del turismo della Val di Non - MEDIASTUDIO Giornalismo ...

36
m o n d o a g r i c o l o
1/2010
Quale futuro per il vino?
n Complice l’andamento del mercato, si prospettano non poche difficoltà
Il mondo del vino sta attraversando
un periodo di profonda
crisi sia economica che
d’immagine, che porta tanti
produttori ad interrogarsi sul
futuro prossimo e lontano,
visto che il mondo della vite,
dalla piantagione alla vendita
del vino, necessita di parecchio
tempo per produrre risultati
concreti.
Ne abbiamo parlato con Angelo
Rossi, profondo conoscitore
dell’enologia trentina
e presidente dell’Associazione
studenti di San Michele
all’Adige.
Secondo lei, con la crisi
globale in atto è finita
la lunga stagione del
business dei vini trentini?
La crisi c’è e durerà; il business
degli ultimi 10-12 anni
ha riguardato i vini trentini
solo indirettamente, a causa
della notevole ricaduta della
commercializzazione di
grandi quantitativi di prodotti
enologici extra provinciali
venduti sui mercati mondiali.
Che significa tutto ciò?
Vuol dire che alcune nostre
aziende erano state pronte
ad inserirsi in un business,
soprattutto in Nord America
e soprattutto con il Pinot grigio
delle Venezie, acquisendo
una leadership durata fino ad
un paio di stagioni fa e che
ora è stata ridimensionata da
una serie di fattori, ultimo dei
quali la crisi globale. Del beneficio
hanno goduto i produttori
anche se di vino trentino
ne è stato venduto poco.
Questo è stato un
comportamento legale?
Certamente, come qualsiasi
attività industriale. Il vino
trentino è poco più dell’1,2%
di quello italiano e per giunta
suddiviso in oltre 20 tipologie
varietali, nessuna di queste
disponibili nelle quantità richieste
dalla domanda internazionale.
Per questo motivo
è stato giocoforza indispensabile
approvvigionarsi laddove
queste masse erano disponibili,
utilizzando gli impianti
trentini per affinarle e venderle,
oltre alla professionalità
degli addetti. Semmai, il
rammarico è che ci siamo dimenticati
del Trentino.
Intende riferirsi ad una
politica di promozione del
territorio?
Esattamente. Presi dal business,
istituzioni ed aziende si
sono dimenticate di ampliare
quella politica di territorio
che per un piccolo vigneto
come il nostro risulta fondamentale
per il futuro. E chi in
passato lo ha fatto presente, è
stato invitato più o meno cortesemente
a “non disturbare
il manovratore”, mentre la
pubblicità e la promozione,
spesso autoreferenziale, hanno
distolto l’attenzione dal
problema di fondo.
Non le sembra un giudizio
un po’ pesante?
Purtroppo è la pura verità.
Abbiamo già dimenticato le
polemiche sulle guide enogastronomiche
che sistematicamente
penalizzano i
vini trentini rispetto a quelli
dell’Alto Adige? Potevamo
solo rispondere
che i rendimenti
migliori
li avevamo comunque
noi,
per i motivi di
cui sopra.
Come si esce
da questa
situazione?
Bella domanda!
Se non vogliamo
trasformare
il Trentino in
una succursale
delle fertili pia-
Angelo Rossi
nure, sarà meglio pensare ad
un progetto territoriale adatto
al nostro
ambiente ed
alle produzioni
tradizionali
per mercati
più domestici,
quelli di provenienza
dei
nostri turisti,
per intenderci.
Rispettando
ovviamente le
grandi aziende
a respiro
industriale cui
il Trentino va
stretto.
Per lo spumante valgono
le stesse considerazioni?
E’ un discorso a parte, da non
confondere con i vini tranquilli,
nemmeno con la sigla
DOC. Negli spumanti, c’è
la leadership di una grande
marca e una trentina di soggetti
che assieme potrebbero
fare di più e meglio. In passato,
col mercato in sviluppo, si
è tentato – invano – di porre il
Trentino come capofila della
spumantistica classica italiana.
Oggi siamo superati dalla
Franciacorta. Anche in questo
settore mi sembra che la
strategia da ripensare, anche
in profondità.