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Primo Rapporto Osservatorio del Risparmio UniCredit ... - UniNews

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<strong>Primo</strong> <strong>Rapporto</strong><br />

<strong>Osservatorio</strong><br />

<strong>del</strong> <strong>Risparmio</strong><br />

<strong>UniCredit</strong><br />

Pioneer<br />

Investments<br />

Famiglie che resistono<br />

e famiglie alla ricerca di<br />

nuovi mo<strong>del</strong>li di risparmio<br />

2012


PRIMO RAPPORTO<br />

OSSERVATORIO DEL<br />

RISPARMIO UNICREDIT<br />

PIONEER INVESTMENTS<br />

Famiglie che resistono e famiglie alla<br />

ricerca di nuovi mo<strong>del</strong>li di risparmio<br />

2012<br />

1


Responsabili scientifici:<br />

Marcello Calabrò, Massimo Costantino Macchitella, Zeno Rotondi<br />

Coordinatori:<br />

Angela Botticini, Laura Marzorati<br />

Hanno contribuito alla stesura <strong>del</strong>la presente edizione<br />

Territorial Research and Strategies, <strong>UniCredit</strong><br />

Angela Botticini<br />

Roberto Larotonda<br />

Marketing Individual Clients Italy, <strong>UniCredit</strong><br />

Matteo Fabbi<br />

Ilaria Marchioni<br />

Economic and Market research, Pioneer Investments<br />

Laura Marzorati<br />

Giovanni Russillo<br />

La nota metodologica è a cura di Prometeia<br />

Andrea Berardis<br />

Federica Coroneo<br />

Massimo Guagnini<br />

Cristiana Moriconi<br />

Livia Simongini<br />

Un ringraziamento particolare va a Daniele Fano<br />

2


Presentazione<br />

E’ un vero piacere per me introdurre questa prima edizione <strong>del</strong> <strong>Rapporto</strong> sul <strong>Risparmio</strong>, realizzato da <strong>UniCredit</strong> in collaborazione<br />

con Pioneer Investments e intitolato significativamente “Famiglie che resistono e famiglie alla ricerca di nuovi mo<strong>del</strong>li di<br />

risparmio”.<br />

Nonostante gli ultimi cinque anni siano stati caratterizzati da una crisi finanziaria senza precedenti, siamo ancora oggi un<br />

Paese ricco, ma che risparmia sempre meno e con una ricchezza molto immobilizzata.<br />

La ragione per cui si risparmia meno è legata principalmente al restringimento <strong>del</strong>la “torta” dei redditi. Sebbene negli ultimi<br />

dieci anni il reddito disponibile aggregato sia comunque rimasto pressoché stabile, l’aumento <strong>del</strong>la popolazione - grazie<br />

soprattutto all’incremento <strong>del</strong> numero di stranieri residenti - e una maggiore incidenza degli ultra sessantacinquenni hanno<br />

comportato che il reddito netto disponibile a livello pro capite si riducesse in termini reali (prezzi 2011) dai circa 18.000<br />

euro <strong>del</strong> 2001 ai circa 16.600 euro <strong>del</strong> 2011. Questa dinamica di contrazione <strong>del</strong> reddito ha riflesso l’andamento <strong>del</strong>la<br />

composizione per provenienza <strong>del</strong>le risorse che affluiscono alle famiglie. Mentre negli anni ‘80 oltre il 70% <strong>del</strong> reddito<br />

disponibile proveniva dal lavoro dipendente o autonomo, nel 2010 tale quota è scesa al 52%.<br />

Un Paese con una crescita debole lavora meno, produce meno reddito e quindi risparmia meno. In un contesto di debolezza<br />

<strong>del</strong>la domanda interna e di stringenti vincoli sul fronte <strong>del</strong>la spesa pubblica, comune a molte economie avanzate, la soluzione<br />

per tornare a risparmiare di più è quindi legata al riavvio di un ciclo di crescita, a suo volta legato alla capacità di competere<br />

meglio ed esportare di più, soprattutto nei paesi più dinamici.<br />

Inoltre, le incertezze sulle prospettive occupazionali dei giovani pongono oggi la sfida di gestire il risparmio pensando anche<br />

al futuro dei figli. L’esigenza sempre più pressante di pianificare il trasferimento intergenerazionale <strong>del</strong>la ricchezza coincide<br />

con la prima inversione <strong>del</strong> trend di espansione <strong>del</strong> benessere da una generazione alla successiva registrata a partire dal<br />

dopoguerra.<br />

Un’ulteriore preoccupazione per le famiglie, accentuata dalle recenti riforme <strong>del</strong> sistema pensionistico e dal trend demografico,<br />

è quella relativa all’integrazione dei propri redditi da pensione, onde evitare di ridurre fortemente le abitudini di consumo, con<br />

tutte le ovvie conseguenze sul benessere e la qualità <strong>del</strong>la vita.<br />

Le scelte di risparmio oggi sono quindi sicuramente più complesse per le famiglie. Accrescere il livello <strong>del</strong>le conoscenze dei<br />

cittadini in materia finanziaria è necessario per consentire decisioni più consapevoli e informate su temi che hanno un grande<br />

rilievo per determinare la futura prosperità. Bisognerebbe inoltre agire sui comportamenti, per accrescere la cultura <strong>del</strong><br />

risparmio, rendendolo più facile, diffuso e automatico.<br />

Come possono contribuire gli intermediari finanziari e i gestori <strong>del</strong> patrimonio per cambiare la situazione?<br />

Il nostro Gruppo può fornire alcuni esempi concreti in merito. Accanto al miglioramento <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo di consulenza finalizzato<br />

a una offerta di servizi più flessibile e taylor-made in funzione <strong>del</strong>le mutate esigenze di risparmio <strong>del</strong>le famiglie, nel 2011<br />

<strong>UniCredit</strong> ha lanciato in Italia In-formati, il primo programma nazionale di educazione bancaria e finanziaria.<br />

In-formati rappresenta la nostra risposta concreta alla necessità di avvicinare maggiormente i cittadini e le imprese ai temi di<br />

banca e finanza. Abbiamo sentito il dovere di sostenere una maggiore conoscenza di questi argomenti per aiutare le famiglie<br />

a orientarsi con più consapevolezza nelle proprie scelte.<br />

3


I corsi di In-formati, tenuti da nostri colleghi, con un linguaggio semplice e trasparente hanno coinvolto circa 25 mila persone<br />

con un servizio gratuito di informazione portato nelle scuole, nelle università, nelle sedi <strong>del</strong>le associazioni di categoria, nelle<br />

imprese, nei punti di aggregazione di anziani, casalinghe, famiglie e nelle sedi <strong>del</strong> non profit locali.<br />

Un altro esempio, che ambisce a una platea ancor più vasta di potenziali fruitori, è rappresentato dall’<strong>Osservatorio</strong> <strong>del</strong><br />

<strong>Risparmio</strong> <strong>UniCredit</strong> - Pioneer Investments.<br />

L’analisi <strong>del</strong> <strong>Rapporto</strong> si articola lungo tre filoni. Il primo studia gli aspetti legati al risparmio <strong>del</strong>le famiglie italiane e alla sua<br />

allocazione, anche a confronto con i principali paesi industrializzati. Il secondo si occupa <strong>del</strong>la composizione, l’andamento nel<br />

tempo e la distribuzione <strong>del</strong>la ricchezza tra le diverse generazioni, anche sulla base <strong>del</strong>le informazioni rilevate da un campione<br />

di clienti <strong>UniCredit</strong>. E si conclude con un’analisi <strong>del</strong> risparmio e <strong>del</strong>la ricchezza <strong>del</strong>le famiglie secondo una declinazione<br />

territoriale, per aree geografiche e regioni.<br />

In quest’ultima parte <strong>del</strong> <strong>Rapporto</strong> emergono alcuni segnali originali rispetto al quadro nazionale di progressivo impoverimento<br />

<strong>del</strong>le famiglie.<br />

Durante la crisi, per esempio, il maggiore peso <strong>del</strong> terziario e <strong>del</strong>la pubblica amministrazione sull’economia <strong>del</strong> Centro ha<br />

determinato una flessione meno intensa <strong>del</strong>la propensione al risparmio. Anche il Mezzogiorno registra una tenuta <strong>del</strong>la<br />

propensione al risparmio, con un trend in crescita fino allo scoppio <strong>del</strong>la crisi e poi una inversione comunque contenuta<br />

rispetto alla media Italiana. Un altro dato interessante - specialmente nell’ottica di come far tornare a crescere il risparmio -<br />

è quello <strong>del</strong> Nord-Est dove, dopo un decennio di trend discendente, la propensione al risparmio è tornata a salire grazie al<br />

mo<strong>del</strong>lo di sviluppo territoriale basato sulla competitività e sull’orientamento alle esportazioni. Da quest’ultimo dato deriva<br />

chiaramente che per generare risorse interne per il risparmio è necessario tornare a crescere, soprattutto migliorando le<br />

condizioni di efficienza produttiva <strong>del</strong> sistema.<br />

Stiamo vivendo tutti, famiglie, imprese e banche, una fase difficile in cui, pur a fronte di un recupero graduale di credibilità<br />

come Paese all’estero, abbiamo ancora bisogno <strong>del</strong> risparmio italiano, che anche per tale ragione rappresenta una risorsa<br />

strategica da preservare, a supporto <strong>del</strong>la ripresa <strong>del</strong>l’attività produttiva,.<br />

Mi auguro che la nostra nuova iniziativa si riveli una “bussola” utile per orientarsi in questa <strong>del</strong>icata fase di evoluzione <strong>del</strong><br />

Paese.<br />

Roberto Nicastro<br />

Direttore Generale <strong>UniCredit</strong><br />

4


Indice<br />

SINTESI DEI PRINCIPALI RISULTATI 8<br />

PARTE PRIMA 11<br />

IL RISPARMIO DELLE FAMIGLIE ITALIANE E LA SUA ALLOCAZIONE 12<br />

1.1 IL RISPARMIO: MERCE RARA 12<br />

1.2 QUALCHE INDICAZIONE DALLA TEORIA 16<br />

1.3 DA FORMICHE A CICALE? 20<br />

1.4 L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI RISPARMIO 25<br />

1.5 QUANTO SI DOVREBBE RISPARMIARE? 27<br />

1.6 QUALE ALLOCAZIONE PER IL RISPARMIO? 29<br />

PARTE SECONDA 37<br />

DAI FLUSSI AGLI STOCK: LA RICCHEZZA DELLE FAMIGLIE IN ITALIA 38<br />

2.1 BUONE NOTIZIE SUL FRONTE RICCHEZZA 38<br />

2.2 NON E’ ORO TUTTO QUEL CHE LUCCICA 41<br />

2.3 LA RICCHEZZA DELLE GENERAZIONI 46<br />

PARTE TERZA 51<br />

RISPARMIO E RICCHEZZA: UN’ANALISI TERRITORIALE 52<br />

3.1 IL RISPARMIO A LIVELLO TERRITORIALE 52<br />

3.2 LA RICCHEZZA FINANZIARIA A LIVELLO TERRITORIALE 58<br />

Appendice metodologica all’analisi territoriale 63<br />

1. La stima <strong>del</strong> risparmio a livello territoriale 64<br />

1.1 I consumi turistici: le principali fonti di informazione 64<br />

1.2 I consumi turistici: le principali criticità 65<br />

1.3 La stima <strong>del</strong>la spesa di consumo <strong>del</strong>le famiglie residenti nelle regioni italiane 65<br />

1.3.1 I consumi turistici 65<br />

1.3.2 Una prima stima <strong>del</strong>la spesa per consumi <strong>del</strong>le famiglie residenti 66<br />

1.3.3 La correzione <strong>del</strong>la prima stima 66<br />

1.4 La formazione <strong>del</strong> risparmio a livello regionale 67<br />

2. La stima <strong>del</strong>la ricchezza a livello territoriale 68<br />

5


SINTESI DEI PRINCIPALI<br />

RISULTATI<br />

7


Sintesi dei principali risultati<br />

Il quadro <strong>del</strong>l’Italia che sembra emergere da questo primo rapporto <strong>del</strong>l’<strong>Osservatorio</strong> <strong>del</strong> <strong>Risparmio</strong> <strong>UniCredit</strong> - Pioneer<br />

Investments è quello di un paese che è ancora sostanzialmente ricco ma che sta vivendo un periodo storico particolarmente<br />

critico.<br />

Le famiglie italiane risparmiano sempre meno e, nella maggior parte dei casi, non per una loro specifica e volontaria scelta<br />

ma perchè stanno vedendo una graduale erosione dei redditi.<br />

Emerge un sostanziale divario tra bisogno percepito di risparmiare e risparmio effettivo. Cresce, infatti, il numero di individui<br />

che ritiene importante risparmiare, ma al tempo stesso scende il risparmio complessivo <strong>del</strong>le famiglie.<br />

La crisi si sta rivelando duratura e con conseguenze rilevanti.<br />

Unica tra le maggiori nazioni sviluppate che ha visto il reddito pro capite 1 scendere in termini reali a livelli comparabili a<br />

quelli di più di quindici anni fa, l’Italia è stata anche la nazione che ha mostrato il peggior tasso di crescita <strong>del</strong> PIL dal 2008<br />

in poi. Se il reddito disponibile diminuisce, i consumi <strong>del</strong>le famiglie non calano altrettanto rapidamente: il risparmio latita<br />

perchè le risorse si riducono e le spese ineludibili aumentano (o per lo meno non scendono).<br />

Tra l’altro, la riduzione <strong>del</strong> risparmio nazionale è stata accompagnata dal 2002 in poi da un deficit <strong>del</strong>la parte corrente <strong>del</strong>la<br />

bilancia dei pagamenti e dalla crescente necessità di attrarre capitali esteri per finanziare gli investimenti interni. Se un<br />

perdurante deficit <strong>del</strong>le partite correnti può essere sostenibile in un contesto di crescita, molto meno lo è per un’economia<br />

in una fase di stallo o in recessione.<br />

Non tutto è perduto però, la strada per un ritorno al riequilibrio passa necessariamente per una riduzione dei gap in produttività<br />

e competitività <strong>del</strong>le imprese nazionali e una prima scossa potrebbe proprio venire dall’export, che potrebbe fungere da<br />

volano e primo motore per una ripresa. Se è vero, infatti, che un alto livello di risparmio non genera necessariamente maggior<br />

crescita economica, sembra che in assenza di crescita difficilmente si riescono a mantenere elevati tassi di risparmio.<br />

Gli ultimi dati diffusi da Banca d’Italia riguardanti il mese di Luglio 2012 mostrano segnali incoraggianti sulle esportazioni, in<br />

netto miglioramento rispetto al 2011, anche se ancora è presto per parlare di una vera e propria inversione di tendenza <strong>del</strong>la<br />

parte corrente <strong>del</strong>la bilancia dei pagamenti.<br />

Se <strong>del</strong> lato imprese si può e bisogna fare ancora molto per rimettere in moto il paese, anche dal lato famiglie si deve fare di<br />

più, in particolare riguardo ad alcune criticità che sono emerse distintamente in questi ultimi anni.<br />

Una prima criticità riguarda la quantità di risparmio che per molte famiglie potrebbe essere insufficiente, tenendo conto <strong>del</strong>le<br />

future esigenze di spesa e soprattutto alla luce <strong>del</strong>le recenti riforme <strong>del</strong>la previdenza. I lavoratori italiani sembrano essere<br />

coscienti <strong>del</strong> fatto che dovranno provvedere da sé ai propri bisogni previdenziali, ma non riescono a far corrispondere a queste<br />

intenzioni <strong>del</strong>le misure concrete. L’adesione a fondi pensione integrativi appare ancora troppo bassa e nettamente inferiore<br />

rispetto alla media dei paesi sviluppati (non solo anglosassoni, ma anche <strong>del</strong>l’Europa continentale) e arrivare impreparati<br />

non appare certamente una prospettiva molto allettante. Per portare un maggior numero di persone a risparmiare per<br />

la pensione, innanzitutto, si potrebbe cominciare ad incentivare e sviluppare una cultura <strong>del</strong> risparmio, anche attraverso<br />

iniziative specifiche volte a rendere il piccolo risparmio più semplice, conveniente e magari automatico.<br />

1<br />

Il riferimento è al reddito netto disponibile valutato a prezzi costanti <strong>del</strong> 2011.<br />

8


Individui più coscienti riguardo alle conseguenze <strong>del</strong>le proprie scelte in ambito finanziario e di pianificazione potrebbero<br />

gestire meglio le risorse a loro disposizione. Per questo, sarebbero auspicabili interventi finalizzati a migliorare la cultura<br />

finanziaria generale, intervenendo non solo su individui già avvezzi al mondo <strong>del</strong>la finanza, ma anche sulle persone più<br />

svantaggiate, i giovani, e anche gli studenti. L’introduzione dei concetti di finanza e pianificazione già sui banchi di scuola<br />

avrebbe numerosi vantaggi: i giovani innanzitutto apprendono più facilmente e velocemente, inoltre sarebbe meno costoso<br />

raggiungere un numero più elevato di individui e sarebbe un sistema più egualitario. Un vero e proprio investimento per il<br />

futuro.<br />

Un ulteriore tema importante riguarda l’allocazione <strong>del</strong> risparmio.<br />

Dal confronto internazionale, emerge che in termini di ricchezza accumulata (e anche di livello di indebitamento) le famiglie<br />

italiane risultano ancora ben posizionate rispetto ai maggiori paesi europei e agli Stati Uniti. In particolare, lo stock di ricchezza<br />

al netto <strong>del</strong>le passività finanziarie appare ancora ragguardevole: 8.500 miliardi di euro, pari a oltre 7,8 volte il reddito lordo<br />

disponibile e 5,4 volte il PIL, che corrisponde a circa 140 mila euro pro capite. E’ importante assicurarsi che questa ricchezza<br />

venga preservata, non perda valore nel tempo ma anzi che possa diventare un volano di crescita per l’economia, nonché<br />

un’integrazione al reddito <strong>del</strong>le famiglie in tempi di crisi.<br />

Guardando alla composizione degli stock di ricchezza finanziaria, si evidenzia una penetrazione molto bassa <strong>del</strong> gestito (20%<br />

<strong>del</strong> portafoglio), meno <strong>del</strong>la metà <strong>del</strong>le quote rilevate in Francia e Germania. Gli italiani hanno, tra l’altro, reagito alla crisi <strong>del</strong><br />

2008 incrementando ulteriormente la propria posizione in attività liquide, in linea anche con quanto accaduto nel resto dei<br />

paesi, tuttavia, non necessariamente questo spostamento verso strumenti liquidi garantisce un sostanziale miglioramento<br />

<strong>del</strong>la qualità dei portafogli.<br />

Le recenti e attuali turbolenze dei mercati finanziari possono quantomeno servire a rendere i risparmiatori più consapevoli<br />

e preparati. Anche gli investimenti considerati poco rischiosi a volte possono invece rivelarsi molto volatili e l’unico modo<br />

per gestire in modo efficace il rischio è quello di diversificare, combinando attività che diano stabilità con quelle che<br />

possano offrire crescita nel tempo, attività che siano liquide con altre che offrano flussi cedolari nel tempo. Guardando la<br />

composizione media dei portafogli italiani il percorso da compiere appare ancora lungo, ma può essere supportato da esperti<br />

e professionisti. Da questo punto di vista le banche e i gestori di patrimoni dovranno essere pronti a raccogliere la sfida e a<br />

rilanciare un patto con i risparmiatori che deve essere basato sulla trasparenza e fiducia.<br />

Non da ultimo, un tema che merita maggiore approfondimento è quello relativo ai giovani.<br />

Il mercato <strong>del</strong> lavoro non sembra essere particolarmente recettivo e risparmiare per molti di loro sta diventando un miraggio.<br />

Inoltre, gli stock di ricchezza risultano fortemente concentrati nelle mani <strong>del</strong>le generazioni più anziane. Uno sforzo per<br />

liberare maggiori risorse da dedicare al capitale umano e alla nuove iniziative imprenditoriali dei giovani appare quantomeno<br />

doveroso, sia come antidoto per uscire dalla crisi attuale che come investimento per il futuro. Un nuovo patto tra generazioni<br />

che se da un lato potrebbe dare maggiori opportunità di sviluppo per i giovani, dall’altro potrebbe anche rappresentare quella<br />

nuova benzina per la crescita economica di cui il nostro Paese ha oggi come non mai un’impellente necessità.<br />

Passando dall’analisi a livello nazionale a quella territoriale, si conferma una generale contrazione <strong>del</strong> risparmio nel triennio<br />

2010-2012, caratterizzato da un ridimensionamento esteso a tutte le aree, fatta eccezione per il Nord Est, dove un mo<strong>del</strong>lo<br />

di sviluppo economico, fortemente basato sull’export ha contribuito a sostenere il reddito.<br />

9


Tuttavia, guardando agli ultimi cinque anni, le regioni <strong>del</strong> Nord hanno subito una contrazione <strong>del</strong> risparmio condizionata da<br />

un pronunciato rallentamento <strong>del</strong> ciclo economico, mentre le regioni <strong>del</strong> Sud hanno registrato una crescita <strong>del</strong> risparmio<br />

tra il 2000 e il 2009. Tuttavia, un’analisi più approfondita <strong>del</strong>le principali componenti dalle quali il risparmio si origina,<br />

reddito e consumo, sembra mostrare che tale incremento al Sud, più che indicativo di un miglioramento <strong>del</strong>la condizione<br />

economica, sia in realtà segnale di un’incapacità di confermare precedenti livelli di spesa. In realtà le famiglie meridionali<br />

hanno fortemente contratto le voci di spesa rinviabili mentre hanno destinato una quota sempre maggiore <strong>del</strong>la spesa a<br />

consumi incomprimibili. La propensione al consumo <strong>del</strong>le famiglie <strong>del</strong> Sud potrebbe essere stata influenzata inoltre da<br />

diversi fattori tra cui la percezione di una maggiore incertezza sulle prospettive future che potrebbe aver alimentato forme di<br />

accumulo a scopo precauzionale.<br />

Relativamente agli stock, la ricchezza finanziaria in Italia rimane concentrata nelle regioni <strong>del</strong> Nord, che detengono una quota<br />

stabilmente superiore al sessanta per cento <strong>del</strong> totale. Questo aspetto consente di comprendere in maniera più profonda<br />

anche i comportamenti di consumo; difatti, il maggiore stock di ricchezza accumulato nelle regioni settentrionali rappresenta<br />

una forma di integrazione di altre forme di reddito e contribuisce a mantenere più stabile il livello di spesa anche in momenti<br />

meno favorevoli <strong>del</strong> ciclo economico.<br />

La composizione <strong>del</strong>la ricchezza finanziaria consente di analizzare un aspetto interessante legato alle modalità in cui<br />

le diverse aree <strong>del</strong> nostro paese decidono di impiegare il risparmio. Infatti i dati aperti su base territoriale mostrano in<br />

maniera evidente che le oscillazioni <strong>del</strong>la ricchezza risultano molto più marcate nelle regioni <strong>del</strong> Nord rispetto a quanto<br />

invece avvenga in quelle <strong>del</strong> Sud. Ed è proprio l’effetto performance quello che amplifica tali variazioni, offrendo quindi un<br />

ulteriore spunto di analisi sulla composizione dei portafogli di ricchezza. L’aspetto più interessante che emerge dall’analisi<br />

