Rivista n. 2 - Partito Comunista Internazionale
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<strong>Rivista</strong> n° 2 - marzo 2006<br />
SUL FILO ROSSO<br />
DEL TEMPO<br />
• Il mondo capitalistico si muove verso una nuova spartizione generale guerreggiata<br />
dei mercati internazionali.<br />
• Dall’aggressione all’Europa al “mito” dell’Europa unita. (Prima parte)<br />
• La Russia è fuori dai giochi interimperialistici? (Prima parte)<br />
• La nascita e lo sviluppo peculiare del capitalismo cinese. (Prima parte)<br />
• Il significato del nostro astensionismo.<br />
• Il proletariato rivoluzionario non voterà per nessuno. (Articolo del 1953)<br />
• Il ruolo della chiesa nell’epoca attuale.<br />
• Esecuzione di “Douglas Principal”, militante del <strong>Partito</strong> <strong>Comunista</strong> <strong>Internazionale</strong><br />
ad opera del capitalismo venezuelano e della mafia di Chavez.<br />
• Le catastrofi ed il falso mito della scienza e della tecnica risolutrici.<br />
• Il nostro intervento nella lotta alla Marzotto.<br />
• Tre nostri volantini.<br />
DISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx, a Lenin, a Livorno 1921, alla lotta della<br />
sinistra contro la degenerazione di Mosca, al rifiuto dei blocchi partigiani, la dura opera del restauro<br />
della dottrina e dell’organo rivoluzionario, a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo<br />
personale ed elettoralesco.
SUL FILO ROSSO<br />
DEL TEMPO<br />
Parttiitto Comuniistta Intternaziionalle<br />
2
Il mondo capitalistico si muove verso una nuova spartizione<br />
generale guerreggiata dei mercati internazionali.<br />
Nel 1945, alla fine della Seconda Guerra<br />
Mondiale, a Yalta e Postdam si sanciva la<br />
spartizione dell’Europa lungo la linea dove si<br />
erano fermate le armate anglo-americane ad<br />
ovest e Russe ad est, un asse nord-sud nel<br />
centro dell’Europa che venne chiamato linea<br />
dell’Oder-Neisse. “Naturalmente si trattò di<br />
un assetto che assomigliava molto ad una<br />
camicia di forza che i vincitori del conflitto -<br />
e si tratta di vedere se tra questi può figurare<br />
la Gran Bretagna [e la Francia, aggiungiamo<br />
noi] considerando le enormi mutilazioni<br />
inferte al [loro] impero coloniale e<br />
finanziario, applicavano ai popoli europei o<br />
liberati”. Russi ed americani avevano infatti<br />
interessi convergenti per tenere in scacco gli<br />
stati europei e la possibilità di risorgenti<br />
tendenze “terzaforziste”. E se le armate<br />
americane e russe, incontrandosi nel cuore<br />
dell’Europa, mettevano fine al primato<br />
imperialistico delle vecchie potenze coloniali,<br />
la rivoluzione anticoloniale che infiammava<br />
tre continenti, Asia, Africa e parte<br />
dell’America Latina, trovava consensi a<br />
Mosca ed a Washington, perché entrambe<br />
cercavano di soppiantare nelle colonie gli<br />
antichi padroni. Al tempo stesso, però,<br />
nascevano problemi per entrambe,<br />
specialmente per gli americani, i quali<br />
dovevano badare non solo a contrastare<br />
l’operato dei russi, ma a fronteggiare le<br />
velleità dei propri alleati, che ferocemente<br />
lottavano per conservare i loro traballanti<br />
imperi coloniali. Le guerre di liberazione<br />
nazionali e anticoloniali, che insanguinarono<br />
l’Oriente e l’Africa nel secondo dopoguerra, si<br />
inserirono all’interno di un conflitto più<br />
vasto: il ciclo di liberazione delle colonie,<br />
semicolonie e dei protettorati inglesi,<br />
francesi, olandesi, belgi e portoghesi che si<br />
svolse in un arco di tempo di 30 anni (1945<br />
Indonesia -1975 Vietnam e Angola), ben lungi<br />
dal rappresentare un semplice riflesso della<br />
evoluzione dei contrasti interimperialistici, fu<br />
tuttavia lo scenario reale in cui tali scontri si<br />
svolsero e i cui i contendenti cercarono di<br />
trarre profitto.<br />
Perché la Russia e soprattutto gli Stati<br />
Uniti appoggiavano l’indipendenza delle<br />
3<br />
colonie, in nome della democrazia e della<br />
libertà contro Inghilterra, Francia, Portogallo,<br />
etc.? Forse in nome della tanto proclamata e<br />
osannata democrazia e libertà? No,<br />
naturalmente!<br />
Bisogna pensare, invece, all’enorme posta<br />
in gioco, alle ingenti risorse naturali del<br />
sottosuolo, ai prodotti delle piantagioni, ai<br />
territori di importanza strategica, alle enormi<br />
riserve di mano d’opera a basso costo, per<br />
capire l’interesse che le due potenze ponevano<br />
negli equilibri che si andavano formando e<br />
che ognuno cercava di spostare a proprio<br />
favore.<br />
Un esempio emblematico è stato il caso<br />
del canale di Suez. Nel 1956 l’Egitto di Nasser<br />
aveva nazionalizzato il canale di Suez, allora<br />
sotto controllo inglese. Gli inglesi, con a<br />
fianco i francesi legati da un patto, erano<br />
intervenuti militarmente per ripristinare la<br />
loro sovranità sul canale. Gli USA affiancati<br />
dai russi promossero una risoluzione all’ONU<br />
attraverso la quale costrinsero gli inglesi e i<br />
francesi a ritirarsi, proseguendo così in<br />
quell’opera di disgregazione dei rispettivi<br />
imperi che era parte integrante della<br />
aggressione americana all’Europa. 1<br />
L’originale piano americano di controllare<br />
economicamente e politicamente l’Europa e<br />
di portare avanti ed imporre agli stati europei<br />
la creazione di un piano unico modellato sugli<br />
interessi e le prospettive americane (Piano<br />
Marshall prima, Nato ovvero organizzazione<br />
del trattato del Nord Atlantico 1949 poi) si<br />
scontrava con gli interessi inglesi, Inghilterra<br />
che si riteneva essere ancora una potenza<br />
mondiale, e coi francesi, che volevano una<br />
Francia forte e una Germania debole e divisa.<br />
La Comunità europea fu stabilita come<br />
un’alternativa al piano americano di<br />
integrazione europea; ciò che i francesi<br />
poterono fare contro lo strapotere americano<br />
fu intrecciare così strettamente gli interessi<br />
francesi a quelli tedeschi da rendere<br />
1 vedi in proposito l’articolo “Lo sviluppo storico<br />
dell’aggressione americana all’Europa ed il suo<br />
inevitabile punto di approdo”, di cui pubblichiamo in<br />
questo numero della rivista la prima parte.
impossibile un nuovo conflitto fra i due vecchi<br />
avversari. I francesi in questo modo<br />
proposero la loro versione dell’unione<br />
europea.<br />
Subito dopo la seconda guerra mondiale<br />
la Francia aveva iniziato l’integrazione<br />
economica coi vinti, tedeschi ed italiani, nella<br />
CECA (Comunità Europea Carbone e Acciaio<br />
fondata nel 1950) che si sviluppò nel Mercato<br />
Comune Europeo del 1957 e poi nella<br />
Comunità Europea 1993, i cui quartieri<br />
generali furono a Bruxelles, mentre il suo<br />
vero nucleo risiedeva e risiede nell’unità<br />
franco-tedesca, rafforzata ultimamente con la<br />
creazione dell’Euro quale moneta unica e,<br />
quindi, reale base finanziaria dell’Unione<br />
Europea. Questo processo non ha fatto altro<br />
che accelerare la demolizione del potere della<br />
grande e vecchia potenza britannica prima, e<br />
russa poi.<br />
La ripresa economica ed il prosperare<br />
dell’Europa occidentale e del Giappone portò<br />
gli Stati Uniti a vedere intaccato il loro<br />
primato economico: già negli anni sessanta il<br />
divario di produttività fra questi paesi e gli<br />
Usa era stato pressoché colmato; i paesi<br />
dell’Europa occidentale e il Giappone avevano<br />
riacquistato il controllo dei propri mercati<br />
nazionali, iniziando a competere<br />
efficacemente con i prodotti statunitensi nei<br />
mercati dei paesi terzi e addirittura nello<br />
stesso mercato interno statunitense.<br />
L’aumento della produzione mondiale<br />
derivante dall’espansione della produzione in<br />
Europa ed in Giappone portò ad una<br />
saturazione del mercato mondiale e ad un<br />
profondo declino nella redditività di molti dei<br />
principali settori industriali, come l’acciaio, le<br />
automobili e l’elettronica. La conseguente<br />
flessione dell’economia mondiale fu<br />
caratterizzata da due principali eventi: la<br />
necessità degli Stati Uniti di abbandonare il<br />
gold standard (la conversione diretta di<br />
dollari in oro 1971-72) e la recessione<br />
mondiale del 1975. Il surplus finanziario<br />
statunitense non garantiva più gli americani e<br />
ciò significava che gli americani avrebbero, da<br />
allora in poi, lavorato pesantemente a livello<br />
politico e militare per conservare la loro<br />
posizione economica dominante sostendo il<br />
corso forzoso della loro moneta.<br />
Quattro furono i punti-chiave che<br />
contraddistinsero sul piano economico lo<br />
sviluppo storico degli anni ottanta. Il primo<br />
punto-chiave fu la “crisi del debito”, che portò<br />
4<br />
al collasso non solo gran parte dell’America<br />
Latina, ma anche tutta l’Europa<br />
centrorientale, Africa compresa. Il secondo fu<br />
la “strabiliante ascesa delle economie<br />
dell’Asia orientale”, che il Giappone ha<br />
guidato fino al 1992, seguito a rimorchio dalle<br />
quattro tigri del sud-est asiatico (Corea del<br />
sud, Taiwan, Hong Kong e Singapore) e dalla<br />
Cina continentale. Il terzo punto-chiave fu il<br />
“keynesismo” negli Stati Uniti, che ebbe la<br />
meglio sulla recessione americana e<br />
sull’elevata disoccupazione grazie a un<br />
enorme indebitamento pubblico, in<br />
particolare con il Giappone. Il quarto puntochiave<br />
fu la “finanziarizzazione”<br />
dell’economia, ovvero la grande speculazione<br />
sulle valute e sui titoli di borsa avvenuta nelle<br />
grandi piazze finanziarie internazionali.<br />
Gli anni 1989-90 hanno visto cadere la<br />
costellazione del grande mercato della<br />
potenza Russa (il Comecon, comprendente<br />
Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, Bulgaria,<br />
ecc.), guadagnato con la vittoria militare del<br />
1945. La grande crisi economica mondiale<br />
nel 1989 morde al cuore per prima la potenza<br />
russa, ossia il classico “anello più debole”<br />
della catena imperialista. L’implosione finale<br />
dell’URSS è stata infatti solo l’esito<br />
catastrofico di un tracollo in caduta libera che<br />
perdurava ormai da 10 anni, tipico di una<br />
classica crisi di sovrapproduzione relativa di<br />
capitale industriale, accompagnata<br />
dall’impossibilità di invertire la caduta del<br />
saggio medio di profitto giunto a livelli<br />
inaccettabili (era diventato negativo). Crisi<br />
che ha visto una spaventosa flessione della<br />
produzione industriale (vicina al 60%), e<br />
paragonabile alla crisi del 1929 scoppiata<br />
negli Stati Uniti e poi in Europa occidentale e<br />
che ha permesso al capitalismo europeo ed in<br />
