Primo Rapporto Osservatorio del Risparmio UniCredit ... - UniNews
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<strong>Primo</strong> <strong>Rapporto</strong><br />
<strong>Osservatorio</strong><br />
<strong>del</strong> <strong>Risparmio</strong><br />
<strong>UniCredit</strong><br />
Pioneer<br />
Investments<br />
Famiglie che resistono<br />
e famiglie alla ricerca di<br />
nuovi mo<strong>del</strong>li di risparmio<br />
2012
PRIMO RAPPORTO<br />
OSSERVATORIO DEL<br />
RISPARMIO UNICREDIT<br />
PIONEER INVESTMENTS<br />
Famiglie che resistono e famiglie alla<br />
ricerca di nuovi mo<strong>del</strong>li di risparmio<br />
2012<br />
1
Responsabili scientifici:<br />
Marcello Calabrò, Massimo Costantino Macchitella, Zeno Rotondi<br />
Coordinatori:<br />
Angela Botticini, Laura Marzorati<br />
Hanno contribuito alla stesura <strong>del</strong>la presente edizione<br />
Territorial Research and Strategies, <strong>UniCredit</strong><br />
Angela Botticini<br />
Roberto Larotonda<br />
Marketing Individual Clients Italy, <strong>UniCredit</strong><br />
Matteo Fabbi<br />
Ilaria Marchioni<br />
Economic and Market research, Pioneer Investments<br />
Laura Marzorati<br />
Giovanni Russillo<br />
La nota metodologica è a cura di Prometeia<br />
Andrea Berardis<br />
Federica Coroneo<br />
Massimo Guagnini<br />
Cristiana Moriconi<br />
Livia Simongini<br />
Un ringraziamento particolare va a Daniele Fano<br />
2
Presentazione<br />
E’ un vero piacere per me introdurre questa prima edizione <strong>del</strong> <strong>Rapporto</strong> sul <strong>Risparmio</strong>, realizzato da <strong>UniCredit</strong> in collaborazione<br />
con Pioneer Investments e intitolato significativamente “Famiglie che resistono e famiglie alla ricerca di nuovi mo<strong>del</strong>li di<br />
risparmio”.<br />
Nonostante gli ultimi cinque anni siano stati caratterizzati da una crisi finanziaria senza precedenti, siamo ancora oggi un<br />
Paese ricco, ma che risparmia sempre meno e con una ricchezza molto immobilizzata.<br />
La ragione per cui si risparmia meno è legata principalmente al restringimento <strong>del</strong>la “torta” dei redditi. Sebbene negli ultimi<br />
dieci anni il reddito disponibile aggregato sia comunque rimasto pressoché stabile, l’aumento <strong>del</strong>la popolazione - grazie<br />
soprattutto all’incremento <strong>del</strong> numero di stranieri residenti - e una maggiore incidenza degli ultra sessantacinquenni hanno<br />
comportato che il reddito netto disponibile a livello pro capite si riducesse in termini reali (prezzi 2011) dai circa 18.000<br />
euro <strong>del</strong> 2001 ai circa 16.600 euro <strong>del</strong> 2011. Questa dinamica di contrazione <strong>del</strong> reddito ha riflesso l’andamento <strong>del</strong>la<br />
composizione per provenienza <strong>del</strong>le risorse che affluiscono alle famiglie. Mentre negli anni ‘80 oltre il 70% <strong>del</strong> reddito<br />
disponibile proveniva dal lavoro dipendente o autonomo, nel 2010 tale quota è scesa al 52%.<br />
Un Paese con una crescita debole lavora meno, produce meno reddito e quindi risparmia meno. In un contesto di debolezza<br />
<strong>del</strong>la domanda interna e di stringenti vincoli sul fronte <strong>del</strong>la spesa pubblica, comune a molte economie avanzate, la soluzione<br />
per tornare a risparmiare di più è quindi legata al riavvio di un ciclo di crescita, a suo volta legato alla capacità di competere<br />
meglio ed esportare di più, soprattutto nei paesi più dinamici.<br />
Inoltre, le incertezze sulle prospettive occupazionali dei giovani pongono oggi la sfida di gestire il risparmio pensando anche<br />
al futuro dei figli. L’esigenza sempre più pressante di pianificare il trasferimento intergenerazionale <strong>del</strong>la ricchezza coincide<br />
con la prima inversione <strong>del</strong> trend di espansione <strong>del</strong> benessere da una generazione alla successiva registrata a partire dal<br />
dopoguerra.<br />
Un’ulteriore preoccupazione per le famiglie, accentuata dalle recenti riforme <strong>del</strong> sistema pensionistico e dal trend demografico,<br />
è quella relativa all’integrazione dei propri redditi da pensione, onde evitare di ridurre fortemente le abitudini di consumo, con<br />
tutte le ovvie conseguenze sul benessere e la qualità <strong>del</strong>la vita.<br />
Le scelte di risparmio oggi sono quindi sicuramente più complesse per le famiglie. Accrescere il livello <strong>del</strong>le conoscenze dei<br />
cittadini in materia finanziaria è necessario per consentire decisioni più consapevoli e informate su temi che hanno un grande<br />
rilievo per determinare la futura prosperità. Bisognerebbe inoltre agire sui comportamenti, per accrescere la cultura <strong>del</strong><br />
risparmio, rendendolo più facile, diffuso e automatico.<br />
Come possono contribuire gli intermediari finanziari e i gestori <strong>del</strong> patrimonio per cambiare la situazione?<br />
Il nostro Gruppo può fornire alcuni esempi concreti in merito. Accanto al miglioramento <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo di consulenza finalizzato<br />
a una offerta di servizi più flessibile e taylor-made in funzione <strong>del</strong>le mutate esigenze di risparmio <strong>del</strong>le famiglie, nel 2011<br />
<strong>UniCredit</strong> ha lanciato in Italia In-formati, il primo programma nazionale di educazione bancaria e finanziaria.<br />
In-formati rappresenta la nostra risposta concreta alla necessità di avvicinare maggiormente i cittadini e le imprese ai temi di<br />
banca e finanza. Abbiamo sentito il dovere di sostenere una maggiore conoscenza di questi argomenti per aiutare le famiglie<br />
a orientarsi con più consapevolezza nelle proprie scelte.<br />
3
I corsi di In-formati, tenuti da nostri colleghi, con un linguaggio semplice e trasparente hanno coinvolto circa 25 mila persone<br />
con un servizio gratuito di informazione portato nelle scuole, nelle università, nelle sedi <strong>del</strong>le associazioni di categoria, nelle<br />
imprese, nei punti di aggregazione di anziani, casalinghe, famiglie e nelle sedi <strong>del</strong> non profit locali.<br />
Un altro esempio, che ambisce a una platea ancor più vasta di potenziali fruitori, è rappresentato dall’<strong>Osservatorio</strong> <strong>del</strong><br />
<strong>Risparmio</strong> <strong>UniCredit</strong> - Pioneer Investments.<br />
L’analisi <strong>del</strong> <strong>Rapporto</strong> si articola lungo tre filoni. Il primo studia gli aspetti legati al risparmio <strong>del</strong>le famiglie italiane e alla sua<br />
allocazione, anche a confronto con i principali paesi industrializzati. Il secondo si occupa <strong>del</strong>la composizione, l’andamento nel<br />
tempo e la distribuzione <strong>del</strong>la ricchezza tra le diverse generazioni, anche sulla base <strong>del</strong>le informazioni rilevate da un campione<br />
di clienti <strong>UniCredit</strong>. E si conclude con un’analisi <strong>del</strong> risparmio e <strong>del</strong>la ricchezza <strong>del</strong>le famiglie secondo una declinazione<br />
territoriale, per aree geografiche e regioni.<br />
In quest’ultima parte <strong>del</strong> <strong>Rapporto</strong> emergono alcuni segnali originali rispetto al quadro nazionale di progressivo impoverimento<br />
<strong>del</strong>le famiglie.<br />
Durante la crisi, per esempio, il maggiore peso <strong>del</strong> terziario e <strong>del</strong>la pubblica amministrazione sull’economia <strong>del</strong> Centro ha<br />
determinato una flessione meno intensa <strong>del</strong>la propensione al risparmio. Anche il Mezzogiorno registra una tenuta <strong>del</strong>la<br />
propensione al risparmio, con un trend in crescita fino allo scoppio <strong>del</strong>la crisi e poi una inversione comunque contenuta<br />
rispetto alla media Italiana. Un altro dato interessante - specialmente nell’ottica di come far tornare a crescere il risparmio -<br />
è quello <strong>del</strong> Nord-Est dove, dopo un decennio di trend discendente, la propensione al risparmio è tornata a salire grazie al<br />
mo<strong>del</strong>lo di sviluppo territoriale basato sulla competitività e sull’orientamento alle esportazioni. Da quest’ultimo dato deriva<br />
chiaramente che per generare risorse interne per il risparmio è necessario tornare a crescere, soprattutto migliorando le<br />
condizioni di efficienza produttiva <strong>del</strong> sistema.<br />
Stiamo vivendo tutti, famiglie, imprese e banche, una fase difficile in cui, pur a fronte di un recupero graduale di credibilità<br />
come Paese all’estero, abbiamo ancora bisogno <strong>del</strong> risparmio italiano, che anche per tale ragione rappresenta una risorsa<br />
strategica da preservare, a supporto <strong>del</strong>la ripresa <strong>del</strong>l’attività produttiva,.<br />
Mi auguro che la nostra nuova iniziativa si riveli una “bussola” utile per orientarsi in questa <strong>del</strong>icata fase di evoluzione <strong>del</strong><br />
Paese.<br />
Roberto Nicastro<br />
Direttore Generale <strong>UniCredit</strong><br />
4
Indice<br />
SINTESI DEI PRINCIPALI RISULTATI 8<br />
PARTE PRIMA 11<br />
IL RISPARMIO DELLE FAMIGLIE ITALIANE E LA SUA ALLOCAZIONE 12<br />
1.1 IL RISPARMIO: MERCE RARA 12<br />
1.2 QUALCHE INDICAZIONE DALLA TEORIA 16<br />
1.3 DA FORMICHE A CICALE? 20<br />
1.4 L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI RISPARMIO 25<br />
1.5 QUANTO SI DOVREBBE RISPARMIARE? 27<br />
1.6 QUALE ALLOCAZIONE PER IL RISPARMIO? 29<br />
PARTE SECONDA 37<br />
DAI FLUSSI AGLI STOCK: LA RICCHEZZA DELLE FAMIGLIE IN ITALIA 38<br />
2.1 BUONE NOTIZIE SUL FRONTE RICCHEZZA 38<br />
2.2 NON E’ ORO TUTTO QUEL CHE LUCCICA 41<br />
2.3 LA RICCHEZZA DELLE GENERAZIONI 46<br />
PARTE TERZA 51<br />
RISPARMIO E RICCHEZZA: UN’ANALISI TERRITORIALE 52<br />
3.1 IL RISPARMIO A LIVELLO TERRITORIALE 52<br />
3.2 LA RICCHEZZA FINANZIARIA A LIVELLO TERRITORIALE 58<br />
Appendice metodologica all’analisi territoriale 63<br />
1. La stima <strong>del</strong> risparmio a livello territoriale 64<br />
1.1 I consumi turistici: le principali fonti di informazione 64<br />
1.2 I consumi turistici: le principali criticità 65<br />
1.3 La stima <strong>del</strong>la spesa di consumo <strong>del</strong>le famiglie residenti nelle regioni italiane 65<br />
1.3.1 I consumi turistici 65<br />
1.3.2 Una prima stima <strong>del</strong>la spesa per consumi <strong>del</strong>le famiglie residenti 66<br />
1.3.3 La correzione <strong>del</strong>la prima stima 66<br />
1.4 La formazione <strong>del</strong> risparmio a livello regionale 67<br />
2. La stima <strong>del</strong>la ricchezza a livello territoriale 68<br />
5
SINTESI DEI PRINCIPALI<br />
RISULTATI<br />
7
Sintesi dei principali risultati<br />
Il quadro <strong>del</strong>l’Italia che sembra emergere da questo primo rapporto <strong>del</strong>l’<strong>Osservatorio</strong> <strong>del</strong> <strong>Risparmio</strong> <strong>UniCredit</strong> - Pioneer<br />
Investments è quello di un paese che è ancora sostanzialmente ricco ma che sta vivendo un periodo storico particolarmente<br />
critico.<br />
Le famiglie italiane risparmiano sempre meno e, nella maggior parte dei casi, non per una loro specifica e volontaria scelta<br />
ma perchè stanno vedendo una graduale erosione dei redditi.<br />
Emerge un sostanziale divario tra bisogno percepito di risparmiare e risparmio effettivo. Cresce, infatti, il numero di individui<br />
che ritiene importante risparmiare, ma al tempo stesso scende il risparmio complessivo <strong>del</strong>le famiglie.<br />
La crisi si sta rivelando duratura e con conseguenze rilevanti.<br />
Unica tra le maggiori nazioni sviluppate che ha visto il reddito pro capite 1 scendere in termini reali a livelli comparabili a<br />
quelli di più di quindici anni fa, l’Italia è stata anche la nazione che ha mostrato il peggior tasso di crescita <strong>del</strong> PIL dal 2008<br />
in poi. Se il reddito disponibile diminuisce, i consumi <strong>del</strong>le famiglie non calano altrettanto rapidamente: il risparmio latita<br />
perchè le risorse si riducono e le spese ineludibili aumentano (o per lo meno non scendono).<br />
Tra l’altro, la riduzione <strong>del</strong> risparmio nazionale è stata accompagnata dal 2002 in poi da un deficit <strong>del</strong>la parte corrente <strong>del</strong>la<br />
bilancia dei pagamenti e dalla crescente necessità di attrarre capitali esteri per finanziare gli investimenti interni. Se un<br />
perdurante deficit <strong>del</strong>le partite correnti può essere sostenibile in un contesto di crescita, molto meno lo è per un’economia<br />
in una fase di stallo o in recessione.<br />
Non tutto è perduto però, la strada per un ritorno al riequilibrio passa necessariamente per una riduzione dei gap in produttività<br />
e competitività <strong>del</strong>le imprese nazionali e una prima scossa potrebbe proprio venire dall’export, che potrebbe fungere da<br />
volano e primo motore per una ripresa. Se è vero, infatti, che un alto livello di risparmio non genera necessariamente maggior<br />
crescita economica, sembra che in assenza di crescita difficilmente si riescono a mantenere elevati tassi di risparmio.<br />
Gli ultimi dati diffusi da Banca d’Italia riguardanti il mese di Luglio 2012 mostrano segnali incoraggianti sulle esportazioni, in<br />
netto miglioramento rispetto al 2011, anche se ancora è presto per parlare di una vera e propria inversione di tendenza <strong>del</strong>la<br />
parte corrente <strong>del</strong>la bilancia dei pagamenti.<br />
Se <strong>del</strong> lato imprese si può e bisogna fare ancora molto per rimettere in moto il paese, anche dal lato famiglie si deve fare di<br />
più, in particolare riguardo ad alcune criticità che sono emerse distintamente in questi ultimi anni.<br />
Una prima criticità riguarda la quantità di risparmio che per molte famiglie potrebbe essere insufficiente, tenendo conto <strong>del</strong>le<br />
future esigenze di spesa e soprattutto alla luce <strong>del</strong>le recenti riforme <strong>del</strong>la previdenza. I lavoratori italiani sembrano essere<br />
coscienti <strong>del</strong> fatto che dovranno provvedere da sé ai propri bisogni previdenziali, ma non riescono a far corrispondere a queste<br />
intenzioni <strong>del</strong>le misure concrete. L’adesione a fondi pensione integrativi appare ancora troppo bassa e nettamente inferiore<br />
rispetto alla media dei paesi sviluppati (non solo anglosassoni, ma anche <strong>del</strong>l’Europa continentale) e arrivare impreparati<br />
non appare certamente una prospettiva molto allettante. Per portare un maggior numero di persone a risparmiare per<br />
la pensione, innanzitutto, si potrebbe cominciare ad incentivare e sviluppare una cultura <strong>del</strong> risparmio, anche attraverso<br />
iniziative specifiche volte a rendere il piccolo risparmio più semplice, conveniente e magari automatico.<br />
1<br />
Il riferimento è al reddito netto disponibile valutato a prezzi costanti <strong>del</strong> 2011.<br />
8
Individui più coscienti riguardo alle conseguenze <strong>del</strong>le proprie scelte in ambito finanziario e di pianificazione potrebbero<br />
gestire meglio le risorse a loro disposizione. Per questo, sarebbero auspicabili interventi finalizzati a migliorare la cultura<br />
finanziaria generale, intervenendo non solo su individui già avvezzi al mondo <strong>del</strong>la finanza, ma anche sulle persone più<br />
svantaggiate, i giovani, e anche gli studenti. L’introduzione dei concetti di finanza e pianificazione già sui banchi di scuola<br />
avrebbe numerosi vantaggi: i giovani innanzitutto apprendono più facilmente e velocemente, inoltre sarebbe meno costoso<br />
raggiungere un numero più elevato di individui e sarebbe un sistema più egualitario. Un vero e proprio investimento per il<br />
futuro.<br />
Un ulteriore tema importante riguarda l’allocazione <strong>del</strong> risparmio.<br />
Dal confronto internazionale, emerge che in termini di ricchezza accumulata (e anche di livello di indebitamento) le famiglie<br />
italiane risultano ancora ben posizionate rispetto ai maggiori paesi europei e agli Stati Uniti. In particolare, lo stock di ricchezza<br />
al netto <strong>del</strong>le passività finanziarie appare ancora ragguardevole: 8.500 miliardi di euro, pari a oltre 7,8 volte il reddito lordo<br />
disponibile e 5,4 volte il PIL, che corrisponde a circa 140 mila euro pro capite. E’ importante assicurarsi che questa ricchezza<br />
venga preservata, non perda valore nel tempo ma anzi che possa diventare un volano di crescita per l’economia, nonché<br />
un’integrazione al reddito <strong>del</strong>le famiglie in tempi di crisi.<br />
Guardando alla composizione degli stock di ricchezza finanziaria, si evidenzia una penetrazione molto bassa <strong>del</strong> gestito (20%<br />
<strong>del</strong> portafoglio), meno <strong>del</strong>la metà <strong>del</strong>le quote rilevate in Francia e Germania. Gli italiani hanno, tra l’altro, reagito alla crisi <strong>del</strong><br />
2008 incrementando ulteriormente la propria posizione in attività liquide, in linea anche con quanto accaduto nel resto dei<br />
paesi, tuttavia, non necessariamente questo spostamento verso strumenti liquidi garantisce un sostanziale miglioramento<br />
<strong>del</strong>la qualità dei portafogli.<br />
Le recenti e attuali turbolenze dei mercati finanziari possono quantomeno servire a rendere i risparmiatori più consapevoli<br />
e preparati. Anche gli investimenti considerati poco rischiosi a volte possono invece rivelarsi molto volatili e l’unico modo<br />
per gestire in modo efficace il rischio è quello di diversificare, combinando attività che diano stabilità con quelle che<br />
possano offrire crescita nel tempo, attività che siano liquide con altre che offrano flussi cedolari nel tempo. Guardando la<br />
composizione media dei portafogli italiani il percorso da compiere appare ancora lungo, ma può essere supportato da esperti<br />
e professionisti. Da questo punto di vista le banche e i gestori di patrimoni dovranno essere pronti a raccogliere la sfida e a<br />
rilanciare un patto con i risparmiatori che deve essere basato sulla trasparenza e fiducia.<br />
Non da ultimo, un tema che merita maggiore approfondimento è quello relativo ai giovani.<br />
Il mercato <strong>del</strong> lavoro non sembra essere particolarmente recettivo e risparmiare per molti di loro sta diventando un miraggio.<br />
Inoltre, gli stock di ricchezza risultano fortemente concentrati nelle mani <strong>del</strong>le generazioni più anziane. Uno sforzo per<br />
liberare maggiori risorse da dedicare al capitale umano e alla nuove iniziative imprenditoriali dei giovani appare quantomeno<br />
doveroso, sia come antidoto per uscire dalla crisi attuale che come investimento per il futuro. Un nuovo patto tra generazioni<br />
che se da un lato potrebbe dare maggiori opportunità di sviluppo per i giovani, dall’altro potrebbe anche rappresentare quella<br />
nuova benzina per la crescita economica di cui il nostro Paese ha oggi come non mai un’impellente necessità.<br />
Passando dall’analisi a livello nazionale a quella territoriale, si conferma una generale contrazione <strong>del</strong> risparmio nel triennio<br />
2010-2012, caratterizzato da un ridimensionamento esteso a tutte le aree, fatta eccezione per il Nord Est, dove un mo<strong>del</strong>lo<br />
di sviluppo economico, fortemente basato sull’export ha contribuito a sostenere il reddito.<br />
9
Tuttavia, guardando agli ultimi cinque anni, le regioni <strong>del</strong> Nord hanno subito una contrazione <strong>del</strong> risparmio condizionata da<br />
un pronunciato rallentamento <strong>del</strong> ciclo economico, mentre le regioni <strong>del</strong> Sud hanno registrato una crescita <strong>del</strong> risparmio<br />
tra il 2000 e il 2009. Tuttavia, un’analisi più approfondita <strong>del</strong>le principali componenti dalle quali il risparmio si origina,<br />
reddito e consumo, sembra mostrare che tale incremento al Sud, più che indicativo di un miglioramento <strong>del</strong>la condizione<br />
economica, sia in realtà segnale di un’incapacità di confermare precedenti livelli di spesa. In realtà le famiglie meridionali<br />
hanno fortemente contratto le voci di spesa rinviabili mentre hanno destinato una quota sempre maggiore <strong>del</strong>la spesa a<br />
consumi incomprimibili. La propensione al consumo <strong>del</strong>le famiglie <strong>del</strong> Sud potrebbe essere stata influenzata inoltre da<br />
diversi fattori tra cui la percezione di una maggiore incertezza sulle prospettive future che potrebbe aver alimentato forme di<br />
accumulo a scopo precauzionale.<br />
Relativamente agli stock, la ricchezza finanziaria in Italia rimane concentrata nelle regioni <strong>del</strong> Nord, che detengono una quota<br />
stabilmente superiore al sessanta per cento <strong>del</strong> totale. Questo aspetto consente di comprendere in maniera più profonda<br />
anche i comportamenti di consumo; difatti, il maggiore stock di ricchezza accumulato nelle regioni settentrionali rappresenta<br />
una forma di integrazione di altre forme di reddito e contribuisce a mantenere più stabile il livello di spesa anche in momenti<br />
meno favorevoli <strong>del</strong> ciclo economico.<br />
La composizione <strong>del</strong>la ricchezza finanziaria consente di analizzare un aspetto interessante legato alle modalità in cui<br />
le diverse aree <strong>del</strong> nostro paese decidono di impiegare il risparmio. Infatti i dati aperti su base territoriale mostrano in<br />
maniera evidente che le oscillazioni <strong>del</strong>la ricchezza risultano molto più marcate nelle regioni <strong>del</strong> Nord rispetto a quanto<br />