è la forte propensione che il Sud manifesta per investimenti legati alla liquidità. Ne risulta un’esposizione di portafoglio<br />

complessiva orientata verso strumenti finanziari semplici con un profilo di rischio contenuto ma conseguentemente anche<br />

poco remunerativi. Se infatti una strategia di questo tipo, ha consentito di proteggere meglio la ricchezza soprattutto nelle<br />

turbolenze dei mercati finanziari non è detto che essa rappresenti sempre la scelta ottimale. Infatti il maggiore peso degli<br />

strumenti professionali di gestione <strong>del</strong> risparmio, presenti principalmente nei portafogli dei risparmiatori <strong>del</strong> Nord Ovest,<br />

dovrebbe garantire un rendimento <strong>del</strong> capitale più adeguato su un orizzonte di tempo di medio lungo periodo. Infine la<br />

possibilità di utilizzare maggiore informazione finanziaria e di saperla correttamente interpretare può contribuire ad ampliare<br />

il livello di partecipazione al mercato <strong>del</strong>le attività rischiose; da qui sembra emergere la necessità di approfondire la cultura<br />

finanziaria soprattutto in aree dove gli investimenti in attività liquide sembrano pesare in maniera eccessiva.<br />

Il documento è composto da tre sezioni.<br />

La prima parte si occupa <strong>del</strong>l’analisi dei flussi di risparmio <strong>del</strong>le famiglie, guardando al tema <strong>del</strong>la generazione nonché a<br />

quello <strong>del</strong>l’allocazione.<br />

La seconda parte è relativa all’analisi degli stock di ricchezza accumulati dalle famiglie e alla sua composizione, con uno<br />

sguardo anche sulle differenze per età.<br />

La terza parte è relativa all’analisi a livello regionale.<br />

10


PARTE PRIMA<br />

IL RISPARMIO DELLE<br />

FAMIGLIE ITALIANE E LA<br />

SUA ALLOCAZIONE<br />

11


1.1 IL RISPARMIO: MERCE RARA<br />

L’Italia è un paese che risparmia sempre meno. Dal 1995 ad oggi il risparmio nazionale ha subito un continuo ed inesorabile<br />

declino. Il trend è evidente e già noto ai più. Numerose sono infatti le volte nelle quali questi messaggi (o simili) sono<br />

comparsi sulle pagine dei giornali o hanno fatto parte di qualche servizio televisivo dai toni più o meno pessimistici. Nel giro<br />

di quasi vent’anni il tasso di risparmio lordo <strong>del</strong>le famiglie italiane è passato dal 21,9% nel 1995 ad un minimo <strong>del</strong> 12% nel<br />

2011 e le previsioni per il 2012 non sembrano indicare un’inversione di tendenza.<br />

A cosa è dovuto questo calo <strong>del</strong> risparmio e come bisogna interpretarlo?<br />

Possibile che gli italiani si siano dimenticati di essere diligenti formichine? E’ forse possibile che l’Italia abbia vissuto al di<br />

sopra dei propri mezzi per troppo tempo ed ora la realtà sia venuta a presentare il conto?<br />

Per poter fornire una risposta adeguata a questi interrogativi senza lasciarsi andare in giudizi tanto facili quanto scontati<br />

cerchiamo di analizzare i dati in maniera oggettiva e in dettaglio.<br />

Iniziamo col considerare il tasso di risparmio nazionale lordo, ovvero il rapporto tra il risparmio complessivo nazionale al<br />

lordo degli ammortamenti da una parte e il reddito nazionale disponibile, dall’altra. E’ una misura di quanto <strong>del</strong> reddito<br />

disponibile una nazione in aggregato ha accantonato nel corso <strong>del</strong>l’anno e destinato, di conseguenza, agli investimenti. Il<br />

risparmio nazionale italiano è calato notevolmente con il passare degli anni e il trend si è rivelato abbastanza costante nel<br />

tempo senza peraltro registrare significative inversioni di tendenza (Figura 1).<br />

Figura 1:<br />

<strong>Risparmio</strong> nazionale<br />

lordo in Italia in % al<br />

reddito nazionale lordo<br />

disponibile<br />

Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />

Investments su dati Istat<br />

25%<br />

23%<br />

21%<br />

19%<br />

17%<br />

15%<br />

12<br />

1995<br />

1996<br />

1997<br />

1998<br />

1999<br />

2000<br />

2001<br />

2002<br />

2003<br />

2004<br />

2005<br />

2006<br />

2007<br />

2008<br />

2009<br />

2010<br />

2011


Entriamo ora maggiormente nel dettaglio e proviamo a verificare quale particolare settore ha visto ridursi in maniera più<br />

consistente il proprio risparmio.<br />

La Figura 2 scompone il risparmio nazionale lordo in percentuale al PIL tra i diversi settori istituzionali, il periodo considerato<br />

è dal 1995 al 2011. Le categorie analizzate sono: amministrazioni pubbliche, famiglie produttrici 2 , famiglie consumatrici,<br />

imprese finanziarie 3 , imprese non finanziarie.<br />

Figura 2:<br />

<strong>Risparmio</strong> nazionale<br />

lordo in Italia in % al<br />

PIL: scomposizione per<br />

settori<br />

15%<br />

13%<br />

11%<br />

9%<br />

7%<br />

5%<br />

3%<br />

1%<br />

-1%<br />

-3%<br />

-5%<br />

1995 1997 1999 2001 2003 2005 2007 2009 2011<br />

Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />

Investments su dati Istat<br />

Società non finanziarie<br />

Amministrazioni pubbliche<br />

Famiglie consumatrici<br />

Società finanziarie<br />

Famiglie produttrici<br />

Questa semplice scomposizione ci permette di fare alcune interessanti considerazioni:<br />

1) Il settore pubblico, dopo periodi più o meno lunghi di risparmi positivi (prima dal 1998 al 2002 e poi dal 2006 al 2008),<br />

negli ultimi quattro anni è tornato a registrare risparmi costantemente negativi e, in generale, nei due decenni considerati il<br />

suo contributo al risparmio nazionale è stato pari al massimo al 1-2% <strong>del</strong> PIL, quando non si è rivelato negativo;<br />

2) Il risparmio <strong>del</strong> settore <strong>del</strong>le imprese (finanziarie e non) si è sempre aggirato intorno al 9-10% <strong>del</strong> PIL, con le imprese non<br />

finanziarie che hanno realizzato i risparmi maggiori (47% <strong>del</strong> risparmio nazionale nel 2011);<br />

3) Le famiglie produttrici hanno contribuito anch’esse con risparmi positivi e negli ultimi 6 anni in leggera crescita rispetto al<br />

PIL, fino ad arrivare nel 2011 a rappresentare il 15% <strong>del</strong> risparmio nazionale;<br />

4) Le famiglie consumatrici sono il settore che nel tempo ha diminuito in maniera più significativa il proprio risparmio:<br />

con valori (in percentuale al PIL) nel 2011 più che dimezzati rispetto a quelli registrati a metà degli anni ’90. Se nel 1995<br />

contribuivano per poco più <strong>del</strong> 60% <strong>del</strong> risparmio nazionale, negli anni successivi questa quota è scesa progressivamente<br />

sino al 36% <strong>del</strong> 2011.<br />

Le valutazioni non cambiano anche rapportando il risparmio lordo al reddito disponibile.<br />

Infatti, il saggio di risparmio <strong>del</strong>le famiglie consumatrici è passato dal 19,3% <strong>del</strong> 1995 all’8,8% <strong>del</strong> 2011. Va tuttavia precisato<br />

che se consideriamo le famiglie italiane nella loro interezza (cioè sia produttrici che consumatrici) questo dato migliora<br />

leggermente portandosi per il 2011 al, già citato, 12%.<br />

2<br />

Secondo l’Istat le Famiglie Produttrici comprendono le società semplici e le imprese individuali che operano nel settore non finanziario ed occupano fino a 5 dipendenti e le unità,<br />

prive di dipendenti, produttrici di servizi ausiliari <strong>del</strong>l’intermediazione finanziaria.<br />

3<br />

Sempre secondo l’Istat le Imprese Finanziarie comprendono la Banca Centrale, le banche che effettuano raccolta a breve e a lungo e le unità impegnate nelle attività regolamentate<br />

dal Testo Unico <strong>del</strong>le leggi in materia bancaria e creditizia (1/1/1994). Le Imprese Non Finanziarie comprendono, invece, le società di capitali, le società cooperative, le società<br />

di persone, le società semplici e le imprese individuali con oltre 5 dipendenti. Sono infine comprese anche le istituzioni non profit che producono beni e servizi destinabili alla<br />

vendita che possono essere oggetto di scambio sul mercato oppure esclusivamente destinati ad altre società non finanziarie.<br />

13


Sembrano quindi essere le famiglie consumatrici il vero problema <strong>del</strong> risparmio in Italia.<br />

Nel corso degli ultimi 17 anni esse sono state infatti le uniche ad aver ridotto in maniera consistente la quota di reddito<br />

destinata al risparmio, determinando quindi una sostanziale riduzione <strong>del</strong> loro risparmio e di conseguenza <strong>del</strong> risparmio<br />

nazionale.<br />

Proviamo ora a vedere se questo trend viene confermato da altre importanti economie avanzate oppure se è peculiare<br />

<strong>del</strong>l’Italia.<br />

La Figura 3 considera il tasso di risparmio lordo <strong>del</strong>le famiglie (consumatrici e produttrici) 4 per i più importanti paesi Europei<br />

e gli Stati Uniti.<br />

Figura 3:<br />

<strong>Risparmio</strong> lordo <strong>del</strong>le<br />

famiglie in % al reddito<br />

lordo disponibile<br />

Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />

Investments su dati Eurostat, Istituti di<br />

statistica nazionali<br />

in % al reddito lordo disponibile<br />

25%<br />

20%<br />

15%<br />

10%<br />

5%<br />

0%<br />

1995<br />

1996<br />

1997<br />

1998<br />

1999<br />

2000<br />

2001<br />

2002<br />

2003<br />

2004<br />

2005<br />

2006<br />

2007<br />

2008<br />

2009<br />

2010<br />

2011<br />

2012E<br />

Austria Francia Germania Italia<br />

Spagna Regno Unito Stati Uniti<br />

Dal confronto internazionale sembra filtrare qualche spiraglio di luce: il saggio di risparmio lordo <strong>del</strong>le famiglie italiane,<br />

pur essendosi ridotto nel tempo, risulta infatti ancora in media con le principali economie sviluppate. Tra l’altro, sebbene<br />

le nostre stime ci portino a pensare ad un’ulteriore riduzione nel 2012 (dal 12% di fine 2011 all’11,3%), l’Italia rimane<br />

relativamente nella media.<br />

Uno sguardo al quadro generale (Figura 3) permette di notare che negli ultimi 5 anni sembrano essersi formati tre gruppi di<br />

nazioni ben distinti:<br />

a) paesi dal risparmio stabile, dove troviamo Francia e Germania, caratterizzati da un tasso di risparmio <strong>del</strong>le famiglie che<br />

non ha subito significative variazioni nel tempo e che si mantiene ben al di sopra <strong>del</strong> 15%;<br />

b) paesi con il risparmio in visibile calo, dove troviamo Italia e Austria, accomunati dal 2007 in poi da una propensione al<br />

risparmio in progressiva discesa e ora attorno al 12-13% <strong>del</strong> reddito disponibile;<br />

c) paesi storicamente poco risparmiatori che però sono tornati a risparmiare di recente, in questo gruppo si collocano le<br />

economie anglosassoni. A partire dal 2008 le famiglie, di colpo meno ricche e con aspettative di reddito meno rosee, hanno<br />

invertito la tendenza riportandosi a livelli di risparmio comparabili a quelli <strong>del</strong>la seconda metà degli anni ’90. Questa tendenza<br />

è stata probabilmente rafforzata dal vistoso restringimento <strong>del</strong>l’offerta di credito che ha reso più difficoltoso accendere nuovi<br />

prestiti.<br />

4<br />

Non essendo disponibili per tutti i paesi dati disaggregati relativi alle sole famiglie consumatrici, il confronto viene effettuato sul totale famiglie (consumatrici e produttrici),<br />

includendo anche gli enti senza scopo di lucro. Per il resto <strong>del</strong>la pubblicazione, ove non specificato, il dato relativo alle famiglie si intende comprensivo di questi tre aggregati.<br />

14


Figura 4:<br />

<strong>Risparmio</strong> netto <strong>del</strong>le<br />

famiglie in % al reddito<br />

netto disponibile<br />

Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />

Investments su dati Eurostat, Istituti di<br />

statistica nazionali<br />

in % al reddito netto disponibile<br />

20%<br />

15%<br />

10%<br />

5%<br />

0%<br />

1995<br />

1996<br />

1997<br />

1998<br />

-5%<br />

1999<br />

2000<br />

2001<br />

2002<br />

2003<br />

2004<br />

2005<br />

2006<br />

2007<br />

2008<br />

2009<br />

2010<br />

Austria Francia Germania Italia<br />

Spagna Regno Unito USA<br />

2011<br />

2012E<br />

Le dinamiche sopra evidenziate vengono sostanzialmente confermate anche se si considerano i saggi di risparmio netti,<br />

ottenuti sottraendo al risparmio lordo e al reddito disponibile gli ammortamenti relativi al capitale fisico 5 (Figura 4).<br />

Va precisato che osservando l’andamento dei tassi netti emerge con ancor maggiore chiarezza la singolarità <strong>del</strong> caso italiano:<br />

l’Italia è infatti l’unica tra le nazioni considerate caratterizzata da un calo così marcato e duraturo <strong>del</strong> risparmio. Il saggio netto<br />

<strong>del</strong> risparmio è sceso dal 16,8% nel 1995 al 4,3% nel 2011 e per il 2012 prevediamo un misero 3,2%, molto vicino alle due<br />

economie anglosassoni che, pur mostrando negli ultimi anni una sostanziale inversione di tendenza, restano le più cicale tra<br />

i maggiori paesi sviluppati.<br />

In sostanza, il calo <strong>del</strong> risparmio in Italia c’è stato ed è stato maggiore rispetto ad altri paesi sviluppati. Questo trend è stato<br />

causato quasi esclusivamente da una diminuzione dei risparmi <strong>del</strong>le famiglie consumatrici, che sono passate dai €192<br />

miliardi di risparmi lordi <strong>del</strong> 1995 (rivalutati ai prezzi <strong>del</strong> 2011) a solo poco più di €93 miliardi <strong>del</strong> 2011, sorpassate in ordine<br />

di grandezza negli ultimi due anni <strong>del</strong>le imprese non finanziarie quali principali contributori al risparmio nazionale.<br />

Ma cosa implica per una nazione un saggio di risparmio sempre più basso?<br />

Alcune teorie economiche possono venirci in aiuto.<br />

5<br />

L’ammortamento rappresenta la perdita di valore subita dai capitali fissi nel corso <strong>del</strong>l’anno a causa <strong>del</strong>l’usura fisica, <strong>del</strong>l’obsolescenza e dei danni accidentali.<br />

15


1.2 QUALCHE INDICAZIONE DALLA TEORIA<br />

Innanzitutto, quello che ci dicono le teorie è che un basso tasso di risparmio <strong>del</strong>le famiglie a livello aggregato non<br />

necessariamente deve essere interpretato di per sé in chiave negativa.<br />

Esso va, infatti, valutato in funzione <strong>del</strong>la struttura demografica e <strong>del</strong>le caratteristiche <strong>del</strong>la popolazione residente nel paese.<br />

Ciò che può sembrare un male per una nazione in un determinato periodo può benissimo non esserlo per un’altra nazione o,<br />

addirittura, per la stessa nazione ma in contesti differenti.<br />

Una <strong>del</strong>le dottrine economiche che è assurta come punto di riferimento quando si considerano le scelte di risparmio <strong>del</strong>le<br />

famiglie è la “teoria <strong>del</strong> ciclo vitale” formulata da Franco Modigliani, insieme a Richard Brumgerg e Albert Ando, intorno a<br />

primi anni ‘50 <strong>del</strong> novecento.<br />

L’ipotesi di base di questa teoria è il cosiddetto “consumption smoothing”, ovvero l’idea che gli individui puntino ad avere un<br />

livello di consumi sostanzialmente stabile durante il corso di tutta la loro vita.<br />

Nella sua formulazione più semplice (ipotizzando che gli individui si aspettino un reddito progressivamente crescente nel<br />

tempo) la teoria <strong>del</strong> ciclo vitale prevede un andamento <strong>del</strong> risparmio “a gobba”: negativo o comunque molto basso in<br />

giovane età, positivo e crescente nella fase di maturità e, infine, decrescente e nuovamente negativo durante gli anni <strong>del</strong>la<br />

pensione (Figura 5). Come conseguenza, la ricchezza accumulata dagli individui raggiunge un punto di massimo prima <strong>del</strong><br />

pensionamento per poi decrescere gradualmente col passare degli anni.<br />

Il risparmio di ogni famiglia dipende quindi dalla fase di vita attraversata da ciascun componente e, in particolar modo,<br />

dall’età e dall’occupazione dei singoli. Per cui una famiglia non sarà caratterizzata da un tasso di risparmio sempre costante<br />

nel tempo, in quanto questo tenderà a variare in funzione <strong>del</strong>le esigenze <strong>del</strong>la famiglia stessa e <strong>del</strong> ciclo di vita dei suoi<br />

componenti.<br />

Figura 5:<br />

Andamento <strong>del</strong> risparmio<br />

individuale secondo<br />

la teoria <strong>del</strong> ciclo di vita<br />

<strong>Risparmio</strong><br />

Età<br />

Giovane<br />

Adulto<br />

Anziano<br />

16


L’implicazione a livello aggregato è che il tasso di risparmio di una nazione è implicitamente legato alla struttura demografica<br />

e alla speranza di vita degli individui che la compongono. Economie con strutture demografiche diverse possono (e,<br />

anzi, dovrebbero) mostrare un tasso di risparmio aggregato diverso, anche nel caso in cui fossero popolate da individui<br />

perfettamente identici (però con età medie diverse).<br />

Sebbene la versione originale <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo di Modigliani sia stata successivamente modificata ed arricchita 6 restano valide le<br />

sue principali implicazioni così come resta valido il suo approccio di base, secondo il quale per capire le scelte di risparmio di<br />

una nazione non basta guardare al reddito e alla ricchezza considerandoli come elementi a sé stanti ma è necessario tener<br />

conto <strong>del</strong>la complessità <strong>del</strong>le dinamiche individuali nel tempo.<br />

Veniamo ora ad un tema forse più rilevante per la nostra analisi: è davvero così importante il risparmio nazionale per la<br />

crescita di un’economia?<br />

Sebbene da più parti venga avocata la rilevanza e la necessità <strong>del</strong> risparmio, da un lato prettamente teorico elevati livelli<br />

di risparmio non necessariamente generano crescita e prosperità. Anzi, in alcuni casi e sotto determinate condizioni, una<br />

riduzione <strong>del</strong> saggio di risparmio nazionale potrebbe portare l’economia di un paese verso un sentiero di crescita più elevato<br />

nel lungo periodo. Tra l’altro, l’impatto positivo <strong>del</strong> risparmio è funzione anche <strong>del</strong>la presenza (o meno) di un insieme di<br />

politiche atte a favorirne la canalizzazione verso gli investimenti più produttivi 7 .<br />

Se poi passiamo alle evidenze empiriche, ad oggi, non è stato univocamente dimostrato un effettivo impatto <strong>del</strong> risparmio<br />

nazionale sulla crescita economica di un paese. E’ vero che paesi ad elevata crescita tendono a mostrare ex-post elevati saggi<br />

di risparmio nazionale, tuttavia sembra essere la crescita a determinare un maggior risparmio e non viceversa.<br />

Inoltre, nel caso di economie aperte con libertà di movimento nel mercato dei capitali, la crescita può anche essere finanziata<br />

dal risparmio estero, il quale, contribuendo a finanziare gli investimenti nazionali, rende meno importante il ruolo <strong>del</strong><br />

risparmio <strong>del</strong>le famiglie.<br />

Su questo punto vanno chiariti però un paio di aspetti. Il primo riguarda le condizioni necessarie per attrarre investimenti<br />

esteri, mentre il secondo riguarda le condizioni per le quali risulta effettivamente conveniente indebitarsi con l’estero.<br />

La disponibilità di capitale da parte di investitori esteri dipende da numerosi fattori. Per prima cosa bisogna valutare la<br />

convenienza/redditività attesa degli specifici impieghi nazionali rispetto al resto <strong>del</strong> mondo e, in secondo luogo, vanno<br />

considerate le condizioni generali in cui versa il paese. Il livello di corruzione, il peso <strong>del</strong>la burocrazia, l’efficienza ed efficacia <strong>del</strong><br />

sistema giudiziario, oltre alle variabili più propriamente economiche (facilità di accesso ai mercati, presenza di infrastrutture,<br />

stabilità macroeconomica, ecc…) risultano fondamentali nell’attrarre investimenti esteri. In mancanza di queste condizioni è<br />

difficile convogliare verso il paese una quantità adeguata di risorse estere.<br />

Inoltre, gli investimenti esteri possono rivelarsi un’arma a doppio taglio. Nel lungo periodo, infatti, l’efficienza con la quale il<br />

risparmio estero viene convertito in investimenti interni diventa cruciale per la sostenibilità <strong>del</strong> deficit <strong>del</strong>le partite correnti<br />

<strong>del</strong>la bilancia dei pagamenti.<br />

La convenienza di un aumento <strong>del</strong> debito con l’estero è legata quindi alla possibilità di accrescere l’export futuro o di generare<br />

elevati futuri rendimenti reali <strong>del</strong> capitale domestico.<br />

6<br />

Ulteriori elementi spesso aggiunti nei mo<strong>del</strong>li di ciclo vitale sono: il desiderio di lasciare un’eredità, la struttura demografica <strong>del</strong>la famiglia e le sue dinamiche, l’incertezza<br />

sull’andamento dei redditi futuri e l’offerta di lavoro, l’acquisto di beni durevoli e in particolar modo <strong>del</strong>la casa, gli obiettivi precauzionali e, non da ultimo, la presenza di un sistema<br />

di previdenza pubblica e il suo livello di generosità. Tutti questi fattori possono influire in maniera più o meno importante sull’andamento <strong>del</strong> tasso di risparmio aggregato <strong>del</strong>le<br />

famiglie.<br />

7<br />

L’allocazione efficiente <strong>del</strong>le risorse non è un processo totalmente spontaneo (come potrebbero sostenere alcuni), ma dipende anche da quanto è recettivo un sistema economico.<br />

Fattori quali l’investimento in educazione, la presenza di un mercato finanziario sviluppato e, non da ultimo, la presenza di politiche fiscali prudenti da parte dei governi non sono<br />

<strong>del</strong> tutto irrilevanti.<br />

17


Figura 6:<br />

<strong>Risparmio</strong> nazionale, investimenti<br />

e saldo netto<br />

con l’estero in % al PIL<br />

in Italia<br />

4%<br />

3%<br />

2%<br />

1%<br />

0%<br />

-1%<br />

-2%<br />

-3%<br />

24%<br />

22%<br />

20%<br />

18%<br />

16%<br />

14%<br />

Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />

Investments su dati Istat<br />

-4%<br />

1995 1997 1999 2001 2003 2005 2007 2009 2011<br />

Saldo netto con l'estero (Sx)<br />

Investimenti fissi (Dx)<br />

<strong>Risparmio</strong> nazionale lordo (Dx)<br />

12%<br />

Tornando al caso italiano, a partire dalla fine degli anni ’90, contemporaneamente al calo <strong>del</strong> risparmio nazionale, si è<br />

assistito infatti ad una sostanziale divaricazione tra risparmio e investimenti, con il conseguente peggioramento <strong>del</strong> saldo<br />

netto con l’estero, passato in territorio negativo dal 2002 e da quel momento in poi caratterizzato da deficit progressivamente<br />

crescenti, (pari nel 2011 al 3% <strong>del</strong> PIL) come rilevato in Figura 6.<br />