particolare a quello tedesco di accaparrarsi il<br />
grande mercato russo senza combattere una<br />
guerra. Il crollo dell’Unione Sovietica non è<br />
stato crollo del comunismo, ma il crollo di<br />
uno stato borghese capitalistico 2 .<br />
2 “Il centro della questione sta nella pretesa dei russi<br />
attuali che la dimostrazione della diversità del sistema<br />
sovietico rispetto a quello capitalistico, e inoltre della<br />
superiorità del primo, sta nel fatto che di anno in anno la<br />
produzione industriale della Russia si incrementa di più,<br />
e con un tasso percentuale maggiore rispetto al prodotto<br />
totale del precedente anno, che in qualunque paese del<br />
mondo e in qualunque epoca della storia. Si è dimostrato<br />
[…] quanto segue: 1) falso che quell’alto ritmo sia solo<br />
in Russia. 2) falso che quell’alto ritmo sia solo oggi nella<br />
storia. 3) falso che, anche se la Russia fosse a ritmo
Nello stesso tempo il crollo dell’URSS ha<br />
trovato un’eco immediata nella<br />
riunificazione tedesca, avvenuta anch’essa<br />
senza combattere una guerra. In oltre<br />
quarant’anni di “pace” i rapporti di forza<br />
economici sono cambiati, i vincitori<br />
(Inghilterra, URSS, poi toccherà agli USA) si<br />
sono indeboliti ed i vinti si sono irrobustiti.<br />
Tutto ciò, sotto la pressione generale ed<br />
inesorabile di una crisi economica mondiale<br />
che proseguiva e si inaspriva tra stentate<br />
“ripresine” ed ulteriori tracolli e sotto la<br />
pressione particolare dell’indebitamento<br />
russo-polacco-ungherese-cecoslovaccoyugoslavo,<br />
ma anche di Stati Uniti, Francia,<br />
Inghilterra verso la Germania Occidentale.<br />
L’Impero russo intanto si disintegrava e si<br />
afflosciava come un castello di carte, mentre a<br />
Berlino si abbatteva lo storico “muro” sotto lo<br />
sguardo attonito e costernato degli americani,<br />
che vedevano l’imperialismo germanico<br />
rinascere sopra le sue stesse ceneri.<br />
Questi accadimenti rompevano<br />
definitivamente gli accordi stabiliti a Yalta nel<br />
1945. Rompevano l’apparente “codominio”<br />
russo-americano sull’Europa, un “codominio”<br />
che in realtà ha sempre visto i russi giocare<br />
un ruolo subordinato rispetto a<br />
Washington: ne sono derivati infatti gli<br />
accordi ufficiali in cui si sanciva che la<br />
Germania aveva saldato il suo debito e non<br />
era più sottomessa ai precedenti accordi<br />
capestro, accordi da cui è poi partita<br />
l’offensiva tedesca per arrivare all’Euro. Il<br />
Giappone fino ad oggi, al contrario non ha<br />
ancora raggiunto questa formale<br />
indipendenza politica dal vincitore<br />
statunitense.<br />
Nel 1990 scoppiava un’ennesima crisi<br />
economica di sovraproduzione negli USA,<br />
preceduta da un crollo della borsa nel 1987 e<br />
uno minore nel 1989 (la caduta della Borsa di<br />
Wall Street nel 1987 fu dai 2722 punti del<br />
25/8/87 ai 1738 punti del 19/10/87: una<br />
caduta cioè del 36%, che invece nel 1989 fu<br />
“solo” del 20% circa). La risposta americana a<br />
questo ulteriore episodio di una crisi di<br />
sovrapproduzione ormai cronica e, nello<br />
stesso tempo, alla riunificazione tedesca ed al<br />
massimo, e ad un ritmo maggiore di ogni caso storico,<br />
sorgerebbe da questo la prova che non è capitalista.<br />
Rimessi in ordine fatti e cifre, la conclusione è una e<br />
sicura: la struttura economica sociale in Russia è squisito<br />
capitalismo” (“Dialogato coi Morti”, 1956, pag. 138-39).<br />
5<br />
crollo del vassallo russo, fu lo scatenamento<br />
della guerra contro l’Iraq, la cosiddetta prima<br />
guerra del Golfo Persico del 1990-1991. Con<br />
questa guerra gli americani hanno iniziato a<br />
costruire le loro basi militari nelle “terre<br />
sante” del Medio Oriente (Arabia Saudita ed<br />
Emirati Arabi), galleggianti su un mare di<br />
petrolio (il 70% delle riserve di petrolio<br />
mondiali si trovano infatti nel sottosuolo dei<br />
paesi arabi che vanno dal Golfo Persico al<br />
Mar Caspio e alle repubbliche centroasiatiche)<br />
e, soprattutto, sulle arterie che<br />
portano il prezioso liquido ai loro diretti<br />
concorrenti ed avversari. Chi ha subito<br />
maggiormente le conseguenze della prima<br />
guerra del Golfo è stato il Giappone che, oltre<br />
a pagare un tributo di 50 miliardi di dollari<br />
(per spese di guerra agli USA), ha dovuto<br />
subire la contingentazione nell’esportazione<br />
di automobili, acciaio, navi, informatica, ha<br />
dovuto aprire agli USA i mercati dell’auto e<br />
dell’elettronica, ha dovuto abbandonare lo<br />
sviluppo dei microprocessori per<br />
supercomputer non senza tollerare altre<br />
misure restrittive nei suoi confronti. Le<br />
conseguenze dirette sono state la fine<br />
prematura del ruolo dello Yen come moneta<br />
internazionale, il forte indebitamento delle<br />
banche giapponesi che hanno così ceduto il<br />
loro primato alle banche USA, la crisi del<br />
settore produttivo riscontrabile nel marcato<br />
calo della produzione industriale che, a<br />
partire dal 1992, ha cominciato a declinare e<br />
solo nel 2004 il Giappone è riuscito a<br />
risollevarsi tornando al precedente livello<br />
produttivo, con una conseguente stagnazione<br />
di ben 11 anni.<br />
Il 1991 fu anche l’anno in cui negli USA si<br />
inneggiava un potenziale attacco militare sia<br />
contro il Giappone sia contro la Germania e la<br />
Francia [ 3 ], perché, come affermavano i massmedia<br />
e i politicanti (che una volta tanto<br />
dicevano la verità), questi erano i veri<br />
nemici della repubblica a stelle e strisce. Ma<br />
tutta questa politica contro il Giappone e<br />
contro l’asse franco-tedesco ha avuto per gli<br />
americani un risultato tutt’altro che<br />
trascurabile, dando il via dal 1994 alla follia di<br />
una grande speculazione borsistica ed alla<br />
conseguente rivalutazione del dollaro, follia<br />
3 Ricordiamo a titolo di esempio che questa vera e<br />
propria propaganda di guerra, che si compiacque di<br />
definire i francesi come “scimmie mangiatrici di<br />
formaggio”, comportò l’esclusione dei vini francesi<br />
dai ristoranti americani.
che è durata fino al febbraio-marzo 2000 con<br />
lo scoppio della relativa bolla speculativa e<br />
fino al 2002 con l’inizio della svalutazione del<br />
dollaro, a seguito del fatto che l’Euro iniziava<br />
la sua funzione di moneta unica per 11 paesi<br />
europei.<br />
Nel 2001 iniziava un nuovo episodio<br />
acuto della crisi di sovrapproduzione<br />
americana, che colpiva duramente il settore<br />
delle linee aeree, il settore automobilistico,<br />
petrolifero, il settore degli armamenti, la<br />
Boeing, la telefonia, le compagnie elettriche<br />
ed elettroniche, informatiche, ecc.. Ancora<br />
una volta gli USA erano stati messi alle corde<br />
e allo stesso tempo l’Europa rafforzava<br />
attraverso l’Euro le sue bardature difensive<br />
contro l’avversario di oltreoceano. Si<br />
attendeva, inoltre, da un momento all’altro, lo<br />
scoppio della bolla speculativa che aveva<br />
pompato la borsa americana sui titoli della<br />
cosiddetta net-economy.<br />
Fu per nascondere questa situazione, per<br />
sviare l’attenzione dei proletari americani dai<br />
loro problemi, dalle loro condizioni di vita e<br />
di lavoro, ma anche e soprattutto per<br />
preparare il terreno all’attuazione dei piani<br />
già pronti di una nuova guerra in Medio<br />
Oriente attraverso una nauseabonda<br />
campagna di solidarietà interclassista e<br />
interrazziale, attraverso la unanimità del<br />
fronte nazionale guerrafondaio allestito sotto<br />
le insegne menzognere della “lotta al<br />
terrorismo”, che si lanciarono -o si consentì<br />
che venissero lanciati [ 4 ], il che fa lo stesso-<br />
gli aerei contro le Torri Gemelle a New York<br />
l’11 settembre 2001.<br />
Quelle spettacolari azioni “terroristiche”<br />
rispondevano, infatti, sia al bisogno di<br />
mobilitare la “pubblica opinione” attorno a<br />
quel programma bellico ed ai suoi corollari di<br />
esplicita militarizzazione dell’intera società<br />
statunitense, sia al bisogno di occultare nello<br />
stesso tempo l’imminente esplosione della<br />
“bolla speculativa”, deviando così l’attenzione<br />
dei proletari e dei lavoratori che subivano la<br />
crisi dalle origini endogene e strutturali della<br />
recessione statunitense, che stava poi alla<br />
base della necessità di un così vasto<br />
dispiegamento militare da parte degli USA.<br />
Ma ciò che deve soprattutto rilevarsi, è che<br />
4 Come dei settori della stessa stampa borghese hanno poi<br />
documentato, vedi il testo di T. Meyssan, “11 settembre<br />
2001. L’effroyable imposture”, Carnot, 2002.<br />
6<br />
consentire ad altri di portare a termine<br />
l’“aggressione” contro gli obiettivi a stelle e<br />
strisce era solo la continuazione di un<br />
metodo più che collaudato da parte della<br />
borghesia nordamericana.<br />
In tale situazione, gli USA poterono<br />
predisporre l’intervento in Afghanistan prima<br />
e in Iraq poi, e le minacce economiche,<br />
diplomatiche e militari rivolte nei confronti di<br />
chiunque nell’intero pianeta terra osasse<br />
minacciare i sacrosanti interessi americani,<br />
ribellandosi ai diktat emanati da Washington.<br />
Ancora più determinante fu seminare<br />
all’interno di ogni paese la paura, la<br />
diffidenza, il terrore, la delazione e la<br />
militarizzazione, come se già si fosse in piena<br />
guerra fra Stati. Questa visione generale e<br />
questo obiettivo di guerra ha soltanto un<br />
nemico interno: la classe proletaria.<br />
Terrorizzarla significa ostacolare e vietare la<br />
lotta proletaria, la solidarietà classista<br />
istintiva, le riunioni e le assemblee per<br />
discutere i problemi dei lavoratori. La<br />
militarizzazione interna della vita quotidiana<br />
significa sottomettere con la più schiacciante<br />
dittatura ideologica e militare, collegata<br />
all’intervento potenziale di eserciti<br />
superarmati, la capacità di resistenza e di<br />
lotta della classe proletaria: ricordiamo che<br />
dopo l’11 di settembre sono stati licenziati<br />
quasi 3 milioni di proletari negli Stati Uniti,<br />
senza resistenza e lotte organizzate per ben 4<br />
anni, e che i portuali una volta scesi in<br />
sciopero furono militarizzati dal governo di<br />
Bush.<br />
Insieme alla ristrutturazione industriale si<br />
è prodotta la svalutazione del dollaro del 52%.<br />
Questo ha provocato una forte inflazione ed<br />
una caduta del potere d’acquisto dei salari,<br />
subito dai proletari che rinunciarono alle lotte<br />
schiacciati dalla campagna ideologica in<br />
difesa della patria in pericolo. Tutta questa<br />
politica si risolve in un bell’affare per diversi<br />
