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Gaetano Grillo, come Coletta, è un artista pugliese residente a Milano da quando venne, nei primi anni Settanta,<br />

per frequentare l’Accademia <strong>di</strong> Brera, dove oggi insegna pittura. Fedele al cul<strong>to</strong> del proprio panteismo estetico, che<br />

gli fa affermare: «Noi pit<strong>to</strong>ri me<strong>di</strong>terranei siamo un mosaico d’identità, coscienti che la bellezza sia quella <strong>di</strong> Fi<strong>di</strong>a<br />

ma anche quella <strong>di</strong> Picasso», Grillo gioca, come elementi costitutivi della propria particolare forma <strong>di</strong> ars combina<strong>to</strong>ria,<br />

una serie <strong>di</strong> motivi e temi desunti dall’immenso reper<strong>to</strong>rio della s<strong>to</strong>ria dell’arte, senza preconcetti. Matisse e<br />

Moran<strong>di</strong>, cui si richiama apertamente sin dal ti<strong>to</strong>lo la tela M come Milione, Matisse, Moran<strong>di</strong>, sono alcuni tra i suoi<br />

pit<strong>to</strong>ri preferiti e ne è chiaro sin<strong>to</strong>mo la frequenza con cui <strong>to</strong>rnano nei suoi quadri; particolarmente amati e funzionali<br />

poiché rappresentano senza dubbio due opposte facce della pittura: la felicità della decorazione e l’intensità<br />

della luce me<strong>di</strong>terranea il primo, l’ossessione dello stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> alcune forme, sempre le stesse bottiglie, nel chiuso<br />

ambiente dell’atelier, con i <strong>to</strong>ni castigati delle terre, il secondo... La pittura come luogo in cui ogni integrazione, ogni<br />

ricomposizione è possibile.<br />

Dimitrios Kozaris, video-artista greco residente a Milano da moltissimi anni, da quando frequentò a Brera il corso<br />

<strong>di</strong> Fabro, presenta una sequenza della durata <strong>di</strong> un minu<strong>to</strong> e mezzo, un cammeo che è una piccola parte <strong>di</strong> un grande<br />

lavoro epico. Dea Era o la Capitana è un brevissimo episo<strong>di</strong>o estrapola<strong>to</strong> dal video Le vecchie e il mare <strong>di</strong>rec<strong>to</strong>r’s cut,<br />

le cui riprese si sono svolte, nel giugno 2011, anche in Calabria, tra i ruderi <strong>di</strong> Fiumefreddo Buzio. L’opera, della durata<br />

<strong>di</strong> 59 minuti e la cui visione integrale è ine<strong>di</strong>ta in Italia, è liberamente ispirata all’omonimo poema <strong>di</strong> Ghiannis<br />

Ritsos (Atene 1909-1990), che è considera<strong>to</strong> uno dei maggiori poeti greci contemporanei. Non è la prima volta che<br />

Kozaris sceglie una fonte letteraria: a La vita, istruzioni per l’uso <strong>di</strong> Perec si riferiva Team buil<strong>di</strong>ng, installazione interattiva<br />

del 2004 presentata ad Atene durante le Olimpia<strong>di</strong>, <strong>di</strong> un anno posteriore a The living room of memory, basata<br />

sui testi <strong>di</strong> Frances Yates e presentata alla Deste Foundation <strong>di</strong> Atene.<br />

Di Le vecchie e il mare, che contiene immagini particolarmente potenti relative ai gran<strong>di</strong> temi dell’esistenza, a <strong>Vibo</strong><br />

avremo modo <strong>di</strong> vedere soltan<strong>to</strong> un piccolo saggio costitui<strong>to</strong> da una sorta <strong>di</strong> visione, onirica e circolare, <strong>di</strong> una donna<br />

alle prese con la ripetizione a memoria dei gesti quoti<strong>di</strong>ani che si compiono abitualmente in casa; essi assumono<br />

in tale contes<strong>to</strong> immenso, fat<strong>to</strong> <strong>di</strong> cielo, ruderi e riflessi, una valenza come <strong>di</strong> una danza ancestrale, <strong>di</strong> un rituale che<br />

è in <strong>di</strong>retta comunicazione con gli elementi.<br />

Matt McClune svolge un lavoro sulla superficie assai ra<strong>di</strong>cale, pre<strong>di</strong>ligendo negli ultimi anni come suppor<strong>to</strong> lastre<br />

<strong>di</strong> alluminio su cui il colore, che si potrebbe definire quasi monocromo, scorre e si soli<strong>di</strong>fica in modo vis<strong>to</strong>samente<br />

attivo. Queste superfici sdrucciole propongono agli occhi del riguardante un percorso mis<strong>to</strong>, compos<strong>to</strong> <strong>di</strong> zone<br />

assai <strong>di</strong>versamente <strong>di</strong>namiche che costituiscono un vivace gioco <strong>di</strong>alettico tra opacità e trasluci<strong>di</strong>tà. A guardarli<br />

con attenzione, aderendovi completamente, questi <strong>di</strong>pinti a tratti sembrano generare sui nostri occhi la crescita <strong>di</strong><br />

nuove palpebre, strati che filtrano la visione, a volte ad<strong>di</strong>rittura fino ad ottunderla quasi completamente, per poi<br />

improvvisamente restituirla nella sua abbagliante presenza. Ma cosa ve<strong>di</strong>amo? Assistiamo al comportamen<strong>to</strong> <strong>di</strong><br />

una pittura che, mantenendo la memoria del suo processo attuativo, cresce e si forma proprio sot<strong>to</strong> i nostri occhi,<br />

sbocciando come un’epifania.<br />

Angelo Molinari usa da molti anni gran<strong>di</strong> pennelli orientali per dare visibilità all’ampiezza del ges<strong>to</strong> e occupare<br />

in tale modo la superficie con pochi interventi rapi<strong>di</strong>, costruendo una pittura corsiva che è un leggibile traccia<strong>to</strong><br />

del proprio processo formativo. Il ges<strong>to</strong> che applica il colore si raggomi<strong>to</strong>la spesso su se stesso occludendo quasi<br />

<strong>to</strong>talmente la memoria delle stesure precedenti che, generalmente portatrici <strong>di</strong> altre cromie rispet<strong>to</strong> a quella che poi<br />

domina in primo piano, filtrano tra una “maglia” e l’altra del tessu<strong>to</strong> gestuale, apportandovi una nuova ricchezza<br />

<strong>di</strong> echi sotterranei. L’universo <strong>di</strong> riferimenti è chiaro, dalla calligrafia orientale all’action painting, passando per l’as-<br />

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