Questa situazione, tra l’altro, trova un riscontro diretto nel graduale incremento <strong>del</strong> disavanzo <strong>del</strong>le partite correnti <strong>del</strong>la<br />

bilancia commerciale (Figura 7), e nel sostanziale deterioramento <strong>del</strong>la posizione patrimoniale netta sull’estero che, secondo<br />

i dati recentemente rilasciati da Banca d’Italia, risultava in passivo alla fine <strong>del</strong> primo trimestre 2012 per 378,3 miliardi di<br />

euro, ovvero il 23,9% <strong>del</strong> PIL.<br />

Figura 7:<br />

Bilancia dei Pagamenti,<br />

Conto <strong>del</strong>le Partite<br />

Correnti in Italia<br />

(miliardi di euro)<br />

Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />

Investments su dati Banca d’Italia<br />

Miliardi €<br />

40<br />

30<br />

20<br />

10<br />

0<br />

-10<br />

-20<br />

-30<br />

-40<br />

-50<br />

-60<br />

1997<br />

1998<br />

1999<br />

2000<br />

2001<br />

2002<br />

2003<br />

2004<br />

2005<br />

2006<br />

2007<br />

2008<br />

2009<br />

2010<br />

2011<br />

L ug '12<br />

18


Gli ultimi dati <strong>del</strong> 2012 sembrano comunque rivelare qualche segnale di miglioramento, anche se è presto per sperare in<br />

una vera e propria inversione di tendenza. Secondo l’Istat a luglio 2012 le esportazioni sono infatti cresciute su base annua<br />

in maniera significativa (+ 4,3%) coinvolgendo tutti i principali comparti (tutti con saldi positivi, tranne il settore energia). Il<br />

saldo dei beni appare in attivo per il secondo mese consecutivo dopo oltre un biennio di deficit, con riflessi positivi sul conto<br />

<strong>del</strong>le partite correnti <strong>del</strong>la bilancia dei pagamenti che, come rilevato dalla Banca d’Italia, a luglio 2012 era ancora in rosso,<br />

ma in deciso miglioramento rispetto agli anni precedenti 8 .<br />

In conclusione, se dunque il saggio di risparmio attuale <strong>del</strong>le famiglie italiane (ricordiamo pari a fine 2011 al 12% e 4,3%<br />

rispettivamente al lordo e al netto degli ammortamenti) non dovrebbe rappresentare in sé un problema, più preoccupante è<br />

invece il suo persistente trend discendente e soprattutto il contesto in cui questo calo è avvenuto, in condizioni economiche<br />

interne sempre più deteriorate e con un crescente deficit nel saldo con l’estero.<br />

Un ritorno alla crescita (inutile dirlo) sembra essere fondamentale e potrebbe partire proprio da una ripresa <strong>del</strong>l’export.<br />

Come riuscire in questo obiettivo? Spesso le imprese italiane non riescono a raggiungere mercati di sbocco esteri non per<br />

mancanza di prodotti e servizi di qualità (che avrebbero presa sicuramente anche su mercati esteri), ma sostanzialmente<br />

per le difficoltà che i processi di internazionalizzazione comportano. Ostacoli normativi, culturali, di natura logistica o anche<br />

la stessa mancanza di riferimenti e supporti operativi in loco, portano le imprese italiane, soprattutto se di piccole e medie<br />

dimensioni, a mantenere un profilo basso, limitandosi a navigare in acque note. In questo contesto si inquadra l’impegno di<br />

<strong>UniCredit</strong> a supportare le piccole e medie imprese nel loro percorso di apertura verso i mercati internazionali.<br />

8<br />

Il Conto <strong>del</strong>le Partite Correnti comprende tutte le transazioni tra residenti e non residenti che riguardano sia le merci e servizi che i redditi (sia da lavoro che da capitale) e<br />

trasferimenti in conto corrente.<br />

19


1.3 DA FORMICHE A CICALE?<br />

Tornando al risparmio <strong>del</strong>le nostre famiglie, proviamo ora a capire le possibili cause per una sua così drastica riduzione nel<br />

tempo.<br />

Iniziamo con un breve excursus dagli anni <strong>del</strong> Miracolo Italiano ai giorni nostri.<br />

Dalla fine degli anni ’50 sino agli anni ’80 <strong>del</strong> novecento l’Italia è stata caratterizzata da tassi di risparmio decisamente<br />

superiori alla media, il che portava a chiedersi se effettivamente non si risparmiasse troppo! Secondo molti economisti il<br />

fattore determinante <strong>del</strong>l’elevato tasso di risparmio di quel periodo è stata la produttività, cresciuta a ritmi decisamente<br />

sostenuti durante quegli anni 9 .<br />

Questo ”effetto crescita” è stato poi con ogni probabilità ampliato da due altri fattori.<br />

Il primo è quello relativo alle cosiddette consumption habits degli italiani; ossia, la “lentezza” che gli individui dimostrano<br />

nell’adeguare i consumi ad un cambiamento permanente <strong>del</strong>le loro aspettative di reddito. In quel periodo, infatti, alla<br />

crescita sostanziale dei redditi non è seguito un’altrettanto sostanziale modifica <strong>del</strong>le decisioni di spesa degli italiani, che<br />

hanno mantenuto uno stile di vita abbastanza morigerato, memori forse degli anni di guerra appena superati. A questo<br />

si deve aggiungere il secondo fattore: la presenza di un mercato dei capitali non particolarmente sviluppato che rendeva<br />

molto difficoltoso prendere a prestito (anche volendo); per cui le famiglie per acquistare la casa o beni durevoli erano<br />

necessariamente costrette a risparmiare.<br />

Dagli anni ’90 in poi si è invece assistito ad un’inversione di tendenza, con tassi di risparmio che cominciano a scendere.<br />

Anche in questo caso la crescita economica, e in particolare un suo rallentamento, sembra aver fortemente influito su questo<br />

risultato.<br />

Tuttavia, anche l’allentamento dei vincoli di liquidità sembra abbia giocato un ruolo fondamentale. A partire dalla fine degli anni<br />

’80, infatti, in Italia è stata attuata una progressiva deregolamentazione <strong>del</strong> mercato creditizio e <strong>del</strong>le assicurazioni, con una<br />

maggiore apertura alla concorrenza. Questi fattori uniti al calo graduale dei tassi di interesse, a seguito <strong>del</strong>l’implementazione<br />

<strong>del</strong> progetto di moneta unica, hanno permesso ad un numero sempre maggiore di famiglie un più agevole accesso al credito,<br />

contribuendo in tal modo al calo <strong>del</strong> risparmio aggregato 10 .<br />

9<br />

Si veda per un approfondimento sul tema Jappelli e Pagano (1998) “The determinants of saving: lessons from Italy”.<br />

10<br />

Gli studiosi hanno rilevato anche come la maggiore generosità <strong>del</strong>lo Stato in materia pensionistica di quegli anni potrebbe aver influito sul calo <strong>del</strong> risparmio, tuttavia l’effetto<br />

complessivo non sembra essere di grande entità. Tanto meno sembrano essere stati determinanti le modifiche alla struttura demografica e il sostanziale invecchiamento <strong>del</strong><br />

paese. Sappiamo dal mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong> ciclo vitale che ad una popolazione in media più anziana dovrebbero corrispondere tassi di risparmio aggregato inferiori. Tuttavia, nel caso<br />

<strong>del</strong>l’Italia, non sembra ci siano forti evidenze di decumulo da parte degli anziani, se non in tarda età. Si veda in particolare Rossi e Visco (1995), “National saving and social security<br />

in Italy” e Baldini, Mazzaferro e Onofri (2012) “The reform of the Italian pension system, and its effect on saving behaviour”.<br />

20


Figura 8:<br />

Reddito disponibile, risparmio<br />

e consumi <strong>del</strong>le<br />

famiglie consumatrici<br />

in Italia (prezzi costanti<br />

2011, miliardi di euro)<br />

Miliardi €<br />

1.150<br />

1.100<br />

1.050<br />

1.000<br />

950<br />

900<br />

850<br />

800<br />

750<br />

1995<br />

1996<br />

1997<br />

1998<br />

1999<br />

2000<br />

2001<br />

2002<br />

2003<br />

2004<br />

2005<br />

2006<br />

2007<br />

2008<br />

2009<br />

2010<br />

2011<br />

2012E<br />

200<br />

180<br />

160<br />

140<br />

120<br />

100<br />

80<br />

Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />

Investments su dati Istat e Prometeia<br />

Consumo (Sx)<br />

<strong>Risparmio</strong> lordo (Dx)<br />

Reddito lordo disponibile (Sx)<br />

Veniamo ora ai cambiamenti che interessano maggiormente, ossia quelli che hanno caratterizzato più o meno gli ultimi 15<br />

anni. La Figura 8 mostra i redditi, i consumi ed i risparmi <strong>del</strong>le famiglie consumatrici (a prezzi costanti) tra il 1995 e il 2012<br />

in Italia.<br />

Dal 1995 al 2000 il drastico calo <strong>del</strong> risparmio è stato trainato dai consumi: i redditi reali seppur in crescita (+0,5% medio<br />

annuo 11 ), non hanno tenuto il passo con l’aumento sostenuto dei consumi (+2,5% medio annuo al netto <strong>del</strong>l’inflazione). Dal<br />

2001 sino al 2007 si assiste ad un periodo di stabilizzazione <strong>del</strong> risparmio, con consumi che crescono moderatamente in<br />

termini reali di pari passo con il reddito (+0,8% e 1,1% medio annuo rispettivamente). Dal 2008 in poi, si rileva invece un calo<br />

evidente dei redditi (-1,05% medio annuo) con consumi che, dopo una temporanea riduzione nel 2009, tornano stabilmente<br />

intorno i livelli medi registrati nel 2006-07, immediatamente prima <strong>del</strong>la crisi globale legata ai sub-prime (-0,03% medio<br />

annuo).<br />

Cosa è accaduto dal 2007 in poi, dunque?<br />

Possiamo innanzitutto considerare con maggior attenzione il dettaglio <strong>del</strong>le voci che compongono il reddito disponibile, e<br />

in particolare ai redditi da lavoro dipendente, quelli da lavoro autonomo, i redditi da capitale (che includono interessi, utili<br />

distribuiti dalle società ecc.), le prestazioni pensionistiche e altri trasferimenti, il tutto al netto <strong>del</strong>le imposte e dei contributi.<br />

Analizzando questi aggregati si evince come tra il 2007 e il 2011:<br />

- sia cresciuto il reddito da lavoro autonomo, anche se in misura minore rispetto al passato, (+2,2% medio annuo);<br />

- sia salito il reddito relativo alle prestazioni pensionistiche e altri trasferimenti sociali (+1,9% medio annuo);<br />

- si siano ridotti i redditi da lavoro dipendente, di un ammontare pari al -0,2% medio annuo, tuttavia l’effetto è sicuramente<br />

importante trattandosi di una quota particolarmente rilevante <strong>del</strong> reddito disponibile caratterizzata negli anni precedenti da<br />

tassi di crescita comunque buoni (+0,8% e +1,7% medio annuo rispettivamente nei periodi 1995-2000 e 2001-07);<br />

- sia soprattutto avvenuta una marcata contrazione dei redditi da capitale, ridottisi <strong>del</strong> 4,7% medio annuo;<br />

- e, non da ultimo, sia calata in parte l’imposizione fiscale (-0,2%), tuttavia in maniera inferiore rispetto a redditi e prestazioni,<br />

determinando un ulteriore effetto depressivo sul reddito disponibile, calato complessivamente <strong>del</strong>l’1,1% medio annuo.<br />

11<br />

Tasso di crescita medio annuo composto (CAGR).<br />

21


Negli ultimi 5 anni la riduzione sensibile <strong>del</strong> reddito disponibile sembra quindi derivare principalmente da una compressione<br />

dei redditi da capitale e da lavoro dipendente, con un livello di imposizione fiscale che non ha di certo aiutato. Questi fattori,<br />

uniti a famiglie restie a modificare il proprio stile di vita o comunque caratterizzate da una quota elevata di spese di consumo<br />

“incomprimibili”, spiegano il calo <strong>del</strong> risparmio.<br />

Eppure non sembra che gli italiani abbiano deciso che non valga più la pena risparmiare, anzi, dalle informazioni che si<br />

possono trarre dall’indagine sulla fiducia dei consumatori <strong>del</strong>l’Istat, negli ultimi anni è persino cresciuta la quota di persone<br />

che ritiene sia opportuno accantonare risorse per il futuro. Dal 2007 in poi tale affermazione è condivisa dal 90% circa degli<br />

intervistati, contro una media <strong>del</strong> 70-75% nel decennio precedente. Quindi, se un mutamento vi è stato, esso è andato nella<br />

direzione opposta, cioè verso una maggiore esigenza percepita di risparmiare.<br />

Figura 9:<br />

Percentuale di individui<br />

che, in considerazione<br />

<strong>del</strong>la situazione economica<br />

generale <strong>del</strong>l’Italia,<br />

ritengono opportuno<br />

risparmiare<br />

Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />

Investments su dati Istat<br />

95%<br />

90%<br />

85%<br />

80%<br />

75%<br />

70%<br />

65%<br />

T 2 1995<br />

T 2 1996<br />

T 2 1997<br />

T 2 1998<br />

T 2 1999<br />

T 2 2000<br />

T 2 2001<br />

T 2 2002<br />

T 2 2003<br />

T 2 2004<br />

T 2 2005<br />

T 2 2006<br />

T 2 2007<br />

T 2 2008<br />

T 2 2009<br />

T 2 2010<br />

T 2 2011<br />

T 2 2012<br />

Sempre dalla stessa indagine emerge, però in maniera netta la difficoltà a generare nuovo risparmio: nel II trimestre <strong>del</strong> 2012<br />

il 25,9% <strong>del</strong>le famiglie ha dichiarato di non riuscire ad arrivare a fine mese con i propri redditi, trovandosi costretto a contrarre<br />

debiti o prelevare dai propri risparmi passati. Al tempo stesso, la quota di persone che ha dichiarato di riuscire a risparmiare<br />

si è dimezzata rispetto al passato, andando da oltre il 30% registrato a fine anni ’90 e primi anni 2000 all’attuale 14,8% nel<br />

II trimestre <strong>del</strong> 2012.<br />

22


Figura 10:<br />

Situazione finanziaria<br />

<strong>del</strong>la famiglia (% di<br />

famiglie che risparmia o<br />

contrae debiti) 12<br />

%<br />

27,8<br />

15,3<br />

33,1<br />

21,5<br />

18,1<br />

15,6 15,2<br />

18,6<br />

16,7<br />

14,8<br />

25,9<br />

10,7<br />

Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />

Investments su dati Istat<br />

T4 1995 T4 2000 T4 2005 T4 2010 T4 2011 T2 2012<br />

Risparmia qualcosa/molto<br />

Usa i risparmi accumulati/contrae debiti<br />

In breve, il messaggio che sembra trasparire è che gli italiani non hanno modificato le loro attitudini verso il risparmio ma<br />

che sono stati soggetti ad un sostanziale impoverimento. Si risparmia di meno non perché si vuole risparmiare di meno ma<br />

perché non si riesce a risparmiare più di quanto si stia già facendo. A fronte di un’erosione dei redditi disponibili, infatti, non<br />

vi è stata alcuna diminuzione dei consumi, con l’ovvia conseguenza di una riduzione <strong>del</strong> risparmio.<br />

Ancora, come in passato, la crescita (o meglio la sua assenza) appare come principale imputata per il calo <strong>del</strong> reddito<br />

disponibile e <strong>del</strong> risparmio dal 2007 in poi in Italia. Da un confronto internazionale si evidenzia, infatti, come, sebbene<br />

mediamente i redditi restino abbastanza stabili nel tempo, le famiglie italiane sono state le uniche a registrare un calo <strong>del</strong><br />

reddito disponibile pro capite nel 2008-2011 rispetto al periodo 2001-07.<br />

Figura 11:<br />

Reddito netto disponibile<br />

medio pro capite<br />

(prezzi costanti 2011,<br />

migliaia di euro)<br />

Migliaia €<br />

28,6<br />

27,6<br />

24,6<br />

20,1<br />

21,0<br />

20,0<br />

20,8<br />

18,8<br />

18,1<br />

18,9 19,4 19,6<br />

18,1<br />

18,1<br />

18,9<br />

17,2 17,1<br />

14,5 15,0 15,1<br />

12,2<br />

Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />

Investments su dati Eurostat, Istituti di<br />

statistica nazionali<br />

Austria Francia Germania Italia Spagna Regno Unito USA<br />

1995-2000 2001-07 2008-11<br />

12<br />

Il complemento a 100 dei rispondenti ha dichiarato di quadrare il bilancio.<br />

23


Se si considera che dal 1995 al 2011 l’economia italiana è cresciuta in termini reali ad un tasso medio annuo <strong>del</strong>lo 0,8%,<br />

contro l’1,4% e 1,6% rispettivamente di Francia e Germania, che comunque sono cresciute mediamente meno rispetto a Stati<br />

Uniti, Regno Unito o anche la Spagna, divengono più chiare anche le ragioni di questo calo dei redditi.<br />

Tra l’altro, il divario di crescita, come evidenziato in Figura 12, si è allargato soprattutto nel corso degli ultimi 5 anni:<br />

sebbene tutti i paesi siano stati caratterizzati da un rallentamento o anche da un calo <strong>del</strong> PIL, l’Italia sembra infatti il paese<br />

maggiormente colpito, registrando tra il 2008 e il 2011 una variazione media annua <strong>del</strong> PIL <strong>del</strong> -0,9%.<br />

Figura 12:<br />

Tasso di variazione medio<br />

annuo <strong>del</strong> PIL<br />

3,2%<br />

2,2%<br />

2,7%<br />

1,8%<br />

1,9%<br />

1,4%<br />

1,9%<br />

1,2%<br />

4,1%<br />

3,4%<br />

3,6%<br />

3,0%<br />

4,3%<br />

2,4%<br />

0,6%<br />

0,5%<br />

0,2%<br />

0,0%<br />

-0,9%<br />

-0,5%<br />

-0,5%<br />

Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />

Investments su dati Istituti di statistica<br />

nazionali<br />

Austria Francia Germania Italia Spagna Regno Unito Stati Uniti<br />

1995-2000 2001-07 2008-11<br />

In un contesto complesso come quello attuale, con consumi stagnanti e esigenze di rientro <strong>del</strong> debito pubblico, un elemento<br />

fondamentale per portare il paese verso un nuovo sentiero di sviluppo deve passare attraverso le imprese e l’export. In questo<br />

modo si creerebbero nuove opportunità di lavoro, aumentando le capacità di reddito e di risparmio, soprattutto per le nuove<br />

generazioni. Tuttavia, anche dal lato famiglie si può e si deve fare di più, agendo in particolare sui comportamenti al fine di<br />

far seguire alla già elevata consapevolezza <strong>del</strong>la necessità di risparmio <strong>del</strong>le azioni concrete. La priorità è portare, soprattutto<br />

le giovani generazioni, a risparmiare di nuovo, rendendo il piccolo risparmio più semplice e automatico.<br />

24


1.4 L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI RISPARMIO<br />

Sebbene la semplice valutazione <strong>del</strong> risparmio a livello aggregato non possa di per sé permettere di trarre conclusioni<br />

definitive sui comportamenti individuali, la preoccupazione è che molti italiani stiano risparmiando meno di quanto<br />

dovrebbero (o meglio, di quanto sarebbe ottimale facessero) viste le loro esigenze di consumo e aspettative di reddito future.<br />

Diversi sono infatti i problemi che potrebbero nascere da un inadeguato livello di risparmi.<br />

Innanzitutto, un basso tasso di risparmio a livello nazionale potrebbe essere il campanello d’allarme per un crescente numero<br />

di famiglie altamente indebitate e con la crisi economica che continua a mordere alti tassi di indebitamento potrebbero<br />

diventare un problema anche a livello di sistema.<br />

Per il momento, comunque, il livello di indebitamento <strong>del</strong>le famiglie Italiane, sebbene cresciuto ad un tasso medio annuo<br />

<strong>del</strong>l’8% circa negli ultimi 17 anni, sembra attestarsi ancora su livelli sostenibili, soprattutto se confrontato con il PIL nazionale<br />

o il reddito disponibile <strong>del</strong>le famiglie.<br />

La Figura 13 mostra il debito <strong>del</strong>le famiglie come quota <strong>del</strong> reddito disponibile.<br />

Lo stock di debito italiano, pur essendo passato dal 37% <strong>del</strong> 1995 all’85% nel 2011 con le nostre stime interne che indicano<br />

un ulteriore incremento all’88% per il 2012, resta comunque ancora al di sotto <strong>del</strong>la soglia psicologica <strong>del</strong> 100%. Questo<br />

significa che il reddito complessivo disponibile di un solo anno è più che in grado di ripagare tutto lo stock di debito contratto<br />

fino a quel momento dalle famiglie. Tra l’altro, l’Italia risulta essere il paese con il più basso livello di indebitamento in<br />

percentuale al reddito disponibile (insieme alla Germania), mentre paesi come Spagna, Stati Uniti e Regno Unito, pur avendo<br />

intrapreso un cammino verso il risanamento dopo la crisi <strong>del</strong> 2008, mostrano ancora un coefficiente ben al di sopra <strong>del</strong> 100%<br />

(per il Regno Unito siamo a oltre il 150%).<br />

Figura 13:<br />

Stock di debito <strong>del</strong>le<br />

famiglie in % al reddito<br />

disponibile<br />

Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer Investments<br />

su dati Eurostat, OECD, Banche<br />

Centrali ed Istituti di statistica nazionali<br />

in % al reddito lordo disponibile<br />

200%<br />

180%<br />

160%<br />

140%<br />

120%<br />

100%<br />

80%<br />

60%<br />

40%<br />

20%<br />

0%<br />

1995<br />

1996<br />

1997<br />

1998<br />

1999<br />

2000<br />

2001<br />

2002<br />

2003<br />

2004<br />

2005<br />

2006<br />

2007<br />

2008<br />

2009<br />

2010<br />

2011<br />

2012E<br />

Francia Germania Italia<br />

Spagna Regno Unito USA<br />

25


Un’altra preoccupazione fondata è quella legata alle pensioni.<br />

Con uno Stato sempre meno generoso verso i futuri pensionati, i lavoratori sono ora chiamati a pensare a come integrare<br />

i propri redditi futuri da pensione e, se non avranno accumulato adeguate risorse a scopi previdenziali, una volta usciti dal<br />

mercato <strong>del</strong> lavoro saranno costretti a ridurre fortemente le loro abitudini di consumo, con tutte le ovvie conseguenze sul<br />

benessere e la qualità <strong>del</strong>le loro vite.<br />

La consapevolezza che si debba fare qualcosa sembra esserci. Gli italiani lo sanno. Sanno che dovrebbero accantonare nuove<br />

risorse per la pensione, eppure poco o nulla sembra essere stato fatto. Tutto sembra venir procrastinato ad un indefinito<br />

tempo futuro.<br />

Secondo un’indagine condotta da <strong>UniCredit</strong>/Pioneer Investments sulla propria clientela già nel 2006 circa il 63% degli<br />

intervistati con meno di 35 anni dichiarava di essere preoccupato per il benessere economico una volta raggiunta l’età <strong>del</strong>la<br />

pensione e più o meno la stessa percentuale di persone includeva tra le motivazioni <strong>del</strong> risparmio quella di integrare la<br />

pensione pubblica.<br />

Ma quando si guarda ai fatti le cose appaiono ben diverse.<br />

I dati rilasciati di recente dalla COVIP indicano come a fine giugno 2012 il numero di iscritti ai fondi pensione fosse pari a<br />

circa 5,7 milioni di individui (di cui 4,1 milioni circa appartenenti al settore privato), equivalenti solo al 24% degli occupati.<br />