invece avvenga in quelle <strong>del</strong> Sud. Ed è proprio l’effetto performance quello che amplifica tali variazioni, offrendo quindi un<br />
ulteriore spunto di analisi sulla composizione dei portafogli di ricchezza. L’aspetto più interessante che emerge dall’analisi<br />
è la forte propensione che il Sud manifesta per investimenti legati alla liquidità. Ne risulta un’esposizione di portafoglio<br />
complessiva orientata verso strumenti finanziari semplici con un profilo di rischio contenuto ma conseguentemente anche<br />
poco remunerativi. Se infatti una strategia di questo tipo, ha consentito di proteggere meglio la ricchezza soprattutto nelle<br />
turbolenze dei mercati finanziari non è detto che essa rappresenti sempre la scelta ottimale. Infatti il maggiore peso degli<br />
strumenti professionali di gestione <strong>del</strong> risparmio, presenti principalmente nei portafogli dei risparmiatori <strong>del</strong> Nord Ovest,<br />
dovrebbe garantire un rendimento <strong>del</strong> capitale più adeguato su un orizzonte di tempo di medio lungo periodo. Infine la<br />
possibilità di utilizzare maggiore informazione finanziaria e di saperla correttamente interpretare può contribuire ad ampliare<br />
il livello di partecipazione al mercato <strong>del</strong>le attività rischiose; da qui sembra emergere la necessità di approfondire la cultura<br />
finanziaria soprattutto in aree dove gli investimenti in attività liquide sembrano pesare in maniera eccessiva.<br />
Il documento è composto da tre sezioni.<br />
La prima parte si occupa <strong>del</strong>l’analisi dei flussi di risparmio <strong>del</strong>le famiglie, guardando al tema <strong>del</strong>la generazione nonché a<br />
quello <strong>del</strong>l’allocazione.<br />
La seconda parte è relativa all’analisi degli stock di ricchezza accumulati dalle famiglie e alla sua composizione, con uno<br />
sguardo anche sulle differenze per età.<br />
La terza parte è relativa all’analisi a livello regionale.<br />
10
PARTE PRIMA<br />
IL RISPARMIO DELLE<br />
FAMIGLIE ITALIANE E LA<br />
SUA ALLOCAZIONE<br />
11
1.1 IL RISPARMIO: MERCE RARA<br />
L’Italia è un paese che risparmia sempre meno. Dal 1995 ad oggi il risparmio nazionale ha subito un continuo ed inesorabile<br />
declino. Il trend è evidente e già noto ai più. Numerose sono infatti le volte nelle quali questi messaggi (o simili) sono<br />
comparsi sulle pagine dei giornali o hanno fatto parte di qualche servizio televisivo dai toni più o meno pessimistici. Nel giro<br />
di quasi vent’anni il tasso di risparmio lordo <strong>del</strong>le famiglie italiane è passato dal 21,9% nel 1995 ad un minimo <strong>del</strong> 12% nel<br />
2011 e le previsioni per il 2012 non sembrano indicare un’inversione di tendenza.<br />
A cosa è dovuto questo calo <strong>del</strong> risparmio e come bisogna interpretarlo?<br />
Possibile che gli italiani si siano dimenticati di essere diligenti formichine? E’ forse possibile che l’Italia abbia vissuto al di<br />
sopra dei propri mezzi per troppo tempo ed ora la realtà sia venuta a presentare il conto?<br />
Per poter fornire una risposta adeguata a questi interrogativi senza lasciarsi andare in giudizi tanto facili quanto scontati<br />
cerchiamo di analizzare i dati in maniera oggettiva e in dettaglio.<br />
Iniziamo col considerare il tasso di risparmio nazionale lordo, ovvero il rapporto tra il risparmio complessivo nazionale al<br />
lordo degli ammortamenti da una parte e il reddito nazionale disponibile, dall’altra. E’ una misura di quanto <strong>del</strong> reddito<br />
disponibile una nazione in aggregato ha accantonato nel corso <strong>del</strong>l’anno e destinato, di conseguenza, agli investimenti. Il<br />
risparmio nazionale italiano è calato notevolmente con il passare degli anni e il trend si è rivelato abbastanza costante nel<br />
tempo senza peraltro registrare significative inversioni di tendenza (Figura 1).<br />
Figura 1:<br />
<strong>Risparmio</strong> nazionale<br />
lordo in Italia in % al<br />
reddito nazionale lordo<br />
disponibile<br />
Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />
Investments su dati Istat<br />
25%<br />
23%<br />
21%<br />
19%<br />
17%<br />
15%<br />
12<br />
1995<br />
1996<br />
1997<br />
1998<br />
1999<br />
2000<br />
2001<br />
2002<br />
2003<br />
2004<br />
2005<br />
2006<br />
2007<br />
2008<br />
2009<br />
2010<br />
2011
Entriamo ora maggiormente nel dettaglio e proviamo a verificare quale particolare settore ha visto ridursi in maniera più<br />
consistente il proprio risparmio.<br />
La Figura 2 scompone il risparmio nazionale lordo in percentuale al PIL tra i diversi settori istituzionali, il periodo considerato<br />
è dal 1995 al 2011. Le categorie analizzate sono: amministrazioni pubbliche, famiglie produttrici 2 , famiglie consumatrici,<br />
imprese finanziarie 3 , imprese non finanziarie.<br />
Figura 2:<br />
<strong>Risparmio</strong> nazionale<br />
lordo in Italia in % al<br />
PIL: scomposizione per<br />
settori<br />
15%<br />
13%<br />
11%<br />
9%<br />
7%<br />
5%<br />
3%<br />
1%<br />
-1%<br />
-3%<br />
-5%<br />
1995 1997 1999 2001 2003 2005 2007 2009 2011<br />
Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />
Investments su dati Istat<br />
Società non finanziarie<br />
Amministrazioni pubbliche<br />
Famiglie consumatrici<br />
Società finanziarie<br />
Famiglie produttrici<br />
Questa semplice scomposizione ci permette di fare alcune interessanti considerazioni:<br />
1) Il settore pubblico, dopo periodi più o meno lunghi di risparmi positivi (prima dal 1998 al 2002 e poi dal 2006 al 2008),<br />
negli ultimi quattro anni è tornato a registrare risparmi costantemente negativi e, in generale, nei due decenni considerati il<br />
suo contributo al risparmio nazionale è stato pari al massimo al 1-2% <strong>del</strong> PIL, quando non si è rivelato negativo;<br />
2) Il risparmio <strong>del</strong> settore <strong>del</strong>le imprese (finanziarie e non) si è sempre aggirato intorno al 9-10% <strong>del</strong> PIL, con le imprese non<br />
finanziarie che hanno realizzato i risparmi maggiori (47% <strong>del</strong> risparmio nazionale nel 2011);<br />
3) Le famiglie produttrici hanno contribuito anch’esse con risparmi positivi e negli ultimi 6 anni in leggera crescita rispetto al<br />
PIL, fino ad arrivare nel 2011 a rappresentare il 15% <strong>del</strong> risparmio nazionale;<br />
4) Le famiglie consumatrici sono il settore che nel tempo ha diminuito in maniera più significativa il proprio risparmio:<br />
con valori (in percentuale al PIL) nel 2011 più che dimezzati rispetto a quelli registrati a metà degli anni ’90. Se nel 1995<br />
contribuivano per poco più <strong>del</strong> 60% <strong>del</strong> risparmio nazionale, negli anni successivi questa quota è scesa progressivamente<br />
sino al 36% <strong>del</strong> 2011.<br />
Le valutazioni non cambiano anche rapportando il risparmio lordo al reddito disponibile.<br />
Infatti, il saggio di risparmio <strong>del</strong>le famiglie consumatrici è passato dal 19,3% <strong>del</strong> 1995 all’8,8% <strong>del</strong> 2011. Va tuttavia precisato<br />
che se consideriamo le famiglie italiane nella loro interezza (cioè sia produttrici che consumatrici) questo dato migliora<br />
leggermente portandosi per il 2011 al, già citato, 12%.<br />
2<br />
Secondo l’Istat le Famiglie Produttrici comprendono le società semplici e le imprese individuali che operano nel settore non finanziario ed occupano fino a 5 dipendenti e le unità,<br />
prive di dipendenti, produttrici di servizi ausiliari <strong>del</strong>l’intermediazione finanziaria.<br />
3<br />
Sempre secondo l’Istat le Imprese Finanziarie comprendono la Banca Centrale, le banche che effettuano raccolta a breve e a lungo e le unità impegnate nelle attività regolamentate<br />
dal Testo Unico <strong>del</strong>le leggi in materia bancaria e creditizia (1/1/1994). Le Imprese Non Finanziarie comprendono, invece, le società di capitali, le società cooperative, le società<br />
di persone, le società semplici e le imprese individuali con oltre 5 dipendenti. Sono infine comprese anche le istituzioni non profit che producono beni e servizi destinabili alla<br />
vendita che possono essere oggetto di scambio sul mercato oppure esclusivamente destinati ad altre società non finanziarie.<br />
13
Sembrano quindi essere le famiglie consumatrici il vero problema <strong>del</strong> risparmio in Italia.<br />
Nel corso degli ultimi 17 anni esse sono state infatti le uniche ad aver ridotto in maniera consistente la quota di reddito<br />
destinata al risparmio, determinando quindi una sostanziale riduzione <strong>del</strong> loro risparmio e di conseguenza <strong>del</strong> risparmio<br />
nazionale.<br />
Proviamo ora a vedere se questo trend viene confermato da altre importanti economie avanzate oppure se è peculiare<br />
<strong>del</strong>l’Italia.<br />
La Figura 3 considera il tasso di risparmio lordo <strong>del</strong>le famiglie (consumatrici e produttrici) 4 per i più importanti paesi Europei<br />
e gli Stati Uniti.<br />
Figura 3:<br />
<strong>Risparmio</strong> lordo <strong>del</strong>le<br />
famiglie in % al reddito<br />
lordo disponibile<br />
Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />
Investments su dati Eurostat, Istituti di<br />
statistica nazionali<br />
in % al reddito lordo disponibile<br />
25%<br />
20%<br />
15%<br />
10%<br />
5%<br />
0%<br />
1995<br />
1996<br />
1997<br />
1998<br />
1999<br />
2000<br />
2001<br />
2002<br />
2003<br />
2004<br />
2005<br />
2006<br />
2007<br />
2008<br />
2009<br />
2010<br />
2011<br />
2012E<br />
Austria Francia Germania Italia<br />
Spagna Regno Unito Stati Uniti<br />
Dal confronto internazionale sembra filtrare qualche spiraglio di luce: il saggio di risparmio lordo <strong>del</strong>le famiglie italiane,<br />
pur essendosi ridotto nel tempo, risulta infatti ancora in media con le principali economie sviluppate. Tra l’altro, sebbene<br />
le nostre stime ci portino a pensare ad un’ulteriore riduzione nel 2012 (dal 12% di fine 2011 all’11,3%), l’Italia rimane<br />
relativamente nella media.<br />
Uno sguardo al quadro generale (Figura 3) permette di notare che negli ultimi 5 anni sembrano essersi formati tre gruppi di<br />
nazioni ben distinti:<br />
a) paesi dal risparmio stabile, dove troviamo Francia e Germania, caratterizzati da un tasso di risparmio <strong>del</strong>le famiglie che<br />
non ha subito significative variazioni nel tempo e che si mantiene ben al di sopra <strong>del</strong> 15%;<br />
b) paesi con il risparmio in visibile calo, dove troviamo Italia e Austria, accomunati dal 2007 in poi da una propensione al<br />
risparmio in progressiva discesa e ora attorno al 12-13% <strong>del</strong> reddito disponibile;<br />
c) paesi storicamente poco risparmiatori che però sono tornati a risparmiare di recente, in questo gruppo si collocano le<br />
economie anglosassoni. A partire dal 2008 le famiglie, di colpo meno ricche e con aspettative di reddito meno rosee, hanno<br />
invertito la tendenza riportandosi a livelli di risparmio comparabili a quelli <strong>del</strong>la seconda metà degli anni ’90. Questa tendenza<br />
è stata probabilmente rafforzata dal vistoso restringimento <strong>del</strong>l’offerta di credito che ha reso più difficoltoso accendere nuovi<br />
prestiti.<br />
4<br />
Non essendo disponibili per tutti i paesi dati disaggregati relativi alle sole famiglie consumatrici, il confronto viene effettuato sul totale famiglie (consumatrici e produttrici),<br />
includendo anche gli enti senza scopo di lucro. Per il resto <strong>del</strong>la pubblicazione, ove non specificato, il dato relativo alle famiglie si intende comprensivo di questi tre aggregati.<br />
14
Figura 4:<br />
<strong>Risparmio</strong> netto <strong>del</strong>le<br />
famiglie in % al reddito<br />
netto disponibile<br />
Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />
Investments su dati Eurostat, Istituti di<br />
statistica nazionali<br />
in % al reddito netto disponibile<br />
20%<br />
15%<br />
10%<br />
5%<br />
0%<br />
1995<br />
1996<br />
1997<br />
1998<br />
-5%<br />
1999<br />
2000<br />
2001<br />
2002<br />
2003<br />
2004<br />
2005<br />
2006<br />
2007<br />
2008<br />
2009<br />
2010<br />
Austria Francia Germania Italia<br />
Spagna Regno Unito USA<br />
2011<br />
2012E<br />
Le dinamiche sopra evidenziate vengono sostanzialmente confermate anche se si considerano i saggi di risparmio netti,<br />
ottenuti sottraendo al risparmio lordo e al reddito disponibile gli ammortamenti relativi al capitale fisico 5 (Figura 4).<br />
Va precisato che osservando l’andamento dei tassi netti emerge con ancor maggiore chiarezza la singolarità <strong>del</strong> caso italiano:<br />
l’Italia è infatti l’unica tra le nazioni considerate caratterizzata da un calo così marcato e duraturo <strong>del</strong> risparmio. Il saggio netto<br />
<strong>del</strong> risparmio è sceso dal 16,8% nel 1995 al 4,3% nel 2011 e per il 2012 prevediamo un misero 3,2%, molto vicino alle due<br />
economie anglosassoni che, pur mostrando negli ultimi anni una sostanziale inversione di tendenza, restano le più cicale tra<br />
i maggiori paesi sviluppati.<br />
In sostanza, il calo <strong>del</strong> risparmio in Italia c’è stato ed è stato maggiore rispetto ad altri paesi sviluppati. Questo trend è stato<br />
causato quasi esclusivamente da una diminuzione dei risparmi <strong>del</strong>le famiglie consumatrici, che sono passate dai €192<br />
miliardi di risparmi lordi <strong>del</strong> 1995 (rivalutati ai prezzi <strong>del</strong> 2011) a solo poco più di €93 miliardi <strong>del</strong> 2011, sorpassate in ordine<br />
di grandezza negli ultimi due anni <strong>del</strong>le imprese non finanziarie quali principali contributori al risparmio nazionale.<br />
Ma cosa implica per una nazione un saggio di risparmio sempre più basso?<br />
Alcune teorie economiche possono venirci in aiuto.<br />
5<br />
L’ammortamento rappresenta la perdita di valore subita dai capitali fissi nel corso <strong>del</strong>l’anno a causa <strong>del</strong>l’usura fisica, <strong>del</strong>l’obsolescenza e dei danni accidentali.<br />
15
1.2 QUALCHE INDICAZIONE DALLA TEORIA<br />
Innanzitutto, quello che ci dicono le teorie è che un basso tasso di risparmio <strong>del</strong>le famiglie a livello aggregato non<br />
necessariamente deve essere interpretato di per sé in chiave negativa.<br />
Esso va, infatti, valutato in funzione <strong>del</strong>la struttura demografica e <strong>del</strong>le caratteristiche <strong>del</strong>la popolazione residente nel paese.<br />
Ciò che può sembrare un male per una nazione in un determinato periodo può benissimo non esserlo per un’altra nazione o,<br />
addirittura, per la stessa nazione ma in contesti differenti.<br />
Una <strong>del</strong>le dottrine economiche che è assurta come punto di riferimento quando si considerano le scelte di risparmio <strong>del</strong>le<br />
famiglie è la “teoria <strong>del</strong> ciclo vitale” formulata da Franco Modigliani, insieme a Richard Brumgerg e Albert Ando, intorno a<br />
primi anni ‘50 <strong>del</strong> novecento.<br />
L’ipotesi di base di questa teoria è il cosiddetto “consumption smoothing”, ovvero l’idea che gli individui puntino ad avere un<br />
livello di consumi sostanzialmente stabile durante il corso di tutta la loro vita.<br />
Nella sua formulazione più semplice (ipotizzando che gli individui si aspettino un reddito progressivamente crescente nel<br />
tempo) la teoria <strong>del</strong> ciclo vitale prevede un andamento <strong>del</strong> risparmio “a gobba”: negativo o comunque molto basso in<br />
giovane età, positivo e crescente nella fase di maturità e, infine, decrescente e nuovamente negativo durante gli anni <strong>del</strong>la<br />
pensione (Figura 5). Come conseguenza, la ricchezza accumulata dagli individui raggiunge un punto di massimo prima <strong>del</strong><br />
pensionamento per poi decrescere gradualmente col passare degli anni.<br />
Il risparmio di ogni famiglia dipende quindi dalla fase di vita attraversata da ciascun componente e, in particolar modo,<br />
dall’età e dall’occupazione dei singoli. Per cui una famiglia non sarà caratterizzata da un tasso di risparmio sempre costante<br />
nel tempo, in quanto questo tenderà a variare in funzione <strong>del</strong>le esigenze <strong>del</strong>la famiglia stessa e <strong>del</strong> ciclo di vita dei suoi<br />
componenti.<br />
Figura 5:<br />
Andamento <strong>del</strong> risparmio<br />
individuale secondo<br />
la teoria <strong>del</strong> ciclo di vita<br />
<strong>Risparmio</strong><br />
Età<br />
Giovane<br />
Adulto<br />
Anziano<br />
16
L’implicazione a livello aggregato è che il tasso di risparmio di una nazione è implicitamente legato alla struttura demografica<br />
e alla speranza di vita degli individui che la compongono. Economie con strutture demografiche diverse possono (e,<br />
anzi, dovrebbero) mostrare un tasso di risparmio aggregato diverso, anche nel caso in cui fossero popolate da individui<br />
perfettamente identici (però con età medie diverse).<br />
Sebbene la versione originale <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo di Modigliani sia stata successivamente modificata ed arricchita 6 restano valide le<br />
sue principali implicazioni così come resta valido il suo approccio di base, secondo il quale per capire le scelte di risparmio di<br />
una nazione non basta guardare al reddito e alla ricchezza considerandoli come elementi a sé stanti ma è necessario tener<br />
conto <strong>del</strong>la complessità <strong>del</strong>le dinamiche individuali nel tempo.<br />
Veniamo ora ad un tema forse più rilevante per la nostra analisi: è davvero così importante il risparmio nazionale per la<br />
crescita di un’economia?<br />
Sebbene da più parti venga avocata la rilevanza e la necessità <strong>del</strong> risparmio, da un lato prettamente teorico elevati livelli<br />
di risparmio non necessariamente generano crescita e prosperità. Anzi, in alcuni casi e sotto determinate condizioni, una<br />
riduzione <strong>del</strong> saggio di risparmio nazionale potrebbe portare l’economia di un paese verso un sentiero di crescita più elevato<br />
nel lungo periodo. Tra l’altro, l’impatto positivo <strong>del</strong> risparmio è funzione anche <strong>del</strong>la presenza (o meno) di un insieme di<br />
politiche atte a favorirne la canalizzazione verso gli investimenti più produttivi 7 .<br />
Se poi passiamo alle evidenze empiriche, ad oggi, non è stato univocamente dimostrato un effettivo impatto <strong>del</strong> risparmio<br />
nazionale sulla crescita economica di un paese. E’ vero che paesi ad elevata crescita tendono a mostrare ex-post elevati saggi<br />
di risparmio nazionale, tuttavia sembra essere la crescita a determinare un maggior risparmio e non viceversa.<br />
Inoltre, nel caso di economie aperte con libertà di movimento nel mercato dei capitali, la crescita può anche essere finanziata<br />
dal risparmio estero, il quale, contribuendo a finanziare gli investimenti nazionali, rende meno importante il ruolo <strong>del</strong><br />
risparmio <strong>del</strong>le famiglie.<br />
Su questo punto vanno chiariti però un paio di aspetti. Il primo riguarda le condizioni necessarie per attrarre investimenti<br />
esteri, mentre il secondo riguarda le condizioni per le quali risulta effettivamente conveniente indebitarsi con l’estero.<br />
La disponibilità di capitale da parte di investitori esteri dipende da numerosi fattori. Per prima cosa bisogna valutare la<br />
convenienza/redditività attesa degli specifici impieghi nazionali rispetto al resto <strong>del</strong> mondo e, in secondo luogo, vanno<br />
considerate le condizioni generali in cui versa il paese. Il livello di corruzione, il peso <strong>del</strong>la burocrazia, l’efficienza ed efficacia <strong>del</strong><br />
sistema giudiziario, oltre alle variabili più propriamente economiche (facilità di accesso ai mercati, presenza di infrastrutture,<br />
stabilità macroeconomica, ecc…) risultano fondamentali nell’attrarre investimenti esteri. In mancanza di queste condizioni è<br />
difficile convogliare verso il paese una quantità adeguata di risorse estere.<br />
Inoltre, gli investimenti esteri possono rivelarsi un’arma a doppio taglio. Nel lungo periodo, infatti, l’efficienza con la quale il<br />
risparmio estero viene convertito in investimenti interni diventa cruciale per la sostenibilità <strong>del</strong> deficit <strong>del</strong>le partite correnti<br />
<strong>del</strong>la bilancia dei pagamenti.<br />
La convenienza di un aumento <strong>del</strong> debito con l’estero è legata quindi alla possibilità di accrescere l’export futuro o di generare<br />
elevati futuri rendimenti reali <strong>del</strong> capitale domestico.<br />
6<br />
Ulteriori elementi spesso aggiunti nei mo<strong>del</strong>li di ciclo vitale sono: il desiderio di lasciare un’eredità, la struttura demografica <strong>del</strong>la famiglia e le sue dinamiche, l’incertezza<br />
sull’andamento dei redditi futuri e l’offerta di lavoro, l’acquisto di beni durevoli e in particolar modo <strong>del</strong>la casa, gli obiettivi precauzionali e, non da ultimo, la presenza di un sistema<br />
di previdenza pubblica e il suo livello di generosità. Tutti questi fattori possono influire in maniera più o meno importante sull’andamento <strong>del</strong> tasso di risparmio aggregato <strong>del</strong>le<br />
famiglie.<br />
7<br />
L’allocazione efficiente <strong>del</strong>le risorse non è un processo totalmente spontaneo (come potrebbero sostenere alcuni), ma dipende anche da quanto è recettivo un sistema economico.<br />
Fattori quali l’investimento in educazione, la presenza di un mercato finanziario sviluppato e, non da ultimo, la presenza di politiche fiscali prudenti da parte dei governi non sono<br />
