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rivista giugno 2013 - Partito Comunista Internazionale

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Lo stesso principio è presente anche negli eredi contemporanei di tale pensiero che lo hanno adeguato aidifficili tempi correnti di conflitto planetario e sovrapproduzione: sono quegli intellettuali, economisti, filosofi eprofessori che hanno coniato la neo-categoria della decrescita, che prendono le distanze dal marxismo e dalsuperamento integrale di stato e società capitalista. Questi intellettuali avrebbero costruito il modello cheassicura la convivenza di “comunità” associate dedite alla mutualità e alla cooperazione, dentro il sistema dellemerci e del potere politico vigenti.Marx aveva già ampiamente mostrato come in una società divisa in classi (antiche o moderne), ènecessario che ci siano disuguaglianze, che non tutti possano svilupparsi con le medesime potenzialità. Ossia,alla proprietà di alcuni deve di necessità corrispondere dialetticamente l’espropriazione di tutti gli altri, alcapitale il lavoro salariato, alla borghesia il proletariato, ai nababbi miliardari i morti di sete e di fame. Lasoluzione di questa contraddizione non può che stare nella piena conoscenza scientifica di essa, una coscienzadell’impossibilità di tenere insieme in un unico sistema la disparità dei rapporti di proprietà con la pretesa diuguaglianza tra tutti i membri della società. Mentre gli ideologi borghesi, con piena consapevolezza di quantoaccade, passano comunque sotto silenzio il fatto che nel sistema non si può intervenire con migliorie, gliideologi piccolo-borghesi, grazie ad una errata conoscenza, si illudono di poter aggiustare le peggiori storture.Essi si limitano a prendere atto dell’esistenza del problema e cercano di trovare la soluzione esattamente in ciòche genera il problema e non in ciò che può eliminare il problema. Sono impossibilitati a farlo non tantoscientificamente, quanto socialmente.Un sistema strutturato come l’attuale, non può che subordinare l’uso della ricchezza materiale e del sapere,prodotta dalla collettività, alla produzione per lo scambio finalizzato al profitto, per l’autovalorizzazione delCapitale medesimo.Soltanto una pianificazione cosciente e autoregolata della produzione sociale finalizzata ai diversi usinecessari e possibili è in grado di mantenere e sviluppare la società stessa tutta intera: ma una tale coscienzadi “pianificazione” è incompatibile con il modo di produzione capitalistico in quanto tale, animato e dominatocom’è dalla concorrenza e da una mentalità individualistica.Nel capitalismo quello che non può avvenire è che “il lavoro è un processo che si svolge fra l’uomo e lanatura, nel quale l’uomo per mezzo della propria azione produce, regola e controlla il ricambio organico fra sestesso e la natura: contrappone se stesso, quale una fra le potenze della natura, alla materialità della natura.Egli mette in moto le forze naturali appartenenti alla sua corporeità per appropriarsi i materiali della natura informa usabile per la propria vita” [Capitale, libro I. cap. 5]. Un piano cosciente necessita della libertà di produrre,che tuttavia - “rimane sempre una necessità”- da parte di uomini “socializzati”, cioè di produttori associati che“regolano razionalmente questo loro ricambio organico con la natura”; produttori che “eseguono il loro compitocon il minore possibile impiego di energia e nelle condizioni più adeguate alla loro natura umana e più degne diessa” [Capitale, libro III. Cap. 48].Il ricambio organico con la natura è continuamente peggiorato sotto il dominio del modo di produzionecapitalistico. I vari e successivi “protocolli” internazionali per la salvaguardia del pianeta ( a partire da Kyoto inpoi) propongono iniziative che sono incompatibili con l’infinità di crescita insita soltanto nel capitalismo stesso.Non sono mai esistiti al mondo, e mai esisteranno, altri sistemi sociali finalizzati alla massima crescita possibiledelle merci da scambiare con profitto. Pertanto è vano cercare di “convincere” i singoli individui, uno dopol’altro, a consumare meno mentre la produzione capitalistica ha pretesa dell’“infinità” ed è manovrata dacolossali gruppi monopolistici multinazionali, compresi quelli camuffati sotto un’illusoria veste “bio”. L’erroreeconomicistico di partire dal consumo, pensando che anche nel capitalismo la produzione sia subordinata aesso, è un granitico pregiudizio di classe; ed esso si ripresenta con tutta la sua erroneità e virulenza nelle piùsvariate maschere politiche.Una società che vorrebbe trasformare in oro tutto ciò che tocca e che pur di vendere per far profitto induceproduttori e consumatori ad aumentare a dismisura le loro spese, come potrebbe fare marcia indietro erestringere le spese dei compratori (capitalisti e consumatori finali), persuadere tutti quegli acquirenti a ridurre ipropri consumi (produttivi o improduttivi) o, come alcuni oggi amano dire, a imboccare la strada di unasistematica “decrescita”? Insomma “predicare” per persuadere intere popolazioni a cambiare drasticamente19

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