Tra l’altro, il tasso di partecipazione risulta essere molto basso soprattutto tra i giovani, che invece dovrebbero essere quelli<br />

maggiormente sensibili al problema. A fine 2011 solo il 18% dei lavoratori con meno di 35 anni era, infatti, iscritto ad una<br />

forma di previdenza complementare, mentre la quota saliva al 26,8% per i lavoratori tra i 35 e 44 anni e al 35% per quelli<br />

tra i 45 e 64 anni 13 .<br />

13<br />

Relazione annuale 2011 COVIP.<br />

26


1.5 QUANTO SI DOVREBBE RISPARMIARE?<br />

A livello individuale la scelta di come e quanto risparmiare è tra le decisioni più difficili alle quali si possa pensare ed è<br />

comprensibile quindi che si possano compiere degli errori di valutazione.<br />

Innanzitutto, numerose sono le ragioni per cui si risparmia. Tanto per citarne alcune, si risparmia per l’acquisto di una casa<br />

o di beni durevoli, per la propria famiglia e l’educazione dei figli, per la vecchiaia, per eventuali spese sanitarie, per avere un<br />

gruzzolo da far fruttare e su cui contare in caso di eventi imprevisti o, più in generale, per cautelarsi per il futuro.<br />

Per capire quanto accantonare oggi si devono considerare un’enormità di fattori, molti per lo più incerti. Le esigenze di<br />

consumo presenti vanno contemperate con quelle future, facendo una valutazione di come potrebbe evolversi nel tempo il<br />

reddito e in generale la condizione economica <strong>del</strong>la famiglia. Questo per un orizzonte temporale non di pochi mesi, ma di<br />

tutta una vita. Nulla di banale!.<br />

E’ naturale che si tenda a superare questa complessità eccessiva con espedienti o, nella peggiore <strong>del</strong>le ipotesi, rinviando il<br />

problema.<br />

C’è chi, quando è incapace di processare tutte le informazioni, alza le spalle e “tira a caso”; chi tende a seguire quello che<br />

consigliano gli amici o il gruppo (se lo fanno tutti ci sarà pure un motivo); chi ancora rimane paralizzato e decide di non<br />

decidere. Questo comportamento non è esclusivo degli italiani ma generale degli esseri umani e porta a prendere decisioni,<br />

anche in materia economica, seguendo più le emozioni piuttosto che ragionamenti logici. Maggiore è la complessità e più<br />

si tende a dar retta all’intuito e alle emozioni. Nulla di male, tuttavia, una maggiore informazione ed educazione finanziaria<br />

potrebbero essere d’aiuto, soprattutto per accrescere quanto meno la consapevolezza di quelle che potrebbero essere le<br />

conseguenze <strong>del</strong>le scelte che si compiono.<br />

Studi riguardanti l’educazione finanziaria ed economica hanno riscontrato che buona parte degli individui possiede una<br />

scarsa conoscenza dei concetti finanziari di base, ponendo seri dubbi sull’effettiva capacità di comprendere a fondo tutte<br />

le implicazioni relative alle scelte in materia pensionistica 14 . Tra l’altro individui caratterizzati da un livello più elevato di<br />

conoscenza finanziaria sembrano essere in grado di pianificare meglio per la loro pensione, meno influenzati dalle scelte di<br />

parenti, amici o colleghi.<br />

Una maggiore preparazione economico-finanziaria appare quindi più come una scelta di buon senso che altro; portando, in<br />

linea di massima, a scelte più consapevoli e migliori per il proprio futuro.<br />

Inoltre, analisi effettuate su un campione di clienti <strong>UniCredit</strong> hanno mostrato come siano proprio gli individui caratterizzati<br />

da un maggior livello di educazione finanziaria che prima di prendere decisioni in ambito finanziario, ricorrono con maggiore<br />

frequenza al parere di consulenti ed esperti <strong>del</strong> settore. Gli individui con scarsa istruzione economica, invece, a parità di altre<br />

condizioni (in particolare reddito e ricchezza), tendono ad avere comportamenti più estremi: o <strong>del</strong>egano tutto al consulente<br />

finanziario o si basano solo sul “fai da te” 15 .<br />

Assodato che l’educazione finanziaria possa essere d’aiuto, come si potrebbe veicolare in maniera soddisfacente i concetti di<br />

base al maggior numero possibile di persone?<br />

14<br />

Per un maggior approfondimento sul tema si veda Lusardi e Mitchell ed. (2011) “Financial Literacy: Implications for Retirement Security and the Financial Marketplace” Oxford<br />

University Press.<br />

15<br />

Per maggiori approfondimenti si veda Calcagno e Monticone (2011) “Financial literacy and the demand for financial advice”.<br />

27


Come regola generale, le persone con livelli più elevati di ricchezza sono caratterizzate anche da una maggiore conoscenza<br />

finanziaria. Sebbene non sia semplice stabilire chi determina cosa, è fuor di dubbio che chi dispone di un patrimonio maggiore<br />

sia più interessato ad informarsi e ad avvicinarsi ai concetti <strong>del</strong>la finanza. Tuttavia, proprio per le persone più povere e<br />

caratterizzate da un basso livello di istruzione un minimo di educazione finanziaria potrebbe fare la differenza. Attuare<br />

programmi rivolti agli strati più deboli <strong>del</strong>la società, contribuirebbe inoltre ad aumentare l’eguaglianza e portare verso una<br />

società più equa 16 .<br />

Tra l’altro, se l’educazione finanziaria può essere così d’aiuto perchè non introdurla nelle scuole?<br />

Una <strong>del</strong>le proposte che ultimamente sembra raccogliere consensi è quella di avviare <strong>del</strong>le iniziative rivolte a giovani e<br />

studenti.<br />

Introdurre già in giovane età elementi di educazione economico-finanziaria potrebbe infatti avere diversi vantaggi; innanzitutto<br />

sarebbe meno costoso raggiungere un numero elevato di persone, inoltre i ragazzi sono più recettivi e quindi imparerebbero<br />

in minor tempo i concetti base.<br />

A ciò va poi aggiunto il fatto che, essendo rivolta a tutti indipendentemente dal reddito e dalla ricchezza familiare, risulterebbe<br />

più egualitaria. Infine, non è da sottovalutare anche che questi concetti avrebbero più tempo per sedimentarsi e svilupparsi<br />

(anche all’interno <strong>del</strong>le famiglie stesse), rendendo le future decisioni in ambito finanziario e di pianificazione veramente più<br />

informate e consapevoli. In conclusione, investire sull’educazione finanziaria dei ragazzi sembra essere una buona scelta per<br />

il presente ma soprattutto per il futuro.<br />

Nel 2011 <strong>UniCredit</strong>, attraverso l’iniziativa In-Formati, ha introdotto in Italia un programma di educazione bancaria e finanziaria<br />

gratuito, che offre a tutti i cittadini interessati, clienti e non, (e anche agli studenti) di partecipare ad una serie di corsi di<br />

educazione finanziaria di base. Questo non sarà certo sufficiente ad accrescere la cultura finanziaria di tutta la popolazione<br />

italiana, ma costituisce un importante primo passo verso la giusta direzione.<br />

16<br />

E’ stato infatti dimostrato un nesso tra educazione economica e disuguaglianza. Per maggiori informazioni al riguardo si veda Lo Prete (2012) “Economic literacy and the financeinequality<br />

nexus: a medium-term empirical analysis”.<br />

28


1.6 QUALE ALLOCAZIONE PER IL RISPARMIO?<br />

Il tema trattato finora è stato quello <strong>del</strong>la generazione <strong>del</strong> risparmio, ma come viene allocato questo flusso di denaro è una<br />

materia altrettanto importante.<br />

Innanzitutto, sulla base degli impieghi, possiamo distinguere due tipologie di risparmio:<br />

- risparmio non finanziario<br />

- risparmio finanziario 17 .<br />

Con il primo si intendono i flussi di reddito che in un determinato periodo vengono sottratti al consumo per essere destinati<br />

all’acquisto o alla miglioria di case, terreni e altre attività reali.<br />

Con risparmio finanziario, invece, si fa riferimento in generale alle nuove risorse utilizzate dalle famiglie per l’acquisto di<br />

prodotti finanziari, tramite banche, assicurazioni e società finanziarie in genere.<br />

Si parla poi di risparmio finanziario lordo, quando ci si limita ad analizzare l’ammontare <strong>del</strong> risparmio indirizzato nel corso di<br />

un dato periodo verso i depositi, titoli e i prodotti finanziari in genere. Se a questo aggregato vengono sottratti i debiti contratti<br />

dalle famiglie nel corso <strong>del</strong>lo stesso periodo (che si tratti di credito al consumo o di mutui) parliamo allora di risparmio<br />

finanziario netto.<br />

In sintesi:<br />

<strong>Risparmio</strong> Lordo = <strong>Risparmio</strong> non finanziario lordo + <strong>Risparmio</strong> finanziario lordo – accensione di nuovo debito 18<br />

Figura 14:<br />

Scomposizione <strong>del</strong><br />

risparmio lordo 19 <strong>del</strong>le<br />

famiglie in Italia (prezzi<br />

costanti 2011, miliardi<br />

di euro)<br />

Miliardi €<br />

250<br />

200<br />

150<br />

100<br />

50<br />

Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />

Investments su dati Istat e Prometeia<br />

0<br />

1995<br />

1996<br />

1997<br />

1998<br />

1999<br />

2000<br />

2001<br />

2002<br />

2003<br />

2004<br />

2005<br />

2006<br />

2007<br />

<strong>Risparmio</strong> non finanziario netto<br />

Ammortamenti<br />

Saldo finanziario (accreditamento/indebitamento)<br />

2008<br />

2009<br />

2010<br />

2011<br />

2012E<br />

17<br />

Il risparmio finanziario lordo, secondo l’accezione rinvenibile sui manuali di statistica e di contabilità nazionale, corrisponde all’acquisizione netta di attività finanziarie, mentre il<br />

risparmio finanziario netto da noi definito, è dato dal saldo tra l’acquisizione netta di attività finanziarie e l’accensione di nuovo debito. Il risparmio non finanziario lordo è, invece,<br />

dato dalla differenza tra il risparmio lordo, il saldo finanziario <strong>del</strong>le famiglie (accreditamento/indebitamento), e i trasferimenti netti in conto capitale. Tutte queste grandezze sono<br />

riferite, come sempre, al settore famiglie (consumatrici e produttrici) inclusi gli enti senza scopo di lucro.<br />

18<br />

L’equazione dovrebbe includere anche i trasferimenti netti in conto capitale. Per semplicità li abbiamo esclusi in quanto di entità comunque non particolarmente rilevante, dato<br />

che il loro apporto ha sempre oscillato tra il -4% e il +4% <strong>del</strong> risparmio lordo.<br />

19<br />

I trasferimenti netti in conto capitale non sono stati inclusi nella Figura.<br />

29


La Figura 14 scompone il risparmio lordo <strong>del</strong>le famiglie italiane nelle componenti finanziaria e non finanziaria netta e<br />

ammortamenti.<br />

Se a fine anni ’90 il risparmio finanziario netto 20 era predominante, a partire dal terzo millennio la sua importanza si è ridotta<br />

nel tempo, arrivando a rappresentare nel 2011 solamente il 19% <strong>del</strong> risparmio lordo complessivo.<br />

Certo, bisogna considerare che una buona parte <strong>del</strong> risparmio non finanziario non viene utilizzata soltanto per l’acquisto di<br />

nuovi immobili, terreni, oggetti di valore o macchinari e attrezzature (ricordiamo che ci sono anche le famiglie produttrici in<br />

queste statistiche), ma anche per una loro manutenzione, ristrutturazione o per introdurre migliorie.<br />

Il capitale fisico, a differenza di quello finanziario, per conservare il suo valore nel tempo ha bisogno di cure.<br />

L’Istat stima con l’ammortamento questa perdita di valore subita dal capitale fisso nel corso <strong>del</strong>l’anno (a causa di usura,<br />

obsolescenza oltre che eventuali danni accidentali). Questa voce non è in effetti marginale, se si considera che a fine 2011<br />

l’ammortamento rappresentava circa il 77% <strong>del</strong> risparmio non finanziario lordo e anche negli anni precedenti il 60-70% <strong>del</strong><br />

risparmio non finanziario era costituito da tale componente.<br />

Escludendo l’ammortamento e guardando all’andamento <strong>del</strong> risparmio finanziario e non finanziario netti si possono notare<br />

due cose:<br />

1) entrambi hanno subito una visibile contrazione in termini reali nel corso degli ultimi 17 anni;<br />

2) la quota <strong>del</strong> non finanziario è cresciuta nel tempo: se a fine anni ’90 esso rappresentava solo circa il 20-30% <strong>del</strong> risparmio<br />

finanziario netto a fine 2011 era passato a oltre al 127% (ovvero il risparmio netto 21 si divideva per 54% in non finanziario<br />

e per il restante 46% in finanziario).<br />

Anche per il 2012 stimiamo che il non finanziario netto possa superare il risparmio finanziario netto, anche se di poco,<br />

tuttavia è probabile che entrambi subiranno un’ulteriore ridimensionamento in termini assoluti.<br />

Figura 15:<br />

Flussi finanziari lordi<br />

<strong>del</strong>le famiglie in % al<br />

reddito lordo disponibile<br />

Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />

Investments su dati Prometeia, Eurostat,<br />

OECD, Banche Centrali ed Istituti di statistica<br />

nazionali<br />

in % al reddito lordo disponibile<br />

20%<br />

18%<br />

16%<br />

14%<br />

12%<br />

10%<br />

8%<br />

6%<br />

4%<br />

2%<br />

0%<br />

1995<br />

1996<br />

1997<br />

1998<br />

1999<br />

2000<br />

2001<br />

2002<br />

2003<br />

2004<br />

2005<br />

2006<br />

2007<br />

2008<br />

2009<br />

2010<br />

2011<br />

2012E<br />

Austria Francia Germania Italia<br />

Spagna Regno Unito USA<br />

20<br />

Il dato si intende al netto <strong>del</strong>l’accensione di nuovo debito.<br />

21<br />

Per netto si intende al netto degli ammortamenti.<br />

30


Guardando ora al solo risparmio finanziario, per poter avere un quadro di insieme più completo abbiamo confrontato<br />

l’andamento <strong>del</strong> risparmio finanziario lordo <strong>del</strong>le famiglie come quota <strong>del</strong> reddito disponibile a livello internazionale. I dati<br />

sono presentati in Figura 15.<br />

A prescindere dalla elevata variabilità che caratterizza la grandezza, sia nel confronto temporale che tra paesi, ciò che<br />

emerge con chiarezza è come il 2008 abbia segnato per tutti un punto di rottura, in seguito al quale si è assistito ad un calo<br />

generalizzato di flussi verso le attività finanziarie. Negli anni immediatamente successivi vi è stato un rimbalzo, ma in media<br />

i nuovi investimenti in attività finanziare sono rimasti ben al di sotto i livelli medi pre-crisi.<br />

La diminuzione dei flussi di risparmio <strong>del</strong>le famiglie verso i prodotti finanziari è stata meno drammatica in Germania e Francia,<br />

le economie “forti” <strong>del</strong>l’area euro, caratterizzate da un livello di risparmio finanziario in percentuale al reddito disponibile<br />

superiore all’8% ancora nel 2011. Per il resto dei paesi i flussi di risparmio finanziario sono rimasti sotto quota 5% <strong>del</strong> reddito<br />

disponibile nel 2011, con un minimo <strong>del</strong> 2% in Spagna.<br />

Comunque, nonostante la grave crisi di fiducia attraversata dalle istituzioni finanziarie tra il 2008 e 2009, il risparmio<br />

finanziario è rimasto sempre in territorio positivo. Le famiglie quindi hanno continuato e continuano, sebbene in misura<br />

minore ad investire in attività finanziarie.<br />

Il 2012 probabilmente sarà un altro anno difficile, soprattutto per Italia e Spagna, dove peseranno ancora gli effetti <strong>del</strong>le crisi<br />

<strong>del</strong> debito europeo, ma non ci aspettiamo in ogni caso deflussi, anche se bisognerà attendere qualche anno prima di poter<br />

sperare di tornare ai livelli pre 2008.<br />

Figura 16:<br />

Nuovo indebitamento<br />

<strong>del</strong>le famiglie in % al<br />

reddito lordo disponibile<br />

Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer Investments<br />

su dati Eurostat, OECD, Banche<br />

Centrali ed Istituti di statistica nazionali<br />

in % al reddito lordo disponibile<br />

25%<br />

20%<br />

15%<br />

10%<br />

5%<br />

0%<br />

-5%<br />

1995<br />

1996<br />

1997<br />

1998<br />

1999<br />

2000<br />

2001<br />

2002<br />

2003<br />

2004<br />

2005<br />

2006<br />

2007<br />

2008<br />

2009<br />

2010<br />

2011<br />

2012E<br />

Austria Francia Germania Italia<br />

Spagna Regno Unito Stati Uniti<br />

Stabilito che le famiglie hanno ridotto l’acquisto di attività finanziarie dal 2008 in poi, cosa è successo all’indebitamento?<br />

Sembrerebbe anch’esso essere diminuito in maniera sostanziale.<br />

Al minore risparmio indirizzato verso strumenti finanziari si è associata una riduzione ancora più significativa <strong>del</strong>l’accensione<br />

31


di nuove passività (es. nuovi mutui o nuovo ricorso al credito al consumo), come evidenziato in Figura 16. Ciò è avvenuto<br />

anche a livello internazionale e appare dovuto sia ad un effetto domanda (meno famiglie disposte ad indebitarsi vista la<br />

difficile situazione economica e dei mercati) che ad un effetto offerta (legato al restringimento <strong>del</strong> credito da parte <strong>del</strong>le<br />

banche). Questo ha tra l’altro portato lo stock di debito <strong>del</strong>le famiglie a livelli più sostenibili, anche se per l’Italia, come già<br />

evidenziato, il problema è meno rilevante rispetto ad altri paesi.<br />

Regno Unito, Stati Uniti e Spagna sono i paesi caratterizzati dalle variazioni più significative. Dai picchi di nuovo debito creato<br />

nel corso di un anno <strong>del</strong> 15% o anche 20% <strong>del</strong> reddito disponibile registrati nella prima metà degli anni 2000 si è passati a<br />

valori pari a zero o persino negativi dopo il 2008. I tassi negativi sono dovuti sostanzialmente a un elevato numero di famiglie<br />

dichiarate insolventi a seguito <strong>del</strong>la bolla immobiliare. Tra l’altro molte famiglie, anche sulla scorta di banche molto più restie<br />

a concedere credito, hanno accantonato o per lo meno posticipato la decisione di accendere nuovi debiti.<br />

L’Italia, comunque, sembra essere meno esposta a questo problema, caratterizzata, infatti, dall’accensione di nuove passività<br />

in media di poco superiore al 5% <strong>del</strong> reddito disponibile prima <strong>del</strong> 2008 e da valori più bassi, intorno al 2% medio circa, nella<br />

fase successiva.<br />

Figura 17:<br />

Flussi di risparmio investiti<br />

in attività liquide in<br />

% <strong>del</strong> risparmio finanziario<br />

lordo<br />

120%<br />

100%<br />

80%<br />

60%<br />

52%<br />

56%<br />

45%<br />

79%<br />

111%<br />

75%<br />

Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />

Investments su dati di Banche Centrali<br />

nazionali.<br />

40%<br />

20%<br />

0%<br />

29%<br />

Austria Francia Germania Italia Spagna Regno Unito Stati Uniti<br />

1995-2000 2001-03 2004-07 2008-11<br />

Guardiamo ora come si compone il risparmio finanziario.<br />

Come già detto, nel risparmio finanziario vanno inclusi tutti gli afflussi (al netto dei deflussi) verso i prodotti finanziari avvenuti<br />

nel corso di tutto l’anno. Vanno quindi considerati i fondi comuni, le assicurazioni, i fondi pensione, oltre ad obbligazioni e<br />

azioni e anche le somme depositate sui conti correnti, di risparmio o altre forme di deposito <strong>del</strong>la liquidità presso le banche,<br />

società finanziarie in genere e gli operatori postali.<br />

Un primo elemento che vale la pena mettere in luce e che accomuna l’Italia con il resto dei paesi considerati è il progressivo<br />

aumento, nel corso degli ultimi 15 anni, <strong>del</strong>la quota di risparmio finanziario destinata a depositi e alle attività liquide in genere.<br />

In Figura 17 abbiamo indicato la quota di flussi medi verso le attività liquide in percentuale al totale <strong>del</strong> risparmio finanziario<br />

32


per i periodi 1995-2000, 2001-03, 2004-07 e 2008-11. Per la maggioranza dei paesi è evidente quanto questa componente<br />

sia arrivata a rappresentare una quota <strong>del</strong> risparmio finanziario via via crescente col passare <strong>del</strong> tempo. Emblematico è il caso<br />

<strong>del</strong> Regno Unito dove i flussi medi verso gli strumenti più liquidi nel 2008-11 hanno superato il totale dei flussi complessivi<br />

verso le attività finanziarie.<br />

In Italia la quota di risparmio convogliata verso attività liquide è stata pari in media al 45% nel 2008-11, meno di quanto<br />

rilevato per altri paesi. Anche in questo caso, comunque, la quota è decisamente cresciuta nel tempo.<br />

Questa sorta di processo di de-securitization non è cosa recente, in quanto sembra sia iniziato già nei primi anni 2000, a<br />

seguito <strong>del</strong>lo scoppio <strong>del</strong>la bolla speculativa <strong>del</strong>la new economy. Sembra tuttavia essere diventato più significativo dal 2008<br />

in poi.<br />

In genere, in paesi più ricchi e caratterizzati da mercati finanziari più sviluppati, le famiglie sono contraddistinte da portafogli<br />

finanziari più sofisticati con prodotti più in linea con i loro bisogni e orizzonte temporale. Le crisi <strong>del</strong>l’ultimo decennio sembrano<br />

aver bloccato questo processo, con gli investitori che sono tornati ai prodotti “di base”, sicuramente meno remunerativi ma<br />

percepiti come maggiormente sicuri.<br />

Certamente il mutato sentiment degli investitori ha contribuito a questo spostamento <strong>del</strong>le preferenze, determinando una<br />

diversa composizione <strong>del</strong> risparmio finanziario.<br />

Non abbiamo evidenze per tutti i paesi, tuttavia, se ci si limita all’Italia, i dati di indagini condotte da <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />

