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Settembre - La Piazza

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34 Politica<br />

una situazione di angoscia Non è essa, infatti,<br />

l’espressione più chiara e più propria della situazione<br />

problematica alla quale è pervenuta la<br />

nostra esistenza<br />

Ecco perché sentiamo il bisogno di una interrogazione<br />

più radicale, una esigenza di andare più a<br />

fondo; ci si interessa di filosofia e di teologia perché<br />

siamo nudi al centro della scena, in un vuoto<br />

che dobbiamo riempire.<br />

Ecco la crucialità della storia del presente.<br />

Anche perché solo se si entra in questa precarietà<br />

è possibile spezzare il rapporto tra angoscia e<br />

paura, tra paura e potere.<br />

Questo è il problema cruciale, veramente attuale,<br />

che abbiamo ora dinanzi, e che è quello di<br />

capire come si spezza questo rapporto, come si<br />

interrompe questo circolo vizioso tra libertà del<br />

singolo, paura e nuove forme di autoritarismo.<br />

Occorre fare la storia della precarietà, entrarci<br />

dentro, capire dove va o dove può andare, non<br />

solo perché occorre spezzare il rapporto tra precarietà<br />

e potere, tra paura e potere, ma anche per<br />

liberare l’angoscia (che ci deve essere, che non<br />

può non esserci), perché – come scrive Panikkar –<br />

l’angoscia è compagna della speranza e precorritrice<br />

della libertà.<br />

Infatti, il problema non è l’angoscia, ma quello<br />

di non far salire mai l’angoscia ad alta gradazione,<br />

perché oltre una certa soglia, ad un certo<br />

grado di intensità, la situazione di angoscia (che è<br />

ontologica) subisce al suo interno una biforcazione<br />

in due orizzonti di senso che sembrano escludersi<br />

reciprocamente, e finanche opporsi; una<br />

biforcazione, una divisione, tra angoscia e paura,<br />

tra chi questa angoscia la regge e chi, invece, non<br />

la regge, e ha bisogno di trasformarla in paura, per<br />

trovare una logica e un significato alla propria<br />

infelicità.<br />

Oggi, non a caso, la divisione è esattamente tra<br />

chi vive nell’angoscia e chi vive nella paura; e tale<br />

divisione comincia oggi ad essere e a configurarsi<br />

come una vera e propria divisione di classe, tra<br />

abitatori del tempo e abitatori dello spazio, tra chi<br />

vive – come l’èlite – dappertutto, e chi è costretto,<br />

invece, a vivere nello spazio, in uno spazio<br />

sempre più degradato e sempre meno abitabile, e<br />

proprio a causa della secessione delle élite.<br />

Il problema vero, dunque, è quello di come collocarsi<br />

tra le due comunità.<br />

Di come entrare in relazione con la paura e con<br />

la comunità dello spazio. Con quale cultura Con<br />

quale forma di vita Ecco le domande politiche<br />

dell’oggi, di cui la politica non sa quasi più nulla.<br />

In realtà, come sappiamo, questo era il vecchio<br />

problema di Gramsci.<br />

D. Da molti anni vivi nella nostra zona. <strong>La</strong><br />

zona che fa riferimento a Tivoli è densamente<br />

abitata, ma molto dispersiva, con caratteristiche<br />

di periferia. Come pensi che si possa raggiungere<br />

un pubblico più vasto con iniziative<br />

come questa<br />

Potrei partire dal Che cosa significa vivere in<br />

provincia di Heidegger o da alcune cose molto<br />

belle del nuovo meridionalismo, ma mi interessa<br />

qui enunciare solo una presa di partito per la periferia.<br />

Poiché è vero che in periferia si ha bisogno di<br />

tante cose (in alcune di tutto), ma è vero anche<br />

che solo da qui si può imparare veramente che<br />

cosa serve per vivere, e si possono ancora formulare<br />

progetti.<br />

Per vivere non servono soldi, ville, potere, per<br />

vivere – scriveva una suora a cui sono molto legato<br />

– servono attenzione, aspettative, ripetto, armonia,<br />

nostalgia di altro, e, soprattutto, serve saper<br />

desiderare. Bisogna saper desiderare per non subire<br />

passivamente la storia.<br />

Il problema vero è che la periferia ha bisogno di<br />

una visione autonoma delle cose, perché se la si<br />

pensa solo come un luogo dove ancora non è successo<br />

niente e dove si replica tardi e male ciò che<br />

celebra le sue prime altrove, essa è solo – hai<br />

ragione – dispersione.<br />

Tutto questo non vuol dire indulgenza verso il<br />

localismo (anzi!), vuol dire, invece, pensare la periferia<br />

come una risorsa, come un luogo nel quale è<br />

possibile pensare e vivere una vita più ricca.<br />

Per far questo, per ricominciare a pensare in<br />

modo differente la periferia occorre, innanzitutto,<br />

liberarsi da un rapporto ossessivo con un modello<br />

esterno, per riacquistare la forza per pensarsi da<br />

sé, per riconquistare con decisione la propria<br />

autonomia.<br />

Il punto è che da noi questa cultura non c’è<br />

(anche se Guidonia non è Tivoli o Castel Madama).<br />

Ecco perché occorre una cultura dei luoghi, una<br />

nuova consapevolezza di che cosa voglia dire il<br />

nostro abitare sulla Terra e sotto il Cielo, perché i<br />

luoghi stessi, oggi, hanno perduto il loro senso, non<br />

funzionano più come punti d’ancoraggio, e sussistono<br />

solo in forma astratta, servendo, in tempo di<br />

crisi, a denunziare l’altro che non si vuole.<br />

Con te stiamo pensando ad una “Scuola di<br />

Cultura politica”: se qualche Amministrazione ci<br />

desse una mano forse potremmo dare un piccolo<br />

contributo a questa necessaria inversione di rotta,<br />

per costruire insieme una nuova coscienza territoriale,<br />

un nuovo modo di rispondere alla domanda<br />

su che cosa significa abitare.

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