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Rivista n. 2 - Partito Comunista Internazionale

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<strong>Rivista</strong> n° 2 - marzo 2006<br />

SUL FILO ROSSO<br />

DEL TEMPO<br />

• Il mondo capitalistico si muove verso una nuova spartizione generale guerreggiata<br />

dei mercati internazionali.<br />

• Dall’aggressione all’Europa al “mito” dell’Europa unita. (Prima parte)<br />

• La Russia è fuori dai giochi interimperialistici? (Prima parte)<br />

• La nascita e lo sviluppo peculiare del capitalismo cinese. (Prima parte)<br />

• Il significato del nostro astensionismo.<br />

• Il proletariato rivoluzionario non voterà per nessuno. (Articolo del 1953)<br />

• Il ruolo della chiesa nell’epoca attuale.<br />

• Esecuzione di “Douglas Principal”, militante del <strong>Partito</strong> <strong>Comunista</strong> <strong>Internazionale</strong><br />

ad opera del capitalismo venezuelano e della mafia di Chavez.<br />

• Le catastrofi ed il falso mito della scienza e della tecnica risolutrici.<br />

• Il nostro intervento nella lotta alla Marzotto.<br />

• Tre nostri volantini.<br />

DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx, a Lenin, a Livorno 1921, alla lotta della<br />

sinistra contro la degenerazione di Mosca, al rifiuto dei blocchi partigiani, la dura opera del restauro<br />

della dottrina e dell’organo rivoluzionario, a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo<br />

personale ed elettoralesco.


SUL FILO ROSSO<br />

DEL TEMPO<br />

Parttiitto Comuniistta Intternaziionalle<br />

2


Il mondo capitalistico si muove verso una nuova spartizione<br />

generale guerreggiata dei mercati internazionali.<br />

Nel 1945, alla fine della Seconda Guerra<br />

Mondiale, a Yalta e Postdam si sanciva la<br />

spartizione dell’Europa lungo la linea dove si<br />

erano fermate le armate anglo-americane ad<br />

ovest e Russe ad est, un asse nord-sud nel<br />

centro dell’Europa che venne chiamato linea<br />

dell’Oder-Neisse. “Naturalmente si trattò di<br />

un assetto che assomigliava molto ad una<br />

camicia di forza che i vincitori del conflitto -<br />

e si tratta di vedere se tra questi può figurare<br />

la Gran Bretagna [e la Francia, aggiungiamo<br />

noi] considerando le enormi mutilazioni<br />

inferte al [loro] impero coloniale e<br />

finanziario, applicavano ai popoli europei o<br />

liberati”. Russi ed americani avevano infatti<br />

interessi convergenti per tenere in scacco gli<br />

stati europei e la possibilità di risorgenti<br />

tendenze “terzaforziste”. E se le armate<br />

americane e russe, incontrandosi nel cuore<br />

dell’Europa, mettevano fine al primato<br />

imperialistico delle vecchie potenze coloniali,<br />

la rivoluzione anticoloniale che infiammava<br />

tre continenti, Asia, Africa e parte<br />

dell’America Latina, trovava consensi a<br />

Mosca ed a Washington, perché entrambe<br />

cercavano di soppiantare nelle colonie gli<br />

antichi padroni. Al tempo stesso, però,<br />

nascevano problemi per entrambe,<br />

specialmente per gli americani, i quali<br />

dovevano badare non solo a contrastare<br />

l’operato dei russi, ma a fronteggiare le<br />

velleità dei propri alleati, che ferocemente<br />

lottavano per conservare i loro traballanti<br />

imperi coloniali. Le guerre di liberazione<br />

nazionali e anticoloniali, che insanguinarono<br />

l’Oriente e l’Africa nel secondo dopoguerra, si<br />

inserirono all’interno di un conflitto più<br />

vasto: il ciclo di liberazione delle colonie,<br />

semicolonie e dei protettorati inglesi,<br />

francesi, olandesi, belgi e portoghesi che si<br />

svolse in un arco di tempo di 30 anni (1945<br />

Indonesia -1975 Vietnam e Angola), ben lungi<br />

dal rappresentare un semplice riflesso della<br />

evoluzione dei contrasti interimperialistici, fu<br />

tuttavia lo scenario reale in cui tali scontri si<br />

svolsero e i cui i contendenti cercarono di<br />

trarre profitto.<br />

Perché la Russia e soprattutto gli Stati<br />

Uniti appoggiavano l’indipendenza delle<br />

3<br />

colonie, in nome della democrazia e della<br />

libertà contro Inghilterra, Francia, Portogallo,<br />

etc.? Forse in nome della tanto proclamata e<br />

osannata democrazia e libertà? No,<br />

naturalmente!<br />

Bisogna pensare, invece, all’enorme posta<br />

in gioco, alle ingenti risorse naturali del<br />

sottosuolo, ai prodotti delle piantagioni, ai<br />

territori di importanza strategica, alle enormi<br />

riserve di mano d’opera a basso costo, per<br />

capire l’interesse che le due potenze ponevano<br />

negli equilibri che si andavano formando e<br />

che ognuno cercava di spostare a proprio<br />

favore.<br />

Un esempio emblematico è stato il caso<br />

del canale di Suez. Nel 1956 l’Egitto di Nasser<br />

aveva nazionalizzato il canale di Suez, allora<br />

sotto controllo inglese. Gli inglesi, con a<br />

fianco i francesi legati da un patto, erano<br />

intervenuti militarmente per ripristinare la<br />

loro sovranità sul canale. Gli USA affiancati<br />

dai russi promossero una risoluzione all’ONU<br />

attraverso la quale costrinsero gli inglesi e i<br />

francesi a ritirarsi, proseguendo così in<br />

quell’opera di disgregazione dei rispettivi<br />

imperi che era parte integrante della<br />

aggressione americana all’Europa. 1<br />

L’originale piano americano di controllare<br />

economicamente e politicamente l’Europa e<br />

di portare avanti ed imporre agli stati europei<br />

la creazione di un piano unico modellato sugli<br />

interessi e le prospettive americane (Piano<br />

Marshall prima, Nato ovvero organizzazione<br />

del trattato del Nord Atlantico 1949 poi) si<br />

scontrava con gli interessi inglesi, Inghilterra<br />

che si riteneva essere ancora una potenza<br />

mondiale, e coi francesi, che volevano una<br />

Francia forte e una Germania debole e divisa.<br />

La Comunità europea fu stabilita come<br />

un’alternativa al piano americano di<br />

integrazione europea; ciò che i francesi<br />

poterono fare contro lo strapotere americano<br />

fu intrecciare così strettamente gli interessi<br />

francesi a quelli tedeschi da rendere<br />

1 vedi in proposito l’articolo “Lo sviluppo storico<br />

dell’aggressione americana all’Europa ed il suo<br />

inevitabile punto di approdo”, di cui pubblichiamo in<br />

questo numero della rivista la prima parte.


impossibile un nuovo conflitto fra i due vecchi<br />

avversari. I francesi in questo modo<br />

proposero la loro versione dell’unione<br />

europea.<br />

Subito dopo la seconda guerra mondiale<br />

la Francia aveva iniziato l’integrazione<br />

economica coi vinti, tedeschi ed italiani, nella<br />

CECA (Comunità Europea Carbone e Acciaio<br />

fondata nel 1950) che si sviluppò nel Mercato<br />

Comune Europeo del 1957 e poi nella<br />

Comunità Europea 1993, i cui quartieri<br />

generali furono a Bruxelles, mentre il suo<br />

vero nucleo risiedeva e risiede nell’unità<br />

franco-tedesca, rafforzata ultimamente con la<br />

creazione dell’Euro quale moneta unica e,<br />

quindi, reale base finanziaria dell’Unione<br />

Europea. Questo processo non ha fatto altro<br />

che accelerare la demolizione del potere della<br />

grande e vecchia potenza britannica prima, e<br />

russa poi.<br />

La ripresa economica ed il prosperare<br />

dell’Europa occidentale e del Giappone portò<br />

gli Stati Uniti a vedere intaccato il loro<br />

primato economico: già negli anni sessanta il<br />

divario di produttività fra questi paesi e gli<br />

Usa era stato pressoché colmato; i paesi<br />

dell’Europa occidentale e il Giappone avevano<br />

riacquistato il controllo dei propri mercati<br />

nazionali, iniziando a competere<br />

efficacemente con i prodotti statunitensi nei<br />

mercati dei paesi terzi e addirittura nello<br />

stesso mercato interno statunitense.<br />

L’aumento della produzione mondiale<br />

derivante dall’espansione della produzione in<br />

Europa ed in Giappone portò ad una<br />

saturazione del mercato mondiale e ad un<br />

profondo declino nella redditività di molti dei<br />

principali settori industriali, come l’acciaio, le<br />

automobili e l’elettronica. La conseguente<br />

flessione dell’economia mondiale fu<br />

caratterizzata da due principali eventi: la<br />

necessità degli Stati Uniti di abbandonare il<br />

gold standard (la conversione diretta di<br />

dollari in oro 1971-72) e la recessione<br />

mondiale del 1975. Il surplus finanziario<br />

statunitense non garantiva più gli americani e<br />

ciò significava che gli americani avrebbero, da<br />

allora in poi, lavorato pesantemente a livello<br />

politico e militare per conservare la loro<br />

posizione economica dominante sostendo il<br />

corso forzoso della loro moneta.<br />

Quattro furono i punti-chiave che<br />

contraddistinsero sul piano economico lo<br />

sviluppo storico degli anni ottanta. Il primo<br />

punto-chiave fu la “crisi del debito”, che portò<br />

4<br />

al collasso non solo gran parte dell’America<br />

Latina, ma anche tutta l’Europa<br />

centrorientale, Africa compresa. Il secondo fu<br />

la “strabiliante ascesa delle economie<br />

dell’Asia orientale”, che il Giappone ha<br />

guidato fino al 1992, seguito a rimorchio dalle<br />

quattro tigri del sud-est asiatico (Corea del<br />

sud, Taiwan, Hong Kong e Singapore) e dalla<br />

Cina continentale. Il terzo punto-chiave fu il<br />

“keynesismo” negli Stati Uniti, che ebbe la<br />

meglio sulla recessione americana e<br />

sull’elevata disoccupazione grazie a un<br />

enorme indebitamento pubblico, in<br />

particolare con il Giappone. Il quarto puntochiave<br />

fu la “finanziarizzazione”<br />

dell’economia, ovvero la grande speculazione<br />

sulle valute e sui titoli di borsa avvenuta nelle<br />

grandi piazze finanziarie internazionali.<br />

Gli anni 1989-90 hanno visto cadere la<br />

costellazione del grande mercato della<br />

potenza Russa (il Comecon, comprendente<br />

Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, Bulgaria,<br />

ecc.), guadagnato con la vittoria militare del<br />

1945. La grande crisi economica mondiale<br />

nel 1989 morde al cuore per prima la potenza<br />

russa, ossia il classico “anello più debole”<br />

della catena imperialista. L’implosione finale<br />

dell’URSS è stata infatti solo l’esito<br />

catastrofico di un tracollo in caduta libera che<br />

perdurava ormai da 10 anni, tipico di una<br />

classica crisi di sovrapproduzione relativa di<br />

capitale industriale, accompagnata<br />

dall’impossibilità di invertire la caduta del<br />

saggio medio di profitto giunto a livelli<br />

inaccettabili (era diventato negativo). Crisi<br />

che ha visto una spaventosa flessione della<br />

produzione industriale (vicina al 60%), e<br />

paragonabile alla crisi del 1929 scoppiata<br />

negli Stati Uniti e poi in Europa occidentale e<br />

che ha permesso al capitalismo europeo ed in<br />

particolare a quello tedesco di accaparrarsi il<br />

grande mercato russo senza combattere una<br />

guerra. Il crollo dell’Unione Sovietica non è<br />

stato crollo del comunismo, ma il crollo di<br />

uno stato borghese capitalistico 2 .<br />

2 “Il centro della questione sta nella pretesa dei russi<br />

attuali che la dimostrazione della diversità del sistema<br />

sovietico rispetto a quello capitalistico, e inoltre della<br />

superiorità del primo, sta nel fatto che di anno in anno la<br />

produzione industriale della Russia si incrementa di più,<br />

e con un tasso percentuale maggiore rispetto al prodotto<br />

totale del precedente anno, che in qualunque paese del<br />

mondo e in qualunque epoca della storia. Si è dimostrato<br />

[…] quanto segue: 1) falso che quell’alto ritmo sia solo<br />

in Russia. 2) falso che quell’alto ritmo sia solo oggi nella<br />

storia. 3) falso che, anche se la Russia fosse a ritmo


Nello stesso tempo il crollo dell’URSS ha<br />

trovato un’eco immediata nella<br />

riunificazione tedesca, avvenuta anch’essa<br />

senza combattere una guerra. In oltre<br />

quarant’anni di “pace” i rapporti di forza<br />

economici sono cambiati, i vincitori<br />

(Inghilterra, URSS, poi toccherà agli USA) si<br />

sono indeboliti ed i vinti si sono irrobustiti.<br />

Tutto ciò, sotto la pressione generale ed<br />

inesorabile di una crisi economica mondiale<br />

che proseguiva e si inaspriva tra stentate<br />

“ripresine” ed ulteriori tracolli e sotto la<br />

pressione particolare dell’indebitamento<br />

russo-polacco-ungherese-cecoslovaccoyugoslavo,<br />

ma anche di Stati Uniti, Francia,<br />

Inghilterra verso la Germania Occidentale.<br />

L’Impero russo intanto si disintegrava e si<br />

afflosciava come un castello di carte, mentre a<br />

Berlino si abbatteva lo storico “muro” sotto lo<br />

sguardo attonito e costernato degli americani,<br />

che vedevano l’imperialismo germanico<br />

rinascere sopra le sue stesse ceneri.<br />

Questi accadimenti rompevano<br />

definitivamente gli accordi stabiliti a Yalta nel<br />

1945. Rompevano l’apparente “codominio”<br />

russo-americano sull’Europa, un “codominio”<br />

che in realtà ha sempre visto i russi giocare<br />

un ruolo subordinato rispetto a<br />

Washington: ne sono derivati infatti gli<br />

accordi ufficiali in cui si sanciva che la<br />

Germania aveva saldato il suo debito e non<br />

era più sottomessa ai precedenti accordi<br />

capestro, accordi da cui è poi partita<br />

l’offensiva tedesca per arrivare all’Euro. Il<br />

Giappone fino ad oggi, al contrario non ha<br />

ancora raggiunto questa formale<br />

indipendenza politica dal vincitore<br />

statunitense.<br />

Nel 1990 scoppiava un’ennesima crisi<br />

economica di sovraproduzione negli USA,<br />

preceduta da un crollo della borsa nel 1987 e<br />

uno minore nel 1989 (la caduta della Borsa di<br />

Wall Street nel 1987 fu dai 2722 punti del<br />

25/8/87 ai 1738 punti del 19/10/87: una<br />

caduta cioè del 36%, che invece nel 1989 fu<br />

“solo” del 20% circa). La risposta americana a<br />

questo ulteriore episodio di una crisi di<br />

sovrapproduzione ormai cronica e, nello<br />

stesso tempo, alla riunificazione tedesca ed al<br />

massimo, e ad un ritmo maggiore di ogni caso storico,<br />

sorgerebbe da questo la prova che non è capitalista.<br />

Rimessi in ordine fatti e cifre, la conclusione è una e<br />

sicura: la struttura economica sociale in Russia è squisito<br />

capitalismo” (“Dialogato coi Morti”, 1956, pag. 138-39).<br />

5<br />

crollo del vassallo russo, fu lo scatenamento<br />

della guerra contro l’Iraq, la cosiddetta prima<br />

guerra del Golfo Persico del 1990-1991. Con<br />

questa guerra gli americani hanno iniziato a<br />

costruire le loro basi militari nelle “terre<br />

sante” del Medio Oriente (Arabia Saudita ed<br />

Emirati Arabi), galleggianti su un mare di<br />

petrolio (il 70% delle riserve di petrolio<br />

mondiali si trovano infatti nel sottosuolo dei<br />

paesi arabi che vanno dal Golfo Persico al<br />

Mar Caspio e alle repubbliche centroasiatiche)<br />

e, soprattutto, sulle arterie che<br />

portano il prezioso liquido ai loro diretti<br />

concorrenti ed avversari. Chi ha subito<br />

maggiormente le conseguenze della prima<br />

guerra del Golfo è stato il Giappone che, oltre<br />

a pagare un tributo di 50 miliardi di dollari<br />

(per spese di guerra agli USA), ha dovuto<br />

subire la contingentazione nell’esportazione<br />

di automobili, acciaio, navi, informatica, ha<br />

dovuto aprire agli USA i mercati dell’auto e<br />

dell’elettronica, ha dovuto abbandonare lo<br />

sviluppo dei microprocessori per<br />

supercomputer non senza tollerare altre<br />

misure restrittive nei suoi confronti. Le<br />

conseguenze dirette sono state la fine<br />

prematura del ruolo dello Yen come moneta<br />

internazionale, il forte indebitamento delle<br />

banche giapponesi che hanno così ceduto il<br />

loro primato alle banche USA, la crisi del<br />

settore produttivo riscontrabile nel marcato<br />

calo della produzione industriale che, a<br />

partire dal 1992, ha cominciato a declinare e<br />

solo nel 2004 il Giappone è riuscito a<br />

risollevarsi tornando al precedente livello<br />

produttivo, con una conseguente stagnazione<br />

di ben 11 anni.<br />

Il 1991 fu anche l’anno in cui negli USA si<br />

inneggiava un potenziale attacco militare sia<br />

contro il Giappone sia contro la Germania e la<br />

Francia [ 3 ], perché, come affermavano i massmedia<br />

e i politicanti (che una volta tanto<br />

dicevano la verità), questi erano i veri<br />

nemici della repubblica a stelle e strisce. Ma<br />

tutta questa politica contro il Giappone e<br />

contro l’asse franco-tedesco ha avuto per gli<br />

americani un risultato tutt’altro che<br />

trascurabile, dando il via dal 1994 alla follia di<br />

una grande speculazione borsistica ed alla<br />

conseguente rivalutazione del dollaro, follia<br />

3 Ricordiamo a titolo di esempio che questa vera e<br />

propria propaganda di guerra, che si compiacque di<br />

definire i francesi come “scimmie mangiatrici di<br />

formaggio”, comportò l’esclusione dei vini francesi<br />

dai ristoranti americani.


che è durata fino al febbraio-marzo 2000 con<br />

lo scoppio della relativa bolla speculativa e<br />

fino al 2002 con l’inizio della svalutazione del<br />

dollaro, a seguito del fatto che l’Euro iniziava<br />

la sua funzione di moneta unica per 11 paesi<br />

europei.<br />

Nel 2001 iniziava un nuovo episodio<br />

acuto della crisi di sovrapproduzione<br />

americana, che colpiva duramente il settore<br />

delle linee aeree, il settore automobilistico,<br />

petrolifero, il settore degli armamenti, la<br />

Boeing, la telefonia, le compagnie elettriche<br />

ed elettroniche, informatiche, ecc.. Ancora<br />

una volta gli USA erano stati messi alle corde<br />

e allo stesso tempo l’Europa rafforzava<br />

attraverso l’Euro le sue bardature difensive<br />

contro l’avversario di oltreoceano. Si<br />

attendeva, inoltre, da un momento all’altro, lo<br />

scoppio della bolla speculativa che aveva<br />

pompato la borsa americana sui titoli della<br />

cosiddetta net-economy.<br />

Fu per nascondere questa situazione, per<br />

sviare l’attenzione dei proletari americani dai<br />

loro problemi, dalle loro condizioni di vita e<br />

di lavoro, ma anche e soprattutto per<br />

preparare il terreno all’attuazione dei piani<br />

già pronti di una nuova guerra in Medio<br />

Oriente attraverso una nauseabonda<br />

campagna di solidarietà interclassista e<br />

interrazziale, attraverso la unanimità del<br />

fronte nazionale guerrafondaio allestito sotto<br />

le insegne menzognere della “lotta al<br />

terrorismo”, che si lanciarono -o si consentì<br />

che venissero lanciati [ 4 ], il che fa lo stesso-<br />

gli aerei contro le Torri Gemelle a New York<br />

l’11 settembre 2001.<br />

Quelle spettacolari azioni “terroristiche”<br />

rispondevano, infatti, sia al bisogno di<br />

mobilitare la “pubblica opinione” attorno a<br />

quel programma bellico ed ai suoi corollari di<br />

esplicita militarizzazione dell’intera società<br />

statunitense, sia al bisogno di occultare nello<br />

stesso tempo l’imminente esplosione della<br />

“bolla speculativa”, deviando così l’attenzione<br />

dei proletari e dei lavoratori che subivano la<br />

crisi dalle origini endogene e strutturali della<br />

recessione statunitense, che stava poi alla<br />

base della necessità di un così vasto<br />

dispiegamento militare da parte degli USA.<br />

Ma ciò che deve soprattutto rilevarsi, è che<br />

4 Come dei settori della stessa stampa borghese hanno poi<br />

documentato, vedi il testo di T. Meyssan, “11 settembre<br />

2001. L’effroyable imposture”, Carnot, 2002.<br />

6<br />

consentire ad altri di portare a termine<br />

l’“aggressione” contro gli obiettivi a stelle e<br />

strisce era solo la continuazione di un<br />

metodo più che collaudato da parte della<br />

borghesia nordamericana.<br />

In tale situazione, gli USA poterono<br />

predisporre l’intervento in Afghanistan prima<br />

e in Iraq poi, e le minacce economiche,<br />

diplomatiche e militari rivolte nei confronti di<br />

chiunque nell’intero pianeta terra osasse<br />

minacciare i sacrosanti interessi americani,<br />

ribellandosi ai diktat emanati da Washington.<br />

Ancora più determinante fu seminare<br />

all’interno di ogni paese la paura, la<br />

diffidenza, il terrore, la delazione e la<br />

militarizzazione, come se già si fosse in piena<br />

guerra fra Stati. Questa visione generale e<br />

questo obiettivo di guerra ha soltanto un<br />

nemico interno: la classe proletaria.<br />

Terrorizzarla significa ostacolare e vietare la<br />

lotta proletaria, la solidarietà classista<br />

istintiva, le riunioni e le assemblee per<br />

discutere i problemi dei lavoratori. La<br />

militarizzazione interna della vita quotidiana<br />

significa sottomettere con la più schiacciante<br />

dittatura ideologica e militare, collegata<br />

all’intervento potenziale di eserciti<br />

superarmati, la capacità di resistenza e di<br />

lotta della classe proletaria: ricordiamo che<br />

dopo l’11 di settembre sono stati licenziati<br />

quasi 3 milioni di proletari negli Stati Uniti,<br />

senza resistenza e lotte organizzate per ben 4<br />

anni, e che i portuali una volta scesi in<br />

sciopero furono militarizzati dal governo di<br />

Bush.<br />

Insieme alla ristrutturazione industriale si<br />

è prodotta la svalutazione del dollaro del 52%.<br />

Questo ha provocato una forte inflazione ed<br />

una caduta del potere d’acquisto dei salari,<br />

subito dai proletari che rinunciarono alle lotte<br />

schiacciati dalla campagna ideologica in<br />

difesa della patria in pericolo. Tutta questa<br />

politica si risolve in un bell’affare per diversi<br />

settori economici statunitensi, che furono<br />

aiutati a superare la crisi oppure a<br />

sopravvivere senza fallire, ricevendo dei<br />

fortissimi aiuti sotto forma di sovvenzioni<br />

economiche dallo Stato, come è accaduto per<br />

esempio alle Linee Aeree, all’industria degli<br />

armamenti, etc.<br />

Avendo creato e fabbricato un nemico,<br />

l’islamismo o, più in generale, il “terrorismo<br />

internazionale”, che è un nemico dai contorni<br />

ancor più sfuggenti ed indeterminati e quindi<br />

molto più utile del precedente, gli americani


hanno potuto e possono giustificare<br />

l’intervento in ogni parte del globo. Un<br />

nemico, il primo che non è pericoloso per il<br />

capitalismo internazionale, poiché non è in<br />

grado di offrire alcuna alternativa alla<br />

“civilizzazione” capitalistica, di cui anzi è già<br />

da un pezzo parte integrante ed attiva. Un<br />

nemico, il secondo, che è solo un abito<br />

preconfezionato buono per tutti i nemici<br />

presenti e futuri degli States. Con la<br />

conseguente occupazione dell’Afghanistan, gli<br />

americani hanno messo le basi per la<br />

penetrazione nel Centro-Asia, organizzando<br />

una cintura sanitaria fra la Russia e la Cina, in<br />

modo da bloccare l’espansione di un altro<br />

nemico incombente, rappresentato<br />

dall’imperialismo cinese, verso le fonti di<br />

petrolio e gas russo e centro-asiatico.<br />

Gli USA hanno di recente tentato di<br />

organizzare un’altra cintura di isolamento e<br />

precisamente fra la Russia e la Germania,<br />

attraverso il cambio di governo in Ucraina e la<br />

conquista del potere da parte del partito filoamericano<br />

Orange, ma la reazione tedesca e<br />

russa non si è fatta attendere. Il blocco di<br />

qualsiasi aiuto all’Ucraina da parte della U.E.<br />

decretato da Berlino, e il blocco di forniture di<br />

gas russo hanno portato poi alla formazione<br />

in Ucraina di un governo di coalizione<br />

con il partito filo-russo, spezzando così<br />

quella cintura sanitaria disegnata da<br />

Washington in funzione anti-europea e<br />

mandando all’aria –almeno per il momento- i<br />

piani americani. Nel frattempo, il gasdotto<br />

sottomarino che è in costruzione attraverso il<br />

mare del Nord consentirà ai tedeschi ed ai<br />

russi di trasportare il gas dalla Siberia<br />

all’Europa Occidentale al di fuori del<br />

territorio polacco e, quindi, annullando le<br />

pressioni ed i condizionamenti USA<br />

sulla Polonia ciò costituirà un’ulteriore<br />

rottura del tentato isolamento americano ai<br />

danni di Germania e Russia.<br />

Questa politica anti-isolamento che si<br />

porta avanti per la difesa degli interessi<br />

tedesco-europei é inevitabilmente in<br />

contrasto, in questa fase della crisi, con la<br />

politica USA. Essa è la continuazione della<br />

lunga battaglia che la Francia e Germania<br />

sostengono da più decenni contro i tentativi<br />

americani di ridimensionare il peso<br />

economico e l’espansione politica degli<br />

europei. Alcuni esempi di questa lunga<br />

contrapposizione si ebbero fin dal 1982,<br />

quando la Francia nazionalizzò la filiale<br />

7<br />

dell’azienda americana General Elettric, che<br />

produceva i compressori antighiaccio che<br />

permettevano di trasportare il GAS dalla<br />

Siberia all’Europa Occidentale. Dieci anni<br />

dopo, nel 1992, si verificò il grande attacco<br />

contro il Sistema Monetario Europeo.<br />

Vennero colpite da una forte ondata<br />

speculativa da parte del dollaro le monete<br />

dell’Inghilterra, dell’Italia e della Spagna. La<br />

Germania con la Bundesbank e con il<br />

sostegno della Banca di Francia assunse la<br />

difesa del franco francese fino alla sconfitta<br />

degli attaccanti angloamericani e dei paesi<br />

nordici. La difesa a tutti i costi del franco<br />

francese da parte dei tedeschi fu la grande<br />

prova dell’UNIONE tra il capitale francese e<br />

tedesco, come lo é stata e continua ad esserlo<br />

la fusione di tante aziende dei due paesi;<br />

cammino che dovrebbe seguire anche l’Italia<br />

nei prossimi anni, se riuscirà a ridurre oppure<br />

a rompere gran parte dei legami stabiliti negli<br />

ultimi 20 anni con gli Stati Uniti. Tutto<br />

questo viene facilitato dal fatto che gli USA si<br />

sono impantanati nella guerra irakena, guerra<br />

che loro pensavano di risolvere in un paio di<br />

mesi.<br />

Tutti sapevano che l’esistenza delle armi<br />

di distruzione di massa in Irak era una favola<br />

per bambini. Adesso quella leggenda è stata<br />

ufficialmente smentita dalla magistratura<br />

americana. Gli americani scrivono queste<br />

favole per bambini e poi il fatto ridicolo è che<br />

credono al loro contenuto. Hanno così<br />

creduto che la stragrande maggioranza del<br />

popolo irakeno li avrebbe accolti come dei<br />

salvatori, a braccia aperte addirittura, come<br />

fecero gli italiani all’arrivo dei “liberatori”<br />

yankee. La capacità di analisi degli<br />

statunitensi in Iraq si è dimostrata un<br />

completo fallimento. Oltre a capitalisti<br />

assassini, sono anche idealisti borghesi!<br />

Lo stato borghese irakeno, lo dimostrano i<br />

fatti (Saddam aveva avvertito più volte che, se<br />

gli Usa avessero invaso l’Iraq, avrebbero<br />

trovato una resistenza accanita e ne<br />

avrebbero pagate le conseguenze), aveva<br />

preparato il passaggio alla sua clandestinità<br />

con molto anticipo e questo ha consentito alla<br />

cosiddetta “resistenza” borghese di<br />

controllare strettamente la compagine sociale<br />

nelle città e nelle campagne sunnite e in parte<br />

delle sciite. La strategia di guerra della<br />

borghesia irachena si è basata nel far saltare<br />

con continuità regolare gli oleodotti<br />

petroliferi, impedendo che l’estrazione del


petrolio potesse superare i due milioni di<br />

barili al giorno (e finora ci sono riusciti). Gli<br />

americani avevano calcolato che la<br />

produzione dovesse essere di 4 milioni di<br />

barili al giorno nel 2004 e 6-7 milioni di barili<br />

al giorno alla fine del 2005, per cui con i<br />

ricavi della vendita avrebbero finanziato la<br />

ricostruzione. Il totale fallimento, quindi,<br />

della linea politica americana è finora<br />

indiscutibile.<br />

Inoltre, la “resistenza” irachena ha colpito<br />

sistematicamente i civili dell’ONU e delle<br />

ONG, sia i lavoratori ed i tecnici stranieri,<br />

riuscendo in tal modo a bloccare quasi<br />

completamente la ricostruzione e a farne<br />

salire i costi alle stelle. La “resistenza”<br />

irachena ha così bloccato il fine primario che<br />

persegue qualsiasi guerra imperialistica, e<br />

cioè il grande affare della<br />

ricostruzione!!<br />

Se gli anglo-americani non riusciranno<br />

alla fine a portare avanti il “grande affare”<br />

della ricostruzione postbellica, allora<br />

l’occupazione dell’Iraq diventerà una rovina<br />

economica totale e questa sarà a sua volta la<br />

base della loro futura sconfitta anche militare.<br />

La situazione generale nel Medio Oriente<br />

è ancora peggiore e soprattutto si deteriora<br />

ogni giorno: Arabia Saudita, Siria, Giordania,<br />

Emirati Arabi, Egitto e Iran vengono accusate<br />

di aiutare e finanziare la resistenza irachena<br />

ed in certa misura la risorgente resistenza<br />

afgana.<br />

Se le cose in Iraq andranno avanti così e<br />

gli anglo-americani non arriveranno a colpire<br />

militarmente sia l’Iran che l’Arabia Saudita<br />

con l’obiettivo di distruggere almeno una<br />

parte degli impianti estrattivi di petrolio in<br />

questi paesi, in modo da colpire gli interessi e<br />

gli approvvigionamenti europei, russi, cinesi,<br />

ecc., allora non riusciranno a raggiungere<br />

nemmeno il secondo, grande obiettivo della<br />

guerra scatenata da Washington contro i<br />

talebani prima e contro Saddam poi, ovvero<br />

indebolire l’Unione Europea e colpire il suo<br />

prodotto più genuino, l’Euro, che tanto<br />

disturba gli interessi finanziari americani.<br />

A breve e media scadenza il nemico più<br />

pericoloso e più importante per gli USA è,<br />

senza dubbio, l’Euro. E gli Usa non possono<br />

organizzare né l’isolamento né gli scontri<br />

preliminari col nemico cinese-asiatico senza<br />

distruggere preventivamente l’euro, perché se<br />

ciò non accadesse sarebbe l’Euro a vincere la<br />

8<br />

partita fra gli USA e la Cina senza combattere.<br />

Questo gli Usa lo sanno, perché è sempre<br />

stata la pratica politica del “dividit et impera”<br />

(come per l’impero romano e la vecchia<br />

Albione-Inghilterra) che ha consentito loro di<br />

prendere il bottino delle guerre altrui, basta<br />

ricordare le guerre del 1914 -18 e del 1939-<br />

1945.<br />

Altro aspetto importante, ma non nuovo<br />

per la teoria marxista, è la nascita ed il<br />

consolidamento negli ultimi 30 anni delle<br />

multinazionali Sud Americane (PDVSA,<br />

petrolifera venezuelana - Petrobras-Embraer-<br />

Codelco-Ypf Repsol-Enersis-Endesa-Telmex-<br />

Banche-ecc.), che chiedono e strappano, ai<br />

propri stati, una politica d’indipendenza<br />

rispetto agli Stati Uniti, che hanno sempre<br />

considerato l’America Latina come la propria<br />

riserva di caccia.<br />

Il vertice americano, tenuto nella città<br />

argentina del Mar del Plata il 5-6 novembre<br />

scorso, per porre le basi del grande Mercato<br />

americano, conosciuto come ALCA, in cui gli<br />

USA continuerebbero a controllare e dirigere<br />

i destini di tutta l’America, del Nord e del<br />

Sud, é stato un grossolano fallimento. Gli<br />

USA hanno cercato di provocare uno scontro<br />

ed una rottura fra i paesi latino-americani e<br />

quelli del MERCOSUR .<br />

Tre settimane prima, aveva avuto luogo il<br />

vertice ispano-latinoamericano a Salamanca,<br />

nel quale fu lanciato l’appello-accusa contro<br />

gli USA per il blocco contro Cuba,<br />

chiedendone la fine. Insieme a questo appello<br />

pro-Cuba, un giudice spagnolo ha deciso di<br />

istruire un processo agli ufficiali statunitensi<br />

che ordinarono di sparare contro un<br />

cameraman nell’hotel Palestina a Bagdag. É<br />

di fatto la prima volta che accade una cosa del<br />

genere contro i militari gringos se il<br />

processo o la semplice minaccia andassero<br />

avanti, i rapporti politici degli spagnoli con gli<br />

Usa non potrebbero che peggiorare<br />

seriamente.<br />

L’America Latina ha avuto storicamente<br />

una grande dipendenza dai capitali e dalle<br />

tecnologie europee, statunitensi, giapponesi e<br />

continua ad essere sottomessa a questa<br />

dipendenza.<br />

Economicamente, gli statunitensi stanno<br />

perdendo la battaglia da quando la Spagna é<br />

entrata nella Comunità Economica Europea<br />

nel 1986, nella misura in cui la Spagna da<br />

allora ha sempre avuto l’appoggio dell’UE.


In questa area é il capitalismo<br />

imperialistico brasiliano che manovra i<br />

tentativi di unificazione economica e politica:<br />

una potenza con 180 milioni di abitanti ed<br />

un’industria potente, per gran parte in mano<br />

agli imperialisti europei (tedeschi-olandesispagnoli-italiani),<br />

che si confrontano con gli<br />

statunitensi e li costringono ad abbandonare<br />

il loro campo storico. Se, come si crede, è vero<br />

che per ora il capitalismo europeo continua<br />

nella sua penetrazione nell’area<br />

latinoamericana per mano dell’aggressivo<br />

capitalismo spagnolo, la situazione diverrà<br />

ancora più difficile per i gringos-americani<br />

nel prossimo futuro. È anche vero, però, che<br />

in un secondo ciclo dovrebbe peggiorare<br />

anche la situazione per gli europei e per gli<br />

imperialisti spagnoli per mano del più<br />

giovane e più aggressivo capitalismo<br />

imperialistico cinese ed anche del nascente<br />

capitalismo imperialistico latino-americano.<br />

Insieme con le multinazionali latinoamericane<br />

sono sorti i grandi insediamenti<br />

urbani: San Paolo, Città del Messico con 20<br />

milioni di abitanti, Rio de Janeiro e Buenos<br />

Aires con 15 milioni, Caracas e Lima con 7<br />

milioni e altre trenta città con una<br />

popolazione che va da 1 a 7 milioni di abitanti.<br />

Queste multinazionali e questi forti<br />

insediamenti urbani sono le condizioni che<br />

vanno conformando il MERCOSUR (mercato<br />

comune del Sud America), costringendo ad<br />

avere relazioni sempre più strette, sia<br />

economiche che politiche tra di loro paesi<br />

quali il Brasile, l’Argentina, l’Uruguay, il<br />

Paraguay, ora anche Venezuela, Cile, Bolivia,<br />

Ecuador, e a cui presto si aggiungerà anche la<br />

Colombia. In questa direzione vengono spinti<br />

dallo stesso imperialismo europeo, grazie al<br />

radicamento in questa area dell’imperialismo<br />

spagnolo.<br />

Gli USA, d’altro canto, non sono riusciti a<br />

isolare la Cina. Quest’ultima ha lanciato un<br />

grande contrattacco sia nel Sudan (per il<br />

petrolio del Darfur, con la presenza di 8000<br />

soldati a difesa dei suoi interessi), sia in<br />

Angola (sempre per il petrolio e per il<br />

finanziamento di 2 miliardi di dollari per la<br />

costruzione di infrastrutture quali strade,<br />

ferrovie, attività commerciali), sia in Iran con<br />

un contratto trentennale da 50 miliardi di<br />

dollari per la fornitura di tutto il gas estratto<br />

in questo paese. Oltre a questo, la Cina ha<br />

rivolto le sue attenzioni all’America Latina.<br />

Ma qui l’attacco è molto più imponente per il<br />

9<br />

numero degli accordi ed il volume degli<br />

investimenti (soltanto nelle ferrovie<br />

brasiliane hanno investito 7 miliardi di<br />

dollari): oltre 20 miliardi di dollari e ulteriori<br />

intese per altri 20 miliardi di dollari nei<br />

prossimi anni. Chi sostiene che la Cina non ha<br />

ancora un ruolo imperialista-finanziario nel<br />

mondo è servito!<br />

Cosa faranno gli USA di fronte a questo<br />

contrattacco cinese? Non saranno forse<br />

costretti a scontrarsi militarmente per<br />

bloccare ed espellere i capitali imperialisti<br />

cinesi e forse anche spagnoli (che<br />

rappresentano gli interessi dell’euro in<br />

quest’area) dall’America Latina? Ed a<br />

scontrarsi militarmente con chi se non con la<br />

Cina e L’Europa?<br />

In questo momento in America Latina è<br />

in atto difatti una specie di spartizione degli<br />

affari fra Cina ed Unione Europea (mediata<br />

dalla Spagna), che offre condizioni più<br />

favorevoli ai cinesi ed agli europei rispetto<br />

agli affari che gli USA vorrebbero realizzare.<br />

Gli USA, ovviamente, non possono stare<br />

zitti e quieti. Questa ingerenza negli affari<br />

della loro storica riserva di caccia latinoamerica<br />

è una provocazione, una temerarietà.<br />

Dovrà parlare la storia, che in definitiva non è<br />

altro che il tempo, e dovrà mostrare se gli<br />

USA decideranno di colpire militarmente i<br />

loro diretti concorrenti europei e cinesi e se<br />

riusciranno a farlo, oppure se, non sentendosi<br />

in grado di farlo, cederanno il loro ruolo di<br />

unica grande potenza mondiale senza<br />

combattere, com’è successo all’imperialismo<br />

russo, che, a partire dalla fine degli anni 80,<br />

ha subito un crollo economico di oltre il 50%<br />

pari a quello del Centro-Europa nella seconda<br />

guerra mondiale. L’atteggiamento americano<br />

dipenderà molto dall’andamento della guerra<br />

irakena e degli affari in Medio Oriente, nel<br />

centro Asia e nel centro Europa. Bisogna<br />

comunque osservare che se l’America dovesse<br />

domani cedere il suo primato mondiale senza<br />

combattere, sarebbe comunque costretta<br />

dopodomani a combattere lo stesso per<br />

difendere i suoi interessi, sia pure con un<br />

ruolo mondiale pesantemente<br />

ridimensionato, perché le stesse forze che<br />

l’hanno spodestata tenderebbero poi<br />

necessariamente a premere e ad agire per<br />

annientarla del tutto. Lo scontro<br />

interimperialista, insomma, sarebbe solo<br />

rimandato, e la guerra pure, con fronti non<br />

molto diversi.