settori economici statunitensi, che furono<br />
aiutati a superare la crisi oppure a<br />
sopravvivere senza fallire, ricevendo dei<br />
fortissimi aiuti sotto forma di sovvenzioni<br />
economiche dallo Stato, come è accaduto per<br />
esempio alle Linee Aeree, all’industria degli<br />
armamenti, etc.<br />
Avendo creato e fabbricato un nemico,<br />
l’islamismo o, più in generale, il “terrorismo<br />
internazionale”, che è un nemico dai contorni<br />
ancor più sfuggenti ed indeterminati e quindi<br />
molto più utile del precedente, gli americani
hanno potuto e possono giustificare<br />
l’intervento in ogni parte del globo. Un<br />
nemico, il primo che non è pericoloso per il<br />
capitalismo internazionale, poiché non è in<br />
grado di offrire alcuna alternativa alla<br />
“civilizzazione” capitalistica, di cui anzi è già<br />
da un pezzo parte integrante ed attiva. Un<br />
nemico, il secondo, che è solo un abito<br />
preconfezionato buono per tutti i nemici<br />
presenti e futuri degli States. Con la<br />
conseguente occupazione dell’Afghanistan, gli<br />
americani hanno messo le basi per la<br />
penetrazione nel Centro-Asia, organizzando<br />
una cintura sanitaria fra la Russia e la Cina, in<br />
modo da bloccare l’espansione di un altro<br />
nemico incombente, rappresentato<br />
dall’imperialismo cinese, verso le fonti di<br />
petrolio e gas russo e centro-asiatico.<br />
Gli USA hanno di recente tentato di<br />
organizzare un’altra cintura di isolamento e<br />
precisamente fra la Russia e la Germania,<br />
attraverso il cambio di governo in Ucraina e la<br />
conquista del potere da parte del partito filoamericano<br />
Orange, ma la reazione tedesca e<br />
russa non si è fatta attendere. Il blocco di<br />
qualsiasi aiuto all’Ucraina da parte della U.E.<br />
decretato da Berlino, e il blocco di forniture di<br />
gas russo hanno portato poi alla formazione<br />
in Ucraina di un governo di coalizione<br />
con il partito filo-russo, spezzando così<br />
quella cintura sanitaria disegnata da<br />
Washington in funzione anti-europea e<br />
mandando all’aria –almeno per il momento- i<br />
piani americani. Nel frattempo, il gasdotto<br />
sottomarino che è in costruzione attraverso il<br />
mare del Nord consentirà ai tedeschi ed ai<br />
russi di trasportare il gas dalla Siberia<br />
all’Europa Occidentale al di fuori del<br />
territorio polacco e, quindi, annullando le<br />
pressioni ed i condizionamenti USA<br />
sulla Polonia ciò costituirà un’ulteriore<br />
rottura del tentato isolamento americano ai<br />
danni di Germania e Russia.<br />
Questa politica anti-isolamento che si<br />
porta avanti per la difesa degli interessi<br />
tedesco-europei é inevitabilmente in<br />
contrasto, in questa fase della crisi, con la<br />
politica USA. Essa è la continuazione della<br />
lunga battaglia che la Francia e Germania<br />
sostengono da più decenni contro i tentativi<br />
americani di ridimensionare il peso<br />
economico e l’espansione politica degli<br />
europei. Alcuni esempi di questa lunga<br />
contrapposizione si ebbero fin dal 1982,<br />
quando la Francia nazionalizzò la filiale<br />
7<br />
dell’azienda americana General Elettric, che<br />
produceva i compressori antighiaccio che<br />
permettevano di trasportare il GAS dalla<br />
Siberia all’Europa Occidentale. Dieci anni<br />
dopo, nel 1992, si verificò il grande attacco<br />
contro il Sistema Monetario Europeo.<br />
Vennero colpite da una forte ondata<br />
speculativa da parte del dollaro le monete<br />
dell’Inghilterra, dell’Italia e della Spagna. La<br />
Germania con la Bundesbank e con il<br />
sostegno della Banca di Francia assunse la<br />
difesa del franco francese fino alla sconfitta<br />
degli attaccanti angloamericani e dei paesi<br />
nordici. La difesa a tutti i costi del franco<br />
francese da parte dei tedeschi fu la grande<br />
prova dell’UNIONE tra il capitale francese e<br />
tedesco, come lo é stata e continua ad esserlo<br />
la fusione di tante aziende dei due paesi;<br />
cammino che dovrebbe seguire anche l’Italia<br />
nei prossimi anni, se riuscirà a ridurre oppure<br />
a rompere gran parte dei legami stabiliti negli<br />
ultimi 20 anni con gli Stati Uniti. Tutto<br />
questo viene facilitato dal fatto che gli USA si<br />
sono impantanati nella guerra irakena, guerra<br />
che loro pensavano di risolvere in un paio di<br />
mesi.<br />
Tutti sapevano che l’esistenza delle armi<br />
di distruzione di massa in Irak era una favola<br />
per bambini. Adesso quella leggenda è stata<br />
ufficialmente smentita dalla magistratura<br />
americana. Gli americani scrivono queste<br />
favole per bambini e poi il fatto ridicolo è che<br />
credono al loro contenuto. Hanno così<br />
creduto che la stragrande maggioranza del<br />
popolo irakeno li avrebbe accolti come dei<br />
salvatori, a braccia aperte addirittura, come<br />
fecero gli italiani all’arrivo dei “liberatori”<br />
yankee. La capacità di analisi degli<br />
statunitensi in Iraq si è dimostrata un<br />
completo fallimento. Oltre a capitalisti<br />
assassini, sono anche idealisti borghesi!<br />
Lo stato borghese irakeno, lo dimostrano i<br />
fatti (Saddam aveva avvertito più volte che, se<br />
gli Usa avessero invaso l’Iraq, avrebbero<br />
trovato una resistenza accanita e ne<br />
avrebbero pagate le conseguenze), aveva<br />
preparato il passaggio alla sua clandestinità<br />
con molto anticipo e questo ha consentito alla<br />
cosiddetta “resistenza” borghese di<br />
controllare strettamente la compagine sociale<br />
nelle città e nelle campagne sunnite e in parte<br />
delle sciite. La strategia di guerra della<br />
borghesia irachena si è basata nel far saltare<br />
con continuità regolare gli oleodotti<br />
petroliferi, impedendo che l’estrazione del
petrolio potesse superare i due milioni di<br />
barili al giorno (e finora ci sono riusciti). Gli<br />
americani avevano calcolato che la<br />
produzione dovesse essere di 4 milioni di<br />
barili al giorno nel 2004 e 6-7 milioni di barili<br />
al giorno alla fine del 2005, per cui con i<br />
ricavi della vendita avrebbero finanziato la<br />
ricostruzione. Il totale fallimento, quindi,<br />
della linea politica americana è finora<br />
indiscutibile.<br />
Inoltre, la “resistenza” irachena ha colpito<br />
sistematicamente i civili dell’ONU e delle<br />
ONG, sia i lavoratori ed i tecnici stranieri,<br />
riuscendo in tal modo a bloccare quasi<br />
completamente la ricostruzione e a farne<br />
salire i costi alle stelle. La “resistenza”<br />
irachena ha così bloccato il fine primario che<br />
persegue qualsiasi guerra imperialistica, e<br />
cioè il grande affare della<br />
ricostruzione!!<br />
Se gli anglo-americani non riusciranno<br />
alla fine a portare avanti il “grande affare”<br />
della ricostruzione postbellica, allora<br />
l’occupazione dell’Iraq diventerà una rovina<br />
economica totale e questa sarà a sua volta la<br />
base della loro futura sconfitta anche militare.<br />
La situazione generale nel Medio Oriente<br />
è ancora peggiore e soprattutto si deteriora<br />
ogni giorno: Arabia Saudita, Siria, Giordania,<br />
Emirati Arabi, Egitto e Iran vengono accusate<br />
di aiutare e finanziare la resistenza irachena<br />
ed in certa misura la risorgente resistenza<br />
afgana.<br />
Se le cose in Iraq andranno avanti così e<br />
gli anglo-americani non arriveranno a colpire<br />
militarmente sia l’Iran che l’Arabia Saudita<br />
con l’obiettivo di distruggere almeno una<br />
parte degli impianti estrattivi di petrolio in<br />
questi paesi, in modo da colpire gli interessi e<br />
gli approvvigionamenti europei, russi, cinesi,<br />
ecc., allora non riusciranno a raggiungere<br />
nemmeno il secondo, grande obiettivo della<br />
guerra scatenata da Washington contro i<br />
talebani prima e contro Saddam poi, ovvero<br />
indebolire l’Unione Europea e colpire il suo<br />
prodotto più genuino, l’Euro, che tanto<br />
disturba gli interessi finanziari americani.<br />
A breve e media scadenza il nemico più<br />
pericoloso e più importante per gli USA è,<br />
senza dubbio, l’Euro. E gli Usa non possono<br />
organizzare né l’isolamento né gli scontri<br />
preliminari col nemico cinese-asiatico senza<br />
distruggere preventivamente l’euro, perché se<br />
ciò non accadesse sarebbe l’Euro a vincere la<br />
8<br />
partita fra gli USA e la Cina senza combattere.<br />
Questo gli Usa lo sanno, perché è sempre<br />
stata la pratica politica del “dividit et impera”<br />
(come per l’impero romano e la vecchia<br />
Albione-Inghilterra) che ha consentito loro di<br />
prendere il bottino delle guerre altrui, basta<br />
ricordare le guerre del 1914 -18 e del 1939-<br />
1945.<br />
Altro aspetto importante, ma non nuovo<br />
per la teoria marxista, è la nascita ed il<br />
consolidamento negli ultimi 30 anni delle<br />
multinazionali Sud Americane (PDVSA,<br />
petrolifera venezuelana - Petrobras-Embraer-<br />
Codelco-Ypf Repsol-Enersis-Endesa-Telmex-<br />
Banche-ecc.), che chiedono e strappano, ai<br />
propri stati, una politica d’indipendenza<br />
rispetto agli Stati Uniti, che hanno sempre<br />
considerato l’America Latina come la propria<br />
riserva di caccia.<br />
Il vertice americano, tenuto nella città<br />
argentina del Mar del Plata il 5-6 novembre<br />
scorso, per porre le basi del grande Mercato<br />
americano, conosciuto come ALCA, in cui gli<br />
USA continuerebbero a controllare e dirigere<br />
i destini di tutta l’America, del Nord e del<br />
Sud, é stato un grossolano fallimento. Gli<br />
USA hanno cercato di provocare uno scontro<br />
ed una rottura fra i paesi latino-americani e<br />
quelli del MERCOSUR .<br />
Tre settimane prima, aveva avuto luogo il<br />
vertice ispano-latinoamericano a Salamanca,<br />
nel quale fu lanciato l’appello-accusa contro<br />
gli USA per il blocco contro Cuba,<br />
chiedendone la fine. Insieme a questo appello<br />
pro-Cuba, un giudice spagnolo ha deciso di<br />
istruire un processo agli ufficiali statunitensi<br />
che ordinarono di sparare contro un<br />
cameraman nell’hotel Palestina a Bagdag. É<br />
di fatto la prima volta che accade una cosa del<br />
genere contro i militari gringos se il<br />
processo o la semplice minaccia andassero<br />
avanti, i rapporti politici degli spagnoli con gli<br />
Usa non potrebbero che peggiorare<br />
seriamente.<br />
L’America Latina ha avuto storicamente<br />
una grande dipendenza dai capitali e dalle<br />
tecnologie europee, statunitensi, giapponesi e<br />
continua ad essere sottomessa a questa<br />
dipendenza.<br />
Economicamente, gli statunitensi stanno<br />
perdendo la battaglia da quando la Spagna é<br />
entrata nella Comunità Economica Europea<br />
nel 1986, nella misura in cui la Spagna da<br />
allora ha sempre avuto l’appoggio dell’UE.
