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TESTATINA
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PAROLA DI…
DJANGO
Tributo a Franco Nero, Ennio Morricone
e Corbucci con il nuovo spaghetti western
firmato Quentin Tarantino.
o
nesto; con ogni
probabilità
l’aggettivo che
meglio incarna
la nuova fatica di Tarantino,
Django Unchained è proprio
questo. Un ritratto, inedito
e senza peli sulla lingua,
di una schiavitù mai vista
prima al cinema. Crudo,
senza sconti, insomma
un film alla Tarantino che
mescola vari elementi: una
storia d’amore, di riscatto, di
amicizia e di violenza, intriso
di inquadrature che attingono
a piene mani dai numi tutelari
del cineasta statunitense:
Ennio Morricone e Sergio
Corbucci su tutti. «Dieci anni
fa stavo scrivendo, e mi si è
presentato Django, il sesto
schiavo in catene in una fila
di sette, poi piano piano si è
rivelato come uno schiavo
che riusciva a liberarsi, per
diventare un cacciatore
di taglie e imbarcarsi in
una romantica e violenta
avventura alla ricerca della
moglie».
Django, personaggio già
interpretato da Franco Nero,
è sinonimo di spaghetti
western...
«Ho sempre sognato di fare
un film western e mi ero
ripromesso che se fosse
accaduto sarebbe stato alla
Sergio Corbucci e alla Sergio
Leone, maestri assoluti del
genere. Credo che i temi e
l’ambientazione del vecchio
west siano ideali per definire
il bene e il male, i buoni e i
cattivi».
Come ovvio, questa
pellicola trasuda Italia
ad ogni fotogramma:
Morricone, Elisa, Franco
Nero, i riferimenti a Leone e
Corbucci...
«Sono un amante del cinema
italiano di una volta, la qualità
che aveva e il modo in cui
quei registi erano capaci
di prendere un genere e
di trasformarlo in un’altra
cosa, a modo loro, erano
straordinarie. Ho inserito
tecnica ed estetica proprie
degli spaghetti western
in ogni mio film. Pulp
Fiction l’ho sempre definito
un moderno rock’n roll
spaghetti western. Kill Bill
due è zeppo di riferimenti,
anche la scena di apertura di
Inglorious Bastards è quella
di un film western. Senza
parlare della musica, quella
di Morricone, che ho usato
per oltre un decennio e che
ora ho finalmente utilizzato
nel contesto per cui era stata
pensata».
Chi è Tarantino quando non
dirige
«Non saprei come definirmi,
ma la mia vita è un costante
studio dell’arte del cinema,
come se ne dovessi diventare
un professore, mi procura
gioia farlo. Guardo, leggo,
mi informo, analizzo,
sperimento: è uno studio che
non finisce mai e credo che
quando morirò sarà il giorno
in cui mi sarò finalmente
laureato».
Un filo rosso che unisce i
suoi film
«Forse, un tratto comune dei
miei personaggi, è che spesso
recitano una parte nella parte.
C’è sempre qualcuno che finge
di essere un altro».
Va ancora, camuffato, alla
prima del film per vedere di
nascosto l’effetto che fa
«Ad ogni mio film. Il giorno
che esordisce, mi metto un
berretto in testa e giro per
i cinema di Los Angeles,
diverse zone, diversi cinema.
Mi metto nelle ultime file e mi
godo il frutto del mio lavoro:
le reazioni del pubblico».