Non dobbiamo dimenticare che i grandi<br />

gruppi economici americani ci stanno<br />

rimettendo con le spese di guerra in Iraq e<br />

con la salita del prezzo di petrolio e gas. La<br />

Delphi (175.000 dipendenti) è fallita, mentre<br />

la General Motors (325.000 dipendenti) è in<br />

gravi difficoltà economico-finanziarie, con le<br />

azioni considerate “titoli spazzatura” e quindi<br />

vicina al fallimento se non interverranno aiuti<br />

da parte del governo. Anche la Ford è in<br />

condizioni simili alla G.M.. Le linee aeree<br />

sono quasi tutte in fortissime difficoltà. La<br />

petrolchimica non investe in nuovi impianti<br />

da più di 20 anni e il tessile è praticamente<br />

sparito. Il settore dell’acciaio continua a<br />

ricevere colpi nonostante le barriere doganali<br />

che tassano le importazioni estere dal 20 al<br />

50%. La Boeing, infine è stata messa in<br />

difficoltà da 24 giorni di sciopero tra la fine di<br />

agosto e l’inizio di settembre, dello scorso<br />

anno, grazie alla richiesta da parte dei suoi<br />

lavoratori di aumenti salariali del 30%.<br />

Tutta questa situazione richiede che si<br />

prosegua con la guerra, ma sorge ora una<br />

semplice domanda: sono gli Stati Uniti sono<br />

in grado in questo momento, di finanziarla e<br />

portarla avanti? Può resistere l’economia<br />

statunitense di fronte agli attacchi che gli<br />

arrivano da ogni parte del mondo e da<br />

concorrenti agguerriti, tra cui spicca la Cina?<br />

Finora la guerra in Iraq ha comunque<br />

portato vantaggi alle aziende petrolifere<br />

statunitensi ed inglesi, che hanno registrato<br />

forti aumenti di fatturato e di utili, scalzando<br />

dai primi posti (secondo la rivista Fortune<br />

500) le aziende automobilistiche GM e Ford<br />

in gravi difficoltà, le banche e le compagnie di<br />

assicurazione. È chiaro che settori come<br />

quello petrolifero e degli armamenti vincono<br />

con la guerra, mentre altri perdono e questo<br />

vale anche per la valletta americana<br />

Inghilterra. Per quanto riguarda invece<br />

l’attuale realtà economica negli Stati Uniti,<br />

non si deve neppure trascurare la<br />

speculazione nel settore immobiliare<br />

americano, attraverso cui le banche fanno<br />

credito ai cittadini a garanzia dell’aumentato<br />

valore speculativo delle loro abitazioni, ma ad<br />

ulteriore loro indebitamento, considerata<br />

anche l’accresciuta massa dei loro consumi<br />

drogati dal credito. C’è, quindi, una situazione<br />

mondiale in cui non ci sono più né economie<br />

stabili, né aree, paesi o settori stabilmente<br />

10<br />

controllati da questo o quel gruppo<br />

imperialistico. Una situazione internazionale<br />

in cui tutti cercano di fregarsi<br />

vicendevolmente e nessuno si rispetta, dove<br />

gli “agnelli” invadono la riserva di caccia del<br />

“lupo”, con guerre commerciali di tutti contro<br />

tutti: la situazione internazionale sta<br />

diventando da 15 anni molto terremotata.<br />

A seguito di quanto esposto, è a partire<br />

quindi dal 1975, con il termine del periodo di<br />

espansione postbellica e con il conseguente<br />

aprirsi di una fase di tempeste economiche<br />

sempre più gravi, il mondo capitalistico si sta<br />

avviando verso una nuova spartizione<br />

generale guerreggiata dei mercati<br />

internazionali. Anche prima del futuro<br />

tracollo economico finale con i relativi<br />

fallimenti a catena delle banche e con i crolli<br />

borsistici simultanei stile 1929, stanno<br />

dunque iniziato a delinearsi i possibili fronti<br />

militari, economici, politici che faranno la<br />

terza guerra mondiale. Ma, sia la prima che la<br />

seconda guerra mondiale, hanno già<br />

dimostrato che i fronti non si chiudono fino al<br />

giorno in cui ogni paese intraprende<br />

militarmente la sua guerra. Fino a quel giorno<br />

tutte le nostre valutazioni e le nostre<br />

previsioni saranno delle ipotesi basate su<br />

tendenze generali che interessano i principali<br />

centri imperialistici.<br />

Noi siamo costretti a fare delle valutazioni<br />

sull’andamento dei fronti economici, ben<br />

sapendo che il capitalismo e la sua economia<br />

sono in continuo movimento e cambiamento.<br />

La Terza Guerra Mondiale inizierà dunque<br />

quando la sua preparazione sarà giunta a<br />

compimento, quando il vero nemico di<br />

Washington sarà costretto ad uscire<br />

allo scoperto, proprio perché ad un certo<br />

punto non potrà più limitarsi al mugugno se<br />

vorrà sopravvivere, e soprattutto quando le<br />

successive guerre locali con le loro<br />

“distruzioni” e “ricostruzioni” non<br />

basteranno più a rianimare il processo<br />

di accumulazione. E questo futuro terzo<br />

conflitto sarà caratterizzato non solo dal<br />

coinvolgimento diretto di tutti i principali<br />

centri imperialisti, come si addice ad una<br />

vera Guerra Mondiale, ma anche dalla<br />

macellazione su vasta scala dei proletari che a<br />

quei centri appartengono, e dalla distruzione<br />

su altrettanto vasta scala del lavoro morto che<br />

entro quei confini si concentra.


Lo sviluppo storico dell’aggressione americana<br />

all’Europa ed il suo inevitabile punto d’approdo<br />

I Parte<br />

• Il <strong>Partito</strong>, organo di analisi<br />

scientifica delle situazioni e di<br />

previsione dei loro sviluppi futuri.<br />

“Il partito è un organo di previsione; se<br />

non è questo si discredita. Marx ad Engels,<br />

lettera del 18 febbraio 1865: «Come il<br />

partito borghese si è screditato e si è messo<br />

da sé nella pietosa situazione di oggi<br />

credendo fermamente che con 'l'era nuova'<br />

il governo gli fosse piovuto dal cielo per<br />

grazia del principe reggente, così il partito<br />

operaio si screditerà ancor di più<br />

immaginandosi che, grazie all'era<br />

bismarckiana o ad una qualsiasi era<br />

prussiana, per grazia del re, le allodole gli<br />

cadano in bocca bell'e arrosto. È<br />

assolutamente fuori dubbio che la fatale<br />

illusione di Lassalle di credere in un<br />

intervento socialista del governo prussiano<br />

sarà seguita da una delusione. La logica<br />

delle cose parlerà. Ma l'onore del partito<br />

operaio esige che esso respinga questi<br />

fantasmi prima che l'esperienza ne abbia<br />

mostrato l'inanità».” ( 5 ).<br />

“I fondatori del nuovo metodo teorico non<br />

appaiono dunque nella veste messianica di<br />

puri ideologi rivelatori di nuovi principi<br />

destinati ad illuminare e trascinare le folle;<br />

essi sono, all'opposto, indagatori scientifici<br />

dei dati offerti dalla storia passata e della<br />

reale struttura della società presente che<br />

sforzandosi di liberarsi in questa indagine<br />

da tutte le influenze oscurantiste dei<br />

pregiudizi dei tempi passati cercano di<br />

fondare un sistema di leggi scientifiche<br />

capaci di ben rappresentare e spiegare<br />

l'evoluzione storica, e, nel senso scientifico<br />

e non mistico della parola, di prevedere<br />

le grandi linee degli sviluppi futuri” ( 6 ).<br />

5 “Origine e funzione della forma partito”, il<br />

programma comunista n. 13 del 1961.<br />

6 “Il ciclo storico del dominio politico della<br />

borghesia”, Testo n. 6 pag. 75.<br />

“Del futuro non basta una anticipazione<br />

arbitraria e romantica, ma occorre una<br />

scientifica previsione, quella specifica<br />

previsione che è resa possibile dal pieno<br />

maturarsi della forma capitalistica di<br />

produzione, e che strettamente si collega ai<br />

caratteri di essa forma, del suo sviluppo, e<br />

dei peculiari antagonismi che insorgono in<br />

essa” ( 7 ).<br />

“La nuova dottrina proletaria costruisce le<br />

linee della scienza del futuro, del tutto<br />

sgombre da elementi arbitrari e<br />

passionali. Se una conoscenza generale<br />

della natura e della storia, parte di essa, è<br />

possibile, essa comprende, inseparabile<br />

da sé, la ricerca del futuro: ogni fondata<br />

polemica contro il marxismo non può stare<br />

che sul terreno della negazione della<br />

conoscenza umana e della scienza” ( 8 ).<br />

• La dinamica del capitalismo<br />

mondiale nei testi di <strong>Partito</strong><br />

dal 1945 al 1960<br />

Nel 1945, quando la valanga di fuoco della<br />

Seconda Guerra Mondiale non aveva ancora<br />

cessato di divampare, il <strong>Partito</strong> formulava<br />

una diagnosi precisa dello scioglimento del<br />

conflitto:<br />

“Oggi come oggi, dopo sette anni di<br />

guerra, il proletariato europeo si<br />

trova innanzi alla più mostruosa<br />

macchinazione che il capitalismo abbia<br />

mai ordito ai danni del proletariato<br />

mondiale. Agendo dietro il paravento<br />

dell'antifascismo, che altro non è se non il<br />

retro di quella medaglia su cui i soliti<br />

padroni del mondo avevano<br />

pomposamente inciso l'effigie del Duce e<br />

del Führer, gli uomini più rappresentativi<br />

del Direttorio anglo-americano, tentato di<br />

7 “Proprietà e Capitale”, Utopia, Scienza, Azione,<br />

pag. 149-150.<br />

8 Ibidem, pag. 150.


imettere in piedi una nuova Santa<br />

Alleanza, una Santa Alleanza a lunga<br />

scadenza garantita dal Patto Tripartito di<br />

Dumbarton Oaks e concepita non tanto<br />

contro i criminali di guerra (che sono stati<br />

e saranno, comunque e sempre, briganti<br />

imperialisti) quanto contro i proletari<br />

d'Europa e del mondo intero, chiamati<br />

non solo a fare le spese della guerra, ma<br />

anche a sottostare alle leggi che i vincitori<br />

crederanno utile imporre nelle rispettive<br />

zone di influenza” ( 9 ).<br />

Gli Stati Uniti d’America portarono infatti a<br />

compimento nel secondo dopoguerra<br />

“la più clamorosa impresa di<br />

aggressione di invasione di<br />

oppressione e di schiavizzamento di<br />

tutta la storia. Non si tratta solo di una<br />

guerra eventuale ed ipotetica poiché essa è<br />

già in atto, essendo tale impresa legata<br />

da stretta continuazione con gli interventi<br />

nelle guerre europee del 1917 e del 1942, ed<br />

essendo in fondo il coronamento del<br />

concentrarsi di una immensa forza<br />

militare e distruttrice in un supremo centro<br />

di dominio e di difesa dell'attuale regime di<br />

classe, quello capitalistico, la costruzione<br />

dell'optimum delle condizioni atte a<br />

soffocare la rivoluzione dei lavoratori in<br />

qualunque paese” ( 10 ).<br />

In che modo?<br />

“Chi con la forza del proprio attrezzamento<br />

intatto può anticipare i dollari e le<br />

scatolette diventa il padrone e lo<br />

sfruttatore delle masse europee<br />

schiavizzate” ( 11 ).<br />

Dopo la vittoria delle forze Alleate contro<br />

l’Asse, infatti, è il dollaro che<br />

“con la sua organizzazione mondiale di<br />

anticipazione ai poveri, muove alla<br />

9 “A Yalta gli imperialismi «democratici»<br />

ribadiscono le catene della schiavitù capitalistica<br />

all’Europa «partigiana» internazionalizzando i<br />

metodi del nazifascismo”, da “Sinistra Proletaria”, 19<br />

febbraio 1945.<br />

10 “Aggressione all’Europa”, da “Prometeo” n. 13 del<br />

1949.<br />

11 “Ancora America”, da “Prometeo”, n. 8 del 1947.<br />

12<br />

conquista d'Europa fino ed oltre gli<br />

Urali, e ne pianifica il successo senza<br />

ricorrere alle traiettorie di siluri atomici e<br />

di aerei di invasione per la via polare” ( 12 ).<br />

“Nell'autunno del 1942 si diffuse la notizia<br />

che le forze di sbarco americane, dopo le<br />

lunghe discussioni, e reciproche insidie,<br />

cogli alleati russi che giorno per giorno si<br />

svenavano senza misura sul secondo<br />

fronte, erano sulle coste del Marocco, con<br />

un chiaro itinerario: il Mediterraneo, la<br />

penisola italiana. Erano tappe di una<br />

unica invasione, passata da<br />

Versailles nel 1917-18, diretta a<br />

Berlino. Solo a Berlino? No, insensati<br />

allora plaudenti, diretta anche a<br />

Mosca. Per grandi specialisti della<br />

sensibilità al mutarsi della storia, siete in<br />

ritardo oggi nel gridare alla minaccia<br />

imperiale e all'aggressione. Sarebbe poco<br />

essere in ritardo, siete senza più fiato<br />

nella strozza, non potete più<br />

risuscitare e mandare in senso<br />

opposto i milioni di caduti di<br />

Stalingrado. Nessuno vi risponderà”<br />

( 13 ).<br />

Il processo di massima concentrazione delle<br />

risorse controrivoluzionarie ad opera<br />

dell’imperialismo americano<br />

“potrebbe svilupparsi anche senza una<br />

guerra nel senso pieno tra Stati Uniti e<br />

Russia, se il vassallaggio della<br />

seconda potesse essere assicurato,<br />

anziché con mezzi militari e una vera e<br />

propria campagna di distruzione e di<br />

occupazione, con la pressione delle forze<br />

economiche preponderanti della massima<br />

organazione capitalistica nel mondo -<br />

forse domani lo Stato unico Anglo-<br />

Americano di cui già si parla - con un<br />

12 “America”, da “Prometeo”, n. 7 del 1947.<br />

13 “Aggressione all’Europa”, da “Prometeo” n. 13 del<br />

1949. A proposito dei “milioni di caduti” cui fa<br />

riferimento il nostro “Filo del Tempo” si osserva che<br />

se “nel 1946 il governo sovietico ne ha stabilito il<br />

numero in 7 milioni […] la gran parte degli studiosi<br />

stranieri ha proposto cifre assai più alte; così per<br />

esempio Prokopovič ha valutato in 14 milioni e<br />

Schuman in 20 milioni i morti sovietici” (Nicholas<br />

V. Riasanovsky, “Storia della Russia”, Ed. Corriere<br />

della Sera, 2005, pag. 596).


compromesso attraverso il quale la<br />

organizzazione dirigente russa si<br />

farebbe comprare ad alte<br />

condizioni; e Stalin avrebbe già<br />

precisata la cifra in due miliardi di<br />

dollari” ( 14 ).<br />

Tale processo, in effetti, non poteva non<br />

includere anche l’U.R.S.S., se è vero che<br />

“lo spazio vitale dei conquistatori<br />

statunitensi è una fascia che fa il giro<br />

della terra” ( 15 ).<br />

Per il nostro <strong>Partito</strong>, dunque, nel 1947 e<br />

nel 1949 l’equilibrio di Yalta, il cosiddetto<br />

“condominio russo-americano” altro non<br />

era che la maschera dell’aggressione<br />

americana all’Europa, una aggressione<br />

resa possibile dalla vittoria bellica<br />

dell’imperialismo americano ed il cui<br />

risultato non poteva che essere il<br />

predominio assoluto dell’impero a stelle<br />

e strisce sull’intero pianeta, anche se una<br />

parte di esso, rappresentata dall’area esteuropea,<br />

restava formalmente sotto il<br />

controllo moscovita: Stalin stesso, infatti,<br />

ormai senza più “fiato nella strozza”, stava<br />

“per rasarsi all’americana” ( 16 ), ossia stava<br />

entrando nell’orbita del capitalismo<br />

americano come un definitivo ed<br />

assicurato vassallo grazie ai miliardollari<br />

prestati da Washington. Al posto dei 2<br />

miliardollari erogati direttamente dagli<br />

USA per i quali Stalin era in trattativa,<br />

arrivarono infatti all’URSS ben 20<br />

miliardollari prelevati con il benestare di<br />

Washington dalle casse degli Stati<br />

sconfitti e di quelli militarmente occupati<br />

( 17 ), casse che erano state a loro volta<br />

14 Ibidem.<br />

15 Ibidem.<br />

16 “Com'è venuto Rockefeller, «a da veni Baffone»!<br />

Ma non dal Kremlino. Quello, in barba a Marx, sta<br />

per rasarsi all'americana” (“Omicidio dei morti”, da<br />

“Battaglia <strong>Comunista</strong>”, n. 24 del 19-31 dicembre<br />

1951).<br />

17 “Il quarto piano quinquennale, che durò dal 1946<br />

al 1950, […] ricevette enorme impulso dalle<br />

riparazioni e altri pagamenti ottenuti dalla<br />

Germania sconfitta e dai suoi alleati. […]. Il valore<br />

totale delle importazioni «politiche» sovietiche, ivi<br />

comprese riparazioni, accordi di scambio<br />

particolarmente favorevoli e altre misure<br />

economiche, unite dalle risorse spese da vari Paesi<br />

per il mantenimento delle truppe dell’Armata Rossa<br />

13<br />

rifornite dai prestiti americani. E quindi la<br />

prospettiva di un nuovo conflitto, basato<br />

sullo scontro militare russoamericano,<br />

era da escludere in quanto<br />

mancava sul versante russo sia la base<br />

economica (predominio del capitale<br />

finanziario) sia la sovrastruttura politicomilitare<br />

ad essa corrispondente<br />

(imperialismo moderno):<br />

“Coloro che sono abbacinati<br />

dall'imperialismo russo fino a dimenticare<br />

la tremenda forza di dominazione ed<br />

oppressione della potenza statunitense,<br />

rischiano di cadere vittime delle deviazioni<br />

democratiche e liberaloidi che sono il<br />

peggiore nemico del marxismo. Non a caso<br />

la predicazione liberal-democratica ha il<br />

suo pulpito maggiore nella sede del<br />

massimo imperialismo odierno. Essi non<br />

vedono come la Russia, il cui<br />

espansionismo si svolge tuttora nelle<br />

forme del colonialismo (occupazione<br />

del territorio degli Stati minori), è<br />

ancora alla fase inferiore<br />

dell'imperialismo, l'imperialismo<br />

degli eserciti, cioè il tipo che per due volte<br />

è stato sconfitto nella guerra mondiale.<br />

Dicendo ciò, non si cambia una virgola alla<br />

definizione che diamo della Russia: Stato<br />

capitalista. Si constata un dato di fatto.<br />

Tutti gli Stati esistenti sono nemici<br />

del proletariato e della rivoluzione<br />

comunista, ma la loro forza non è<br />

eguale. Quel che conta soprattutto per il<br />

proletariato, il quale vedrà coalizzarsi<br />

contro di lui tutti gli Stati del mondo<br />

appena si muoverà per conquistare il<br />

potere, è prendere coscienza della forza del<br />

suo più tremendo nemico, il più armato di<br />

tutti e capace di portare la sua offesa in<br />

qualunque parte del mondo” ( 18 ).<br />

E da questo punto di vista risultava palese<br />

che<br />

di stanza entro i loro confini, è stato valutato in<br />

oltre venti miliardi di dollari, cifra come si<br />

vede colossale” (Nicholas V. Riasanovsky, “Storia<br />

della Russia”, Ed. Corriere della Sera, 2005, pag.<br />

599).<br />

18 “Imperialismo delle portaerei”, da "il programma<br />

comunista" n. 2 del 1957.


“su scala mondiale la più violenta forza<br />

di espansione e di aggressione, poco<br />

importa se tradotta in armi o in dollari o in<br />

scatolette di carne conservata, è quella<br />

che cova nelle viscere del gigantesco<br />

apparato produttivo degli Stati<br />

Uniti” ( 19 ).<br />

Infatti portati in conto “territorio e sue<br />

risorse, popolazione, sviluppo della<br />

macchina industriale, numero del<br />

proletariato moderno, possessi coloniali<br />

come materie prime, riserve umane,<br />

mercati, continuità storica del potere<br />

statale, esito dele guerre recenti, progresso<br />

nel concentramento mondiale delle forze<br />

sia produttive che di armamento” oggi<br />

(1951) “si vede che l’America è il<br />

concentramento n. 1 nel senso, oltre<br />

tutto il resto, ed oltre la probabilità di<br />

vincere in ulteriori conflitti, che<br />

sicuramente può intervenire ovunque<br />

una rivoluzione anticapitalista<br />

vincesse”. Perciò, se è pur vero che “il<br />

concentramento di potere di Mosca è<br />

anche un ostacolo che sbarra la via alla<br />

rivoluzione e lo è non solo come capitale<br />

della corruzione proletaria ma anche come<br />

forza fisica”, non ha tuttavia senso<br />

marxista dire ai due centri imperiali “vi<br />

mettiamo alla pari, non uno un<br />

millimetro prima dell’altro”, ma va<br />

riconosciuto che la centrale russa “ha di<br />

vita solo 34 anni” ed inoltre che laggiù “il<br />

territorio e il popolo sono miscugli di<br />

economie e tipi sociali” e quindi che,<br />

essendo di gran lunga superiore a quello<br />

russo il potenziale controrivoluzionario<br />

nordamericano, “la rivoluzione perde il<br />

tempo se non fa fuori lo stato di<br />

Washington” ( 20 ).<br />

Quanto al fatto poi che Mosca controllasse<br />

l’area est-europea per conto di Washington,<br />

bisognava proprio essere ipnotizzati dalla<br />

propaganda dei due presunti “campi<br />

contrapposti” per non accorgersene. Solo il<br />

nostro <strong>Partito</strong> se ne accorse e denunziò agli<br />

occhi dei proletari quello che in realtà<br />

accadeva al di là della cortina fumogena<br />

19 “Corea è il mondo”, da "Prometeo" n. 1 del 1950.<br />

20 Alfa ad Onorio, 9 luglio 1951.<br />

14<br />

delle opposte propagande sia nel 1953 che<br />

nel 1956:<br />

Gli americani di fronte alla Comune di<br />

Berlino del 1953 se ne guardarono bene,<br />

infatti, dal muovere un dito a favore degli<br />

insorti, ma lasciarono “tranquillamente<br />

che i carri armati sovietici<br />

spazzassero via la «canaglia» dei<br />

rivoltosi”, assistettero “con un sospiro di<br />

sollievo ai colpi di bastone” vibrati dai russi<br />

sui crani degli insorti e si limitarono a<br />

sfruttare quella splendida rivolta operaia a<br />

fini di propaganda anticomunista. Ma lo<br />

fecero solo dopo aver “constatato che i<br />

carri armati russi avevano assolto bene<br />

il loro dovere mentre nel settore opposto<br />

i partiti della democrazia avevano<br />

impedito che gli operai scendessero in<br />

lotta per solidarietà verso i loro fratelli<br />

dell'altra sponda” ( 21 ). E’ proprio perciò<br />

che il nostro Partto non ebbe alcuna<br />

esitazione ad affermare che il Pentagono e<br />

Fort Knox sono “allo stato della storia<br />

piedistalli di forca assai più del<br />

Kremlino” ( 22 ).<br />

Conclusione: l’impero mondiale del<br />

dollaro era ed è l’ultima spiaggia del<br />

capitalismo? Non sta scritto. Esiste ormai<br />

un solo imperialismo, quello a stelle e<br />

striscie, per cui essere anti-imperialisti<br />

equivale ad essere anti-americani, come<br />

affermavano ed affermano tuttora ogni piè<br />

sospinto i “sinistri” filorussi o quelli<br />

terzomondisti, che tuttora ci appestano?<br />

Evidentemente no. I contrasti<br />

interimperialistici sono defunti per sempre,<br />

assorbiti nella sfera totalitaria ma pacificata<br />

del totalitarismo del dollaro? Non risulta.<br />

Non ha forse sempre affermato il marxismo<br />

che essi sono ineliminabili e quindi che<br />

sono destinati necessariamente a<br />

ricomparire in superficie? E, se sono<br />

destinati a ritornare alla ribalta, si<br />

polarizzeranno per forza tra gli USA e<br />

l’apparente superpotenza n° 2 presente<br />

all’epoca sul proscenio, l’URSS?<br />

Evidentemente no, ma, traendo le<br />

conseguenze dalle premesse poste nei Fili<br />

21 “Berlino dalla rivolta proletaria alla guerra dei<br />

pacchi”, 1953.<br />

22 “La Comune di Berlino”, 1953.


del Tempo che abbiamo prima citato, essi<br />

tenderanno a polarizzarsi tra l’aggredita<br />

Europa (Russia compresa),<br />

resuscitata in forza del leniniano<br />

“sviluppo diseguale” forzato dalle<br />

immani distruzioni belliche, da un<br />

lato e gli Stati Uniti d’America<br />

dall’altro.<br />

“È così che pur avendo oggi tutte le<br />

possibilità per gettare le basi di una<br />

confederazione europea, il direttorio<br />

anglo russo americano si guarda bene dal<br />

pronunciare la parola Stati Uniti<br />

d'Europa, relegata nel dizionario nittiano<br />

delle parole pericolose o per lo meno<br />

inutili. V'ha che la borghesia ha oggi<br />

veramente paura di mettere in agitazione<br />

le masse. Un qualsiasi movimento<br />

popolare potrebbe degenerare in<br />

rivoluzione” ( 23 ).<br />

Quella degli “Stati Uniti d’Europa”,<br />

affermò poi il <strong>Partito</strong> nel 1950, “è oggi la<br />

parola storica di forze che sono al servizio<br />

più sfacciato dell'alto capitale e che si<br />

schierano, senza farne mistero, per le sue<br />

più vaste imprese dirette all'asservimento<br />

del mondo” ( 24 ).<br />

“Federazione Europea! Il principale<br />

difetto di questa formula è che essa sceglie<br />

a modello il regime dell'implacabile<br />

capitalismo di oltre Atlantico, beve fino<br />

alla feccia la leggenda imbecille che sia più<br />

umano e meno barbaro di quello europeo,<br />

attribuisce scioccamente tali illusori<br />

vantaggi alla forma federativa della<br />

costituzione” ( 25 ).<br />

In effetti “nelle forme mature degli Stati<br />

borghesi il federalismo è l'optimum<br />

della forma conservatrice della<br />

dittatura di classe contro la rivoluzione<br />

operaia. Lenin riporta l'analisi di Engels a<br />

proposito del sistema svizzero, americano e<br />

così via: lo Stato confederato o il governo<br />

23 “A Yalta gli imperialismi «democratici»<br />

ribadiscono le catene della schiavitù capitalistica<br />

all’Europa «partigiana» internazionalizzando i<br />

metodi del nazifascismo”, da “Sinistra Proletaria”, 19<br />

febbraio 1945.<br />

24 “United States of Europa”, da “Prometeo” n. 14 del<br />

1950.<br />

25 Ibidem.<br />

15<br />

cantonale sono in certo modo liberi rispetto<br />

al governo federale; ma sono anche liberi<br />

nei riguardi del distretto e del comune. Ciò<br />

significa che nei distretti e nei comuni locali<br />

manca ogni autonomia e vi è la dittatura<br />

burocratica del cantone o dello Stato<br />

confederato” ( 26 ).<br />

Da cui la limpida conclusione che<br />

“l'armatura federale in Europa<br />

assicura nel modo migliore, col<br />

reclutamento di eserciti mercenari del<br />

capitale, di polizie di classe, che non<br />

potranno esservi più comuni rosse a<br />

Parigi, a Milano, a Bruxelles o a Monaco -<br />

come un sistema similare garantisce che<br />

non ve ne saranno a Varsavia, a Budapest o<br />

a Vienna” ( 27 ).<br />

Nel 1945 l’unificazione europea non viene<br />

affatto esclusa da noi sulla base di<br />

considerazioni metafisiche sulla eternità dei<br />

conflitti nazionali che dilaniano il Vecchio<br />

Continente: viene anzi considerata<br />

possibile ma pericolosa politicamente<br />

per il direttorio anglo-russo-americano nel<br />

momento storico dato. Nel 1950, al mutare<br />

delle condizioni obiettive, corrisponde un<br />

differente apprezzamento da parte nostra<br />

del significato che una simile parola<br />

d’ordine può assumere. Si dice infatti che<br />

quella degli “Stati Uniti d’Europa” non<br />

rappresenta una parola nostra, non è una<br />

parola proletaria e comunista, e non lo è<br />

soprattutto per la preconizzata forma<br />

federalista, che assicura il più efficace<br />

schiacciamento delle iniziative locali<br />

rivoluzionarie e che proprio perciò, nelle<br />

condizioni storiche esistenti, anziché<br />

risultare pericolosa per gli angloamericani,<br />

come avrebbe potuto esserlo in un 1945<br />

gravido di incognite insurrezionali, “non<br />

risponde ad altro che al migliore<br />

consolidamento della dittatura del<br />

Capitale americano sulle varie regioni<br />

europee” ( 28 ). I cosiddetti “europeisti” del<br />

M.F.E., insomma, sono oggi i servi sciocchi<br />

degli Stati Uniti d’America, si disse: oggi<br />

che l’Europa è una ormai<br />

normalizzata colonia, per cui ogni<br />

26 Ibidem.<br />

27 Ibidem.<br />

28 Ibidem.


afforzamento dell’apparato statale<br />

costituisce di riflesso un rafforzamento<br />

degli ingranaggi del dominio USA sui<br />

proletariati europei. Ma non si disse affatto<br />

che l’Europa avrebbe potuto restare una<br />

normalizzata colonia per tutti i secoli dei<br />

secoli … E nello stesso tempo si ribadì che<br />

con quella divisa il proletariato<br />

rivoluzionario -malgrado Trotsky ( 29 )-<br />

non ha nulla a che spartire. Ma non per<br />

questo si negarono chances ad una futura<br />

riscossa delle borghesie europee contro la<br />

dittatura di Washington e tendente alla<br />

unificazione dei differenti stati nazionali in<br />

una forma federalista piuttosto che<br />

centralista. Non per questo la prospettiva<br />

dell’unità europea fu definita<br />

“megalomane” e il declino del Vecchio<br />

Continente fu considerato “irrimediabile”:<br />

se un miraggio infatti si descriveva, esso<br />

non era rappresentato dall’unità europea<br />

in quanto tale, ma dalla pacifica<br />

federazione degli Stati europei, che è ben<br />

altra cosa: “un miraggio è stato<br />

ripetutamente additato dagli ideologi di<br />

cui questa nobilissima antica terra è tanto<br />

feconda, quanto di avventurieri mercatori<br />

e capitani di industria e di guerra: la<br />

pacifica federazione dei tanti storici<br />

Stati, così vari e diversi nelle loro vicende e<br />

nelle loro strutture, in continuo conflitto da<br />

secoli, sotto il reggimento feudale come<br />

sotto quello borghese, nel clima del<br />

dispotismo come in quello della<br />

democrazia elettiva” ( 30 ). Se unità europea<br />

sarà, dice in sostanza la Sinistra,<br />

infrangendo ancora una volta i cristalli<br />

ideologici con cui i servitori del potere<br />

borghese pretendono di deformare la realtà,<br />

sarà allora una unità per la guerra e<br />

non per la pace. Ed inoltre, alla domanda<br />

se “pensiamo noi marxisti, parlando di una<br />

29 Nel Filo del Tempo sopra citato si afferma, forse<br />

con troppa generosità nei confronti del grande<br />

rivoluzionario russo, che “quella fiammante parola<br />

degli Stati Uniti d'Europa cui […] Trotzky dedicò<br />

pagine vigorose non certo imputabili di abbandono<br />

della dottrina” fu da lui messa innanzi “quando<br />

ancora gli Stati nazionali borghesi, saldi nel<br />

principio di illimitata sovranità autonoma,<br />

l'avrebbero accolta come dichiarazione di guerra<br />

alla morte” (“United States of Europa”, da<br />

“Prometeo” n. 14 del 1950.).<br />

30 “United States of Europa”, da “Prometeo” n. 14 del<br />

1950.<br />

16<br />

federazione di Stati europei, ad una intesa,<br />

ad un organamento permanente tra gli<br />

attuali Stati nei quali la classe borghese<br />

tiene il potere?” segue una ben precisa<br />

risposta: “certamente Trotzky, come ogni<br />

marxista rivoluzionario, considerava che<br />

una federazione di Stati europei<br />

capitalistici avrebbe rappresentato,<br />

una volta attuata e se attuata, il<br />

centrale nemico contro cui il<br />

proletariato europeo avrebbe dovuto<br />

dirigere il suo sforzo rivoluzionario per<br />

strappargli il potere” ( 31 ). Come si può<br />

constatare, non si esclude affatto una<br />

unificazione europea, anche nella forma<br />

federalista, ma la si ammette esplicitamente<br />

e la si individua nello stesso tempo come il<br />

“centrale nemico” del proletariato europeo<br />

in linea con la tradizionale consegna<br />

marxista secondo cui il nemico principale di<br />

ogni proletariato è a casa propria.<br />

Il 1956 è l’anno della rivolta operaia di<br />

Budapest, stroncata nel sangue dai carri<br />

armati russi e della crisi di Suez. Vediamo<br />

come il <strong>Partito</strong>, sulla base della precedente<br />

analisi, interpretava e spiegava questi fatti:<br />

“Orbene, quale potenza mondiale può oggi<br />

svolgere operazioni di polizia di classe in<br />

qualsiasi parte del mondo, se non quella<br />

che possiede la maggior forza e mobilità?<br />

La Russia, dunque? No, anche se gli avvenimenti<br />

ungheresi sembrano averle<br />

consegnato il diploma di primo gendarme<br />

della controrivoluzione mondiale. Invero<br />

tale compito può essere svolto unicamente<br />

dagli Stati Uniti, cioè dall'imperialismo<br />

delle portaerei. Per essere precisi: delle<br />

cento portaerei” ( 32 ).<br />

L’analisi è limpida e spinge sempre il suo<br />

sguardo al di là delle apparenze, escludendo<br />

che l’URSS possa detenere il “diploma di<br />

primo gendarme della controrivoluzione<br />

mondiale” perché anche a Budapest i russi<br />

hanno agito per conto e su impulso di<br />

Washington, bonificando col ferro e col<br />

fuoco un focolaio di infezione che avrebbe<br />

potuto contagiare la metà occidentale<br />

dell’Europa in senso nazionalista o –peggio-<br />

31 Ibidem.<br />

32 “Imperialismo delle portaerei”, da "il programma<br />

comunista" n. 2 del 1957.