<strong>del</strong> tutto irrilevanti.<br />
17
Figura 6:<br />
<strong>Risparmio</strong> nazionale, investimenti<br />
e saldo netto<br />
con l’estero in % al PIL<br />
in Italia<br />
4%<br />
3%<br />
2%<br />
1%<br />
0%<br />
-1%<br />
-2%<br />
-3%<br />
24%<br />
22%<br />
20%<br />
18%<br />
16%<br />
14%<br />
Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />
Investments su dati Istat<br />
-4%<br />
1995 1997 1999 2001 2003 2005 2007 2009 2011<br />
Saldo netto con l'estero (Sx)<br />
Investimenti fissi (Dx)<br />
<strong>Risparmio</strong> nazionale lordo (Dx)<br />
12%<br />
Tornando al caso italiano, a partire dalla fine degli anni ’90, contemporaneamente al calo <strong>del</strong> risparmio nazionale, si è<br />
assistito infatti ad una sostanziale divaricazione tra risparmio e investimenti, con il conseguente peggioramento <strong>del</strong> saldo<br />
netto con l’estero, passato in territorio negativo dal 2002 e da quel momento in poi caratterizzato da deficit progressivamente<br />
crescenti, (pari nel 2011 al 3% <strong>del</strong> PIL) come rilevato in Figura 6.<br />
Questa situazione, tra l’altro, trova un riscontro diretto nel graduale incremento <strong>del</strong> disavanzo <strong>del</strong>le partite correnti <strong>del</strong>la<br />
bilancia commerciale (Figura 7), e nel sostanziale deterioramento <strong>del</strong>la posizione patrimoniale netta sull’estero che, secondo<br />
i dati recentemente rilasciati da Banca d’Italia, risultava in passivo alla fine <strong>del</strong> primo trimestre 2012 per 378,3 miliardi di<br />
euro, ovvero il 23,9% <strong>del</strong> PIL.<br />
Figura 7:<br />
Bilancia dei Pagamenti,<br />
Conto <strong>del</strong>le Partite<br />
Correnti in Italia<br />
(miliardi di euro)<br />
Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />
Investments su dati Banca d’Italia<br />
Miliardi €<br />
40<br />
30<br />
20<br />
10<br />
0<br />
-10<br />
-20<br />
-30<br />
-40<br />
-50<br />
-60<br />
1997<br />
1998<br />
1999<br />
2000<br />
2001<br />
2002<br />
2003<br />
2004<br />
2005<br />
2006<br />
2007<br />
2008<br />
2009<br />
2010<br />
2011<br />
L ug '12<br />
18
Gli ultimi dati <strong>del</strong> 2012 sembrano comunque rivelare qualche segnale di miglioramento, anche se è presto per sperare in<br />
una vera e propria inversione di tendenza. Secondo l’Istat a luglio 2012 le esportazioni sono infatti cresciute su base annua<br />
in maniera significativa (+ 4,3%) coinvolgendo tutti i principali comparti (tutti con saldi positivi, tranne il settore energia). Il<br />
saldo dei beni appare in attivo per il secondo mese consecutivo dopo oltre un biennio di deficit, con riflessi positivi sul conto<br />
<strong>del</strong>le partite correnti <strong>del</strong>la bilancia dei pagamenti che, come rilevato dalla Banca d’Italia, a luglio 2012 era ancora in rosso,<br />
ma in deciso miglioramento rispetto agli anni precedenti 8 .<br />
In conclusione, se dunque il saggio di risparmio attuale <strong>del</strong>le famiglie italiane (ricordiamo pari a fine 2011 al 12% e 4,3%<br />
rispettivamente al lordo e al netto degli ammortamenti) non dovrebbe rappresentare in sé un problema, più preoccupante è<br />
invece il suo persistente trend discendente e soprattutto il contesto in cui questo calo è avvenuto, in condizioni economiche<br />
interne sempre più deteriorate e con un crescente deficit nel saldo con l’estero.<br />
Un ritorno alla crescita (inutile dirlo) sembra essere fondamentale e potrebbe partire proprio da una ripresa <strong>del</strong>l’export.<br />
Come riuscire in questo obiettivo? Spesso le imprese italiane non riescono a raggiungere mercati di sbocco esteri non per<br />
mancanza di prodotti e servizi di qualità (che avrebbero presa sicuramente anche su mercati esteri), ma sostanzialmente<br />
per le difficoltà che i processi di internazionalizzazione comportano. Ostacoli normativi, culturali, di natura logistica o anche<br />
la stessa mancanza di riferimenti e supporti operativi in loco, portano le imprese italiane, soprattutto se di piccole e medie<br />
dimensioni, a mantenere un profilo basso, limitandosi a navigare in acque note. In questo contesto si inquadra l’impegno di<br />
<strong>UniCredit</strong> a supportare le piccole e medie imprese nel loro percorso di apertura verso i mercati internazionali.<br />
8<br />
Il Conto <strong>del</strong>le Partite Correnti comprende tutte le transazioni tra residenti e non residenti che riguardano sia le merci e servizi che i redditi (sia da lavoro che da capitale) e<br />
trasferimenti in conto corrente.<br />
19
1.3 DA FORMICHE A CICALE?<br />
Tornando al risparmio <strong>del</strong>le nostre famiglie, proviamo ora a capire le possibili cause per una sua così drastica riduzione nel<br />
tempo.<br />
Iniziamo con un breve excursus dagli anni <strong>del</strong> Miracolo Italiano ai giorni nostri.<br />
Dalla fine degli anni ’50 sino agli anni ’80 <strong>del</strong> novecento l’Italia è stata caratterizzata da tassi di risparmio decisamente<br />
superiori alla media, il che portava a chiedersi se effettivamente non si risparmiasse troppo! Secondo molti economisti il<br />
fattore determinante <strong>del</strong>l’elevato tasso di risparmio di quel periodo è stata la produttività, cresciuta a ritmi decisamente<br />
sostenuti durante quegli anni 9 .<br />
Questo ”effetto crescita” è stato poi con ogni probabilità ampliato da due altri fattori.<br />
Il primo è quello relativo alle cosiddette consumption habits degli italiani; ossia, la “lentezza” che gli individui dimostrano<br />
nell’adeguare i consumi ad un cambiamento permanente <strong>del</strong>le loro aspettative di reddito. In quel periodo, infatti, alla<br />
crescita sostanziale dei redditi non è seguito un’altrettanto sostanziale modifica <strong>del</strong>le decisioni di spesa degli italiani, che<br />
hanno mantenuto uno stile di vita abbastanza morigerato, memori forse degli anni di guerra appena superati. A questo<br />
si deve aggiungere il secondo fattore: la presenza di un mercato dei capitali non particolarmente sviluppato che rendeva<br />
molto difficoltoso prendere a prestito (anche volendo); per cui le famiglie per acquistare la casa o beni durevoli erano<br />
necessariamente costrette a risparmiare.<br />
Dagli anni ’90 in poi si è invece assistito ad un’inversione di tendenza, con tassi di risparmio che cominciano a scendere.<br />
Anche in questo caso la crescita economica, e in particolare un suo rallentamento, sembra aver fortemente influito su questo<br />
risultato.<br />
Tuttavia, anche l’allentamento dei vincoli di liquidità sembra abbia giocato un ruolo fondamentale. A partire dalla fine degli anni<br />
’80, infatti, in Italia è stata attuata una progressiva deregolamentazione <strong>del</strong> mercato creditizio e <strong>del</strong>le assicurazioni, con una<br />
maggiore apertura alla concorrenza. Questi fattori uniti al calo graduale dei tassi di interesse, a seguito <strong>del</strong>l’implementazione<br />
<strong>del</strong> progetto di moneta unica, hanno permesso ad un numero sempre maggiore di famiglie un più agevole accesso al credito,<br />
contribuendo in tal modo al calo <strong>del</strong> risparmio aggregato 10 .<br />
9<br />
Si veda per un approfondimento sul tema Jappelli e Pagano (1998) “The determinants of saving: lessons from Italy”.<br />
10<br />
Gli studiosi hanno rilevato anche come la maggiore generosità <strong>del</strong>lo Stato in materia pensionistica di quegli anni potrebbe aver influito sul calo <strong>del</strong> risparmio, tuttavia l’effetto<br />
complessivo non sembra essere di grande entità. Tanto meno sembrano essere stati determinanti le modifiche alla struttura demografica e il sostanziale invecchiamento <strong>del</strong><br />
paese. Sappiamo dal mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> ciclo vitale che ad una popolazione in media più anziana dovrebbero corrispondere tassi di risparmio aggregato inferiori. Tuttavia, nel caso<br />
<strong>del</strong>l’Italia, non sembra ci siano forti evidenze di decumulo da parte degli anziani, se non in tarda età. Si veda in particolare Rossi e Visco (1995), “National saving and social security<br />
in Italy” e Baldini, Mazzaferro e Onofri (2012) “The reform of the Italian pension system, and its effect on saving behaviour”.<br />
20
Figura 8:<br />
Reddito disponibile, risparmio<br />
e consumi <strong>del</strong>le<br />
famiglie consumatrici<br />
in Italia (prezzi costanti<br />
2011, miliardi di euro)<br />
Miliardi €<br />
1.150<br />
1.100<br />
1.050<br />
1.000<br />
950<br />
900<br />
850<br />
800<br />
750<br />
1995<br />
1996<br />
1997<br />
1998<br />
1999<br />
2000<br />
2001<br />
2002<br />
2003<br />
2004<br />
2005<br />
2006<br />
2007<br />
2008<br />
2009<br />
2010<br />
2011<br />
2012E<br />
200<br />
180<br />
160<br />
140<br />
120<br />
100<br />
80<br />
Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />
Investments su dati Istat e Prometeia<br />
Consumo (Sx)<br />
<strong>Risparmio</strong> lordo (Dx)<br />
Reddito lordo disponibile (Sx)<br />
Veniamo ora ai cambiamenti che interessano maggiormente, ossia quelli che hanno caratterizzato più o meno gli ultimi 15<br />
anni. La Figura 8 mostra i redditi, i consumi ed i risparmi <strong>del</strong>le famiglie consumatrici (a prezzi costanti) tra il 1995 e il 2012<br />
in Italia.<br />
Dal 1995 al 2000 il drastico calo <strong>del</strong> risparmio è stato trainato dai consumi: i redditi reali seppur in crescita (+0,5% medio<br />
annuo 11 ), non hanno tenuto il passo con l’aumento sostenuto dei consumi (+2,5% medio annuo al netto <strong>del</strong>l’inflazione). Dal<br />
2001 sino al 2007 si assiste ad un periodo di stabilizzazione <strong>del</strong> risparmio, con consumi che crescono moderatamente in<br />
termini reali di pari passo con il reddito (+0,8% e 1,1% medio annuo rispettivamente). Dal 2008 in poi, si rileva invece un calo<br />
evidente dei redditi (-1,05% medio annuo) con consumi che, dopo una temporanea riduzione nel 2009, tornano stabilmente<br />
intorno i livelli medi registrati nel 2006-07, immediatamente prima <strong>del</strong>la crisi globale legata ai sub-prime (-0,03% medio<br />
annuo).<br />
Cosa è accaduto dal 2007 in poi, dunque?<br />
Possiamo innanzitutto considerare con maggior attenzione il dettaglio <strong>del</strong>le voci che compongono il reddito disponibile, e<br />
in particolare ai redditi da lavoro dipendente, quelli da lavoro autonomo, i redditi da capitale (che includono interessi, utili<br />
distribuiti dalle società ecc.), le prestazioni pensionistiche e altri trasferimenti, il tutto al netto <strong>del</strong>le imposte e dei contributi.<br />
Analizzando questi aggregati si evince come tra il 2007 e il 2011:<br />
- sia cresciuto il reddito da lavoro autonomo, anche se in misura minore rispetto al passato, (+2,2% medio annuo);<br />
- sia salito il reddito relativo alle prestazioni pensionistiche e altri trasferimenti sociali (+1,9% medio annuo);<br />
- si siano ridotti i redditi da lavoro dipendente, di un ammontare pari al -0,2% medio annuo, tuttavia l’effetto è sicuramente<br />
importante trattandosi di una quota particolarmente rilevante <strong>del</strong> reddito disponibile caratterizzata negli anni precedenti da<br />
tassi di crescita comunque buoni (+0,8% e +1,7% medio annuo rispettivamente nei periodi 1995-2000 e 2001-07);<br />
- sia soprattutto avvenuta una marcata contrazione dei redditi da capitale, ridottisi <strong>del</strong> 4,7% medio annuo;<br />
- e, non da ultimo, sia calata in parte l’imposizione fiscale (-0,2%), tuttavia in maniera inferiore rispetto a redditi e prestazioni,<br />
determinando un ulteriore effetto depressivo sul reddito disponibile, calato complessivamente <strong>del</strong>l’1,1% medio annuo.<br />
11<br />
Tasso di crescita medio annuo composto (CAGR).<br />
21
Negli ultimi 5 anni la riduzione sensibile <strong>del</strong> reddito disponibile sembra quindi derivare principalmente da una compressione<br />
dei redditi da capitale e da lavoro dipendente, con un livello di imposizione fiscale che non ha di certo aiutato. Questi fattori,<br />
uniti a famiglie restie a modificare il proprio stile di vita o comunque caratterizzate da una quota elevata di spese di consumo<br />
“incomprimibili”, spiegano il calo <strong>del</strong> risparmio.<br />
Eppure non sembra che gli italiani abbiano deciso che non valga più la pena risparmiare, anzi, dalle informazioni che si<br />
possono trarre dall’indagine sulla fiducia dei consumatori <strong>del</strong>l’Istat, negli ultimi anni è persino cresciuta la quota di persone<br />
che ritiene sia opportuno accantonare risorse per il futuro. Dal 2007 in poi tale affermazione è condivisa dal 90% circa degli<br />
intervistati, contro una media <strong>del</strong> 70-75% nel decennio precedente. Quindi, se un mutamento vi è stato, esso è andato nella<br />
direzione opposta, cioè verso una maggiore esigenza percepita di risparmiare.<br />
Figura 9:<br />
Percentuale di individui<br />
che, in considerazione<br />
<strong>del</strong>la situazione economica<br />
generale <strong>del</strong>l’Italia,<br />
ritengono opportuno<br />
risparmiare<br />
Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />
Investments su dati Istat<br />
95%<br />
90%<br />
85%<br />
80%<br />
75%<br />
70%<br />
65%<br />
T 2 1995<br />
T 2 1996<br />
T 2 1997<br />
T 2 1998<br />
T 2 1999<br />
T 2 2000<br />
T 2 2001<br />
T 2 2002<br />
T 2 2003<br />
T 2 2004<br />
T 2 2005<br />
T 2 2006<br />
T 2 2007<br />
T 2 2008<br />
T 2 2009<br />
T 2 2010<br />
T 2 2011<br />
T 2 2012<br />
Sempre dalla stessa indagine emerge, però in maniera netta la difficoltà a generare nuovo risparmio: nel II trimestre <strong>del</strong> 2012<br />
il 25,9% <strong>del</strong>le famiglie ha dichiarato di non riuscire ad arrivare a fine mese con i propri redditi, trovandosi costretto a contrarre<br />
debiti o prelevare dai propri risparmi passati. Al tempo stesso, la quota di persone che ha dichiarato di riuscire a risparmiare<br />
si è dimezzata rispetto al passato, andando da oltre il 30% registrato a fine anni ’90 e primi anni 2000 all’attuale 14,8% nel<br />
II trimestre <strong>del</strong> 2012.<br />
22
Figura 10:<br />
Situazione finanziaria<br />
<strong>del</strong>la famiglia (% di<br />
famiglie che risparmia o<br />
contrae debiti) 12<br />
%<br />
27,8<br />
15,3<br />
33,1<br />
21,5<br />
18,1<br />
15,6 15,2<br />
18,6<br />
16,7<br />
14,8<br />
25,9<br />
10,7<br />
Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />
Investments su dati Istat<br />
T4 1995 T4 2000 T4 2005 T4 2010 T4 2011 T2 2012<br />
Risparmia qualcosa/molto<br />
Usa i risparmi accumulati/contrae debiti<br />
In breve, il messaggio che sembra trasparire è che gli italiani non hanno modificato le loro attitudini verso il risparmio ma<br />
che sono stati soggetti ad un sostanziale impoverimento. Si risparmia di meno non perché si vuole risparmiare di meno ma<br />
perché non si riesce a risparmiare più di quanto si stia già facendo. A fronte di un’erosione dei redditi disponibili, infatti, non<br />
vi è stata alcuna diminuzione dei consumi, con l’ovvia conseguenza di una riduzione <strong>del</strong> risparmio.<br />
Ancora, come in passato, la crescita (o meglio la sua assenza) appare come principale imputata per il calo <strong>del</strong> reddito<br />
disponibile e <strong>del</strong> risparmio dal 2007 in poi in Italia. Da un confronto internazionale si evidenzia, infatti, come, sebbene<br />
mediamente i redditi restino abbastanza stabili nel tempo, le famiglie italiane sono state le uniche a registrare un calo <strong>del</strong><br />
reddito disponibile pro capite nel 2008-2011 rispetto al periodo 2001-07.<br />
Figura 11:<br />
Reddito netto disponibile<br />
medio pro capite<br />
(prezzi costanti 2011,<br />
migliaia di euro)<br />
Migliaia €<br />
28,6<br />
27,6<br />
24,6<br />
20,1<br />
21,0<br />
20,0<br />
20,8<br />
18,8<br />
18,1<br />
18,9 19,4 19,6<br />
18,1<br />
18,1<br />
18,9<br />
17,2 17,1<br />
14,5 15,0 15,1<br />
12,2<br />
Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />
Investments su dati Eurostat, Istituti di<br />
statistica nazionali<br />
Austria Francia Germania Italia Spagna Regno Unito USA<br />
1995-2000 2001-07 2008-11<br />
12<br />
Il complemento a 100 dei rispondenti ha dichiarato di quadrare il bilancio.<br />
23
Se si considera che dal 1995 al 2011 l’economia italiana è cresciuta in termini reali ad un tasso medio annuo <strong>del</strong>lo 0,8%,<br />
contro l’1,4% e 1,6% rispettivamente di Francia e Germania, che comunque sono cresciute mediamente meno rispetto a Stati<br />
Uniti, Regno Unito o anche la Spagna, divengono più chiare anche le ragioni di questo calo dei redditi.<br />
Tra l’altro, il divario di crescita, come evidenziato in Figura 12, si è allargato soprattutto nel corso degli ultimi 5 anni:<br />
sebbene tutti i paesi siano stati caratterizzati da un rallentamento o anche da un calo <strong>del</strong> PIL, l’Italia sembra infatti il paese<br />
maggiormente colpito, registrando tra il 2008 e il 2011 una variazione media annua <strong>del</strong> PIL <strong>del</strong> -0,9%.<br />
Figura 12:<br />
Tasso di variazione medio<br />
annuo <strong>del</strong> PIL<br />
3,2%<br />
2,2%<br />
2,7%<br />
1,8%<br />
1,9%<br />
1,4%<br />
1,9%<br />
1,2%<br />
4,1%<br />
3,4%<br />
3,6%<br />
3,0%<br />
4,3%<br />
2,4%<br />
0,6%<br />
0,5%<br />
0,2%<br />
0,0%<br />
-0,9%<br />
-0,5%<br />
-0,5%<br />
Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />
Investments su dati Istituti di statistica<br />
nazionali<br />
Austria Francia Germania Italia Spagna Regno Unito Stati Uniti<br />
1995-2000 2001-07 2008-11<br />
In un contesto complesso come quello attuale, con consumi stagnanti e esigenze di rientro <strong>del</strong> debito pubblico, un elemento<br />
fondamentale per portare il paese verso un nuovo sentiero di sviluppo deve passare attraverso le imprese e l’export. In questo<br />
modo si creerebbero nuove opportunità di lavoro, aumentando le capacità di reddito e di risparmio, soprattutto per le nuove<br />
generazioni. Tuttavia, anche dal lato famiglie si può e si deve fare di più, agendo in particolare sui comportamenti al fine di<br />
far seguire alla già elevata consapevolezza <strong>del</strong>la necessità di risparmio <strong>del</strong>le azioni concrete. La priorità è portare, soprattutto<br />
le giovani generazioni, a risparmiare di nuovo, rendendo il piccolo risparmio più semplice e automatico.<br />
24
1.4 L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI RISPARMIO<br />
Sebbene la semplice valutazione <strong>del</strong> risparmio a livello aggregato non possa di per sé permettere di trarre conclusioni<br />
definitive sui comportamenti individuali, la preoccupazione è che molti italiani stiano risparmiando meno di quanto<br />
dovrebbero (o meglio, di quanto sarebbe ottimale facessero) viste le loro esigenze di consumo e aspettative di reddito future.<br />
Diversi sono infatti i problemi che potrebbero nascere da un inadeguato livello di risparmi.<br />
Innanzitutto, un basso tasso di risparmio a livello nazionale potrebbe essere il campanello d’allarme per un crescente numero<br />
di famiglie altamente indebitate e con la crisi economica che continua a mordere alti tassi di indebitamento potrebbero<br />
diventare un problema anche a livello di sistema.<br />
Per il momento, comunque, il livello di indebitamento <strong>del</strong>le famiglie Italiane, sebbene cresciuto ad un tasso medio annuo<br />
<strong>del</strong>l’8% circa negli ultimi 17 anni, sembra attestarsi ancora su livelli sostenibili, soprattutto se confrontato con il PIL nazionale<br />
o il reddito disponibile <strong>del</strong>le famiglie.<br />
La Figura 13 mostra il debito <strong>del</strong>le famiglie come quota <strong>del</strong> reddito disponibile.<br />
Lo stock di debito italiano, pur essendo passato dal 37% <strong>del</strong> 1995 all’85% nel 2011 con le nostre stime interne che indicano<br />
un ulteriore incremento all’88% per il 2012, resta comunque ancora al di sotto <strong>del</strong>la soglia psicologica <strong>del</strong> 100%. Questo<br />
significa che il reddito complessivo disponibile di un solo anno è più che in grado di ripagare tutto lo stock di debito contratto<br />
fino a quel momento dalle famiglie. Tra l’altro, l’Italia risulta essere il paese con il più basso livello di indebitamento in<br />
percentuale al reddito disponibile (insieme alla Germania), mentre paesi come Spagna, Stati Uniti e Regno Unito, pur avendo<br />
intrapreso un cammino verso il risanamento dopo la crisi <strong>del</strong> 2008, mostrano ancora un coefficiente ben al di sopra <strong>del</strong> 100%<br />
(per il Regno Unito siamo a oltre il 150%).<br />
Figura 13:<br />
Stock di debito <strong>del</strong>le<br />
famiglie in % al reddito<br />
disponibile<br />
Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer Investments<br />
su dati Eurostat, OECD, Banche<br />
Centrali ed Istituti di statistica nazionali<br />
in % al reddito lordo disponibile<br />
200%<br />
180%<br />
160%<br />
140%<br />
120%<br />
100%<br />
80%<br />
60%<br />
40%<br />
20%<br />
0%<br />
1995<br />
1996<br />
1997<br />
1998<br />
1999<br />
2000<br />
2001<br />
2002<br />
2003<br />
2004<br />
2005<br />
2006<br />
2007<br />
2008<br />
2009<br />
2010<br />
2011<br />
2012E<br />
Francia Germania Italia<br />
Spagna Regno Unito USA<br />
25
Un’altra preoccupazione fondata è quella legata alle pensioni.<br />
Con uno Stato sempre meno generoso verso i futuri pensionati, i lavoratori sono ora chiamati a pensare a come integrare<br />
i propri redditi futuri da pensione e, se non avranno accumulato adeguate risorse a scopi previdenziali, una volta usciti dal<br />