Investments su un campione rappresentativo di clienti italiani, confermano come la quota di investitori decisamente avversi<br />

al rischio sia sensibilmente cresciuta nel tempo. Se nel 2003 il 25% dei clienti dichiarava di orientarsi verso prodotti finanziari<br />

caratterizzati da bassi guadagni pur di non dover sopportare il rischio di perdita <strong>del</strong> capitale, nel 2009 tale quota era pari al<br />

45%.<br />

Anche per il 2011, secondo le informazioni rinvenibili dalle interviste Mifid di <strong>UniCredit</strong> 22 , si è assistito ad un incremento <strong>del</strong>la<br />

quota di individui avversi al rischio. In particolare, analizzando i dati relativi a clienti a cui è stato sottoposto il questionario<br />

Mifid in 2 periodi diversi (rispettivamente prima e dopo giugno 2011 23 ), il 26% circa degli intervistati è risultato avere un<br />

profilo di rischio più conservativo nella seconda intervista rispetto alla prima. C’e’ da dire comunque che, nonostante la<br />

crisi che ha investito i paesi <strong>del</strong>l’euro e in particolar modo anche l’Italia, il 62% circa dei clienti intervistati pare non aver<br />

modificato il proprio approccio verso il rischio nel 2011 e il 12% circa ha persino dichiarato di avere un profilo maggiormente<br />

orientato al rischio rispetto alla prima intervista.<br />

Dai questionari Mifid si possono ricavare anche informazioni relative all’orizzonte temporale dei clienti. In questo caso,<br />

sembra che la stragrande maggioranza dei clienti a cui è stato somministrato il questionario abbia mantenuto per i propri<br />

investimenti finanziari un orizzonte di medio-lungo periodo. Inoltre, se si confrontano le risposte degli stessi clienti alle<br />

interviste prima e dopo giugno 2011, sembra sia cresciuto il numero di clienti con un orizzonte temporale più lungo.<br />

22<br />

I questionari sono stati somministrati principalmente ai clienti caratterizzati dal possesso di prodotti gestiti o di amministrato, ad esclusione <strong>del</strong>le assicurazioni ramo I.<br />

23<br />

A partire da giugno 2011 è stato implementato un nuovo mo<strong>del</strong>lo di consulenza che ha comportato anche una parziale modifica dei questionario Mifid.<br />

33


Figura 18:<br />

Scomposizione <strong>del</strong><br />

risparmio finanziario<br />

lordo pro capite per<br />

tipologia di strumento –<br />

media 2008-11<br />

€<br />

3000<br />

2500<br />

2000<br />

1500<br />

1000<br />

500<br />

0<br />

-500<br />

-1000<br />

Austria Francia Germania Italia Spagna Regno<br />

Unito<br />

Stati Uniti<br />

Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />

Investments su dati OECD, Banche Centrali<br />

e istituti di statistica nazionali<br />

Liquidità<br />

Azioni e Partecipazioni<br />

Assicurazioni Vita e Fondi Pensione<br />

Obbligazioni<br />

Fondi Comuni<br />

Altro<br />

Tornando ai flussi finanziari di risparmio, il dettaglio per tipologia di strumento mostra come negli ultimi 4 anni, oltre alla già<br />

rilevata forte predilezione per le attività liquide, vi siano stati anche flussi stabili verso le assicurazioni vita e i fondi pensione,<br />

favoriti anche dalla loro natura ricorrente.<br />

Negli Stati Uniti e nel Regno Unito anche i fondi comuni hanno registrato mediamente una raccolta netta positiva tra il 2008-<br />

11; la presenza in questi paesi di un forte il segmento istituzionale che agisce per conto <strong>del</strong>le famiglie, ha probabilmente<br />

favorito la stabilizzazione dei flussi.<br />

I Paesi <strong>del</strong>l’Europa continentale, e l’Italia in particolare, sono stati invece caratterizzati da flussi positivi verso i titoli azionari,<br />

per lo più le azioni non quotate, anche in funzione <strong>del</strong>l’elevato numero di imprese di piccole e medie dimensioni.<br />

Risultati contrastanti sono stati rilevati per le obbligazioni, vendute dalle famiglie di Stati Uniti e Germania e acquistate in<br />

Italia, Spagna e Austria. Nel 2011 in particolare, il risparmio <strong>del</strong>le famiglie verso titoli a reddito fisso in Italia e Spagna ha<br />

rappresentato oltre il 100% dei flussi complessivi di risparmio finanziario.<br />

I forti acquisti sono stati probabilmente dettati dal desiderio <strong>del</strong>le famiglie di sostenere i propri titoli <strong>del</strong> debito, anche attratti<br />

dal rialzo dei rendimenti. Il segmento <strong>del</strong>le obbligazioni societarie dovrebbe aver inoltre ricevuto forti afflussi, in funzione<br />

<strong>del</strong>le esigenze di finanziamento <strong>del</strong>le banche commerciali.<br />

In sintesi, dunque, sia risparmio finanziario che non finanziario hanno subito un ridimensionamento nel corso degli ultimi 17<br />

anni, tuttavia il calo <strong>del</strong>la componente finanziaria è stato più marcato.<br />

La diminuzione <strong>del</strong>la quota di risparmio indirizzata alle attività finanziarie non è specifica <strong>del</strong> caso italiano, ma viene rilevata<br />

nei maggiori paesi Europei e negli Stati Uniti. Tra l’altro, si è ridotta soprattutto la quota risparmio finanziario indirizzata verso<br />

gli strumenti più sofisticati, con una preferenza per la liquidità. Allo stesso tempo le famiglie hanno accantonato eventuali<br />

intenzioni di accendere nuovo debito anche sulla scorta <strong>del</strong>la maggiore rigidità <strong>del</strong>le società finanziarie nel concedere<br />

finanziamenti.<br />

34


Le famiglie, dunque, si sono orientate verso gli strumenti che, secondo la loro percezione, risultano essere più sicuri sebbene<br />

meno specifici riguardo <strong>del</strong>le esigenze <strong>del</strong> singolo.<br />

La crescente incertezza e l’instabilità dei mercati finanziari, oltre ad una crisi di fiducia verso le stesse istituzioni finanziarie,<br />

hanno certamente contribuito a questo spostamento <strong>del</strong>le preferenze. Il dubbio è se questo tipo di modifiche portino davvero<br />

ad un miglioramento <strong>del</strong>la composizione dei portafogli e ad una maggiore efficienza degli stessi.<br />

35


PARTE SECONDA<br />

DAI FLUSSI AGLI STOCK:<br />

LA RICCHEZZA DELLE<br />

FAMIGLIE IN ITALIA<br />

37


2.1 BUONE NOTIZIE SUL FRONTE RICCHEZZA<br />

Guardando agli stock di ricchezza ci sono anche, e soprattutto, <strong>del</strong>le buone notizie: gli italiani, pur risparmiando sempre<br />

meno, possono ancora contare su un elevato stock di ricchezza.<br />

La ricchezza <strong>del</strong>le famiglie al netto <strong>del</strong>le passività, infatti, era pari in Italia (secondo stime interne) a 8.500 miliardi di euro a<br />

fine 2011. Tale ricchezza rappresenta 5,4 volte il PIL e quasi 7,8 volte il reddito lordo disponibile <strong>del</strong>le famiglie (per l’esattezza<br />

il 776%). Valore che colloca l’Italia al secondo posto di questa speciale graduatoria, meglio di Francia, Germania e Stati Uniti.<br />

Figura 19:<br />

Ricchezza netta <strong>del</strong>le<br />

famiglie in % al reddito<br />

lordo disponibile - 2011<br />

In % al reddito lordo disponibile<br />

762%<br />

543%<br />

776% 786%<br />

514%<br />

Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer Investments<br />

su dati Eurostat, OECD, Banche<br />

Centrali ed Istituti di statistica nazionali<br />

Francia Germania Italia Regno Unito Stati Uniti<br />

Va tuttavia precisato che un indicatore più elevato per l’Italia è anche funzione <strong>del</strong> fatto che le famiglie italiane sono<br />

caratterizzate da un più basso reddito disponibile rispetto al resto dei paesi considerati. Tuttavia, anche guardando alla<br />

ricchezza pro capite il quadro non cambia di molto. Se gli Italiani a fine 2011 possedevano circa 140 mila euro a testa, i<br />

francesi, gli inglesi e gli americani avevano a disposizione uno stock pro capite di poco superiore, rispettivamente di 165, 153<br />

e 148 mila euro, mentre le famiglie tedesche potevano contare su 116 mila euro a testa.<br />

Gli italiani sono quindi ancora relativamente benestanti, soprattutto se confrontati con i principali paesi occidentali.<br />

Da cosa è composta questa ricchezza?<br />

Come già specificato, due sono le tipologie di attività: finanziarie - tra cui titoli, azioni, assicurazioni, fondi comuni, fondi<br />

pensione e depositi - e reali - quali le abitazioni, gli immobili, i fabbricati, i terreni, gli oggetti di valore oltre a macchinari,<br />

impianti e attrezzature -. La somma di queste attività definisce la ricchezza lorda, mentre sottraendo a questo valore le<br />

passività (quali i mutui, il credito al consumo, ecc…) si arriva alla ricchezza netta.<br />

38


Figura 20:<br />

Attività reali, finanziarie<br />

e passività in % alla<br />

ricchezza lorda <strong>del</strong>le<br />

famiglie - 2011<br />

66%<br />

57% 62%<br />

54%<br />

32%<br />

34%<br />

43% 38%<br />

46%<br />

68%<br />

-11% -14% -10% -17% -19%<br />

Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer Investments<br />

su dati Eurostat, OECD, Banche<br />

Centrali ed Istituti di statistica nazionali<br />

Francia Germania Italia Regno Unito Stati Uniti<br />

Attività Finanziarie Attività Reali Passività<br />

Innanzitutto, distinguendo la parte reale da quella finanziaria, si evidenzia in tutti i Paesi considerati, ad eccezione degli Stati<br />

Uniti, una netta prevalenza <strong>del</strong>la prima rispetto alla seconda. Nel 2011 in Italia gli immobili, i macchinari e gli altri beni<br />

tangibili rappresentavano ben il 62% <strong>del</strong>la ricchezza complessiva <strong>del</strong>le famiglie (al lordo <strong>del</strong>le passività), superati solo dalla<br />

Francia, dove le attività reali pesavano per il 66%. La scomposizione <strong>del</strong>la ricchezza è comunque molto simile rispetto agli<br />

altri due paesi <strong>del</strong>l’Europa continentale accomunati quindi da una preferenza per il “mattone”. Tra l’altro questi tre paesi<br />

erano caratterizzati da un più basso peso <strong>del</strong>le passività e anche da questo punto di vista l’Italia si collocava all’ultimo posto<br />

(ma questa volta il segnale è positivo) con una quota <strong>del</strong>le passività sul totale <strong>del</strong>la ricchezza lorda pari al 10%, contro il 17%<br />

e 19% di Regno Unito e Stati Uniti 24 .<br />

E che dire <strong>del</strong> tanto odiato debito pubblico?<br />

Anch’esso, se rapportato alla ricchezza netta <strong>del</strong>le famiglie, sembra decisamente meno imponente. Il debito pubblico italiano,<br />

infatti, a fine 2011 costituiva “solamente” il 22,3% <strong>del</strong>la ricchezza detenuta dalle famiglie italiane al netto <strong>del</strong>le passività.<br />

Dato che sembra ancora meno minaccioso se si considera che la Germania era caratterizzata da un valore pressoché simile a<br />

quello italiano e che gli Stati Uniti presentavano un debito pubblico pari al 23,3% <strong>del</strong>la ricchezza netta <strong>del</strong>le famiglie.<br />

Non che si voglia ripagare questo debito attingendo dalle riserve patrimoniali <strong>del</strong>le famiglie, tuttavia non fa male sapere che<br />

se guardiamo il debito pubblico sotto questo punto di vista l’Italia risulta essere meno “fuori linea”.<br />

24<br />

Già nel primo capitolo era stato rilevato il basso livello di indebitamento <strong>del</strong>le famiglie italiane.<br />

39


Figura 21:<br />

Debito Pubblico in %<br />

alla ricchezza netta<br />

<strong>del</strong>le famiglie - 2011<br />

22,2%<br />

22,3%<br />

23,3%<br />

16,5%<br />

15,7%<br />

Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer Investments<br />

su dati Eurostat, OECD, Banche<br />

Centrali ed Istituti di statistica nazionali<br />

Francia Germania Italia Regno Unito USA<br />

40


2.2 NON E’ ORO TUTTO QUEL CHE LUCCICA<br />

I dati 2011 relativi alla ricchezza <strong>del</strong>le famiglie fotografano dunque un paese tutt’ora tra i più ricchi <strong>del</strong>le economie<br />

occidentali. Tuttavia, gli italiani risultano essere meno benestanti rispetto al recente passato e diverse sono le criticità che<br />

stanno emergendo.<br />

Figura 22:<br />

Ricchezza netta (reale e<br />

finanziaria) <strong>del</strong>le famiglie<br />

normalizzata ai<br />

livelli <strong>del</strong> 1995 (prezzi<br />

costanti 2011)<br />

Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer Investments<br />

su dati Eurostat, OECD, Banche<br />

Centrali ed Istituti di statistica nazionali<br />

in % <strong>del</strong>la ricchezza netta <strong>del</strong> 1995<br />

240<br />

220<br />

200<br />

180<br />

160<br />

140<br />

120<br />

100<br />

1995<br />

1996<br />

1997<br />

1998<br />

1999<br />

2000<br />

2001<br />

2002<br />

2003<br />

2004<br />

2005<br />

2006<br />

2007<br />

2008<br />

2009<br />

2010<br />

2011<br />

2012E<br />

Francia Germania Italia Regno Unito Stati Uniti<br />

La Figura 22 mostra l’andamento in termini reali <strong>del</strong>la ricchezza netta <strong>del</strong>le famiglie dal 1995 ad oggi. Valutando tutto ai<br />

prezzi <strong>del</strong> 2011 e facendo a 100 il totale <strong>del</strong>la ricchezza netta nel 1995, si scopre che nell’arco degli ultimi 17 anni le famiglie<br />

italiane hanno visto crescere complessivamente il proprio patrimonio <strong>del</strong> 40%, che corrisponde ad un tasso medio annuo <strong>del</strong><br />

2,1%, inclusivo sia <strong>del</strong>l’effetto derivante dall’apporto nel tempo di nuovi flussi di risparmio sia <strong>del</strong>la performance degli stock<br />

in essere (questo al netto <strong>del</strong>l’inflazione per il periodo, pari ad un 2,3% medio annuo).<br />

Un risultato ragguardevole se si considera che tre grandi crisi si sono abbattute durante il periodo considerato. Resta però<br />

un po’ l’amaro in bocca nel vedere che siamo tra i paesi che sono cresciuti di meno. La ricchezza degli italiani non ha subito<br />

forti fluttuazioni nel tempo, come accaduto invece e in special modo alle famiglie inglesi o americane; tuttavia, forse proprio<br />

a causa <strong>del</strong>la sottoesposizione alle attività con più potenziale di apprezzamento, quali le azioni quotate e il gestito in genere,<br />

le famiglie italiane hanno anche perso la possibilità di avvantaggiarsi <strong>del</strong>le ripetute fasi di rally dei mercati.<br />

Proviamo ora a far luce su questo aspetto guardando nel dettaglio l’andamento distinto di ricchezza finanziaria, reale e <strong>del</strong>le<br />

passività.<br />

Cominciamo con le attività reali.<br />

Esse, secondo i dati forniti da Banca d’Italia, erano composte per l’84% da abitazioni, il 6% da altri immobili, il 4% da terreni,<br />

il 2% da oggetti di valore e il restante 4% da macchinari, impianti e attrezzature 23 . Data la forte componente di immobili<br />

residenziali, le quotazioni e le tendenze <strong>del</strong> mercato immobiliare sono un fattore chiave nel determinare l’andamento <strong>del</strong>la<br />

ricchezza reale.<br />

23<br />

I dati si riferiscono a fine 2010.<br />

41


La Figura 23 mostra il trend <strong>del</strong>le attività reali. Come per la ricchezza netta, i valori passati sono stati rivalutati per tener conto<br />

<strong>del</strong>l’inflazione e rapportati poi al totale attività <strong>del</strong> 1995.<br />

Figura 23:<br />

Ricchezza reale <strong>del</strong>le<br />

famiglie normalizzata ai<br />

livelli <strong>del</strong> 1995 (prezzi<br />

costanti 2011)<br />

Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer Investments<br />

su dati Eurostat, OECD, Banche<br />

Centrali ed Istituti di statistica nazionali<br />

in % alle attività reali nel 1995<br />

300<br />

280<br />

260<br />

240<br />

220<br />

200<br />

180<br />

160<br />

140<br />

120<br />

100<br />

1995<br />

1996<br />

1997<br />

1998<br />

1999<br />

2000<br />

2001<br />

2002<br />

2003<br />

2004<br />

2005<br />

2006<br />

2007<br />

2008<br />

2009<br />

2010<br />

2011<br />

2012E<br />

Francia Germania Italia Regno Unito Stati Uniti<br />

Complessivamente, al netto <strong>del</strong>l’inflazione l’aumento di valore <strong>del</strong> patrimonio di beni tangibili in Italia è stato <strong>del</strong> 2,5% medio<br />

annuo. La crescita si è realizzata soprattutto tra il 2001-07, dove le attività reali sono aumentate ad un tasso medio annuo <strong>del</strong><br />

5,3%, mentre dal 2008 al 2011 le stesse hanno perso in media ogni anno lo 0,9%. Per il 2012 la nostra stima è di un’ulteriore<br />

riduzione pari al 3% 26 .<br />

Va ricordato che questi tassi di crescita (positivi o negativi che siano) non sono da interpretarsi quali indicatori <strong>del</strong>la<br />

performance degli assets sottostanti, poiché la valorizzazione <strong>del</strong> totale <strong>del</strong>le attività reali, oltre a dipendere dal prezzo <strong>del</strong>le<br />

stesse, è funzione anche nel nuovo risparmio che viene convogliato in queste attività 27 .<br />

In ogni caso, dal confronto con il resto dei paesi, si evidenzia ancora una volta la minor crescita <strong>del</strong>l’Italia, insieme questa<br />

volta alla Germania, mentre decisamente più sostenuti sono stati gli incrementi di valore registrati in Francia, Regno Unito<br />

e USA e anche la loro fluttuazione nel tempo. Dai picchi <strong>del</strong> 2006, il patrimonio di beni tangibili negli Stati Uniti ha perso il<br />

29% <strong>del</strong> suo valore reale, mentre è andata un po’ meglio nel Regno Unito dove dal 2007 al 2011 le attività reali hanno perso<br />

complessivamente (al netto <strong>del</strong>l’inflazione) il 10%.<br />

Non abbiamo a disposizione i dati <strong>del</strong>le attività reali per la Spagna, tuttavia dall’analisi <strong>del</strong>l’andamento dei prezzi <strong>del</strong>le case,<br />

anche in quel caso si evidenzia un forte deprezzamento: con valori in termini reali <strong>del</strong> 31% più bassi alla fine <strong>del</strong> primo<br />

trimestre 2012 rispetto a fine 2007.<br />

Passando alle attività finanziarie, anche in questo caso l’Italia si distingue per una minore volatilità e, al tempo stesso, una<br />

crescita più bassa.<br />

26<br />

Questo sulla base anche degli ultimi dati <strong>del</strong>l’agenzia <strong>del</strong> territorio che hanno rilevato per il primo trimestre 2012 una variazione <strong>del</strong> volume di compravendite immobiliari <strong>del</strong><br />

-17,8% rispetto allo stesso periodo <strong>del</strong> 2011.<br />

27<br />

Tra l’altro per valutare la redditività di un investimento immobiliare è necessario tener conto anche degli eventuali affitti percepiti da un lato e <strong>del</strong>le spese e <strong>del</strong>le tasse dall’altro.<br />

42


Figura 24:<br />

Attività finanziarie <strong>del</strong>le<br />

famiglie normalizzate ai<br />

livelli <strong>del</strong> 1995 (prezzi<br />

costanti 2011)<br />

Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer Investments<br />

su dati Eurostat, OECD, Banche<br />

Centrali ed Istituti di statistica nazionali<br />

in % <strong>del</strong>le att. finanziarie <strong>del</strong> 1995<br />

220<br />

200<br />

180<br />

160<br />

140<br />

120<br />

100<br />

1995<br />

1996<br />

1997<br />

1998<br />

1999<br />

2000<br />

2001<br />

2002<br />

2003<br />

2004<br />

2005<br />

2006<br />

2007<br />

2008<br />

2009<br />

2010<br />

2011<br />

2012E<br />

Austria Francia Germania Italia<br />

Spagna Regno Unito Stati Uniti<br />

Dopo un periodo di particolare “esuberanza” tra il 1995 e il 2000, dove gli asset finanziari sono cresciuti mediamente in<br />

termini reali <strong>del</strong>l’8,7% annuo e al di sopra <strong>del</strong>la crescita media <strong>del</strong> resto dei paesi considerati, si è passati ad una fase di<br />

assestamento tra il 2001 e il 2007, caratterizzata da una crescita reale media annua <strong>del</strong>lo 0,9%, per poi arrivare agli ultimi<br />

4 anni dove le attività hanno perso mediamente il 3,5% annuo.<br />

Il problema sembra quindi emergere soprattutto negli anni più recenti, che hanno visto le attività finanziarie <strong>del</strong>le famiglie<br />

italiane perdere valore, tanto che le stime a fine 2012 risultano essere inferiori (in termini reali) alle attività finanziarie <strong>del</strong><br />

1999, siamo tornati indietro di ben 13 anni!<br />

Non che le famiglie degli altri paesi abbiano superato la crisi <strong>del</strong> 2008 indenni; anzi, l’impatto <strong>del</strong> crollo dei mercati finanziari<br />

è stato notevole. Tuttavia, già dal 2009 la loro ricchezza ha ricominciato a crescere e in molti casi – come in Francia, Germania<br />

e Regno Unito - con il 2011 si erano già superati i livelli pre-crisi. Le famiglie italiane, invece, tra le meno colpite dalla perdita<br />

di valore degli asset nel 2008, hanno però, dopo quella data, visto il loro patrimonio finanziario perdere progressivamente di<br />

valore nel tempo e la recente crisi <strong>del</strong> debito in Europa non ha di certo aiutato.<br />

Il differente asset mix sembra il responsabile per questo diverso andamento.<br />

Guardando alla scomposizione <strong>del</strong>la ricchezza finanziaria per tipologia di prodotto a fine 2011 (Figura 25) si evidenziano,<br />

infatti, forti peculiarità tra paese e paese, frutto anche <strong>del</strong> passato, <strong>del</strong> diverso assetto istituzionale e <strong>del</strong> grado di sviluppo<br />

dei mercati.<br />

Gli Stati Uniti sono caratterizzati dalla presenza importante dei fondi pensione, che rappresentavano il 26% <strong>del</strong>la ricchezza<br />

finanziaria <strong>del</strong>le famiglie a fine 2011, stesso discorso per il Regno Unito, dove oltre la metà <strong>del</strong>le attività finanziarie erano<br />

investite in fondi pensione e assicurazioni.<br />

Forte peso <strong>del</strong>le assicurazioni e dei fondi pensione anche in Francia e Germania (pari al 34% <strong>del</strong> portafoglio). Per i due paesi<br />