In questa area é il capitalismo<br />
imperialistico brasiliano che manovra i<br />
tentativi di unificazione economica e politica:<br />
una potenza con 180 milioni di abitanti ed<br />
un’industria potente, per gran parte in mano<br />
agli imperialisti europei (tedeschi-olandesispagnoli-italiani),<br />
che si confrontano con gli<br />
statunitensi e li costringono ad abbandonare<br />
il loro campo storico. Se, come si crede, è vero<br />
che per ora il capitalismo europeo continua<br />
nella sua penetrazione nell’area<br />
latinoamericana per mano dell’aggressivo<br />
capitalismo spagnolo, la situazione diverrà<br />
ancora più difficile per i gringos-americani<br />
nel prossimo futuro. È anche vero, però, che<br />
in un secondo ciclo dovrebbe peggiorare<br />
anche la situazione per gli europei e per gli<br />
imperialisti spagnoli per mano del più<br />
giovane e più aggressivo capitalismo<br />
imperialistico cinese ed anche del nascente<br />
capitalismo imperialistico latino-americano.<br />
Insieme con le multinazionali latinoamericane<br />
sono sorti i grandi insediamenti<br />
urbani: San Paolo, Città del Messico con 20<br />
milioni di abitanti, Rio de Janeiro e Buenos<br />
Aires con 15 milioni, Caracas e Lima con 7<br />
milioni e altre trenta città con una<br />
popolazione che va da 1 a 7 milioni di abitanti.<br />
Queste multinazionali e questi forti<br />
insediamenti urbani sono le condizioni che<br />
vanno conformando il MERCOSUR (mercato<br />
comune del Sud America), costringendo ad<br />
avere relazioni sempre più strette, sia<br />
economiche che politiche tra di loro paesi<br />
quali il Brasile, l’Argentina, l’Uruguay, il<br />
Paraguay, ora anche Venezuela, Cile, Bolivia,<br />
Ecuador, e a cui presto si aggiungerà anche la<br />
Colombia. In questa direzione vengono spinti<br />
dallo stesso imperialismo europeo, grazie al<br />
radicamento in questa area dell’imperialismo<br />
spagnolo.<br />
Gli USA, d’altro canto, non sono riusciti a<br />
isolare la Cina. Quest’ultima ha lanciato un<br />
grande contrattacco sia nel Sudan (per il<br />
petrolio del Darfur, con la presenza di 8000<br />
soldati a difesa dei suoi interessi), sia in<br />
Angola (sempre per il petrolio e per il<br />
finanziamento di 2 miliardi di dollari per la<br />
costruzione di infrastrutture quali strade,<br />
ferrovie, attività commerciali), sia in Iran con<br />
un contratto trentennale da 50 miliardi di<br />
dollari per la fornitura di tutto il gas estratto<br />
in questo paese. Oltre a questo, la Cina ha<br />
rivolto le sue attenzioni all’America Latina.<br />
Ma qui l’attacco è molto più imponente per il<br />
9<br />
numero degli accordi ed il volume degli<br />
investimenti (soltanto nelle ferrovie<br />
brasiliane hanno investito 7 miliardi di<br />
dollari): oltre 20 miliardi di dollari e ulteriori<br />
intese per altri 20 miliardi di dollari nei<br />
prossimi anni. Chi sostiene che la Cina non ha<br />
ancora un ruolo imperialista-finanziario nel<br />
mondo è servito!<br />
Cosa faranno gli USA di fronte a questo<br />
contrattacco cinese? Non saranno forse<br />
costretti a scontrarsi militarmente per<br />
bloccare ed espellere i capitali imperialisti<br />
cinesi e forse anche spagnoli (che<br />
rappresentano gli interessi dell’euro in<br />
quest’area) dall’America Latina? Ed a<br />
scontrarsi militarmente con chi se non con la<br />
Cina e L’Europa?<br />
In questo momento in America Latina è<br />
in atto difatti una specie di spartizione degli<br />
affari fra Cina ed Unione Europea (mediata<br />
dalla Spagna), che offre condizioni più<br />
favorevoli ai cinesi ed agli europei rispetto<br />
agli affari che gli USA vorrebbero realizzare.<br />
Gli USA, ovviamente, non possono stare<br />
zitti e quieti. Questa ingerenza negli affari<br />
della loro storica riserva di caccia latinoamerica<br />
è una provocazione, una temerarietà.<br />
Dovrà parlare la storia, che in definitiva non è<br />
altro che il tempo, e dovrà mostrare se gli<br />
USA decideranno di colpire militarmente i<br />
loro diretti concorrenti europei e cinesi e se<br />
riusciranno a farlo, oppure se, non sentendosi<br />
in grado di farlo, cederanno il loro ruolo di<br />
unica grande potenza mondiale senza<br />
combattere, com’è successo all’imperialismo<br />
russo, che, a partire dalla fine degli anni 80,<br />
ha subito un crollo economico di oltre il 50%<br />
pari a quello del Centro-Europa nella seconda<br />
guerra mondiale. L’atteggiamento americano<br />
dipenderà molto dall’andamento della guerra<br />
irakena e degli affari in Medio Oriente, nel<br />
centro Asia e nel centro Europa. Bisogna<br />
comunque osservare che se l’America dovesse<br />
domani cedere il suo primato mondiale senza<br />
combattere, sarebbe comunque costretta<br />
dopodomani a combattere lo stesso per<br />
difendere i suoi interessi, sia pure con un<br />
ruolo mondiale pesantemente<br />
ridimensionato, perché le stesse forze che<br />
l’hanno spodestata tenderebbero poi<br />
necessariamente a premere e ad agire per<br />
annientarla del tutto. Lo scontro<br />
interimperialista, insomma, sarebbe solo<br />
rimandato, e la guerra pure, con fronti non<br />
molto diversi.
Non dobbiamo dimenticare che i grandi<br />
gruppi economici americani ci stanno<br />
rimettendo con le spese di guerra in Iraq e<br />
con la salita del prezzo di petrolio e gas. La<br />
Delphi (175.000 dipendenti) è fallita, mentre<br />
la General Motors (325.000 dipendenti) è in<br />
gravi difficoltà economico-finanziarie, con le<br />
azioni considerate “titoli spazzatura” e quindi<br />
vicina al fallimento se non interverranno aiuti<br />
da parte del governo. Anche la Ford è in<br />
condizioni simili alla G.M.. Le linee aeree<br />
sono quasi tutte in fortissime difficoltà. La<br />
petrolchimica non investe in nuovi impianti<br />
da più di 20 anni e il tessile è praticamente<br />
sparito. Il settore dell’acciaio continua a<br />
ricevere colpi nonostante le barriere doganali<br />
che tassano le importazioni estere dal 20 al<br />
50%. La Boeing, infine è stata messa in<br />
difficoltà da 24 giorni di sciopero tra la fine di<br />
agosto e l’inizio di settembre, dello scorso<br />
anno, grazie alla richiesta da parte dei suoi<br />
lavoratori di aumenti salariali del 30%.<br />
Tutta questa situazione richiede che si<br />
prosegua con la guerra, ma sorge ora una<br />
semplice domanda: sono gli Stati Uniti sono<br />
in grado in questo momento, di finanziarla e<br />
portarla avanti? Può resistere l’economia<br />
statunitense di fronte agli attacchi che gli<br />
arrivano da ogni parte del mondo e da<br />
concorrenti agguerriti, tra cui spicca la Cina?<br />
Finora la guerra in Iraq ha comunque<br />
portato vantaggi alle aziende petrolifere<br />
statunitensi ed inglesi, che hanno registrato<br />
forti aumenti di fatturato e di utili, scalzando<br />
dai primi posti (secondo la rivista Fortune<br />
500) le aziende automobilistiche GM e Ford<br />
in gravi difficoltà, le banche e le compagnie di<br />
assicurazione. È chiaro che settori come<br />
quello petrolifero e degli armamenti vincono<br />
con la guerra, mentre altri perdono e questo<br />
vale anche per la valletta americana<br />
Inghilterra. Per quanto riguarda invece<br />
l’attuale realtà economica negli Stati Uniti,<br />
non si deve neppure trascurare la<br />
speculazione nel settore immobiliare<br />
americano, attraverso cui le banche fanno<br />
credito ai cittadini a garanzia dell’aumentato<br />
valore speculativo delle loro abitazioni, ma ad<br />
ulteriore loro indebitamento, considerata<br />
anche l’accresciuta massa dei loro consumi<br />
drogati dal credito. C’è, quindi, una situazione<br />
mondiale in cui non ci sono più né economie<br />
stabili, né aree, paesi o settori stabilmente<br />
10<br />
controllati da questo o quel gruppo<br />
imperialistico. Una situazione internazionale<br />
in cui tutti cercano di fregarsi<br />
vicendevolmente e nessuno si rispetta, dove<br />
gli “agnelli” invadono la riserva di caccia del<br />
“lupo”, con guerre commerciali di tutti contro<br />
tutti: la situazione internazionale sta<br />
diventando da 15 anni molto terremotata.<br />
A seguito di quanto esposto, è a partire<br />
quindi dal 1975, con il termine del periodo di<br />
espansione postbellica e con il conseguente<br />
aprirsi di una fase di tempeste economiche<br />
sempre più gravi, il mondo capitalistico si sta<br />
avviando verso una nuova spartizione<br />
generale guerreggiata dei mercati<br />
internazionali. Anche prima del futuro<br />
tracollo economico finale con i relativi<br />
fallimenti a catena delle banche e con i crolli<br />
borsistici simultanei stile 1929, stanno<br />
dunque iniziato a delinearsi i possibili fronti<br />
militari, economici, politici che faranno la<br />
terza guerra mondiale. Ma, sia la prima che la<br />
seconda guerra mondiale, hanno già<br />
dimostrato che i fronti non si chiudono fino al<br />
giorno in cui ogni paese intraprende<br />
militarmente la sua guerra. Fino a quel giorno<br />
tutte le nostre valutazioni e le nostre<br />
previsioni saranno delle ipotesi basate su<br />
tendenze generali che interessano i principali<br />
centri imperialistici.<br />
Noi siamo costretti a fare delle valutazioni<br />
sull’andamento dei fronti economici, ben<br />
sapendo che il capitalismo e la sua economia<br />
sono in continuo movimento e cambiamento.<br />
La Terza Guerra Mondiale inizierà dunque<br />
quando la sua preparazione sarà giunta a<br />
compimento, quando il vero nemico di<br />
Washington sarà costretto ad uscire<br />
allo scoperto, proprio perché ad un certo<br />
punto non potrà più limitarsi al mugugno se<br />
vorrà sopravvivere, e soprattutto quando le<br />
successive guerre locali con le loro<br />
“distruzioni” e “ricostruzioni” non<br />
basteranno più a rianimare il processo<br />
di accumulazione. E questo futuro terzo<br />
conflitto sarà caratterizzato non solo dal<br />
coinvolgimento diretto di tutti i principali<br />
centri imperialisti, come si addice ad una<br />
vera Guerra Mondiale, ma anche dalla<br />
macellazione su vasta scala dei proletari che a<br />
quei centri appartengono, e dalla distruzione<br />
su altrettanto vasta scala del lavoro morto che<br />
entro quei confini si concentra.