mercato <strong>del</strong> lavoro saranno costretti a ridurre fortemente le loro abitudini di consumo, con tutte le ovvie conseguenze sul<br />
benessere e la qualità <strong>del</strong>le loro vite.<br />
La consapevolezza che si debba fare qualcosa sembra esserci. Gli italiani lo sanno. Sanno che dovrebbero accantonare nuove<br />
risorse per la pensione, eppure poco o nulla sembra essere stato fatto. Tutto sembra venir procrastinato ad un indefinito<br />
tempo futuro.<br />
Secondo un’indagine condotta da <strong>UniCredit</strong>/Pioneer Investments sulla propria clientela già nel 2006 circa il 63% degli<br />
intervistati con meno di 35 anni dichiarava di essere preoccupato per il benessere economico una volta raggiunta l’età <strong>del</strong>la<br />
pensione e più o meno la stessa percentuale di persone includeva tra le motivazioni <strong>del</strong> risparmio quella di integrare la<br />
pensione pubblica.<br />
Ma quando si guarda ai fatti le cose appaiono ben diverse.<br />
I dati rilasciati di recente dalla COVIP indicano come a fine giugno 2012 il numero di iscritti ai fondi pensione fosse pari a<br />
circa 5,7 milioni di individui (di cui 4,1 milioni circa appartenenti al settore privato), equivalenti solo al 24% degli occupati.<br />
Tra l’altro, il tasso di partecipazione risulta essere molto basso soprattutto tra i giovani, che invece dovrebbero essere quelli<br />
maggiormente sensibili al problema. A fine 2011 solo il 18% dei lavoratori con meno di 35 anni era, infatti, iscritto ad una<br />
forma di previdenza complementare, mentre la quota saliva al 26,8% per i lavoratori tra i 35 e 44 anni e al 35% per quelli<br />
tra i 45 e 64 anni 13 .<br />
13<br />
Relazione annuale 2011 COVIP.<br />
26
1.5 QUANTO SI DOVREBBE RISPARMIARE?<br />
A livello individuale la scelta di come e quanto risparmiare è tra le decisioni più difficili alle quali si possa pensare ed è<br />
comprensibile quindi che si possano compiere degli errori di valutazione.<br />
Innanzitutto, numerose sono le ragioni per cui si risparmia. Tanto per citarne alcune, si risparmia per l’acquisto di una casa<br />
o di beni durevoli, per la propria famiglia e l’educazione dei figli, per la vecchiaia, per eventuali spese sanitarie, per avere un<br />
gruzzolo da far fruttare e su cui contare in caso di eventi imprevisti o, più in generale, per cautelarsi per il futuro.<br />
Per capire quanto accantonare oggi si devono considerare un’enormità di fattori, molti per lo più incerti. Le esigenze di<br />
consumo presenti vanno contemperate con quelle future, facendo una valutazione di come potrebbe evolversi nel tempo il<br />
reddito e in generale la condizione economica <strong>del</strong>la famiglia. Questo per un orizzonte temporale non di pochi mesi, ma di<br />
tutta una vita. Nulla di banale!.<br />
E’ naturale che si tenda a superare questa complessità eccessiva con espedienti o, nella peggiore <strong>del</strong>le ipotesi, rinviando il<br />
problema.<br />
C’è chi, quando è incapace di processare tutte le informazioni, alza le spalle e “tira a caso”; chi tende a seguire quello che<br />
consigliano gli amici o il gruppo (se lo fanno tutti ci sarà pure un motivo); chi ancora rimane paralizzato e decide di non<br />
decidere. Questo comportamento non è esclusivo degli italiani ma generale degli esseri umani e porta a prendere decisioni,<br />
anche in materia economica, seguendo più le emozioni piuttosto che ragionamenti logici. Maggiore è la complessità e più<br />
si tende a dar retta all’intuito e alle emozioni. Nulla di male, tuttavia, una maggiore informazione ed educazione finanziaria<br />
potrebbero essere d’aiuto, soprattutto per accrescere quanto meno la consapevolezza di quelle che potrebbero essere le<br />
conseguenze <strong>del</strong>le scelte che si compiono.<br />
Studi riguardanti l’educazione finanziaria ed economica hanno riscontrato che buona parte degli individui possiede una<br />
scarsa conoscenza dei concetti finanziari di base, ponendo seri dubbi sull’effettiva capacità di comprendere a fondo tutte<br />
le implicazioni relative alle scelte in materia pensionistica 14 . Tra l’altro individui caratterizzati da un livello più elevato di<br />
conoscenza finanziaria sembrano essere in grado di pianificare meglio per la loro pensione, meno influenzati dalle scelte di<br />
parenti, amici o colleghi.<br />
Una maggiore preparazione economico-finanziaria appare quindi più come una scelta di buon senso che altro; portando, in<br />
linea di massima, a scelte più consapevoli e migliori per il proprio futuro.<br />
Inoltre, analisi effettuate su un campione di clienti <strong>UniCredit</strong> hanno mostrato come siano proprio gli individui caratterizzati<br />
da un maggior livello di educazione finanziaria che prima di prendere decisioni in ambito finanziario, ricorrono con maggiore<br />
frequenza al parere di consulenti ed esperti <strong>del</strong> settore. Gli individui con scarsa istruzione economica, invece, a parità di altre<br />
condizioni (in particolare reddito e ricchezza), tendono ad avere comportamenti più estremi: o <strong>del</strong>egano tutto al consulente<br />
finanziario o si basano solo sul “fai da te” 15 .<br />
Assodato che l’educazione finanziaria possa essere d’aiuto, come si potrebbe veicolare in maniera soddisfacente i concetti di<br />
base al maggior numero possibile di persone?<br />
14<br />
Per un maggior approfondimento sul tema si veda Lusardi e Mitchell ed. (2011) “Financial Literacy: Implications for Retirement Security and the Financial Marketplace” Oxford<br />
University Press.<br />
15<br />
Per maggiori approfondimenti si veda Calcagno e Monticone (2011) “Financial literacy and the demand for financial advice”.<br />
27
Come regola generale, le persone con livelli più elevati di ricchezza sono caratterizzate anche da una maggiore conoscenza<br />
finanziaria. Sebbene non sia semplice stabilire chi determina cosa, è fuor di dubbio che chi dispone di un patrimonio maggiore<br />
sia più interessato ad informarsi e ad avvicinarsi ai concetti <strong>del</strong>la finanza. Tuttavia, proprio per le persone più povere e<br />
caratterizzate da un basso livello di istruzione un minimo di educazione finanziaria potrebbe fare la differenza. Attuare<br />
programmi rivolti agli strati più deboli <strong>del</strong>la società, contribuirebbe inoltre ad aumentare l’eguaglianza e portare verso una<br />
società più equa 16 .<br />
Tra l’altro, se l’educazione finanziaria può essere così d’aiuto perchè non introdurla nelle scuole?<br />
Una <strong>del</strong>le proposte che ultimamente sembra raccogliere consensi è quella di avviare <strong>del</strong>le iniziative rivolte a giovani e<br />
studenti.<br />
Introdurre già in giovane età elementi di educazione economico-finanziaria potrebbe infatti avere diversi vantaggi; innanzitutto<br />
sarebbe meno costoso raggiungere un numero elevato di persone, inoltre i ragazzi sono più recettivi e quindi imparerebbero<br />
in minor tempo i concetti base.<br />
A ciò va poi aggiunto il fatto che, essendo rivolta a tutti indipendentemente dal reddito e dalla ricchezza familiare, risulterebbe<br />
più egualitaria. Infine, non è da sottovalutare anche che questi concetti avrebbero più tempo per sedimentarsi e svilupparsi<br />
(anche all’interno <strong>del</strong>le famiglie stesse), rendendo le future decisioni in ambito finanziario e di pianificazione veramente più<br />
informate e consapevoli. In conclusione, investire sull’educazione finanziaria dei ragazzi sembra essere una buona scelta per<br />
il presente ma soprattutto per il futuro.<br />
Nel 2011 <strong>UniCredit</strong>, attraverso l’iniziativa In-Formati, ha introdotto in Italia un programma di educazione bancaria e finanziaria<br />
gratuito, che offre a tutti i cittadini interessati, clienti e non, (e anche agli studenti) di partecipare ad una serie di corsi di<br />
educazione finanziaria di base. Questo non sarà certo sufficiente ad accrescere la cultura finanziaria di tutta la popolazione<br />
italiana, ma costituisce un importante primo passo verso la giusta direzione.<br />
16<br />
E’ stato infatti dimostrato un nesso tra educazione economica e disuguaglianza. Per maggiori informazioni al riguardo si veda Lo Prete (2012) “Economic literacy and the financeinequality<br />
nexus: a medium-term empirical analysis”.<br />
28
1.6 QUALE ALLOCAZIONE PER IL RISPARMIO?<br />
Il tema trattato finora è stato quello <strong>del</strong>la generazione <strong>del</strong> risparmio, ma come viene allocato questo flusso di denaro è una<br />
materia altrettanto importante.<br />
Innanzitutto, sulla base degli impieghi, possiamo distinguere due tipologie di risparmio:<br />
- risparmio non finanziario<br />
- risparmio finanziario 17 .<br />
Con il primo si intendono i flussi di reddito che in un determinato periodo vengono sottratti al consumo per essere destinati<br />
all’acquisto o alla miglioria di case, terreni e altre attività reali.<br />
Con risparmio finanziario, invece, si fa riferimento in generale alle nuove risorse utilizzate dalle famiglie per l’acquisto di<br />
prodotti finanziari, tramite banche, assicurazioni e società finanziarie in genere.<br />
Si parla poi di risparmio finanziario lordo, quando ci si limita ad analizzare l’ammontare <strong>del</strong> risparmio indirizzato nel corso di<br />
un dato periodo verso i depositi, titoli e i prodotti finanziari in genere. Se a questo aggregato vengono sottratti i debiti contratti<br />
dalle famiglie nel corso <strong>del</strong>lo stesso periodo (che si tratti di credito al consumo o di mutui) parliamo allora di risparmio<br />
finanziario netto.<br />
In sintesi:<br />
<strong>Risparmio</strong> Lordo = <strong>Risparmio</strong> non finanziario lordo + <strong>Risparmio</strong> finanziario lordo – accensione di nuovo debito 18<br />
Figura 14:<br />
Scomposizione <strong>del</strong><br />
risparmio lordo 19 <strong>del</strong>le<br />
famiglie in Italia (prezzi<br />
costanti 2011, miliardi<br />
di euro)<br />
Miliardi €<br />
250<br />
200<br />
150<br />
100<br />
50<br />
Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />
Investments su dati Istat e Prometeia<br />
0<br />
1995<br />
1996<br />
1997<br />
1998<br />
1999<br />
2000<br />
2001<br />
2002<br />
2003<br />
2004<br />
2005<br />
2006<br />
2007<br />
<strong>Risparmio</strong> non finanziario netto<br />
Ammortamenti<br />
Saldo finanziario (accreditamento/indebitamento)<br />
2008<br />
2009<br />
2010<br />
2011<br />
2012E<br />
17<br />
Il risparmio finanziario lordo, secondo l’accezione rinvenibile sui manuali di statistica e di contabilità nazionale, corrisponde all’acquisizione netta di attività finanziarie, mentre il<br />
risparmio finanziario netto da noi definito, è dato dal saldo tra l’acquisizione netta di attività finanziarie e l’accensione di nuovo debito. Il risparmio non finanziario lordo è, invece,<br />
dato dalla differenza tra il risparmio lordo, il saldo finanziario <strong>del</strong>le famiglie (accreditamento/indebitamento), e i trasferimenti netti in conto capitale. Tutte queste grandezze sono<br />
riferite, come sempre, al settore famiglie (consumatrici e produttrici) inclusi gli enti senza scopo di lucro.<br />
18<br />
L’equazione dovrebbe includere anche i trasferimenti netti in conto capitale. Per semplicità li abbiamo esclusi in quanto di entità comunque non particolarmente rilevante, dato<br />
che il loro apporto ha sempre oscillato tra il -4% e il +4% <strong>del</strong> risparmio lordo.<br />
19<br />
I trasferimenti netti in conto capitale non sono stati inclusi nella Figura.<br />
29
La Figura 14 scompone il risparmio lordo <strong>del</strong>le famiglie italiane nelle componenti finanziaria e non finanziaria netta e<br />
ammortamenti.<br />
Se a fine anni ’90 il risparmio finanziario netto 20 era predominante, a partire dal terzo millennio la sua importanza si è ridotta<br />
nel tempo, arrivando a rappresentare nel 2011 solamente il 19% <strong>del</strong> risparmio lordo complessivo.<br />
Certo, bisogna considerare che una buona parte <strong>del</strong> risparmio non finanziario non viene utilizzata soltanto per l’acquisto di<br />
nuovi immobili, terreni, oggetti di valore o macchinari e attrezzature (ricordiamo che ci sono anche le famiglie produttrici in<br />
queste statistiche), ma anche per una loro manutenzione, ristrutturazione o per introdurre migliorie.<br />
Il capitale fisico, a differenza di quello finanziario, per conservare il suo valore nel tempo ha bisogno di cure.<br />
L’Istat stima con l’ammortamento questa perdita di valore subita dal capitale fisso nel corso <strong>del</strong>l’anno (a causa di usura,<br />
obsolescenza oltre che eventuali danni accidentali). Questa voce non è in effetti marginale, se si considera che a fine 2011<br />
l’ammortamento rappresentava circa il 77% <strong>del</strong> risparmio non finanziario lordo e anche negli anni precedenti il 60-70% <strong>del</strong><br />
risparmio non finanziario era costituito da tale componente.<br />
Escludendo l’ammortamento e guardando all’andamento <strong>del</strong> risparmio finanziario e non finanziario netti si possono notare<br />
due cose:<br />
1) entrambi hanno subito una visibile contrazione in termini reali nel corso degli ultimi 17 anni;<br />
2) la quota <strong>del</strong> non finanziario è cresciuta nel tempo: se a fine anni ’90 esso rappresentava solo circa il 20-30% <strong>del</strong> risparmio<br />
finanziario netto a fine 2011 era passato a oltre al 127% (ovvero il risparmio netto 21 si divideva per 54% in non finanziario<br />
e per il restante 46% in finanziario).<br />
Anche per il 2012 stimiamo che il non finanziario netto possa superare il risparmio finanziario netto, anche se di poco,<br />
tuttavia è probabile che entrambi subiranno un’ulteriore ridimensionamento in termini assoluti.<br />
Figura 15:<br />
Flussi finanziari lordi<br />
<strong>del</strong>le famiglie in % al<br />
reddito lordo disponibile<br />
Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />
Investments su dati Prometeia, Eurostat,<br />
OECD, Banche Centrali ed Istituti di statistica<br />
nazionali<br />
in % al reddito lordo disponibile<br />
20%<br />
18%<br />
16%<br />
14%<br />
12%<br />
10%<br />
8%<br />
6%<br />
4%<br />
2%<br />
0%<br />
1995<br />
1996<br />
1997<br />
1998<br />
1999<br />
2000<br />
2001<br />
2002<br />
2003<br />
2004<br />
2005<br />
2006<br />
2007<br />
2008<br />
2009<br />
2010<br />
2011<br />
2012E<br />
Austria Francia Germania Italia<br />
Spagna Regno Unito USA<br />
20<br />
Il dato si intende al netto <strong>del</strong>l’accensione di nuovo debito.<br />
21<br />
Per netto si intende al netto degli ammortamenti.<br />
30
Guardando ora al solo risparmio finanziario, per poter avere un quadro di insieme più completo abbiamo confrontato<br />
l’andamento <strong>del</strong> risparmio finanziario lordo <strong>del</strong>le famiglie come quota <strong>del</strong> reddito disponibile a livello internazionale. I dati<br />
sono presentati in Figura 15.<br />
A prescindere dalla elevata variabilità che caratterizza la grandezza, sia nel confronto temporale che tra paesi, ciò che<br />
emerge con chiarezza è come il 2008 abbia segnato per tutti un punto di rottura, in seguito al quale si è assistito ad un calo<br />
generalizzato di flussi verso le attività finanziarie. Negli anni immediatamente successivi vi è stato un rimbalzo, ma in media<br />
i nuovi investimenti in attività finanziare sono rimasti ben al di sotto i livelli medi pre-crisi.<br />
La diminuzione dei flussi di risparmio <strong>del</strong>le famiglie verso i prodotti finanziari è stata meno drammatica in Germania e Francia,<br />
le economie “forti” <strong>del</strong>l’area euro, caratterizzate da un livello di risparmio finanziario in percentuale al reddito disponibile<br />
superiore all’8% ancora nel 2011. Per il resto dei paesi i flussi di risparmio finanziario sono rimasti sotto quota 5% <strong>del</strong> reddito<br />
disponibile nel 2011, con un minimo <strong>del</strong> 2% in Spagna.<br />
Comunque, nonostante la grave crisi di fiducia attraversata dalle istituzioni finanziarie tra il 2008 e 2009, il risparmio<br />
finanziario è rimasto sempre in territorio positivo. Le famiglie quindi hanno continuato e continuano, sebbene in misura<br />
minore ad investire in attività finanziarie.<br />
Il 2012 probabilmente sarà un altro anno difficile, soprattutto per Italia e Spagna, dove peseranno ancora gli effetti <strong>del</strong>le crisi<br />
<strong>del</strong> debito europeo, ma non ci aspettiamo in ogni caso deflussi, anche se bisognerà attendere qualche anno prima di poter<br />
sperare di tornare ai livelli pre 2008.<br />
Figura 16:<br />
Nuovo indebitamento<br />
<strong>del</strong>le famiglie in % al<br />
reddito lordo disponibile<br />
Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer Investments<br />
su dati Eurostat, OECD, Banche<br />
Centrali ed Istituti di statistica nazionali<br />
in % al reddito lordo disponibile<br />
25%<br />
20%<br />
15%<br />
10%<br />
5%<br />
0%<br />
-5%<br />
1995<br />
1996<br />
1997<br />
1998<br />
1999<br />
2000<br />
2001<br />
2002<br />
2003<br />
2004<br />
2005<br />
2006<br />
2007<br />
2008<br />
2009<br />
2010<br />
2011<br />
2012E<br />
Austria Francia Germania Italia<br />
Spagna Regno Unito Stati Uniti<br />
Stabilito che le famiglie hanno ridotto l’acquisto di attività finanziarie dal 2008 in poi, cosa è successo all’indebitamento?<br />
Sembrerebbe anch’esso essere diminuito in maniera sostanziale.<br />
Al minore risparmio indirizzato verso strumenti finanziari si è associata una riduzione ancora più significativa <strong>del</strong>l’accensione<br />
31
di nuove passività (es. nuovi mutui o nuovo ricorso al credito al consumo), come evidenziato in Figura 16. Ciò è avvenuto<br />
anche a livello internazionale e appare dovuto sia ad un effetto domanda (meno famiglie disposte ad indebitarsi vista la<br />
difficile situazione economica e dei mercati) che ad un effetto offerta (legato al restringimento <strong>del</strong> credito da parte <strong>del</strong>le<br />
banche). Questo ha tra l’altro portato lo stock di debito <strong>del</strong>le famiglie a livelli più sostenibili, anche se per l’Italia, come già<br />
evidenziato, il problema è meno rilevante rispetto ad altri paesi.<br />
Regno Unito, Stati Uniti e Spagna sono i paesi caratterizzati dalle variazioni più significative. Dai picchi di nuovo debito creato<br />
nel corso di un anno <strong>del</strong> 15% o anche 20% <strong>del</strong> reddito disponibile registrati nella prima metà degli anni 2000 si è passati a<br />
valori pari a zero o persino negativi dopo il 2008. I tassi negativi sono dovuti sostanzialmente a un elevato numero di famiglie<br />
dichiarate insolventi a seguito <strong>del</strong>la bolla immobiliare. Tra l’altro molte famiglie, anche sulla scorta di banche molto più restie<br />
a concedere credito, hanno accantonato o per lo meno posticipato la decisione di accendere nuovi debiti.<br />
L’Italia, comunque, sembra essere meno esposta a questo problema, caratterizzata, infatti, dall’accensione di nuove passività<br />
in media di poco superiore al 5% <strong>del</strong> reddito disponibile prima <strong>del</strong> 2008 e da valori più bassi, intorno al 2% medio circa, nella<br />
fase successiva.<br />
Figura 17:<br />
Flussi di risparmio investiti<br />
in attività liquide in<br />
% <strong>del</strong> risparmio finanziario<br />
lordo<br />
120%<br />
100%<br />
80%<br />
60%<br />
52%<br />
56%<br />
45%<br />
79%<br />
111%<br />
75%<br />
Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />
Investments su dati di Banche Centrali<br />
nazionali.<br />
40%<br />
20%<br />
0%<br />
29%<br />
Austria Francia Germania Italia Spagna Regno Unito Stati Uniti<br />
1995-2000 2001-03 2004-07 2008-11<br />
Guardiamo ora come si compone il risparmio finanziario.<br />
Come già detto, nel risparmio finanziario vanno inclusi tutti gli afflussi (al netto dei deflussi) verso i prodotti finanziari avvenuti<br />
nel corso di tutto l’anno. Vanno quindi considerati i fondi comuni, le assicurazioni, i fondi pensione, oltre ad obbligazioni e<br />
azioni e anche le somme depositate sui conti correnti, di risparmio o altre forme di deposito <strong>del</strong>la liquidità presso le banche,<br />
società finanziarie in genere e gli operatori postali.<br />
Un primo elemento che vale la pena mettere in luce e che accomuna l’Italia con il resto dei paesi considerati è il progressivo<br />
aumento, nel corso degli ultimi 15 anni, <strong>del</strong>la quota di risparmio finanziario destinata a depositi e alle attività liquide in genere.<br />
In Figura 17 abbiamo indicato la quota di flussi medi verso le attività liquide in percentuale al totale <strong>del</strong> risparmio finanziario<br />
32
per i periodi 1995-2000, 2001-03, 2004-07 e 2008-11. Per la maggioranza dei paesi è evidente quanto questa componente<br />
sia arrivata a rappresentare una quota <strong>del</strong> risparmio finanziario via via crescente col passare <strong>del</strong> tempo. Emblematico è il caso<br />
<strong>del</strong> Regno Unito dove i flussi medi verso gli strumenti più liquidi nel 2008-11 hanno superato il totale dei flussi complessivi<br />
verso le attività finanziarie.<br />
In Italia la quota di risparmio convogliata verso attività liquide è stata pari in media al 45% nel 2008-11, meno di quanto<br />
rilevato per altri paesi. Anche in questo caso, comunque, la quota è decisamente cresciuta nel tempo.<br />
Questa sorta di processo di de-securitization non è cosa recente, in quanto sembra sia iniziato già nei primi anni 2000, a<br />
seguito <strong>del</strong>lo scoppio <strong>del</strong>la bolla speculativa <strong>del</strong>la new economy. Sembra tuttavia essere diventato più significativo dal 2008<br />
in poi.<br />
