contributi con<br />

cartella esattoriale avverso la quale era stata proposta opposizione). (Cassa con rinvio,<br />

App. Bologna, 07/03/2005).<br />

101


Cass. civ. Sez. lavoro, 19 marzo <strong>2010</strong>, n. 6748<br />

È inammissibile la denuncia, con ricorso per cassazione, ai sensi <strong>del</strong>l'art. 360, comma<br />

1, n. 3, cod. proc. civ., come modificato dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, <strong>del</strong>la<br />

violazione o falsa applicazione <strong>del</strong> contratto collettivo integrativo (nella specie<br />

collettivo integrativo di amministrazione <strong>del</strong> 3 luglio 2000), posto che detta<br />

disposizione si riferisce ai soli contratti collettivi nazionali di lavoro, mentre i<br />

contratti integrativi, attivati dalle amministrazioni sulle singole materie e nei limiti<br />

stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che<br />

questi ultimi prevedono, se pure parametrati al territorio nazionale in ragione<br />

<strong>del</strong>l'amministrazione interessata, hanno una dimensione di carattere decentrato<br />

rispetto al comparto, e per essi non è previsto, a differenza dei contratti collettivi<br />

nazionali, il particolare regime di pubblicità di cui all'art. 47, comma 8, <strong>del</strong> d.lgs. n.<br />

165 <strong>del</strong> 2001. Ne consegue che l'interpretazione di tali contratti è censurabile, in sede<br />

di legittimità, soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale<br />

ovvero per vizi di motivazione. (Rigetta, App. Bolzano 30/3/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 25 febbraio <strong>2010</strong>, n. 4623<br />

Nel giudizio avente ad oggetto il riconoscimento <strong>del</strong> diritto a fruire dei permessi<br />

previsti dall'art. 33 <strong>del</strong>la legge n. 104 <strong>del</strong> 1992 in favore dei genitori di bambini<br />

portatori di handicap grave, la legittimazione passiva spetta all'INPS, riferendosi la<br />

domanda ad un provvedimento <strong>del</strong>l'ente previdenziale che si sostanzia<br />

nell'autorizzazione preventiva al datore di lavoro (o nel suo diniego) a compensare le<br />

somme eventualmente corrisposte a tale titolo con i contributi obbligatori dovuti<br />

all'INPS, a carico <strong>del</strong> quale è posto l'onere finanziario <strong>del</strong> beneficio. (Cassa e decide<br />

nel merito, App. Brescia, 22/02/2006).<br />

Cass. civ. Sez. lavoro, 28 gennaio <strong>2010</strong>, n. 1863<br />

Nel rito <strong>del</strong> lavoro, è corretto l'operato <strong>del</strong> giudice che, nell'ambito di una<br />

controversia promossa per accertare la natura subordinata di un rapporto di lavoro,<br />

chieda al testimone di precisare, al di fuori <strong>del</strong>le circostanze capitolate, se veniva<br />

rispettato un orario di lavoro, quali fossero le mansioni svolte dal prestatore nonché in<br />

quale posizione materiale la prestazione fosse effettuata, dovendosi ritenere che la<br />

possibilità di porre tali domande sia consentita, se non anche imposta, dall'art. 421<br />

cod. proc. civ., e ciò tanto più ove al ricorso siano stati allegati conteggi elaborati sul<br />

presupposto <strong>del</strong>lo svolgimento di determinate mansioni e orari e la controparte abbia<br />

contestato, oltre alla natura subordinata <strong>del</strong> rapporto, anche lo svolgimento di un<br />

orario a tempo pieno. (Rigetta, App. Bologna, 27/07/2005).<br />

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