in senso proletario. Ma veniamo ora alla<br />

crisi di Suez.<br />

“Per la Gran Bretagna, la Seconda Guerra<br />

Mondiale, quanto ad effetti provocati<br />

nell'equilibrio navale mondiale, doveva<br />

rappresentare quello che per la Repubblica<br />

di Venezia rappresentò la battaglia di Diu.<br />

Infatti l'Inghilterra non può certo dirsi<br />

distrutta, ma il suo primato navale e<br />

la sua egemonia sono definitivamente<br />

tramontate. Il declassamento della flotta<br />

ha comportato la disgregazione dell'impero<br />

coloniale britannico che appunto la flotta<br />

teneva unito”. Non risulta dunque affatto<br />

“definitivamente tramontato” il Vecchio<br />

Continente, come si potrebbe dire andando<br />

ad orecchio, ma la sola Inghilterra, che<br />

per la sua posizione insulare rappresenta per<br />

l’Europa un vero e proprio corpo estraneo<br />

geo-storico. “Oggi è l'epoca<br />

dell'imperialismo americano”. Non è, si noti<br />

bene, l’epoca dell’imperialismo russoamericano,<br />

come l’apparenza avrebbe<br />

potuto suggerire. “Non a caso gli Stati<br />

Uniti hanno ripetuto a danno dell'Europa<br />

la manovra strategica<br />

inaugurata dai Portoghesi nel secolo<br />

XV. Sbarrando la via d'acqua del traffico<br />

commerciale Europa-Asia (sappiamo tutti<br />

che il Canale di Suez non sarebbe stato<br />

bloccato se Nasser non avesse goduto dell'appoggio<br />

statunitense contro l'Inghilterra),<br />

gli Stati Uniti hanno preso<br />

per la gola l'Europa e definitivamente<br />

distrutto le residue tradizioni<br />

imperialistiche britanniche. Sappiamo che<br />

cos'è l'imperialismo del dollaro: esso non<br />

occupa territori, anzi "libera" quelli su cui<br />

grava ancora la dominazione colonialista e<br />

li aggioga al carro della sua onnipotenza<br />

finanziaria, sulla quale veglia la flotta<br />

aeronavale più potente del mondo.<br />

L'imperialismo americano si presenta come<br />

la più pura espressione dell'imperialismo<br />

capitalista, che occupa i mari per dominare<br />

le terre” ( 33 ).<br />

La crisi di Suez rappresentava dunque<br />

un’ulteriore tappa strategica di<br />

quell’unica invasione yankee diretta ad<br />

una Berlino ormai divisa in due e occupata<br />

militarmente e poi da Berlino a Mosca<br />

33 Ibidem.<br />

17<br />

passando attraverso Parigi e Londra.<br />

L’anticolonialismo nasseriano era solo la<br />

maschera della tremenda pressione<br />

stritolatrice degli Stati Uniti che in quello<br />

svolto prendeva per la gola l’Europa intera,<br />

inclusi i Paesi ex-alleati. L’aggressione<br />

americana all’Europa, insomma, proseguiva<br />

e si sviluppava nel 1956 con una manovra<br />

avvolgente intesa a togliere alle potenze<br />

europee il monopolio dei traffici euroasiatici.<br />

“Il problema dell'unità germanica si<br />

proietta e diviene incandescente nel fuoco<br />

della sdoppiata Berlino, ove ognuno dei due<br />

gruppi imperiali vorrebbe vedere un<br />

meccanismo statale unico, controllante<br />

tutta la Germania e la costellazione<br />

europea, e da lui controllato. La sola via<br />

rivoluzionaria è che quel grande<br />

proletariato riesca nella fase di questo<br />

drammatico processo a sottrarsi alle<br />

vicende di un «moto pendolare» tra i due<br />

poli attrattivi di Est e di Ovest, e descriva<br />

una propria autonoma traiettoria” ( 34 ).<br />

“Il presidente americano ha detto a quello<br />

russo a Camp David che teme la<br />

unificazione tedesca. Il primo ha<br />

smentito. Ma la verità è questa: che si sono<br />

detti, in tono distensivo, di non volere<br />

nessuno dei due la Germania unita, e di<br />

temerla” ( 35 ).<br />

“Forse quando Pechino ha saputo che a<br />

Camp David si decretava la soggezione del<br />

bianco popolo tedesco, un giallo grido di<br />

protesta, ingenuo ma possente, ha fatto<br />

saltare lo schifosissimo compromesso” ( 36 ).<br />

Nel 1953 come nel 1960, dunque, il <strong>Partito</strong><br />

è sempre ben lontano dal ritenere che il<br />

Vecchio Continente sia ormai fottuto per<br />

sempre. Se infatti dalle rovine fumanti del<br />

capitale costante europeo non fosse sorto<br />

un nuovo e non effimero slancio<br />

produttivo, che ad un certo punto si sarebbe<br />

necessariamente urtato con lo stato di<br />

colonizzazione da parte di Washington, se<br />

l’Europa insomma era ormai un “cane<br />

34 “La Comune di Berlino”, 1953.<br />

35 “Vae victis Germania”, da “il programma<br />

comunista”, n. 11 del 1960.<br />

36 Ibidem.


morto” incapace di reagire alla morsa<br />

statunitense, che a Suez lo aveva preso per<br />

la gola, perché mai il governo americano e il<br />

suo satellite russo avrebbero dovuto temere<br />

la riunificazione tedesca? Si temono forse le<br />

frasi vuote e i progetti megalomani? Il<br />

<strong>Partito</strong>, quindi, non solo considerava come<br />

cosa seria e possibile la riunificazione<br />

tedesca per una via “non rivoluzionaria”, e<br />

quindi foriera di una nuova definizione<br />

delle alleanze in funzione della terza guerra<br />

mondiale, ma prevedeva già, registrando<br />

quel “giallo grido di protesta”, da che parte<br />

sarebbe stata incline a collocarsi la Cina.<br />

(Continua)<br />

18


La Russia è fuori dai giochi interimperialistici?<br />

Introduzione<br />

Non abbiamo mai pensato che la Russia<br />

potesse smettere di giocare un ruolo di<br />

potenza regionale nell’area euro-asiatica, e<br />

l’articolo di cui stiamo pubblicando una<br />

prima parte, ripercorrendo gli avvenimenti<br />

dalla disgregazione dell’Urss fino alla Russia<br />

di oggi, cerca di dimostrare come questa<br />

tendenza storica del capitalismo russo, dopo<br />

essere stata offuscata negli anni<br />

immediatamente successivi al 1990, si sta di<br />

nuovo riproponendo. In questa prima parte,<br />

dunque, vengono evidenzianti i dati del<br />

disastro economico e sociale russo,<br />

conseguenza della potentissima<br />

ristrutturazione che il Paese ha dovuto subire<br />

per adeguare la sua struttura sociale e<br />

produttiva al più moderno ed avanzato<br />

capitalismo d’Occidente.<br />

Nel corso degli anni cinquanta la<br />

Sinistra 37 fece un grande sforzo teorico per<br />

spiegare come fossero false e illusorie le affermazioni<br />

di Stalin e dei suoi epigoni del<br />

partito russo a proposito di come nell’<br />

Oriente si stesse costruendo “socialismo”. A<br />

partire, per esempio, dal semplice fatto che ,<br />

quando in un determinato Paese circolano<br />

merci, là c'è capitalismo e non socialismo.<br />

Oppure dal fatto che ad alti tassi di sviluppo<br />

dell'economia corrisponda una superiorità<br />

del socialismo sul capitalismo, che invece è<br />

semplicemente un fenomeno materiale<br />

storicamente dimostrato: i capitalismi<br />

giovani hanno tassi di accumulazione più<br />

veloci e ampli rispetto a quelli più vecchi.<br />

Attraverso quindi questo lavoro di analisi<br />

critica abbiamo dimostrato nell’arco di<br />

alcuni decenni come la contrapposizione<br />

USA-URSS avesse una natura prevalentemente,<br />

se non esclusivamente, militare e non<br />

assolutamente di tipo economico-sociale.<br />

Erano i vincitori della guerra che si<br />

ripartivano il mondo, fino ad arrivare ad<br />

accordi per mantenere questa spartizione.<br />

Tanto più che era esclusa quasi del tutto una<br />

concorrenza sul piano economico: così le<br />

merci dei due imperialismi non si<br />

scontravano sul mercato, ma al massimo<br />

37 Specificatamente nei due testi :<br />

Dialogato con Stalin, 1952<br />

Dialogato coi morti, 1956<br />

19<br />

veniva sottratta un'area semi-autarchica<br />

(URSS e Comecon) ai capitalismi maggiori.<br />

E, infatti, le parole utilizzate comunemente<br />

dal nostro partito per spiegare Yalta erano:<br />

spartizione, co-dominio, ecc., erano parole<br />

appropriate a quella realtà storica e le<br />

abbiamo sempre tranquillamente utilizzate.<br />

Ciò che ha caratterizzato invece la nostra peculiare,<br />

critica –peculiare, perché siamo stati<br />

i soli a farla– è stata la denuncia del fatto<br />

che ci fosse capitalismo in Oriente come in<br />

Occidente. Non eravamo affatto di fronte a<br />

uno "Stato operaio degenerato" o a una<br />

qualche forma statale di capitalismo con<br />

delle caratteristiche sociali che la rendessero<br />

diversa da quella occidentale. Era<br />

nettamente puro capitalismo: con tanto di<br />

accumulazione secondo i classici schemi di<br />

sviluppo economico. Come era avvenuto<br />

prima qui in Occidente, quando il ritmo di<br />

accumulazione era più rapido, o comunque<br />

quando il livello di partenza era più basso.<br />

La dominazione statale esistente non era di<br />

tipo socialista- se pur degenerato- ma<br />

pienamente capitalista, infatti tutte le<br />

categorie classiche del capitalismo erano<br />

presenti.<br />

Il vero problema era di prevedere quando<br />

quel ciclo di accumulazione doveva finire,<br />

doveva finire come in Occidente il ciclo che<br />

chiamammo del “quantitativismo<br />

produttivo”, e ci sarebbe stata quella che<br />

allora chiamammo "la grande confessione".<br />

Avevamo previsto per l'area dell’Est europeo<br />

un travagliato passaggio al capitalismo ultramaturo<br />

di stampo occidentale, ma con la<br />

persistenza di uno sviluppo ineguale, di un<br />

governo totalitario nei fatti anche se<br />

probabilmente di facciata democratica, e di<br />

una larga insoddisfazione della popolazione<br />

sottoposta a un crescente sfruttamento. 38<br />

Tutto ciò è poi avvenuto a cavallo tra gli<br />

anni ’80 e ’90, ed ha liberato dai falsi residui<br />

ideologici milioni di proletari.<br />

Quello che stiamo cercando di definire<br />

ora con il nostro lavoro, è come il ritorno<br />

russo sulla scena internazionale potrà<br />

modificare gli equilibri che si stanno<br />

38 Vedere articoli sul “bonapartismo” Programma C.<br />

1991.


determinando fra i vari imperialismi: come<br />

la libertà di circolazione dei capitali, delle<br />

merci e del lavoro, in questo mondo sempre<br />

più capitalisticamente integrato al di sopra<br />

delle macerie dell'arretrato e asfittico<br />

capitalismo orientale, sia stato un oggettivo<br />

Prima di indicare come di consueto<br />

le conclusioni a cui vogliamo tendere<br />

porremo una premessa la cui dimostrazione<br />

daremo per scontata: L’URSS, nella sua<br />

corsa alla formazione di un impero alla<br />

scala mondiale da contrapporre a quello<br />

veramente planetario degli USA, ha<br />

imposto una esasperata compressione delle<br />

forze sociali e produttive interne, non alla<br />

sola Russia strettamente intesa ma<br />

all’intero blocco che ad essa faceva capo,<br />

senza tuttavia disporre della enorme base<br />

economica di cui disponeva il suo<br />

concorrente d’oltre Atlantico, e le<br />

contraddizioni così accumulate durante<br />

settant’anni in questo immane confronto<br />

alla fine l’hanno condotta puramente e<br />

semplicemente al collasso. La cosiddetta<br />

perestrojka è stata il suggello formale che<br />

l’economia sovietica era entrata in una fase<br />

di irreversibile coma a cui si è tentato di<br />

fornire inizialmente una sopravvivenza<br />

puramente strumentale; il macellaio El’cin<br />

non ha fatto altro che staccargli<br />

definitivamente i tubi, e imbandire nella<br />

casa del defunto un lauto pasto, tutt’altro<br />

che metaforico, secondo lo stile<br />

dell’ebraismo.<br />

Alla distruzione dell’ex impero<br />

dell’URSS hanno concorso attivamente<br />

certamente la politica estera degli USA e di<br />

tutti gli stati da essa dipendenti come<br />

Arabia, Pakistan, Turchia, ecc., e senza<br />

scordarsi la benevola CEE; tuttavia, a<br />

dispetto di ciò, se non fosse stato per le<br />

contraddizioni inerenti ad una Russia mai<br />

uscita dalla produzione mercantile e<br />

capitalistica, che ha costruito un proprio<br />

impero sfruttando prima di tutto l’enorme<br />

prestigio mondiale derivante dalla passata<br />

rivoluzione, che parve rinsaldarsi<br />

all’abnorme contributo di sangue pagato<br />

durante il secondo macello mondiale,<br />

nessuna azione di intelligence opposta, per<br />

quanto scaltra ed intelligente, ne avrebbe<br />

20<br />

passo avanti verso lo scoppio di<br />

contraddizioni sempre più insanabili<br />

all’interno del sistema stesso, e grazie a cui il<br />

proletariato non dovrà più giocare un ruolo<br />

subalterno.<br />

causato il crollo. L’occupazione prima e la<br />

guerra poi dell’Afganistan, ultimo atto<br />

dell’impero moscovita, che spesso viene<br />

indicata come la causa dell’esplosione<br />

dell’URSS, in effetti non è stato che il<br />

contingente detonatore esterno; la massa<br />

esplosiva era tutta al suo interno. Come mai<br />

gli USA, pur fra qualche scossone, sono<br />

passati praticamente indenni da una<br />

parimenti umiliante esperienza in Vietnam,<br />

senza che venisse minimamente intaccato il<br />

ruolo di primario imperialismo mondiale?<br />

Nel trattare degli eventi più recenti<br />

che hanno visto in qualche modo ritornare la<br />

Russia, se non proprio nell’avanscena della<br />

politica mondiale, quantomeno l’oggetto di<br />

attente osservazioni ed analisi da parte<br />

osservatori delle più diverse sponde, si<br />

sconta il fatto che, scomparsa l’URSS come<br />

impero mondiale di primaria grandezza, il<br />

“problema Russia” è ben lungi dall’essere<br />

risolto, e neppure stabilizzato.<br />

Le considerazioni che intendiamo<br />

svolgere, ricollegandoci ad una precedente<br />

nota in cui mettevamo in evidenza il<br />

risorgere dei contrasti interimperialistici,<br />

specificatamente fra USA ed UE, tendono a<br />

dimostrare che la Russia odierna, pur nel<br />

marasma economico e sociale in cui è<br />

piombata dopo la dissoluzione dell’URSS, è<br />

ciò malgrado ancora un tassello non<br />

secondario nei contrasti interimperialisti<br />

mondiali con cui le maggiori potenze<br />

imperialistiche sono tutt’ora costrette a fare i<br />

conti.<br />

Come al solito, non disponendo noi di<br />

nostri mezzi di informazione, siamo costretti<br />

a rivolgerci ai correnti mezzi di<br />

informazione, talvolta a carattere puramente<br />

giornalistico, e diventa quindi non sempre<br />

agevole distinguere nelle notizie così raccolte<br />

quanto vi è, nei fatti correnti, di soggettive<br />

preferenze ideologiche di chi scrive e quanto<br />

di oggettivo e di rilevante che, per


importanza, supera il fatto contingente e ci<br />

fornisce quindi indicazioni sulle linee di<br />

tendenza degli eventi contemporanei. Per il<br />

comunista che cerca di decifrare il divenire<br />

sociale è quindi sempre implicito il rischio di<br />

farsi guidare, suo malgrado, dalla testa<br />

altrui. Il determinismo storico, strumento<br />

indispensabile e sufficiente<br />

all’interpretazione di tutti gli eventi sociali,<br />

non è in effetti di semplice utilizzo. Ne’ a sua<br />

garanzia è sufficiente una forte fede<br />

nell’avvento della società comunista; ma<br />

certamente ne è una condizione.<br />

Per tal motivo faremo sovente ricorso<br />

oltre che a dati anche a citazioni tratte<br />

direttamente dalla stampa dichiaratamente<br />

borghese, quando a nostro avviso qualche<br />

scrittore riporta anche dei brandelli di<br />

verità, o delle argomentazioni che per noi<br />

acquistano particolare significato; e oggi,<br />

certamente per l’assenza di una qualunque<br />

minaccia sociale da parte proletaria, e quindi<br />

per arrogante sicurezza, qualche “verità<br />

borghese” è pur possibile rintracciarla sulla<br />

loro stampa.<br />

Nel riassumere le conclusioni a cui<br />

tendiamo possiamo ben dire che gli eventi<br />

recenti, anche considerati dal<br />

ridimensionato settore di azione della<br />

Russia, riconfermano la nostra concezione<br />

del necessario risorgere di urti<br />

interimperialistici che oggi sempre più si<br />

rendono manifesti alla superficie delle<br />

“politiche” dei diversi stati, imperialisti e<br />

men che tali, non per manie o deviazioni di<br />

individui, e neppure di apparati statali, ma<br />

per reali determinazioni materiali,<br />

economiche, sociali, storiche, non meno che<br />

politiche, alle quali, individui o apparati, si<br />

piegano quali determinati esecutori. È solo<br />

con questa visione chiaramente premessa<br />

che possiamo scendere a considerare gli<br />

eventi contingenti, frutto certamente anche<br />

di decisioni che nella loro soggettività<br />

possono essere più o meno congruenti con le<br />

linee di sviluppo, meglio di sopravvivenza,<br />

dell’imperialismo contemporaneo, ma che<br />

nei fatti ne determinano il corso.<br />

Son di questi ultimissimi giorni le<br />

notizie che, a seguito delle non velate<br />

minacce degli USA all’Iran per la sua<br />

determinazione a voler costruire il suo<br />

21<br />

reattore nucleare per uso pacifico – la solita<br />

storia del lupo e dell’agnello; agli eredi di<br />

Komeini viene imputato, tra l’altro, tanto la<br />

corsa alla costruzione di armi di sterminio<br />

di massa che quello dell’appoggio al<br />

terrorismo internazionale, le due infamie<br />

dell’epoca moderna al cui solo profferirle<br />

ogni stato si sente in dovere di dimostrare la<br />

propria estraneità ed innocenza (fa<br />

parzialmente eccezione la Corea del Nord) –<br />

la Russia ha risposto che è sua intenzione<br />

proseguire negli aiuti all’Iran in tale campo<br />

per portare a compimento il progetto e non<br />

solo; il sommo capo del Cremlino si recherà<br />

personalmente a Teheran per rinsaldare un<br />

programma di cooperazione e, si può stare<br />

certi, di reciproca sicurezza militare.<br />

La cosa potrebbe apparire come un<br />

banale sgarbo della Russia a Washington<br />

dato la debolezza attuale dello stato russo,<br />

tanto in assoluto che relativamente<br />

all’America, la classica puntura della zanzara<br />

all’elefante, ed in una certa misura è anche<br />

vero. Ma solo parzialmente.<br />

Sono ormai mesi che<br />

l’amministrazione USA ha sbandierato ai<br />

quattro venti la sua ferma determinazione a<br />

proseguire nella sua crociata antiterrorista<br />

planetaria ma, poiché anche il maggiore<br />

imperialismo mondiale non ha limiti<br />

economici infiniti, ha necessità che altri<br />

vengano a rilevare il grosso delle truppe a<br />

stelle e strisce a completare l’opera di<br />

pacificazione iniziata con la guerra del 2003.<br />

Da qui la presunta riconversione delle tesi<br />

USA ad una democratizzazione della<br />

questione irakena con l’affidarla alla<br />

gestione dell’ONU e, per suo tramite, alla<br />

Nato, tesi tanto cara all’Eu e alla Russia, per<br />

non parlare di tutto l’opportunismo<br />

democratoide oscillante fra europeismo e<br />

demo-nazionalismo. In fondo gli USA<br />

stanno trattando la questione irakena come<br />

una normale partita di politica aziendale; il<br />

bravo dirigente non è quello che svolge<br />

direttamente tutti i compiti che concorrono<br />

ai buoni risultati del budget, ma quello che,<br />

fissata le direttrici della politica aziendale, si<br />

circonda degli opportuni collaboratori, a cui<br />

concede anche totale autonomia, di giudizio<br />

e d’azione, ma al fine del perseguimento<br />

dell’obiettivo prefissato. Così, tra l’altro,


viene anche salvaguardata la finzione<br />

democratica.<br />

Il fatto è che, e per convincersene è<br />

sufficiente osservare una cartina geografica,<br />

gli Usa con i tre interventi militari diretti in<br />

Afganistan ed Iraq, abbinati a quelli politicodiplomatici-economici-terroristici<br />

nella<br />

regione caspica (Geogia, Azerbagian) e in<br />

centr’Asia (Kazakistan, Turkmenistan,<br />

Usbekistan, Tagikistan, Kirghisiztan), gli<br />

USA, dalla fine dell’URSS come secondo<br />

bastione mondiale dell’imperialismo, stanno<br />

innalzando un formidabile muro di<br />

contenimento fra Europa, Russia ed Asia<br />

verso il Medio Oriente, e fra ognuno dei<br />

possibili aspiranti a competere globalmente<br />

con il colosso USA. Anche l’offensiva nei<br />

Balcani e quella verso i paesi ex-sovietici del<br />

centro-nord Europa (Polonia, Romania,<br />

Bielorussia, Ucraina, repubbliche baltiche),<br />

così come il preannunciato intervento nella<br />

Corea del Nord, rispondono alla stessissima<br />

logica di accerchiamento ed isolamento di<br />

tutti i possibili potenziali, allo stato attuale,<br />

avversari.<br />

Vista da Washington, la politica<br />

estera americana in effetti è - a dispetto delle<br />

infinite variabili locali, trattate con modelli<br />

matematici stile war games, e possiamo<br />

anche crederci - senza alternative; sono stati<br />

costretti a dichiarare la guerra preventiva a<br />

tutto il mondo perché è lo standard di vita<br />

americano che è debitore al mondo intero e<br />

la sua difesa (Kissinger: “nessuno pensi di<br />

poter mettere in discussione il modo di vita<br />

americano”) di necessità diventa un<br />

problema mondiale. Quando scrivevamo che<br />

“la zona d’interessi degli USA è una fascia<br />

che fa il giro del mondo” non usavamo una<br />

immagine retorica per colpire<br />

l’immaginazione del militante o del lettore: è<br />

una realtà puramente letterale.<br />

L’URSS, in quanto primo partnerconcorrente<br />

mondiale, sono stati i primi a<br />

farne le spese. Ed oggi sono ridotti alla<br />

Federazione russa e la CSI.<br />

Che a tanto miri la politica di<br />

Washington a Mosca è certo che ne sono ben<br />

consci, - ma il fatto sostanziale è che anche<br />

la politica di Mosca è senza alternative; o<br />

rassegnarsi definitivamente a divenire una<br />

22<br />

nazioncella di terzo o quart’ordine – i teorici<br />

della borghesia continuano a porre per la<br />

Russia il problema irrisolto dell’opposizione<br />

fra impero e nation building, perché nella<br />

visione occidentale il crollo dell’URSS era<br />

stato ipotizzato come uno puro e semplice<br />

smembramento del colosso moscovita in<br />

tanti stati quanti formavano la vecchia<br />

federazione – oppure, nella logica della<br />

semplice sopravvivenza fisica, tentare di<br />

opporvisi o, quantomeno, contenerne<br />

nell’immediato le pressioni maggiormente<br />

distruttive.<br />

Tutto questo turbinare di azioni e<br />

reazioni della politica che ci è presentato<br />

dalla giornalistica quotidiana come l’azione<br />

cosciente, volontariamente perseguita, degli<br />

apparati statali e dei personaggi di gran<br />

spicco in essi pontificanti, ridotta ai suoi<br />

termini essenziali continua a mostrare<br />

l’affermarsi ottusamente incosciente delle<br />

leggi di vita e di sopravvivenza del<br />

capitalismo, modo di produzione, e<br />

dell’imperialismo, non pura politica degli<br />

stati ma condizioni oggettive a quel modo di<br />

produzione corrispondenti. La produzione e<br />

circolazione mercantile sono la sua base<br />

obiettiva, i rapporti di forza derivanti dalle<br />

dimensioni della base produttiva, tanto nel<br />

rapporto fra aziende che fra stati supposti<br />

indipendenti, il predomino del capitale<br />

finanziario su quello produttivo, l’affermarsi<br />

sempre più prepotente della rendita<br />

differenziale anche nella produzione<br />

industriale non sono che delle necessarie<br />

conseguenze. Nel rapporti reciproci i singoli<br />

stati sono costretti a comportarsi secondo<br />

una logica che, per certi versi, non è<br />

dissimile da quella operante nelle singole<br />

aziende considerate come unità produttive, e<br />

cioè tendere ad un aumento crescente delle<br />

proprie dimensioni che ne aumenti il<br />

potenziale concorrenziale rispetto a<br />

qualunque altro concorrente. Mentre però<br />

nel settore produttivo ciò conduce, sovente,<br />

alla semplice fagocitazione di unità minori,<br />

per gli stati ciò invece, di norma, conduce al<br />

solo assoggettamento economico<br />

conservando, ma non è minimamente un<br />

limite assoluto, una parvenza di<br />

indipendenza politica, almeno sul piano<br />

formale dell’indipendenza statuale. Per tal<br />

mezzo gli stati economicamente più deboli si


fanno famigli di quelli economicamente<br />

dominanti che, quindi, divengono in effetti<br />

anche politicamente dominanti. Così<br />

sorgono le cosiddette zone d’influenza che,<br />

nella dizione nazista, era senza ipocrisia<br />

definita il Lebensraum, lo spazio vitale. Ed<br />

in effetti per l’imperialismo, per ogni<br />

compagine nazionale dell’imperialismo, è<br />

strettamente vitale competere e sopraffare<br />

ogni altro concorrente. Il fatto che oggi,<br />

fenomeni tipici dell’imperialismo, nel settori<br />

produttivi predominino i trust monopolistici<br />

internazionali e, al di sopra di essi, il capitale<br />

finanziario, per loro natura sopranazionali,<br />

non attenua minimamente la lotta di<br />

concorrenza fra i diversi stati, anzi pone la<br />

loro lotta a livello mondiale. E per tutti e per<br />

ognuno è semplice questione di<br />

sopravvivenza. Non quindi scelte coscienti e<br />

volontarie ma leggi immanenti e, i cosiddetti<br />

grandi, pur nelle scelte individuali e delle<br />

amministrazioni che dirigono, che noi non<br />

neghiamo ne’ sottovalutiamo, lo sono in<br />

quanto riescano a tradurre in azioni<br />

conseguenti le determinazioni materiali che<br />

coercitivamente li spingono a realizzare.<br />

E’ questa nostra concezione, che trova<br />

applicazione nel determinismo economico,<br />

che ci permette di ricondurre gli eventi tanto<br />

economici che politici, dei grandi non meno<br />

che degli apparati statali che dirigono, di cui<br />

in realtà sono gli esecutori, nei fatti di<br />

Russia ne forniscono ulteriore conferma.<br />

Dopo aver perso tutto l’impero esterno<br />

costituito dai paesi dell’Europa orientale,<br />

anche l’impero strettamente interno<br />

costituito dalla Federazione ha subito<br />

pesanti smembramenti, la soluzione<br />

peggiore anche da un punto di vista<br />

strettamente borghese. Se ciò è avvenuto in<br />

primo luogo sul terreno politico, sono ovvie<br />

anche le conseguenze su quello economico.<br />

Da una parte l’integrazione dei paesi<br />

centroeuropei e di quelli baltici nella Ue e<br />

nella Nato hanno avuto il doppio scopo di<br />

installare più stabilmente il controllo USA in<br />

Europa molto più ad est, nel cuore stesso<br />

dell’Europa, rispetto al passato, costruendo<br />

un corridoio da essi controllato che separa la<br />

Ue dalla Russia e, dall’altra, contribuire ad<br />

inserire paesi oggi di stretta fede americana<br />

nelle istituzioni europee, proprio perché da<br />

essa controllati. A questa che è ormai storia<br />

23<br />

dell’ultimo quindicennio la Russia non<br />

poteva che rispondere cercando di far valere<br />

l’integrazione di queste aree prima di tutto<br />

sul terreno economico, retaggio della<br />

precedente integrazione all’interno<br />

dell’URSS.<br />

Inizialmente si è potuto assistere ad<br />

una formidabile pressione americana<br />

tendente al puro e semplice smembramento<br />

dell’ex URSS, in questo affiancata, anche se<br />

in posizione subalterna, dalla UE, e la Russia<br />

di El’cin sembrava ben decisa a tale manovra<br />

anche perché non era più in grado di pagare<br />

le spese del mantenimento del suo impero;<br />

ed in ogni caso era il costo da pagare per<br />

trovare gli interessati sponsor in occidente.<br />

Una burocrazia onnipresente e capillare che,<br />

partendo dal vertice di tutte le repubbliche,<br />

scendeva per gradi sino alle singole<br />

amministrazioni comunali, di villaggio e sin<br />

dentro alle unità produttive, un apparato di<br />

partito che ricalcava la stessa struttura, un<br />

apparato militare elefantiaco,<br />

determinavano un peso economico che la<br />

nota bassa produttività dell’apparato<br />

economico russo non poteva più sostenere.<br />

E questo slancio iniziale decentralizzatore è<br />

stato cavalcato da USA ed Ue per smembrare<br />

politicamente l’URSS e parimenti per<br />

invaderla sul terreno economico. Le<br />

privatizzazioni selvagge operate a partire dal<br />

’91 con alle spalle imprese multinazionali<br />

hanno letteralmente fatto razzia del<br />

patrimonio pubblico detenuto dallo stato, o<br />

da enti comunque pubblici. Le conseguenze<br />

economico-sociali sono state a dir poco<br />

catastrofiche; il tenore di vita delle masse<br />

proletarie è diminuito di un abbondante<br />

40%, in Russia oggi vi è una diffusione<br />

generalizzata della miseria e,<br />

conseguentemente, di tutti i fenomeni tipici<br />

ad essa collegati ad un livello<br />

incomparabilmente maggiore di quanto<br />

potrebbe far supporre la sua potenza<br />

economica. Si è progressivamente sviluppata<br />

una vera degradazione di tutto il tessuto<br />

sociale. Scadenti, sia qualitativamente che<br />

quantitativamente, livelli nutrizionali,<br />

alcoolismo e droghe dilaganti, Aids e<br />

tubercolosi, corruzione divenuto metodo di<br />

vita di tutta la burocrazia,<br />

incomparabilmente maggiore che sotto<br />

l’URSS, organizzazioni mafiose che


controllano oltre che prostituzione e droga<br />

qualunque aspetto della vita civile.<br />

Il sistema sanitario, come servizio all’intera<br />

collettività, è completamente scomparso:<br />

ogni prestazione medica oggi è prestata<br />

unicamente dietro pagamento diretto ed i<br />

medici infatti sono divenuti un strato fra i<br />

più agiati della piccola-media borghesia. Da<br />

questo fatto il ritorno e la diffusione,<br />

documentata, fra le altre cose, anche della<br />

tubercolosi. A ciò è da aggiungere una<br />

diminuzione progressiva e costante della<br />

popolazione totale poiché, a partire dal ’92,<br />

le morti hanno permanentemente superato<br />

le nascite di un fattore circa 1,5. Il risultato è<br />

che dal ’91 al 2004 la popolazione residente<br />

in Russia è diminuita di 3,5 milioni, dato<br />

questo che però nasconde il fatto che la<br />

Federazione Russa è un’importatrice netta di<br />

braccia, ad es. dalle repubbliche del<br />

centr’Asia e dalle repubbliche baltiche. In<br />

realtà in questo periodo le morti hanno<br />

superato le nascite di circa 10 Mln. Il<br />

significato sociale è evidente: lo<br />

svecchiamento della società russa è la mera<br />

conseguenza di una più alta mortalità.<br />

I fatti che abbiamo riportato, peraltro già<br />

presenti nella società sovietica, hanno<br />

subito una prima accentuazione a partire<br />

dalla fase detta della perestrojka e della<br />

glasnost che è stato il tentativo, chimerico,<br />

di traghettare l’economia russa dal<br />

controllo oppressivo ed onnipresente e,<br />

malgrado tutto, ancora fortemente<br />

centralizzato, sotto lo stato-partito del<br />

capitalismo di stato russo ad un’economia<br />

di mercato completamente svincolata dal<br />

controllo dello stato centrale. Con il colpo di<br />

24<br />

stato che ha portato al Cremlino la banda di<br />

El’cin è invece iniziata una vera e propria<br />

guerra gansteristica, formalmente<br />

all’insegna della democratizzazione del<br />

paese.<br />

È da presumere che non vi siano esempi<br />

storici in epoca moderna così ampi e<br />

profondi come quello russo degli anni ’90<br />

che possano dimostrare come e quanto la<br />

democrazia sia unicamente uno strumento<br />

della classe borghese in funzione<br />

esclusivamente antiproletaria. A scorrere le<br />

cronache dell’epoca ciò che viene alla mente<br />

sono le pagine di Marx sull’accumulazione<br />

originaria in Inghilterra, col suo bagaglio<br />

infinito di miserie, di abbrutimento, di<br />

totale degradazione sociale. La differenza<br />

fondamentale è che nella Russia degli ultimi<br />

anni, essendo la struttura produttiva già<br />

pienamente capitalistica, lo smembramento<br />

delle unità produttive statali, o comunque<br />

pubbliche, ha condotto ad una<br />

privatizzazione selvaggia in cui la parte del<br />

leone l’han fatta i vecchi funzionari dello<br />

stato o del partito, quelli che quindi<br />

disponevano già di una posizione<br />

privilegiata, e ciò è stato tanto più possibile<br />

dalla pressoché scomparsa di ogni controllo<br />

statale. Le stesse proprietà del PCUS sono<br />

state prima confiscate e poi privatizzate.<br />

Specchio di questa situazione generale è<br />

stata la crisi economica che ha investito la<br />

Russia e che ha toccato il suo massimo nel<br />

’98, sia nei settori direttamente produttivi<br />

che finanziari – la crisi della borsa ha avuto<br />

riflessi notevoli anche nel sud-est asiatico, a<br />

Wall Street ed a Londra.<br />

(Continua)