Lo sviluppo storico dell’aggressione americana<br />
all’Europa ed il suo inevitabile punto d’approdo<br />
I Parte<br />
• Il <strong>Partito</strong>, organo di analisi<br />
scientifica delle situazioni e di<br />
previsione dei loro sviluppi futuri.<br />
“Il partito è un organo di previsione; se<br />
non è questo si discredita. Marx ad Engels,<br />
lettera del 18 febbraio 1865: «Come il<br />
partito borghese si è screditato e si è messo<br />
da sé nella pietosa situazione di oggi<br />
credendo fermamente che con 'l'era nuova'<br />
il governo gli fosse piovuto dal cielo per<br />
grazia del principe reggente, così il partito<br />
operaio si screditerà ancor di più<br />
immaginandosi che, grazie all'era<br />
bismarckiana o ad una qualsiasi era<br />
prussiana, per grazia del re, le allodole gli<br />
cadano in bocca bell'e arrosto. È<br />
assolutamente fuori dubbio che la fatale<br />
illusione di Lassalle di credere in un<br />
intervento socialista del governo prussiano<br />
sarà seguita da una delusione. La logica<br />
delle cose parlerà. Ma l'onore del partito<br />
operaio esige che esso respinga questi<br />
fantasmi prima che l'esperienza ne abbia<br />
mostrato l'inanità».” ( 5 ).<br />
“I fondatori del nuovo metodo teorico non<br />
appaiono dunque nella veste messianica di<br />
puri ideologi rivelatori di nuovi principi<br />
destinati ad illuminare e trascinare le folle;<br />
essi sono, all'opposto, indagatori scientifici<br />
dei dati offerti dalla storia passata e della<br />
reale struttura della società presente che<br />
sforzandosi di liberarsi in questa indagine<br />
da tutte le influenze oscurantiste dei<br />
pregiudizi dei tempi passati cercano di<br />
fondare un sistema di leggi scientifiche<br />
capaci di ben rappresentare e spiegare<br />
l'evoluzione storica, e, nel senso scientifico<br />
e non mistico della parola, di prevedere<br />
le grandi linee degli sviluppi futuri” ( 6 ).<br />
5 “Origine e funzione della forma partito”, il<br />
programma comunista n. 13 del 1961.<br />
6 “Il ciclo storico del dominio politico della<br />
borghesia”, Testo n. 6 pag. 75.<br />
“Del futuro non basta una anticipazione<br />
arbitraria e romantica, ma occorre una<br />
scientifica previsione, quella specifica<br />
previsione che è resa possibile dal pieno<br />
maturarsi della forma capitalistica di<br />
produzione, e che strettamente si collega ai<br />
caratteri di essa forma, del suo sviluppo, e<br />
dei peculiari antagonismi che insorgono in<br />
essa” ( 7 ).<br />
“La nuova dottrina proletaria costruisce le<br />
linee della scienza del futuro, del tutto<br />
sgombre da elementi arbitrari e<br />
passionali. Se una conoscenza generale<br />
della natura e della storia, parte di essa, è<br />
possibile, essa comprende, inseparabile<br />
da sé, la ricerca del futuro: ogni fondata<br />
polemica contro il marxismo non può stare<br />
che sul terreno della negazione della<br />
conoscenza umana e della scienza” ( 8 ).<br />
• La dinamica del capitalismo<br />
mondiale nei testi di <strong>Partito</strong><br />
dal 1945 al 1960<br />
Nel 1945, quando la valanga di fuoco della<br />
Seconda Guerra Mondiale non aveva ancora<br />
cessato di divampare, il <strong>Partito</strong> formulava<br />
una diagnosi precisa dello scioglimento del<br />
conflitto:<br />
“Oggi come oggi, dopo sette anni di<br />
guerra, il proletariato europeo si<br />
trova innanzi alla più mostruosa<br />
macchinazione che il capitalismo abbia<br />
mai ordito ai danni del proletariato<br />
mondiale. Agendo dietro il paravento<br />
dell'antifascismo, che altro non è se non il<br />
retro di quella medaglia su cui i soliti<br />
padroni del mondo avevano<br />
pomposamente inciso l'effigie del Duce e<br />
del Führer, gli uomini più rappresentativi<br />
del Direttorio anglo-americano, tentato di<br />
7 “Proprietà e Capitale”, Utopia, Scienza, Azione,<br />
pag. 149-150.<br />
8 Ibidem, pag. 150.
imettere in piedi una nuova Santa<br />
Alleanza, una Santa Alleanza a lunga<br />
scadenza garantita dal Patto Tripartito di<br />
Dumbarton Oaks e concepita non tanto<br />
contro i criminali di guerra (che sono stati<br />
e saranno, comunque e sempre, briganti<br />
imperialisti) quanto contro i proletari<br />
d'Europa e del mondo intero, chiamati<br />
non solo a fare le spese della guerra, ma<br />
anche a sottostare alle leggi che i vincitori<br />
crederanno utile imporre nelle rispettive<br />
zone di influenza” ( 9 ).<br />
Gli Stati Uniti d’America portarono infatti a<br />
compimento nel secondo dopoguerra<br />
“la più clamorosa impresa di<br />
aggressione di invasione di<br />
oppressione e di schiavizzamento di<br />
tutta la storia. Non si tratta solo di una<br />
guerra eventuale ed ipotetica poiché essa è<br />
già in atto, essendo tale impresa legata<br />
da stretta continuazione con gli interventi<br />
nelle guerre europee del 1917 e del 1942, ed<br />
essendo in fondo il coronamento del<br />
concentrarsi di una immensa forza<br />
militare e distruttrice in un supremo centro<br />
di dominio e di difesa dell'attuale regime di<br />
classe, quello capitalistico, la costruzione<br />
dell'optimum delle condizioni atte a<br />
soffocare la rivoluzione dei lavoratori in<br />
qualunque paese” ( 10 ).<br />
In che modo?<br />
“Chi con la forza del proprio attrezzamento<br />
intatto può anticipare i dollari e le<br />
scatolette diventa il padrone e lo<br />
sfruttatore delle masse europee<br />
schiavizzate” ( 11 ).<br />
Dopo la vittoria delle forze Alleate contro<br />
l’Asse, infatti, è il dollaro che<br />
“con la sua organizzazione mondiale di<br />
anticipazione ai poveri, muove alla<br />
9 “A Yalta gli imperialismi «democratici»<br />
ribadiscono le catene della schiavitù capitalistica<br />
all’Europa «partigiana» internazionalizzando i<br />
metodi del nazifascismo”, da “Sinistra Proletaria”, 19<br />
febbraio 1945.<br />
10 “Aggressione all’Europa”, da “Prometeo” n. 13 del<br />
1949.<br />
11 “Ancora America”, da “Prometeo”, n. 8 del 1947.<br />
12<br />
conquista d'Europa fino ed oltre gli<br />
Urali, e ne pianifica il successo senza<br />
ricorrere alle traiettorie di siluri atomici e<br />
di aerei di invasione per la via polare” ( 12 ).<br />
“Nell'autunno del 1942 si diffuse la notizia<br />
che le forze di sbarco americane, dopo le<br />
lunghe discussioni, e reciproche insidie,<br />
cogli alleati russi che giorno per giorno si<br />
svenavano senza misura sul secondo<br />
fronte, erano sulle coste del Marocco, con<br />
un chiaro itinerario: il Mediterraneo, la<br />
penisola italiana. Erano tappe di una<br />
unica invasione, passata da<br />
Versailles nel 1917-18, diretta a<br />
Berlino. Solo a Berlino? No, insensati<br />
allora plaudenti, diretta anche a<br />
Mosca. Per grandi specialisti della<br />
sensibilità al mutarsi della storia, siete in<br />
ritardo oggi nel gridare alla minaccia<br />
imperiale e all'aggressione. Sarebbe poco<br />
essere in ritardo, siete senza più fiato<br />
nella strozza, non potete più<br />
risuscitare e mandare in senso<br />
opposto i milioni di caduti di<br />
Stalingrado. Nessuno vi risponderà”<br />
( 13 ).<br />
Il processo di massima concentrazione delle<br />
risorse controrivoluzionarie ad opera<br />
dell’imperialismo americano<br />
“potrebbe svilupparsi anche senza una<br />
guerra nel senso pieno tra Stati Uniti e<br />
Russia, se il vassallaggio della<br />
seconda potesse essere assicurato,<br />
anziché con mezzi militari e una vera e<br />
propria campagna di distruzione e di<br />
occupazione, con la pressione delle forze<br />
economiche preponderanti della massima<br />
organazione capitalistica nel mondo -<br />
forse domani lo Stato unico Anglo-<br />
Americano di cui già si parla - con un<br />
12 “America”, da “Prometeo”, n. 7 del 1947.<br />
13 “Aggressione all’Europa”, da “Prometeo” n. 13 del<br />
1949. A proposito dei “milioni di caduti” cui fa<br />
riferimento il nostro “Filo del Tempo” si osserva che<br />
se “nel 1946 il governo sovietico ne ha stabilito il<br />
numero in 7 milioni […] la gran parte degli studiosi<br />
stranieri ha proposto cifre assai più alte; così per<br />
esempio Prokopovič ha valutato in 14 milioni e<br />
Schuman in 20 milioni i morti sovietici” (Nicholas<br />
V. Riasanovsky, “Storia della Russia”, Ed. Corriere<br />
della Sera, 2005, pag. 596).