In genere, in paesi più ricchi e caratterizzati da mercati finanziari più sviluppati, le famiglie sono contraddistinte da portafogli<br />
finanziari più sofisticati con prodotti più in linea con i loro bisogni e orizzonte temporale. Le crisi <strong>del</strong>l’ultimo decennio sembrano<br />
aver bloccato questo processo, con gli investitori che sono tornati ai prodotti “di base”, sicuramente meno remunerativi ma<br />
percepiti come maggiormente sicuri.<br />
Certamente il mutato sentiment degli investitori ha contribuito a questo spostamento <strong>del</strong>le preferenze, determinando una<br />
diversa composizione <strong>del</strong> risparmio finanziario.<br />
Non abbiamo evidenze per tutti i paesi, tuttavia, se ci si limita all’Italia, i dati di indagini condotte da <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />
Investments su un campione rappresentativo di clienti italiani, confermano come la quota di investitori decisamente avversi<br />
al rischio sia sensibilmente cresciuta nel tempo. Se nel 2003 il 25% dei clienti dichiarava di orientarsi verso prodotti finanziari<br />
caratterizzati da bassi guadagni pur di non dover sopportare il rischio di perdita <strong>del</strong> capitale, nel 2009 tale quota era pari al<br />
45%.<br />
Anche per il 2011, secondo le informazioni rinvenibili dalle interviste Mifid di <strong>UniCredit</strong> 22 , si è assistito ad un incremento <strong>del</strong>la<br />
quota di individui avversi al rischio. In particolare, analizzando i dati relativi a clienti a cui è stato sottoposto il questionario<br />
Mifid in 2 periodi diversi (rispettivamente prima e dopo giugno 2011 23 ), il 26% circa degli intervistati è risultato avere un<br />
profilo di rischio più conservativo nella seconda intervista rispetto alla prima. C’e’ da dire comunque che, nonostante la<br />
crisi che ha investito i paesi <strong>del</strong>l’euro e in particolar modo anche l’Italia, il 62% circa dei clienti intervistati pare non aver<br />
modificato il proprio approccio verso il rischio nel 2011 e il 12% circa ha persino dichiarato di avere un profilo maggiormente<br />
orientato al rischio rispetto alla prima intervista.<br />
Dai questionari Mifid si possono ricavare anche informazioni relative all’orizzonte temporale dei clienti. In questo caso,<br />
sembra che la stragrande maggioranza dei clienti a cui è stato somministrato il questionario abbia mantenuto per i propri<br />
investimenti finanziari un orizzonte di medio-lungo periodo. Inoltre, se si confrontano le risposte degli stessi clienti alle<br />
interviste prima e dopo giugno 2011, sembra sia cresciuto il numero di clienti con un orizzonte temporale più lungo.<br />
22<br />
I questionari sono stati somministrati principalmente ai clienti caratterizzati dal possesso di prodotti gestiti o di amministrato, ad esclusione <strong>del</strong>le assicurazioni ramo I.<br />
23<br />
A partire da giugno 2011 è stato implementato un nuovo mo<strong>del</strong>lo di consulenza che ha comportato anche una parziale modifica dei questionario Mifid.<br />
33
Figura 18:<br />
Scomposizione <strong>del</strong><br />
risparmio finanziario<br />
lordo pro capite per<br />
tipologia di strumento –<br />
media 2008-11<br />
€<br />
3000<br />
2500<br />
2000<br />
1500<br />
1000<br />
500<br />
0<br />
-500<br />
-1000<br />
Austria Francia Germania Italia Spagna Regno<br />
Unito<br />
Stati Uniti<br />
Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />
Investments su dati OECD, Banche Centrali<br />
e istituti di statistica nazionali<br />
Liquidità<br />
Azioni e Partecipazioni<br />
Assicurazioni Vita e Fondi Pensione<br />
Obbligazioni<br />
Fondi Comuni<br />
Altro<br />
Tornando ai flussi finanziari di risparmio, il dettaglio per tipologia di strumento mostra come negli ultimi 4 anni, oltre alla già<br />
rilevata forte predilezione per le attività liquide, vi siano stati anche flussi stabili verso le assicurazioni vita e i fondi pensione,<br />
favoriti anche dalla loro natura ricorrente.<br />
Negli Stati Uniti e nel Regno Unito anche i fondi comuni hanno registrato mediamente una raccolta netta positiva tra il 2008-<br />
11; la presenza in questi paesi di un forte il segmento istituzionale che agisce per conto <strong>del</strong>le famiglie, ha probabilmente<br />
favorito la stabilizzazione dei flussi.<br />
I Paesi <strong>del</strong>l’Europa continentale, e l’Italia in particolare, sono stati invece caratterizzati da flussi positivi verso i titoli azionari,<br />
per lo più le azioni non quotate, anche in funzione <strong>del</strong>l’elevato numero di imprese di piccole e medie dimensioni.<br />
Risultati contrastanti sono stati rilevati per le obbligazioni, vendute dalle famiglie di Stati Uniti e Germania e acquistate in<br />
Italia, Spagna e Austria. Nel 2011 in particolare, il risparmio <strong>del</strong>le famiglie verso titoli a reddito fisso in Italia e Spagna ha<br />
rappresentato oltre il 100% dei flussi complessivi di risparmio finanziario.<br />
I forti acquisti sono stati probabilmente dettati dal desiderio <strong>del</strong>le famiglie di sostenere i propri titoli <strong>del</strong> debito, anche attratti<br />
dal rialzo dei rendimenti. Il segmento <strong>del</strong>le obbligazioni societarie dovrebbe aver inoltre ricevuto forti afflussi, in funzione<br />
<strong>del</strong>le esigenze di finanziamento <strong>del</strong>le banche commerciali.<br />
In sintesi, dunque, sia risparmio finanziario che non finanziario hanno subito un ridimensionamento nel corso degli ultimi 17<br />
anni, tuttavia il calo <strong>del</strong>la componente finanziaria è stato più marcato.<br />
La diminuzione <strong>del</strong>la quota di risparmio indirizzata alle attività finanziarie non è specifica <strong>del</strong> caso italiano, ma viene rilevata<br />
nei maggiori paesi Europei e negli Stati Uniti. Tra l’altro, si è ridotta soprattutto la quota risparmio finanziario indirizzata verso<br />
gli strumenti più sofisticati, con una preferenza per la liquidità. Allo stesso tempo le famiglie hanno accantonato eventuali<br />
intenzioni di accendere nuovo debito anche sulla scorta <strong>del</strong>la maggiore rigidità <strong>del</strong>le società finanziarie nel concedere<br />
finanziamenti.<br />
34
Le famiglie, dunque, si sono orientate verso gli strumenti che, secondo la loro percezione, risultano essere più sicuri sebbene<br />
meno specifici riguardo <strong>del</strong>le esigenze <strong>del</strong> singolo.<br />
La crescente incertezza e l’instabilità dei mercati finanziari, oltre ad una crisi di fiducia verso le stesse istituzioni finanziarie,<br />
hanno certamente contribuito a questo spostamento <strong>del</strong>le preferenze. Il dubbio è se questo tipo di modifiche portino davvero<br />
ad un miglioramento <strong>del</strong>la composizione dei portafogli e ad una maggiore efficienza degli stessi.<br />
35
PARTE SECONDA<br />
DAI FLUSSI AGLI STOCK:<br />
LA RICCHEZZA DELLE<br />
FAMIGLIE IN ITALIA<br />
37
2.1 BUONE NOTIZIE SUL FRONTE RICCHEZZA<br />
Guardando agli stock di ricchezza ci sono anche, e soprattutto, <strong>del</strong>le buone notizie: gli italiani, pur risparmiando sempre<br />
meno, possono ancora contare su un elevato stock di ricchezza.<br />
La ricchezza <strong>del</strong>le famiglie al netto <strong>del</strong>le passività, infatti, era pari in Italia (secondo stime interne) a 8.500 miliardi di euro a<br />
fine 2011. Tale ricchezza rappresenta 5,4 volte il PIL e quasi 7,8 volte il reddito lordo disponibile <strong>del</strong>le famiglie (per l’esattezza<br />
il 776%). Valore che colloca l’Italia al secondo posto di questa speciale graduatoria, meglio di Francia, Germania e Stati Uniti.<br />
Figura 19:<br />
Ricchezza netta <strong>del</strong>le<br />
famiglie in % al reddito<br />
lordo disponibile - 2011<br />
In % al reddito lordo disponibile<br />
762%<br />
543%<br />
776% 786%<br />
514%<br />
Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer Investments<br />
su dati Eurostat, OECD, Banche<br />
Centrali ed Istituti di statistica nazionali<br />
Francia Germania Italia Regno Unito Stati Uniti<br />
Va tuttavia precisato che un indicatore più elevato per l’Italia è anche funzione <strong>del</strong> fatto che le famiglie italiane sono<br />
caratterizzate da un più basso reddito disponibile rispetto al resto dei paesi considerati. Tuttavia, anche guardando alla<br />
ricchezza pro capite il quadro non cambia di molto. Se gli Italiani a fine 2011 possedevano circa 140 mila euro a testa, i<br />
francesi, gli inglesi e gli americani avevano a disposizione uno stock pro capite di poco superiore, rispettivamente di 165, 153<br />
e 148 mila euro, mentre le famiglie tedesche potevano contare su 116 mila euro a testa.<br />
Gli italiani sono quindi ancora relativamente benestanti, soprattutto se confrontati con i principali paesi occidentali.<br />
Da cosa è composta questa ricchezza?<br />
Come già specificato, due sono le tipologie di attività: finanziarie - tra cui titoli, azioni, assicurazioni, fondi comuni, fondi<br />
pensione e depositi - e reali - quali le abitazioni, gli immobili, i fabbricati, i terreni, gli oggetti di valore oltre a macchinari,<br />
impianti e attrezzature -. La somma di queste attività definisce la ricchezza lorda, mentre sottraendo a questo valore le<br />
passività (quali i mutui, il credito al consumo, ecc…) si arriva alla ricchezza netta.<br />
38
Figura 20:<br />
Attività reali, finanziarie<br />
e passività in % alla<br />
ricchezza lorda <strong>del</strong>le<br />
famiglie - 2011<br />
66%<br />
57% 62%<br />
54%<br />
32%<br />
34%<br />
43% 38%<br />
46%<br />
68%<br />
-11% -14% -10% -17% -19%<br />
Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer Investments<br />
su dati Eurostat, OECD, Banche<br />
Centrali ed Istituti di statistica nazionali<br />
Francia Germania Italia Regno Unito Stati Uniti<br />
Attività Finanziarie Attività Reali Passività<br />
Innanzitutto, distinguendo la parte reale da quella finanziaria, si evidenzia in tutti i Paesi considerati, ad eccezione degli Stati<br />
Uniti, una netta prevalenza <strong>del</strong>la prima rispetto alla seconda. Nel 2011 in Italia gli immobili, i macchinari e gli altri beni<br />
tangibili rappresentavano ben il 62% <strong>del</strong>la ricchezza complessiva <strong>del</strong>le famiglie (al lordo <strong>del</strong>le passività), superati solo dalla<br />
Francia, dove le attività reali pesavano per il 66%. La scomposizione <strong>del</strong>la ricchezza è comunque molto simile rispetto agli<br />
altri due paesi <strong>del</strong>l’Europa continentale accomunati quindi da una preferenza per il “mattone”. Tra l’altro questi tre paesi<br />
erano caratterizzati da un più basso peso <strong>del</strong>le passività e anche da questo punto di vista l’Italia si collocava all’ultimo posto<br />
(ma questa volta il segnale è positivo) con una quota <strong>del</strong>le passività sul totale <strong>del</strong>la ricchezza lorda pari al 10%, contro il 17%<br />
e 19% di Regno Unito e Stati Uniti 24 .<br />
E che dire <strong>del</strong> tanto odiato debito pubblico?<br />
Anch’esso, se rapportato alla ricchezza netta <strong>del</strong>le famiglie, sembra decisamente meno imponente. Il debito pubblico italiano,<br />
infatti, a fine 2011 costituiva “solamente” il 22,3% <strong>del</strong>la ricchezza detenuta dalle famiglie italiane al netto <strong>del</strong>le passività.<br />
Dato che sembra ancora meno minaccioso se si considera che la Germania era caratterizzata da un valore pressoché simile a<br />
quello italiano e che gli Stati Uniti presentavano un debito pubblico pari al 23,3% <strong>del</strong>la ricchezza netta <strong>del</strong>le famiglie.<br />
Non che si voglia ripagare questo debito attingendo dalle riserve patrimoniali <strong>del</strong>le famiglie, tuttavia non fa male sapere che<br />
se guardiamo il debito pubblico sotto questo punto di vista l’Italia risulta essere meno “fuori linea”.<br />
24<br />
Già nel primo capitolo era stato rilevato il basso livello di indebitamento <strong>del</strong>le famiglie italiane.<br />
39
Figura 21:<br />
Debito Pubblico in %<br />
alla ricchezza netta<br />
<strong>del</strong>le famiglie - 2011<br />
22,2%<br />
22,3%<br />
23,3%<br />
16,5%<br />
15,7%<br />
Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer Investments<br />
su dati Eurostat, OECD, Banche<br />
Centrali ed Istituti di statistica nazionali<br />
Francia Germania Italia Regno Unito USA<br />
40
2.2 NON E’ ORO TUTTO QUEL CHE LUCCICA<br />
I dati 2011 relativi alla ricchezza <strong>del</strong>le famiglie fotografano dunque un paese tutt’ora tra i più ricchi <strong>del</strong>le economie<br />
occidentali. Tuttavia, gli italiani risultano essere meno benestanti rispetto al recente passato e diverse sono le criticità che<br />
stanno emergendo.<br />
Figura 22:<br />
Ricchezza netta (reale e<br />
finanziaria) <strong>del</strong>le famiglie<br />
normalizzata ai<br />
livelli <strong>del</strong> 1995 (prezzi<br />
costanti 2011)<br />
Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer Investments<br />
su dati Eurostat, OECD, Banche<br />
Centrali ed Istituti di statistica nazionali<br />
in % <strong>del</strong>la ricchezza netta <strong>del</strong> 1995<br />
240<br />
220<br />
200<br />
180<br />
160<br />
140<br />
120<br />
100<br />
1995<br />
1996<br />
1997<br />
1998<br />
1999<br />
2000<br />
2001<br />
2002<br />
2003<br />
2004<br />
2005<br />
2006<br />
2007<br />
2008<br />
2009<br />
2010<br />
2011<br />
2012E<br />
Francia Germania Italia Regno Unito Stati Uniti<br />
La Figura 22 mostra l’andamento in termini reali <strong>del</strong>la ricchezza netta <strong>del</strong>le famiglie dal 1995 ad oggi. Valutando tutto ai<br />
prezzi <strong>del</strong> 2011 e facendo a 100 il totale <strong>del</strong>la ricchezza netta nel 1995, si scopre che nell’arco degli ultimi 17 anni le famiglie<br />
italiane hanno visto crescere complessivamente il proprio patrimonio <strong>del</strong> 40%, che corrisponde ad un tasso medio annuo <strong>del</strong><br />
2,1%, inclusivo sia <strong>del</strong>l’effetto derivante dall’apporto nel tempo di nuovi flussi di risparmio sia <strong>del</strong>la performance degli stock<br />
in essere (questo al netto <strong>del</strong>l’inflazione per il periodo, pari ad un 2,3% medio annuo).<br />
Un risultato ragguardevole se si considera che tre grandi crisi si sono abbattute durante il periodo considerato. Resta però<br />
un po’ l’amaro in bocca nel vedere che siamo tra i paesi che sono cresciuti di meno. La ricchezza degli italiani non ha subito<br />
forti fluttuazioni nel tempo, come accaduto invece e in special modo alle famiglie inglesi o americane; tuttavia, forse proprio<br />
a causa <strong>del</strong>la sottoesposizione alle attività con più potenziale di apprezzamento, quali le azioni quotate e il gestito in genere,<br />
le famiglie italiane hanno anche perso la possibilità di avvantaggiarsi <strong>del</strong>le ripetute fasi di rally dei mercati.<br />
Proviamo ora a far luce su questo aspetto guardando nel dettaglio l’andamento distinto di ricchezza finanziaria, reale e <strong>del</strong>le<br />
passività.<br />
Cominciamo con le attività reali.<br />
Esse, secondo i dati forniti da Banca d’Italia, erano composte per l’84% da abitazioni, il 6% da altri immobili, il 4% da terreni,<br />
il 2% da oggetti di valore e il restante 4% da macchinari, impianti e attrezzature 23 . Data la forte componente di immobili<br />
residenziali, le quotazioni e le tendenze <strong>del</strong> mercato immobiliare sono un fattore chiave nel determinare l’andamento <strong>del</strong>la<br />
ricchezza reale.<br />
23<br />
I dati si riferiscono a fine 2010.<br />
41
La Figura 23 mostra il trend <strong>del</strong>le attività reali. Come per la ricchezza netta, i valori passati sono stati rivalutati per tener conto<br />
<strong>del</strong>l’inflazione e rapportati poi al totale attività <strong>del</strong> 1995.<br />
Figura 23:<br />
Ricchezza reale <strong>del</strong>le<br />
famiglie normalizzata ai<br />
livelli <strong>del</strong> 1995 (prezzi<br />
costanti 2011)<br />
Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer Investments<br />
su dati Eurostat, OECD, Banche<br />
Centrali ed Istituti di statistica nazionali<br />
in % alle attività reali nel 1995<br />
300<br />
280<br />
260<br />
240<br />
220<br />
200<br />
180<br />
160<br />
140<br />
120<br />
100<br />
1995<br />
1996<br />
1997<br />
1998<br />
1999<br />
2000<br />
2001<br />
2002<br />
2003<br />
2004<br />
2005<br />
2006<br />
2007<br />
2008<br />
2009<br />
2010<br />
2011<br />
2012E<br />
Francia Germania Italia Regno Unito Stati Uniti<br />
Complessivamente, al netto <strong>del</strong>l’inflazione l’aumento di valore <strong>del</strong> patrimonio di beni tangibili in Italia è stato <strong>del</strong> 2,5% medio<br />
annuo. La crescita si è realizzata soprattutto tra il 2001-07, dove le attività reali sono aumentate ad un tasso medio annuo <strong>del</strong><br />
5,3%, mentre dal 2008 al 2011 le stesse hanno perso in media ogni anno lo 0,9%. Per il 2012 la nostra stima è di un’ulteriore<br />
riduzione pari al 3% 26 .<br />
Va ricordato che questi tassi di crescita (positivi o negativi che siano) non sono da interpretarsi quali indicatori <strong>del</strong>la<br />
performance degli assets sottostanti, poiché la valorizzazione <strong>del</strong> totale <strong>del</strong>le attività reali, oltre a dipendere dal prezzo <strong>del</strong>le<br />
stesse, è funzione anche nel nuovo risparmio che viene convogliato in queste attività 27 .<br />
In ogni caso, dal confronto con il resto dei paesi, si evidenzia ancora una volta la minor crescita <strong>del</strong>l’Italia, insieme questa<br />
volta alla Germania, mentre decisamente più sostenuti sono stati gli incrementi di valore registrati in Francia, Regno Unito<br />
e USA e anche la loro fluttuazione nel tempo. Dai picchi <strong>del</strong> 2006, il patrimonio di beni tangibili negli Stati Uniti ha perso il<br />
29% <strong>del</strong> suo valore reale, mentre è andata un po’ meglio nel Regno Unito dove dal 2007 al 2011 le attività reali hanno perso<br />
complessivamente (al netto <strong>del</strong>l’inflazione) il 10%.<br />
Non abbiamo a disposizione i dati <strong>del</strong>le attività reali per la Spagna, tuttavia dall’analisi <strong>del</strong>l’andamento dei prezzi <strong>del</strong>le case,<br />
anche in quel caso si evidenzia un forte deprezzamento: con valori in termini reali <strong>del</strong> 31% più bassi alla fine <strong>del</strong> primo<br />
trimestre 2012 rispetto a fine 2007.<br />
Passando alle attività finanziarie, anche in questo caso l’Italia si distingue per una minore volatilità e, al tempo stesso, una<br />
crescita più bassa.<br />
26<br />
Questo sulla base anche degli ultimi dati <strong>del</strong>l’agenzia <strong>del</strong> territorio che hanno rilevato per il primo trimestre 2012 una variazione <strong>del</strong> volume di compravendite immobiliari <strong>del</strong><br />
-17,8% rispetto allo stesso periodo <strong>del</strong> 2011.<br />
27<br />
Tra l’altro per valutare la redditività di un investimento immobiliare è necessario tener conto anche degli eventuali affitti percepiti da un lato e <strong>del</strong>le spese e <strong>del</strong>le tasse dall’altro.<br />
42
Figura 24:<br />
Attività finanziarie <strong>del</strong>le<br />
famiglie normalizzate ai<br />
livelli <strong>del</strong> 1995 (prezzi<br />
costanti 2011)<br />
Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer Investments<br />
su dati Eurostat, OECD, Banche<br />
Centrali ed Istituti di statistica nazionali<br />
in % <strong>del</strong>le att. finanziarie <strong>del</strong> 1995<br />
220<br />
200<br />
180<br />
160<br />
140<br />
120<br />
100<br />
1995<br />
1996<br />
1997<br />
1998<br />
1999<br />
2000<br />
2001<br />
2002<br />
2003<br />
2004<br />
2005<br />
2006<br />
2007<br />
2008<br />
2009<br />
2010<br />
2011<br />
2012E<br />
Austria Francia Germania Italia<br />
Spagna Regno Unito Stati Uniti<br />
Dopo un periodo di particolare “esuberanza” tra il 1995 e il 2000, dove gli asset finanziari sono cresciuti mediamente in<br />
termini reali <strong>del</strong>l’8,7% annuo e al di sopra <strong>del</strong>la crescita media <strong>del</strong> resto dei paesi considerati, si è passati ad una fase di<br />
assestamento tra il 2001 e il 2007, caratterizzata da una crescita reale media annua <strong>del</strong>lo 0,9%, per poi arrivare agli ultimi<br />
4 anni dove le attività hanno perso mediamente il 3,5% annuo.<br />
Il problema sembra quindi emergere soprattutto negli anni più recenti, che hanno visto le attività finanziarie <strong>del</strong>le famiglie<br />
italiane perdere valore, tanto che le stime a fine 2012 risultano essere inferiori (in termini reali) alle attività finanziarie <strong>del</strong><br />
1999, siamo tornati indietro di ben 13 anni!<br />
Non che le famiglie degli altri paesi abbiano superato la crisi <strong>del</strong> 2008 indenni; anzi, l’impatto <strong>del</strong> crollo dei mercati finanziari<br />
è stato notevole. Tuttavia, già dal 2009 la loro ricchezza ha ricominciato a crescere e in molti casi – come in Francia, Germania<br />
e Regno Unito - con il 2011 si erano già superati i livelli pre-crisi. Le famiglie italiane, invece, tra le meno colpite dalla perdita<br />
di valore degli asset nel 2008, hanno però, dopo quella data, visto il loro patrimonio finanziario perdere progressivamente di<br />
valore nel tempo e la recente crisi <strong>del</strong> debito in Europa non ha di certo aiutato.<br />
Il differente asset mix sembra il responsabile per questo diverso andamento.<br />
Guardando alla scomposizione <strong>del</strong>la ricchezza finanziaria per tipologia di prodotto a fine 2011 (Figura 25) si evidenziano,<br />