La nascita e lo sviluppo peculiare del capitalismo cinese<br />

Questa prima parte del lavoro riprende, in<br />

buona sostanza, quello che già il <strong>Partito</strong> ha<br />

svolto sulla Cina, negli anni passati. Non si<br />

tratta di affrontare la contingenza dell’oggi,<br />

ma attraverso il percorso di ieri, spiegare<br />

quello che oggi sta avvenendo. Per capire<br />

l’evoluzione storica ed economica della Cina<br />

dobbiamo abbandonare il Mediterraneo e<br />

l’oceano Atlantico per spostarci su un altro<br />

oceano, quello Pacifico. La Cina che su tale<br />

oceano si affaccia ha mostrato uno sviluppo<br />

diverso da quello europeo, sia per la sfasatura<br />

delle epoche storiche, sia per il manifestarsi<br />

di un modo di produzione originale rispetto a<br />

quelli avutisi in Europa: il modo di<br />

produzione asiatico. Questo ha lasciato una<br />

traccia profonda sia a livello culturale che<br />

economico, dissimile dal sistema che<br />

conosciamo.<br />

La prima parte dell’articolo riguarderà,<br />

appunto, la peculiarità dell’evoluzione storica<br />

cinese. “Al fine di gettare le basi organiche di<br />

uno studio sul cinese, riteniamo<br />

utile fornire ai compagni un insieme di<br />

nozioni storiche fondamentali sulle<br />

peculiarità dell’evoluzione storica cinese, che<br />

hanno un peso diretto ed immediato sul<br />

problema di oggi”. Questo scriveva il partito<br />

nel 1957, quando si apprestava a pubblicare<br />

sul “programma comunista” nn. 23-24 del<br />

1957 e nn.7-8 del 1958 uno studio dove si<br />

trattava di riaffermare, attraverso l’utilizzo<br />

della teoria marxista e del materialismo<br />

storico, il metodo di analisi corretta e di<br />

comprendere gli avvenimenti storici nel loro<br />

corso reale, di leggere i movimenti politici e lo<br />

sviluppo delle forze sociali come conseguenza<br />

dei rapporti economici reali. Il partito<br />

riprendeva il filo delle analisi che Marx ed<br />

Engels avevano avviato alla fine del 1800, in<br />

cui si individuavano nella Cina e nell’area<br />

asiatica il futuro susseguirsi delle fasi di<br />

sviluppo e destabilizzazione del sistema<br />

capitalistico. La serie di articoli che<br />

riguardano questo tema sono raccolti nel<br />

testo “India Cina Russia”. E’ stato attraverso<br />

l’utilizzo di questi materiali che noi potevamo<br />

prevedere, già alla fine degli anni ’50, sia il<br />

futuro ed impressionante sviluppo del<br />

capitalismo cinese, sia il carattere non<br />

socialista della rivoluzione maoista. Questa<br />

prima serie di articoli, che noi per ovvi motivi<br />

Piano di lavoro e riferimenti<br />

25<br />

di spazio utilizzeremo riassumendone i<br />

concetti ed i passaggi fondamentali, hanno un<br />

contenuto prettamente storico e si fermano al<br />

periodo in cui inizia la decadenza dell’Impero<br />

cinese e dell’area asiatica, a causa della rapina<br />

ed espansione dell’imperialismo occidentale.<br />

La situazione di dominio che<br />

l’imperialismo occidentale esercita, funge<br />

intanto da catalizzatore del dissolvimento dei<br />

vecchi modi di produzione cinesi. Lo sviluppo<br />

delle forze materiali e l’impianto di strutture<br />

di produzione capitalistiche da parte delle<br />

potenze imperialisteche nella fascia costiera<br />

della Cina imperiale, produce la nascita di un<br />

proletariato urbano e di una borghesia<br />

nazionale che male sopporta la dominazione<br />

straniera. Le rivolte sociali che interessano la<br />

Cina dalla metà dell’800 fino alla metà del<br />

secolo, scorso sono l’espressione di questo<br />

movimento nazionale. Il maoismo<br />

appoggiandosi alla vasta base contadina ed<br />

alla piccola e media borghesia nazionalista,<br />

compie la rivoluzione nazionale borghese<br />

sacrificando il glorioso proletariato di Canton<br />

e di Shangai. La sua sovrastruttura ideologica,<br />

per i motivi di un ritardo dello sviluppo<br />

economico e storico delle classi allora<br />

presenti e del contesto storico internazionale,<br />

ha assunto la forma populista e falsamente<br />

socialista.<br />

Nella serie di articoli apparsi sul<br />

Programma <strong>Comunista</strong> del 1962 nn. 10-11-12,<br />

si pubblica una riunione di partito (riunione<br />

interfederale di Firenze del 18-19 marzo<br />

1962), dove si analizza molto bene questo<br />

periodo ed il carattere non socialista della<br />

rivoluzione maoista. È dalla serie di questi<br />

articoli che trarremo buona parte del<br />

materiale di questa prima parte.<br />

La seconda parte dell’articolo, che<br />

chiaramente sarà materiale per un successivo<br />

numero della rivista, riguarderà lo sviluppo<br />

dell’industrialismo cinese fino ai giorni nostri.<br />

Le tabelle, i dati ed i grafici che<br />

pubblicheremo, cercheranno di utilizzare il<br />

metodo del “Corso del capitalismo”,<br />

individuando nella legge della decrescenza<br />

degli indici di incremento della produzione<br />

industriale, il tarlo che mina dalle<br />

fondamenta anche il fantastico (per gli


sprovveduti) sviluppo industriale cinese. Si<br />

incroceranno diversi indici, i più importanti<br />

sono rappresentati dalla produzione<br />

industriale da cui nasce il plusvalore e che ci<br />

dimostra ancora la vitalità di un capitalismo,<br />

e dalla produzione d’acciaio, sua espressione<br />

di forza. La stessa che consentirà la dittatura<br />

di classe. L’exploit della produzione d’acciaio<br />

cinese deve necessariamente tradursi in un<br />

apparato militare sempre più potente, che<br />

tendenzialmente non deve essere inferiore a<br />

nessun’altro. I rapporti di potenza fra Stati e<br />

capitalismi nazionali sono stabiliti dall’entità<br />

degli armamenti messi in opera: questa<br />

valutazione indica che in Cina è pronta a<br />

partecipare a pieno titolo alle guerre del<br />

capitale sulla pelle del proletariato mondiale.<br />

a) Si incroceranno questi indici con quelli<br />

delle altre potenze industriali per valutare i<br />

rapporti di forza fra gli stati e per vedere quali<br />

sono gli effetti dinamici di sconvolgimento ed<br />

accelerazione degli equilibri capitalistici<br />

mondiali.<br />

b) Va tenuto presente che l’entrata della<br />

Cina nel novero delle potenze borghesi<br />

avviene nella piena fase di putrescenza del<br />

capitalismo in occidente e conseguentemente<br />

si porta dietro tutte le caratteristiche di<br />

questo periodo. Ciò significa che dovremo<br />

cominciare a individuare le debolezze dello<br />

straripante sviluppo capitalistico cinese ed i<br />

problemi sociali (leggi sviluppo ed estensione<br />

dei conflitti sociali ad esso collegati) che<br />

questo sta producendo sul proletariato cinese.<br />

Le fonti di questa seconda parte del<br />

lavoro sono oltre le tabelle del “Corso del<br />

capitalismo” e delle successive integrazioni<br />

prodotte fino al 1996 dal lavoro economico<br />

fatto in occasioni delle riunioni generali del<br />

‘93 e ’96, quando eravamo in Programma<br />

<strong>Comunista</strong>. Dati, tabelle ed indici tratti da<br />

internet e articoli di giornali (c’è una serie di<br />

articoli di Repubblica sulle condizioni di<br />

lavoro in Cina).<br />

I testi di riferimento classici oltre agli<br />

articoli pubblicati sul Programma sono:<br />

1. Marx-Engels India Cina Russia, più<br />

varie lettere e carteggi sulla Cina.<br />

2. La serie di articoli “La distensione<br />

aspetto recente della crisi” nn1-6/1960<br />

3. L’incandescente risveglio delle “genti<br />

di colore” nella visione marxista, nn1-2/1961<br />

26<br />

4. Trostsky-Vujotic-Zinoviev: Cina 1927<br />

Scritti e discorsi sulla rivoluzione. Ed.Iskra<br />

• Prima parte<br />

“Certo, per effetto della<br />

industrializzazione a tappe forzate che il<br />

regime cinese va conducendo, la<br />

Cina, fra qualche decennio diventerà la prima<br />

potenza asiatica. Esistono tutte le condizioni<br />

affinché tale previsione si tramuti in realtà:<br />

l’immenso territorio, la sterminata<br />

popolazione, i giacimenti minerari, e quel che<br />

soprattutto conta, la ventata di spirito<br />

rivoluzionario che anima le moltitudini<br />

popolari. Un’altra condizione obbiettiva<br />

merita un cenno: le radicate tradizioni<br />

collettivistiche di un popolo antichissimo che<br />

la millenaria lotta contro i giganteschi<br />

rivolgimenti della natura (soprattutto le<br />

inondazioni dei fiumi) ha abituato al lavoro di<br />

massa. Del resto la Cina è stata nei secoli la<br />

maggiore potenza asiatica. Se, dopo cent’anni<br />

di eclisse, essa giungerà sotto il regime<br />

a riprendere il posto che il<br />

Celeste Impero occupava tra le potenze<br />

asiatiche e mondiali, di ciò potranno stupirsi<br />

soltanto gli sprovveduti”. (La “distensione”<br />

aspetto recente della crisi capitalista P.C.<br />

1960)<br />

Questa citazione da cui vogliamo partire,<br />

trae tutta la sua ragione dal lavoro che il<br />

partito in quegli anni andava svolgendo sulla<br />

questione cinese. Per ricostruire la storia<br />

della Cina con criteri marxisti, cioè scrivere la<br />

storia reale della Cina e spiegarne il decorso<br />

odierno, bisognava svolgere un poderoso<br />

lavoro di archeologia economica. Gli storici<br />

tradizionali infatti trascurano per formazione<br />

mentale o per semplice conservazione di<br />

classe l’esame delle strutture economiche e<br />

sociali che mutano parallelamente la forma<br />

politica dell’evoluzione storica. Ecco che il<br />

marxista è costretto a percorrere all’indietro il<br />

suo cammino, “partendo” cioè dal risultato<br />

finale dell’evoluzione storica per retrocedere<br />

alle cause economiche e sociali che l’hanno<br />

determinata. Attraverso questo lavoro<br />

potremo così spiegarci le varie fasi storiche ed<br />

economiche che hanno interessato questo<br />

paese: la sua millenaria civiltà ricca e potente,<br />

il declino economico e sociale a partire dalla<br />

metà del 18° secolo, il colonialismo e la<br />

rivoluzione nazionale borghese, il maoismo e<br />

lo straordinario sviluppo capitalistico, il suo<br />

peso nel mercato mondiale e l’assurgere della


Cina nel novero delle potenze militari<br />

mondiali .<br />

La Cina è stato l’unico caso storico in cui<br />

sede geografica, razza, nazione e stato,<br />

abbiano coinciso attraverso parecchi millenni.<br />

Non esiste infatti altro esempio di edificio<br />

statale che, ad onta dei profondi rivolgimenti<br />

interni e delle invasioni di popoli stranieri,<br />

abbia conservato l’originaria sede territoriale<br />

e la base nazionale e razziale su cui fu<br />

innalzato. La nazione cinese non ha mai<br />

cambiato dimora, le dominazioni e le dinastie<br />

straniere che si sono succedute, mongole e<br />

mancesi, riuscirono solo transitoriamente ad<br />

impossessarsi del vertice dello stato. Ogni<br />

volta l’immenso oceano fisiologico della<br />

nazione ha ingoiato gli ospiti, spariti senza<br />

alterare i connotati fisici e culturali degli<br />

occupati. Come sempre, il giovane sangue<br />

“barbaro” assimilò tutto quanto di vivo e<br />

vitale trovò nella tradizione millenaria cinese:<br />

quanto il vinto aveva elaborato di tecnica, di<br />

sapere, di progresso effettivo, non perì, ma<br />

conquistò il vincitore: “[…] Nell’enorme<br />

maggioranza dei casi di conquista durevole<br />

il conquistatore più rozzo deve adattarsi<br />

all’ superiore quale<br />

risulta della conquista, e viene assimilato dai<br />

conquistati e per lo più deve perfino<br />

accettarne il linguaggio”. Due sono i fattori<br />

essenziali della straordinaria sedentarietà<br />

della nazione cinese. Il primo è di ordine<br />

geologico, e riguarda la estrema fertilità della<br />

pianura cinese. Come la Mesopotamia ed il<br />

bacino del Gange, la potente civiltà agraria<br />

cinese affonda le sue radici nella stessa<br />

formazione geologica del continente asiatico,<br />

che unito ad un gigantesco potenziale creativo<br />

ha trasformato in poderose realizzazione<br />

storiche. L’altro fattore anch’esso di ordine<br />

materiale è la posizione geografica della<br />

nazione cinese. La grande pianura cinese ha<br />

avuto per confini naturali degli ostacoli<br />

invalicabili: il semideserto del bacino del<br />

Tarim, l’attuale Turkestan cinese, l’immensa<br />

distesa d’acqua del Pacifico ad oriente. Inoltre<br />

barriere insuperabili come: l’Altipiano del<br />

Tibet, delimitato a sud dalle catene<br />

dell’Himalaya e a nord dalle catene del<br />

Kuenlun e dello Alti-tagh; e in piena Asia<br />

centrale, i Tien-shan, l’Altai, il Kagai. Unica<br />

frontiera scoperta era quella settentrionale,<br />

dove vivono popolazioni nomadi, più dedite a<br />

guerre di rapine che a vere e proprie<br />

invasioni.<br />

27<br />

Queste condizioni hanno determinato che<br />

mentre nel resto del mondo “civile” imperava<br />

ancora lo schiavismo, queste condizioni<br />

portarono al completo compimento il<br />

percorso storico del feudalesimo cinese. Con<br />

l’avvento della dinastia dei T’sin nel III secolo<br />

a.c., avviene già il trapasso violento dal<br />

primitivo feudalesimo aristocratico<br />

(organizzato nelle forme che appariranno in<br />

Europa parecchi secoli più tardi) a quello che<br />

il nostro partito ha definito “feudalesimo di<br />

stato”, cioè non poggiante più sul potere<br />

periferico di una aristocrazia terriera, ma su<br />

un accentrato apparato burocratico di stato.<br />

L’esautoramento dei principi feudali, la<br />

riduzione della aristocrazia terriera a puro<br />

strumento della Corte imperiale, la<br />

oppressione dello spezzettamento del potere<br />

politico e la formazione dello stato unitario -<br />

cioè le condizioni storiche che hanno<br />

permesso il sorgere dei moderni stati<br />

capitalistici- furono possibili in Europa solo<br />

alla fine del Medioevo. Essendo già esistenti<br />

in Cina tali premesse, fu possibile secoli<br />

prima la comparsa di uno Stato unitario.<br />

L’anticipo segnato dalla Cina, è stato possibile<br />

dall’assenza della fase schiavista nel suo<br />

sviluppo storico. Non si hanno notizie di uno<br />

schiavismo cinese. È vero che è esistito in<br />

Cina una forma di schiavitù, ma essa era<br />

legata piuttosto al modo di vita delle famiglie<br />

ricche, che ad un modo di produzione sociale.<br />

La vita sociale cinese resta caratterizzata,<br />

sotto il profilo economico, da una produzione<br />

agricola associata con quella di manufatti, su<br />

base familiare, di villaggio, su cui si<br />

sovrappone il potere centrale accentratore,<br />

“imprenditore generale” dell’irrigazione delle<br />

vallate fluviali e delle grandi opere idrauliche,<br />

senza la quale non sarebbe stata possibile<br />

l’agricoltura. Il controllo dell’acqua è stato in<br />

questo paese sempre una funzione<br />

dell’autorità centrale, che impose alla forza<br />

lavoro contadina del sistema di villaggio il<br />

lavoro servile e coatto, in una condizione cioè<br />

più libera dello schiavo, ma meno libera di un<br />

lavoratore salariato.<br />

La società cinese uscita dalla barbarie,<br />

può saltare lo schiavismo perché può liberare<br />

il proprio potenziale produttivo ed ordinarsi<br />

nelle forme di civiltà senza dover ricorrere<br />

alla guerra ed all’imperialismo e senza doverli<br />

subire da nazioni nemiche. Tutto questo si<br />

comprende se guardiamo ai due grandi fattori<br />

prima elencati. La composizione geologica del


suolo favorevole al progresso di una società<br />

agraria sedentaria; ed alla posizione<br />

geografica della “fortezza”cinese<br />

assolutamente imprendibile. Posta al riparo<br />

delle aggressioni altrui, ed esentata dal<br />

forgiarsi una tradizione guerriera, perché la<br />

terra, quasi senza concime ma con il prezioso<br />

ausilio di ingegnose opere idrauliche, produce<br />

derrate in proporzione al numero pure alto<br />

degli abitanti, la nazione cinese è in grado di<br />

vivere quasi isolata dal resto del mondo.<br />

E’ in Cina che il feudalesimo può attuare<br />

tutte le sue possibilità di sviluppo. Ciò accade<br />

perché lo stato raggiunge ben presto un alto<br />

grado di potenza e riesce a sopprimere il<br />

potere particolaristico della aristocrazia<br />

terriera, sostituendo ad esso un apparato<br />

amministrativo e burocratico fortemente<br />

accentrato nelle mani dell’imperatore. La<br />

cancellazione delle frontiere interne, proprie<br />

dei paesi spartiti entro gli angusti domini<br />

feudali, rende possibile un intenso commercio<br />

interno, attraverso la rete fluviale, quindi un<br />

fitto scambio di relazioni sociali. Il territorio è<br />

suddiviso in province e distretti, che sono<br />

posti sotto la giurisdizione di funzionari<br />

nominati dall’imperatore. La nuova<br />

burocrazia imperiale si differenzia in due<br />

rami, civile e militare, che fanno capo a un<br />

primo ministro ed a un Maresciallo<br />

dell’impero (comandante in capo dell’esercito<br />

regio). Vertice del potere è l’imperatore, nella<br />

cui persona confluiscono i due rami<br />

dell’amministrazione. Su tutto l’apparato<br />

vigila un corpo di ispettori che rispondono<br />

direttamente all’imperatore e sono incaricati<br />

di sorvegliare tanto l’amministrazione<br />

centrale, quanto quella delle province. In altre<br />

parole si assiste alla nascita della monarchia<br />

assoluta, cioè di una forma di stato<br />

caratterizzata da un rigoroso accentramento<br />

di potere, che rimane tuttavia la<br />

sovrastruttura di una base economica feudale.<br />

Questa struttura statale si è mantenuta<br />

inalterata per duemila anni e sotto tutte le<br />

dinastie succedutesi. Essa ufficialmente<br />

cesserà di esistere allo scoppio della<br />

rivoluzione antimonarchica del 1911, benché<br />

le tradizioni accentratrici dell’edificio sociale<br />

cinese si stiano perpetuando nei regimi post-<br />

rivoluzionari giunti al potere , così come in<br />

quelli attuali.<br />

Il dato che si ricava dallo studio della<br />

storia cinese, qualunque cosa pretendano gli<br />

storici idealisti, è cha la molla del progresso<br />

28<br />

sociale è la guerra civile, la lotta di classe.<br />

Ritroviamo qui un altro grande concetto<br />

marxista, la violenza ha nella storia una<br />

funzione rivoluzionaria, essa è la levatrice di<br />

ogni vecchia società gravida di una nuova, è lo<br />

strumento con cui si compie il movimento<br />

della società, che infrange forme politiche<br />

irrigidite e morte. E’ appunto l’eccezionale<br />

frequenza dei rivolgimenti sociali che spiega<br />

la precocità dello sviluppo storico cinese di<br />

fronte all’Occidente. La rivolta sociale è un<br />

catalizzatore del processo storico, perciò la<br />

storia cinese che è più ricca di rivolte e di<br />

guerre civili marcia più in fretta che la storia<br />

degli altri paesi. Tra una grande rivolta e la<br />

successiva, si sono intercalate nel millenario<br />

corso della nazione cinese centinaia di rivolte<br />

e di guerre contadine di minore importanza.<br />

Si contano in un periodo di oltre duemila anni<br />

ben diciotto grandi rivolte. Nessun popolo<br />

può vantare una tradizione rivoluzionaria così<br />

ricca. Non si trattò di reazioni elementari di<br />

masse infuriate, ma la lotta fisica si<br />

accompagnò spesso ad una tagliente critica<br />

della classe dominante. Fu una gigantesca<br />

rivolta contadina che nel 1380 pose fine alla<br />

dominazione mongola e fu ancora una grande<br />

guerra civile che depose la dinastia dei Ming,<br />

però mancando il bersaglio, rappresentato<br />

dalle classi possidenti, che per proteggersi<br />

contro la sovversione sociale, preferirono<br />

chiamare in aiuto la dinastia straniera dei<br />

Manciù. Molti secoli dopo (1849) era la<br />

famosa rivolta dei Tai-ping che proclamava :<br />

“Tutta la terra che è sotto il cielo dovrà essere<br />

coltivata da tutto il popolo che è sotto il cielo.<br />

Che la coltivino tutti insieme e, quando<br />

raccolgono il riso, che lo mangino insieme”:<br />

questo esprimeva già in se dei concetti di<br />

“comunismo agrario”. La rivolta viene<br />

repressa dopo 15 anni col sangue di 20<br />

milioni di abitanti, così gli europei che hanno<br />

difeso la dinastia imperiale dalla rivolta,<br />

preparano nuove possibilità di penetrazione<br />

ai loro capitali ed alla conquista di territorio<br />

cinese.<br />

Se finora abbiamo insistito sulla precocità<br />

dello sviluppo storico cinese rispetto<br />

all’occidente, è perché le caratteristiche<br />

sociali che lo hanno determinato sono<br />

presenti anche oggi ed operano all’interno<br />

dello strabiliante sviluppo economico che sta<br />

attraversando la Cina moderna dopo anni di<br />

oblio, che appunto la sta portando, per<br />

riprendere la citazione iniziale:“…a


iprendere il posto che il Celeste Impero<br />

occupava tra le potenze asiatiche e mondiali,<br />

[e] di ciò potranno stupirsi soltanto gli<br />

sprovveduti”.<br />

Da quali cause fu prodotto l’oblio<br />

centenario della Cina e di tutta l’Asia,<br />

nonostante l’anticipazione politica e sociale<br />

dell’ordinamento statale cinese rispetto agli<br />

stati europei.<br />

L’Europa e l’Asia, partendo da epoche<br />

diverse, arrivano ad una meta comune: la<br />

monarchia assoluta a fondamento feudale.<br />

L’Europa raggiunge questa meta nei secoli XV<br />

e XVI , ed è in questa epoca che siamo<br />

all’equilibrio fra Asia ed Europa ma è anche<br />

da questo momento che lo sviluppo dei due<br />

continenti comincia a divergere ed a opporsi.<br />

La monarchia assoluta è una forma di stato<br />

che sottintende una fase di transizione nel<br />

processo economico e infatti, l’Europa in<br />

questo trapasso da feudale diventa borghese.<br />

Con un balzo prodigioso sopravanza tutti gli<br />

altri paesi e si pone alla testa del mondo. Ci<br />

riuscirà mediante orrende carneficine e<br />

assoggettando il mondo a forme inaudite di<br />

sfruttamento. L’Asia invece resta inchiodata<br />

al precapitalismo. Come si spiega ciò? Come<br />

si spiega che nazioni europee come la Spagna,<br />

la Francia e l’Inghilterra diventano in pochi<br />

decenni ricche e potenti, mentre nazioni<br />

antiche come la Cina decadano dalla loro<br />

posizione dominante?<br />

A parte le diverse vie seguite, a parte le<br />

accidentalità presenti nello sviluppo di<br />

ciascuno e le differenze degli organismi<br />

politici, una tendenza è comune a tutti gli<br />

stati: la tendenza al rinnovamento delle<br />

strutture sociali, all’espansione dei mezzi<br />

produttivi, alla ricerca di nuovi modi di vita<br />

sociale, in una parola, la tendenza a superare<br />

il feudalesimo. Ma la dialettica storica<br />

permetterà solo ad un gruppo di Stati di<br />

percorrere fino in fondo il cammino<br />

intrapreso, e cioè a quegli Stati che<br />

riusciranno ad imprimere un ritmo mai visto<br />

all’accumulazione capitalistica primitiva, alla<br />

costruzione di grandi fortune mercantili e<br />

finanziarie che in seguito renderanno<br />

possibile la rivoluzione industriale. La grande<br />

partita tra Asia ed Europa si deciderà sui mari<br />

precisamente nell’epoca delle grandi scoperte<br />

geografiche, sulle rotte oceaniche che<br />

apriranno la strada al mercato mondiale<br />

moderno. In questa impresa l’Asia è assente,<br />

vi parteciparono, invece, i nuovi stati atlantici<br />

29<br />

dell’Europa, le neonate monarchie cristiane<br />

che sono emerse da una lotta vittoriosa e<br />

tendono irresistibilmente ad espandersi. La<br />

circumnavigazione del globo, negli anni 1519-<br />

1522, sanziona il primato ed il predominio<br />

mondiale dell’Occidente, poco importa se<br />

dalle mani degli iberici questo passerà agli<br />

olandesi ed agli inglesi. Cambieranno i<br />

dominatori, che la tortureranno e la<br />

spoglieranno spietatamente, ma non muterà<br />

mai più la sorte dall’Asia: scompariranno dai<br />

mari le sue flotte, si inaridiranno le sue<br />

campagne, si spopoleranno le sue<br />

meravigliose città. I suoi popoli cadranno<br />

nella galera infernale del colonialismo<br />

capitalista, il più feroce ed inumano cha sia<br />

mai esistito. Non per altro motivo si spiegano<br />

le cause del ripiegamento e la decadenza<br />

dell’Asia, e per essa della Cina. Da allora,<br />

l’imperialismo bianco è riuscito a dominare<br />

l’Asia dominando gli Oceani. Non a caso è<br />

accaduto che appena gli antichi padroni<br />

britannici, francesi ed olandesi ne furono<br />

scacciati, nel corso della seconda guerra<br />

mondiale le nazioni asiatiche siano sorte a<br />

nuova vita.<br />

• Dalla dominazione coloniale alla<br />

rivoluzione nazionale borghese<br />

È in Cina che il capitalismo europeo nel<br />

corso di tre secoli ha rivelato tragicamente la<br />

sua intrinseca natura sopraffattrice, ma la<br />

presenza degli europei agisce anche da<br />

dissolvente sulla struttura economica e,<br />

quindi, sulla sovrastruttura politica cinese. La<br />

compagnia delle Indie Orientali ed il<br />

contrabbando inglese danno impulso<br />

all’importazione dell’oppio, in un primo<br />

tempo limitata, in seguito aumentata in<br />

proporzioni sempre maggiori. Tale<br />

importazione assumerà un’importanza<br />

determinante agli effetti dei cambiamenti<br />

sociali e politici prodottisi a partire dal 1840<br />

circa. L’introduzione dell’oppio, attraverso la<br />

quale il capitalismo inglese intacca<br />

profondamente lo stato sociale del paese, la<br />

cui diffusione viene effettuata a mezzo di<br />

personale burocratico dello stato, accentua<br />

sempre di più la rarefazione dell’argento, in<br />

Cina corrente moneta di scambio. Tale<br />

rarefazione si riflette sensibilmente sullo<br />

stesso erario statale, è contro questo effetto<br />

ed alla conseguente rovina economica del<br />

paese, cosicché il governo imperiale reagisce<br />

scatenando le guerre dell’oppio. La Cina esce<br />

sconfitta da queste guerre che invece


favoriranno l’apertura al commercio<br />

dell’oppio di altri cinque porti e la<br />

penetrazione ancora più vasta delle potenze<br />

straniere. La decadenza economica della Cina<br />

in questo periodo è giunta ad una fase<br />

drammatica. L’importazione dei tessuti<br />

inglesi aveva provocato una crisi della<br />

produzione nazionale. La gestione della terra<br />

nel modo in cui veniva attuata dalle comunità<br />

aveva, da secoli , comportato l’esecuzione di<br />

una serie di bonifiche, di regolazioni di corsi<br />

fluviali, necessari alla produzione agraria. La<br />

fuga dell'argento dal paese, accentuata<br />

dall'importazione dell'oppio attraverso i<br />

mandarini divenuti compradores, aveva<br />

comportato l’arresto o diminuzione<br />

nell'intervento tecnico necessario al<br />

mantenimento in funzione delle opere di<br />

bonifica, etc.. Con disastrose conseguenze<br />

sull'agricoltura del paese, attraversato da<br />

frequenti carestie. Le prime tre guerre<br />

dell’oppio non saranno dunque che il preludio<br />

di un dramma nel quale Gran Bretagna e<br />

Francia prima, gli Stati Uniti e la Russia come<br />

profittatori non belligeranti dello sporco<br />

commercio più tardi, infine Germania e<br />

Giappone, si avventeranno sulla Cina,<br />

portandovi il ferro ed il fuoco. Ma creandovi<br />

anche i primi nuclei di classe operaia<br />

altamente concentrata nelle città litoranee,<br />

pur senza, comunque, riuscire a modificare in<br />

modo sostanziale i rapporti di produzione e di<br />

vita nelle campagne. L'ormai sistematica<br />

spoliazione del paese fa pullulare le rivolte<br />

antieuropee, che sorgono e si sviluppano nelle<br />

campagne, ultima linea di resistenza della<br />

società indigena all’offensiva capitalistica<br />

internazionale.<br />

Marx scrive in quegli anni, a proposito di<br />

quei fatti e delle prospettive che quegli<br />

avvenimenti innescavano sugli equilibri del<br />

capitalismo di allora : “ La<br />

sovrappopolazione in lento ma regolare<br />

progresso aveva già da tempo reso<br />

soffocanti, per la grande maggioranza di<br />

quella nazione, i rapporti sociali. Vennero gli<br />

inglesi e si aprirono con la forza il libero<br />

scambio con cinque porti cinesi. Migliaia di<br />

navi salparono dall’Inghilterra e<br />

dall’America verso la Cina, e questa in breve<br />

fu sommersa dai manufatti britannici ed<br />

americani. L’industria cinese, poggiante sul<br />

lavoro manuale, soccombette alla<br />

concorrenza della macchina, l’incrollabile<br />

Impero di Mezzo subì una profonda crisi<br />

30<br />

sociale. Le tasse non entravano più, lo stato<br />

giunse alla soglia del fallimento, la<br />

popolazione in massa precipitò nel<br />

pauperismo, esplose in violente rivolte,<br />

malmenò ed uccise numerosi mandarini e<br />

bonzi. Sul paese in sfacelo incombe ora lo<br />

spettro di una rivoluzione violenta. Ma non è<br />

il peggio.<br />

Dalla plebe in tumulto, qualcuno si<br />

levò a denunciare la miseria degli uni<br />

e la ricchezza degli altri e a chiedere<br />

una ridivisione della proprietà, anzi<br />

l’abolizione completa della proprietà<br />

privata. […] è pur sempre un fatto<br />

ameno, che in otto anni le balle di<br />

cotonerie della borghesia britannica<br />

abbiano portato l’impero più antico e<br />

solido del mondo alla vigilia di un<br />

sovvertimento sociale, i cui risultati<br />

avranno comunque, per la civiltà, una<br />

importanza immensa”. 39<br />

E' dall'accumulazione di lunghi decenni di<br />

pirateria imperialistica in combutta con la<br />

classe dirigente indigena che sprigionò nel<br />

1900 l'esplosione della rivolta xenofoba e<br />

popolare dei Boxers, della quale<br />

approfittarono le grandi potenze europee per<br />

trarre pretesto non solo per ristabilire<br />

sanguinosamente l'ordine e rinsaldare le basi<br />

vacillanti della monarchia, ma per divorare<br />

altre fette del territorio nazionale cinese. Si<br />

inizia un secondo o terzo round di assalto alla<br />

Cina in nome della «civiltà» e del<br />

«progresso». Alla fine del secolo 19° la Cina<br />

veniva a trovarsi avviluppata nei tentacoli del<br />

capitale mondiale, che aveva dato origine,<br />

specie nei grandi porti, ad uno strato di<br />

proletariato indigeno, mentre caratterizzava<br />

la borghesia cinese come quasi<br />

esclusivamente commerciale. In pari tempo il<br />

contatto con la civiltà europea aveva fatto<br />

nascere quella che potrebbe chiamarsi una<br />

«classe» politica di studenti, studiosi e<br />

uomini d'affari. Essa cominciò a fare avvertire<br />

il suo peso sulla struttura statale solo negli<br />

ultimi anni del 1800.<br />

E' l'occupazione straniera che installa le<br />

prime strutture industriali e dà l'avvio alla<br />

trasformazione dell'economia cinese. Infatti<br />

nell'Est e nel Nord, lungo le coste orientali<br />

dell'interminabile subcontinente, si<br />

39 Marx-Engels : India Cina Russia, “Grande Muraglia e<br />

cotonerie inglesi” , pg 37 Il Saggiatore


sviluppano le ferrovie ed i primi apparati<br />

industriali anche nazionali, sulla base dei<br />

quali la Cina odierna prende l'avvio per uno<br />

sviluppo economico di tipo capitalistico. Ma<br />

la differente condizione fra privilegio<br />

straniero e nuova borghesia cinese spinge<br />

questa ultima a richiedere un<br />

ammodernamento del regime che non<br />

rispondeva agli interessi dell’economia in<br />

espansione. Una serie di editti pur emessi,<br />

restarono sulla carta. Le nazioni europee<br />

continuavano ad ottenere concessioni e<br />

facilitazioni. Per avere un’idea di quali<br />

privilegi godessero le potenze imperialistiche<br />

in Cina, basti pensare che sulla base degli<br />

accordi statali, gli stranieri mantenevano il<br />

privilegio di sottostare alle leggi delle<br />

rispettive nazioni in tutte le transazioni<br />

commerciali e di altro genere. Non erano<br />

perciò soggetti alle leggi ed ai tribunali cinesi.<br />

Una società straniera poteva costituirsi<br />

secondo le leggi vigenti nel proprio stato di<br />

origine, essa poteva impiantare una fabbrica<br />

in uno dei qualsiasi dei settanta porti<br />

compresi nei trattati, impiegare lavoratori<br />

cinesi e lavorare in condizioni di favore<br />

rispetto alla stessa industria cinese. Fu<br />

intorno al 1898 che la Cina avvertì appieno il<br />

pericolo implicito nelle intromissioni degli<br />

interessi europei e nelle rivalità per le<br />

concessioni ferroviarie, minerarie ed è<br />

parimenti di questo periodo il contrasto tra la<br />

giovane borghesia nazionalista e la vecchia<br />

classe compradora, puramente conservatrice,<br />

legata a doppio filo con i vari imperialismi<br />

presenti sul territorio cinese.<br />

Si andava formando una nuova classe di<br />

operai urbani, ancora giovani e grezzi, che<br />

non conosceva le seduzioni del riformismo:<br />

era stata proiettata nel girone della grande<br />

industria meccanizzata senza passare<br />

attraverso gli anelli successivi della<br />

cooperazione semplice e della manifattura, e<br />

aveva di fronte a sè la potenza anonima del<br />

capitale nella sua cruda realtà, non celata dai<br />

veli della filantropia progressista e della<br />

retorica liberale; l’estrema mobilità a cui era<br />

sottoposta non la vincolava ancora<br />

all’azienda; l’assenza di ogni qualificazione<br />

non opponeva nemmeno un esile strato di<br />

aristocrazia operaia all’esercito enorme della<br />

manovalanza. Privo di “cultura”, il<br />

proletariato cinese aveva percorso<br />

rapidamente- per uno di quei fenomeni di<br />

accelerazione che la storia ripete a scadenze<br />

31<br />

regolari- tutti i gradini della scuola della<br />

lotta di classe, la sede reale della sua<br />

“cultura”. Rimanevano uno sterminato<br />

strato di contadini schiacciati dal peso dei<br />

canoni d’affitto, dalle imposte, dai debiti<br />

contratti a tassi usurari per l’acquisto o anche<br />

il noleggio dei più rudimentali mezzi di<br />

lavorazione del suolo, dalle prestazioni<br />

personali di vario genere derivanti dal passato<br />

feudale. Nello stesso tempo si accumulavano<br />

e si elevavano le fortune della classe borghese,<br />

su cui primeggiava il potere delle cosiddette<br />

«quattro famiglie»: dei Soong, dei Kung, dei<br />

Chen e dei Chiang, padroni della Cina con la<br />

protezione delle potenze occidentali ed in<br />

particolare degli USA. E' proprio sotto la<br />

spinta delle «quattro famiglie» che si compie<br />

nel 1911 il primo episodio della rivoluzione<br />

borghese sotto la guida di Sun Yat-Sen,<br />

tentativo della grossa borghesia cinese di<br />

liberarsi dal paternalismo oppressivo e<br />

costoso del capitalismo bianco e giapponese.<br />

Questa rivoluzione aveva come premesse<br />

essenziali i movimenti rivoluzionari dei Taiping<br />

e dei Boxers. Ma se a questi movimenti,<br />

profondamente popolari, mancava non solo il<br />

carattere unitario nazionale che solo la<br />

grande borghesia può infondere, ma anche il<br />

sottofondo di interessi omogenei precostituiti,<br />

alla rivoluzione del 1911 mancava, al<br />

contrario, un movimento veramente<br />

popolare. Nelle classiche rivoluzioni borghesi<br />

dell’occidente la classe capitalistica nascente<br />

aveva saputo prendere il potere e consolidarlo<br />

distruggendo i rapporti feudali delle<br />

campagne. In Cina questa stessa classe era<br />

troppo intimamente legata a quei rapporti per<br />

sollevare i contadini. La rivolta non segnò<br />

l’avvento di nessun gruppo e di nessuna<br />

classe capaci di dirigere l’opera di<br />

trasformazione della Cina, di risolvere la crisi<br />

agraria, di resistere alle ingerenze ed alle<br />

pretese degli stranieri. Il potere passa in<br />

mano ai signori della guerra; il partito di Sun-<br />

Yat-Sen, dato che non c’era stato nessun moto<br />

autenticamente popolare dal quale potesse<br />

attingere forza e vigore, si perdeva nella<br />

ricerca di protezioni fra i vari generali. Il<br />

periodo della guerra imperialista del 1914-18<br />

porta alla Cina un po’ di ossigeno, si allenta la<br />

concorrenza straniera, cresce l’esportazione,<br />

nascono nuove industrie locali. Dopo la fine<br />

della guerra, le speranze riposte nelle<br />

promesse wilsoniane di autodecisione e<br />

giustizia sociale per tutti i popoli, andarono<br />

deluse. Nel 1919 la gioventù studentesca


esplose in grandiose manifestazioni contro il<br />

governo filo giapponese di Pechino e gli<br />

operai scioperarono in appoggio alla richiesta<br />

di cambiamento di regime. Alla nascita delle<br />

nuove organizzazioni operaie contribuirono<br />

in maggior misura gli operai che ritornavano<br />

dall’emigrazione nei paesi europei ed<br />

americani. Intanto sull’onda di questi<br />

movimenti, anche il partito anemico di Sun-<br />

Yat-Sen prese ossigeno. Era un vago e timido<br />

programma il suo, poiché respingeva sia<br />

l’idea della lotta di classe, che quella di una<br />

partecipazione popolare alla vita politica. La<br />

sua speranza risiedeva in una pacifica<br />

riorganizzazione della società, dopo che il suo<br />

partito, con mezzi puramente militari, si fosse<br />

assicurato il potere. Tutto ciò è dimostrato<br />

dallo stesso “Piano per lo sviluppo della<br />

Cina”, che era il programma politico di Sun<br />

Yat-Sen, in cui si vede come la grande<br />

borghesia cinese si faccia ancora molte<br />

illusioni, pretendono di conquistare la sua<br />

indipendenza nazionale con «l'aiuto<br />

dell'imperialismo». Nel 1923 Sun-Yat-Sen<br />

lancia i suoi tre punti politici fondamentali:<br />

; postula l’amicizia con l’Urss<br />

e l’alleanza coi comunisti, che si realizzerà nel<br />

1925 nel primo governo nazionale con i<br />

rappresentanti del Kuomintang. Nel 1927<br />

questa alleanza si spezzerà in maniera<br />

sanguinosa con gli eccidi proletari di Canton e<br />

Shangai. Mao, più tardi, riprenderà pari pari i<br />

principi di Sun Yat-Sen e, con alterne fortune<br />

nell'alleanza con la grossa borghesia<br />

commerciale, rappresentata da Chiang<br />

Kaishek, porterà a compimento la rivoluzione<br />

democratico-nazionale. Mao intuisce che<br />

prima di tutto bisogna creare uno Stato<br />

unitario, vale a dire uno Stato in cui tutte le<br />

forze sociali siano subordinate al<br />

rafforzamento dello Stato stesso. Per questo il<br />

PCC (partito comunista cinese) abbandona la<br />

strada maestra della rivoluzione proletaria,<br />

consentendo alla grassa borghesia di<br />

stroncarne i sussulti infondendo fiducia alla<br />

piccola borghesia ed al contadiname. Anziché<br />

quindi parlare di rivoluzione democratica è<br />

più giusto parlare di controrivoluzione<br />

democratica in Cina, se si considera che senza<br />

l'abbattimento violento delle Comuni operaie<br />

di Canton e di Shangai il capitalismo non<br />

avrebbe potuto trionfare. I «comunisti» sia<br />

russi sia cinesi, abbandonato il corso storico<br />

della rivoluzione proletaria, si sono issati sulle<br />

32<br />

spalle della piccola borghesia e dei contadini<br />

con l'aiuto del capitalismo internazionale.<br />

Quando, al principio del secolo,<br />

l'imperialismo mondiale ebbe<br />

irrimediabilmente spezzato con la forza i<br />

quadri economici e politici dell'antica Cina<br />

accelerando l'espropriazione delle comunità<br />

agricole e screditando il potere centrale, due<br />

compiti si imponevano alla rivoluzione<br />

nazionale borghese: assicurare l'indipendenza<br />

nazionale contro gli Stati capitalistici che si<br />

erano divisi il paese e realizzare la riforma<br />

agraria, conditio sine qua non di ogni<br />

sviluppo industriale. Il problema era di sapere<br />

chi, borghesia o proletariato, si sarebbe<br />

assunto questi compiti assicurandosi in tal<br />

modo un vantaggio decisivo sul nemico di<br />

classe. Si può dire che il proletariato cinese si<br />

costituì,se non prima della borghesia<br />

nazionale, certo in una relativa indipendenza<br />

da essa. Concentrato quasi esclusivamente<br />

nelle concessioni straniere, esso aveva già in<br />

mano le sorti della lotta anti-imperialista;<br />

mentre la borghesia, nata in ritardo sulla base<br />

di uno sfruttamento semicoloniale, tendeva al<br />

compromesso con l'imperialismo, sotto<br />

l'incubo, ossessionante dalla fine della prima<br />

guerra mondiale, di un assalto proletario.<br />

Come nella Russia zarista e come nella<br />

Germania del 1848, spettava quindi al<br />

proletariato organizzato in partito autonomo<br />

di classe prendere la testa della rivoluzione<br />

democratica e condurla a termine fino alla<br />

proclamazione della sua dittatura. Questa<br />

prospettiva deve alla controrivoluzione<br />

staliniana la causa d'essere stata liquidata sul<br />

suo terreno d'origine. Lo stalinismo legò il<br />

partito del proletariato al partito della<br />

borghesia e poi lo trasformò, dal 1927 e con<br />

Mao, in un partito contadino.<br />

La Cina di Mao e compagni ha offerto in<br />

esempio ai popoli coloniali il corso doloroso<br />

di 40 anni di compromessi con la borghesia<br />

nazionale e con l'imperialismo mondiale, di<br />

liquidazione della tattica e dei principi<br />

comunisti nella questione coloniale e di<br />

abbandono della linea della rivoluzione<br />

doppia a favore di una «rivoluzione<br />

democratica» che in Cina, per dirla con<br />

Trotzki, non fu una rivoluzione borghese, ma<br />

una vera controrivoluzione. Così prima come<br />

dopo la presa del potere, il partito di Mao non<br />

ha avuto per i paesi arretrati altro programma<br />

che di far assumere al proletariato i compiti<br />

politici ed economici della borghesia


storicamente condannata come classe<br />

rivoluzionaria.<br />

Nell'irrimediabile degenerazione dei<br />

partiti nati dalla III <strong>Internazionale</strong>, il partito<br />

cinese ebbe la sua parte nel seppellire fra i<br />

primi la teoria marxista della rivoluzione<br />

doppia e a predicare la rivoluzione per<br />

«tappe». Ciò che rende doppia una<br />

rivoluzione non consiste nel fatto che essa sia<br />

prima borghese, poi socialista, ma appunto<br />

che permetta di saltare le «tappe » riformiste<br />

della democrazia borghese. La rivoluzione di<br />

Ottobre, come rivoluzione politica, fu<br />

socialista tout court e tutto il suo corso<br />

storico rappresenta la vittoria della linea<br />

proletaria su quella della democrazia<br />

borghese. L’estremismo cinese, se non ha<br />

nulla in comune con la linea del proletariato<br />

nella rivoluzione anticoloniale, non si<br />

identifica neppure con un radicalismo<br />

borghese conseguente e ciò per la semplice<br />

ragione che, in una rivoluzione doppia, ogni<br />

via diversa dalla dittatura proletaria<br />

compromette le sorti della rivoluzione<br />

borghese: se il proletariato interviene in<br />

prima linea nella rivoluzione democraticoborghese<br />

e nazionale, lo fa avendo come vera<br />

bussola quella “garanzia relativa” contro una<br />

restaurazione del passato che è la rivoluzione<br />

stessa portata, come può solo portarla il<br />

proletariato, fino al suo limite estremo (la<br />

repubblica, le otto ore, la nazionalizzazione<br />

della terra) e quella “garanzia assoluta” che è<br />

la rivoluzione socialista mondiale, quale<br />

condizione essenziale per scavalcare i confini<br />

borghesi. Pronto a picchiare sul nemico<br />

precapitalistico o imperialista in unione alla<br />

borghesia nazionale, fermamente convinto a<br />

“marciare separato” da essa, il proletariato<br />

può tradurre in atto questa decisione<br />

soltanto se fin dall’inizio denunzia le<br />

inevitabili esitazioni ed i tradimenti dei<br />

”compagni di strada”, si batte e si<br />

organizza per divenire classe egemone,<br />

si organizza e si arma per mantenere<br />

questa posizione, trascina dietro di sé il<br />

proprio aiutante contadino, levando alta la<br />

bandiera della rivoluzione agraria. Così e solo<br />

così imprime il carattere classista ad una<br />

rivoluzione che tutti gli “altri” vorrebbero<br />

confinata in un quadro interclassista. E’<br />

questa una strada di attacco, non di difesa; di<br />

avanguardia non di codismo, di audacia non<br />

di pavidità o timidezza, di autonomia non di<br />

dipendenza; di rivoluzione in permanenza,<br />

33<br />

non di rivoluzione rinviata all’ultima di una<br />

serie di “tappe”. Questo non è avvenuto in<br />

Cina, dove il maoismo è servito prima ad<br />

ingannare il proletariato sulla natura<br />

rivoluzionaria della borghesia nazionale, poi<br />

ad ingannarlo sul socialismo cinese e la<br />

politica del governo popolare. In entrambe i<br />

casi si vede che Stalin è il padre di Mao, e che<br />

il secondo ha avuto la meglio su Chiang non<br />

perché sia stato il migliore campione della<br />

democrazia borghese, ma perché si rendeva<br />

necessario schiacciare il proletariato e<br />

inquadrare saldamente i contadini poveri per<br />

impedire che la rivoluzione non uscisse dal<br />

binario democratico. Opera a cui Mao ha dato<br />

perfetta riuscita. Quanto sia stato lungo e<br />

tormentato questo processo, e quanto la<br />

“rivoluzione borghese” rechi le stimmate della<br />

controrivoluzione subita dal proletariato si<br />

deduce da tutta la storia della Repubblica<br />

Popolare Cinese, dalla sua nascita ai giorni<br />

nostri, “nella prudenza che induce di continuo<br />

i suoi dirigenti a tornare indietro, a frenare il<br />

moto delle masse per assicurarsene il<br />

dominio, a puntellare il vecchio edificio<br />

invece di demolirlo, a cambiare mille volte<br />

programma, tattica, alleati per giungere a<br />

consolidare un potere borghese, malgrado le<br />

reazioni dell’imperialismo mondiale da una<br />

parte e milioni di proletari e semi proletari<br />

della città e della campagna dall’altro.” 40 La<br />

nuova repubblica, autodefinitasi “popolare”,<br />

anziché dittatura apertamente proletaria, ha<br />

costruito il capitalismo nazionale sulla base di<br />

un controllo soltanto parziale dello stato<br />

sull’industria e un controllo ancora più<br />

elastico sull’agricoltura.<br />

• Epilogo della rivoluzione<br />

maoista (o democratico borghese).<br />

Quale è stato il corso oggettivo della<br />

rivoluzione borghese in Cina? Il punto di<br />

partenza è dato dallo stato di arretratezza e<br />

gracilità del suo sviluppo industriale, dalla<br />

primitività dei suoi mezzi di comunicazione,<br />

dal carattere eminentemente agricolo della<br />

sua struttura economica, dall'immaturità<br />

sociale dei suoi rapporti di produzione<br />

capitalistici.<br />

In un ambiente di tale arretratezza<br />

l'imperialismo si installava nell'immenso<br />

territorio, accelerando la decomposizione dei<br />

40 Programma <strong>Comunista</strong> nn 22/1962


vecchi rapporti di produzione e, con essi,<br />

della compagine statale, prima sotto l'impero,<br />

poi sotto la repubblica. Il fenomeno inizia alla<br />

fine del secolo scorso ed è tutt'altro che<br />

superato dall'ascesa con Mao Tse-tung dei<br />

pretesi «comunisti» nel 1949; ma presenta<br />

caratteri sostanzialmente uniformi. La<br />

debolezza dei mezzi di comunicazione e delle<br />

risorse industriali e finanziarie, come la<br />

penetrazione accelerata dei diversi<br />

imperialismi concorrenti, accompagnate dalle<br />

guerre per la divisione della Cina, hanno<br />

imposto alle diverse zone del paese di cercare<br />

il capitale, le merci, gli sbocchi secondo la<br />

loro collocazione geografica, sfuggendo così al<br />

controllo dello Stato centrale. Ecco perché la<br />

lotta per l'unità nazionale, compito essenziale<br />

della rivoluzione borghese in Cina e sua<br />

premessa ovunque, doveva necessariamente<br />

svilupparsi sia contro l'imperialismo e le forze<br />

borghesi centrifughe interne ad esso legate,<br />

sia contro i signori «feudali» per abbattere i<br />

quali combatterono le masse contadine.<br />

La trama di uno Stato unitario<br />

centralizzato poteva essere tessuta solo grazie<br />

ad uno sviluppo delle forze produttive,<br />

soprattutto nelle campagne, che permettesse<br />

di liberare una manodopera per l'industria<br />

nascente e il sostentamento del proletariato<br />

urbano. Questa logica dello schema di<br />

accumulazione degli anni ’50, non è stata<br />

tuttavia portata alle sue estreme conseguenze<br />

che avrebbero implicato trasferimenti<br />

massicci di manodopera dalle attività agricole<br />

a industria e servizi, cioè dalle campagne alle<br />

città. Un esodo rurale massiccio avrebbe<br />

richiesto spese di infrastrutture ed una<br />

creazione di occupazione che erano fuori dalla<br />

portata del paese; per cui un livello seppur<br />

significativo di sottoccupazione nelle<br />

campagne rappresentava un male minore<br />

rispetto a milioni di disoccupati nelle città.<br />

L’organizzazione maoista della economia<br />

rurale rappresentava un modo di affrontare<br />

contemporaneamente la presenza di eccesso<br />

di forza lavoro e limitate risorse finanziarie.<br />

Se diamo una rapida occhiata al primo piano<br />

quinquennale cinese del 1953-57, si possono<br />

eseguire rilievi interessanti:gli operai<br />

industriali aumentano da 2,75 mil. a 6,95 mil,<br />

con una percentuale di accrescimento del<br />

154%. La percentuale della produzione di<br />

acciaio passa da 1,8 mil di t. a 5,2 mil. di t.,<br />

con una percentuale di incremento del 188%,<br />

le stesse risultanze si hanno per ghisa,<br />

34<br />

petrolio e macchine utensili. Si assiste alla<br />

nascita di città nuove che sorgono per incanto<br />

ed all’allargamento dei vecchi centri che si<br />

modernizzano. Nascono nuove industrie e<br />

stabilimenti, cantieri ed officine che si<br />

moltiplicano di giorno in giorno. Si calcola<br />

che ogni giorno siano sorte fino ad oggi tre<br />

unità produttive moderne. Ma più<br />

impressionante è che questo sviluppo sia<br />

sproporzionato ai mezzi tecnici impiegati,<br />

assai scarsi ed imperfetti. L’aliquota del<br />

prodotto netto destinata alla riproduzione<br />

allargata dal 18,2% del 1952 è salita al 22,5%<br />

e la quota parte al consumo è scesa dall’81,8%<br />

al 77,5% pur essendo aumentati i consumi<br />

individuali da 100 a 113 per i contadini e da<br />

100 a 119 per gli operai ed impiegati.<br />

E’ vero che gli ultimi paesi che<br />

pervengono al capitalismo si trovano<br />

avvantaggiati dalla superiore tecnica<br />

sviluppata dai Paesi altamente industrializzati<br />

e quindi sono obiettivamente in grado di<br />

poter sviluppare le forze produttive con<br />

maggiore celerità. Ma è altresì vero che,<br />

appena varcate le soglie della civiltà<br />

industriale, debbono fare i conti con gli assalti<br />

iugulatori dell'imperialismo capitalistico e<br />

bruciare così le giovani forze produttive<br />

sull'altare di un industrialismo<br />

superaccelerato, nel cui crogiuolo convogliano<br />

il 90% del prodotto netto, del plusprodotto; e<br />

debbono necessariamente sviluppare<br />

un'economia monca, che va sulla sola<br />

stampella dell'industria. Nel 1939 Mao<br />

dichiarava (“sul governo di coalizione”):<br />

. All’8°<br />

congresso del pcc, il presidente Liu-Shao-Chi,<br />

ribadiva:<br />

. Nel<br />

1958, infine, la parola d’ordine fu: ”TUTTO<br />

PER L’ACCIAIO”. Questo sforzo gigantesco,<br />

anche se ingrossato dalla propaganda, ha<br />

avuto il solo scopo di creare uno stato<br />

nazionale forte, indipendente ed autonomo,<br />

coperto dalla teoria staliniana del “socialismo<br />

in un paese solo”, con tutta la carica<br />

reazionaria ed illusoria in essa contenuta.