compromesso attraverso il quale la<br />
organizzazione dirigente russa si<br />
farebbe comprare ad alte<br />
condizioni; e Stalin avrebbe già<br />
precisata la cifra in due miliardi di<br />
dollari” ( 14 ).<br />
Tale processo, in effetti, non poteva non<br />
includere anche l’U.R.S.S., se è vero che<br />
“lo spazio vitale dei conquistatori<br />
statunitensi è una fascia che fa il giro<br />
della terra” ( 15 ).<br />
Per il nostro <strong>Partito</strong>, dunque, nel 1947 e<br />
nel 1949 l’equilibrio di Yalta, il cosiddetto<br />
“condominio russo-americano” altro non<br />
era che la maschera dell’aggressione<br />
americana all’Europa, una aggressione<br />
resa possibile dalla vittoria bellica<br />
dell’imperialismo americano ed il cui<br />
risultato non poteva che essere il<br />
predominio assoluto dell’impero a stelle<br />
e strisce sull’intero pianeta, anche se una<br />
parte di esso, rappresentata dall’area esteuropea,<br />
restava formalmente sotto il<br />
controllo moscovita: Stalin stesso, infatti,<br />
ormai senza più “fiato nella strozza”, stava<br />
“per rasarsi all’americana” ( 16 ), ossia stava<br />
entrando nell’orbita del capitalismo<br />
americano come un definitivo ed<br />
assicurato vassallo grazie ai miliardollari<br />
prestati da Washington. Al posto dei 2<br />
miliardollari erogati direttamente dagli<br />
USA per i quali Stalin era in trattativa,<br />
arrivarono infatti all’URSS ben 20<br />
miliardollari prelevati con il benestare di<br />
Washington dalle casse degli Stati<br />
sconfitti e di quelli militarmente occupati<br />
( 17 ), casse che erano state a loro volta<br />
14 Ibidem.<br />
15 Ibidem.<br />
16 “Com'è venuto Rockefeller, «a da veni Baffone»!<br />
Ma non dal Kremlino. Quello, in barba a Marx, sta<br />
per rasarsi all'americana” (“Omicidio dei morti”, da<br />
“Battaglia <strong>Comunista</strong>”, n. 24 del 19-31 dicembre<br />
1951).<br />
17 “Il quarto piano quinquennale, che durò dal 1946<br />
al 1950, […] ricevette enorme impulso dalle<br />
riparazioni e altri pagamenti ottenuti dalla<br />
Germania sconfitta e dai suoi alleati. […]. Il valore<br />
totale delle importazioni «politiche» sovietiche, ivi<br />
comprese riparazioni, accordi di scambio<br />
particolarmente favorevoli e altre misure<br />
economiche, unite dalle risorse spese da vari Paesi<br />
per il mantenimento delle truppe dell’Armata Rossa<br />
13<br />
rifornite dai prestiti americani. E quindi la<br />
prospettiva di un nuovo conflitto, basato<br />
sullo scontro militare russoamericano,<br />
era da escludere in quanto<br />
mancava sul versante russo sia la base<br />
economica (predominio del capitale<br />
finanziario) sia la sovrastruttura politicomilitare<br />
ad essa corrispondente<br />
(imperialismo moderno):<br />
“Coloro che sono abbacinati<br />
dall'imperialismo russo fino a dimenticare<br />
la tremenda forza di dominazione ed<br />
oppressione della potenza statunitense,<br />
rischiano di cadere vittime delle deviazioni<br />
democratiche e liberaloidi che sono il<br />
peggiore nemico del marxismo. Non a caso<br />
la predicazione liberal-democratica ha il<br />
suo pulpito maggiore nella sede del<br />
massimo imperialismo odierno. Essi non<br />
vedono come la Russia, il cui<br />
espansionismo si svolge tuttora nelle<br />
forme del colonialismo (occupazione<br />
del territorio degli Stati minori), è<br />
ancora alla fase inferiore<br />
dell'imperialismo, l'imperialismo<br />
degli eserciti, cioè il tipo che per due volte<br />
è stato sconfitto nella guerra mondiale.<br />
Dicendo ciò, non si cambia una virgola alla<br />
definizione che diamo della Russia: Stato<br />
capitalista. Si constata un dato di fatto.<br />
Tutti gli Stati esistenti sono nemici<br />
del proletariato e della rivoluzione<br />
comunista, ma la loro forza non è<br />
eguale. Quel che conta soprattutto per il<br />
proletariato, il quale vedrà coalizzarsi<br />
contro di lui tutti gli Stati del mondo<br />
appena si muoverà per conquistare il<br />
potere, è prendere coscienza della forza del<br />
suo più tremendo nemico, il più armato di<br />
tutti e capace di portare la sua offesa in<br />
qualunque parte del mondo” ( 18 ).<br />
E da questo punto di vista risultava palese<br />
che<br />
di stanza entro i loro confini, è stato valutato in<br />
oltre venti miliardi di dollari, cifra come si<br />
vede colossale” (Nicholas V. Riasanovsky, “Storia<br />
della Russia”, Ed. Corriere della Sera, 2005, pag.<br />
599).<br />
18 “Imperialismo delle portaerei”, da "il programma<br />
comunista" n. 2 del 1957.
“su scala mondiale la più violenta forza<br />
di espansione e di aggressione, poco<br />
importa se tradotta in armi o in dollari o in<br />
scatolette di carne conservata, è quella<br />
che cova nelle viscere del gigantesco<br />
apparato produttivo degli Stati<br />
Uniti” ( 19 ).<br />
Infatti portati in conto “territorio e sue<br />
risorse, popolazione, sviluppo della<br />
macchina industriale, numero del<br />
proletariato moderno, possessi coloniali<br />
come materie prime, riserve umane,<br />
mercati, continuità storica del potere<br />
statale, esito dele guerre recenti, progresso<br />
nel concentramento mondiale delle forze<br />
sia produttive che di armamento” oggi<br />
(1951) “si vede che l’America è il<br />
concentramento n. 1 nel senso, oltre<br />
tutto il resto, ed oltre la probabilità di<br />
vincere in ulteriori conflitti, che<br />
sicuramente può intervenire ovunque<br />
una rivoluzione anticapitalista<br />
vincesse”. Perciò, se è pur vero che “il<br />
concentramento di potere di Mosca è<br />
anche un ostacolo che sbarra la via alla<br />
rivoluzione e lo è non solo come capitale<br />
della corruzione proletaria ma anche come<br />
forza fisica”, non ha tuttavia senso<br />
marxista dire ai due centri imperiali “vi<br />
mettiamo alla pari, non uno un<br />
millimetro prima dell’altro”, ma va<br />
riconosciuto che la centrale russa “ha di<br />
vita solo 34 anni” ed inoltre che laggiù “il<br />
territorio e il popolo sono miscugli di<br />
economie e tipi sociali” e quindi che,<br />
essendo di gran lunga superiore a quello<br />
russo il potenziale controrivoluzionario<br />
nordamericano, “la rivoluzione perde il<br />
tempo se non fa fuori lo stato di<br />
Washington” ( 20 ).<br />
Quanto al fatto poi che Mosca controllasse<br />
l’area est-europea per conto di Washington,<br />
bisognava proprio essere ipnotizzati dalla<br />
propaganda dei due presunti “campi<br />
contrapposti” per non accorgersene. Solo il<br />
nostro <strong>Partito</strong> se ne accorse e denunziò agli<br />
occhi dei proletari quello che in realtà<br />
accadeva al di là della cortina fumogena<br />
19 “Corea è il mondo”, da "Prometeo" n. 1 del 1950.<br />
20 Alfa ad Onorio, 9 luglio 1951.<br />
14<br />
delle opposte propagande sia nel 1953 che<br />
nel 1956:<br />
Gli americani di fronte alla Comune di<br />
Berlino del 1953 se ne guardarono bene,<br />
infatti, dal muovere un dito a favore degli<br />
insorti, ma lasciarono “tranquillamente<br />
che i carri armati sovietici<br />
spazzassero via la «canaglia» dei<br />
rivoltosi”, assistettero “con un sospiro di<br />
sollievo ai colpi di bastone” vibrati dai russi<br />
sui crani degli insorti e si limitarono a<br />
sfruttare quella splendida rivolta operaia a<br />
fini di propaganda anticomunista. Ma lo<br />
fecero solo dopo aver “constatato che i<br />
carri armati russi avevano assolto bene<br />
il loro dovere mentre nel settore opposto<br />
i partiti della democrazia avevano<br />
impedito che gli operai scendessero in<br />
lotta per solidarietà verso i loro fratelli<br />
dell'altra sponda” ( 21 ). E’ proprio perciò<br />
che il nostro Partto non ebbe alcuna<br />
esitazione ad affermare che il Pentagono e<br />
Fort Knox sono “allo stato della storia<br />
piedistalli di forca assai più del<br />
Kremlino” ( 22 ).<br />
Conclusione: l’impero mondiale del<br />
dollaro era ed è l’ultima spiaggia del<br />
capitalismo? Non sta scritto. Esiste ormai<br />
un solo imperialismo, quello a stelle e<br />
striscie, per cui essere anti-imperialisti<br />
equivale ad essere anti-americani, come<br />
affermavano ed affermano tuttora ogni piè<br />
sospinto i “sinistri” filorussi o quelli<br />
terzomondisti, che tuttora ci appestano?<br />
Evidentemente no. I contrasti<br />
interimperialistici sono defunti per sempre,<br />
assorbiti nella sfera totalitaria ma pacificata<br />
del totalitarismo del dollaro? Non risulta.<br />
Non ha forse sempre affermato il marxismo<br />
che essi sono ineliminabili e quindi che<br />
sono destinati necessariamente a<br />
ricomparire in superficie? E, se sono<br />
destinati a ritornare alla ribalta, si<br />
polarizzeranno per forza tra gli USA e<br />
l’apparente superpotenza n° 2 presente<br />
all’epoca sul proscenio, l’URSS?<br />
Evidentemente no, ma, traendo le<br />
conseguenze dalle premesse poste nei Fili<br />
21 “Berlino dalla rivolta proletaria alla guerra dei<br />
pacchi”, 1953.<br />
22 “La Comune di Berlino”, 1953.