infatti, forti peculiarità tra paese e paese, frutto anche <strong>del</strong> passato, <strong>del</strong> diverso assetto istituzionale e <strong>del</strong> grado di sviluppo<br />
dei mercati.<br />
Gli Stati Uniti sono caratterizzati dalla presenza importante dei fondi pensione, che rappresentavano il 26% <strong>del</strong>la ricchezza<br />
finanziaria <strong>del</strong>le famiglie a fine 2011, stesso discorso per il Regno Unito, dove oltre la metà <strong>del</strong>le attività finanziarie erano<br />
investite in fondi pensione e assicurazioni.<br />
Forte peso <strong>del</strong>le assicurazioni e dei fondi pensione anche in Francia e Germania (pari al 34% <strong>del</strong> portafoglio). Per i due paesi<br />
<strong>del</strong>l’Europa continentale è netta però la predominanza dei prodotti di natura assicurativa, anche se leggermente ridottasi<br />
rispetto al recente passato (soprattutto in Germania).<br />
43
Figura 25:<br />
Scomposizione <strong>del</strong>le<br />
attività finanziarie <strong>del</strong>le<br />
famiglie, 2011 28<br />
4%<br />
3%<br />
14%<br />
8%<br />
15%<br />
9%<br />
46%<br />
2% 9% 6% 4% 3%<br />
10%<br />
4% 14% 2% 6%<br />
12% 8%<br />
26%<br />
6% 6%<br />
30%<br />
20%<br />
2%<br />
51%<br />
20% 20%<br />
8%<br />
11%<br />
7%<br />
4%<br />
9%<br />
5%<br />
16%<br />
20%<br />
3%<br />
2%<br />
10% 32%<br />
1%<br />
50%<br />
41%<br />
9%<br />
30%<br />
31%<br />
29%<br />
15%<br />
Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />
Investments su dati Banche Centrali<br />
nazionali<br />
Austria Francia Germania Italia Spagna Regno Unito Stati Uniti<br />
Moneta e depositi Obbligazioni Azioni e Partecipazioni<br />
Fondi Comuni Assicurazioni Vita Fondi Pensione<br />
Altro<br />
Tornando all’Italia, una prima ed evidente specificità, è data dall’elevato stock di obbligazioni, pari al 20% <strong>del</strong> portafoglio, di<br />
cui circa la metà 29 relative a titoli governativi, per lo più <strong>del</strong>lo Stato italiano (se quello che vediamo dai portafogli dei nostri<br />
clienti possiamo farlo valere per la totalità <strong>del</strong>le famiglie italiane), con un’evidente scarsa diversificazione per emittente.<br />
A ciò si aggiunge lo stock elevato di ricchezza investito direttamente in azioni, pari al 20% <strong>del</strong>le attività finanziarie, di cui<br />
tuttavia solo l’8,4% è relativo alle azioni quotate. Il resto rappresenta per lo più le partecipazioni in società non quotate,<br />
aspetto intrinsecamente legato alla forte presenza <strong>del</strong>le piccole e medie imprese.<br />
Un’ulteriore peculiarità <strong>del</strong>l’Italia è quella <strong>del</strong>la scarsa penetrazione <strong>del</strong> risparmio gestito, pari nel 2011 al 20% <strong>del</strong> totale <strong>del</strong>le<br />
attività <strong>del</strong>le famiglie, contro quote di oltre il 40% per Germania, Francia e Stati Uniti e <strong>del</strong> 54% <strong>del</strong> Regno Unito, elemento<br />
che di certo non aiuta alla diversificazione. Sottopesata appare soprattutto la quota relativa ai fondi pensione. Come già<br />
sottolineato in precedenza, con l’alleggerimento <strong>del</strong>le pensioni statali sta ora ai singoli integrare in maniera adeguata le<br />
future prestazioni pensionistiche. Un 2% di ricchezza investita in fondi pensione sembra, dunque, proprio poco, soprattutto<br />
se paragonato al 26% degli Stati Uniti ma anche al 14% <strong>del</strong>la Germania. Tra l’altro, in quest’ultimo paese i fondi pensione<br />
pesavano poco più <strong>del</strong> 10% solo all’inizio degli anni 2000, e hanno preso piede principalmente grazie all’introduzione nel<br />
2001 dei piani pensionistici Riester.<br />
28<br />
Per il Regno Unito il dato relativo ai fondi pensione include anche le assicurazioni.<br />
29<br />
Stima Prometeia 2011<br />
44
Figura 26:<br />
Evoluzione <strong>del</strong>la performance<br />
cumulata per<br />
strumento dal 2006 al<br />
2011<br />
110<br />
100<br />
90<br />
80<br />
Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />
Investments su dati Banca d’Italia<br />
70<br />
60<br />
50<br />
2006 2007 2008 2009 2010 2011<br />
Moneta e depositi<br />
Obbligazioni<br />
Azioni<br />
Fondi comuni<br />
Assicurazioni e fondi pensione<br />
Per meglio capire le ragioni <strong>del</strong>la sottoperformance <strong>del</strong>le attività finanziarie <strong>del</strong>le famiglie italiane dal 2008 ad oggi, abbiamo<br />
guardato all’evoluzione dei singoli strumenti. La Figura 26 in particolare evidenzia l’effetto <strong>del</strong>la performance sull’andamento<br />
<strong>del</strong> valore <strong>del</strong>le singole classi di attività 30 . Da questo grafico sembra evidente che la performance negativa di azioni (e<br />
soprattutto <strong>del</strong>le partecipazioni), oltre che <strong>del</strong>le obbligazioni, spiegano buona parte <strong>del</strong>la riduzione di valore <strong>del</strong>le attività<br />
finanziarie complessive <strong>del</strong>le famiglie. Ponendo pari a 100 il totale <strong>del</strong>le azioni nel portafoglio <strong>del</strong>le famiglie a fine 2006,<br />
ed escludendo qualunque effetto derivante da nuovi flussi in entrata e uscita, a fine 2011 tale ammontare era sceso a 60,<br />
mentre per le obbligazioni era pari a 90.<br />
Anche i fondi comuni hanno registrato una sostanziale riduzione di valore nel corso <strong>del</strong>la crisi <strong>del</strong> 2008, a causa <strong>del</strong>la cattiva<br />
performance <strong>del</strong>le attività sottostanti. Tuttavia già nel 2009 erano risaliti e a fine 2011 avevano quasi recuperato tutte le<br />
perdite. Un po’ meglio è andata anche per le assicurazioni e i fondi pensioni, meno investiti dalla crisi 2008, ma anche con<br />
minore potenziale di recupero nella fase successiva, che comunque si attestavano sopra il livello di 100 a fine 2011. Infine,<br />
sostanzialmente pari a zero il rendimento <strong>del</strong>la liquidità.<br />
In sintesi, il quadro che sembra emergere dall’analisi degli stock è quello di una sostanziale solidità <strong>del</strong>le famiglie italiane che<br />
appaiono meno indebitate rispetto ad altri paesi e con ancora un ragguardevole stock di ricchezza accumulata. Tale ricchezza<br />
si è però ridotta nel tempo e maggiormente rispetto ad altri paesi, anche a causa <strong>del</strong> diverso mix di prodotti in portafoglio.<br />
Preoccupazione desta soprattutto la scarsa diversificazione e il peso molto basso dei fondi pensione, per i quali le famiglie<br />
italiane sembrano forse non averne ancora capito appieno l’importanza.<br />
30<br />
In sostanza abbiamo scorporato dalla variazione annuale totale <strong>del</strong>le attività l’effetto relativo agli afflussi o deflussi di nuovo risparmio e isolato l’effetto <strong>del</strong>la performance nel<br />
determinare la variazione degli assets nel tempo. Essendo calcolato per differenza e su un arco temporale abbastanza lungo (un anno) l’effetto potrebbe includere un errore di<br />
misura.<br />
45
2.3 LA RICCHEZZA DELLE GENERAZIONI<br />
Se i dati aggregati di ricchezza sono sicuramente importanti per capire le dinamiche generali, è solo con una loro<br />
disaggregazione a livello individuale, o meglio, per tipologie di individui, che riusciamo ad aggiungere dettagli importanti al<br />
quadro di insieme sulla condizione economica <strong>del</strong>la famiglie in Italia.<br />
Sotto questo aspetto ci sono di grande aiuto le informazioni che si possono ricavare dai database <strong>UniCredit</strong> in merito alla<br />
propria clientela.<br />
In particolare, analizzando i dati relativi ad un campione rappresentativo di individui, basato sul portafoglio clienti di<br />
<strong>UniCredit</strong> a fine 201, il dato che risalta maggiormente è la sostanziale polarizzazione <strong>del</strong>la ricchezza, che risulta essere<br />
prevalentemente nelle mani <strong>del</strong>le vecchie generazioni. A fine 2011, infatti, il 70% <strong>del</strong>la ricchezza era attribuibile a clienti<br />
ultra 55enni, mentre i clienti con meno di 34 anni detenevano poco meno <strong>del</strong> 4% <strong>del</strong> totale degli assets.<br />
L’ammontare medio di attività detenute dai singoli appare fortemente crescente con l’età, con un andamento a scalini via<br />
via più ampi, come mostrato in Figura 27. In particolare, spicca la differenza tra gli under 34 e gli over 64, con gli ultimi che<br />
risultano possedere una ricchezza di circa nove volte superiore a quella dei primi. Importanti differenze sono rilevabili anche<br />
nelle altre fasce di età, con i clienti nella fascia 45-54 che risultano detenere una ricchezza pari a poco più <strong>del</strong>la metà di quella<br />
dei clienti con oltre 64 anni.<br />
Figura 27:<br />
Ammontare medio di<br />
ricchezza finanziaria<br />
dei clienti <strong>UniCredit</strong> per<br />
classi di età – 2011<br />
(in % alla ricchezza dei<br />
clienti ultra-64enni,<br />
posta pari a 100)<br />
64<br />
100,0<br />
Fonte: <strong>UniCredit</strong><br />
I nostri dati trovano peraltro una riprova dalla Banca d’Italia, che nella relazione annuale 2012, mostra come nel 2010 i nuclei<br />
familiari con un capofamiglia di età superiore a 55 anni detenessero più <strong>del</strong> 60% <strong>del</strong> totale <strong>del</strong>le attività finanziarie, mentre<br />
quelli con capofamiglia di età inferiore a 35 anni ne possedessero meno <strong>del</strong> 4%. Dati sostanzialmente confermati quindi<br />
anche a livello di sistema paese Italia.<br />
46
Che la ricchezza finanziaria sia una funzione crescente <strong>del</strong>l’età è più che plausibile. I giovani da un lato, trovandosi all’inizio<br />
<strong>del</strong>la loro carriera lavorativa, non hanno ancora avuto modo di accumulare risorse mentre dall’altro, se hanno buone<br />
prospettive di carriera e di reddito, possono razionalmente aver deciso di adottare uno stile di vita più commisurato al reddito<br />
che si aspettano per il futuro quanto piuttosto al loro reddito attuale.<br />
Tutto ciò è perfettamente in linea con la citata “teoria <strong>del</strong> ciclo vitale”: si risparmia poco o nulla da giovani, si accumula nella<br />
fase <strong>del</strong>la maturità e poi il decumulo dopo la pensione.<br />
Tuttavia, la forte sproporzione tra l’ammontare di risorse finanziarie a disposizione <strong>del</strong>le generazioni più giovani, dove ci<br />
permettiamo di includere anche i 35-44enni, e quelle più anziane<br />
porta a pensare che ci sia altro sotto.<br />
Sempre secondo Banca d’Italia nel 1991, solo poco più di 10 anni fa, i nuclei con capofamiglia con meno di 35 anni risultavano<br />
detenere oltre 10 punti percentuali in più rispetto a quanto osservato nel 2010. Anche gli indicatori di vulnerabilità negli<br />
ultimi anni puntano verso un peggioramento più marcato per i nuclei con capofamiglia giovane. In particolare, la quota dei<br />
nuclei famigliari giovani caratterizzati da fragilità finanziaria 31 ha raggiunto nel 2010 quota 17%, contro il 13% <strong>del</strong> 2008. E<br />
l’aumento è stato molto più marcato rispetto alle altre fasce d’età.<br />
Per cui, rispetto al passato, le nuove generazioni sembrano dover affrontare sfide decisamente più ardue con mezzi che<br />
appaiono sempre più esigui.<br />
Non è un mistero che il mercato <strong>del</strong> lavoro si sia deteriorato in maniera significativa, specialmente con riguardo ai più giovani.<br />
Non sono sicuramente passati sotto silenzio i recenti dati Istat che parlano per il secondo trimestre 2012 di quasi un milione<br />
e mezzo di occupati in meno tra gli under 34 rispetto allo stesso periodo <strong>del</strong> 2007.<br />
La percentuale dei disoccupati tra i 15 e i 24 anni nel secondo trimestre <strong>del</strong> 2012 è ancora più eloquente: 35,3% (più o<br />
meno su 3 giovani nella forza lavoro uno non ha - e non riesce a trovare - un lavoro). La Figura 28 mostra in particolare<br />
come il dato relativo alla disoccupazione giovanile sia peggiorato notevolmente a partire dalla seconda metà <strong>del</strong> 2007, con<br />
un’accelerazione soprattutto nell’ultimo anno.<br />
Figura 28:<br />
Percentuale di disoccupati<br />
tra i 15 e i 24 anni<br />
Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />
Investments su dati Istat<br />
36%<br />
34%<br />
32%<br />
30%<br />
28%<br />
26%<br />
24%<br />
22%<br />
20%<br />
18%<br />
T1<br />
'95 '95 T4<br />
'96 T3<br />
'97 T2<br />
'98 T1<br />
'98 T4<br />
'99 T3<br />
'00 T2<br />
'01 T1<br />
'01 T4<br />
'02 T3<br />
'03 T2<br />
'04 T1<br />
'04 T4<br />
'05 T3<br />
'06 T2<br />
'07 T1<br />
'07 T4<br />
'08 T3<br />
'09 T2<br />
'10 T1<br />
'10 T4<br />
'11 T3<br />
'12<br />
T2<br />
31<br />
Che non hanno attività liquide sufficienti a garantire un tenore di vita al livello <strong>del</strong>la soglia <strong>del</strong>la povertà per almeno sei mesi in caso di perdita <strong>del</strong> lavoro.<br />
47
Le giovani generazioni faticano ad entrare stabilmente nel mondo <strong>del</strong> lavoro e, di conseguenza, faticano anche a risparmiare<br />
ed accumulare ricchezza.<br />
Secondo nostre fonti interne i giovani, tra l’altro, risultano detenere portafogli decisamente meno diversificati e per lo più<br />
investiti in attività liquide. I depositi rappresentavano a fine 2011 infatti circa il 70% <strong>del</strong> totale degli assets per i clienti con<br />
meno di 34 anni, rispetto al 30% circa <strong>del</strong> portafoglio dei clienti con più di 65 anni. E in ogni caso la situazione non va molto<br />
meglio per i clienti nella fascia di età compresa tra i 35 e i 44 anni, caratterizzati da un portafoglio investito per oltre il 55%<br />
in liquidità.<br />
Tra l’altro, per la parte di clienti più giovani caratterizzata comunque da portafogli più complessi, il fondo comune sembra<br />
essere lo strumento di gestito maggiormente utilizzato, fungendo da base per la costituzione di un portafoglio via via più<br />
diversificato.<br />
Eppure, analizzando i dati aggregati <strong>del</strong>le interviste Mifid non si rilevano forti differenze in termini di avversione al rischio o<br />
orizzonte temporale degli investimenti per classi di età. Probabilmente il minor livello di ricchezza detenuta porta i clienti più<br />
giovani a non andare oltre i depositi o gli strumenti più semplici e più liquidi.<br />
Se oltre alle attività finanziarie guardiamo alle attività reali, il quadro non cambia in maniera sostanziale. La differenza tra le<br />
diverse generazioni viene confermata e, anzi, ne esce rafforzata.<br />
Sempre secondo l’Indagine sui bilanci <strong>del</strong>le famiglie di Banca d’Italia, nel 2010 il 49% dei nuclei con capofamiglia con meno<br />
di 34 anni non possedeva ricchezza immobiliare. La quota scende al 38% per le famiglie con capofamiglia di età compresa<br />
tra i 35 e 44 ma resta comunque elevata se si considera che solo il 20% circa dei nuclei con capofamiglia oltre i 55 anni non<br />
possedeva nessun immobile. Tra l’altro il 20% circa <strong>del</strong>le famiglie con capofamiglia tra i 45 e 64 anni deteneva altri immobili<br />
oltre alla prima casa.<br />
Infine, se guardiamo all’indebitamento, appaiono evidenti anche in questo caso le forti differenze per classi di età: con il<br />
picco massimo <strong>del</strong>la quota di famiglie indebitate per la fascia di età <strong>del</strong> capofamiglia tra 35 e 44 anni (44%) e il minimo per<br />
famiglie con capofamiglia oltre i 64 anni (7,9%).<br />
Abbiamo già fatto notare come potrebbe essere sensato e razionale che le famiglie più giovani siano maggiormente indebitate,<br />
magari per l’acquisto <strong>del</strong>la prima casa, tuttavia fa pensare che, sempre nella fascia tra i 35 e 44 anni, molti prendano a<br />
prestito soprattutto per l’acquisto di beni di consumo. Infatti, se a fine 2010 il 18,6% dei giovani capifamiglia si indebitava<br />
per l’acquisto di immobili, un altro 18,8% era indebitato per l’acquisto di beni di consumo. Dati che appaiono molto distanti<br />
dai valori <strong>del</strong>l’1,9% e 3,5% che riguardano gli ultra 64enni.<br />
A nostro avviso le differenze che vengono rilevate per età non appaiono dovute solo alla diversa fase di vita attraversata dagli<br />
individui, ma anche da una sostanziale differenza nelle opportunità a disposizione dei giovani di oggi rispetto al passato, oltre<br />
che probabilmente a differenze nelle attitudini e comportamenti.<br />
La difficile fase che sta attraversando attualmente l’economia italiana sta di certo colpendo tutti, tuttavia ci sembra che le<br />
giovani generazioni stiano pagando un prezzo molto più caro.<br />
48
Dato l’elevato stock di ricchezza ancora disponibile e per lo più in mano alle generazioni più anziane, una domanda che ci<br />
si potrebbe porre è se questo stock possa essere in qualche modo sfruttato per aiutare i giovani al fine di sviluppare il loro<br />
capitale umano e supportare le loro iniziative imprenditoriali, in modo da migliorarne le opportunità di reddito. Questo<br />
potrebbe persino trasformarsi in un volano di crescita, se inserito in un patto intergenerazionale.<br />
Dalle ultime ricerche <strong>del</strong> Censis 32 , emerge infine come il ruolo <strong>del</strong>la famiglia, ancor più rispetto che al passato, sia fondamentale,<br />
fungendo infatti sia da punto di riferimento che da rete di salvataggio. In Italia i legami famigliari restano forti ed estesi ben<br />
oltre i confini tradizionali <strong>del</strong> nucleo familiare stretto. Sempre da Banca d’Italia 33 nel 2010 il 42% dei giovani tra i 25 e 34<br />
anni viveva ancora con i genitori, mentre 15 anni prima erano “solo” il 36%. Tra l’altro risulta che nella tarda primavera <strong>del</strong><br />
2009 circa 480 mila famiglie italiane abbiano sostenuto almeno un figlio convivente che aveva perso il lavoro nei dodici mesi<br />
precedenti. Un ruolo di ammortizzatore sociale assolutamente di non scarsa rilevanza.<br />
32<br />
<strong>Rapporto</strong> Coldiretti/Censis (2012) “Crisi: vivere insieme, vivere meglio”.<br />
33<br />
A.N.Tarantola (2012) “Le famiglie Italiane nella Crisi”.<br />
49
PARTE TERZA<br />
RISPARMIO E<br />
RICCHEZZA: UN’ANALISI<br />
TERRIORIALE 34<br />
34<br />
Le analisi qui contenute si basano sulle stime <strong>del</strong> risparmio e <strong>del</strong>la ricchezza a livello territoriale di Prometeia. Per maggiori dettagli sulla metodologia si rimanda all’appendice<br />
che segue il capitolo.<br />
51
3.1 IL RISPARMIO A LIVELLO TERRITORIALE<br />
L’obiettivo <strong>del</strong> presente paragrafo è quello di analizzare l’evoluzione dei flussi di risparmio a livello territoriale ed evidenziare<br />
comportamenti differenziati nell’attuale scenario contraddistinto da una perdurante debolezza <strong>del</strong> ciclo economico e da una<br />
bassa crescita dei redditi.<br />
Partendo dall’analisi <strong>del</strong>l’andamento <strong>del</strong> risparmio lordo (Figura 29) misurato in termini reali, l’aspetto che emerge in<br />
maniera più evidente è che l’area meridionale <strong>del</strong> Paese, in controtendenza rispetto alle altre, vede una progressiva crescita<br />
<strong>del</strong> risparmio pro capite tra il 2000 e il 2009; a partire dal 2009 l’indicatore in esame riferito alle regioni <strong>del</strong> Sud si posiziona<br />
per la prima volta al di sopra <strong>del</strong>la media nazionale, pur in un contesto di flessione che riguarda tutte le aree. Il risparmio<br />
pro capite <strong>del</strong>l’area settentrionale <strong>del</strong> Paese (Nord Ovest in particolare) diminuisce negli ultimi cinque anni, condizionato dal<br />
rallentamento pronunciato <strong>del</strong> ciclo economico mentre quello <strong>del</strong> Centro mostra ampie oscillazioni e, nonostante la buona<br />
tenuta fino al 2009, segna negli ultimi anni una flessione che lo spinge a ridosso <strong>del</strong> valore <strong>del</strong>la media nazionale. Il triennio<br />
2010-2012 è caratterizzato da un ridimensionamento <strong>del</strong> risparmio pro capite esteso a tutte le aree, fatta eccezione per il<br />
Nord Est. In quest’ultimo caso infatti la buona tenuta dei dati di risparmio è spiegata, come vedremo nelle parti successive<br />
<strong>del</strong> paragrafo, da un rimbalzo <strong>del</strong> reddito disponibile; questa performance può essere ricondotta ad un mo<strong>del</strong>lo di sviluppo<br />
economico <strong>del</strong> Nord Est fortemente basato sull’export (cosiddetto “export-led”) che ha beneficiato nel periodo compreso tra<br />
il 2009 e il 2011 di una ripresa <strong>del</strong> commercio mondiale.<br />
Figura 29:<br />
<strong>Risparmio</strong> lordo pro<br />
capite - dati in euro<br />
migliaia<br />
7,0<br />
6,0<br />
5,0<br />
4,0<br />
3,0<br />
2,0<br />
1,0<br />
Fonte: Elaborazioni <strong>UniCredit</strong>/Pioneer su<br />
dati Prometeia<br />
0,0<br />
1997<br />
1998<br />
1999<br />
2000<br />
2001<br />
2002<br />
2003<br />
2004<br />
2005<br />
2006<br />
2007<br />
2008<br />
2009<br />
2010<br />
2011<br />
2012E<br />
Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole Italia<br />
Passando all’analisi <strong>del</strong>la propensione al risparmio (Figura 30), ottenuta come rapporto tra risparmio lordo e reddito<br />
disponibile, è ancora il Sud a mostrare una crescita tale da permettere all’area di posizionarsi ben al di sopra <strong>del</strong>la media<br />
nazionale a partire dal 2004. Sempre sullo stesso periodo d’osservazione il Nord Ovest registra una graduale flessione nella<br />
propensione al risparmio e si mantiene al di sotto <strong>del</strong>la media nazionale sostanzialmente per tutto il periodo in esame. Anche<br />
il Nord Est, che fino al 2003 si collocava al di sopra <strong>del</strong>la media italiana, segna a partire dall’anno successivo un calo che lo<br />