“Socialismo in paese solo” significa che ogni<br />

stato deve arrangiarsi con le sue sole forze in<br />

rapporto al mercato mondiale, facendo i conti<br />

con le altre potenze capitalistiche sempre<br />

pronte ad aggredire qualunque paese non<br />

tanto con la guerra, che è l'espressione<br />

saltuaria della potenza economica, quanto<br />

con l'invasione di merci a basso prezzo, di<br />

capitali a condizioni favorevoli, che<br />

saccheggiano l'economia nazionale,<br />

impediscono lo sviluppo delle forze<br />

produttive, forzano lo sfruttamento delle<br />

riserve naturali, accelerano l'anarchia della<br />

produzione. I < mille forni> e i altro non significarono che la<br />

utilizzazione materiale delle uniche forze<br />

produttive in abbondanza ed a buon prezzo,<br />

vale a dire i 670 milioni di cinesi di allora. Le<br />

comuni cinesi costituirono la forma di una<br />

divisione del lavoro ancora indifferenziata,<br />

nel tentativo di non disperdere questa<br />

immense energie.<br />

La Cina, che come tutti i paesi coloniali o<br />

semi coloniali ha dovuto spogliarsi delle<br />

proprie risorse naturali, minerarie e agricole,<br />

per farsi inondare d'oppio o di cotonate nel<br />

corso dell’800, una volta entrata nel girone<br />

d'inferno dell'economia capitalistica ha sì in<br />

un primo tempo finanziato le proprie<br />

importazioni di impianti, attrezzature e<br />

macchine per l'industria con l'esportazione di<br />

materie prime e di derrate, ma<br />

successivamente ha finanziato le proprie<br />

importazioni con esportazione di manufatti,<br />

saldando attivamente la propria bilancia<br />

commerciale. Dialetticamente si è messa in<br />

moto ciò che Marx diceva nel 1853 durante la<br />

guerra dell’oppio, “Possiamo tuttavia essere<br />

certi che, qualunque asprezza raggiunga il<br />

contrasto fra le grandi potenze europee,<br />

qualunque moto possa tentare una<br />

minoranza romantica in questo o quel paese,<br />

l’ira dei principi e la furia dei popoli saranno<br />

parimenti snervati dal soffio della<br />

prosperità. Non è probabile che guerre<br />

rivoluzioni mettano a soqquadro l’Europa se<br />

non per riflesso di una crisi commerciale e<br />

industriale generalizzata, di cui, come al<br />

solito, deve dare il segno l’Inghilterra, la<br />

rappresentante europea sui mercati del<br />

mondo.[…]è inevitabile che giunga l’ora in<br />

cui l’allargamento dei mercati non potrà<br />

tenere il passo con lo sviluppo delle<br />

manifatture inglesi, e questo squilibrio<br />

produrrà una nuova crisi con la stessa<br />

35<br />

necessità che l’ha prodotta in anni<br />

precedenti. Se, per giunta, uno dei mercati<br />

più vasti si restringe, la crisi non potrà che<br />

risultarne accelerata. Ora come stanno le<br />

cose oggidì, la rivoluzione cinese avrà sulla<br />

gran Bretagna appunto questo effetto. [….]<br />

In queste circostanze, avendo l’industria<br />

inglese percorso la maggior parte del ciclo<br />

commerciale, si può tranquillamente<br />

prevedere che la rivoluzione in Cina getterà<br />

una scintilla nella polveriera sovraccarica<br />

del sistema economico vigente e provocherà<br />

l’esplosione della crisi generale che da tempo<br />

si prepara e che, debordando<br />

dall’Inghilterra, sarà seguita a breve<br />

distanza da rivoluzioni politiche in Europa.<br />

Sarebbe invero uno spettacolo curioso quello<br />

di una Cina che esporta il disordine<br />

nel mondo occidentale nell’atto stesso in<br />

cui le potenze occidentali si adoperano, con<br />

navi da guerra britanniche , francesi ed<br />

americane, a ristabilire l’ a<br />

Shangai, a Nanchino e alle foci del Gran<br />

Canale”. 41 e che Engels ribadirà nel 1894: “ E’<br />

di nuovo una meravigliosa ironia della<br />

storia: insomma non resta più alla<br />

produzione capitalistica che impadronirsi<br />

della Cina; ora, realizzando finalmente<br />

questa conquista, essa- da se stessa- si rende<br />

impossibile la vita nella sua patria di<br />

origine” . 42 Quanto questa prospettiva si sia<br />

dimostrata oggi veritiera, lo dimostra il<br />

terrore, il panico dei capitalisti occidentali di<br />

fronte al “pericolo giallo” ed agli scompensi e<br />

squilibri che sta portando l’integrazione della<br />

Cina nel mercato mondiale. Al proletariato<br />

cinese, sconfitto sul campo di battaglia nel<br />

suo tentativo eversivo rivoluzionario, saranno<br />

fatti pagare nei decenni a seguire i<br />

massacranti costi della selvaggia<br />

industrializzazione capitalistica del paese.<br />

(Continua)<br />

41 Marx, India Cina e Russia ed.Saggiatore “Rivoluzione<br />

in Cina e in Europa”1853<br />

42 Engels : Lettera a Kautsky del 23-9-1894.


Il significato del nostro astensionismo<br />

Di fronte ai problemi determinati<br />

dall’approfondirsi inesorabile della crisi<br />

economica, che accresce ogni giorno di più la<br />

sua pressione sul proletariato togliendole le<br />

già esigue riserve con l’aumento dei<br />

licenziamenti, le riduzioni salariali, i tagli alla<br />

sanità e alle pensioni, il regime borghese<br />

ripropone una nuova tornata elettorale dando<br />

la parola al “popolo sovrano” ma cercando in<br />

realtà ancora una volta di guadagnare tempo<br />

e di distogliere l’attenzione delle masse dai<br />

reali problemi che pesano sui lavoratori.<br />

Per capire come queste prossime elezioni<br />

politiche in Italia siano soltanto una messa in<br />

scena senza alcun reale significato politico, è<br />

sufficiente aprire un solo istante occhi e<br />

orecchi agli slogan propagandistici dei vari<br />

concorrenti alla lotteria parlamentare.<br />

Da destra a sinistra le stesse promesse:<br />

cambiamento, ripresa economica, riforme,<br />

sicurezza, ordine, chi più ne ha più ne metta.<br />

D’altronde la pratica quotidiana ci<br />

insegna che i continui cambiamenti di<br />

governo, di coalizioni, di schieramenti<br />

politici, contrastano profondamente con la<br />

continuità del potere statale che resta sempre<br />

ben ancorato a difesa degli interessi della<br />

classe borghese, dimostrando di viaggiare<br />

così su ben altri binari di quelli elettorali.<br />

La cosiddetta “pubblica opinione” sta<br />

manifestando il suo malcontento e la sua<br />

sfiducia nel sistema dei partiti e di fronte al<br />

crescente potere delle varie bande di<br />

politicanti, che avrebbero trasformato il<br />

parlamento nel terreno di scontro dei loro<br />

privati interessi personali e di bottega. Il<br />

disagio dell’italico elettorato è dunque<br />

palpabile.<br />

Ma la nostra indicazione ai proletari è<br />

quella di superare questo disagio e questo<br />

malcontento, astenendosi dal partecipare alla<br />

truffa elettorale, rifuggendo dal mito dell’urna<br />

e della scheda, restando fuori dal “confronto<br />

civile e democratico” in questo senso<br />

intendiamo ribadire, come facevamo già nel<br />

1953 con l’articolo qui riproposto che tutta<br />

questa liturgia elettoralesca è completamente<br />

estranea alla classe operaia, che mai il<br />

proletariato potrà impadronirsi del potere<br />

politico con l’arma del voto, che la democrazia<br />

è il sistema di governo più congeniale alla<br />

borghesia per l’esercizio della sua dittatura di<br />

36<br />

classe, che le elezioni sono di per sé una truffa<br />

proprio in quanto pretendono di dare parità<br />

di peso ad ogni voto personale. In tempi ben<br />

diversi, quando anche l’apparenza di una<br />

matrice ideologica era propugnata dai partiti<br />

politici presenti a quel tempo, per cui si<br />

poteva pensare ad una reale contrapposizione<br />

delle forze in lizza, questo scrivevamo nei<br />

nostri articoli a proposito delle elezioni del<br />

1948: “Non le conte schedaiole determinano<br />

le situazioni, ma i fattori economici che si<br />

concretano in posizioni di forza, in controlli<br />

inesorabili sulla produzione e il consumo, in<br />

polizie organizzate e stipendiate, in flotte<br />

incrocianti nel mare di lor signori. Eletto<br />

chicchessia al governo della repubblica, non<br />

avrebbe altra scelta che rinunziare, o offrirsi<br />

in servigio all’ingranamento di forze<br />

capitalistiche mondiali che maneggia lo stato<br />

vassallo italiano. [….] Il meccanismo<br />

elettorale è oggi caduto nel campo<br />

inesorabile del conformismo e della<br />

soggezione delle masse alle influenze dei<br />

centri ad altissimo potenziale, così come i<br />

granelli di limatura di ferro si adagiano<br />

docili secondo le linee di forza del campo<br />

magnetico. L’elettore non è legato ad una<br />

confessione ideologica né ad una<br />

organizzazione di partito, ma alla<br />

suggestione del potere, e nella cabina non<br />

risolve certo i grandi problemi della storia e<br />

della scienza sociale, ma novantanove volte<br />

su cento il solo che è alla sua portata:chi<br />

vincerà? […] Questo arduo problema di<br />

indovinare chi è il più forte lo affronta il<br />

candidato rispetto al governo, il governante<br />

rispetto al campo internazionale.” 43<br />

Ciò era tanto reale ieri quanto lo è oggi<br />

nel completo decadimento e nella completa<br />

inconsistenza sia dei politici sia dei governi<br />

di fronte ai processi economici mondiali,<br />

quando proprio nei nostri giorni è ancora più<br />

evidente la farsa del meccanismo elettorale.<br />

Infine, è per noi fondamentale ribadire<br />

che la preparazione elettorale nega la<br />

preparazione rivoluzionaria che è invece<br />

l’unica strada che il proletariato dovrà<br />

percorrere per l’abbattimento dello Stato<br />

borghese e dei suoi istituti parlamentari e<br />

costituzionali.<br />

43 “Dopo la garibaldata.” Prometeo n°10 del giugno-<br />

luglio 1948


Il proletariato rivoluzionario non voterà per nessuno<br />

Decidere, una volta ogni tanti anni,<br />

quale membro della classe dominante andrà<br />

ad opprimere e schiacciare il popolo in<br />

Parlamento, ecco la vera essenza del<br />

parlamentarismo borghese non solo nelle<br />

monarchie costituzionali ma nelle<br />

repubbliche più democratiche. (Lenin)<br />

Dalla formazione dei Partiti Comunisti<br />

attorno al programma della III<br />

<strong>Internazionale</strong>, nel 1920-21 – e, prima<br />

ancora, dal programma e dalle posizioni di<br />

battaglia dei gruppi rivoluzionari marxisti –<br />

fu inseparabile in tutto il mondo la denuncia<br />

radicale del parlamentarismo<br />

socialdemocratico; la riaffermazione, contro<br />

le illusioni elettorali, legalitarie e gradualiste,<br />

dell’arma della violenza di classe contro la<br />

dittatura violenta del capitale.<br />

Ai proletari che ancora riescono ad<br />

orientarsi in una situazione di accumulate<br />

sconfitte e di controrivoluzione spiegata su<br />

tutti fronti del capitalismo internazionale e<br />

forte di tutte le armi di corruzione politica e di<br />

inquinamento ideologico, questi otto anni di<br />

regime democratico e parlamentare appaiono<br />

come la più schiacciante conferma che la via<br />

della conquista del potere non passa né per le<br />

elezioni né per il parlamento, ma fuori e<br />

contro di essi. Tutto è stato parlamentare,<br />

legalitario, elettoralistico, in questo<br />

dopoguerra : tutto il potere<br />

economico e politico è rimasto, più saldo che<br />

al crollo dei regimi fascisti, nelle mani della<br />

borghesia dei partiti rivoluzionari marxisti<br />

era (e rimane) il riconoscimento imperialista.<br />

Ma altrettanto inseparabile dalla<br />

posizione antiparlamentare che il metodo<br />

elettorale, parlamentare, democratico, non<br />

soltanto non è un’arma proletaria di<br />

conquista del potere, ma è una specifica arma<br />

di difesa del capitalismo; un’arma alla quale<br />

esso ricorre per inquinare la coscienza di<br />

classe dei proletari, per cullarli nella illusione<br />

di un pacifico trapasso al socialismo, e per<br />

ricondurre la classe operaia schifata o ribelle<br />

nell’alveo della legalità e della rinuncia<br />

all’aperto scontro fra le classi. In otto anni di<br />

gragnuola elettorale, di tornei schedaioli sul<br />

piano comunale e nazionale, regionale e,<br />

magari, europeo, la classe dominante ha, di<br />

37<br />

volta in volta, sviato il fermento e la ribellione<br />

dei dominati procedendo al potenziamento<br />

delle sue forze repressive e dello Stato, al<br />

rafforzamento del dispotismo aziendale, al<br />

riarmo in vista di nuovi scontri imperialisti.<br />

Non solo il parlamento e tutta<br />

l’orchestrazione propagandistica che gli fa<br />

corona non servono agli interessi dei<br />

proletari: servono, contro i proletari, alla<br />

conservazione del regime dello sfruttamento e<br />

della guerra.<br />

Che i partiti di tutti i colori lanciati alla<br />

questua dei voti e sollecitanti l’appoggio dei<br />

proletari con una propaganda che tutto<br />

mobilita, dagli spaghetti e dalla bistecca fino<br />

alla paura della dannazione eterna o al<br />

preannuncio di un qualsiasi ,<br />

che tutti i partiti aspiranti al seggio di<br />

Montecitorio e di Palazzo Madama<br />

ipocritamente presentino le proprie incruente<br />

battaglie oratorie come un torneo da cui<br />

dipende l’avvenire della classe operaia, è<br />

dunque insieme l’espressione e la conferma<br />

della loro natura di pattuglie politiche della<br />

conservazione borghese. Sono i partiti della<br />

democrazia, uniti quindi nel combattere la<br />

dittatura proletaria; della riforma, concordi<br />

quindi nell’opporsi alla rivoluzione<br />

comunista; della legalità, schierati quindi in<br />

una comune negazione della violenza di classe<br />

proletaria contro la violenza della<br />

dominazione del capitale; del salvataggio<br />

dell’industria, solidali quindi nella difesa<br />

della sorgente del profitto; e, belanti in<br />

commovente accordo alla pace (una pace da<br />

ladroni, la pace della fra Stati capitalisti ed un<br />

che, se tale fosse, non<br />

potrebbe mai convivere con essi), agiscono in<br />

realtà come truppe d’assalto politiche degli<br />

imperialismi di occidente e di oriente.<br />

Elezionismo e parlamentarismo sono la<br />

loro arma perché sono l’arma della<br />

controrivoluzione trionfante. Né cambia nulla<br />

a questa realtà il fatto che lo stalinismo,<br />

spudoratamente autoproclamantesi difensore<br />

degli interessi operai, sappia, quando occorre,<br />

disfarsi della veste parlamentare e<br />

democratica per ricorrere alla violenza del<br />

colpo di Stato o dell’insurrezione partigiana;<br />

giacché questa violenza – alla quale del resto


nessun partito parlamentare borghese ha mai<br />

esitato a ricorrere di fronte alla marea<br />

montante della rivoluzione comunista – è<br />

volta non ad abbattere ma a conservare o<br />

potenziare il regime della produzione<br />

mercantile, del salario e del profitto.<br />

Il proletariato rivoluzionario denuncia la<br />

spudorata menzogna della consultazione<br />

elettorale: non ha voci da dare agli<br />

amministratori della società borghese, ai<br />

candidati alla sua dominazione.<br />

Né, in questa paurosa fase di<br />

smarrimento ideologico, i rivoluzionari<br />

porteranno acqua al mulino della confusione<br />

politica, dell’inquinamento ideologico e<br />

dell’oscuramento della via maestra della<br />

conquista del potere, presentando a loro<br />

volta, sia pure col solo intento di svolgere<br />

propaganda antiparlamentare ed<br />

antidemocratica, una propria lista. L’infernale<br />

strumento dei saturnali schedaioli e della<br />

tribuna elettorale non si piega ai fini della<br />

contropropaganda rivoluzionaria: può<br />

soltanto piegare questa contropropaganda ai<br />

propri fini. La peste dell’opportunismo ha il<br />

suo focolaio e il suo veicolo nel meccanismo<br />

elettorale e parlamentare; più che mai, la<br />

demarcazione fra interessi proletari e<br />

interessi capitalisti, fra rivoluzione e<br />

controrivoluzione, esige che al metodo della<br />

scheda sia opposto con inequivocabile<br />

chiarezza il metodo della preparazione<br />

rivoluzionaria alla conquista del potere.<br />

Sarebbe già ora una vittoria della classe<br />

dominante, se il proletariato rivoluzionario si<br />

lasciasse distrarre dal suo lavoro e<br />

disperdesse le sue energie, concentrate nella<br />

dura opera della ricostruzione del tessuto<br />

ideologico ed organizzativo del suo esercito di<br />

domani, nel far concorrenza ai partiti della<br />

scheda e nel ridare interesse all’indegno<br />

baraccone della caccia al voto. Non<br />

nell’appestata atmosfera elettorale, non<br />

nell’aula parlamentare e davanti ai<br />

rappresentanti titolati del capitale ma fuori e<br />

contro tutti, il proletariato rivoluzionario<br />

agita il suo programma.<br />

Ancora oggi, nonostante la conferma<br />

schiacciante dei fatti, la grande maggioranza<br />

dei proletari seguirà la corrente, crederà nella<br />

virtù risolutrice della scheda, darà il suo voto<br />

a qualcuno. Noi anticipiamo con assoluta<br />

certezza quel domani in cui il proletariato di<br />

tutti i paesi, ritrovata la sua strada maestra,<br />

dirà alla lusinga elettorale per dire<br />

alla potente realtà della rivoluzione, e,<br />

impugnate le sue armi di classe, calpesterà<br />

per sempre la scheda.<br />

(Programma <strong>Comunista</strong> n. 10 del 21 maggio – 4 giugno 1953)<br />

38


Federazione Nazionale Giovanile Socialista<br />

LAVORATORI!<br />

In quest’ora nella quale si leva verso voi<br />

un coro di voci che, proclamandosi animata<br />

dal proposito di migliorare le vostre misere<br />

condizioni di vita, implorano il vostro<br />

concorso per la conquista di un seggio in<br />

parlamento e già vi anticipano radiose<br />

promesse, ascoltate la voce nostra che è voce<br />

veramente sincera e disinteressata.<br />

Lavoratori, compagni, diffidate di tutto<br />

quello che vi si dice in questi momenti;<br />

l’esperienza deve ormai avervi dimostrato<br />

come in parlamento i deputati che pur sono<br />

stati eletti coi vostri voti si dimenticano<br />

completamente di voi, quando non diventino<br />

complici dei vostri avversari - ed anche la<br />

fiacca opposizione si risolve in una complicità<br />

– nel manipolare leggi liberticide e<br />

dissanguatrici. Negate dunque sdegnosi, a<br />

chiunque, l’appoggio vostro e non permettete<br />

ad alcuno di parlare in vostro nome e di<br />

intitolarsi, se eletto, vostro rappresentante.<br />

Nessun candidato, nessun partito ha<br />

infatti oggi il diritto di dirsi rappresentante<br />

della vostra classe e dei vostri interessi:<br />

neppure quel PARTITO SOCIALISTA che<br />

dell’emancipazione vostra aveva fatto il<br />

caposaldo del proprio programma e che oggi<br />

si è ridotto ad un roseo partito di democrazia<br />

più o meno cristiana.<br />

Trescare coi RADICALI, borghesia sia<br />

pure evoluta ma sempre borghesia e pronta<br />

I Giovani Socialisti della SEZIONE DI PISA<br />

(Volantino del 1909)<br />

39<br />

ad indossare la casacca ministeriale e a votare<br />

a larghe mani milioni e milioni per le spese<br />

militari, non è agire nell’interesse del<br />

proletariato; e tanto meno agiscono<br />

nell’interesse vostro, o lavoratori, i<br />

REPUBBLICANI che vanno in tutta Italia<br />

nascondendo il loro programma – già di per<br />

sé poco chiaro e reciso – con unioni popolari,<br />

avendo cura di scegliere candidature che<br />

raccolgono le più larghe simpatie anche<br />

nell’avverso campo monarchico.<br />

Se volete quindi, quanti siete sfruttati e<br />

oppressi, raggiungere davvero quel fine di<br />

benessere economico e di libertà politica che<br />

anelate, dimostrate di volere e di saper fare da<br />

voi:<br />

ASTENETEVI<br />

perciò dal partecipare alle sterili lotte<br />

elettorali e stringetevi più saldi nelle vostre<br />

organizzazioni di classe, poiché soltanto<br />

coll’AZIONE DIRETTA vi sarà possibile<br />

conseguire tutto ciò che invano aspettate<br />

dall’azione parlamentare.<br />

E voi giovani destinati a costituire uno dei<br />

massimi sostegni di questo regime capitalista<br />

così pieno di ingiustizie, venite a noi, venite a<br />

combattere al fianco nostro “CONTRO OGNI<br />

FORMA DI SFRUTTAMENTO E DI<br />

AUTORITA’”: e quando le file della gioventù<br />

ribelle saranno divenute sempre più fitte e<br />

numerose, l’ora dell’emancipazione operaia<br />

non sarà più troppo lontana.


Il ruolo della chiesa nell’epoca attuale<br />

Prendiamo spunto, per iniziare, da<br />

un’intervista all’”emerito” sociologo e<br />

professore Achille Ardigò, pubblicata su “La<br />

Repubblica” del 7 luglio 2005, nella quale il<br />

“nostro” si lamenta del “nuovo” interventismo<br />

delle gerarchie cattoliche guidate da papa<br />

Benedetto XVI, interventismo che spazia dal<br />

campo della politica a quello del<br />

comportamento etico e individuale di<br />

ciascuno, entrando quindi nel merito delle<br />

scelte di vita dei cittadini, e “fondato solo sul<br />

richiamo al razionalismo di un’asserita legge<br />

naturale”. 44<br />

Dal tono dell’intervista, il professore forse<br />

desidererebbe in cuor suo che la chiesa si<br />

occupasse solo di pecorelle smarrite e delle<br />

anime dei credenti, essendo questo il senso<br />

comune il ruolo assegnato alla chiesa. Ma noi<br />

sappiamo benissimo che non queste funzioni,<br />

ma ben altre sono quelle assegnate alla chiesa<br />

ed alle chiese di qualsiasi confessione dalle<br />

varie società classiste succedutesi nell’arco di<br />

migliaia di anni da quando apparve la prima<br />

proprietà privata e la differenziazione di<br />

funzioni all’interno della società (cioè le<br />

classi).<br />

Senza andare lontano, ed attenendoci alla<br />

storia degli ultimi 60 anni, la chiesa cattolica<br />

romana è sempre intervenuta non solo nelle<br />

faccende politiche italiane, ma anche in<br />

campo internazionale.<br />

Alla fine della II Guerra Mondiale la<br />

classe dominante italiana aveva bisogno di<br />

strutture politiche rigidamente accentrate,<br />

adeguate alla struttura monopolistica<br />

assunta dalla macchina della produzione<br />

economica e dello sfruttamento di classe, […]<br />

caduto il fascismo, il vecchio apparato<br />

politico non era adeguato alle nuove sfide e<br />

solo la chiesa, attraverso le gerarchie<br />

ecclesiastiche garantiva il giusto grado di<br />

conoscenza, capacità, centralità di potere e<br />

comando, queste doti furono messe al<br />

servizio dello Stato per manovrare quel<br />

partito marionetta che fu la Democrazia<br />

Cristiana. […] Queste capacità non furono<br />

messe solo a disposizione dell’Italia, ma in<br />

44 La Repubblica del 7 lug. 2005. “La bussola della<br />

Chiesa”<br />

40<br />

tutta la coalizione del Patto Atlantico, la<br />

chiesa, si pose al servizio del capitalismo e<br />

della guerra, svelando contro ogni<br />

affermazione contraria, le innegabili finalità<br />

sociali della religione 45 .<br />

La chiesa cattolica romana rappresenta il<br />

miglior alleato e sostegno del mondo<br />

capitalistico 46 , questo in forza della propria<br />

struttura rigidamente centralizzata basata sul<br />

dogma dell’infallibilità del Papa, della propria<br />

forza ideologica ed anche economica, e della<br />

propria tradizione universalista che interessa<br />

centinaia di milioni di fedeli in tutto il<br />

mondo, essendosi sempre spostata con i suoi<br />

evangelizzatori al traino dell’imperialismo<br />

coloniale occidentale fin dal 1500.<br />

Ricordiamo il ruolo che la chiesa ebbe in<br />

Centro-America ed in Sud-America, grazie ai<br />

gesuiti e all’Inquisizione, nello sdradicamento<br />

perlopiù violento delle tradizioni aborigene e<br />

delle fedi tradizionali. Fu un vero e proprio<br />

ariete di sfondamento per meglio preparare<br />

gli indigeni a diventare bravi e mansueti<br />

proletari.<br />

Questo le ha consentito appunto di<br />

presentarsi avente carattere universalista<br />

rispetto alle altre chiese di professione<br />

cristiana, ma anche rispetto alle altre fedi<br />

religiose, che hanno carattere più locale, con<br />

una vera e propria vocazione missionaria<br />

contrastata solamente dalla vitalità dell’Islam,<br />

che da sempre, e non nascostamente come<br />

fanno i cattolici, si è occupato di politica. Anzi<br />

le candidature politiche devono essere ben<br />

accette dagli Imam, e questo spiega perché<br />

tutti i leader del mondo arabo<br />

capitalisticamente sviluppato hanno sempre<br />

cercato di svincolarsi dalla religione e di<br />

introdurre il laicismo in politica.<br />

45 P.C. n. 22/59 – La Chiesa del Patto Atlantico.<br />

46 Questa affermazione sembrerebbe essere smentita dal<br />

fatto che la nascita delle chiese protestanti avvenne<br />

proprio per creare un retroterra ideologico e pratico<br />

all’impianto del capitalismo nella morente società<br />

feudale. In effetti le nuove confessioni furono espressione<br />

particolare di ogni singolo capitalismo nazionale<br />

nascente, quindi inadatte a rivestire un ruolo universalista,<br />

rappresentante nel suo complesso gli interessi generali<br />

dell’imperialismo mondiale.


Ma ritornando alla chiesa di Roma, la sua<br />

vantata universalità in realtà non è affatto<br />

indipendente e slegata da uno Stato o da una<br />

coalizione di stati sovrani, dei quali è invece<br />

spesso portavoce e sostegno politico. A<br />

dispetto delle apparenze e della supposta<br />

sovranità della stessa, ”i rapporti tra la<br />

Chiesa ( di tutte le chiese) ed il capitalismo<br />

sono quelli che corrono tra padrone e<br />

mantenuta”. 47<br />

Infatti, dappertutto è il capitale a<br />

detenere i mezzi di produzione, ed anche se le<br />

varie chiese si appropriano di una fetta dei<br />

profitti, in vari modi e con varie modalità a<br />

seconda dei vari stati, esse dipendono sempre<br />

dal supporto della stessa borghesia<br />

capitalistica. “Infatti la chiesa cattolica, come<br />

del resto le chiese di tutto il mondo, riesce a<br />

durare, sotto il capitalismo, non per forza<br />

propria ma perché lo Stato borghese<br />

stipendia le gerarchie ecclesiastiche,<br />

favorisce l’ingrandimento patrimoniale della<br />

Chiesa, protegge in mille modi le attività<br />

molteplici delle varie organizzazioni legate<br />

alla struttura chiesastica. Ma l’aiuto più<br />

possente che lo Stato borghese le fornisce<br />

garantendone la sopravvivenza, è costituito<br />

dal fatto che tutta la forza dello stato<br />

capitalista e della classe che lo esprime è<br />

mobilitata ad impedire la propagazione delle<br />

dottrine atee”. 48<br />

La dimostrazione palese che la chiesa,<br />

nella fattispecie quella romana, è asservita al<br />

capitale, è data dal fatto che a seconda di<br />

come si muovono le coalizioni di stati nello<br />

scacchiere internazionale essa varia le proprie<br />

posizioni politiche in base a questi<br />

movimenti. Facciamo degli esempi: fino alla<br />

prima guerra del Golfo(1991) la visione<br />

geopolitica della chiesa ha coinciso con quella<br />

del Patto Atlantico, ma da quell’episodio<br />

iniziano a delinearsi dei contrasti, specie nei<br />

confronti degli americani. Ricordiamo tutti la<br />

grande campagna pacifista portata avanti dai<br />

vari militanti politici di fede cattolica,<br />

trasversalmente ai partiti, ma anche da intere<br />

formazioni politiche fondamentalmente<br />

laiche, tipo i verdi. Il cosiddetto popolo della<br />

pace si sbizzarrì con le fiaccolate, le marce ad<br />

Assisi, ed ebbe il papa come faro di<br />

riferimento e guida politica e spirituale.<br />

Eppure ognuno potrebbe appunto pensare<br />

47 Idem<br />

48 idem come nota 1.<br />

41<br />

che questo cosiddetto popolo pacifista<br />

guidato dal Papa sia contro la guerra toutcourt,<br />

ma non è così.<br />

In un’intervista concessa da Woythjla a<br />

Jas Gawronski nell’ottobre del ’93, lo stesso<br />

papa, parlando della guerra giusta e della<br />

Bosnia, spiegava che va fatta “in caso di<br />

aggressione” perché “ bisogna togliere<br />

all’aggressore la possibilità di nuocere”. Non<br />

così per la guerra del Golfo: ”quella è stata<br />

una guerra di tipo punitivo perché –<br />

ragiona il papa – il presidente Bush, con<br />

l’aiuto di molti alleati europei, aveva deciso<br />

di punire chi aveva invaso ingiustamente il<br />

Kuwait, cioè Saddam Hussein. 49<br />

A prima vista un laico, digiuno dei dogmi<br />

cristiani, rimarrebbe stupito da queste<br />

affermazioni di papa Woythjla, in quanto<br />

sembra non esserci palese differenza tra le<br />

due, ci troviamo infatti di fronte ad una<br />

aggressione militare in entrambi le situazioni,<br />

ma più evidente nel caso iracheno e quindi<br />

pure la prima guerra del Golfo potrebbe<br />

apparire una “guerra” giusta. Il ragionamento<br />

qui è molto sottile: l’intervento americano<br />

1990-91 nel Golfo è stato ingiusto, non perché<br />

non ci fosse stata aggressione ad uno Stato<br />

sovrano, ma perché l’America si è<br />

arrogantemente attribuita un ruolo che è<br />

prerogativa assoluta Dio quella cioè di punire<br />

gli invasori peccatori. Quindi l’errore<br />

dell’America non è stato l’intervento, ma la<br />

megalomania di un presidente (Bush senior)<br />

e di una classe dirigente che si propagandano<br />

gli “unti del Signore”, senza tener conto di chi<br />

è invece il vero Vicario di Dio in terra. Quello<br />

che è invece rivelatore in questa affermazione<br />

di Woythjla è che la chiesa, sposando<br />

l’ideologia borghese dell’aggredito e<br />

dell’aggressore, da implicitamente il placet a<br />

tutte le guerre tra stati, perché tutte si<br />

inquadrano in questo schema, arrogandosi il<br />

diritto di decidere ogni volta chi è nel giusto e<br />

chi no. Il pacifismo del Vaticano è in<br />

quest’ottica solo di facciata, una vuota icona.<br />

Quello che è risultato evidente in questi<br />

due conflitti, ma specialmente a seguito della<br />

II Guerra del Golfo, è che il Papa (Giovanni<br />

Paolo II) ha sposato completamente le tesi e<br />

le politiche della compagine eurocentrica<br />

(Germania, Francia, ecc.) rinnegando il filoatlantismo<br />

che la chiesa aveva professato fino<br />

49 Riportata su: La Repubblica del 15 aprile 2005.”Un CD<br />

per scoprire il papa privato”