<strong>del</strong>l’Europa continentale è netta però la predominanza dei prodotti di natura assicurativa, anche se leggermente ridottasi<br />

rispetto al recente passato (soprattutto in Germania).<br />

43


Figura 25:<br />

Scomposizione <strong>del</strong>le<br />

attività finanziarie <strong>del</strong>le<br />

famiglie, 2011 28<br />

4%<br />

3%<br />

14%<br />

8%<br />

15%<br />

9%<br />

46%<br />

2% 9% 6% 4% 3%<br />

10%<br />

4% 14% 2% 6%<br />

12% 8%<br />

26%<br />

6% 6%<br />

30%<br />

20%<br />

2%<br />

51%<br />

20% 20%<br />

8%<br />

11%<br />

7%<br />

4%<br />

9%<br />

5%<br />

16%<br />

20%<br />

3%<br />

2%<br />

10% 32%<br />

1%<br />

50%<br />

41%<br />

9%<br />

30%<br />

31%<br />

29%<br />

15%<br />

Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />

Investments su dati Banche Centrali<br />

nazionali<br />

Austria Francia Germania Italia Spagna Regno Unito Stati Uniti<br />

Moneta e depositi Obbligazioni Azioni e Partecipazioni<br />

Fondi Comuni Assicurazioni Vita Fondi Pensione<br />

Altro<br />

Tornando all’Italia, una prima ed evidente specificità, è data dall’elevato stock di obbligazioni, pari al 20% <strong>del</strong> portafoglio, di<br />

cui circa la metà 29 relative a titoli governativi, per lo più <strong>del</strong>lo Stato italiano (se quello che vediamo dai portafogli dei nostri<br />

clienti possiamo farlo valere per la totalità <strong>del</strong>le famiglie italiane), con un’evidente scarsa diversificazione per emittente.<br />

A ciò si aggiunge lo stock elevato di ricchezza investito direttamente in azioni, pari al 20% <strong>del</strong>le attività finanziarie, di cui<br />

tuttavia solo l’8,4% è relativo alle azioni quotate. Il resto rappresenta per lo più le partecipazioni in società non quotate,<br />

aspetto intrinsecamente legato alla forte presenza <strong>del</strong>le piccole e medie imprese.<br />

Un’ulteriore peculiarità <strong>del</strong>l’Italia è quella <strong>del</strong>la scarsa penetrazione <strong>del</strong> risparmio gestito, pari nel 2011 al 20% <strong>del</strong> totale <strong>del</strong>le<br />

attività <strong>del</strong>le famiglie, contro quote di oltre il 40% per Germania, Francia e Stati Uniti e <strong>del</strong> 54% <strong>del</strong> Regno Unito, elemento<br />

che di certo non aiuta alla diversificazione. Sottopesata appare soprattutto la quota relativa ai fondi pensione. Come già<br />

sottolineato in precedenza, con l’alleggerimento <strong>del</strong>le pensioni statali sta ora ai singoli integrare in maniera adeguata le<br />

future prestazioni pensionistiche. Un 2% di ricchezza investita in fondi pensione sembra, dunque, proprio poco, soprattutto<br />

se paragonato al 26% degli Stati Uniti ma anche al 14% <strong>del</strong>la Germania. Tra l’altro, in quest’ultimo paese i fondi pensione<br />

pesavano poco più <strong>del</strong> 10% solo all’inizio degli anni 2000, e hanno preso piede principalmente grazie all’introduzione nel<br />

2001 dei piani pensionistici Riester.<br />

28<br />

Per il Regno Unito il dato relativo ai fondi pensione include anche le assicurazioni.<br />

29<br />

Stima Prometeia 2011<br />

44


Figura 26:<br />

Evoluzione <strong>del</strong>la performance<br />

cumulata per<br />

strumento dal 2006 al<br />

2011<br />

110<br />

100<br />

90<br />

80<br />

Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />

Investments su dati Banca d’Italia<br />

70<br />

60<br />

50<br />

2006 2007 2008 2009 2010 2011<br />

Moneta e depositi<br />

Obbligazioni<br />

Azioni<br />

Fondi comuni<br />

Assicurazioni e fondi pensione<br />

Per meglio capire le ragioni <strong>del</strong>la sottoperformance <strong>del</strong>le attività finanziarie <strong>del</strong>le famiglie italiane dal 2008 ad oggi, abbiamo<br />

guardato all’evoluzione dei singoli strumenti. La Figura 26 in particolare evidenzia l’effetto <strong>del</strong>la performance sull’andamento<br />

<strong>del</strong> valore <strong>del</strong>le singole classi di attività 30 . Da questo grafico sembra evidente che la performance negativa di azioni (e<br />

soprattutto <strong>del</strong>le partecipazioni), oltre che <strong>del</strong>le obbligazioni, spiegano buona parte <strong>del</strong>la riduzione di valore <strong>del</strong>le attività<br />

finanziarie complessive <strong>del</strong>le famiglie. Ponendo pari a 100 il totale <strong>del</strong>le azioni nel portafoglio <strong>del</strong>le famiglie a fine 2006,<br />

ed escludendo qualunque effetto derivante da nuovi flussi in entrata e uscita, a fine 2011 tale ammontare era sceso a 60,<br />

mentre per le obbligazioni era pari a 90.<br />

Anche i fondi comuni hanno registrato una sostanziale riduzione di valore nel corso <strong>del</strong>la crisi <strong>del</strong> 2008, a causa <strong>del</strong>la cattiva<br />

performance <strong>del</strong>le attività sottostanti. Tuttavia già nel 2009 erano risaliti e a fine 2011 avevano quasi recuperato tutte le<br />

perdite. Un po’ meglio è andata anche per le assicurazioni e i fondi pensioni, meno investiti dalla crisi 2008, ma anche con<br />

minore potenziale di recupero nella fase successiva, che comunque si attestavano sopra il livello di 100 a fine 2011. Infine,<br />

sostanzialmente pari a zero il rendimento <strong>del</strong>la liquidità.<br />

In sintesi, il quadro che sembra emergere dall’analisi degli stock è quello di una sostanziale solidità <strong>del</strong>le famiglie italiane che<br />

appaiono meno indebitate rispetto ad altri paesi e con ancora un ragguardevole stock di ricchezza accumulata. Tale ricchezza<br />

si è però ridotta nel tempo e maggiormente rispetto ad altri paesi, anche a causa <strong>del</strong> diverso mix di prodotti in portafoglio.<br />

Preoccupazione desta soprattutto la scarsa diversificazione e il peso molto basso dei fondi pensione, per i quali le famiglie<br />

italiane sembrano forse non averne ancora capito appieno l’importanza.<br />

30<br />

In sostanza abbiamo scorporato dalla variazione annuale totale <strong>del</strong>le attività l’effetto relativo agli afflussi o deflussi di nuovo risparmio e isolato l’effetto <strong>del</strong>la performance nel<br />

determinare la variazione degli assets nel tempo. Essendo calcolato per differenza e su un arco temporale abbastanza lungo (un anno) l’effetto potrebbe includere un errore di<br />

misura.<br />

45


2.3 LA RICCHEZZA DELLE GENERAZIONI<br />

Se i dati aggregati di ricchezza sono sicuramente importanti per capire le dinamiche generali, è solo con una loro<br />

disaggregazione a livello individuale, o meglio, per tipologie di individui, che riusciamo ad aggiungere dettagli importanti al<br />

quadro di insieme sulla condizione economica <strong>del</strong>la famiglie in Italia.<br />

Sotto questo aspetto ci sono di grande aiuto le informazioni che si possono ricavare dai database <strong>UniCredit</strong> in merito alla<br />

propria clientela.<br />

In particolare, analizzando i dati relativi ad un campione rappresentativo di individui, basato sul portafoglio clienti di<br />

<strong>UniCredit</strong> a fine 201, il dato che risalta maggiormente è la sostanziale polarizzazione <strong>del</strong>la ricchezza, che risulta essere<br />

prevalentemente nelle mani <strong>del</strong>le vecchie generazioni. A fine 2011, infatti, il 70% <strong>del</strong>la ricchezza era attribuibile a clienti<br />

ultra 55enni, mentre i clienti con meno di 34 anni detenevano poco meno <strong>del</strong> 4% <strong>del</strong> totale degli assets.<br />

L’ammontare medio di attività detenute dai singoli appare fortemente crescente con l’età, con un andamento a scalini via<br />

via più ampi, come mostrato in Figura 27. In particolare, spicca la differenza tra gli under 34 e gli over 64, con gli ultimi che<br />

risultano possedere una ricchezza di circa nove volte superiore a quella dei primi. Importanti differenze sono rilevabili anche<br />

nelle altre fasce di età, con i clienti nella fascia 45-54 che risultano detenere una ricchezza pari a poco più <strong>del</strong>la metà di quella<br />

dei clienti con oltre 64 anni.<br />

Figura 27:<br />

Ammontare medio di<br />

ricchezza finanziaria<br />

dei clienti <strong>UniCredit</strong> per<br />

classi di età – 2011<br />

(in % alla ricchezza dei<br />

clienti ultra-64enni,<br />

posta pari a 100)<br />

64<br />

100,0<br />

Fonte: <strong>UniCredit</strong><br />

I nostri dati trovano peraltro una riprova dalla Banca d’Italia, che nella relazione annuale 2012, mostra come nel 2010 i nuclei<br />

familiari con un capofamiglia di età superiore a 55 anni detenessero più <strong>del</strong> 60% <strong>del</strong> totale <strong>del</strong>le attività finanziarie, mentre<br />

quelli con capofamiglia di età inferiore a 35 anni ne possedessero meno <strong>del</strong> 4%. Dati sostanzialmente confermati quindi<br />

anche a livello di sistema paese Italia.<br />

46


Che la ricchezza finanziaria sia una funzione crescente <strong>del</strong>l’età è più che plausibile. I giovani da un lato, trovandosi all’inizio<br />

<strong>del</strong>la loro carriera lavorativa, non hanno ancora avuto modo di accumulare risorse mentre dall’altro, se hanno buone<br />

prospettive di carriera e di reddito, possono razionalmente aver deciso di adottare uno stile di vita più commisurato al reddito<br />

che si aspettano per il futuro quanto piuttosto al loro reddito attuale.<br />

Tutto ciò è perfettamente in linea con la citata “teoria <strong>del</strong> ciclo vitale”: si risparmia poco o nulla da giovani, si accumula nella<br />

fase <strong>del</strong>la maturità e poi il decumulo dopo la pensione.<br />

Tuttavia, la forte sproporzione tra l’ammontare di risorse finanziarie a disposizione <strong>del</strong>le generazioni più giovani, dove ci<br />

permettiamo di includere anche i 35-44enni, e quelle più anziane<br />

porta a pensare che ci sia altro sotto.<br />

Sempre secondo Banca d’Italia nel 1991, solo poco più di 10 anni fa, i nuclei con capofamiglia con meno di 35 anni risultavano<br />

detenere oltre 10 punti percentuali in più rispetto a quanto osservato nel 2010. Anche gli indicatori di vulnerabilità negli<br />

ultimi anni puntano verso un peggioramento più marcato per i nuclei con capofamiglia giovane. In particolare, la quota dei<br />

nuclei famigliari giovani caratterizzati da fragilità finanziaria 31 ha raggiunto nel 2010 quota 17%, contro il 13% <strong>del</strong> 2008. E<br />

l’aumento è stato molto più marcato rispetto alle altre fasce d’età.<br />

Per cui, rispetto al passato, le nuove generazioni sembrano dover affrontare sfide decisamente più ardue con mezzi che<br />

appaiono sempre più esigui.<br />

Non è un mistero che il mercato <strong>del</strong> lavoro si sia deteriorato in maniera significativa, specialmente con riguardo ai più giovani.<br />

Non sono sicuramente passati sotto silenzio i recenti dati Istat che parlano per il secondo trimestre 2012 di quasi un milione<br />

e mezzo di occupati in meno tra gli under 34 rispetto allo stesso periodo <strong>del</strong> 2007.<br />

La percentuale dei disoccupati tra i 15 e i 24 anni nel secondo trimestre <strong>del</strong> 2012 è ancora più eloquente: 35,3% (più o<br />

meno su 3 giovani nella forza lavoro uno non ha - e non riesce a trovare - un lavoro). La Figura 28 mostra in particolare<br />

come il dato relativo alla disoccupazione giovanile sia peggiorato notevolmente a partire dalla seconda metà <strong>del</strong> 2007, con<br />

un’accelerazione soprattutto nell’ultimo anno.<br />

Figura 28:<br />

Percentuale di disoccupati<br />

tra i 15 e i 24 anni<br />

Fonte: Elaborazione <strong>UniCredit</strong>/Pioneer<br />

Investments su dati Istat<br />

36%<br />

34%<br />

32%<br />

30%<br />

28%<br />

26%<br />

24%<br />

22%<br />

20%<br />

18%<br />

T1<br />

'95 '95 T4<br />

'96 T3<br />

'97 T2<br />

'98 T1<br />

'98 T4<br />

'99 T3<br />

'00 T2<br />

'01 T1<br />

'01 T4<br />

'02 T3<br />

'03 T2<br />

'04 T1<br />

'04 T4<br />

'05 T3<br />

'06 T2<br />

'07 T1<br />

'07 T4<br />

'08 T3<br />

'09 T2<br />

'10 T1<br />

'10 T4<br />

'11 T3<br />

'12<br />

T2<br />

31<br />

Che non hanno attività liquide sufficienti a garantire un tenore di vita al livello <strong>del</strong>la soglia <strong>del</strong>la povertà per almeno sei mesi in caso di perdita <strong>del</strong> lavoro.<br />

47


Le giovani generazioni faticano ad entrare stabilmente nel mondo <strong>del</strong> lavoro e, di conseguenza, faticano anche a risparmiare<br />

ed accumulare ricchezza.<br />

Secondo nostre fonti interne i giovani, tra l’altro, risultano detenere portafogli decisamente meno diversificati e per lo più<br />

investiti in attività liquide. I depositi rappresentavano a fine 2011 infatti circa il 70% <strong>del</strong> totale degli assets per i clienti con<br />

meno di 34 anni, rispetto al 30% circa <strong>del</strong> portafoglio dei clienti con più di 65 anni. E in ogni caso la situazione non va molto<br />

meglio per i clienti nella fascia di età compresa tra i 35 e i 44 anni, caratterizzati da un portafoglio investito per oltre il 55%<br />

in liquidità.<br />

Tra l’altro, per la parte di clienti più giovani caratterizzata comunque da portafogli più complessi, il fondo comune sembra<br />

essere lo strumento di gestito maggiormente utilizzato, fungendo da base per la costituzione di un portafoglio via via più<br />

diversificato.<br />

Eppure, analizzando i dati aggregati <strong>del</strong>le interviste Mifid non si rilevano forti differenze in termini di avversione al rischio o<br />

orizzonte temporale degli investimenti per classi di età. Probabilmente il minor livello di ricchezza detenuta porta i clienti più<br />

giovani a non andare oltre i depositi o gli strumenti più semplici e più liquidi.<br />

Se oltre alle attività finanziarie guardiamo alle attività reali, il quadro non cambia in maniera sostanziale. La differenza tra le<br />

diverse generazioni viene confermata e, anzi, ne esce rafforzata.<br />

Sempre secondo l’Indagine sui bilanci <strong>del</strong>le famiglie di Banca d’Italia, nel 2010 il 49% dei nuclei con capofamiglia con meno<br />

di 34 anni non possedeva ricchezza immobiliare. La quota scende al 38% per le famiglie con capofamiglia di età compresa<br />

tra i 35 e 44 ma resta comunque elevata se si considera che solo il 20% circa dei nuclei con capofamiglia oltre i 55 anni non<br />

possedeva nessun immobile. Tra l’altro il 20% circa <strong>del</strong>le famiglie con capofamiglia tra i 45 e 64 anni deteneva altri immobili<br />

oltre alla prima casa.<br />

Infine, se guardiamo all’indebitamento, appaiono evidenti anche in questo caso le forti differenze per classi di età: con il<br />

picco massimo <strong>del</strong>la quota di famiglie indebitate per la fascia di età <strong>del</strong> capofamiglia tra 35 e 44 anni (44%) e il minimo per<br />

famiglie con capofamiglia oltre i 64 anni (7,9%).<br />

Abbiamo già fatto notare come potrebbe essere sensato e razionale che le famiglie più giovani siano maggiormente indebitate,<br />

magari per l’acquisto <strong>del</strong>la prima casa, tuttavia fa pensare che, sempre nella fascia tra i 35 e 44 anni, molti prendano a<br />

prestito soprattutto per l’acquisto di beni di consumo. Infatti, se a fine 2010 il 18,6% dei giovani capifamiglia si indebitava<br />

per l’acquisto di immobili, un altro 18,8% era indebitato per l’acquisto di beni di consumo. Dati che appaiono molto distanti<br />

dai valori <strong>del</strong>l’1,9% e 3,5% che riguardano gli ultra 64enni.<br />

A nostro avviso le differenze che vengono rilevate per età non appaiono dovute solo alla diversa fase di vita attraversata dagli<br />

individui, ma anche da una sostanziale differenza nelle opportunità a disposizione dei giovani di oggi rispetto al passato, oltre<br />

che probabilmente a differenze nelle attitudini e comportamenti.<br />

La difficile fase che sta attraversando attualmente l’economia italiana sta di certo colpendo tutti, tuttavia ci sembra che le<br />

giovani generazioni stiano pagando un prezzo molto più caro.<br />

48


Dato l’elevato stock di ricchezza ancora disponibile e per lo più in mano alle generazioni più anziane, una domanda che ci<br />

si potrebbe porre è se questo stock possa essere in qualche modo sfruttato per aiutare i giovani al fine di sviluppare il loro<br />

capitale umano e supportare le loro iniziative imprenditoriali, in modo da migliorarne le opportunità di reddito. Questo<br />

potrebbe persino trasformarsi in un volano di crescita, se inserito in un patto intergenerazionale.<br />

Dalle ultime ricerche <strong>del</strong> Censis 32 , emerge infine come il ruolo <strong>del</strong>la famiglia, ancor più rispetto che al passato, sia fondamentale,<br />

fungendo infatti sia da punto di riferimento che da rete di salvataggio. In Italia i legami famigliari restano forti ed estesi ben<br />

oltre i confini tradizionali <strong>del</strong> nucleo familiare stretto. Sempre da Banca d’Italia 33 nel 2010 il 42% dei giovani tra i 25 e 34<br />

anni viveva ancora con i genitori, mentre 15 anni prima erano “solo” il 36%. Tra l’altro risulta che nella tarda primavera <strong>del</strong><br />

2009 circa 480 mila famiglie italiane abbiano sostenuto almeno un figlio convivente che aveva perso il lavoro nei dodici mesi<br />

precedenti. Un ruolo di ammortizzatore sociale assolutamente di non scarsa rilevanza.<br />

32<br />

<strong>Rapporto</strong> Coldiretti/Censis (2012) “Crisi: vivere insieme, vivere meglio”.<br />

33<br />

A.N.Tarantola (2012) “Le famiglie Italiane nella Crisi”.<br />

49


PARTE TERZA<br />

RISPARMIO E<br />

RICCHEZZA: UN’ANALISI<br />

TERRIORIALE 34<br />

34<br />

Le analisi qui contenute si basano sulle stime <strong>del</strong> risparmio e <strong>del</strong>la ricchezza a livello territoriale di Prometeia. Per maggiori dettagli sulla metodologia si rimanda all’appendice<br />

che segue il capitolo.<br />

51


3.1 IL RISPARMIO A LIVELLO TERRITORIALE<br />

L’obiettivo <strong>del</strong> presente paragrafo è quello di analizzare l’evoluzione dei flussi di risparmio a livello territoriale ed evidenziare<br />

comportamenti differenziati nell’attuale scenario contraddistinto da una perdurante debolezza <strong>del</strong> ciclo economico e da una<br />

bassa crescita dei redditi.<br />

Partendo dall’analisi <strong>del</strong>l’andamento <strong>del</strong> risparmio lordo (Figura 29) misurato in termini reali, l’aspetto che emerge in<br />

maniera più evidente è che l’area meridionale <strong>del</strong> Paese, in controtendenza rispetto alle altre, vede una progressiva crescita<br />

<strong>del</strong> risparmio pro capite tra il 2000 e il 2009; a partire dal 2009 l’indicatore in esame riferito alle regioni <strong>del</strong> Sud si posiziona<br />

per la prima volta al di sopra <strong>del</strong>la media nazionale, pur in un contesto di flessione che riguarda tutte le aree. Il risparmio<br />

pro capite <strong>del</strong>l’area settentrionale <strong>del</strong> Paese (Nord Ovest in particolare) diminuisce negli ultimi cinque anni, condizionato dal<br />

rallentamento pronunciato <strong>del</strong> ciclo economico mentre quello <strong>del</strong> Centro mostra ampie oscillazioni e, nonostante la buona<br />

tenuta fino al 2009, segna negli ultimi anni una flessione che lo spinge a ridosso <strong>del</strong> valore <strong>del</strong>la media nazionale. Il triennio<br />

2010-2012 è caratterizzato da un ridimensionamento <strong>del</strong> risparmio pro capite esteso a tutte le aree, fatta eccezione per il<br />

Nord Est. In quest’ultimo caso infatti la buona tenuta dei dati di risparmio è spiegata, come vedremo nelle parti successive<br />

<strong>del</strong> paragrafo, da un rimbalzo <strong>del</strong> reddito disponibile; questa performance può essere ricondotta ad un mo<strong>del</strong>lo di sviluppo<br />

economico <strong>del</strong> Nord Est fortemente basato sull’export (cosiddetto “export-led”) che ha beneficiato nel periodo compreso tra<br />

il 2009 e il 2011 di una ripresa <strong>del</strong> commercio mondiale.<br />

Figura 29:<br />

<strong>Risparmio</strong> lordo pro<br />

capite - dati in euro<br />

migliaia<br />

7,0<br />

6,0<br />

5,0<br />

4,0<br />

3,0<br />

2,0<br />

1,0<br />

Fonte: Elaborazioni <strong>UniCredit</strong>/Pioneer su<br />

dati Prometeia<br />

0,0<br />

1997<br />

1998<br />

1999<br />

2000<br />

2001<br />

2002<br />

2003<br />

2004<br />

2005<br />

2006<br />

2007<br />

2008<br />

2009<br />

2010<br />

2011<br />

2012E<br />

Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole Italia<br />

Passando all’analisi <strong>del</strong>la propensione al risparmio (Figura 30), ottenuta come rapporto tra risparmio lordo e reddito<br />

disponibile, è ancora il Sud a mostrare una crescita tale da permettere all’area di posizionarsi ben al di sopra <strong>del</strong>la media<br />

nazionale a partire dal 2004. Sempre sullo stesso periodo d’osservazione il Nord Ovest registra una graduale flessione nella<br />

propensione al risparmio e si mantiene al di sotto <strong>del</strong>la media nazionale sostanzialmente per tutto il periodo in esame. Anche<br />

il Nord Est, che fino al 2003 si collocava al di sopra <strong>del</strong>la media italiana, segna a partire dall’anno successivo un calo che lo<br />

posiziona sempre al di sotto <strong>del</strong> valore nazionale. Il Centro, seppur in un percorso di contrazione, si mantiene superiore al<br />

dato nazionale.<br />

52


Figura 30:<br />

Propensione al risparmio<br />

- valori percentuali<br />

30<br />

25<br />

20<br />

15<br />

10<br />

5<br />

0<br />

Fonte: Elaborazioni <strong>UniCredit</strong>/Pioneer su<br />

dati Prometeia<br />

1997<br />

1998<br />

1999<br />

2000<br />

2001<br />

2002<br />

2003<br />

2004<br />

2005<br />

2006<br />

2007<br />

2008<br />

2009<br />

2010<br />

2011<br />

2012E<br />

Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole Italia<br />

Come già osservato per il risparmio pro capite, anche la propensione al risparmio nel biennio 2010-2011 mostra un calo<br />

diffuso pressoché ovunque con il solo Nord Est a muoversi in controtendenza.<br />