posiziona sempre al di sotto <strong>del</strong> valore nazionale. Il Centro, seppur in un percorso di contrazione, si mantiene superiore al<br />
dato nazionale.<br />
52
Figura 30:<br />
Propensione al risparmio<br />
- valori percentuali<br />
30<br />
25<br />
20<br />
15<br />
10<br />
5<br />
0<br />
Fonte: Elaborazioni <strong>UniCredit</strong>/Pioneer su<br />
dati Prometeia<br />
1997<br />
1998<br />
1999<br />
2000<br />
2001<br />
2002<br />
2003<br />
2004<br />
2005<br />
2006<br />
2007<br />
2008<br />
2009<br />
2010<br />
2011<br />
2012E<br />
Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole Italia<br />
Come già osservato per il risparmio pro capite, anche la propensione al risparmio nel biennio 2010-2011 mostra un calo<br />
diffuso pressoché ovunque con il solo Nord Est a muoversi in controtendenza.<br />
In particolare il Mezzogiorno si è dimostrato più incline al risparmio ed è presente presso le famiglie meridionali un’attitudine<br />
a ridimensionare i consumi e rafforzare quindi la natura di risparmio precauzionale. Tra i fattori che hanno influenzato e<br />
probabilmente stanno influenzando tali scelte di consumo alcuni possono derivare da aspettative negative sulla situazione<br />
economica soprattutto in riferimento all’occupazione. Inoltre l’aumento <strong>del</strong> risparmio non implica necessariamente che le<br />
famiglie meridionali stiano colmando il gap che le separa da quelle residenti in altre aree <strong>del</strong> paese in termini di ricchezza,<br />
aspetto che sarà analizzato in maggiore dettaglio nel paragrafo seguente. La ricchezza, infatti, si origina non solo dal risparmio<br />
ma anche da trasferimenti e variazioni di valore <strong>del</strong>la ricchezza stessa.<br />
L’analisi <strong>del</strong>la propensione al risparmio elaborata su scala regionale (Figura 31) <strong>del</strong>inea una situazione eterogenea le cui<br />
caratteristiche principali sono sintetizzate in una sostanziale “inversione di polarità”. Tra il 1997 e il 2011 sono solo le regioni<br />
meridionali ad evidenziare una crescita <strong>del</strong>l’indicatore mentre quelle settentrionali registrano una flessione; il Centro si<br />
conferma su livelli stabili.<br />
53
Figura 31:<br />
Propensione al risparmio<br />
su base regionale:<br />
1997 (sinistra) vs 2011<br />
(destra) - valori percentuali<br />
3.41 - 14.9<br />
14.9 - 21.66<br />
21.66 - 24.3<br />
24.3 - 31.29<br />
1.98 - 9.57<br />
9.57 - 14.18<br />
14.18 - 16.17<br />
16.17 - 27.43<br />
Fonte: Elaborazioni <strong>UniCredit</strong>/Pioneer su<br />
dati Prometeia<br />
I dati sul risparmio sin qui esaminati mostrano da un lato un incremento nell’area meridionale e dall’altro una situazione<br />
regionale più eterogenea; per questo motivo al fine di comprendere in maniera più profonda il fenomeno occorre spostare<br />
l‘attenzione sull’andamento e le caratteristiche dei flussi da cui tale risparmio si origina, vale a dire il reddito e i consumi.<br />
L‘andamento <strong>del</strong> reddito disponibile, misurato in termini reali, mostra una dinamica lievemente migliore nella parte<br />
meridionale <strong>del</strong> Paese. In particolare la media <strong>del</strong>la grandezza in questione riferita al periodo 2008-2012 risulta in flessione<br />
rispetto a quella <strong>del</strong> 1997-2007, tuttavia la diminuzione appare più contenuta per le regioni meridionali (Figura 32). Questo<br />
andamento è imputabile per buona parte ad operazioni di redistribuzione secondaria <strong>del</strong> reddito, sia per ciò che riguarda la<br />
componente <strong>del</strong>le imposte correnti che quella <strong>del</strong>le prestazioni sociali e altri trasferimenti netti.<br />
Figura 32:<br />
Media reddito disponibile<br />
pro capite – dati in<br />
euro migliaia<br />
26,8 26,6<br />
25,1 25,2<br />
24,5<br />
23,5<br />
17,5 16,9<br />
23,1<br />
22,0<br />
Fonte: Elaborazioni <strong>UniCredit</strong>/Pioneer su<br />
dati Prometeia<br />
Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole Italia<br />
1997-2007 2008-2012E<br />
54
Più recentemente tali tendenze appaiono confermate nel generale rallentamento che la crisi economico-finanziaria ha<br />
imposto sulla dinamica <strong>del</strong> reddito; in particolare per il 2012 la variazione percentuale <strong>del</strong> reddito disponibile è stimata in<br />
flessione di oltre quattro punti percentuali in termini reali per tutte le macro aree, con un intervallo che va dal -4,43% <strong>del</strong> Nord<br />
Ovest al -4,37% <strong>del</strong> Nord Est. Guardando invece gli anni tra il 2007 e il 2011 la contrazione più sensibile è quella registrata<br />
dal reddito disponibile <strong>del</strong> Nord Ovest (Figura 33), soprattutto a causa <strong>del</strong>la componente dei redditi da capitale netti. Sul<br />
punto è opportuno soffermarsi dal momento che consente di evidenziare per i diversi territori una struttura produttiva e<br />
un comportamento economico differenziato. Recenti studi 35 , infatti, sottolineano che durante la crisi il maggiore peso <strong>del</strong><br />
terziario e <strong>del</strong>la pubblica amministrazione sull’economia <strong>del</strong> Centro (condizionata dal dato <strong>del</strong> Lazio 36 ) e <strong>del</strong> Mezzogiorno ha<br />
determinato una flessione <strong>del</strong> valore aggiunto meno intenso <strong>del</strong>la media nazionale; non solo la presenza di spesa pubblica<br />
si configura come un elemento di stabilizzazione dei redditi, ma retribuzioni <strong>del</strong>la pubblica amministrazione in media più<br />
elevate rispetto a quelle di altri redditi da lavoro dipendente 37 forniscono un ulteriore “cuscino” di sicurezza nei momenti più<br />
duri <strong>del</strong>la congiuntura. Ad ogni modo nelle fasi di ripresa <strong>del</strong> ciclo economico, i salari pubblici tendono a seguire con un certo<br />
sfasamento temporale l’incremento dei redditi <strong>del</strong> settore privato.<br />
La minor esposizione al debito <strong>del</strong>le famiglie meridionali e una ricchezza più concentrata in attività liquide e meno rischiose<br />
hanno ridotto l’impatto <strong>del</strong>la crisi; in altri termini la maggiore propensione ad effettuare investimenti meno rischiosi (depositi<br />
postali, ad esempio) ha mitigato la perdita dei portafogli finanziari.<br />
Figura 33:<br />
Andamento tendenziale<br />
reddito disponibile –<br />
valori percentuali<br />
5<br />
4<br />
3<br />
2<br />
1<br />
0<br />
-1<br />
-2<br />
-3<br />
-4<br />
-5<br />
Fonte: Elaborazioni <strong>UniCredit</strong>/Pioneer su<br />
dati Prometeia<br />
1998<br />
1999<br />
2000<br />
2001<br />
2002<br />
2003<br />
2004<br />
2005<br />
2006<br />
2007<br />
2008<br />
2009<br />
2010<br />
2011<br />
Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole Italia<br />
2012E<br />
Guardando adesso la dinamica dei consumi, anch’essi per omogeneità misurati in termini reali, si nota che la crescita <strong>del</strong>la<br />
media <strong>del</strong> consumo pro capite riferito ai due periodi oggetto d’osservazione (2008-2012 vs. 1997-2007) è negativa nelle<br />
regioni <strong>del</strong> Sud, in controtendenza rispetto al dato positivo registrato nelle regioni <strong>del</strong> Nord e alla sostanziale stabilità <strong>del</strong><br />
Centro.<br />
35<br />
Sassaroli P. e Tartamella F., “Le conseguenze <strong>del</strong>la crisi economica sul reddito disponibile <strong>del</strong>le famiglie nelle diverse regioni italiane”, XXXIII Conferenza italiana di scienze<br />
regionali (2011) Istat.<br />
36<br />
I dati contenuti nei Conti Pubblici Territoriali <strong>del</strong>l’Istat mostrano che la quota percentuale <strong>del</strong>le spese per personale <strong>del</strong>la Pubblica Amministrazione, in tutte le sue forme di<br />
governo, è pari in media (1996-2010) al 14% <strong>del</strong> totale Italia per la regione Lazio e al 12% <strong>del</strong>la regione Lombardia.<br />
37<br />
Giordano R. “I differenziali salariali tra i settori pubblico e privato in Italia”, Mezzogiorno e Politiche Regionali (2009) Banca d’Italia.<br />
55
Figura 34:<br />
Media consumo pro<br />
capite – dati in euro<br />
migliaia<br />
22,9 23,3<br />
22,4 22,7<br />
19,6 19,4<br />
15,1<br />
13,8<br />
19,5 19,2<br />
Fonte: Elaborazioni <strong>UniCredit</strong>/Pioneer su<br />
dati Prometeia<br />
Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole Italia<br />
1997-2007 2008-2012E<br />
Di conseguenza la crescita <strong>del</strong> risparmio che caratterizza le regioni meridionali appare imputabile alla dinamica <strong>del</strong>udente dei<br />
consumi ed avvalora l’ipotesi che più che dimostrazione di miglioramento <strong>del</strong>la condizione economica sia in realtà il segnale<br />
di un’incapacità di confermare precedenti livelli di spesa. Le famiglie meridionali prima e ancor più ora in conseguenza <strong>del</strong>la<br />
profonda recessione in atto mostrano comportamenti di consumo in parte differenti da quelli <strong>del</strong>le altre aree (Figura 35).<br />
12<br />
Figura 35:<br />
Andamento tendenziale<br />
consumo – valori percentuali<br />
10<br />
8<br />
6<br />
4<br />
2<br />
0<br />
-2<br />
-4<br />
-6<br />
-8<br />
-10<br />
Fonte: Elaborazioni <strong>UniCredit</strong>/Pioneer su<br />
dati Prometeia<br />
1998<br />
1999<br />
2000<br />
2001<br />
2002<br />
2003<br />
2004<br />
2005<br />
2006<br />
2007<br />
2008<br />
2009<br />
2010<br />
2011<br />
2012E<br />
Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole Italia<br />
56
Questi comportamenti risultano confermati anche dai dati <strong>del</strong> consumo pro capite ripartiti su scala regionale; la fotografia<br />
intertemporale (Figura 36) prova che le regioni meridionali si mantengono su livelli di consumo inferiori rispetto alla media<br />
nazionale sia per quanto riguarda la rilevazione <strong>del</strong> 1997 sia <strong>del</strong> 2011.<br />
Le analisi contenute in recenti pubblicazioni 38 sottolineano come tra il 2000 e il 2010 le famiglie meridionali abbiano<br />
destinato una quota sempre maggiore <strong>del</strong>la spesa mensile a consumi incomprimibili come ad esempio quelli alimentari<br />
e quelli legati ad utenze domestiche ed energia, a fronte di una contrazione in altre voci di spesa rinviabili o relative a beni<br />
non necessari e al tempo libero. La propensione al consumo <strong>del</strong>le famiglie meridionali potrebbe essere stata influenzata<br />
da diversi fattori tra cui la percezione di una maggiore incertezza sulle prospettive future che potrebbe aver alimentato<br />
forme di accumulo a scopo precauzionale. In altri termini aspettative pessimistiche sul futuro potrebbero portare le famiglie<br />
meridionali a spendere meno di quanto vorrebbero.<br />
Figura 36:<br />
Consumo pro capite su<br />
base regionale, prezzi<br />
reali: 1997 (sinistra) vs<br />
2011 (destra) - dati in<br />
euro<br />
13038.91 - 15268.42<br />
15268.42 - 17636.96<br />
17636.96 - 18125.55<br />
18125.55 - 22713.05<br />
12059.66 - 14178.38<br />
14178.38 - 19019.65<br />
19019.65 - 22392.25<br />
22392.25 - 24509.93<br />
Fonte: Elaborazioni <strong>UniCredit</strong>/Pioneer su<br />
dati Prometeia<br />
38<br />
Cinti E., Neri S., “I consumi nella grande crisi: le tendenze regionali recenti” XXXIII Conferenza italiana di scienze regionali, Prometeia, 2012.<br />
57
3.2 LA RICCHEZZA FINANZIARIA A LIVELLO TERRITORIALE<br />
Completata l’analisi <strong>del</strong> risparmio e <strong>del</strong>le dinamiche che ne determinano la formazione, il presente paragrafo si concentra<br />
sugli stock di ricchezza finanziaria, sulla loro evoluzione, sulla loro composizione nella prospettiva territoriale.<br />
La ricchezza finanziaria rimane concentrata in Italia nelle regioni <strong>del</strong> Nord, che detengono una quota <strong>del</strong> totale stabilmente<br />
superiore al sessanta per cento (Figura 37). Anche guardando ai dati su base pro capite (il calcolo è effettuato considerando<br />
solo la popolazione di età superiore ai diciotto anni) la realtà fotografata è analoga; le regioni <strong>del</strong> Nord raccolgono un valore<br />
<strong>del</strong>la ricchezza complessiva superiore rispetto al dato medio nazionale (Figura 38), mentre ben al di sotto si colloca il<br />
Mezzogiorno. Questo aspetto consente di comprendere in maniera più profonda anche i comportamenti di consumo dei quali<br />
si è diffusamente parlato nel paragrafo precedente. Il maggiore stock di ricchezza accumulato nelle regioni settentrionali<br />
rappresenta di fatto una forma di integrazione <strong>del</strong>le diverse forme <strong>del</strong> reddito da lavoro e contribuisce a mantenere più<br />
stabile il livello di consumi anche in momenti meno favorevoli <strong>del</strong> ciclo economico.<br />
La spiegazione di un arresto nell’accumulo di ricchezza risiede da un lato nella minore capacità di risparmio registrata<br />
soprattutto nelle aree <strong>del</strong> Centro Nord e dall’altro in un aspetto, non meno importante, legato al cosiddetto “effetto<br />
performance”, vale a dire quello dipendente dall’andamento dei prodotti di cui si compone la ricchezza finanziaria stessa.<br />
Proprio la composizione <strong>del</strong>la ricchezza finanziaria consente di analizzare un aspetto interessante legato al modo in cui le<br />
diverse aree <strong>del</strong> nostro paese decidono di impiegare il risparmio.<br />
Figura 37:<br />
Ripartizione <strong>del</strong>la<br />
ricchezza per macroaree<br />
– valori in euro miliardi<br />
3659 3669 3554<br />
3597<br />
695 701<br />
654 660<br />
698 704<br />
649 657<br />
831 808<br />
778 788<br />
1479<br />
1500 1428 1448<br />
Fonte: Elaborazioni <strong>UniCredit</strong>/Pioneer su<br />
dati Prometeia<br />
2009 2010 2011 2012E<br />
Sud e Isole Centro Nord Est Nord Ovest<br />
58
Figura 38:<br />
Ricchezza pro capite<br />
calcolata su la<br />
popolazione maggiore<br />
dei 18 anni – valori in<br />
euro migliaia<br />
111,2<br />
105,4 106,3<br />
83,3<br />
79,8<br />
80<br />
65,9<br />
64,5<br />
64,9<br />
41,1<br />
40,8<br />
41,1<br />
73,0<br />
70,4<br />
71,0<br />
Fonte: Elaborazioni <strong>UniCredit</strong>/Pioneer su<br />
dati Prometeia<br />
Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole Italia<br />
2010 2011 2012E<br />
A tal proposito nella Figura 39 abbiamo riportato la variazione percentuale <strong>del</strong>la ricchezza finanziaria riferita al triennio<br />
2010-2012 ripartita come di consueto per le diverse macroaree; in particolare il trend di ricchezza viene scomposto nelle sue<br />
due componenti, l’effetto flusso, legato all’andamento dei risparmi destinati dalle famiglie alle attività finanziarie e l’effetto<br />
performance, che come detto in precedenza, è connesso all’andamento <strong>del</strong>le attività sottostanti la ricchezza. Guardando al<br />
dato aggregato nazionale nell’anno in corso la ricchezza dovrebbe mostrare un progresso <strong>del</strong>l’1,2%, in buona parte (0,8%<br />
effetto performance) giustificato dall’andamento dei mercati; tuttavia questo incremento risulta ancora insufficiente a<br />
recuperare il livello pre-crisi.<br />
Inoltre i dati aperti su base territoriale (Figura 39) mostrano in maniera evidente che le oscillazioni <strong>del</strong>la ricchezza risultano<br />
molto più marcate nelle regioni <strong>del</strong> Nord rispetto a quanto invece avvenga in quelle <strong>del</strong> Sud. Ed è proprio l’effetto performance<br />
quello che amplifica tali variazioni, offrendo quindi un ulteriore spunto di analisi sulla composizione dei portafogli di ricchezza.<br />
59
Figura 39:<br />
Tendenziale <strong>del</strong>la ricchezza finanziaria e sue componenti – valori percentuali<br />
Fonte: Elaborazioni <strong>UniCredit</strong>/Pioneer su dati Prometeia<br />
Nord Ovest<br />
Nord Est<br />
1,4 - 4, 8 1,3<br />
0,3<br />
2,0 1,4 - 4, 8<br />
1,1<br />
1,3<br />
1,0<br />
-0,6 2,0<br />
1,1<br />
0,3<br />
1,0<br />
-0,6<br />
-5,9<br />
- 2,8 - 3,7 1,3<br />
0,4<br />
1,8 1,4 - 4, 8 1,3<br />
1,4<br />
0,9<br />
0,3<br />
2,0<br />
1,1<br />
1,0<br />
-4,6<br />
-0,6<br />
-5,1<br />
-5,9<br />
-5,9<br />
2010<br />
2011<br />
2012E<br />
2010<br />
2011<br />
2012E<br />
2010<br />
2011<br />
2012E<br />
2010<br />
2011<br />
2012E<br />
Centro<br />
Sud e Isole<br />
1,4 - 4, 8 1,3<br />
0,8 - 1,5 1,1<br />
0,3<br />
2,0<br />
1,1<br />
1,0 0,5<br />
1,4 1,2<br />
0,6<br />
-0,6<br />
-0,6<br />
-2,7<br />
1,0 - 0,4 0,8<br />
1,1 0,8<br />
0,6<br />
0,2<br />
-0,1<br />
-1,2<br />
-5,9<br />
2010<br />
2011<br />
2012E<br />
nuovo flusso di ricchezza finanziaria<br />
performance dei mercati<br />
Trend<br />
ricchezza = # + #<br />
2010<br />
2011<br />
2012E<br />
2010<br />
2011<br />
2012E<br />
60
Infatti l’aspetto più interessante che emerge dall’analisi è la forte propensione che il Sud manifesta per investimenti legati alla<br />
liquidità; come si vede nella Figura 40 oltre il cinquanta per cento <strong>del</strong>la ricchezza viene detenuta in depositi sia bancari che<br />
postali. Anche guardando ai dati ripartiti su base regionale (Figura 41), il quadro che ne risulta è perfettamente coerente con<br />
quella <strong>del</strong>l’area nel suo complesso. Ne risulta un’esposizione di portafoglio complessiva, orientata verso strumenti finanziari<br />
semplici, con un profilo di rischio contenuto ma conseguentemente anche poco remunerativi. Se infatti una strategia di<br />
questo tipo, ha consentito di proteggere meglio la ricchezza, soprattutto nelle turbolenze dei mercati finanziari <strong>del</strong>l’ultimo<br />
biennio, non è detto che essa rappresenti sempre la scelta ottimale. Infatti il maggiore peso di strumenti professionali di<br />
gestione <strong>del</strong> risparmio (come i fondi d’investimento o le riserve tecniche <strong>del</strong>le polizze assicurative), presenti principalmente<br />
nei portafogli dei risparmiatori <strong>del</strong> Nord Ovest, dovrebbe garantire un rendimento <strong>del</strong> capitale più adeguato su un orizzonte<br />
di tempo di medio lungo periodo. Un’interpretazione <strong>del</strong>le scelte d’investimento <strong>del</strong>le famiglie <strong>del</strong> Mezzogiorno è contenuta<br />
in un contributo elaborato dalla Banca d’Italia 39 . Lo studio in questione spiega che la gestione di un portafoglio di attività<br />
rischiose richiede un maggiore utilizzo <strong>del</strong>le informazioni rilevanti su quelle attività (costi di transazione, rendimenti <strong>del</strong>le<br />
attività e loro volatilità). La possibilità di utilizzare maggiore informazione finanziaria e di saperla correttamente interpretare<br />
può contribuire ad ampliare il livello di partecipazione al mercato <strong>del</strong>le attività rischiose; di qui sembra emergere per i<br />
risparmiatori <strong>del</strong> Sud una maggiore necessità di cultura finanziaria. Inoltre un’altra linea d’indagine contenuta nello studio si è<br />
concentrata sul ruolo dei rischi non diversificabili (i cosiddetti background risk), ovvero quei rischi tipicamente non assicurabili<br />
per i quali è presumibile che al loro aumentare le famiglie reagiscano riducendo o posticipando il proprio investimento in<br />
attività rischiose. Tra le fonti di rischio un ruolo centrale è da attribuirsi all’incertezza sui futuri redditi da lavoro e la gestione<br />
di un’attività imprenditoriale. Differenze in questi fattori, e in particolare nella probabilità di perdere il posto di lavoro, nei<br />
rischi connessi con un’attività imprenditoriale, possono contribuire a spiegare le disparità territoriali nell’allocazione <strong>del</strong>la<br />
ricchezza <strong>del</strong>le famiglie che si riscontrano nei dati.<br />
Figura 40:<br />
Ripartizione <strong>del</strong>la ricchezza<br />
per macroaree<br />
– valori in euro miliardi,<br />
scala sinistra composizione<br />
percentuale<br />
100%<br />
90%<br />
80%<br />
70%<br />
60%<br />
50%<br />
40%<br />
30%<br />
20%<br />
10%<br />
0%<br />
48 25 22 24 119<br />
101 42 32 29 204<br />
69<br />
107<br />
181<br />
52<br />
363<br />
719<br />
148<br />
102<br />
69<br />
66<br />
47<br />
118<br />
371<br />
366<br />
170<br />
84<br />
129<br />
148<br />
688<br />
296<br />
144<br />
55<br />
66<br />
37<br />
306<br />
257 172<br />
177 217<br />
823<br />
Nord Ovest<br />
Nord Ovest<br />
Nord Est<br />
Nord Est<br />
Centro<br />
Centro<br />
Sud e Isole<br />
Sud e Isole<br />
Italia<br />
Italia<br />
Fonte: Elaborazioni <strong>UniCredit</strong>/Pioneer su<br />
dati Prometeia<br />
Attività liquide - BANCHE Attività liquide - POSTE Assicurazioni e fondi pensione<br />
Titoli di Stato Obbligazioni Societarie* Azioni e partecipazioni<br />
Fondi Comuni<br />
Altro<br />
*Il 99% <strong>del</strong>la voce Obbligazioni Societarie è composta da obbligazioni emesse da banche<br />
39<br />
Leva L., “Le scelte finanziarie <strong>del</strong>le famiglie nelle macro aree territoriali italiane: la decisione di investire in attività finanziarie rischiose“ in Mezzogiorno e Politiche Regionali,<br />
Seminari e convegni, Workshops and Conferences, Banca d’Italia, 2009.<br />
61
Figura 41:<br />
Ripartizione regionale<br />
<strong>del</strong>le attività liquide<br />
su totale attività<br />
finanziarie – valori<br />
percentuali<br />
21.1 - 27.3<br />
27.3 - 38.7<br />
38.7 - 51.7<br />
51.7 - 65.6<br />
Fonte: Elaborazioni <strong>UniCredit</strong>/Pioneer su<br />
dati Prometeia<br />
62
APPENDICE<br />
METODOLOGICA<br />
ALL’ANALISI<br />
TERRITORIALE<br />
A CURA DI PROMETEIA<br />
63
1. La stima <strong>del</strong> risparmio a livello territoriale<br />
A livello regionale Istat diffonde gli aggregati che concorrono a formare il reddito disponibile <strong>del</strong>le famiglie residenti, mentre<br />