a prima della sua salita al seggio papale. Se<br />

guardiamo al passato recente, infatti, uno dei<br />

motivi che avevano portato all’elezione a<br />

papa di Montini (Paolo VI) era stato il suo<br />

palese coinvolgimento con la politica<br />

americana (specie quella più sporca) ed il suo<br />

ruolo di “ufficiale di collegamento” tra la<br />

Santa Sede e l’ambasciata Americana in Italia.<br />

Addirittura, cosa che non avveniva<br />

probabilmente da qualche secolo, il papa, a<br />

seguito dei bombardamenti a tappeto su<br />

Baghdad, lanciò una vera maledizione biblica<br />

al guerrafondaio Bush sotto forma di<br />

anatema, affermando che il sangue versato<br />

nella guerra all’Iraq sarebbe ricaduto sulla<br />

sua testa.<br />

Qualcuno potrebbe non condividere<br />

questa visione, affermando che tutto<br />

sommato nella prima guerra del Golfo il papa<br />

si schierò da solo contro tutti, e quindi giocò<br />

da libero, ma in base anche a nostri<br />

precedenti lavori appare evidente che<br />

l’Europa partecipò a quel conflitto tirata per i<br />

capelli dagli americani, e non poté fare a<br />

meno di mostrare buon viso a cattivo gioco a<br />

causa della propria debolezza politica e<br />

militare di alleato atlantico. Ma a prescindere<br />

da questo, dobbiamo rammentare che la<br />

chiesa aveva pure un interesse diretto a che<br />

Saddam Hussein (il cui fido ministro degli<br />

esteri era il cristiano Tarek Aziz) non venisse<br />

scalzato dal suo posto, e questo a causa del<br />

ruolo che lo stesso aveva rivestito come<br />

baluardo contro l’Islam, diventando un vero<br />

punto di riferimento per gli altri leader arabi<br />

che volevano svincolarsi dagli imam. Questo<br />

atteggiamento dei leader del mondo arabo e<br />

le conseguenti aperture politiche e sociali,<br />

avrebbero costruito un retroterra ideale di cui<br />

la chiesa di Roma si sarebbe potuta<br />

avvantaggiare per penetrare in quei nuovi<br />

territori, facendosi forza del fatto che la<br />

religione Cristiana si presta meglio dell’Islam<br />

a garantire un migliore e più rapido sviluppo<br />

capitalistico, condividendo ormai il proprio<br />

cammino con il capitalismo fin dai suoi primi<br />

vagiti nell’Italia del 1200.<br />

Ritorniamo di nuovo al ruolo<br />

internazionale rivestito dalla chiesa di Roma<br />

attualmente: da questo punto di vista essa è<br />

diventata il puntello della Comunità Europea,<br />

la cassa di risonanza delle sue politiche, il suo<br />

supporto propagandistico, ma anche per<br />

contraltare la sua coscienza critica.<br />

42<br />

Infatti la chiesa, in forza del suo apparato<br />

di conoscenze, di esperienze e memorie<br />

storiche, tenute sempre vive dai suoi centri di<br />

studio, si è anche assunta il ruolo di smussare<br />

le punte troppo aguzze dello sfruttamento<br />

capitalistico e della sua anarchia produttiva.<br />

Fermo restando il ruolo invariante dello<br />

Stato fin dalla nascita e dello sviluppo del<br />

capitalismo, quale comitato d’affari della<br />

borghesia, la chiesa ha progressivamente<br />

ricoperto il ruolo di calmieratore degli eccessi<br />

sia dei singoli capitalisti che degli stessi Stati<br />

borghesi. Eccessi che si possono sintetizzare<br />

nelle scelte e nelle azioni autonome di<br />

capitalisti privati e pubblici (lo Stato come<br />

unico capitalista collettivo) che hanno delle<br />

ovvie conseguenze economiche e politicosociali<br />

quasi sempre a danno degli interessi<br />

generali della specie. Questo ruolo è oggi per<br />

buona parte ricoperto in Occidente dalla<br />

chiesa cattolica vaticana.<br />

Eccessi nei quali sono caduti anche gli<br />

stessi stati, che ormai si sono trasformati in<br />

una sorta di unico capitalista collettivo.<br />

Da ciò si spiega l’ingerenza continua del<br />

papato, in tutte quelle questioni economiche<br />

e sociali, riguardanti in special modo lo<br />

sfruttamento nel mondo del lavoro, i<br />

licenziamenti e le politiche verso gli<br />

immigrati. Guardacaso, non c’è stata negli<br />

ultimi anni in Italia quasi nessuna vertenza<br />

che non sia stata sottoposta al vescovo locale<br />

dagli stessi operai e sindacati affinché<br />

intervenisse. Ed è ormai ricorrente che le<br />

parrocchie si occupino di rendere agli<br />

immigrati il meno aspro possibile l’impatto<br />

con le delizie del mondo capitalista,<br />

adoperandosi per trovar loro un lavoro e un<br />

alloggio. Il mercato delle badanti e delle<br />

donne delle pulizie polacche e rumene per<br />

esempio oggigiorno è nelle mani della chiesa<br />

che, non sola in questo caso, funge da vero e<br />

proprio ufficio di collocamento. Attraverso<br />

queste attività, la chiesa cerca di limitare<br />

quanto possibile gli attriti sociali, ed inoltre si<br />

garantisce di controllare le proprie pecorelle,<br />

evitando così che si rivolgano ad altre<br />

parrocchie, sia politiche che religiose.<br />

L’ulteriore campo di intervento della<br />

Chiesa riguarda le scelte di vita degli<br />

individui: la loro etica, le loro preferenze<br />

sessuali, le loro forme di vita familiari, le<br />

opzioni genitoriali, ecc.. La chiesa tenta in<br />

questo modo di porre un argine a ciò che per


essa è un continuo degrado sociale, avverso<br />

naturalmente ai suoi “ferrei” principi<br />

spirituali, e alimentato da fenomeni sociali<br />

quali la disintegrazione della famiglia e tutti<br />

quei comportamenti individuali che trovano il<br />

loro libero sfogo nel cosumismo,<br />

nell’edonismo e nell’egoismo dilaganti. La<br />

Chiesa riconosce che tutto questo è pur<br />

sempre provocato dalla cosiddetta economia<br />

di mercato e dalla sua attuale organizzazione<br />

del lavoro e della vita sociale, sottoposta<br />

all’imperativo sistemico di consumare,<br />

generando sempre nuovi bisogni che facciano<br />

conseguentemente crescere ed ingigantire la<br />

vorace macchina produttiva del capitalismo.<br />

Vi è un motivo importante, comunque,<br />

per il quale la Chiesa è drastica su questi<br />

argomenti, non recedendo di un passo e<br />

apparendo spesso retriva e conservatrice,<br />

pure agli occhi dei suoi stessi aderenti che,<br />

sebbene credenti, prendono comunque la<br />

pillola, divorziano, abortiscono, oppure sono<br />

anche omosessuali. Tale motivo è che senza<br />

un solido istituto familiare che funga da<br />

pilastro della società, senza un insieme di<br />

regole sociali universalmente accettate e<br />

riconosciute (come quelle cristiane), senza<br />

tutti quei divieti ai comportamenti<br />

individualistici e antisociali imposti dall’etica<br />

religiosa, senza quel senso di timore, di<br />

remissività all’autorità che solo in seno ad<br />

una famiglia tradizionale si può acquisire, la<br />

chiesa svolge con difficoltà quello che è il suo<br />

compito principale e cioè di servire da<br />

pompiere sociale, da calmieratore degli<br />

eccessi. Questo lo ha sempre fatto educando<br />

le persone fin dall’infanzia ad acquisire una<br />

coscienza sociale: ciò significa che se sei un<br />

proletario o comunque uno sconfitto dalla<br />

vita, non ti devi ribellare ma devi chinare il<br />

capo, perché tutto ci viene da Dio che<br />

attraverso le tribolazioni ci mette alla prova,<br />

e, che se faremo i bravi ci ricompenserà dopo<br />

la morte ossia come le pecore facendoci<br />

mungere e tosare in silenzio prima di andare<br />

al macello. Ribadiamo ancora meglio quanto<br />

detto citando un nostro testo: “La schiavitù<br />

economica e sociale di una classe, come la<br />

storia dimostra, è sempre assicurata e<br />

ribadita dalla diffusione del pregiudizio<br />

religioso che, trovando facile terreno<br />

nell’ignoranza, logica conseguenza della<br />

miseria, tenta di impedire agli oppressi la<br />

rivolta contro gli oppressori, ottenebrando<br />

nei primi la coscienza della propria forza<br />

43<br />

latente. Ed è sempre esistita, a fianco delle<br />

caste dominanti, la casta sacerdotale,<br />

stipendiata appunto per mantenere e<br />

diffondere la rassegnazione, la viltà,<br />

nell’animo dei servi chini sotto il giogo, per<br />

far fronte ai fremiti di rivolta causati dal<br />

disagio e dal malcontento”. 50<br />

Naturalmente per fare quanto detto<br />

prima, non basta che la chiesa si rivolga ai soli<br />

credenti, ma ha bisogno di alleati e di inserirsi<br />

soprattutto in ambienti sociali e culturali che<br />

prima la guardavano con diffidenza; come per<br />

esempio il vasto mondo dei non cristiani e in<br />

special modo dei non credenti.<br />

Riguardo ai non credenti, essi sono<br />

impermeabili ai precetti cristiani a parole,<br />

essendo nei fatti sottomessi alle visioni ed al<br />

carisma dei cosiddetti intellettuali (ed altri<br />

simili giullari del capitale). È aprendosi al<br />

confronto con i cosiddetti intellettuali atei o<br />

anche solo laici, che l’attuale papa si è rivolto<br />

per trovare dei punti di contatto per un lavoro<br />

in comune (l’unione fa la forza!).<br />

Questa cosa comunque non è di oggi,<br />

Ratzinger infatti in un’intervista nella quale<br />

illustra la sua partecipazione al Concilio<br />

Vaticano II, ha ricorda che uno degli<br />

argomenti di discussione in merito alla<br />

supposta universalità della chiesa romana,<br />

riguardava la salvezza dei non cristiani e dei<br />

non credenti. 51 Ritorneremo in seguito su<br />

questi ultimi, adesso apriamo una lunga<br />

parentesi sui primi, i non cristiani.<br />

Il Concilio Vaticano II (11/10/62–<br />

8/12/65) elaborò il “Nostra Aetate”, che a<br />

detta dello stesso Ratzinger, allora era<br />

considerato un documento secondario,<br />

mentre adesso si è rivelato come uno dei<br />

documenti più importanti del Concilio. Quel<br />

documento aprì infatti nuove frontiere<br />

all’intervento della Chiesa di Roma nel<br />

mondo e alla politica diffusa delle missioni e<br />

dei nuovi mercati di anime in Africa<br />

ed Asia, col rafforzamento del proprio<br />

intervento nelle aree storiche come quella<br />

dell’America Latina.<br />

50<br />

“ Socialismo e Religione” pubblicato su: L’Avanguardia<br />

del 14 dicembre 1913.<br />

51<br />

Perché non solo in Asia o in Africa erano presenti i non<br />

cristiani ma soprattutto nella nostra società cominciava ad<br />

avvertirsi il peso dei non credenti, dei non cristiani. Su La<br />

Repubblica del 13 maggio 2005,”Ratzinger il mio<br />

Concilio”.


Naturalmente, anche i soggetti a cui<br />

rivolgersi ed il modo di presentare il<br />

catechismo è diverso, da religione quindi del<br />

ricco e sofisticato Occidente, da religione dei<br />

padroni del mondo, il cattolicesimo si sta<br />

trasformando in religione dei poveri, dei<br />

reietti dell’umanità, “sopravanzando anche<br />

l’Islam di un rapporto di tre a due”<br />

(Jenkins). 52 A prescindere comunque da<br />

questo entrismo, gli occhi della chiesa ed il<br />

centro della geopolitica vaticana sono per ora<br />

puntati verso l’Europa. Finito il filoatlantismo<br />

dei tre papi precedenti (Pio XII,<br />

Giovanni XXIII, Paolo VI), con Giovanni<br />

Paolo II è iniziato il feeling tra l’Unione<br />

Europea e la chiesa romana, e non a caso<br />

Ratzinger è stato eletto papa perché degno<br />

continuatore di questa politica. Inoltre,<br />

l’attuale pontefice si trova in una posizione<br />

più favorevole per riprendere i contatti con il<br />

patriarcato di Mosca e con la Cina, con la<br />

quale si sono ripresi i contatti anche in forza<br />

dei 12 milioni di credenti cattolici ivi<br />

residenti 53 . Questo segnale di apertura dato è<br />

veramente molto forte: si riconosce infatti<br />

come Stato sovrano, disconoscendo<br />

automaticamente Taipei e indebolendo<br />

quindi la politica Americana nell’area. 54<br />

Nonostante la scelta Europeista, il<br />

vaticano non a smesso d’intervenire in casa<br />

statunitense, dove le sue pecorelle sono<br />

comunque numerose. Nelle precedenti<br />

elezioni presidenziali, un gruppo di vescovi<br />

americani premette sul Vaticano affinché<br />

venisse sconfessato pubblicamente il<br />

democratico Kerry 55 , che intendeva infatti<br />

difendere la legislazione sull’interruzione<br />

della gravidanza. Allora, fu mandato lo stesso<br />

Ratzinger a calmare i vescovi. Adesso la<br />

chiesa è ritornata sui suoi passi, e Ratzinger<br />

che nel frattempo è diventato papa, ha<br />

lanciato un appello perché si selezionassero i<br />

candidati alle elezioni in base alla loro<br />

opposizione alla legislazione abortista. Questo<br />

è anche quanto si sostiene su<br />

“l’Instrumentum Laboris” del prossimo<br />

sinodo dei vescovi, in cui si afferma che è<br />

52<br />

La Repubblica 29 aprile 2005. Il nuovo papa, la Russia<br />

e la Cina.<br />

53<br />

La Repubblica del 13 mag. 2005, “ Diplomazia,<br />

Ratzinger apre alla Cina”.<br />

54<br />

La Repubblica del 29 apr. 2005, “ Il nuovo papa la<br />

Russia e la Cina”.<br />

55<br />

La Repubblica del 8 lug. 2005, “ Peccato sostenere chi<br />

vota l’aborto”.<br />

44<br />

peccato grave votare per un politico che<br />

sostiene l’aborto. Siccome il documento parla<br />

anche di difesa della vita, il divieto sarà esteso<br />

pure nei confronti di chi sostiene la ricerca<br />

scientifica sull’embrione o addirittura la sola<br />

diagnosi prenatale sull’embrione stesso,<br />

attraverso cui si rilevamento di malattie<br />

ereditarie sulle quali è possibile intervenire.<br />

E di questa crociata abbiamo avuto un<br />

assaggio anche in Italia, a proposito dei<br />

referendum sulla procreazione assistita e<br />

sull’utilizzo degli embrioni nella ricerca<br />

scientifica. Nel corso della recente campagna<br />

contro i matrimoni gay, è possibile<br />

riconoscere quale considerazione abbiano<br />

della chiesa i leader politici: sia il credente<br />

Prodi che l’ateo pentito Fassino sono ritornati<br />

sui loro passi a proposito dei matrimoni gay e<br />

delle coppie di fatto, giustificandosi e<br />

ponendo dei distinguo tra la loro posizione e<br />

quella dello “spauracchio” Zapatero. Hanno<br />

così affermato con enfasi che non si mette<br />

assolutamente in discussione la centralità<br />

della coppia tradizionale, ma si vuole<br />

solamente garantire un minimo di stato<br />

sociale a favore di unioni che non essendo<br />

riconosciuto giuridicamente non possono<br />

godere di diritti garantiti invece a chi è<br />

sposato tradizionalmente.<br />

Anche su questioni che riguardano la sua<br />

organizzazione interna, la Chiesa non compie<br />

nessun passo in avanti, “non si modernizza<br />

adeguandosi ai tempi ed al libertarismo<br />

imperante”. E su questioni quali il celibato dei<br />

preti, il sacerdozio femminile, o più<br />

semplicemente il riconoscimento del ruolo<br />

della donna nella attuali istituzioni<br />

ecclesiastiche, mantiene in modo<br />

intransigente la sua posizione dogmatica.<br />

Tutto questo sfata un altro mito, costruito<br />

dalla intellighenzia di sinistra per lisciare il<br />

pelo ai prelati cosiddetti progressisti: ovvero<br />

che la Chiesa di Roma sia durata 2000 anni in<br />

quanto capace di adattarsi alle nuove<br />

strutture di pensiero, di rinnovarsi a seconda<br />

dei tempi e delle ideologie e di trovare un<br />

modus vivendi adeguato ai cambiamenti<br />

avvenuti nello sviluppo storico dei modi di<br />

produzione succedutisi finora (schiavismo,<br />

feudalesimo, capitalismo). È vero invece tutto<br />

il contrario. Infatti tutti i nuovi padroni si<br />

sono sempre rivolti alla Chiesa come fattore<br />

di stabilità e di continuità nei tempi che<br />

cambiavano. La Sinistra <strong>Comunista</strong> faceva<br />

giustamente notare: “ Non è vero che la forza


della Chiesa risieda nell’adattarsi ai tempi,<br />

risiede, al contrario, nella capacità di<br />

adattare la voce dei tempi, al suo sistema” 56 .<br />

E si fa forte in questo dell’appoggio delle<br />

classi dirigenti, i cui rappresentanti si<br />

formano spesso presso le strutture educative<br />

della stessa Chiesa (nelle sue scuole, nei suoi<br />

collegi e nei suoi centri studi).<br />

Il capitalismo ha bisogno del supporto<br />

della religione in quanto forza di<br />

conservazione sociale e come pilastro<br />

dell’ordine borghese. I valori della chiesa<br />

sono ritenuti universali ed il capitale, dopo la<br />

sbornia anticlericale illuminista, ha<br />

uniformato a questi la sua ideologia,<br />

affermando che i principi basilari di questa<br />

siano principi naturali.<br />

Anche se prima abbiamo ribadito che la<br />

Chiesa è la mantenuta del capitale, di fatto<br />

essa ripaga il capitale medesimo con gli<br />

interessi, attraverso i propri servigi che sono<br />

molteplici.<br />

Il dogma imperativo più importante per la<br />

chiesa è la propria sopravvivenza e continuità<br />

nel tempo, questa esigenza è ormai legata a<br />

doppia mandata con l’appoggio all’infame<br />

modo di produzione capitalistico. La Chiesa<br />

sa che con la caduta del capitalismo anch’essa<br />

cadrebbe, e che i credenti, sul piano<br />

individuale, rimarrebbero ancora in molti<br />

senza l’eliminazione materiale del bisogno,<br />

della sofferenza impotente e quant’altro<br />

alimenti la superstizione religiosa. Ma la<br />

struttura materiale della chiesa e la casta dei<br />

preti cadrebbero certamente da subito dopo<br />

la rivoluzione, in quanto il loro apparato si<br />

regge principalmente sulle entrate a vario<br />

titolo e sugli stipendi che il capitale versa ad<br />

essa con continuità. La chiesa riconosce tutto<br />

questo, sa grazie alla sua esperienza che se<br />

viene abbattuta l’ultima società classista,<br />

anch’essa cadrà come istituzione ed è dovuto<br />

a questo riconoscimento “il fatto che la<br />

completa sottomissione della Chiesa cattolica<br />

alla dittatura del capitale non sia stata<br />

ottenuta con mezzi coattivi”. 57<br />

Ritorniamo adesso ai non credenti: è<br />

interessante come la recente politica papalina<br />

apra nuovi campi di discussioni con i seguaci<br />

dell’ateismo.<br />

56 P.C. n. 14/61, “C’è posto per tutti sotto l’ombrello di<br />

santa madre chiesa”.<br />

57 Idem come nota 1.<br />

45<br />

Si dice che se si vive abbastanza a lungo si<br />

riesce a vedere di tutto, ma in quest’epoca i<br />

processi si muovono così velocemente sotto la<br />

spinta della crisi, che siamo riusciti a vedere<br />

finalmente l’abbraccio tra gli ex mangiapreti e<br />

la chiesa romana: e non si tratta di un<br />

abbraccio formale, ma di una vera<br />

condivisione di un cammino in comune.<br />

Stiamo parlando del dibattito<br />

sull’Umanesimo tenutosi a Lione, e che ha<br />

visto come relatori sintonizzati su un’unica<br />

lunghezza d’onda, il “socialista” Giuliano<br />

Amato ed il vescovo di Terni Vincenzo<br />

Paglia 58 . In quest’incontro entrambi hanno<br />

convenuto che “Umanesimo religioso” ed<br />

“Umanesimo laico” sono fondati sugli stessi<br />

principi e che, addirittura,a detta del<br />

“socialista”, i diritti umani come noi li<br />

concepiamo nascono nel medioevo, e non<br />

nell’epoca illuminista come si era sempre<br />

pensato. Ambedue queste dottrine hanno<br />

inoltre origine dal diritto canonico: i diritti<br />

umani quindi non sono un parto della<br />

borghesia, ma sono stati concepiti nell’epoca<br />

che gli stessi pensatori borghesi hanno<br />

sempre definito oscura, ma dai canonici<br />

cristiani e di Averroè che non era cristiano,<br />

ma che incarnava la libertà di coscienza di<br />

quei tempi. I mangiapreti dunque<br />

riabbracciano pubblicamente la chiesa<br />

cattolica, e non di nascosto nelle sacrestie<br />

come ai tempi di Baffone. Nel suo intervento,<br />

il vescovo Paglia liscia il pelo ai laici ed al<br />

laicismo, affermando che è laico chi non<br />

assolutizza il proprio pensiero; che la vera<br />

laicità non si identifica con nessun credo<br />

preciso od ideologia e che essere laici significa<br />

essere tolleranti, significa demistificare tutti<br />

gli idoli, anche i propri, significa operare<br />

secondo principi logici che non possano<br />

essere condizionati da nessuna fede, sia<br />

politica che religiosa, significa infine credere<br />

fortemente in alcuni valori, consapevoli che<br />

ne esistano anche altri. Sembra, insomma, il<br />

decalogo dell’intellettuale di sinistra, che a<br />

parole possiede dei forti principi, però nei<br />

fatti si lascia il campo libero a qualsiasi<br />

mutamento di pensiero e a qualsiasi cambio<br />

di bandiera. Ed è in questa cloaca intellettuale<br />

che da un pò la chiesa sguazza. Ricordiamo<br />

l’incontro di Ratzinger, prima di diventare<br />

papa, con Ferrara e Gad Lerner; e l’incontro<br />

segreto con Oriana Fallaci, loro odierna<br />

Giovanna d’Arco, strenua oppositrice della<br />

58 La Repubblica del 16 sett. 2005, “ Laicismo”.


concorrenza islamica. È questo quanto sta<br />

succedendo: sotto l’urto della crisi, tutte le<br />

forze antiproletarie si coalizzano per creare<br />

nuovi ostacoli alla ripresa della lotta di classe<br />

e per perpetuare la cappa di piombo della<br />

controrivoluzione.<br />

Uno dei compiti quindi del movimento<br />

operaio internazionale è di combattere la<br />

religione. Ma per vincere questa lotta non<br />

servono le tirate e la propaganda anticlericale,<br />

come fecero per primi nel 700 Voltaire e gli<br />

illuministi, ma bisogna abbattere le sue basi<br />

materiali e la società capitalistica, creando<br />

così le condizioni per l’uscita dall’umanità<br />

dalla schiavitù dello sfruttamento salariale e<br />

della superstizione religiosa.<br />

Concludiamo con un’illuminante citazione<br />

di Lenin tratta dai suoi scritti “Sulla<br />

Religione”.“La religione è l’oppio del popolo:<br />

questo detto di Marx è la pietra angolare di tutta<br />

la concezione marxista in materia di religione.<br />

(…) Tutte le religioni e le chiese oggi esistenti,<br />

tutte –quali che siano– le organizzazioni<br />

religiose, sono sempre state considerate dal<br />

marxismo come strumenti della reazione<br />

borghese, che servono a difendere lo<br />

sfruttamento e a stordire la classe operaia. (...)<br />

Nei paesi capitalistici odierni le radici (della<br />

religione) sono soprattutto sociali.<br />

L’oppressione sociale delle masse lavoratrici, la<br />

loro apparente totale impotenza di fronte alle<br />

forze cieche del capitalismo, che è causa, ogni<br />

giorno ed ogni ora che passa delle sofferenze<br />

più orribili, dei tormenti più selvaggi per la<br />

massa dei lavoratori, in misura mille volte<br />

maggiore di tutte le calamità come le guerre, i<br />

terremoti, ecc.; ecco in cosa consiste<br />

attualmente la radice profonda della religione.<br />

(…) La paura ha creato gli dei. La paura<br />

dinnanzi alla cieca forza del capitale, cieca<br />

perché non può essere prevista dalle masse<br />

popolari, la quale ad ogni istante della vita del<br />

proletariato e del piccolo proprietario minaccia<br />

di portarli e li porta ad una catastrofe subitanea,<br />

inattesa, accidentale, che li rovina, li trasforma<br />

in mendicante, in povero, in prostituta, li riduce<br />

a morire di fame: ecco la radice dell’odierna<br />

religione che il materialista deve tenere<br />

presente prima di tutto e al disopra di<br />

tutto” 59 .<br />

59 Riportata su il P.C. dell’8 apr. 1962: “Religione e<br />

Marxismo sono incompatibili”.<br />

46


Esecuzione di “DOUGLAS PRINCIPAL”, militante del <strong>Partito</strong> <strong>Comunista</strong><br />

<strong>Internazionale</strong> ad opera del capitalismo venezuelano e della mafia di Chavez.<br />

Le prime ed incipienti lotte operaie in<br />

America Latina cominciarono verso il 1680 ed<br />

erano lotte rivendicative molto isolate in un<br />

ambiente sociale di capitalismo agrario o<br />

propriamente precapitalista. Ma poiché<br />

andarono generalizzandosi ed estendendosi<br />

dal 1890 al 1910 nelle miniere cilene e nella<br />

città di Buenos Aires, la repressione di<br />

massa fu la pratica dei capitalisti, il loro<br />

determinismo economico ed il loro modo<br />

morale di continuare il processo di<br />

accumulazione originaria del capitale,<br />

appoggiandosi sulla forza del capitale<br />

imperialista inglese, francese, tedesco ed<br />

infine nordamericano.<br />

Nella misura in cui l’America Latina<br />

importò tutto, dal modo di produzione alle<br />

ancestrali tradizioni iberiche, dalle classi<br />

sociali alle sue burocrazie inquisitorie, dai<br />

partiti ai sindacati, dai capitali alle tecnologie,<br />

importò anche i metodi repressivi,<br />

ampiamente usati nella Penisola iberica,<br />

contro mori, ebrei, critici alla Cervantes,<br />

durante la riconquista e la successiva<br />

catechizzazione dell’impero. Anche nel<br />

coltivare e sperimentare i metodi repressivi la<br />

borghesia creola latino-americana ha<br />

dimostrato di essere un’alunna diligente,<br />

prima con gli stermini delle popolazioni<br />

native, poi con le espropriazioni forzate delle<br />

terre ai contadini poveri o alle genti indigene<br />

(proprietari naturali della terra) e, sempre,<br />

contro i diseredati o peoni ed i proletari delle<br />

città e delle campagne.<br />

Con molti infecondi tentativi di<br />

rivoluzione, le correnti democratiche della<br />

piccola borghesia solcano il corso dei tempi,<br />

tentativi di rivoluzioni rovinose e cruente che,<br />

qualora trionfanti, finivano in semplici rivolte<br />

di palazzo, perché i loro proclami non<br />

superavano gli ambiti della rivoluzione<br />

mercantile, né la sua legge fondamentale o<br />

organica, che conosciamo come legge del<br />

valore, già predominante in questo campo<br />

storico fin dall’indipendenza dal colonialismo<br />

spagnolo (ad eccezione di Cuba–Puerto Rico)<br />

fra il 1810 ed il 1830.<br />

Né il “sindacalismo rivoluzionario”<br />

argentino del 1890-1913, né il <strong>Partito</strong> Operaio<br />

Socialista cileno del 1900-1913 (sicuramente<br />

47<br />

il più vicino in America alle tesi di Marx), né<br />

gli zapatisti del 1910-1919, né i “Cinturoni<br />

Industriali” cileni del 1972-73 (e meno di<br />

tutti, il castrismo-guevarismo) arrivarono a<br />

superare il mercantilismo, il baratto o il<br />

lavoro salariato nei loro programmi: in<br />

generale, il loro progenitore fu la corrente<br />

Prohudon-Bernstein. “il fine non è nulla,il<br />

movimento è tutto” fu la divisa<br />

prohudoniana-bernsteiniana.<br />

Le borghesie più arretrate, però, più<br />

dipendenti dai capitali e dalle tecniche<br />

dell’imperialismo internazionale e, pertanto,<br />

più deboli, non potevano permettersi<br />

l’esistenza di rumorosi movimenti piccoloborghesi<br />

che reclamavano la ripartizione della<br />

terra contro i latifondisti borghesi, o le misure<br />

sociali europee (Wellfare State) come<br />

pensioni, ospedalizzazione, medicine, scuola<br />

gratuita e credito economico per tutti gli<br />

imprenditori della città o della campagna. Per<br />

non parlare dell’odioso tremore prodotto in<br />

loro da chi propaga il fantasma della<br />

“rivoluzione proletaria”: a questa borghesia<br />

poco importa che i suoi promotori o<br />

portavoce siano movimenti studenteschi o<br />

partiti nazionalisti.<br />

Per queste deboli e talvolta straccione<br />

borghesie dipendenti e per l’imperialismo<br />

vampiro e protettore, questi fantasmi, questi<br />

spettri non potevano essere portati a spasso<br />

né in libertà né in clandestinità. In questa<br />

visione così assolutista, tanto americana<br />

quanto internazionale, stanno invece le radici<br />

“dell’azione preventiva” statunitense e<br />

mondiale contro ogni pericolo interno o<br />

esterno che minacci il “ben operare”, il “buon<br />

procedere degli affari” propagando o<br />

provocando risse o tumulti, sia latini che<br />

piccolo-borghesi.<br />

Questa lunga tappa di repressione di<br />

massa, coltivata e preservata dalle guerre per<br />

l’indipendenza dal colonialismo spagnolo, è<br />

ciò che cercano di chiudere dall’Europa con<br />

l’appoggio alla formazione del MERCOSUR e<br />

con i processi alle giunte militari opposte al<br />

circo parlamentare.<br />

Cercano di serrare il brutto ricordo dei<br />

massacri di massa come quello degli studenti<br />

nella piazza messicana di Tlatelolco, come lo


sciopero nelle miniere di Cananea o i<br />

massacri nel Chiapas, gli stessi più gravi<br />

massacri in Guatemala, El Salvador,<br />

Nicaragua e Honduras, il sistematico<br />

disperdere, a colpi d’arma da fuoco, di<br />

scioperanti e manifestanti in Repubblica<br />

Dominicana, Haiti, Ecuador, Bolivia e Perù.<br />

La feroce repressione della borghesia<br />

cilena al servizio di Pinochet non era nuova;<br />

già nel 1907 e nel 1909 si produssero, fra gli<br />

altri, i massacri di proletari a Santa Maria di<br />

Iquique e nelle miniere di Marusia per<br />

reprimere a sangue e fuoco gli scioperi operai.<br />

Neppure gli oltre 30.000 desaparecidos<br />

in Argentina sono niente di nuovo né di<br />

eccezionale. Fra il 1860 ed il 1890 i<br />

proprietari dei mattatoi e dei frigoriferi, ossia<br />

la borghesia creola ed i suoi mentori<br />

britannici, gettarono le nuove radici<br />

sterminatrici contro le tribù indie, dalla città<br />

di Buenos Aires. Addussero, come<br />

giustificazione storica dello sterminio,<br />

effettuato fino a Rio Negro, che gli indigeni si<br />

erano alleati con la borghesia cilena per<br />

appropriarsi della Pampa o di altri territori<br />

argentini. Dopo aprirono la caccia ai<br />

GAUCHOS che si rifiutavano di convertirsi in<br />

semplici servi dei grandi proprietari terrieri.<br />

In seguito scoppiarono i grandi e lunghi<br />

scioperi, dal 1890 a Buenos Aires, influenzati<br />

e diretti dalla corrente del “Sindacalismo<br />

Rivoluzionario” francese (i soreliani), poi<br />

incarnati nella FOA (Federazione Operaia<br />

Argentina), fondata nel 1901. Nel 1903 si<br />

scissero 19 associazioni della FOA, fondando<br />

nel 1904 la FORA (Federazione Operaia<br />

Regione Argentina), ecc.<br />

Dal 1902 fino al 1932, lo stato d’assedio fu<br />

quasi costante in Argentina, accompagnato da<br />

migliaia di operai assassinati dall’esercito e<br />

dalla polizia. Tutti i governi parteciparono<br />

alla repressione antioperaia. Di conseguenza,<br />

le repressioni moderne sono soltanto la<br />

continuazione di quelle antiche.<br />

Ciò è dimostrato dalla repressione dello<br />

scossone in Venezuela di febbraio-marzo del<br />

1989, con più di 3.000 morti ammazzati, per<br />

finire con la rivolta della fame, da parte del<br />

governo socialdemocratico di Carlos Andrés<br />

Pérez. Questa repressione fu effettuata dal<br />

glorioso esercito venezuelano, dai suoi<br />

capitani e comandanti, cioè, dai golpisti del<br />

1992 e del 1994, ossia, dal partito<br />

dell’esercito, questo movimento che oggi si<br />

48<br />

chiama chavismo o bolivarismo, movimento<br />

militare nazionalista al quale si unirono dal<br />

1992-94 quasi tutti i difensori della guerriglia.<br />

Degli USA ricorderemo soltanto lo<br />

scioglimento del sindacato dei controllori di<br />

volo ed il licenziamento degli scioperanti da<br />

parte del governo di R. Reagan, insieme alla<br />

continua applicazione ad opera di tutti i<br />

governi della legge antisciopero o del reale<br />

stato d’assedio contro gli scioperanti, che<br />

impedisce o rompe lo sciopero<br />

sottomettendolo all’arbitraggio. La<br />

repressione violenta degli scioperi è una legge<br />

non scritta da più di 150 anni in USA.<br />

L’azione delle bande bianche o di gradassi al<br />

soldo della padronale (si ricordi Chicago 1886<br />

per la giornata di 8 ore e l’incendio della<br />

fabbrica Cotton di New York l’8/3/1909 dove<br />

bruciarono le lavoratrici in sciopero), insieme<br />

con le provocazioni della polizia, è stata<br />

moneta di scambio comune a tutta la storia<br />

dei rapporti fra padronale-governo e proletari<br />

in lotta.<br />

Raccogliere ed analizzare tutte queste<br />

esperienze repressive organizzate dalla classe<br />

borghese e sofferte dal proletariato e dalla<br />

piccola borghesia, in tutto il continente<br />

americano, legate alle esperienze di tutto il<br />

proletariato mondiale, è uno dei compiti<br />

importanti che assumiamo di fronte al futuro<br />

risorgimento delle lotte classiste proletarie,<br />

seguendo l’obiettivo dell’unificazione degli<br />

impulsi operai in un’unica lotta in tutta<br />

l’America ed il mondo. Un’unificazione che si<br />

può conseguire soltanto se si introduce e si<br />

estende la solidarietà e l’appoggio effettivo<br />

per tutte le lotte genuinamente proletarie al di<br />

sopra di frontiere, lingue e razze.<br />

È in questo contesto storico che<br />

dobbiamo collocare l’attuale tentativo di<br />

superare la tappa della repressione di massa<br />

delle borghesie deboli ed insicure dei governi,<br />

dando il balzo alla repressione selettiva<br />

basata su una borghesia molto più sicura di sé<br />

avendo esteso la sua base sociale di governo,<br />

incorporando nell’azione governativa ampi<br />

settori della piccola borghesia e della<br />

nascente aristocrazia operaia, come accade in<br />

Brasile con il <strong>Partito</strong> dei Lavoratori, o nel caso<br />

dello giustizialista argentino Kirchner, o del<br />

Cile pinochetiano-democristiano e<br />

socialdemocratico, o del chavismo in<br />

Venezuela, o dei tentativi di integrare in<br />

questo Mercato ed ambiente politico anche


Colombia, Perù, Ecuador, Bolivia, Uruguay e<br />

Paraguay.<br />

Questa tendenza è influenzata ed<br />

appoggiata dalla socialdemocrazia europea,<br />

che utilizza profusamente i lacci storici e<br />

linguistici della socialdemocrazia spagnola<br />

per consolidare un forte blocco<br />

latinoamericano che mantenga la sua<br />

autonomia dagli Stati Uniti. La potenza<br />

imperialista brasiliana gioca la funzione di<br />

nuovo epicentro del potere, laddove<br />

l’imperialismo centroeuropeo (Germania–<br />

Olanda) e spagnolo giocano un ruolo<br />

determinante in base ai loro investimenti.<br />

È in questo contesto che si deve<br />

analizzare la repressione selettiva, il sicariato,<br />

contro le avanguardie proletarie e contro i<br />

militanti marxisti, poiché sono centinaia i<br />

proletari uccisi in Venezuela, Colombia, Perù,<br />

perché alla testa di lotte rivendicative nelle<br />

aziende, denunciando mafie sindacali, mafia<br />

poliziesche, o mafie formate da trafficanti di<br />

bestiame, di droga, di donne, da assaltatori di<br />

case, mercati, automobilisti, autobus ed<br />

individui isolati, quasi tutti collegati e protetti<br />

dalla polizia,dall’esercito, dai giudici e dalle<br />

mafie politiche e sindacali.<br />

A volte scoppia lo scandalo basato sulla<br />

corruzione di qualcuno o di tutti i gruppi<br />

sopra citati, come succede in tutto il mondo.<br />

Perfino i più corrotti si indignano gridando<br />

contro la corruzione! Noi affermiamo che lo<br />

sfruttamento della classe proletaria è<br />

anche la causa, la base dalla quale deriva la<br />

corruzione. Facciamola finita con lo<br />

sfruttamento e con il sistema di lavoro<br />

salariato che lo genera e l’avremo fata finita<br />

con la causa e l’effetto della corruzione.<br />

Come è perché uccisero il nostro<br />

compagno Douglas Principal?<br />

Il nostro compagno fu ucciso<br />

premeditatamente e freddamente, dopo un<br />

inseguimento da professionisti durato<br />

probabilmente giorni, settimane, sulla porta<br />

di un negozio dove erano andati a fare<br />

compere. Un fratello di Douglas entrò per<br />

comperare, mentre Douglas aspettava nel<br />

furgone parcheggiato sulla strada. Circa 35<br />

minuti dopo il fratello sentì una forte<br />

detonazione, uscì e trovò Douglas con un<br />

colpo di pistola alla testa, mentre vide ritirarsi<br />

la banda di mafiosi, alla cui testa erano due<br />

uomini del partito di Chavez, partito della V<br />

Repubblica.<br />

49<br />

Sono tutti liberi, tutti protetti dal partito<br />

della V Repubblica e dal governo capitalista<br />

democratico di Chavez. Come scrivevano i<br />

compagni venezuelani in un altro comunicato<br />

un mese dopo o 8 mesi dopo:<br />

“Ad un mese dall’assassinio<br />

dell’agronomo Douglas A. Principal Abarca i<br />

criminali continuano ad essere in libertà ed<br />

anche quando la denuncia è giunta fino alla<br />

Fiscalia Generale della Repubblica, il<br />

Difensore del Popolo, la Commissione dei<br />

Diritti Umani dell’Assemblea Nazionale, la<br />

Fiscalia Superiore dello Stato Lara e la PTJ,<br />

la minaccia e l’intimidazione da parte dei<br />

delinquenti si è estesa al resto dei familiari<br />

ed amici che hanno continuato nella<br />

denuncia. In questo modo resta evidente, una<br />

volta di più, la complicità fra corpi<br />

repressivi, istituzioni dello stato e<br />

delinquenti.<br />

Oggi la famiglia Principal Abarca vive in<br />

clandestinità con le conseguenze che questo<br />

comporta, fra cui il fatto che undici<br />

minorenni hanno dovuto rinuncia alla<br />

scolarizzazione, uomini e donne hanno<br />

dovuto abbandonare il posto di lavoro, i loro<br />

affari ed i beni materiali acquisiti in una vita<br />

di lavoro e di sacrifici.<br />

Senza dubbio, il caso di questa famiglia<br />

non è un caso isolato, nello stato Lara altre<br />

famiglie sopravvivono alla persecuzione<br />

delittuosa ed in ambito nazionale le notizie<br />

dimostrano come viene incrementato<br />

l’assassinio di operai da parte della<br />

delinquenza sindacale incaricata di truffare i<br />

lavoratori con vendite fraudolente di<br />

contratti. In definitiva, però, lo stato<br />

capitalista protegge soltanto la grande<br />

proprietà capitalista ed utilizza la<br />

delinquenza ed i corpi repressivi per<br />

terrorizzare i lavoratori.”<br />

Così si legge in un comunicato del<br />

“Comitato Vittime dell’Impunità”, formato<br />

per denunciare l’assassinio di Douglas e le<br />

menzogne giustificative lanciate da<br />

televisione, radio e stampa del governo<br />

chavista e dai suoi sicari:<br />

“Se ci riproponessimo di presentare i casi<br />

di impunità che si ripetono giornalmente,<br />

basterebbe citare i mezzi di comunicazione<br />

regionali che nel 2004 rilevano la morte di<br />

più di 100 persone per mano dei Corpi di<br />

Sicurezza dello Stato (El Impulso, 06/01/05),<br />

senza contare quelli che giornalmente


cadono abbattuti nei nostri quartieri per<br />

mano della delinquenza comune: “In totale<br />

ci sono stati 633 omicidi nel 2004” (El<br />

Impulso, 06/01/05). Queste statistiche<br />

permettono di constatare l’efficienza del<br />

Ministero Pubblico e dei Corpi di Sicurezza;<br />

quando si tratta di persone umili, il responso<br />

è sempre lo stesso: “regolamento di conti,<br />

scontro fra bande”, molte volte<br />

trasformando le vittime in colpevoli.”<br />

A tutti questi casi di omicidio o<br />

esecuzione la banda del governo di Chavez, i<br />

suoi poliziotti ed i suoi giudici attaccano<br />

un’etichetta, un timbro: “è un regolamento<br />

di conti fra narcotrafficanti, è uno<br />

scontro fra bande”.<br />

Con questa logica, con questa<br />

giustificazione, dopo l’esecuzione di Douglas,<br />

quando i familiari dovettero denunciare<br />

l’assassinio e gli assassini con nome e<br />

cognome, la polizia mise sul tavolo, come<br />

espediente, i rapporti polizieschi sulle attività<br />

di Douglas quando era uno studente e sulla<br />

sua successiva militanza nel <strong>Partito</strong><br />

<strong>Comunista</strong> <strong>Internazionale</strong>, giungendo ad un<br />

rapido commento ed una immediata<br />

sentenza: Accidenti, era un militante<br />

del <strong>Partito</strong> <strong>Comunista</strong> <strong>Internazionale</strong>!<br />