In particolare il Mezzogiorno si è dimostrato più incline al risparmio ed è presente presso le famiglie meridionali un’attitudine<br />

a ridimensionare i consumi e rafforzare quindi la natura di risparmio precauzionale. Tra i fattori che hanno influenzato e<br />

probabilmente stanno influenzando tali scelte di consumo alcuni possono derivare da aspettative negative sulla situazione<br />

economica soprattutto in riferimento all’occupazione. Inoltre l’aumento <strong>del</strong> risparmio non implica necessariamente che le<br />

famiglie meridionali stiano colmando il gap che le separa da quelle residenti in altre aree <strong>del</strong> paese in termini di ricchezza,<br />

aspetto che sarà analizzato in maggiore dettaglio nel paragrafo seguente. La ricchezza, infatti, si origina non solo dal risparmio<br />

ma anche da trasferimenti e variazioni di valore <strong>del</strong>la ricchezza stessa.<br />

L’analisi <strong>del</strong>la propensione al risparmio elaborata su scala regionale (Figura 31) <strong>del</strong>inea una situazione eterogenea le cui<br />

caratteristiche principali sono sintetizzate in una sostanziale “inversione di polarità”. Tra il 1997 e il 2011 sono solo le regioni<br />

meridionali ad evidenziare una crescita <strong>del</strong>l’indicatore mentre quelle settentrionali registrano una flessione; il Centro si<br />

conferma su livelli stabili.<br />

53


Figura 31:<br />

Propensione al risparmio<br />

su base regionale:<br />

1997 (sinistra) vs 2011<br />

(destra) - valori percentuali<br />

3.41 - 14.9<br />

14.9 - 21.66<br />

21.66 - 24.3<br />

24.3 - 31.29<br />

1.98 - 9.57<br />

9.57 - 14.18<br />

14.18 - 16.17<br />

16.17 - 27.43<br />

Fonte: Elaborazioni <strong>UniCredit</strong>/Pioneer su<br />

dati Prometeia<br />

I dati sul risparmio sin qui esaminati mostrano da un lato un incremento nell’area meridionale e dall’altro una situazione<br />

regionale più eterogenea; per questo motivo al fine di comprendere in maniera più profonda il fenomeno occorre spostare<br />

l‘attenzione sull’andamento e le caratteristiche dei flussi da cui tale risparmio si origina, vale a dire il reddito e i consumi.<br />

L‘andamento <strong>del</strong> reddito disponibile, misurato in termini reali, mostra una dinamica lievemente migliore nella parte<br />

meridionale <strong>del</strong> Paese. In particolare la media <strong>del</strong>la grandezza in questione riferita al periodo 2008-2012 risulta in flessione<br />

rispetto a quella <strong>del</strong> 1997-2007, tuttavia la diminuzione appare più contenuta per le regioni meridionali (Figura 32). Questo<br />

andamento è imputabile per buona parte ad operazioni di redistribuzione secondaria <strong>del</strong> reddito, sia per ciò che riguarda la<br />

componente <strong>del</strong>le imposte correnti che quella <strong>del</strong>le prestazioni sociali e altri trasferimenti netti.<br />

Figura 32:<br />

Media reddito disponibile<br />

pro capite – dati in<br />

euro migliaia<br />

26,8 26,6<br />

25,1 25,2<br />

24,5<br />

23,5<br />

17,5 16,9<br />

23,1<br />

22,0<br />

Fonte: Elaborazioni <strong>UniCredit</strong>/Pioneer su<br />

dati Prometeia<br />

Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole Italia<br />

1997-2007 2008-2012E<br />

54


Più recentemente tali tendenze appaiono confermate nel generale rallentamento che la crisi economico-finanziaria ha<br />

imposto sulla dinamica <strong>del</strong> reddito; in particolare per il 2012 la variazione percentuale <strong>del</strong> reddito disponibile è stimata in<br />

flessione di oltre quattro punti percentuali in termini reali per tutte le macro aree, con un intervallo che va dal -4,43% <strong>del</strong> Nord<br />

Ovest al -4,37% <strong>del</strong> Nord Est. Guardando invece gli anni tra il 2007 e il 2011 la contrazione più sensibile è quella registrata<br />

dal reddito disponibile <strong>del</strong> Nord Ovest (Figura 33), soprattutto a causa <strong>del</strong>la componente dei redditi da capitale netti. Sul<br />

punto è opportuno soffermarsi dal momento che consente di evidenziare per i diversi territori una struttura produttiva e<br />

un comportamento economico differenziato. Recenti studi 35 , infatti, sottolineano che durante la crisi il maggiore peso <strong>del</strong><br />

terziario e <strong>del</strong>la pubblica amministrazione sull’economia <strong>del</strong> Centro (condizionata dal dato <strong>del</strong> Lazio 36 ) e <strong>del</strong> Mezzogiorno ha<br />

determinato una flessione <strong>del</strong> valore aggiunto meno intenso <strong>del</strong>la media nazionale; non solo la presenza di spesa pubblica<br />

si configura come un elemento di stabilizzazione dei redditi, ma retribuzioni <strong>del</strong>la pubblica amministrazione in media più<br />

elevate rispetto a quelle di altri redditi da lavoro dipendente 37 forniscono un ulteriore “cuscino” di sicurezza nei momenti più<br />

duri <strong>del</strong>la congiuntura. Ad ogni modo nelle fasi di ripresa <strong>del</strong> ciclo economico, i salari pubblici tendono a seguire con un certo<br />

sfasamento temporale l’incremento dei redditi <strong>del</strong> settore privato.<br />

La minor esposizione al debito <strong>del</strong>le famiglie meridionali e una ricchezza più concentrata in attività liquide e meno rischiose<br />

hanno ridotto l’impatto <strong>del</strong>la crisi; in altri termini la maggiore propensione ad effettuare investimenti meno rischiosi (depositi<br />

postali, ad esempio) ha mitigato la perdita dei portafogli finanziari.<br />

Figura 33:<br />

Andamento tendenziale<br />

reddito disponibile –<br />

valori percentuali<br />

5<br />

4<br />

3<br />

2<br />

1<br />

0<br />

-1<br />

-2<br />

-3<br />

-4<br />

-5<br />

Fonte: Elaborazioni <strong>UniCredit</strong>/Pioneer su<br />

dati Prometeia<br />

1998<br />

1999<br />

2000<br />

2001<br />

2002<br />

2003<br />

2004<br />

2005<br />

2006<br />

2007<br />

2008<br />

2009<br />

2010<br />

2011<br />

Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole Italia<br />

2012E<br />

Guardando adesso la dinamica dei consumi, anch’essi per omogeneità misurati in termini reali, si nota che la crescita <strong>del</strong>la<br />

media <strong>del</strong> consumo pro capite riferito ai due periodi oggetto d’osservazione (2008-2012 vs. 1997-2007) è negativa nelle<br />

regioni <strong>del</strong> Sud, in controtendenza rispetto al dato positivo registrato nelle regioni <strong>del</strong> Nord e alla sostanziale stabilità <strong>del</strong><br />

Centro.<br />

35<br />

Sassaroli P. e Tartamella F., “Le conseguenze <strong>del</strong>la crisi economica sul reddito disponibile <strong>del</strong>le famiglie nelle diverse regioni italiane”, XXXIII Conferenza italiana di scienze<br />

regionali (2011) Istat.<br />

36<br />

I dati contenuti nei Conti Pubblici Territoriali <strong>del</strong>l’Istat mostrano che la quota percentuale <strong>del</strong>le spese per personale <strong>del</strong>la Pubblica Amministrazione, in tutte le sue forme di<br />

governo, è pari in media (1996-2010) al 14% <strong>del</strong> totale Italia per la regione Lazio e al 12% <strong>del</strong>la regione Lombardia.<br />

37<br />

Giordano R. “I differenziali salariali tra i settori pubblico e privato in Italia”, Mezzogiorno e Politiche Regionali (2009) Banca d’Italia.<br />

55


Figura 34:<br />

Media consumo pro<br />

capite – dati in euro<br />

migliaia<br />

22,9 23,3<br />

22,4 22,7<br />

19,6 19,4<br />

15,1<br />

13,8<br />

19,5 19,2<br />

Fonte: Elaborazioni <strong>UniCredit</strong>/Pioneer su<br />

dati Prometeia<br />

Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole Italia<br />

1997-2007 2008-2012E<br />

Di conseguenza la crescita <strong>del</strong> risparmio che caratterizza le regioni meridionali appare imputabile alla dinamica <strong>del</strong>udente dei<br />

consumi ed avvalora l’ipotesi che più che dimostrazione di miglioramento <strong>del</strong>la condizione economica sia in realtà il segnale<br />

di un’incapacità di confermare precedenti livelli di spesa. Le famiglie meridionali prima e ancor più ora in conseguenza <strong>del</strong>la<br />

profonda recessione in atto mostrano comportamenti di consumo in parte differenti da quelli <strong>del</strong>le altre aree (Figura 35).<br />

12<br />

Figura 35:<br />

Andamento tendenziale<br />

consumo – valori percentuali<br />

10<br />

8<br />

6<br />

4<br />

2<br />

0<br />

-2<br />

-4<br />

-6<br />

-8<br />

-10<br />

Fonte: Elaborazioni <strong>UniCredit</strong>/Pioneer su<br />

dati Prometeia<br />

1998<br />

1999<br />

2000<br />

2001<br />

2002<br />

2003<br />

2004<br />

2005<br />

2006<br />

2007<br />

2008<br />

2009<br />

2010<br />

2011<br />

2012E<br />

Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole Italia<br />

56


Questi comportamenti risultano confermati anche dai dati <strong>del</strong> consumo pro capite ripartiti su scala regionale; la fotografia<br />

intertemporale (Figura 36) prova che le regioni meridionali si mantengono su livelli di consumo inferiori rispetto alla media<br />

nazionale sia per quanto riguarda la rilevazione <strong>del</strong> 1997 sia <strong>del</strong> 2011.<br />

Le analisi contenute in recenti pubblicazioni 38 sottolineano come tra il 2000 e il 2010 le famiglie meridionali abbiano<br />

destinato una quota sempre maggiore <strong>del</strong>la spesa mensile a consumi incomprimibili come ad esempio quelli alimentari<br />

e quelli legati ad utenze domestiche ed energia, a fronte di una contrazione in altre voci di spesa rinviabili o relative a beni<br />

non necessari e al tempo libero. La propensione al consumo <strong>del</strong>le famiglie meridionali potrebbe essere stata influenzata<br />

da diversi fattori tra cui la percezione di una maggiore incertezza sulle prospettive future che potrebbe aver alimentato<br />

forme di accumulo a scopo precauzionale. In altri termini aspettative pessimistiche sul futuro potrebbero portare le famiglie<br />

meridionali a spendere meno di quanto vorrebbero.<br />

Figura 36:<br />

Consumo pro capite su<br />

base regionale, prezzi<br />

reali: 1997 (sinistra) vs<br />

2011 (destra) - dati in<br />

euro<br />

13038.91 - 15268.42<br />

15268.42 - 17636.96<br />

17636.96 - 18125.55<br />

18125.55 - 22713.05<br />

12059.66 - 14178.38<br />

14178.38 - 19019.65<br />

19019.65 - 22392.25<br />

22392.25 - 24509.93<br />

Fonte: Elaborazioni <strong>UniCredit</strong>/Pioneer su<br />

dati Prometeia<br />

38<br />

Cinti E., Neri S., “I consumi nella grande crisi: le tendenze regionali recenti” XXXIII Conferenza italiana di scienze regionali, Prometeia, 2012.<br />

57


3.2 LA RICCHEZZA FINANZIARIA A LIVELLO TERRITORIALE<br />

Completata l’analisi <strong>del</strong> risparmio e <strong>del</strong>le dinamiche che ne determinano la formazione, il presente paragrafo si concentra<br />

sugli stock di ricchezza finanziaria, sulla loro evoluzione, sulla loro composizione nella prospettiva territoriale.<br />

La ricchezza finanziaria rimane concentrata in Italia nelle regioni <strong>del</strong> Nord, che detengono una quota <strong>del</strong> totale stabilmente<br />

superiore al sessanta per cento (Figura 37). Anche guardando ai dati su base pro capite (il calcolo è effettuato considerando<br />

solo la popolazione di età superiore ai diciotto anni) la realtà fotografata è analoga; le regioni <strong>del</strong> Nord raccolgono un valore<br />

<strong>del</strong>la ricchezza complessiva superiore rispetto al dato medio nazionale (Figura 38), mentre ben al di sotto si colloca il<br />

Mezzogiorno. Questo aspetto consente di comprendere in maniera più profonda anche i comportamenti di consumo dei quali<br />

si è diffusamente parlato nel paragrafo precedente. Il maggiore stock di ricchezza accumulato nelle regioni settentrionali<br />

rappresenta di fatto una forma di integrazione <strong>del</strong>le diverse forme <strong>del</strong> reddito da lavoro e contribuisce a mantenere più<br />

stabile il livello di consumi anche in momenti meno favorevoli <strong>del</strong> ciclo economico.<br />

La spiegazione di un arresto nell’accumulo di ricchezza risiede da un lato nella minore capacità di risparmio registrata<br />

soprattutto nelle aree <strong>del</strong> Centro Nord e dall’altro in un aspetto, non meno importante, legato al cosiddetto “effetto<br />

performance”, vale a dire quello dipendente dall’andamento dei prodotti di cui si compone la ricchezza finanziaria stessa.<br />

Proprio la composizione <strong>del</strong>la ricchezza finanziaria consente di analizzare un aspetto interessante legato al modo in cui le<br />

diverse aree <strong>del</strong> nostro paese decidono di impiegare il risparmio.<br />

Figura 37:<br />

Ripartizione <strong>del</strong>la<br />

ricchezza per macroaree<br />

– valori in euro miliardi<br />

3659 3669 3554<br />

3597<br />

695 701<br />

654 660<br />

698 704<br />

649 657<br />

831 808<br />

778 788<br />

1479<br />

1500 1428 1448<br />

Fonte: Elaborazioni <strong>UniCredit</strong>/Pioneer su<br />

dati Prometeia<br />

2009 2010 2011 2012E<br />

Sud e Isole Centro Nord Est Nord Ovest<br />

58


Figura 38:<br />

Ricchezza pro capite<br />

calcolata su la<br />

popolazione maggiore<br />

dei 18 anni – valori in<br />

euro migliaia<br />

111,2<br />

105,4 106,3<br />

83,3<br />

79,8<br />

80<br />

65,9<br />

64,5<br />

64,9<br />

41,1<br />

40,8<br />

41,1<br />

73,0<br />

70,4<br />

71,0<br />

Fonte: Elaborazioni <strong>UniCredit</strong>/Pioneer su<br />

dati Prometeia<br />

Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole Italia<br />

2010 2011 2012E<br />

A tal proposito nella Figura 39 abbiamo riportato la variazione percentuale <strong>del</strong>la ricchezza finanziaria riferita al triennio<br />

2010-2012 ripartita come di consueto per le diverse macroaree; in particolare il trend di ricchezza viene scomposto nelle sue<br />

due componenti, l’effetto flusso, legato all’andamento dei risparmi destinati dalle famiglie alle attività finanziarie e l’effetto<br />

performance, che come detto in precedenza, è connesso all’andamento <strong>del</strong>le attività sottostanti la ricchezza. Guardando al<br />

dato aggregato nazionale nell’anno in corso la ricchezza dovrebbe mostrare un progresso <strong>del</strong>l’1,2%, in buona parte (0,8%<br />

effetto performance) giustificato dall’andamento dei mercati; tuttavia questo incremento risulta ancora insufficiente a<br />

recuperare il livello pre-crisi.<br />

Inoltre i dati aperti su base territoriale (Figura 39) mostrano in maniera evidente che le oscillazioni <strong>del</strong>la ricchezza risultano<br />

molto più marcate nelle regioni <strong>del</strong> Nord rispetto a quanto invece avvenga in quelle <strong>del</strong> Sud. Ed è proprio l’effetto performance<br />

quello che amplifica tali variazioni, offrendo quindi un ulteriore spunto di analisi sulla composizione dei portafogli di ricchezza.<br />

59


Figura 39:<br />

Tendenziale <strong>del</strong>la ricchezza finanziaria e sue componenti – valori percentuali<br />

Fonte: Elaborazioni <strong>UniCredit</strong>/Pioneer su dati Prometeia<br />

Nord Ovest<br />

Nord Est<br />

1,4 - 4, 8 1,3<br />

0,3<br />

2,0 1,4 - 4, 8<br />

1,1<br />

1,3<br />

1,0<br />

-0,6 2,0<br />

1,1<br />

0,3<br />

1,0<br />

-0,6<br />

-5,9<br />

- 2,8 - 3,7 1,3<br />

0,4<br />

1,8 1,4 - 4, 8 1,3<br />

1,4<br />

0,9<br />

0,3<br />

2,0<br />

1,1<br />

1,0<br />

-4,6<br />

-0,6<br />

-5,1<br />

-5,9<br />

-5,9<br />

2010<br />

2011<br />

2012E<br />

2010<br />

2011<br />

2012E<br />

2010<br />

2011<br />

2012E<br />

2010<br />

2011<br />

2012E<br />

Centro<br />

Sud e Isole<br />

1,4 - 4, 8 1,3<br />

0,8 - 1,5 1,1<br />

0,3<br />

2,0<br />

1,1<br />

1,0 0,5<br />

1,4 1,2<br />

0,6<br />

-0,6<br />

-0,6<br />

-2,7<br />

1,0 - 0,4 0,8<br />

1,1 0,8<br />

0,6<br />

0,2<br />

-0,1<br />

-1,2<br />

-5,9<br />

2010<br />

2011<br />

2012E<br />

nuovo flusso di ricchezza finanziaria<br />

performance dei mercati<br />

Trend<br />

ricchezza = # + #<br />

2010<br />

2011<br />

2012E<br />

2010<br />

2011<br />

2012E<br />

60


Infatti l’aspetto più interessante che emerge dall’analisi è la forte propensione che il Sud manifesta per investimenti legati alla<br />

liquidità; come si vede nella Figura 40 oltre il cinquanta per cento <strong>del</strong>la ricchezza viene detenuta in depositi sia bancari che<br />

postali. Anche guardando ai dati ripartiti su base regionale (Figura 41), il quadro che ne risulta è perfettamente coerente con<br />

quella <strong>del</strong>l’area nel suo complesso. Ne risulta un’esposizione di portafoglio complessiva, orientata verso strumenti finanziari<br />

semplici, con un profilo di rischio contenuto ma conseguentemente anche poco remunerativi. Se infatti una strategia di<br />

questo tipo, ha consentito di proteggere meglio la ricchezza, soprattutto nelle turbolenze dei mercati finanziari <strong>del</strong>l’ultimo<br />

biennio, non è detto che essa rappresenti sempre la scelta ottimale. Infatti il maggiore peso di strumenti professionali di<br />

gestione <strong>del</strong> risparmio (come i fondi d’investimento o le riserve tecniche <strong>del</strong>le polizze assicurative), presenti principalmente<br />

nei portafogli dei risparmiatori <strong>del</strong> Nord Ovest, dovrebbe garantire un rendimento <strong>del</strong> capitale più adeguato su un orizzonte<br />

di tempo di medio lungo periodo. Un’interpretazione <strong>del</strong>le scelte d’investimento <strong>del</strong>le famiglie <strong>del</strong> Mezzogiorno è contenuta<br />

in un contributo elaborato dalla Banca d’Italia 39 . Lo studio in questione spiega che la gestione di un portafoglio di attività<br />

rischiose richiede un maggiore utilizzo <strong>del</strong>le informazioni rilevanti su quelle attività (costi di transazione, rendimenti <strong>del</strong>le<br />

attività e loro volatilità). La possibilità di utilizzare maggiore informazione finanziaria e di saperla correttamente interpretare<br />

può contribuire ad ampliare il livello di partecipazione al mercato <strong>del</strong>le attività rischiose; di qui sembra emergere per i<br />

risparmiatori <strong>del</strong> Sud una maggiore necessità di cultura finanziaria. Inoltre un’altra linea d’indagine contenuta nello studio si è<br />

concentrata sul ruolo dei rischi non diversificabili (i cosiddetti background risk), ovvero quei rischi tipicamente non assicurabili<br />

per i quali è presumibile che al loro aumentare le famiglie reagiscano riducendo o posticipando il proprio investimento in<br />

attività rischiose. Tra le fonti di rischio un ruolo centrale è da attribuirsi all’incertezza sui futuri redditi da lavoro e la gestione<br />

di un’attività imprenditoriale. Differenze in questi fattori, e in particolare nella probabilità di perdere il posto di lavoro, nei<br />

rischi connessi con un’attività imprenditoriale, possono contribuire a spiegare le disparità territoriali nell’allocazione <strong>del</strong>la<br />

ricchezza <strong>del</strong>le famiglie che si riscontrano nei dati.<br />

Figura 40:<br />

Ripartizione <strong>del</strong>la ricchezza<br />

per macroaree<br />

– valori in euro miliardi,<br />

scala sinistra composizione<br />

percentuale<br />

100%<br />

90%<br />

80%<br />

70%<br />

60%<br />

50%<br />

40%<br />

30%<br />

20%<br />

10%<br />

0%<br />

48 25 22 24 119<br />

101 42 32 29 204<br />

69<br />

107<br />

181<br />

52<br />

363<br />

719<br />

148<br />

102<br />

69<br />

66<br />

47<br />

118<br />

371<br />

366<br />

170<br />

84<br />

129<br />

148<br />

688<br />

296<br />

144<br />

55<br />

66<br />

37<br />

306<br />

257 172<br />

177 217<br />

823<br />

Nord Ovest<br />

Nord Ovest<br />

Nord Est<br />

Nord Est<br />

Centro<br />

Centro<br />

Sud e Isole<br />

Sud e Isole<br />

Italia<br />

Italia<br />

Fonte: Elaborazioni <strong>UniCredit</strong>/Pioneer su<br />

dati Prometeia<br />

Attività liquide - BANCHE Attività liquide - POSTE Assicurazioni e fondi pensione<br />

Titoli di Stato Obbligazioni Societarie* Azioni e partecipazioni<br />

Fondi Comuni<br />

Altro<br />

*Il 99% <strong>del</strong>la voce Obbligazioni Societarie è composta da obbligazioni emesse da banche<br />

39<br />

Leva L., “Le scelte finanziarie <strong>del</strong>le famiglie nelle macro aree territoriali italiane: la decisione di investire in attività finanziarie rischiose“ in Mezzogiorno e Politiche Regionali,<br />