non sono disponibili dati ufficiali sul risparmio <strong>del</strong>le famiglie, in quanto Istat non fornisce la regionalizzazione <strong>del</strong> conto di<br />
utilizzazione <strong>del</strong> reddito, nel quale si ripartisce il reddito disponibile tra consumi e risparmio. La contabilità regionale, infatti,<br />
registra solo i consumi sul territorio economico, mentre per rendere omogeneo il confronto con il reddito e arrivare, quindi,<br />
alla determinazione <strong>del</strong> risparmio, è necessario procedere ad una stima dei consumi dei residenti a livello regionale.<br />
Per passare dai consumi sul territorio economico a quelli dei residenti è necessario stimare dunque:<br />
- i flussi di spesa dei residenti al di fuori <strong>del</strong>la regione e<br />
- i flussi di spesa dei non residenti nella regione.<br />
Una componente significativa di tali flussi è costituita dalle spese per turismo, per i quali si dispone di informazioni, mentre<br />
un peso particolarmente contenuto (specialmente se l’analisi non si spinge oltre il livello regionale) riveste la componente<br />
dei pendolari per motivi di studio o di lavoro sui quali, peraltro, non sono reperibili dati aggiornati.<br />
Come si vedrà più in dettaglio nelle pagine che seguono, una prima stima <strong>del</strong>la spesa per consumi <strong>del</strong>le famiglie residenti<br />
si ottiene attraverso la determinazione dei consumi turistici; a questa stima iniziale se ne affianca un’altra, ottenuta<br />
regionalizzando la spesa per consumi <strong>del</strong>le famiglie residenti registrata nella contabilità nazionale sulla base <strong>del</strong>l’indagine<br />
sui consumi <strong>del</strong>le famiglie svolta da Istat.<br />
1.1 I consumi turistici: le principali fonti di informazione<br />
La principale e più completa fonte d’informazione sul turismo risiederebbe nel Conto Satellite <strong>del</strong> Turismo (CST d’ora in poi),<br />
strumento in grado di collegare dati monetari (consumo, produzione e valore aggiunto) con dati fisici (arrivi, presenze, ecc.)<br />
e di effettuare una misurazione quantitativa <strong>del</strong> settore turistico in termini, ad esempio, di PIL e valore aggiunto turistici. Il<br />
primo CST per l’Italia relativo all’anno 2010 è stato diffuso da Istat lo scorso luglio.<br />
Un’altra fonte d’informazione è l’indagine censuaria Movimento dei clienti negli esercizi ricettivi di Istat, che rileva arrivi,<br />
presenze e permanenza media negli esercizi ricettivi fino al dettaglio provinciale e consente (per il periodo 2006-2010) di<br />
realizzare una matrice origine/destinazione (O/D d’ora in poi) di arrivi e presenze per regione di provenienza e di destinazione.<br />
L’indagine campionaria Viaggi e Vacanze, sempre di Istat, ha l’obiettivo di quantificare e analizzare i flussi turistici dei residenti<br />
in Italia, sia all’interno <strong>del</strong> Paese che all’estero, oltre che di fornire informazioni circa le modalità di effettuazione dei viaggi e<br />
le caratteristiche socio-demografiche dei turisti. Disponendo dei microdati <strong>del</strong>l’indagine è possibile costruire una matrice O/D<br />
che analoga alla precedente, ma caratterizzata da un set informativo più ampio in quanto:<br />
- tiene conto anche dei pernottamenti in abitazioni di proprietà, presso parenti e/o amici,<br />
- non limitandosi alle sole presenze registrate negli esercizi ricettivi offre anche una stima <strong>del</strong> sommerso,<br />
- copre un arco temporale più ampio.<br />
Una fonte che, a differenza <strong>del</strong>le due precedenti, offre indicazioni anche sulla spesa turistica e non solo sui flussi è rappresentata<br />
dall’indagine campionaria sul turismo internazionale <strong>del</strong>la Banca d’Italia. L’indagine è condotta su un campione dei principali<br />
punti di frontiera italiani e riguarda sia i viaggiatori stranieri che quelli italiani. Mediante l’indagine è possibile quantificare da<br />
un lato i flussi di turisti italiani all’estero per regione (e provincia) di residenza e le relative spese, dall’altro i flussi di turisti<br />
stranieri per regione (e provincia) italiana di destinazione e le relative spese.<br />
64
Una stima dei consumi turistici si trova anche nel <strong>Rapporto</strong> sul Turismo italiano, che contiene indicazioni sulla spesa turistica<br />
nelle regioni italiane (spesa degli stranieri, spesa all’estero, spesa nella regione di residenza, spesa degli altri italiani, spesa<br />
nelle altre regioni), ma che negli ultimi anni è stato pubblicato in maniera discontinua.<br />
1.2 I consumi turistici: le principali criticità<br />
Le fonti informative sinteticamente descritte nel paragrafo precedente non consentono di disporre direttamente di una serie<br />
completa di dati sui consumi turistici complessivi sul territorio regionale. Com’è stato evidenziato, l’indagine sul turismo<br />
internazionale offre indicazioni sulla spesa turistica degli stranieri in Italia e su quella degli italiani che viaggiano all’estero,<br />
ma com’è logico per la natura stessa <strong>del</strong>l’indagine, non contiene informazioni sulla spesa turistica degli italiani in Italia. Le<br />
difficoltà connesse alla stima di tale voce di spesa sono ben note agli esperti <strong>del</strong> settore. In un recente lavoro <strong>del</strong>la Banca<br />
d’Italia 40 , ad esempio, si effettua una stima <strong>del</strong>la spesa turistica degli italiani in Italia. I risultati ottenuti sono poi confrontati<br />
con stime provenienti da altre fonti (Istat, Eurostat, <strong>Rapporto</strong> sul turismo italiano, Ont-Isnart). Il raffronto 41 evidenzia<br />
differenze talvolta notevoli e di non facile spiegazione, non essendo disponibile in molti casi la descrizione dettagliata <strong>del</strong>la<br />
metodologia seguita.<br />
Una stima dei consumi turistici degli Italiani in Italia può essere ottenuta ipotizzando che la spesa media giornaliera di un<br />
turista straniero in una determinata regione italiana (di fonte Banca d’Italia) sia uguale alla spesa sostenuta da un turista<br />
italiano nella medesima regione. Tale ipotesi si espone senz’altro alla critica di omogeneizzare comportamenti di spesa<br />
spesso differenti secondo vari profili (scelta <strong>del</strong>la tipologia di alloggio, mezzo di trasporto utilizzato, solo per citarne alcuni),<br />
ma <strong>del</strong> resto appare la scelta più neutrale di fronte all’impossibilità di reperire informazioni sufficienti per <strong>del</strong>ineare un<br />
mo<strong>del</strong>lo di spesa specifico per italiani e stranieri. Un tentativo di discriminare i comportamenti di spesa degli uni e degli altri<br />
si trova nel già citato lavoro <strong>del</strong>la Banca d’Italia (cfr. sopra) in cui all’ipotesi base che la spesa dei turisti italiani effettuata<br />
in un’area sia analoga a quella sostenuta dagli stranieri nella stessa area viene applicato un fattore di correzione per tenere<br />
conto <strong>del</strong> fatto che la quota di stranieri che utilizza strutture ricettive di gamma più elevata è superiore a quella degli<br />
italiani. La scelta di questo elemento come unico fattore correttivo <strong>del</strong>la spesa, pur motivato dalla mancanza di informazioni<br />
statistiche su altri fattori di differenziazione, rischia di trascurare altri aspetti che concorrono a distinguere i consumi turistici<br />
di italiani e stranieri.<br />
1.3 La stima <strong>del</strong>la spesa di consumo <strong>del</strong>le famiglie residenti nelle regioni italiane<br />
L’approccio seguito nella stima ricalca in parte quello proposto da IRPET 42 . Tuttavia da quest’ultimo si differenzia, sia per<br />
alcune scelte operative (non specificate nella breve descrizione <strong>del</strong>la metodologia seguita da IRPET), sia nella costruzione<br />
<strong>del</strong>la banca dati.<br />
40<br />
Alivernini A. Una valutazione <strong>del</strong>le spese turistiche fra il Centro Nord e il Mezzogiorno (1998-2008), in Banca d’Italia (2011) L’integrazione economica tra il Mezzogiorno e il<br />
Centro Nord.<br />
41<br />
Cfr. Alivernini A. Una valutazione <strong>del</strong>le spese turistiche fra il Centro Nord e il Mezzogiorno (1998-2008), in Banca d’Italia (2011) L’integrazione economica tra il Mezzogiorno e<br />
il Centro Nord pag 209<br />
42<br />
Rosignoli S. (2009) Impatto effettivo e potenziale dei consumi turistici sull’economia <strong>del</strong>le regioni italiane, XXX Conferenza scientifica <strong>del</strong>l’Associazione Italiana di Scienze<br />
Regionali.<br />
65
1.3.1 I consumi turistici<br />
Nel lavoro di IRPET si costruisce in primo luogo una matrice O/D dei flussi turistici regionali sulla base <strong>del</strong>l’indagine Istat sui<br />
movimenti negli esercizi ricettivi e <strong>del</strong>l’indagine Banca d’Italia sul turismo internazionale. Tale matrice viene poi corretta<br />
con l’indagine Istat Viaggi e Vacanze per ripartizione italiana di provenienza e regione di destinazione per tener conto <strong>del</strong>le<br />
presenze turistiche non ufficiali.<br />
Disponendo tuttavia dei microdati <strong>del</strong>l’indagine Viaggi e Vacanze, si ritiene opportuno costruire la matrice O/D <strong>del</strong>le presenze<br />
turistiche a livello regionale direttamente sulla base <strong>del</strong>le informazioni contenute in quest’ultima indagine.<br />
Tenuto conto <strong>del</strong>le carenze informative di cui si è già detto, viene accettata l’ipotesi che la spesa media giornaliera di un<br />
turista straniero in una determinata regione italiana sia uguale alla spesa sostenuta da un turista italiano nella medesima<br />
regione. Pertanto moltiplicando ciascuna casella <strong>del</strong>la matrice dei flussi turistici per la spesa turistica media giornaliera si<br />
ottiene la matrice O/D <strong>del</strong>la spesa turistica a livello regionale. Tale matrice ha come totale di riga i consumi turistici che<br />
i residenti di una determinata regione italiana effettuano nella regione stessa, nelle altre regioni e all’estero, mentre il<br />
totale colonna individua i consumi turistici effettuati in una determinata regione dai residenti e dai non residenti (sia che<br />
provengano da altre regioni italiane che dall’estero).<br />
1.3.2 Una prima stima <strong>del</strong>la spesa per consumi <strong>del</strong>le famiglie residenti<br />
Per ottenere una prima stima dei consumi complessivi dei residenti è necessario includere nella matrice O/D <strong>del</strong>la spesa<br />
turistica descritta nel paragrafo precedente i consumi non turistici dei residenti 43 .<br />
Dalla matrice O/D <strong>del</strong>la spesa turistica si passa a quella <strong>del</strong>la spesa per consumi complessivi aggiungendo i consumi non<br />
turistici dei residenti a ciascun elemento posto sulla diagonale principale. Sommando per riga gli elementi <strong>del</strong>la matrice così<br />
modificata si ottiene una prima stima dei consumi <strong>del</strong>le famiglie residenti, calcolati aggregando i consumi (turistici e non)<br />
nella propria regione di residenza e quelli effettuati nelle altre regioni italiane e all’estero.<br />
1.3.3 La correzione <strong>del</strong>la prima stima<br />
Tenendo conto <strong>del</strong>le lacune informative di cui si è detto e <strong>del</strong>l’assenza di una metodologia di riferimento dettagliata sulla<br />
stima <strong>del</strong>la spesa turistica degli italiani sembra opportuno limare i risultati ottenuti con la metodologia descritta nei paragrafi<br />
3.1 e 3.2 sulla base di altre fonti informative. A tal proposito l’indagine campionaria sui consumi <strong>del</strong>le famiglie (Istat)<br />
analizza i comportamenti di spesa <strong>del</strong>le famiglie residenti, monitorando per ciascuna regione i consumi <strong>del</strong>le famiglie per<br />
capitolo di spesa. Sulla base dei risultati <strong>del</strong>l’indagine si può effettuare una regionalizzazione <strong>del</strong>la spesa per consumi <strong>del</strong>le<br />
famiglie residenti registrata dalla contabilità nazionale 44 .<br />
43<br />
La stima dei consumi non turistici dei residenti si ottiene sottraendo dai consumi sul territorio economico (di fonte Istat, contabilità regionale) il totale di colonna <strong>del</strong>la matrice<br />
O/D <strong>del</strong>la spesa turistica.<br />
44<br />
Per correggere i risultati contenuti nella matrice O/D risultante dalla prima stima, si esegue un bilanciamento bi-proporzionale <strong>del</strong>la matrice stessa imponendo ai totali riga il<br />
vincolo che scaturisce dalla regionalizzazione dei dati di contabilità nazionale e ai totali di colonna di quadrare con la spesa per consumi sul territorio che deriva dalla contabilità<br />
regionale di Istat. In questo modo si ottiene il duplice obiettivo di verificare la coerenza fra le diverse fonti utilizzate nella costruzione <strong>del</strong>la matrice e di affinare la stima <strong>del</strong>la spesa<br />
per consumi effettuata dai residenti in una determinata regione all’interno <strong>del</strong>la regione, in ciascuna <strong>del</strong>le altre regioni italiane e all’estero.<br />
66
1.4 La formazione <strong>del</strong> risparmio a livello regionale<br />
Una volta stimati i consumi <strong>del</strong>le famiglie per regione di residenza, questi ultimi vengono sottratti al reddito disponibile per<br />
determinare il risparmio a livello regionale 45 .<br />
A partire dal 1997 fino all’ultimo anno per il quale è disponibile l’indagine sui consumi <strong>del</strong>le famiglie, la stima <strong>del</strong> risparmio<br />
viene effettuata con la metodologia descritta nel paragrafo precedente e stimando con il mo<strong>del</strong>lo multi- regionale di<br />
Prometeia 46 i dati di contabilità Istat qualora non siano ancora stati diffusi.<br />
A partire dall’anno per il quale l’indagine sui consumi <strong>del</strong>le famiglie non è disponibile, la stima <strong>del</strong> risparmio viene realizzata<br />
sulla base dalla matrice O/D dei flussi di spesa e, per lo scenario a breve termine, tenendo conto <strong>del</strong>l’evoluzione dei consumi<br />
regionali prevista dal mo<strong>del</strong>lo multi- regionale (cfr. nota 45) e, a livello nazionale, <strong>del</strong>l’andamento di crediti e debiti <strong>del</strong>la<br />
bilancia turistica <strong>del</strong>l’Italia di fonte Associazione Prometeia.<br />
Per ciò che concerne i principali risultati <strong>del</strong>l’analisi, ossia il significativo aumento (fino al 2009) <strong>del</strong> risparmio pro capite da<br />
parte di alcune regioni meridionali rispetto al più <strong>del</strong>udente andamento registrato da quelle settentrionali sono opportune<br />
alcune precisazioni di seguito specificate.<br />
• La differenza di comportamento tra Nord e Sud d’Italia non è riconducibile ad una diversa incidenza <strong>del</strong> sommerso tra<br />
le due aree. In questo lavoro, infatti, la stima <strong>del</strong> risparmio si basa sui conti economici di Istat in cui è già compresa la<br />
stima <strong>del</strong> sommerso economico 47 : “L’Istat elabora correntemente le stime <strong>del</strong> PIL e <strong>del</strong>l’occupazione attribuibili alla parte di<br />
economia non osservata costituita dal sommerso economico. Quest’ultimo deriva dall’attività di produzione di beni e servizi<br />
che, pur essendo legale, sfugge all’osservazione diretta in quanto connessa al fenomeno <strong>del</strong>la frode fiscale e contributiva.<br />
Tale componente è già compresa nella stima <strong>del</strong> PIL e negli aggregati economici diffusi dall’Istat sia a livello nazionale sia<br />
territoriale” 48 .<br />
• La crescita <strong>del</strong> risparmio nel Mezzogiorno deriva principalmente dalla maggiore propensione a ridimensionare i consumi,<br />
tendenza che è andata accentuandosi con l’avvento <strong>del</strong>la crisi. Sui fattori che hanno influenzato tali scelte di consumo si<br />
possono avanzare ipotesi, relative ad esempio ad aspettative pessimistiche, condizionate da una più difficile situazione<br />
economica.<br />
• L’aumento <strong>del</strong> risparmio, infine, non implica necessariamente che le famiglie meridionali stiano colmando il gap che le<br />
separa da quelle residenti in altre aree <strong>del</strong> paese in termini di ricchezza. Tale stock, infatti, trae origine da diverse fonti:<br />
il risparmio, ma anche i trasferimenti di ricchezza, come donazioni ed eredità e le variazioni di valore dei beni posseduti.<br />
Pertanto, più che tradursi in un accumulo di ricchezza il risparmio <strong>del</strong> Mezzogiorno potrebbe essere dettato, piuttosto, dallo<br />
sforzo di arginarne l’erosione.<br />
45<br />
Per ottenere il risparmio regionale, dal reddito disponibile, che nella definizione di Istat include oltre alle famiglie anche le Istituzioni Sociali Private, è stata sottratta anche<br />
la spesa per consumi di queste ultime registrata dalla contabilità regionale e che rappresenta una voce di spesa estremamente contenuta (a livello nazionale circa lo 0,5% dei<br />
consumi finali). Le stime <strong>del</strong> risparmio regionale sono ottenute sottraendo al reddito disponibile i consumi finali, senza tener conto <strong>del</strong>la voce “Rettifica per variazione dei diritti<br />
netti <strong>del</strong>le famiglie sulle riserve dei fondi pensione”, voce che è diffusa da Istat solo a livello nazionale.<br />
46<br />
Si tratta <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo utilizzato nell’ambito <strong>del</strong> servizio Scenari per le economie locali di Prometeia.<br />
47<br />
È bene precisare che il sommerso economico non comprende le attività illegali, ossia quelle attività di produzione di beni e servizi la cui vendita, distribuzione o possesso sono<br />
proibite dalla legge, sia quelle attività che, pur essendo legali, sono svolte da operatori non autorizzati (ad esempio, l’aborto eseguito da medici non autorizzati).<br />
48<br />
Istat (2010), Dossier. L’economia sommersa: stime nazionali e regionali, Audizione <strong>del</strong> Presidente <strong>del</strong>l’Istituto nazionale di statistica Enrico Giovannini presso la Commissione<br />
parlamentare di vigilanza sull’Anagrafe tributaria, Roma, 22 luglio 2010.<br />
67
2. La stima <strong>del</strong>la ricchezza a livello territoriale<br />
A livello nazionale la Banca d’Italia rende disponibili gli aggregati storici (stock e flussi) di ricchezza finanziaria <strong>del</strong>le famiglie<br />
residenti 49 , mentre Prometeia costruisce uno scenario previsivo su stock e flussi di tale ricchezza.<br />
A livello territoriale invece sono disponibili dalle pubblicazioni ”L’economia <strong>del</strong>le regioni italiane” e dai singoli bollettini<br />
economici regionali sempre di Banca d’Italia, i valori storici per la ricchezza finanziaria complessiva a livello locale e per<br />
alcune sue sottovoci.<br />
Le componenti mancanti a livello territoriale sono stimate attraverso <strong>del</strong>le tecniche matematico-statistiche e la ricostruzione<br />
storica consente l’applicazione di mo<strong>del</strong>li econometrici di tipo Panel necessari poi per la determinazione <strong>del</strong>lo scenario<br />
previsivo territoriale.<br />
Le voci territoriali così ricostruite sono raccordate agli aggregati nazionali che compongono la ricchezza finanziaria in modo<br />
da realizzare uno scenario regionale coerente con lo scenario macroeconomico di Prometeia.<br />
La Figura 42 mostra una sintesi <strong>del</strong>le componenti degli 8 principali aggregati <strong>del</strong>la ricchezza finanziaria <strong>del</strong>le famiglie presenti<br />
nei conti finanziari ufficiali e la ricostruzione di queste voci secondo il mo<strong>del</strong>lo di Prometeia.<br />
49<br />
Supplemento al Bollettino Statistico, Conti finanziari, Tavola TDHEA000, Banca d’Italia.<br />
68
Figura 42:<br />
Raccordo voci componenti attività finanziaria <strong>del</strong>le famiglie<br />
B anca d'Italia<br />
P rometeia<br />
attività liquide<br />
bancarie<br />
circolante e depositi bancari (biglietti, monete,<br />
depositi a vista, altri depositi presso IFM e<br />
Amministrazioni Centrali, depositi a vista verso<br />
Amministra Centrale circolante, depositi resto <strong>del</strong><br />
mondo)<br />
depositi bancari (eleborazioni su dati BdI), per il<br />
circolante si ipotizza che il comportamento tra i<br />
residenti <strong>del</strong>le 20 regioni sia lo stesso che si<br />
riscontra per il possesso di depositi.<br />
attività liquide<br />
postali<br />
depositi postali (buoni, libretti e c/c)<br />
depositi postali: buoni, libretti e c/c (stima<br />
Prometeia)<br />
titoli<br />
BOT, CCT, BTP e altri titoli m/l pubblici,<br />
Obbligazioni Private, Titoli (a Breve e m/l) resto <strong>del</strong><br />
mondo, Titoli a breve termine emessi da altri<br />
residenti. Il dato dei Titoli include le GPT<br />
stima dei titoli a partire dal dato <strong>del</strong>l'amministrata a<br />
valori di mercato <strong>del</strong> Bollettino Statistico, stima <strong>del</strong>le<br />
GPT<br />
obbligazioni<br />
bancarie<br />
Obbligazioni bancarie<br />
stima Prometeia<br />
quote fondi<br />
comuni<br />
Quote di fondi italiani, fondi resto <strong>del</strong> mondo. Le<br />
quote fondi comuni includono le GPF<br />
stima Prometeia<br />
azioni e<br />
partecipazioni<br />
azioni italiane, azioni resto <strong>del</strong> mondo<br />
stima <strong>del</strong>le azioni a partire dal dato<br />
<strong>del</strong>l'amministrata a valori di mercato <strong>del</strong> Bollettino<br />
Statistico<br />
riserve<br />
tecniche<br />
riserve tecniche, fondi pensioni e TFR riserve tecniche (stima Prometeia)<br />
altro<br />
altri conti attivi e<br />
passivi<br />
stima P rometeia