del Tempo che abbiamo prima citato, essi<br />
tenderanno a polarizzarsi tra l’aggredita<br />
Europa (Russia compresa),<br />
resuscitata in forza del leniniano<br />
“sviluppo diseguale” forzato dalle<br />
immani distruzioni belliche, da un<br />
lato e gli Stati Uniti d’America<br />
dall’altro.<br />
“È così che pur avendo oggi tutte le<br />
possibilità per gettare le basi di una<br />
confederazione europea, il direttorio<br />
anglo russo americano si guarda bene dal<br />
pronunciare la parola Stati Uniti<br />
d'Europa, relegata nel dizionario nittiano<br />
delle parole pericolose o per lo meno<br />
inutili. V'ha che la borghesia ha oggi<br />
veramente paura di mettere in agitazione<br />
le masse. Un qualsiasi movimento<br />
popolare potrebbe degenerare in<br />
rivoluzione” ( 23 ).<br />
Quella degli “Stati Uniti d’Europa”,<br />
affermò poi il <strong>Partito</strong> nel 1950, “è oggi la<br />
parola storica di forze che sono al servizio<br />
più sfacciato dell'alto capitale e che si<br />
schierano, senza farne mistero, per le sue<br />
più vaste imprese dirette all'asservimento<br />
del mondo” ( 24 ).<br />
“Federazione Europea! Il principale<br />
difetto di questa formula è che essa sceglie<br />
a modello il regime dell'implacabile<br />
capitalismo di oltre Atlantico, beve fino<br />
alla feccia la leggenda imbecille che sia più<br />
umano e meno barbaro di quello europeo,<br />
attribuisce scioccamente tali illusori<br />
vantaggi alla forma federativa della<br />
costituzione” ( 25 ).<br />
In effetti “nelle forme mature degli Stati<br />
borghesi il federalismo è l'optimum<br />
della forma conservatrice della<br />
dittatura di classe contro la rivoluzione<br />
operaia. Lenin riporta l'analisi di Engels a<br />
proposito del sistema svizzero, americano e<br />
così via: lo Stato confederato o il governo<br />
23 “A Yalta gli imperialismi «democratici»<br />
ribadiscono le catene della schiavitù capitalistica<br />
all’Europa «partigiana» internazionalizzando i<br />
metodi del nazifascismo”, da “Sinistra Proletaria”, 19<br />
febbraio 1945.<br />
24 “United States of Europa”, da “Prometeo” n. 14 del<br />
1950.<br />
25 Ibidem.<br />
15<br />
cantonale sono in certo modo liberi rispetto<br />
al governo federale; ma sono anche liberi<br />
nei riguardi del distretto e del comune. Ciò<br />
significa che nei distretti e nei comuni locali<br />
manca ogni autonomia e vi è la dittatura<br />
burocratica del cantone o dello Stato<br />
confederato” ( 26 ).<br />
Da cui la limpida conclusione che<br />
“l'armatura federale in Europa<br />
assicura nel modo migliore, col<br />
reclutamento di eserciti mercenari del<br />
capitale, di polizie di classe, che non<br />
potranno esservi più comuni rosse a<br />
Parigi, a Milano, a Bruxelles o a Monaco -<br />
come un sistema similare garantisce che<br />
non ve ne saranno a Varsavia, a Budapest o<br />
a Vienna” ( 27 ).<br />
Nel 1945 l’unificazione europea non viene<br />
affatto esclusa da noi sulla base di<br />
considerazioni metafisiche sulla eternità dei<br />
conflitti nazionali che dilaniano il Vecchio<br />
Continente: viene anzi considerata<br />
possibile ma pericolosa politicamente<br />
per il direttorio anglo-russo-americano nel<br />
momento storico dato. Nel 1950, al mutare<br />
delle condizioni obiettive, corrisponde un<br />
differente apprezzamento da parte nostra<br />
del significato che una simile parola<br />
d’ordine può assumere. Si dice infatti che<br />
quella degli “Stati Uniti d’Europa” non<br />
rappresenta una parola nostra, non è una<br />
parola proletaria e comunista, e non lo è<br />
soprattutto per la preconizzata forma<br />
federalista, che assicura il più efficace<br />
schiacciamento delle iniziative locali<br />
rivoluzionarie e che proprio perciò, nelle<br />
condizioni storiche esistenti, anziché<br />
risultare pericolosa per gli angloamericani,<br />
come avrebbe potuto esserlo in un 1945<br />
gravido di incognite insurrezionali, “non<br />
risponde ad altro che al migliore<br />
consolidamento della dittatura del<br />
Capitale americano sulle varie regioni<br />
europee” ( 28 ). I cosiddetti “europeisti” del<br />
M.F.E., insomma, sono oggi i servi sciocchi<br />
degli Stati Uniti d’America, si disse: oggi<br />
che l’Europa è una ormai<br />
normalizzata colonia, per cui ogni<br />
26 Ibidem.<br />
27 Ibidem.<br />
28 Ibidem.
afforzamento dell’apparato statale<br />
costituisce di riflesso un rafforzamento<br />
degli ingranaggi del dominio USA sui<br />
proletariati europei. Ma non si disse affatto<br />
che l’Europa avrebbe potuto restare una<br />
normalizzata colonia per tutti i secoli dei<br />
secoli … E nello stesso tempo si ribadì che<br />
con quella divisa il proletariato<br />
rivoluzionario -malgrado Trotsky ( 29 )-<br />
non ha nulla a che spartire. Ma non per<br />
questo si negarono chances ad una futura<br />
riscossa delle borghesie europee contro la<br />
dittatura di Washington e tendente alla<br />
unificazione dei differenti stati nazionali in<br />
una forma federalista piuttosto che<br />
centralista. Non per questo la prospettiva<br />
dell’unità europea fu definita<br />
“megalomane” e il declino del Vecchio<br />
Continente fu considerato “irrimediabile”:<br />
se un miraggio infatti si descriveva, esso<br />
non era rappresentato dall’unità europea<br />
in quanto tale, ma dalla pacifica<br />
federazione degli Stati europei, che è ben<br />
altra cosa: “un miraggio è stato<br />
ripetutamente additato dagli ideologi di<br />
cui questa nobilissima antica terra è tanto<br />
feconda, quanto di avventurieri mercatori<br />
e capitani di industria e di guerra: la<br />
pacifica federazione dei tanti storici<br />
Stati, così vari e diversi nelle loro vicende e<br />
nelle loro strutture, in continuo conflitto da<br />
secoli, sotto il reggimento feudale come<br />
sotto quello borghese, nel clima del<br />
dispotismo come in quello della<br />
democrazia elettiva” ( 30 ). Se unità europea<br />
sarà, dice in sostanza la Sinistra,<br />
infrangendo ancora una volta i cristalli<br />
ideologici con cui i servitori del potere<br />
borghese pretendono di deformare la realtà,<br />
sarà allora una unità per la guerra e<br />
non per la pace. Ed inoltre, alla domanda<br />
se “pensiamo noi marxisti, parlando di una<br />
29 Nel Filo del Tempo sopra citato si afferma, forse<br />
con troppa generosità nei confronti del grande<br />
rivoluzionario russo, che “quella fiammante parola<br />
degli Stati Uniti d'Europa cui […] Trotzky dedicò<br />
pagine vigorose non certo imputabili di abbandono<br />
della dottrina” fu da lui messa innanzi “quando<br />
ancora gli Stati nazionali borghesi, saldi nel<br />
principio di illimitata sovranità autonoma,<br />
l'avrebbero accolta come dichiarazione di guerra<br />
alla morte” (“United States of Europa”, da<br />
“Prometeo” n. 14 del 1950.).<br />
30 “United States of Europa”, da “Prometeo” n. 14 del<br />
1950.<br />
16<br />
federazione di Stati europei, ad una intesa,<br />
ad un organamento permanente tra gli<br />
attuali Stati nei quali la classe borghese<br />
tiene il potere?” segue una ben precisa<br />
risposta: “certamente Trotzky, come ogni<br />
marxista rivoluzionario, considerava che<br />
una federazione di Stati europei<br />
capitalistici avrebbe rappresentato,<br />
una volta attuata e se attuata, il<br />
centrale nemico contro cui il<br />
proletariato europeo avrebbe dovuto<br />
dirigere il suo sforzo rivoluzionario per<br />
strappargli il potere” ( 31 ). Come si può<br />
constatare, non si esclude affatto una<br />
unificazione europea, anche nella forma<br />
federalista, ma la si ammette esplicitamente<br />
e la si individua nello stesso tempo come il<br />
“centrale nemico” del proletariato europeo<br />
in linea con la tradizionale consegna<br />
marxista secondo cui il nemico principale di<br />
ogni proletariato è a casa propria.<br />
Il 1956 è l’anno della rivolta operaia di<br />
Budapest, stroncata nel sangue dai carri<br />
armati russi e della crisi di Suez. Vediamo<br />
come il <strong>Partito</strong>, sulla base della precedente<br />
analisi, interpretava e spiegava questi fatti:<br />
“Orbene, quale potenza mondiale può oggi<br />
svolgere operazioni di polizia di classe in<br />
qualsiasi parte del mondo, se non quella<br />
che possiede la maggior forza e mobilità?<br />
La Russia, dunque? No, anche se gli avvenimenti<br />
ungheresi sembrano averle<br />
consegnato il diploma di primo gendarme<br />
della controrivoluzione mondiale. Invero<br />
tale compito può essere svolto unicamente<br />
dagli Stati Uniti, cioè dall'imperialismo<br />
delle portaerei. Per essere precisi: delle<br />
cento portaerei” ( 32 ).<br />
L’analisi è limpida e spinge sempre il suo<br />
sguardo al di là delle apparenze, escludendo<br />
che l’URSS possa detenere il “diploma di<br />
primo gendarme della controrivoluzione<br />
mondiale” perché anche a Budapest i russi<br />
hanno agito per conto e su impulso di<br />
Washington, bonificando col ferro e col<br />
fuoco un focolaio di infezione che avrebbe<br />
potuto contagiare la metà occidentale<br />
dell’Europa in senso nazionalista o –peggio-<br />
31 Ibidem.<br />
32 “Imperialismo delle portaerei”, da "il programma<br />
comunista" n. 2 del 1957.