Seminari e convegni, Workshops and Conferences, Banca d’Italia, 2009.<br />

61


Figura 41:<br />

Ripartizione regionale<br />

<strong>del</strong>le attività liquide<br />

su totale attività<br />

finanziarie – valori<br />

percentuali<br />

21.1 - 27.3<br />

27.3 - 38.7<br />

38.7 - 51.7<br />

51.7 - 65.6<br />

Fonte: Elaborazioni <strong>UniCredit</strong>/Pioneer su<br />

dati Prometeia<br />

62


APPENDICE<br />

METODOLOGICA<br />

ALL’ANALISI<br />

TERRITORIALE<br />

A CURA DI PROMETEIA<br />

63


1. La stima <strong>del</strong> risparmio a livello territoriale<br />

A livello regionale Istat diffonde gli aggregati che concorrono a formare il reddito disponibile <strong>del</strong>le famiglie residenti, mentre<br />

non sono disponibili dati ufficiali sul risparmio <strong>del</strong>le famiglie, in quanto Istat non fornisce la regionalizzazione <strong>del</strong> conto di<br />

utilizzazione <strong>del</strong> reddito, nel quale si ripartisce il reddito disponibile tra consumi e risparmio. La contabilità regionale, infatti,<br />

registra solo i consumi sul territorio economico, mentre per rendere omogeneo il confronto con il reddito e arrivare, quindi,<br />

alla determinazione <strong>del</strong> risparmio, è necessario procedere ad una stima dei consumi dei residenti a livello regionale.<br />

Per passare dai consumi sul territorio economico a quelli dei residenti è necessario stimare dunque:<br />

- i flussi di spesa dei residenti al di fuori <strong>del</strong>la regione e<br />

- i flussi di spesa dei non residenti nella regione.<br />

Una componente significativa di tali flussi è costituita dalle spese per turismo, per i quali si dispone di informazioni, mentre<br />

un peso particolarmente contenuto (specialmente se l’analisi non si spinge oltre il livello regionale) riveste la componente<br />

dei pendolari per motivi di studio o di lavoro sui quali, peraltro, non sono reperibili dati aggiornati.<br />

Come si vedrà più in dettaglio nelle pagine che seguono, una prima stima <strong>del</strong>la spesa per consumi <strong>del</strong>le famiglie residenti<br />

si ottiene attraverso la determinazione dei consumi turistici; a questa stima iniziale se ne affianca un’altra, ottenuta<br />

regionalizzando la spesa per consumi <strong>del</strong>le famiglie residenti registrata nella contabilità nazionale sulla base <strong>del</strong>l’indagine<br />

sui consumi <strong>del</strong>le famiglie svolta da Istat.<br />

1.1 I consumi turistici: le principali fonti di informazione<br />

La principale e più completa fonte d’informazione sul turismo risiederebbe nel Conto Satellite <strong>del</strong> Turismo (CST d’ora in poi),<br />

strumento in grado di collegare dati monetari (consumo, produzione e valore aggiunto) con dati fisici (arrivi, presenze, ecc.)<br />

e di effettuare una misurazione quantitativa <strong>del</strong> settore turistico in termini, ad esempio, di PIL e valore aggiunto turistici. Il<br />

primo CST per l’Italia relativo all’anno 2010 è stato diffuso da Istat lo scorso luglio.<br />

Un’altra fonte d’informazione è l’indagine censuaria Movimento dei clienti negli esercizi ricettivi di Istat, che rileva arrivi,<br />

presenze e permanenza media negli esercizi ricettivi fino al dettaglio provinciale e consente (per il periodo 2006-2010) di<br />

realizzare una matrice origine/destinazione (O/D d’ora in poi) di arrivi e presenze per regione di provenienza e di destinazione.<br />

L’indagine campionaria Viaggi e Vacanze, sempre di Istat, ha l’obiettivo di quantificare e analizzare i flussi turistici dei residenti<br />

in Italia, sia all’interno <strong>del</strong> Paese che all’estero, oltre che di fornire informazioni circa le modalità di effettuazione dei viaggi e<br />

le caratteristiche socio-demografiche dei turisti. Disponendo dei microdati <strong>del</strong>l’indagine è possibile costruire una matrice O/D<br />

che analoga alla precedente, ma caratterizzata da un set informativo più ampio in quanto:<br />

- tiene conto anche dei pernottamenti in abitazioni di proprietà, presso parenti e/o amici,<br />

- non limitandosi alle sole presenze registrate negli esercizi ricettivi offre anche una stima <strong>del</strong> sommerso,<br />

- copre un arco temporale più ampio.<br />

Una fonte che, a differenza <strong>del</strong>le due precedenti, offre indicazioni anche sulla spesa turistica e non solo sui flussi è rappresentata<br />

dall’indagine campionaria sul turismo internazionale <strong>del</strong>la Banca d’Italia. L’indagine è condotta su un campione dei principali<br />

punti di frontiera italiani e riguarda sia i viaggiatori stranieri che quelli italiani. Mediante l’indagine è possibile quantificare da<br />

un lato i flussi di turisti italiani all’estero per regione (e provincia) di residenza e le relative spese, dall’altro i flussi di turisti<br />

stranieri per regione (e provincia) italiana di destinazione e le relative spese.<br />

64


Una stima dei consumi turistici si trova anche nel <strong>Rapporto</strong> sul Turismo italiano, che contiene indicazioni sulla spesa turistica<br />

nelle regioni italiane (spesa degli stranieri, spesa all’estero, spesa nella regione di residenza, spesa degli altri italiani, spesa<br />

nelle altre regioni), ma che negli ultimi anni è stato pubblicato in maniera discontinua.<br />

1.2 I consumi turistici: le principali criticità<br />

Le fonti informative sinteticamente descritte nel paragrafo precedente non consentono di disporre direttamente di una serie<br />

completa di dati sui consumi turistici complessivi sul territorio regionale. Com’è stato evidenziato, l’indagine sul turismo<br />

internazionale offre indicazioni sulla spesa turistica degli stranieri in Italia e su quella degli italiani che viaggiano all’estero,<br />

ma com’è logico per la natura stessa <strong>del</strong>l’indagine, non contiene informazioni sulla spesa turistica degli italiani in Italia. Le<br />

difficoltà connesse alla stima di tale voce di spesa sono ben note agli esperti <strong>del</strong> settore. In un recente lavoro <strong>del</strong>la Banca<br />

d’Italia 40 , ad esempio, si effettua una stima <strong>del</strong>la spesa turistica degli italiani in Italia. I risultati ottenuti sono poi confrontati<br />

con stime provenienti da altre fonti (Istat, Eurostat, <strong>Rapporto</strong> sul turismo italiano, Ont-Isnart). Il raffronto 41 evidenzia<br />

differenze talvolta notevoli e di non facile spiegazione, non essendo disponibile in molti casi la descrizione dettagliata <strong>del</strong>la<br />

metodologia seguita.<br />

Una stima dei consumi turistici degli Italiani in Italia può essere ottenuta ipotizzando che la spesa media giornaliera di un<br />

turista straniero in una determinata regione italiana (di fonte Banca d’Italia) sia uguale alla spesa sostenuta da un turista<br />

italiano nella medesima regione. Tale ipotesi si espone senz’altro alla critica di omogeneizzare comportamenti di spesa<br />

spesso differenti secondo vari profili (scelta <strong>del</strong>la tipologia di alloggio, mezzo di trasporto utilizzato, solo per citarne alcuni),<br />

ma <strong>del</strong> resto appare la scelta più neutrale di fronte all’impossibilità di reperire informazioni sufficienti per <strong>del</strong>ineare un<br />

mo<strong>del</strong>lo di spesa specifico per italiani e stranieri. Un tentativo di discriminare i comportamenti di spesa degli uni e degli altri<br />

si trova nel già citato lavoro <strong>del</strong>la Banca d’Italia (cfr. sopra) in cui all’ipotesi base che la spesa dei turisti italiani effettuata<br />

in un’area sia analoga a quella sostenuta dagli stranieri nella stessa area viene applicato un fattore di correzione per tenere<br />

conto <strong>del</strong> fatto che la quota di stranieri che utilizza strutture ricettive di gamma più elevata è superiore a quella degli<br />

italiani. La scelta di questo elemento come unico fattore correttivo <strong>del</strong>la spesa, pur motivato dalla mancanza di informazioni<br />

statistiche su altri fattori di differenziazione, rischia di trascurare altri aspetti che concorrono a distinguere i consumi turistici<br />

di italiani e stranieri.<br />

1.3 La stima <strong>del</strong>la spesa di consumo <strong>del</strong>le famiglie residenti nelle regioni italiane<br />

L’approccio seguito nella stima ricalca in parte quello proposto da IRPET 42 . Tuttavia da quest’ultimo si differenzia, sia per<br />

alcune scelte operative (non specificate nella breve descrizione <strong>del</strong>la metodologia seguita da IRPET), sia nella costruzione<br />

<strong>del</strong>la banca dati.<br />

40<br />

Alivernini A. Una valutazione <strong>del</strong>le spese turistiche fra il Centro Nord e il Mezzogiorno (1998-2008), in Banca d’Italia (2011) L’integrazione economica tra il Mezzogiorno e il<br />

Centro Nord.<br />

41<br />

Cfr. Alivernini A. Una valutazione <strong>del</strong>le spese turistiche fra il Centro Nord e il Mezzogiorno (1998-2008), in Banca d’Italia (2011) L’integrazione economica tra il Mezzogiorno e<br />

il Centro Nord pag 209<br />

42<br />

Rosignoli S. (2009) Impatto effettivo e potenziale dei consumi turistici sull’economia <strong>del</strong>le regioni italiane, XXX Conferenza scientifica <strong>del</strong>l’Associazione Italiana di Scienze<br />

Regionali.<br />

65


1.3.1 I consumi turistici<br />

Nel lavoro di IRPET si costruisce in primo luogo una matrice O/D dei flussi turistici regionali sulla base <strong>del</strong>l’indagine Istat sui<br />

movimenti negli esercizi ricettivi e <strong>del</strong>l’indagine Banca d’Italia sul turismo internazionale. Tale matrice viene poi corretta<br />

con l’indagine Istat Viaggi e Vacanze per ripartizione italiana di provenienza e regione di destinazione per tener conto <strong>del</strong>le<br />

presenze turistiche non ufficiali.<br />

Disponendo tuttavia dei microdati <strong>del</strong>l’indagine Viaggi e Vacanze, si ritiene opportuno costruire la matrice O/D <strong>del</strong>le presenze<br />

turistiche a livello regionale direttamente sulla base <strong>del</strong>le informazioni contenute in quest’ultima indagine.<br />

Tenuto conto <strong>del</strong>le carenze informative di cui si è già detto, viene accettata l’ipotesi che la spesa media giornaliera di un<br />

turista straniero in una determinata regione italiana sia uguale alla spesa sostenuta da un turista italiano nella medesima<br />

regione. Pertanto moltiplicando ciascuna casella <strong>del</strong>la matrice dei flussi turistici per la spesa turistica media giornaliera si<br />

ottiene la matrice O/D <strong>del</strong>la spesa turistica a livello regionale. Tale matrice ha come totale di riga i consumi turistici che<br />

i residenti di una determinata regione italiana effettuano nella regione stessa, nelle altre regioni e all’estero, mentre il<br />

totale colonna individua i consumi turistici effettuati in una determinata regione dai residenti e dai non residenti (sia che<br />

provengano da altre regioni italiane che dall’estero).<br />

1.3.2 Una prima stima <strong>del</strong>la spesa per consumi <strong>del</strong>le famiglie residenti<br />

Per ottenere una prima stima dei consumi complessivi dei residenti è necessario includere nella matrice O/D <strong>del</strong>la spesa<br />

turistica descritta nel paragrafo precedente i consumi non turistici dei residenti 43 .<br />

Dalla matrice O/D <strong>del</strong>la spesa turistica si passa a quella <strong>del</strong>la spesa per consumi complessivi aggiungendo i consumi non<br />

turistici dei residenti a ciascun elemento posto sulla diagonale principale. Sommando per riga gli elementi <strong>del</strong>la matrice così<br />

modificata si ottiene una prima stima dei consumi <strong>del</strong>le famiglie residenti, calcolati aggregando i consumi (turistici e non)<br />

nella propria regione di residenza e quelli effettuati nelle altre regioni italiane e all’estero.<br />

1.3.3 La correzione <strong>del</strong>la prima stima<br />

Tenendo conto <strong>del</strong>le lacune informative di cui si è detto e <strong>del</strong>l’assenza di una metodologia di riferimento dettagliata sulla<br />

stima <strong>del</strong>la spesa turistica degli italiani sembra opportuno limare i risultati ottenuti con la metodologia descritta nei paragrafi<br />

3.1 e 3.2 sulla base di altre fonti informative. A tal proposito l’indagine campionaria sui consumi <strong>del</strong>le famiglie (Istat)<br />

analizza i comportamenti di spesa <strong>del</strong>le famiglie residenti, monitorando per ciascuna regione i consumi <strong>del</strong>le famiglie per<br />

capitolo di spesa. Sulla base dei risultati <strong>del</strong>l’indagine si può effettuare una regionalizzazione <strong>del</strong>la spesa per consumi <strong>del</strong>le<br />

famiglie residenti registrata dalla contabilità nazionale 44 .<br />

43<br />

La stima dei consumi non turistici dei residenti si ottiene sottraendo dai consumi sul territorio economico (di fonte Istat, contabilità regionale) il totale di colonna <strong>del</strong>la matrice<br />

O/D <strong>del</strong>la spesa turistica.<br />

44<br />

Per correggere i risultati contenuti nella matrice O/D risultante dalla prima stima, si esegue un bilanciamento bi-proporzionale <strong>del</strong>la matrice stessa imponendo ai totali riga il<br />

vincolo che scaturisce dalla regionalizzazione dei dati di contabilità nazionale e ai totali di colonna di quadrare con la spesa per consumi sul territorio che deriva dalla contabilità<br />

regionale di Istat. In questo modo si ottiene il duplice obiettivo di verificare la coerenza fra le diverse fonti utilizzate nella costruzione <strong>del</strong>la matrice e di affinare la stima <strong>del</strong>la spesa<br />

per consumi effettuata dai residenti in una determinata regione all’interno <strong>del</strong>la regione, in ciascuna <strong>del</strong>le altre regioni italiane e all’estero.<br />

66


1.4 La formazione <strong>del</strong> risparmio a livello regionale<br />

Una volta stimati i consumi <strong>del</strong>le famiglie per regione di residenza, questi ultimi vengono sottratti al reddito disponibile per<br />

determinare il risparmio a livello regionale 45 .<br />

A partire dal 1997 fino all’ultimo anno per il quale è disponibile l’indagine sui consumi <strong>del</strong>le famiglie, la stima <strong>del</strong> risparmio<br />

viene effettuata con la metodologia descritta nel paragrafo precedente e stimando con il mo<strong>del</strong>lo multi- regionale di<br />

Prometeia 46 i dati di contabilità Istat qualora non siano ancora stati diffusi.<br />

A partire dall’anno per il quale l’indagine sui consumi <strong>del</strong>le famiglie non è disponibile, la stima <strong>del</strong> risparmio viene realizzata<br />

sulla base dalla matrice O/D dei flussi di spesa e, per lo scenario a breve termine, tenendo conto <strong>del</strong>l’evoluzione dei consumi<br />

regionali prevista dal mo<strong>del</strong>lo multi- regionale (cfr. nota 45) e, a livello nazionale, <strong>del</strong>l’andamento di crediti e debiti <strong>del</strong>la<br />

bilancia turistica <strong>del</strong>l’Italia di fonte Associazione Prometeia.<br />

Per ciò che concerne i principali risultati <strong>del</strong>l’analisi, ossia il significativo aumento (fino al 2009) <strong>del</strong> risparmio pro capite da<br />

parte di alcune regioni meridionali rispetto al più <strong>del</strong>udente andamento registrato da quelle settentrionali sono opportune<br />

alcune precisazioni di seguito specificate.<br />

• La differenza di comportamento tra Nord e Sud d’Italia non è riconducibile ad una diversa incidenza <strong>del</strong> sommerso tra<br />

le due aree. In questo lavoro, infatti, la stima <strong>del</strong> risparmio si basa sui conti economici di Istat in cui è già compresa la<br />

stima <strong>del</strong> sommerso economico 47 : “L’Istat elabora correntemente le stime <strong>del</strong> PIL e <strong>del</strong>l’occupazione attribuibili alla parte di<br />

economia non osservata costituita dal sommerso economico. Quest’ultimo deriva dall’attività di produzione di beni e servizi<br />

che, pur essendo legale, sfugge all’osservazione diretta in quanto connessa al fenomeno <strong>del</strong>la frode fiscale e contributiva.<br />

Tale componente è già compresa nella stima <strong>del</strong> PIL e negli aggregati economici diffusi dall’Istat sia a livello nazionale sia<br />

territoriale” 48 .<br />

• La crescita <strong>del</strong> risparmio nel Mezzogiorno deriva principalmente dalla maggiore propensione a ridimensionare i consumi,<br />

tendenza che è andata accentuandosi con l’avvento <strong>del</strong>la crisi. Sui fattori che hanno influenzato tali scelte di consumo si<br />

possono avanzare ipotesi, relative ad esempio ad aspettative pessimistiche, condizionate da una più difficile situazione<br />

economica.<br />

• L’aumento <strong>del</strong> risparmio, infine, non implica necessariamente che le famiglie meridionali stiano colmando il gap che le<br />

separa da quelle residenti in altre aree <strong>del</strong> paese in termini di ricchezza. Tale stock, infatti, trae origine da diverse fonti:<br />

il risparmio, ma anche i trasferimenti di ricchezza, come donazioni ed eredità e le variazioni di valore dei beni posseduti.<br />

Pertanto, più che tradursi in un accumulo di ricchezza il risparmio <strong>del</strong> Mezzogiorno potrebbe essere dettato, piuttosto, dallo<br />

sforzo di arginarne l’erosione.<br />

45<br />

Per ottenere il risparmio regionale, dal reddito disponibile, che nella definizione di Istat include oltre alle famiglie anche le Istituzioni Sociali Private, è stata sottratta anche<br />

la spesa per consumi di queste ultime registrata dalla contabilità regionale e che rappresenta una voce di spesa estremamente contenuta (a livello nazionale circa lo 0,5% dei<br />

consumi finali). Le stime <strong>del</strong> risparmio regionale sono ottenute sottraendo al reddito disponibile i consumi finali, senza tener conto <strong>del</strong>la voce “Rettifica per variazione dei diritti<br />

netti <strong>del</strong>le famiglie sulle riserve dei fondi pensione”, voce che è diffusa da Istat solo a livello nazionale.<br />

46<br />

Si tratta <strong>del</strong> mo<strong>del</strong>lo utilizzato nell’ambito <strong>del</strong> servizio Scenari per le economie locali di Prometeia.<br />

47<br />

È bene precisare che il sommerso economico non comprende le attività illegali, ossia quelle attività di produzione di beni e servizi la cui vendita, distribuzione o possesso sono<br />

proibite dalla legge, sia quelle attività che, pur essendo legali, sono svolte da operatori non autorizzati (ad esempio, l’aborto eseguito da medici non autorizzati).<br />

48<br />

Istat (2010), Dossier. L’economia sommersa: stime nazionali e regionali, Audizione <strong>del</strong> Presidente <strong>del</strong>l’Istituto nazionale di statistica Enrico Giovannini presso la Commissione<br />

parlamentare di vigilanza sull’Anagrafe tributaria, Roma, 22 luglio 2010.<br />

67


2. La stima <strong>del</strong>la ricchezza a livello territoriale<br />

A livello nazionale la Banca d’Italia rende disponibili gli aggregati storici (stock e flussi) di ricchezza finanziaria <strong>del</strong>le famiglie<br />

residenti 49 , mentre Prometeia costruisce uno scenario previsivo su stock e flussi di tale ricchezza.<br />

A livello territoriale invece sono disponibili dalle pubblicazioni ”L’economia <strong>del</strong>le regioni italiane” e dai singoli bollettini<br />

economici regionali sempre di Banca d’Italia, i valori storici per la ricchezza finanziaria complessiva a livello locale e per<br />

alcune sue sottovoci.<br />

Le componenti mancanti a livello territoriale sono stimate attraverso <strong>del</strong>le tecniche matematico-statistiche e la ricostruzione<br />

storica consente l’applicazione di mo<strong>del</strong>li econometrici di tipo Panel necessari poi per la determinazione <strong>del</strong>lo scenario<br />

previsivo territoriale.<br />

Le voci territoriali così ricostruite sono raccordate agli aggregati nazionali che compongono la ricchezza finanziaria in modo<br />

da realizzare uno scenario regionale coerente con lo scenario macroeconomico di Prometeia.<br />

La Figura 42 mostra una sintesi <strong>del</strong>le componenti degli 8 principali aggregati <strong>del</strong>la ricchezza finanziaria <strong>del</strong>le famiglie presenti<br />

nei conti finanziari ufficiali e la ricostruzione di queste voci secondo il mo<strong>del</strong>lo di Prometeia.<br />

49<br />

Supplemento al Bollettino Statistico, Conti finanziari, Tavola TDHEA000, Banca d’Italia.<br />

68


Figura 42:<br />

Raccordo voci componenti attività finanziaria <strong>del</strong>le famiglie<br />

B anca d'Italia<br />

P rometeia<br />

attività liquide<br />

bancarie<br />

circolante e depositi bancari (biglietti, monete,<br />

depositi a vista, altri depositi presso IFM e<br />

Amministrazioni Centrali, depositi a vista verso<br />

Amministra Centrale circolante, depositi resto <strong>del</strong><br />

mondo)<br />

depositi bancari (eleborazioni su dati BdI), per il<br />

circolante si ipotizza che il comportamento tra i<br />

residenti <strong>del</strong>le 20 regioni sia lo stesso che si<br />

riscontra per il possesso di depositi.<br />

attività liquide<br />

postali<br />

depositi postali (buoni, libretti e c/c)<br />

depositi postali: buoni, libretti e c/c (stima<br />

Prometeia)<br />

titoli<br />

BOT, CCT, BTP e altri titoli m/l pubblici,<br />

Obbligazioni Private, Titoli (a Breve e m/l) resto <strong>del</strong><br />

mondo, Titoli a breve termine emessi da altri<br />

residenti. Il dato dei Titoli include le GPT<br />

stima dei titoli a partire dal dato <strong>del</strong>l'amministrata a<br />

valori di mercato <strong>del</strong> Bollettino Statistico, stima <strong>del</strong>le<br />

GPT<br />

obbligazioni<br />

bancarie<br />

Obbligazioni bancarie<br />

stima Prometeia<br />

quote fondi<br />

comuni<br />

Quote di fondi italiani, fondi resto <strong>del</strong> mondo. Le<br />

quote fondi comuni includono le GPF<br />

stima Prometeia<br />

azioni e<br />

partecipazioni<br />

azioni italiane, azioni resto <strong>del</strong> mondo<br />

stima <strong>del</strong>le azioni a partire dal dato<br />

<strong>del</strong>l'amministrata a valori di mercato <strong>del</strong> Bollettino<br />

Statistico<br />

riserve<br />

tecniche<br />

riserve tecniche, fondi pensioni e TFR riserve tecniche (stima Prometeia)<br />

altro<br />

altri conti attivi e<br />

passivi<br />

stima P rometeia

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