Questa è una guerra fra bande mafiose,<br />

la polizia non interverrà.<br />

Questa decisione è dimostrata dal titolo<br />

che capeggia sul rapporto della polizia del<br />

28/06/2004 dopo la rapina-provocazione al<br />

negozio della famiglia di Douglas: scontro<br />

fra bande.<br />

Questo titolo “scontro fra bande” viene<br />

all’indomani di una rapina nella quale due<br />

fratelli di Douglas furono feriti e ricoverati in<br />

ospedale per gli spari da parte dei mafiosi il<br />

28/06/2004 alle ore 13.00, con la polizia che<br />

non arriva prima delle 17.00 e non interroga<br />

né arresta alcun mafioso, pur avendone nomi,<br />

cognomi ed indirizzi nel quartiere di<br />

Garabatal nella città di Barquisimento.<br />

Il compagno dopo un periodo di studio e<br />

di interessamento alla teoria marxista, ed ai<br />

cosiddetti regimi socialisti (Russia, Cuba….),<br />

venne in contatto casualmente con una rivista<br />

“il Programma <strong>Comunista</strong>” stampato e diffuso<br />

da compagni spagnoli. Lì scoprì i testi<br />

classici della Sinistra <strong>Comunista</strong> d’Italia:<br />

“L’Invarianza Storica del Marxismo, Il Falso<br />

Espediente dell’Attivismo, Teoria e Azione, Il<br />

Programma Rivoluzionario Immediato, Le<br />

50<br />

Rivoluzioni Multiple, La Rivoluzione<br />

Anticapitalista Occidentale, La Questione<br />

Agraria”.<br />

Il condensato di carica rivoluzionaria che<br />

aveva trovato impressionò talmente Douglas<br />

che tornò sul luogo della scoperta e portò via,<br />

come se si trattasse di un gran tesoro, gli altri<br />

7 numeri della rivista per distribuirli ai suoi<br />

compagni di Università. Soleva raccontare<br />

questo incontro con i testi della Sinistra come<br />

il più importante della sua vita, anche perché<br />

questo lo aveva aiutato a non lasciarsi<br />

coinvolgere né influenzare dalla guerriglia e<br />

dallo stalinismo.<br />

Douglas terminò gli studi pur senza borsa<br />

di studio, prese il titolo di Ingegnere<br />

Agronomo, dopo aver lavorato per più di 7<br />

anni nel CIARA (Abilitazione ed<br />

Investigazione Applicata alla Riforma<br />

Agraria), in programmi agricoli finanziati<br />

dalla Banca Mondiale per combattere le<br />

piaghe ed introdurre nuove coltivazioni e<br />

nuove tecniche in Venezuela, nella zona di<br />

Sanare (Stato Lara). Lì lavorava con altri<br />

ingegneri agronomi cubani con i quali ebbe<br />

sempre buoni rapporti lavorativi e personali,<br />

anche se affermava che di storia e di politica<br />

questi cubani non sapevano nulla e di niente<br />

si interessavano. Non abbiamo trovato indizi<br />

che facciano pensare che questi cubani<br />

abbiano riferito qualcosa al governo di Chavez<br />

per la classica liquidazione stalinista del<br />

nostro compagno, visto che i rapporti erano<br />

piuttosto buoni. Consigliavano ed aiutavano i<br />

piccoli contadini in zone orografiche montane<br />

e piuttosto povere.<br />

E a questo punto nasce la domanda:<br />

perchè Douglas nel settembre del 2004<br />

e non in agosto del 1996 o 2000?<br />

La risposta si deve cercare nei contatti e<br />

nelle attività che Douglas ed altri compagni<br />

stavano mantenendo fra diversi nuclei<br />

rivendicativi del proletariato e nel taglio<br />

classista che davano alle rivendicazioni difese.<br />

Una cosa deve essere chiara: la borghesia<br />

non viene colpita dalla semplice<br />

pubblicazione di una rivista che tratti di<br />

argomenti teorici, programmatici o tattici,<br />

che parli di rivendicazioni e metodi di<br />

funzionamento e di lotta generici, né dai<br />

volantini che ogni 2-3 mesi si distribuiscono.<br />

Questa semplice propaganda generica non<br />

basta per contribuire a smascherare né la<br />

borghesia né i suoi luogotenenti nelle file


operaie: partiti socialdemocratici, stalinistiguerriglieri<br />

o sindacalisti cattolici od<br />

anarchici.<br />

Finché gli autonominatisi marxisti si<br />

limitano a questa semplice attività letteraria,<br />

potranno anche scrivere delle buone cose, e<br />

quasi corrette, ma non supereranno i<br />

cosiddetti ciarlatani da bar.<br />

Nell’intestazione della rivista di <strong>Partito</strong> è<br />

scritto che ciò che distingue il nostro <strong>Partito</strong><br />

è: “La linea che va da Marx a Lenin […]”, in<br />

continuità con quanto stabilito nel Manifesto<br />

del <strong>Partito</strong> <strong>Comunista</strong> del 1948: “I comunisti<br />

(…) si distaccano e fanno valere gli interessi<br />

comuni di tutto il proletariato (…),<br />

rappresentano sempre gli interessi del<br />

proletariato nel suo insieme. Praticamente, i<br />

comunisti sono il settore più risoluto (…),<br />

il settore che spinge sempre avanti la massa;<br />

teoricamente, hanno (…) il vantaggio della<br />

chiara visione delle condizioni, del cammino e<br />

dei risultati generali del movimento<br />

proletario.”<br />

Qui, per Marx e per i marxisti integrali di<br />

ieri, oggi e domani, la teoria e la pratica<br />

vanno insieme: senza teoria rivoluzionaria<br />

non ci può essere pratica classista<br />

rivoluzionaria, ma senza pratica classista, la<br />

teoria rimane ciarlataneria, retorica.<br />

Sappiamo, siamo coscienti che Douglas<br />

non è stato assassinato perché fosse retorico,<br />

né ciarlatano, ma perché manteneva uno<br />

stretto contatto con diversi nuclei proletari<br />

che in questi ultimi anni hanno portato avanti<br />

lotte rivendicative: maestri e professori,<br />

impiegati, lavoratori del settore elettrico, di<br />

quello petrolifero.<br />

Questo contatto con la classe operaia, il<br />

lavoro di chiarificazione storica e di lotta<br />

rivendicativa immediata sono le cause<br />

principali per cui il capitalismo venezuelano<br />

ed il suo governo chavista hanno ordito<br />

freddamente con i delinquenti, con la mafia<br />

51<br />

locale controllata ed al servizio della polizia,<br />

prima la rapina, gli spari contro i fratelli di<br />

Douglas e poi l’esecuzione.<br />

La finalità perseguita con violenza<br />

reazionaria è tanto semplice quanto pratica:<br />

a) terrorizzare i suoi compagni, simpatizzanti<br />

e proletari, facendoli desistere e scomparire<br />

dalla scena del movimento rivendicativo; b)<br />

provocare una risposta di autodifesa armata<br />

da parte dei nostri compagni contro i mafiosi<br />

in condizioni sfavorevoli. In questo caso, la<br />

polizia e lo Stato capitalista avrebbero agito<br />

prontamente aprendo la caccia ai nostri<br />

compagni per difendere e proteggere i loro<br />

agenti paramilitari, le loro bande bianche,<br />

filofasciste o chaviste alla Napoleone III, così<br />

come le definì Marx nel testo classico “Le<br />

lotte di classe in Francia”, dichiarando,<br />

ufficialmente e pubblicamente, il <strong>Partito</strong><br />

<strong>Comunista</strong> <strong>Internazionale</strong> come il nemico da<br />

sterminare, azione per la quale conteranno<br />

sull’aiuto confederale di tutte le classi<br />

borghesi e degli Stati capitalisti di tutto il<br />

mondo.<br />

Dobbiamo riconoscere che non siamo in<br />

condizioni di rispondere alla violenza<br />

reazionaria con la violenza rivoluzionaria.<br />

In questa situazione siamo obbligati a<br />

difenderci politicamente, denunciando di<br />

fronte ai settori del proletariato che ci<br />

ascoltano, la politica repressiva ed<br />

antiproletaria della borghesia e del suo<br />

governo chavista.<br />

In questa situazione il nostro obiettivo<br />

principale sarà quello di dare continuità al<br />

lavoro politico e sindacale che andiamo<br />

realizzando, poiché riteniamo che sia stato<br />

questo lavoro di chiarificazione storicopolitico<br />

e di appoggio al coordinamento o<br />

all’organizzazione della lotta economicosindacale<br />

che hanno cercato di far abortire<br />

con la premeditata esecuzione del nostro<br />

compagno Douglas.


Le catastrofi ed il falso mito della scienza e della tecnica risolutrici<br />

Negli ultimi anni siamo continuamente<br />

martellati da un genere particolare di notizia:<br />

le catastrofi cosiddette “naturali”, che si sono<br />

presentate puntualmente sotto forma di<br />

un’alluvione, un terremoto con migliaia di<br />

vittime, un maremoto che distrugge intere<br />

isole e, per finire, di virus insidiosi che<br />

sembrano sfuggire al controllo umano.<br />

L’umanità insomma sopravvive arrancando in<br />

un crescendo di disastri che, sommati alle<br />

delizie tipiche della società capitalistica (crisi<br />

economica, guerre, disoccupazione), rendono<br />

sempre più precaria la nostra vita sul pianeta<br />

e gli effetti di tali disastri si manifestano in<br />

modo più sensibile nelle aree ad alta intensità<br />

di popolazione e sugli strati più poveri della<br />

stessa. Il marxismo da sempre ha dimostrato<br />

che é il capitalismo il diretto ed unico<br />

responsabile delle “catastrofi naturali”. Con<br />

questo non vogliamo dire che é il capitale che<br />

provoca i terremoti, gli uragani o che fa<br />

piovere in continuazione, ma che le tragedie<br />

che derivano dai suddetti fenomeni sono<br />

provocate o comunque aggravate nei<br />

loro aspetti più devastanti da ben precise<br />

cause economiche.<br />

Non sono gli eventi naturali in sé,<br />

insomma, ad uccidere gli uomini, ma é il<br />

modo di utilizzare le scoperte scientifiche e le<br />

loro applicazioni tecniche, che, agendo<br />

nell’ottica imposta dal modo di produzione<br />

capitalista, provoca i morti o quantomeno, li<br />

moltiplica; non é il terremoto in sé che<br />

provoca migliaia di vittime ma é il crollo delle<br />

case e delle infrastrutture che sono state<br />

progettate e realizzate secondo criteri di<br />

economicità.<br />

L’atteggiamento borghese nei confronti di<br />

queste catastrofi pretenderebbe che, dopo<br />

migliaia di anni di “progresso” nel campo<br />

delle conoscenze scientifiche, l’uomo<br />

padroneggiasse ormai la natura a tal punto da<br />

poter risolvere qualsiasi problema derivante<br />

da eventi particolari della biosfera terrestre<br />

grazie alle “straordinarie” risorse tecnologiche<br />

di cui ora dispone.<br />

Chi crede che la conoscenza tecnologica<br />

possa liberare l’uomo dalle sue miserie e dalle<br />

sue difficoltà risolvendo le contraddizioni<br />

insite nella società capitalistica é in realtà solo<br />

un sognatore: il fatto é che non esiste una<br />

tecnica al di sopra delle classi, frutto<br />

52<br />

dell’ingegno umano generico proprio perché<br />

non esiste l’ingegno umano generico, ma<br />

esiste solo l’ingegno umano applicato nelle<br />

condizioni storiche, sociali ed economiche<br />

date. Lo sviluppo sociale ed economico<br />

borghese impone infatti alla tecnologia di<br />

seguire un ben preciso indirizzo, e cioè di<br />

consentire uno sfruttamento delle risorse<br />

umane e naturali che in tanto é privo di<br />

qualsiasi limite nel suo dispiegamento<br />

intensivo in quanto é finalizzato<br />

esclusivamente alla produzione di valore e<br />

profitto. È proprio questo indirizzo che<br />

imprime alla attuale tecnologia<br />

caratteristiche borghesi e criminali ( 60 )<br />

e che, nello stesso tempo, risulta<br />

determinante nel distorcere il rapporto<br />

uomo-natura, ovvero nel provocare il degrado<br />

e l’esaurimento di quelle risorse ambientali<br />

che costituiscono la base oggettiva della<br />

continuazione della nostra vita di specie su<br />

questo pianeta.<br />

A chi possiamo ascrivere gli effetti<br />

devastanti della crescita esponenziale di una<br />

produzione industriale che ormai non<br />

risponde e non si proporziona più ad alcun<br />

bisogno umano: alla “fame ardente di<br />

sopralavoro” ( 61 ) di S. M. il Capitale, che<br />

proprio perciò inquina con una montagna<br />

60 “Non vi é potente fregnaccia, che la tecnica<br />

moderna non sia lì pronta ad avallare, e rivestire di<br />

plastiche verginali, quando ciò risponde alla<br />

pressione irresistibile del capitale e ai suoi sinistri<br />

appetiti” (“Politica e «costruzione»”, Prometeo, serie<br />

II, luglio-settembre 1952, n. 3-4).<br />

61 “La fame di sopralavoro (Capitale VIII, 2: Il<br />

capitale famelico di sopralavoro) non solo conduce<br />

ad estorcere ai vivi tanta forza di lavoro da<br />

abbreviarne l'esistenza, ma rende un buon affare la<br />

distruzione di lavoro morto, al fine di sostituirne i<br />

prodotti ancora utili con altro lavoro vivo. Come<br />

Maramaldo, il capitalismo, oppressore dei vivi, é<br />

omicida anche dei morti: «Appena popoli la cui<br />

produzione si muove nelle forme inferiori del lavoro<br />

degli schiavi, della corvée ecc., vengono attratti in un<br />

mercato internazionale dominato dal modo di<br />

produzione capitalistico, il quale fa evolvere a<br />

interesse preponderante la vendita dei loro prodotti<br />

all'estero, allora sull'orrore barbarico della schiavitù,<br />

della servitù della gleba, ecc. s'innesta l'orrore<br />

civilizzato del sovraccarico di lavoro». Il titolo<br />

originale del citato paragrafo é: «Der Heisshunger<br />

nach Mehrarbeit», letteralmente: «la fame ardente<br />

di sopralavoro»” (“Omicidio dei morti”, Battaglia<br />

<strong>Comunista</strong>, n. 24 del 19-31 dicembre 1951).


vieppiù crescente di scorie e di detriti solidi,<br />

liquidi e gassosi l’intero orbe terracqueo, alla<br />

putrescenza del capitalismo, all’asservimento<br />

totale della scienza e della tecnica alle sue<br />

esigenze di illimitato sfruttamento. A chi<br />

possiamo ascrivere la rapida crescita della<br />

popolazione mondiale, ma, soprattutto, la sua<br />

irrazionale distribuzione sulla crosta<br />

terrestre ossia la sua inumana concentrazione<br />

in megalopoli invivibili ( 62 ), se non al<br />

processo di concentrazione del Capitale, che<br />

impone di ammassare la forza-lavoro in<br />

prossimità degli impianti industriali per<br />

ridurre i costi di produzione? A chi possiamo<br />

ascrivere la sottoalimentazione diffusa della<br />

popolazione soprattutto urbana -ma non solo-<br />

dettata dal gap crescente tra agricoltura ed<br />

industria, se non alla congenita timidezza del<br />

capitalismo nel fare investimenti nel settore<br />

agrario, dove quella sua fame inesauribile<br />

urta contro i limiti posti dalla terra al ciclo di<br />

rotazione del capitale?<br />

“Non é tuttavia necessario essere<br />

marxisti per inquietarsi degli effetti<br />

devastatori del capitalismo in campi sempre<br />

più estesi della vita sociale. Perfino strati di<br />

piccola borghesia o della stessa borghesia<br />

[…] sono stati di recente presi dal terrore nel<br />

constatare che il mostro in putrefazione<br />

rischiava di sconvolgere il quieto ritmo della<br />

loro esistenza. Di qui il successo<br />

dell’«ecologismo» in quanto reazione ad<br />

alcune conseguenze del capitalismo” ( 63 ), ed<br />

anche la fisima e la “moda” di vivere ed<br />

alimentarsi con prodotti naturali, reazioni di<br />

cui non può non rilevare il carattere nello<br />

stesso tempo utopistico e retrovolto: se é<br />

vero infatti che l’ecologismo con “la sua<br />

miopia e la sua impotenza” ( 64 ) non é<br />

assolutamente in grado di risalire dalle<br />

conseguenze “alle […] cause reali e<br />

62 “La lotta rivoluzionaria per lo sventramento dei<br />

paurosi agglomerati tentacolari può definirsi:<br />

ossigeno comunista contro fogna capitalista. Spazio<br />

contro cemento. La corsa all'addensamento non ha<br />

per motivo la scarsezza di spazio, che malgrado la<br />

umana prolificità, figlia anche essa della<br />

oppressione di classe, abbonda ovunque e in ogni<br />

senso, ma le esigenze del modo capitalista di<br />

produzione, che inesorabilmente spinge avanti la<br />

sua scoperta del lavoro in masse di uomini”<br />

(“Spazio contro cemento”, il programma comunista,<br />

n. 1 dell’8-24 gennaio 1953).<br />

63 Prefazione ai “Drammi gialli e sinistri della<br />

moderna decadenza sociale”, Ed Iskra, pag. 10.<br />

64 Ibidem.<br />

53<br />

soprattutto di farvi fronte” ( 65 ), il<br />

naturalismo ad oltranza di quanti cedono alle<br />

suggestioni del “prodotto biologico” ad ogni<br />

costo, incuranti di tutto ed anche del fatto che<br />

il vento stesso porta comunque scorie<br />

tossiche di ogni genere sugli orticelli sedicenti<br />

“naturali” da cui traggono i loro alimenti, é<br />

intriso fino al midollo di nostalgie reazionarie<br />

per un “piccolo mondo antico” che non<br />

tornerà mai più.<br />

“Il responsabile dell’inquinamento della<br />

natura e della vita umana, delle distruzioni e<br />

delle catastrofi, non é né «l’uomo» in<br />

generale né «la società» in generale e ancor<br />

meno la famosa «civiltà industriale»,<br />

comodo luogo comune per mascherare i<br />

problemi reali; é un modo di produzione ben<br />

preciso, retto da leggi ben precise: il modo di<br />

produzione capitalistico” ( 66 ):<br />

l’accumulazione del capitale ed il processo<br />

della sua concentrazione comportano la<br />

generalizzazione e l’incremento inarrestabile<br />

della produzione delle merci mediante merci -<br />

la forza-lavoro dei salariati-. Questa legge<br />

sorregge tutta l’impalcatura sociale ed il suo<br />

sviluppo, regola tutti gli aspetti della vita<br />

umana: la nocività, l’inquinamento ed i<br />

cosiddetti “disastri naturali” non sono allora<br />

che degli aspetti particolari delle<br />

conseguenze inevitabili di questo<br />

sviluppo.<br />

Secondo gli ecologisti sarebbe possibile<br />

ovviare alle conseguenze dello sviluppo<br />

capitalistico e quindi far sì che questo mondo<br />

in disfacimento cambi pelle, che si ravveda ed<br />

innesti la retromarcia. In che modo?<br />

Semplicemente tornando a vivere in maniera<br />

naturale, quindi applicando al sistema<br />

borghese dei rimedi in grado di correggerne le<br />

storture. “Contrariamente a certi sproloqui<br />

ecologisti, quindi, la critica marxista si<br />

guarda bene dal fare l’apologia sistematica<br />

della natura e di tutto ciò che é «naturale»: a<br />

forza di chiacchiere sulla natura, dicevano<br />

Marx ed Engels, prima o poi si finisce per<br />

idealizzare lo stadio in cui gli uomini nudi<br />

grattavano la terra con le unghie in cerca di<br />

radici commestibili!” ( 67 ).<br />

Ai nostalgici irriducibili della “natura” e<br />

di tutto ciò che é naturale (e che non esiste<br />

più), agli ecologisti che si appellano alla<br />

65 Ibidem.<br />

66 Ibidem.<br />

67 Ibidem, pag. 11.


uona volontà dei governi e degli uomini<br />

come se questi fossero in grado di prendere<br />

decisioni autonome e di controllare il<br />

capitale, come se non fossero, viceversa, le<br />

sue esigenze di valorizzazione attraverso lo<br />

sfruttamento del lavoro e delle risorse<br />

naturali a controllare uomini e governi, noi<br />

diciamo che non tengono conto di un dato di<br />

fatto elementare: che la situazione attuale<br />

dell’uomo fa parte della sua “evoluzione<br />

naturale”, perciò il problema non é quello di<br />

tornare ad uno stadio precedente di quello<br />

sviluppo, ciò che, anche ammesso che fosse<br />

possibile, prima o poi ci riporterebbe alla<br />

situazione attuale, ma di spezzare con un<br />

piano di specie il ciclo infernale che<br />

caratterizza questo stadio del cammino<br />

umano, di por fine in tal modo alla serie<br />

delle forme sociali di produzione che<br />

procedono ancora senza “coscienza” (quindi<br />

di chiudere il capitolo della preistoria<br />

dell’umanità) e di adoperare il potenziale<br />

delle conoscenze tecnico-scientifico sin qui<br />

raggiunto per armonizzare nuovamente<br />

uomo e natura su un piano più elevato<br />

rispetto a quello delle origini. Quello che la<br />

Sinistra ha sempre criticato, dunque, non é il<br />

fatto che si intervenga sulla natura, ma il fatto<br />

che il capitalismo, spinto dalla corsa al<br />

profitto, metta sottosopra il mondo senza<br />

darsi pensiero delle conseguenze a lungo<br />

termine.<br />

Sembra a chi é ancora suggestionato da<br />

Madonna Democrazia che a decidere sia la<br />

società tutta, ma queste libere “scelte” in ogni<br />

campo della vita politica e sociale non sono<br />

altro che una pia illusione: la Sinistra<br />

<strong>Comunista</strong> ha infatti dimostrato e continua a<br />

dimostrare l’inconsistenza dell’individuo ed il<br />

peso del tutto virtuale del suo pensiero e delle<br />

opzioni che ne derivano, mettendo in rilievo,<br />

tra l’altro, che l’individuo creato da questa<br />

società é ancor più inetto ed incapace degli<br />

uomini prodotti dalle precedenti formazioni<br />

economico-sociali. L’homo capitalisticus,<br />

ossia l’uomo comune dei nostri tempi, é<br />

quanto mai lontano dalla padronanza delle<br />

conoscenze scientifiche e tecnologiche, perché<br />

ne é stato radicalmente espropriato dallo<br />

sviluppo millenario delle società di classe, che<br />

ha provocato la frammentazione del<br />

sapere e la specializzazione tecnica spinta<br />

ed esasperata fino al punto di erigere delle<br />

barriere insormontabili tra i diversi settori<br />

della scienza. Processo, questo, che ha<br />

54<br />

raggiunto il culmine nella società capitalista e<br />

che proprio perciò ha comportato la<br />

alienazione totale dell’uomo dalla<br />

comprensione dell’ambiente naturale e<br />

sociale che lo circonda: si tratta di una vera e<br />

propria frantumazione delle conoscenze, tale<br />

per cui alla scala individuale ogni specialista<br />

nulla conosce all’infuori dell’orticello del<br />

proprio settore, dell’ambito ristretto di una<br />

singola branca tecnica o addirittura di una<br />

parte di essa, perdendo così –se mai l’avesse<br />

avuta- la visione delle conseguenze che il suo<br />

operare particolare provoca su scala generale.<br />

Tutto questo fa parte del processo di<br />

scadimento generale ed irreversibile<br />

nell’applicazione della conoscenza tecnica.<br />

Questa degenerazione della tecnica,<br />

intesa come azione e lotta dell’uomo “contro<br />

la natura” anche se non necessariamente<br />

come “sfruttamento della natura” e quindi<br />

come azione “contro natura” ( 68 ), é dovuto<br />

essenzialmente al modo di operare del<br />

capitale, che ha bisogno di crescere<br />

continuamente oggettivizzando lavoro vivo e<br />

provocando in tal modo quelli che sembrano<br />

dei paradossi: ci riferiamo al fatto, ad<br />

esempio, che 2000 anni fa a Roma si<br />

costruivano acquedotti ed impianti idraulici e<br />

fognari con materiali poveri, opere che per la<br />

maggior parte sono ancora funzionanti, che<br />

nel centro della città eterna si possono tuttora<br />

ammirare edifici abitativi che hanno più di<br />

600 anni. Ciò da cui si arguisce che l’ulteriore<br />

sviluppo tecnico e scientifico avrebbe dovuto<br />

darci risultati a dir poco fantascientifici,<br />

mentre si assiste stupefatti ed increduli al<br />

fatto che case, scuole e mercati, costruiti 30 –<br />

40 anni fa con le più moderne tecniche ed i<br />

più moderni materiali crollino per debolezza<br />

strutturale.<br />

Come é stato ben scritto nella<br />

presentazione di una raccolta di testi della<br />

Sinistra sul tema dell’ambiente naturale e del<br />

suo degrado, “il capitalismo non é innocente<br />

neppure nelle catastrofi dette «naturali».<br />

Senza ignorare l’esistenza di forze della<br />

68 “Con la scienza, la tecnica e il lavoro, l’uomo<br />

sfrutta la natura? Non é vero, e il rapporto<br />

intelligente tra uomo e natura nascerà quando non<br />

si faranno questi conti, e calcoli di progetto, in soldi,<br />

ma in grandezze fisiche, ed umane” in quanto<br />

“sfruttare si può dire quando un gruppo umano<br />

sfrutta l’altro” (“La leggenda del Piave”, il<br />

programma comunista. 1-15 novembre 1963, n. 20).


natura che sfuggono all’azione umana, il<br />

marxismo mostra che un buon numero di<br />

cataclismi é indirettamente provocato, o<br />

aggravato, da cause sociali. Che piova senza<br />

sosta (o non piova affatto) é un fatto<br />

naturale, ma che ne segua un’inondazione (o<br />

una siccità) é un fatto sociale. Analogamente,<br />

le scosse sismiche delle Ande sfuggono al<br />

controllo dell’uomo; ma il fatto che<br />

distruggano le città del Perù, mentre Macchu<br />

Piccu vi resiste da secoli, ha cause sociali. […]<br />

Non solo la società borghese può essere<br />

causa diretta di queste catastrofi per la sua<br />

sete di profitto e per l’influenza<br />

predominante dell’affarismo sulla macchina<br />

amministrativa” ( 69 ), ciò che significa<br />

prevaricazione sistematica del pubblico<br />

interesse da parte della macchina dello stato,<br />

ma si rivela anche del tutto “impotente ad<br />

organizzare una protezione efficace nella<br />

misura in cui la prevenzione non é un’attività<br />

redditizia” ( 70 ). Nonostante questa incapacità<br />

di lottare contro le catastrofi, comunque “si<br />

può stare certi che questa società […] sa<br />

perfettamente estrarne dell’oro non solo<br />

grazie ai succulenti «piani di ricostruzione»<br />

ma anche agli stuoli di avvoltoi<br />

dell’affarismo che seguono i disastri per<br />

intascare la loro parte di sovvenzioni e<br />

crediti di emergenza, distribuiti dallo Stato<br />

in funzione di calcoli … elettorali” ( 71 ).<br />

Mentre gli organi borghesi di<br />

informazione individuano le cause di tali<br />

disastri nell’avidità e nell’incoscienza<br />

dell’individuo, giova ricordare ancora una<br />

volta qual’é la reale natura del capitale. “Il<br />

capitale é timido per natura: dagli la<br />

possibilità di guadagnare il dieci per cento e<br />

mette appena fuori la testa, dagli la<br />

possibilità di guadagnare il 30 per cento e si<br />

mette ad investire, dagli la possibilità di<br />

guadagnare il 50 per cento e si fa temerario,<br />

dagli la possibilità di guadagnare il cento<br />

per cento e quello ammazza, dagli la<br />

possibilità, di guadagnare il 300 per cento e<br />

quello arriva al genocidio” (Il Capitale di<br />

Marx).<br />

La potenza delle “catastrofi” non si può<br />

prevedere con certezza, ma si conoscono bene<br />

le aree dove possono colpire con maggior<br />

69 Prefazione ai “Drammi gialli e sinistri della<br />

moderna decadenza sociale”, Ed Iskra, pagg. 8-9.<br />

70 Ibidem, pag. 9.<br />

71 Ibidem, pag. 10.<br />

55<br />

virulenza. Sicuramente fino ad oggi è<br />

possibile fare ben poco per evitarle, ma fin<br />

dall’antichità si conoscono, modi e mezzi<br />

perché esse rechino minor danno possibile<br />

alla specie umana. Sembra sia passato un<br />

secolo dallo tzunami che distrusse i paesi<br />

asiatici invece é passato poco più di un anno<br />

da quel fatidico 26 dicembre 2004 che ha<br />

provocato più di 200.000 morti e centinaia di<br />

feriti. Tra questi ci sono stati circa 10.000<br />

morti occidentali, in gran parte turisti: forse a<br />

questo é dovuto il perdurare della cronaca,<br />

sciacallesca e cinica, che ci riproponevano i<br />

mass-media. Una tragedia immane che i<br />

mezzi d’informazione e i suoi opinionisti<br />

prezzolati hanno fatto presto a definire senza<br />

precedenti, ma che di precedenti ne ha,<br />

eccome. Proprio in quell’area (nel<br />

poverissimo e popolatissimo Bangladesh)<br />

appena 34 anni fa un tifone durato 15 ore e<br />

uno tzunami spazzò via circa 500.000<br />

persone. Ma allora la grancassa mediatica si<br />

spense quasi subito.<br />

Eppure le cosiddette “catastrofi naturali”<br />

ogni anno colpiscono circa 211 milioni di<br />

persone, 2/3 dei quali vivono nei paesi del<br />

Sud del mondo. A detta di alcuni “esperti” la<br />

causa di questo squilibrio nella distribuzione<br />

delle catastrofi sulla crosta terrestre<br />

risiederebbe nella morfologia e nelle<br />

condizioni geologiche e/o meteorologiche che<br />

caratterizzano quei territori. Ottimo<br />

paravento dietro cui nascondersi per non dire<br />

le cose come stanno, in primo luogo che le<br />

vere ragioni di ciò risiedono in qualcosa che<br />

non é affatto naturale, cioè nell’ineguale<br />

sviluppo del saccheggio e della<br />

distruzione della natura operati dal modo<br />

di produzione capitalistico, specie adesso che<br />

si trova nella sua fase senescente ed<br />

imperialista. Modo di produzione che impone<br />

di produrre per la produzione e quindi di<br />

sprecare, di intasare di detriti e di scorie<br />

tossiche le discariche seminate un po’<br />

ovunque nel mondo. Che si concentrano,<br />

guarda caso, proprio dove i disastri “naturali”<br />

imperversano, ossia nei paesi capitalisti più<br />

deboli e meno attrezzati sul terreno della<br />

competizione con i grandi mostri statali.<br />

L’ultima catastrofe avvenuta nelle Filippine,<br />

se ce n’era bisogno, è solo il più recente<br />

esempio di questa logica. Il processo di<br />

imputridimento di questa società corre ad<br />

una velocità pazzesca, e quella di “salvarsi<br />

l’anima” con un piccolo obolo “umanitario” é


un’illusione alimentata solo dall’ipocrisia,<br />

tanto più che questo obolo inviato nelle zone<br />

disastrate é rappresentato di solito da generi<br />

alimentari e farmaci scaduti. Sulle sciagure<br />

umane non prospera solo l’affarismo<br />

borghese, ma anche la truffa, che é poi<br />

l’anima di quell’affarismo.<br />

Si sa che i terremoti non si possono<br />

prevedere con certezza, ma oggi si conoscono<br />

bene le aree sismiche e si conoscono bene<br />

anche le tecniche di costruzione utili a che gli<br />

edifici vi resistano o comunque idonee a<br />

ridurre il rischio dei crolli. Quando le scosse<br />

telluriche si scatenano sul fondo marino<br />

provocano anche onde gigantesche che non é<br />

possibile fermare, fenomeno ben noto alle<br />

popolazioni di Reggio Calabria e Messina che<br />

il 28 dicembre 1908 hanno subito uno dei<br />

terremoti più forti avvenuti in Europa negli<br />

ultimi cinque secoli. Terrificante come quello<br />

del Sud est asiatico e seguito anche allora da<br />

un maremoto che inghiottì interi paesi.<br />

Ancora oggi non si sa con certezza quanti ne<br />

restarono sotto le macerie o quelli che<br />

annegarono, le stime parlano di circa 200<br />

mila morti. Rimasero in piedi solo il 2% degli<br />

edifici. Ma quel che é certo é che costruzioni<br />

anti-sismiche avrebbero ridotto sensibilmente<br />

la percentuale degli edifici distrutti e, di<br />

riflesso, il numero dei morti così nel 1908<br />

come nel 2004.<br />

Uno dei disastri che ha fatto parlare<br />

molto i mass-media ed ha fatto consumare<br />

fiumi di inchiostro é avvenuto nella<br />

cosiddetta “patria della libertà”. Molti si sono<br />

chiesti come é possibile che, nonostante le<br />

sviluppate scienza e tecnica, nella<br />

superevoluta America siano potute accadere<br />

catastrofi come quella di New Orleans.<br />

Quest’area é stata ripetutamente colpita dalle<br />

inondazioni del Mississippi e dagli uragani,<br />

che in questi ultimi anni sono sempre più<br />

violenti e più frequenti. Bisogna dire che<br />

l’esondazione del fiume poteva essere ben<br />

prevista, visto che New Orleans é una delle<br />

tante città americane contro natura: si<br />

trova infatti sotto il livello del mare e sta<br />

sprofondando ad una velocità di due<br />

centimetri l’anno. La “soluzione” di costruire<br />

argini sempre più alti messa in atto dal<br />

capitalismo non é servita a nulla, perché le<br />

sollecitazioni dell’acqua provocate<br />

dall’uragano li ha fatti miseramente crollare e<br />

quindi la città é finita sott’acqua. Questa<br />

massa d’acqua ha fatto venire a galla la<br />

56<br />

miseria che attanaglia gli Stati Uniti. E, come<br />

da copione, chi ha pagato il prezzo più alto<br />

non sono stati certo i governanti, i finanzieri o<br />

i capitani d’industria, ma i ceti più poveri.<br />

Le televisioni ci hanno fatto vedere chi<br />

erano i profughi, i disperati, i morti. Erano<br />

quelli che non avevano dove andare, per lo<br />

più neri di pelle o comunque appartenenti a<br />

ceti non abbienti. Per questi proletari, la<br />

potenza “più grande del mondo” non ha<br />

saputo o voluto approntare un piano di<br />

evacuazione degno di questo nome. I primi<br />

“soccorsi” che sono stati inviati erano i<br />

riservisti della guardia nazionale, mandati lì<br />

non per aiutare i disperati, ma per difendere<br />

la proprietà privata con l’ordine di sparare a<br />

vista, contro quei proletari spinti dalla fame e<br />

colpiti dalla paura e dalla disperazione che<br />

tentavano di impadronirsi di qualsiasi merce.<br />

Si é quindi assistito al secondo atto del<br />

dramma, si sono viste persone aggredite e<br />

ammazzate dai militari perché, una volta<br />

lasciate senza aiuti in una città fantasma,<br />

avevano “osato” prendersi da sé quello di cui<br />

avevano bisogno. Il messaggio non potrebbe<br />

essere più chiaro: anche di fronte<br />

all’apocalisse il capitalismo é ben risoluto a<br />

difendere ad ogni costo la proprietà privata,<br />

arrivando a far morire di fame intere<br />

popolazioni.<br />

Concludiamo citando un articolo apparso<br />

sul Programma <strong>Comunista</strong> nel dicembre<br />

1966, che rappresenta un ottimo ponte in<br />

quanto poggia efficacemente sugli scritti<br />

precedenti: si richiama infatti il “Filo del<br />

Tempo” del 1951 intitolato “Omicidio dei<br />

morti”:<br />

“In Italia abbiamo una vecchia<br />

esperienza delle «catastrofi che si abbattono<br />

sul nostro paese» e abbiamo una certa<br />

specializzazione nel «montarle». Terremoti,<br />

inondazioni, nubifragi, epidemie…<br />

Indiscutibilmente, gli effetti sono sensibili<br />

soprattutto sui popoli ad alta densità e più<br />

poveri, e, se cataclismi spesso terrificanti<br />

assai più dei nostri si abbattono su tutti gli<br />

angoli della terra, non sempre tali<br />

sfavorevoli condizioni sociali coincidono con<br />

quelle geografiche e geologiche. […] Il nostro<br />

capitalismo, poco importante<br />

quantitativamente, ma all’avanguardia non<br />

da oggi, in senso «qualitativo», della<br />

borghese civiltà, di cui offrì i più grandi<br />

precursori tra lo splendere del rinascimento,


ha sviluppato in modo maestro la economia<br />

della sciagura.” ( 72 ).<br />

Poi l’articolo proseguiva rammentando<br />

che proprio in quel “Filo” si era spiegato “il<br />

meccanismo, misterioso ai gonzi ma chiaro<br />

come il sole ai marxisti, per cui la civiltà<br />

borghese, ultratecnica e ultrascientifica come<br />

si vanta di essere, non solo non garantisce<br />

l’umanità dai disastri, ma li provoca e ci vive<br />

sopra, e, più continua a sussistere come un<br />

cadavere che purtroppo cammina, più trae dal<br />

doppio omicidio – dei morti, cioè delle opere<br />

trasmesse a noi dal passato, e dei vivi, cioè<br />

della forza-lavoro spremuta nelle orge della<br />

ricostruzione – la forza di durare<br />

minacciando sempre più gli abitanti del<br />

pianeta. Ricordammo questo meccanismo in<br />

una sintesi che appare oggi confermata per<br />

l’ennesima volta – anzitutto perché il disastro<br />

si é, come prevedevamo, ripetuto e in secondo<br />

luogo perché, come era nei presagi, la sua<br />

ripetizione é avvenuta su scala tanto maggiore<br />

quanto più gli anni di sopravvivenza del<br />

capitalismo si sono allungati: «il Capitale –<br />

scrive Marx – é lavoro morto che, simile al<br />

vampiro, si rianima solo succhiando il lavoro<br />

vivente, e la sua vita é tanto più lieta quanto<br />

più gli é dato di succhiarne». Il capitale<br />

moderno, avendo bisogno di consumatori<br />

perché ha bisogno di produrre sempre di più,<br />

ha tutto l’interesse a inutilizzare i prodotti del<br />

lavoro morto (gli argini, i ponti, le dighe e via<br />

dicendo) per imporre la rinnovazione con<br />

lavoro vivo, il solo dal quale succhia profitti.<br />

Ecco perché va a nozze quando la guerra<br />

viene ed ecco perché si è ben allenato alla<br />

prassi della catastrofe” ( 73 ).<br />

Tutti i disastri (“naturali” e non) non<br />

troveranno dunque alcuna soluzione nella<br />

società capitalistica, potranno essere<br />

alleviati ed in parte risolti solo nella società<br />

comunista perché in essa saranno<br />

completamente rovesciati i rapporti sociali<br />

nell’ambito della produzione e dello scambio.<br />

L’essenza di tale società consiste infatti<br />

non solo nell’abolizione della merce, e quindi<br />

del lavoro salariato e del denaro, ma anche<br />

“nell’abolizione della divisione tecnica e<br />

sociale del lavoro, che vuol dire rottura dei<br />

72 “Omicidio dei morti”, Battaglia <strong>Comunista</strong>, n. 24<br />

del 19-31 dicembre 1951.<br />

73 “La classe dominante non pianga sulle sciagure ci<br />

ha sempre vissuto e ci vivrà sopra” il programma<br />

comunista, n. 21, 21 novembre – 5 dicembre 1966.<br />

57<br />

confini tra azienda e azienda di produzione,<br />

abolizione del contrasto tra città e campagna,<br />

sintesi sociale della scienza e della attività<br />

pratica umana”.<br />

L’accumulazione, nella società<br />

comunista, intesa come accumulazione di<br />

valori d’uso e non di valori di scambio, sarà<br />

lenta e solo di poco superiore alla crescita<br />

demografica.<br />

Il calcolo economico non si baserà più sul<br />

valore, ma sull’utilità del prodotto per la<br />

specie umana; l’economia sarà<br />

programmata secondo un piano di<br />

sottoproduzione, con simultanea crescita dei<br />

costi di produzione, riduzione della giornata<br />

di lavoro, disinvestimenti e livellamento dei<br />

consumi. Non vi sarà alcuna proprietà della<br />

terra e dei suoi prodotti neppure da parte<br />

della società, che ne sarà una semplice<br />

usufruttuaria tenuta ad amministrare il<br />

suolo allo scopo di trasmetterlo migliorato<br />

alle generazioni future. Ed infine, non si<br />

cercherà una “maggiore giustizia”<br />

distribuendo a tutti il plusvalore, o pagando<br />

la forza–lavoro al suo vero valore, perché il<br />

lavoro non avrà più valore e il salario<br />

scomparirà, resterà solo il pluslavoro come<br />

lavoro donato alla società. Questo é il nostro<br />

programma rivoluzionario, tante volte<br />

esposto sulla nostra stampa e nei nostri testi,<br />

che rivendichiamo da oltre un secolo, e che<br />

oggi, soli tra tutti, riproponiamo nella sua<br />

interezza.<br />

Esso non passa attraverso impossibili<br />

“rivoluzioni verdi”, o vuote fantasie su un<br />

capitalismo che produce di meno e non<br />

consuma, né si fa strada attraverso mercati<br />

pretesi socialisti o grazie ad un commercio<br />

“equo e solidale”, e neppure attraverso una<br />

democratizzazione degli apparati militari e<br />

polizieschi che dominano il mondo.<br />

Passa solo ed esclusivamente attraverso<br />

l’abbattimento violento di tutti gli apparati<br />

statali esistenti da parte della Rivoluzione<br />

proletaria ed attraverso la Dittatura del<br />

proletariato guidato dal <strong>Partito</strong> comunista.<br />

Per dura che sia, questa é l’unica strada<br />

realisticamente percorribile che conduce alla<br />

liquidazione della società borghese in<br />

decomposizione ed alla nascita, con la<br />

società comunista, di un armonioso incontro<br />

tra specie umana e natura.


Il nostro intervento nella lotta alla Marzotto<br />

Negli ultimi mesi, oltre ad intervenire con<br />

i nostri volantini negli scioperi contrattuali e<br />

“politici” organizzati dalle sigle sindacali, ci<br />

siamo trovati ad intervenire pure in realtà più<br />

vicine, scaturite dalla crisi economica di<br />

alcuni settori produttivi e di alcune realtà<br />

aziendali. Nella provincia di Vicenza, ad<br />

esempio, in occasione di una ristrutturazione<br />

aziendale della FIAMM, fabbrica che produce<br />

batterie per autoveicoli, siamo intervenuti con<br />

il volantino “Scendere in lotta” in una<br />

manifestazione organizzata dai confederali<br />

contro i licenziamenti e per il rinnovo del<br />

contratto dei metalmeccanici. Il volantino è<br />

stato molto apprezzato e diffuso tra gli operai<br />

proprio perché richiamava alla loro mente il<br />

ricordo ormai lontano di quali devono e<br />

dovranno essere i metodi e gli obiettivi che<br />

essi debbono perseguire per difendere<br />

quotidianamente le loro condizioni materiali<br />

di vita e di lavoro. Si è trattato insomma,<br />

come sempre, di reintrodurre l’ABC della<br />

lotta sindacale all’interno di una classe<br />

operaia confusa e frastornata. Nella stessa<br />

direzione abbiamo impostato, alcuni mesi<br />

dopo, la nostra azione all’interno della lotta<br />

contro i licenziamenti del gruppo tessile<br />

Lanerossi-Marzotto di Schio-Valdagno. Negli<br />

scorsi decenni, infatti, la sezione di Schio ha<br />

mantenuto la sua continuità fisica e storica<br />

grazie anche al passaggio del testimone dei<br />

nostri vecchi militanti impiegati come operai<br />

tessili, che ci hanno trasmesso un programma<br />

già elaborato nel corso della storia. I fatti<br />

relativi alla vicenda Lanerossi-Marzotto si<br />

sono svolti in modo esemplare: i sindacati<br />

confederali fregano gli operai coi piagnistei<br />

sulla difesa del posto di lavoro, che si<br />

dovrebbe conseguire con le solite, inutili e<br />

sterili azioni coinvolgenti le forze sociali,<br />

politiche ed ecclesiastiche schierate sulla<br />

trincea della conservazione borghese e che<br />

non possono, quindi, che ridursi a qualche<br />

oretta di sciopero castrato, inoffensivo, che<br />

non danneggi cioè la già critica situazione<br />

aziendale col solito corollario di conferenze<br />

politiche utili solo a fare da palcoscenico alle<br />

marionette vendute al capitale. Nel frattempo<br />

il sindacato di base CUB, che ha raccolto<br />

qualche piccola adesione tra gli operai del<br />

gruppo, era riuscito a fare eleggere all’interno<br />

delle RSU un proprio delegato, su cui<br />

naturalmente si sono riversate le “attenzioni”<br />

58<br />

aziendali e che conseguentemente è stato<br />

licenziato in tronco per “negligenza”. Questa<br />

iniziativa aziendale non ha suscitato<br />

unicamente una reazione della CUB, ma ha<br />

visto il nostro intervento in questa lotta<br />

originatasi per difendere il lavoratore colpito<br />

dalla rappresaglia della Marzotto. I mezzi di<br />

lotta che sono stati messi in campo, ovvero lo<br />

sciopero improvviso, il picchettaggio duro<br />

davanti alle portinerie dell’azienda, la<br />

possibilità di parlare direttamente di fronte<br />

agli operai, ci ha trovato pronti e disponibili a<br />

contribuire alla lotta e ci ha dato la possibilità<br />

materiale di un contatto diretto con la classe<br />

in modo da riproporre le nostre posizioni<br />

sindacali, che non sono solo rivendicazioniste,<br />

ma puntano all’obiettivo di affasciare gli<br />

operai e di ricondurli su obiettivi<br />

propriamente di classe. Questo episodio<br />

isolato, ma non marginale, che si è risolto con<br />

il reintegro dell’operaio colpito, allo stato<br />

attuale dei fatti non ci può far prevedere una<br />

ripresa di lotta generalizzata degli operai del<br />

gruppo che impedisca i licenziamenti.<br />

Bisogna tener conto del fatto che il settore<br />

tessile ha subito le trasformazioni<br />

caratteristiche del passaggio dalla<br />

concentrazione capitalista alla<br />

centralizzazione; anche se alla Marzotto<br />

residua la struttura fisica di controllo della<br />

forza-lavoro dell’antica fabbrica-galera e della<br />

città-fabbrica paternalistica, lo<br />

sconvolgimento e le contraddizioni dello<br />

sviluppo capitalistico che porta alle<br />

“delocalizzazioni selvagge” fa solo<br />

pronosticare una chiusura in tempi brevi delle<br />

strutture produttive della zona che occupano<br />

attualmente 1300 operai. Per noi è<br />

importante che, comunque, anche se isolata<br />

nell’ambito di una singola fabbrica la lotta ha<br />

pagato e che, per i proletari, alzare la testa è<br />

possibile. Noi sicuramente non ci illudiamo,<br />

ma mettere in pratica quando ci è possibile i<br />

nostri metodi di lotta e le nostre parole<br />

d’ordine ci prepara alle lotte future. Questo<br />

episodio, come molti altri, ci insegna ad avere<br />

il controllo dell’ansia di attività e di crescita<br />

che è uno dei nodi fondamentali da risolvere<br />

quando si tratta di impostare un lavoro,<br />

perché tale ansia deriva da una errata<br />

valutazione dei compiti e dell’ambiente,<br />

insomma della cosiddetta situazione. Occorre<br />

essere consapevoli invece del fatto che certi<br />

atteggiamenti di resa e di rassegnazione da


parte proletaria non derivano da debolezze<br />

individuali della classe operaia medesima, ma<br />

da una pesante determinazione sociale<br />

aggravata dalla controrivoluzione dominante.<br />

LOTTANDO PER I PROPRI INTERESSI SI DIFENDONO<br />

Fin dall’inizio di questa bruttissima<br />

vicenda che vede coinvolto il vostro<br />

compagno di lavoro Daniele, noi comunisti ci<br />

siamo schierati al suo fianco assieme al suo<br />

piccolo sindacato e a tutti quegli operai che in<br />

cuor loro non hanno mai creduto alle<br />

menzogne fatte girare sul suo conto nelle<br />

ultime settimane dai delatori al servizio della<br />

Marzotto. Per noi, infatti, questo<br />

licenziamento non è che l’ennesimo esempio<br />

di rappresaglia antioperaia messa in atto dai<br />

padroni per far fuori i lavoratori più<br />

combattivi, quei pochi lavoratori che come<br />

dicono lorsignori “si ostinano a non voler<br />

collaborare per il bene (= profitto!)<br />

dell’azienda”. E Daniele, nello svolgere la sua<br />

attività di delegato sindacale della Cub prima<br />

di essere licenziato, non combatteva<br />

unicamente contro i dirigenti della Marzotto e<br />

contro le loro imposizioni, ma si opponeva<br />

pure alla logica collaborazionista di svendita<br />

degli interessi operai portata avanti dai tre<br />

sindacati confederali, questi falsi difensori dei<br />

lavoratori che oggi sottoscrivono gran parte<br />

delle accuse imputate a Daniele per<br />

supportare la presunta “negligenza” che<br />

avrebbe dimostrato sul posto di lavoro. Del<br />

resto, che atteggiamento hanno finora tenuto<br />

i capi sindacali della Cgil-Cisl-Uil di fronte<br />

alle continue ristrutturazioni e<br />

delocalizzazioni praticate dal gruppo<br />

Marzotto? E in relazione al caso Lanerossi,<br />

come si sono comportati di fronte allo<br />

spostamento delle produzioni tessili in<br />

Lituania e Rep. Ceca, e che serie iniziative di<br />

lotta hanno intrapreso per difendere i<br />

lavoratori dello stabilimento di Schio<br />

minacciati di licenziamento (ricordiamo i più<br />

di 400 operai lasciati a casa nel 2000 e gli<br />

attuali 125 “esuberi” abbandonati nei gazebo<br />

di fronte ai cancelli della fabbrica ormai<br />

chiusa)? I fatti parlano da sé, e finchè la<br />

cosiddetta risposta o reazione operaia è nelle<br />

mani traditrici dei dirigenti confederali si<br />

dovranno subire i licenziamenti, le<br />

rappresaglie e tutte le angherie padronali<br />

come calamità naturali a cui ci si deve<br />

ANCHE I LAVORATORI COLPITI<br />

59<br />

rassegnare e a cui non è “concesso”<br />

contrapporsi.<br />

Lavoratori!<br />

Solo i democratici ottusi e moralisti si<br />

scandalizzano quando noi comunisti<br />

grattando la pelle del padrone ritroviamo il<br />

sindacalista o il politicante affittato agli<br />

interessi aziendali. Non è di certo colpa<br />

nostra se sui gradini della direzione aziendale<br />

troviamo prima dei vari direttori i capi<br />

confederali e i peggiori attivisti politici servi<br />

del padrone (esempio: anche alla Marzotto ex<br />

avanguardie operaie, cedendo alla diffusa<br />

corruzione aziendale e sindacale, si sono<br />

vendute e hanno fatto strada in azienda, nel<br />

sindacato confederale e pure in politica). Non<br />

è per nostro pregiudizio se ad indicare<br />

obiettivi e metodi falsi di lotta ritroviamo non<br />

solo il classico borghese democratico ma<br />

anche il falso amico degli operai. In queste<br />

condizioni non si vede come non sia possibile<br />

rivolgere i nostri attacchi alla borghesia senza<br />

contemporaneamente colpire i suoi<br />

sostenitori che si mascherano da difensori<br />

della classe operaia. Tutti i lavoratori riescono<br />

ad individuare il capitalista o chi ne tira i fili<br />

in fabbrica, le sue funzioni di nemico, i suoi<br />

metodi dittatoriali, i suoi strumenti violenti,<br />

la sua rete di spie e di lacchè; ma pochissimi<br />

lavoratori riescono a riconoscere la politica di<br />

disarmo e di disorientamento praticata dai<br />

bonzi sindacali e da tutti quegli opportunisti<br />

che alla fine difendono questa società del<br />

profitto e del mercato riempiendosi la bocca<br />

di democrazia e di diritti.<br />

E’ facile per i sindacalisti o per i<br />

politicanti di “sinistra” dire: noi difendiamo<br />

gli interessi dei lavoratori. Anche i preti<br />

oramai dicono da tempo di difendere i<br />

lavoratori, soprattutto da quando la crisi e le<br />

delocalizzazioni lasciano senza lavoro e<br />

garanzie sociali migliaia di operai, oltre a<br />

seminare miseria e incertezza crescenti. Ma<br />

chi è rimasto ad indicare ai lavoratori i reali<br />

obiettivi per cui lottare e i metodi incisivi ed


efficaci per difendere veramente le proprie<br />

condizioni di vita e di lavoro?<br />

Il capitalismo vuole la divisione dei<br />

lavoratori per mettere gli uni contro gli altri.<br />

Ma nulla viene fatto ovviamente da questi<br />

“falsi difensori” per l’unità della classe<br />

operaia, se non accordi e concertazioni sulla<br />

pelle di chi lavora e vive di solo salario.<br />

Diamo invece a tutti i lavoratori obiettivi<br />

comuni e chiari, invitiamo gli operai a battersi<br />

per forti aumenti salariali (maggiori per le<br />

categorie peggio pagate) e non per le solite<br />

elemosine, per la riduzione della giornata<br />

lavorativa, per migliori condizioni di<br />

lavoro; cerchiamo di chiamare alla lotta<br />

tutte le categorie di tutte le aziende<br />

(senza distinzioni tra occupati e disoccupati,<br />

precari e immigrati), con scioperi<br />

improvvisi e decisi ad oltranza, ed<br />

otterremo unità e forza, solidarietà e<br />

coscienza.<br />

Ma i dirigenti sindacali comportandosi in<br />

maniera opposta, frantumando le lotte,<br />

indicando obiettivi in difesa delle aziende,<br />

dell’economia nazionale e dello Stato,<br />

rifuggendo dall’uso di classe dell’arma dello<br />

sciopero, favorendo la divisione degli operai<br />

con la crescente differenziazione dei salari e<br />

dei contratti, si alleano coscientemente o non<br />

con i padroni, con i borghesi, col loro stato di<br />

oppressione e sfruttamento. Questa è la<br />

tragica e concreta realtà, la cui responsabilità<br />

cade sulle spalle di coloro i quali la negano o<br />

la nascondono.<br />

<strong>Partito</strong> <strong>Comunista</strong> <strong>Internazionale</strong><br />

Sede: via Porta di Sotto n°43, Schio (VI) – è aperta il sabato dalle ore 16.00 alle 19.00<br />

Sito internet: http://www.sinistracomunistainternazionale.it - E-mail:<br />

sinistracomunistaint@libero.it<br />

14/11/2005 – Fotocopiato in proprio<br />

60


Lavoratori!<br />

In queste ultime settimane la triplice Fiom-<br />

Fim-Uilm ci sta coinvolgendo nell’ennesima<br />

sequenza di sterili scioperi indetti con le solite<br />

modalità attendiste e disarmanti (10 orette di<br />

mobilitazione in tutto, preannunciate da quasi<br />

un mese e distribuite col contagocce), per<br />

“controbattere” alla netta chiusura dimostrata<br />

da Federmeccanica nella trattativa per il<br />

rinnovo del contratto nazionale dei<br />

metalmeccanici, e soprattutto “per chiedere a<br />

Istituzioni e Governo di intervenire di fronte al<br />

disastro delle delocalizzazioni”. Secondo gli<br />

ultimi dati infatti, a causa delle crisi aziendali e<br />

delle delocalizzazioni sono 500 mila in Italia i<br />

posti di lavoro a rischio, mentre in Veneto i<br />

lavoratori in cassa integrazione e in mobilità<br />

sono 20 mila, di cui 5 mila nella sola provincia<br />

di Vicenza. Nel Nordest del “miracolo” ormai<br />

tramontato e del modello produttivo basato sui<br />

bassi salari drogati dagli straordinari e sul<br />

supersfruttamento della forza lavoro, molte<br />

fabbriche hanno già chiuso o stanno<br />

chiudendo, gli industriali ristrutturano e<br />

spostano la produzione in Romania e in Cina. E<br />

intanto prosegue lo stillicidio di licenziamenti:<br />

alla Zoppas, alla De Longhi, alla Safilo, alla Iar<br />

Siltal, alla Fiamm e in centinaia di medie e<br />

piccole aziende del frammentato tessuto<br />

industriale veneto.<br />

I sindacati che oggi ci chiamano allo<br />

sciopero “per salvare dal declino il sistema<br />

industriale italiano”, sono sulla stessa<br />

lunghezza d’onda di Confindustria e Governo<br />

nel chiederci nuovamente sacrifici e<br />

collaborazione per superare la crisi e per<br />

rilanciare l’economia nazionale ed il “made in<br />

Italy”. Per questo chiedono alla “controparte”<br />

una nuova concertazione, “un nuovo patto<br />

sociale per alimentare l’innovazione e la<br />

riconversione delle attività produttive”. Per<br />

noi, però, questo significa che vogliono<br />

rinnovare la loro “intesa di sempre” con<br />

SCENDERE IN LOTTA<br />

61<br />

padroni e politici in difesa dei profitti e<br />

per sfruttarci ancora di più, facendo<br />

peggiorare ulteriormente le nostre condizioni<br />

di vita e di lavoro. Nel frattempo gli stessi<br />

padroni sono liberi di delocalizzare le loro<br />

aziende e di lasciarci così per strada.<br />

In realtà la grave crisi che stiamo vivendo<br />

non deriva, come vogliono farci credere, da<br />

errori di gestione delle imprese, dalla scarsa<br />

innovazione dei prodotti, dalla bassa<br />

produttività delle aziende, dal costo del lavoro<br />

troppo elevato, dall’Euro, dalla propagandata<br />

“concorrenza sleale” della Cina o di qualche<br />

altro paese emergente, e chi più ne ha più ne<br />

metta.<br />

Questa crisi nasce dalle contraddizioni<br />

interne al sistema capitalistico, già con<br />

ampiezza descritte dal marxismo. La sua<br />

causa essenziale è infatti la caduta del<br />

saggio medio di profitto: è lì che risiede la<br />

forza materiale che condanna il capitalismo a<br />

un destino inevitabile, quello di essere<br />

ciclicamente sopraffatto e soffocato da una<br />

immensa e cronica sovrapproduzione di<br />

merci e di capitali, che giunta al suo apice<br />

intasa i mercati fino alla loro saturazione. In<br />

questi ultimi anni la crisi economica, anziché<br />

risolversi, si è acuita ulteriormente. Le forze<br />

produttive dei capitalismi asiatici, con i loro<br />

complessivi 3,8 miliardi di abitanti, hanno<br />

riversato e continuano a riversare con sempre<br />

maggiore intensità sul mercato internazionale<br />

quantità enormi di merci a basso prezzo,<br />

rispettando in pieno l’essenza del<br />

capitalismo, che consiste nel produrre<br />

sempre di più e a costi sempre minori.<br />

Gli Stati capitalistici occidentali, Italietta<br />

compresa, si sono visti così erodere<br />

progressivamente le rispettive quote del<br />

mercato internazionale, assistendo nel<br />

contempo al crollo dei loro profitti. Per<br />

opporvisi, alle borghesie d’Occidente non resta<br />

che attuare le solite “riforme governative” tese


a taglieggiare i lavoratori a beneficio del<br />

sistema aziendale nazionale,<br />

comprimendone i salari e<br />

peggiorandone “legislativamente” le<br />

condizioni di vita e di lavoro. E quando<br />

questo non basta, capita quello che stiamo<br />

vivendo sulla nostra pelle: gli industriali<br />

nostrani ristrutturano le aziende e chiudono gli<br />

stabilimenti provvedendo a licenziamenti di<br />

massa, per trasferire la produzione nei paesi<br />

“emergenti” allo scopo di ridurne i costi. Con le<br />

delocalizzazioni il padronato sostituisce così<br />

agli ormai “vecchi” e “poco remunerativi”<br />

operai di casa propria, i “nuovi” (più<br />

sfruttabili!) e “più competitivi” operai dell’Est-<br />

Europa e dell’Asia.<br />

Compagni, operai!<br />

Non abbiamo nulla da difendere, né<br />

la galera di fabbrica, né l’economia<br />

nazionale! Dobbiamo tenere bene a mente<br />

che la ripresa economica, di lor signori, passa<br />

solo attraverso il maggior sfruttamento della<br />

classe operaia, attraverso l’aumento dei ritmi di<br />

lavoro per coloro che restano in fabbrica,<br />

attraverso l’ulteriore espulsione di<br />

manodopera, attraverso la precarizzazione del<br />

posto di lavoro e la riduzione del salario reale.<br />

Ci chiedono ancora una volta sacrifici per<br />

superare questa crisi economica di<br />

sovrapproduzione di merci in cui si trova la<br />

borghesia mondiale. Noi dobbiamo<br />

rispondere: non più sacrifici!<br />

Se questa società del cosiddetto<br />

“benessere” non riesce più a garantire la<br />

nostra vita, che sia lotta aperta tra<br />

padronato e operai! Il costo che abbiamo<br />

pagato negli ultimi anni, complici i sindacati, è<br />

già stato alto: centinaia di migliaia di<br />

disoccupati, di emarginati e di precari. I ritmi<br />

produttivi e gli straordinari, insieme alla<br />

precarizzazione delle nostre condizioni<br />

lavorative imposte sotto minaccia di chiusure e<br />

di licenziamenti, hanno aumentato la nostra<br />

incapacità di lottare e di rispondere con<br />

62<br />

efficacia ai ricatti dei padroni e dei vari governi<br />

sia di destra che di sinistra.<br />

La rabbia che esplode qua e là, il<br />

disorientamento, l’incapacità di opporsi<br />

a qualsiasi stretta di vite effettuata sulla<br />

nostra pelle devono, ora, trovare la via<br />

giusta, la via della ripresa della lotta di<br />

classe, per difendere oggi la nostra<br />

possibilità di vivere, per farla finita<br />

domani con l’unico vero responsabile<br />

della realtà che oggi si vive nell’inferno<br />

delle fabbriche d’Europa, d’Asia e<br />

d’America: il capitale!<br />

Il movimento operaio internazionale, nel<br />

suo passato, ha saputo esprimere metodi e<br />

obiettivi di classe: occorre riprenderli per<br />

ricostruire quella trama di lotte e di guerriglia<br />

economica, che gli opportunisti di tutte le<br />

specie, sindacalisti e falsi partiti “operai”,<br />

hanno tentato di cancellare. Ogni cedimento<br />

alle mille sirene che cantano democrazia,<br />

accordi, temporeggiamenti, compromessi in<br />

nome di un’economia nazionale in difficoltà,<br />

prima deprime e dopo annienta la nostra<br />

volontà e i nostri sforzi.<br />

Compagni, operai!<br />

L’unica cosa che possiamo imparare dai<br />

padroni e dai loro servi è l’unità,<br />

l’organizzazione e la centralizzazione che<br />

utilizzano per colpire le nostre condizioni<br />

materiali e i nostri interessi di salariati.<br />

Cerchiamo anche noi di lavorare per<br />

organizzarci ed affasciare il maggior numero<br />

possibile di operai su obiettivi comuni e<br />

condivisibili da tutti, quali:<br />

• la richiesta di forti aumenti<br />

salariali (minimo 200 euro per<br />

recuperare la perdita di potere<br />

d’acquisto degli ultimi anni).<br />

• Il rifiuto dei licenziamenti o in<br />

alternativa il salario integrale ai<br />

disoccupati<br />

Solo un anno fa gli autoferrotranvieri e<br />

i metalmeccanici della FIAT di Melfi<br />

hanno saputo dimostrare, in barba all’inerzia e


al disfattismo dei confederali, quali sono i<br />

metodi che portano ad una lotta vincente:<br />

sciopero improvviso e ad oltranza,<br />

bloccando totalmente la produzione e la<br />

circolazione delle merci, non garantendo i<br />

servizi pubblici minimi e mantenendo<br />

l’agitazione in atto durante tutta la trattativa<br />

fino all’accordo.<br />

E’ ora di scendere in lotta uniti,<br />

occupati e disoccupati, precari e<br />

immigrati, indipendentemente dai<br />

settori di attività. E’ ora di estendere le<br />

lotte fuori dai limiti delle fabbriche,<br />

organizzando e centralizzando la nostra<br />

azione, per superare l’ignobile<br />

individualismo, la divisione per<br />

categorie, la parcellizzazione delle<br />

proteste che ci hanno fatto dimenticare<br />

che noi uniti siamo più forti.<br />

<strong>Partito</strong> <strong>Comunista</strong> <strong>Internazionale</strong><br />

Sede: via Porta di Sotto n.43, Schio (VI) – aperta il sabato dalle ore 16.00 alle<br />

19.00<br />

Sito internet: http://www.sinistracomunistainternazionale.it<br />

18/06/2005 – Fotocopiato in proprio<br />

63


Lavoratori!<br />

LOTTARE PER FORTI AUMENTI SALARIALI<br />

Siamo alle solite. Sette mesi di sterile<br />

trattativa, debitamente intervallata dalle ferie<br />

estive, per il rinnovo del contratto nazionale<br />

dei metalmeccanici, e ci troviamo ancora al<br />

ribattuto copione dell’”autunno caldo” che si<br />

apre con uno sciopero nazionale di 8 ore -<br />

preannunciato naturalmente da più di tre<br />

settimane - della categoria lavorativa più<br />

numerosa in Italia. Alle blande e rinunciatarie<br />

iniziative sin qui promosse dal sindacato<br />

(poche orette di sciopero, dilazionate in un<br />

ampio arco di tempo…per stancare meglio gli<br />

operai!), Federmeccanica ha risposto<br />

irrigidendosi e inasprendo via via la propria<br />

posizione sugli aumenti salariali e le proprie<br />

richieste in materia di flessibilità degli orari<br />

di lavoro e degli straordinari.<br />

Oggi è proprio perché stiamo vivendo la<br />

più acuta crisi economica degli ultimi anni<br />

che i padroni vogliono, molto più che nei<br />

passati rinnovi contrattuali, il governo totale<br />

della forza lavoro. Per mantenere questa<br />

prerogativa, si adoperano fermamente nel<br />

disarticolare e travolgere ogni sia pur minima<br />

resistenza organizzata che tenti di opporsi alla<br />

loro volontà. In alternativa è sempre pronto il<br />

ricatto delle ristrutturazioni e, peggio, delle<br />

delocalizzazioni che abbattono in un sol colpo<br />

il costo del lavoro troppo alto e le ingerenze<br />

qualche volta ingombranti dei seppur<br />

svenduti e imbelli sindacati ufficiali. Così<br />

facendo, gli industriali di necessità fanno<br />

virtù: la virtù propria di ridurre i costi e di far<br />

nuovamente lievitare i profitti, non più in<br />

patria ma in Romania o, meglio, in Cina. Nel<br />

frattempo in Italia si parla di 500 mila posti<br />

di lavoro a rischio, e mentre si ingrossano a<br />

vista d’occhio le liste dei lavoratori in cassa<br />

integrazione e in mobilità, non meno di quelle<br />

dei disoccupati stabili, ci pensa l’Istat a<br />

confortare mensilmente il Governo<br />

annunciando la costante crescita<br />

dell’occupazione e il contenimento del dato<br />

sull’inflazione. Due menzogne che purtroppo<br />

la classe operaia, nella realtà, percepisce in<br />

modo diametralmente opposto.<br />

E’ chiaro che questi fatti non possono che<br />

pesare sull’attuale vertenza tra<br />

64<br />

Federmeccanica e confederali di Fiom-Fim-<br />

Uilm. Il padronato infatti si è permesso di<br />

arrivare ad offrire ai metalmeccanici<br />

solamente 60 euro di aumento. Mentre la<br />

piattaforma unitaria dei sindacati prevede<br />

105 euro lordi di aumento per il 5°livello<br />

retributivo, più 25 euro come elemento di<br />

“solidarietà” per i lavoratori delle aziende in<br />

cui non esiste la contrattazione di 2°livello da<br />

almeno 8 anni (una sorta di aumento<br />

aggiuntivo che pare difficilmente ottenibile<br />

dai dipendenti di aziende scarsamente<br />

sindacalizzate). Ma sveliamo l’imbroglio<br />

consueto che i sindacati ci propongono ad<br />

ogni rinnovo contrattuale: la maggior parte<br />

dei lavoratori metalmeccanici non è<br />

inquadrata al 5° livello, ma al 4° e al 3°, e<br />

sempre più al 2° (la maggioranza dei giovani<br />

assunti con contratto a termine, per<br />

esempio); ciò significa che, tolte le tasse, dei<br />

105 euro lordi ne restano rispettivamente 70,<br />

67 e 56. Un’elemosina, da suddividere<br />

nell’arco dei due anni di validità del<br />

contratto!<br />

Queste ridicole proposte, che non<br />

coprono minimamente il reale incremento del<br />

costo della vita, sono la ovvia conseguenza del<br />

piano inclinato su cui si è posta la triplice<br />

confederale a partire dall’abolizione della<br />

scala mobile, in seguito a due decenni di<br />

disastrosa collaborazione sancita con i<br />

famigerati accordi del ’92 e del ’93 sulla<br />

politica dei redditi, e che dal 2001 con<br />

l’avvento dell’odierna grave crisi capitalistica<br />

internazionale né Governo né tanto meno<br />

Confindustria riconoscono più come base per<br />

contrattare i rinnovi delle varie categorie.<br />

Oggi i sindacati, denunciando su questo tema<br />

la chiusura del governo Berlusconi e<br />

incassando le sempre più aspre pretese del<br />

padronato sul salario sulla flessibilità e sul<br />

mercato del lavoro, non possono fare altro<br />

che proporre una nuova concertazione, un<br />

nuovo “patto sociale” che permetta di<br />

affrontare gli effetti della crisi, e in primis il<br />

paventato “declino industriale italiano”, nella<br />

speranza che nel frattempo si instauri un<br />

“governo amico” che li aiuti maggiormente a<br />

controllare e a continuare a fregare la classe<br />

operaia.


Operai, compagni!<br />

Chi può negare che nel corso degli ultimi<br />

anni il salario reale ha subito un abbattimento<br />

pressochè inarrestabile? Chi osa ancora<br />

affermare che il cosiddetto “benessere”<br />

continua ad aumentare e ad estendersi? Oggi<br />

tutti noi, oltre a faticare sempre più per<br />

arrivare alla fine del mese, soffriamo anche di<br />

una sempre maggiore insicurezza ed<br />

incertezza legata alla sorte del nostro posto di<br />

lavoro. A ciò va aggiunto il progressivo<br />

smantellamento dello stato sociale: la sanità e<br />

le pensioni sono ormai “garanzie” per modo<br />

di dire e, come se non bastasse, ora si stanno<br />

mettendo d’accordo per cercare di sottrarci il<br />

TFR. La crisi che avanza obbliga sempre più il<br />

padronato ad imporre al governo di turno e ai<br />

sindacati misure per contrastare la perdita di<br />

competitività delle imprese nazionali sul<br />

mercato mondiale. Misure capestro che<br />

vengono chiamate “riforme”, ma che<br />

nascondono le solite mazzate sulla classe<br />

lavoratrice: contenimento salariale,<br />

incremento della flessibilità e dei ritmi<br />

produttivi, estensione del precariato nei<br />

rapporti di lavoro, tagli alla sanità alle<br />

pensioni e agli ammortizzatori sociali,<br />

riduzione dei “diritti sindacali”, ecc. Signori e<br />

signori, questo è il capitalismo: il “paradiso in<br />

terra” difeso a spada tratta da tutte le<br />

democrazie e da tutti i democratici che vivono<br />

sulle spalle dei proletari!<br />

E i sindacati che rappresentano i<br />

lavoratori e che dovrebbero difenderne gli<br />

interessi e le condizioni di vita e di lavoro, che<br />

fanno?…Collaborano, ovviamente!<br />

Completano, insomma, l’opera di disarmo dei<br />

lavoratori ben avviata da padroni e<br />

politicanti, non promuovendo affatto<br />

iniziative di lotta dai metodi efficaci e decisi.<br />

Anzi, discutono con Governo e Confindustria<br />

la linea rivendicativa da perseguire, alla base<br />

della quale le esigenze della classe lavoratrice<br />

non solo non trovano posto, ma vengono<br />

esplicitamente sacrificate alla necessità di<br />

concedere ulteriore ossigeno alla produzione<br />

e alle imprese in difficoltà, dinnanzi al sacro<br />

ed inviolabile altare dell’economia nazionale,<br />

del tornaconto dei padroni del vapore, del<br />

Bene supremo del Paese. Lavoratori, testa<br />

bassa e collaborate facendo sacrifici per il<br />

profitto!<br />

65<br />

Compagni, operai!<br />

Con questo sciopero di 8 ore, i dirigenti<br />

sindacali ci chiedono di avallare per mezzo<br />

della nostra lotta l’ennesimo tradimento,<br />

presentandosi di fatto all’opinione pubblica<br />

come i difensori dei “diritti” dei lavoratori,<br />

come i paladini delle “parti sociali” più deboli.<br />

Ma noi non possiamo assolutamente<br />

pretendere di credere che gli attuali sindacati,<br />

in assenza di una forte pressione della base, si<br />

oppongano alle misure che i padroni e i loro<br />

governi destri o sinistri che siano attuano<br />

contro i lavoratori. E’ infatti nelle loro<br />

intenzioni far sì che i provvedimenti<br />

antioperai passino nella massima tranquillità<br />

e nel pacifico e regolare “confronto fra le<br />

parti”.<br />

Se la funzione disfattista delle<br />

confederazioni sindacali al tavolo della<br />

trattativa con il padronato appare ormai<br />

chiara, altrettanto chiaro deve apparire il<br />

compito di ognuno di noi che scende in lotta<br />

per il salario e per la difesa delle proprie<br />

condizioni di vita e di lavoro, che vuole porsi<br />

sul terreno di classe rifiutando di collaborare<br />

coi padroni e di utilizzare gli spuntati ed<br />

illusori metodi democratici di “lotta”<br />

(elezioni, referendum, ecc.). Questo compito è<br />

quello di unirsi ed organizzarsi!<br />

E ciò lo possiamo imparare proprio dai<br />

padroni e dai loro tirapiedi, i quali grazie alla<br />

loro unità e organizzazione continuano ad<br />

andare a colpire i nostri interessi di salariati e<br />

a far peggiorare le nostre condizioni<br />

materiali. Cerchiamo anche noi, dunque, di<br />

lavorare per organizzarci ed affasciare il<br />

maggior numero possibile di operai su<br />

obiettivi comuni e condivisibili da tutti, quali:<br />

• la richiesta di forti aumenti salariali:<br />

minimo 250 euro netti per tutti senza<br />

distinzioni di livello retributivo, per<br />

recuperare la perdita di potere d’acquisto<br />

degli ultimi anni;<br />

• il rifiuto dei licenziamenti o in<br />

alternativa il salario integrale ai disoccupati;<br />

• la riduzione dell’orario di lavoro a 30<br />

ore settimanali a parità di salario.<br />

Solo un anno fa gli autoferrotranvieri e i<br />

metalmeccanici della FIAT di Melfi hanno<br />

saputo dimostrare, in barba all’inerzia e al<br />

disfattismo dei confederali, quali sono i<br />

metodi che provocano un danno alle aziende<br />

per costringerle a trattare e che comunque


hanno potuto condurre ad una lotta vincente<br />

per il salario. Metodi che contemplano la sola<br />

arma dello sciopero improvviso e ad oltranza,<br />

scavalcando gli stessi dirigenti sindacali,<br />

bloccando totalmente la produzione e la<br />

circolazione delle merci, non garantendo i<br />

servizi pubblici minimi e mantenendo<br />

l’agitazione in atto durante tutta la trattativa<br />

fino all’accordo.<br />

E’ ora di scendere in lotta uniti, occupati e<br />

disoccupati, precari e immigrati,<br />

indipendentemente dai settori di attività. E’<br />

ora di estendere le lotte fuori dai limiti delle<br />

fabbriche, organizzando e centralizzando la<br />

nostra azione, per superare l’ignobile<br />

individualismo, la divisione per categorie, la<br />

parcellizzazione delle proteste che ci hanno<br />

fatto dimenticare che noi uniti siamo più<br />

forti.<br />

<strong>Partito</strong> <strong>Comunista</strong> <strong>Internazionale</strong><br />

Sede: via Porta di Sotto n.43, Schio (VI) – aperta il sabato dalle ore 16.00 alle 19.00<br />

Sito internet:http://www.sinistracomunistainternazionale.it<br />

E-mail: sinistracomunistaint@libero.it<br />

24/09/2005 – Fotocopiato in proprio<br />

66


INDICE<br />

• Il mondo capitalistico si muove verso una nuova spartizione generale<br />

guerreggiata dei mercati internazionali………………………………………………….pag.3<br />

• Dall’aggressione all’Europa al “mito” dell’Europa unita. (Prima parte)……pag.11<br />

• La Russia è fuori dai giochi interimperialistici? (Prima parte)…………………pag.21<br />

• La nascita e lo sviluppo peculiare del capitalismo cinese. (Prima parte)…pag.27<br />

• Il significato del nostro astensionismo……………………………………………….….pag.38<br />

• Il proletariato rivoluzionario non voterà per nessuno. (Articolo del 1953).pag.39<br />

• Il ruolo della chiesa nell’epoca attuale………………………………………………….pag.42.<br />

• Esecuzione di “Douglas Principal”, militante del <strong>Partito</strong> <strong>Comunista</strong><br />

<strong>Internazionale</strong> ad opera del capitalismo venezuelano e della mafia di<br />

Chavez……………………………………………………………………………………….…..…..pag.49<br />

• Le catastrofi ed il falso mito della scienza e della tecnica risolutrici………...pag.54<br />

• Il nostro intervento nella lotta alla Marzotto……………………………………..….pag.60<br />

• Tre nostri volantini………………………………………………………………………………pag.61<br />

67<br />

Questa rivista è interamente redatta,<br />

composta e amministrata da militanti<br />

comunisti che lavorano per la<br />

ricostituzione del <strong>Partito</strong> <strong>Comunista</strong><br />

<strong>Internazionale</strong> rivoluzionario della<br />

classe operaia.<br />

Ma vive anche con il sostegno dei<br />

proletari. SOSTENETELA


E’ compagno militante comunista rivoluzionario<br />

chi ha saputo rinnegare, strapparsi dalla mente e<br />

dal cuore la classificazione in cui lo iscrisse<br />

l’anagrafe di questa società in putrefazione e vede<br />

e confonde se stesso in tutto l’arco millenario che<br />

lega l’ancestrale uomo tribale, lottatore con le<br />

belve, al membro della comunità futura, fraterna<br />

nell’armonia gioiosa dell’uomo sociale.<br />

Indirizzi<br />

• via Porta di Sotto n.43 – 36015 Schio (Vicenza)<br />

• http/www.sinistracomunistainternazionale.it<br />

• E-mail: sinistracomunistaint@libero.it<br />

Distribuita in proprio<br />

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