in senso proletario. Ma veniamo ora alla<br />
crisi di Suez.<br />
“Per la Gran Bretagna, la Seconda Guerra<br />
Mondiale, quanto ad effetti provocati<br />
nell'equilibrio navale mondiale, doveva<br />
rappresentare quello che per la Repubblica<br />
di Venezia rappresentò la battaglia di Diu.<br />
Infatti l'Inghilterra non può certo dirsi<br />
distrutta, ma il suo primato navale e<br />
la sua egemonia sono definitivamente<br />
tramontate. Il declassamento della flotta<br />
ha comportato la disgregazione dell'impero<br />
coloniale britannico che appunto la flotta<br />
teneva unito”. Non risulta dunque affatto<br />
“definitivamente tramontato” il Vecchio<br />
Continente, come si potrebbe dire andando<br />
ad orecchio, ma la sola Inghilterra, che<br />
per la sua posizione insulare rappresenta per<br />
l’Europa un vero e proprio corpo estraneo<br />
geo-storico. “Oggi è l'epoca<br />
dell'imperialismo americano”. Non è, si noti<br />
bene, l’epoca dell’imperialismo russoamericano,<br />
come l’apparenza avrebbe<br />
potuto suggerire. “Non a caso gli Stati<br />
Uniti hanno ripetuto a danno dell'Europa<br />
la manovra strategica<br />
inaugurata dai Portoghesi nel secolo<br />
XV. Sbarrando la via d'acqua del traffico<br />
commerciale Europa-Asia (sappiamo tutti<br />
che il Canale di Suez non sarebbe stato<br />
bloccato se Nasser non avesse goduto dell'appoggio<br />
statunitense contro l'Inghilterra),<br />
gli Stati Uniti hanno preso<br />
per la gola l'Europa e definitivamente<br />
distrutto le residue tradizioni<br />
imperialistiche britanniche. Sappiamo che<br />
cos'è l'imperialismo del dollaro: esso non<br />
occupa territori, anzi "libera" quelli su cui<br />
grava ancora la dominazione colonialista e<br />
li aggioga al carro della sua onnipotenza<br />
finanziaria, sulla quale veglia la flotta<br />
aeronavale più potente del mondo.<br />
L'imperialismo americano si presenta come<br />
la più pura espressione dell'imperialismo<br />
capitalista, che occupa i mari per dominare<br />
le terre” ( 33 ).<br />
La crisi di Suez rappresentava dunque<br />
un’ulteriore tappa strategica di<br />
quell’unica invasione yankee diretta ad<br />
una Berlino ormai divisa in due e occupata<br />
militarmente e poi da Berlino a Mosca<br />
33 Ibidem.<br />
17<br />
passando attraverso Parigi e Londra.<br />
L’anticolonialismo nasseriano era solo la<br />
maschera della tremenda pressione<br />
stritolatrice degli Stati Uniti che in quello<br />
svolto prendeva per la gola l’Europa intera,<br />
inclusi i Paesi ex-alleati. L’aggressione<br />
americana all’Europa, insomma, proseguiva<br />
e si sviluppava nel 1956 con una manovra<br />
avvolgente intesa a togliere alle potenze<br />
europee il monopolio dei traffici euroasiatici.<br />
“Il problema dell'unità germanica si<br />
proietta e diviene incandescente nel fuoco<br />
della sdoppiata Berlino, ove ognuno dei due<br />
gruppi imperiali vorrebbe vedere un<br />
meccanismo statale unico, controllante<br />
tutta la Germania e la costellazione<br />
europea, e da lui controllato. La sola via<br />
rivoluzionaria è che quel grande<br />
proletariato riesca nella fase di questo<br />
drammatico processo a sottrarsi alle<br />
vicende di un «moto pendolare» tra i due<br />
poli attrattivi di Est e di Ovest, e descriva<br />
una propria autonoma traiettoria” ( 34 ).<br />
“Il presidente americano ha detto a quello<br />
russo a Camp David che teme la<br />
unificazione tedesca. Il primo ha<br />
smentito. Ma la verità è questa: che si sono<br />
detti, in tono distensivo, di non volere<br />
nessuno dei due la Germania unita, e di<br />
temerla” ( 35 ).<br />
“Forse quando Pechino ha saputo che a<br />
Camp David si decretava la soggezione del<br />
bianco popolo tedesco, un giallo grido di<br />
protesta, ingenuo ma possente, ha fatto<br />
saltare lo schifosissimo compromesso” ( 36 ).<br />
Nel 1953 come nel 1960, dunque, il <strong>Partito</strong><br />
è sempre ben lontano dal ritenere che il<br />
Vecchio Continente sia ormai fottuto per<br />
sempre. Se infatti dalle rovine fumanti del<br />
capitale costante europeo non fosse sorto<br />
un nuovo e non effimero slancio<br />
produttivo, che ad un certo punto si sarebbe<br />
necessariamente urtato con lo stato di<br />
colonizzazione da parte di Washington, se<br />
l’Europa insomma era ormai un “cane<br />
34 “La Comune di Berlino”, 1953.<br />
35 “Vae victis Germania”, da “il programma<br />
comunista”, n. 11 del 1960.<br />
36 Ibidem.
morto” incapace di reagire alla morsa<br />
statunitense, che a Suez lo aveva preso per<br />
la gola, perché mai il governo americano e il<br />
suo satellite russo avrebbero dovuto temere<br />
la riunificazione tedesca? Si temono forse le<br />
frasi vuote e i progetti megalomani? Il<br />
<strong>Partito</strong>, quindi, non solo considerava come<br />
cosa seria e possibile la riunificazione<br />
tedesca per una via “non rivoluzionaria”, e<br />
quindi foriera di una nuova definizione<br />
delle alleanze in funzione della terza guerra<br />
mondiale, ma prevedeva già, registrando<br />
quel “giallo grido di protesta”, da che parte<br />
sarebbe stata incline a collocarsi la Cina.<br />
(Continua)<br />
18
La Russia è fuori dai giochi interimperialistici?<br />
Introduzione<br />
Non abbiamo mai pensato che la Russia<br />
potesse smettere di giocare un ruolo di<br />
potenza regionale nell’area euro-asiatica, e<br />
l’articolo di cui stiamo pubblicando una<br />
prima parte, ripercorrendo gli avvenimenti<br />
dalla disgregazione dell’Urss fino alla Russia<br />
di oggi, cerca di dimostrare come questa<br />
tendenza storica del capitalismo russo, dopo<br />
essere stata offuscata negli anni<br />
immediatamente successivi al 1990, si sta di<br />
nuovo riproponendo. In questa prima parte,<br />
dunque, vengono evidenzianti i dati del<br />
disastro economico e sociale russo,<br />
conseguenza della potentissima<br />
ristrutturazione che il Paese ha dovuto subire<br />
per adeguare la sua struttura sociale e<br />
produttiva al più moderno ed avanzato<br />
capitalismo d’Occidente.<br />
Nel corso degli anni cinquanta la<br />
Sinistra 37 fece un grande sforzo teorico per<br />
spiegare come fossero false e illusorie le affermazioni<br />
di Stalin e dei suoi epigoni del<br />
partito russo a proposito di come nell’<br />
Oriente si stesse costruendo “socialismo”. A<br />
partire, per esempio, dal semplice fatto che ,<br />
quando in un determinato Paese circolano<br />
merci, là c'è capitalismo e non socialismo.<br />
Oppure dal fatto che ad alti tassi di sviluppo<br />
dell'economia corrisponda una superiorità<br />
del socialismo sul capitalismo, che invece è<br />
semplicemente un fenomeno materiale<br />
storicamente dimostrato: i capitalismi<br />
giovani hanno tassi di accumulazione più<br />
veloci e ampli rispetto a quelli più vecchi.<br />
Attraverso quindi questo lavoro di analisi<br />
critica abbiamo dimostrato nell’arco di<br />
alcuni decenni come la contrapposizione<br />
USA-URSS avesse una natura prevalentemente,<br />
se non esclusivamente, militare e non<br />
assolutamente di tipo economico-sociale.<br />
Erano i vincitori della guerra che si<br />
ripartivano il mondo, fino ad arrivare ad<br />
accordi per mantenere questa spartizione.<br />
Tanto più che era esclusa quasi del tutto una<br />
concorrenza sul piano economico: così le<br />
merci dei due imperialismi non si<br />
scontravano sul mercato, ma al massimo<br />
37 Specificatamente nei due testi :<br />
Dialogato con Stalin, 1952<br />
Dialogato coi morti, 1956<br />
19<br />
veniva sottratta un'area semi-autarchica<br />
(URSS e Comecon) ai capitalismi maggiori.<br />
E, infatti, le parole utilizzate comunemente<br />
dal nostro partito per spiegare Yalta erano:<br />
spartizione, co-dominio, ecc., erano parole<br />
appropriate a quella realtà storica e le<br />
abbiamo sempre tranquillamente utilizzate.<br />
Ciò che ha caratterizzato invece la nostra peculiare,<br />
critica –peculiare, perché siamo stati<br />
i soli a farla– è stata la denuncia del fatto<br />
che ci fosse capitalismo in Oriente come in<br />
Occidente. Non eravamo affatto di fronte a<br />
uno "Stato operaio degenerato" o a una<br />
qualche forma statale di capitalismo con<br />
delle caratteristiche sociali che la rendessero<br />
diversa da quella occidentale. Era<br />
nettamente puro capitalismo: con tanto di<br />
accumulazione secondo i classici schemi di<br />
sviluppo economico. Come era avvenuto<br />
prima qui in Occidente, quando il ritmo di<br />
accumulazione era più rapido, o comunque<br />
quando il livello di partenza era più basso.<br />
La dominazione statale esistente non era di<br />
tipo socialista- se pur degenerato- ma<br />
pienamente capitalista, infatti tutte le<br />
categorie classiche del capitalismo erano<br />
presenti.<br />
Il vero problema era di prevedere quando<br />
quel ciclo di accumulazione doveva finire,<br />
doveva finire come in Occidente il ciclo che<br />
chiamammo del “quantitativismo<br />
produttivo”, e ci sarebbe stata quella che<br />
allora chiamammo "la grande confessione".<br />
Avevamo previsto per l'area dell’Est europeo<br />
un travagliato passaggio al capitalismo ultramaturo<br />
di stampo occidentale, ma con la<br />
persistenza di uno sviluppo ineguale, di un<br />
governo totalitario nei fatti anche se<br />
probabilmente di facciata democratica, e di<br />
una larga insoddisfazione della popolazione<br />
sottoposta a un crescente sfruttamento. 38<br />
Tutto ciò è poi avvenuto a cavallo tra gli<br />
anni ’80 e ’90, ed ha liberato dai falsi residui<br />
ideologici milioni di proletari.<br />
Quello che stiamo cercando di definire<br />
ora con il nostro lavoro, è come il ritorno<br />
russo sulla scena internazionale potrà<br />
modificare gli equilibri che si stanno<br />
38 Vedere articoli sul “bonapartismo” Programma C.<br />
1991.
determinando fra i vari imperialismi: come<br />
la libertà di circolazione dei capitali, delle<br />
merci e del lavoro, in questo mondo sempre<br />
più capitalisticamente integrato al di sopra<br />
delle macerie dell'arretrato e asfittico<br />
capitalismo orientale, sia stato un oggettivo<br />
Prima di indicare come di consueto<br />
le conclusioni a cui vogliamo tendere<br />
porremo una premessa la cui dimostrazione<br />
daremo per scontata: L’URSS, nella sua<br />
corsa alla formazione di un impero alla<br />
scala mondiale da contrapporre a quello<br />
veramente planetario degli USA, ha<br />
imposto una esasperata compressione delle<br />
forze sociali e produttive interne, non alla<br />
sola Russia strettamente intesa ma<br />
all’intero blocco che ad essa faceva capo,<br />
senza tuttavia disporre della enorme base<br />
economica di cui disponeva il suo<br />
concorrente d’oltre Atlantico, e le<br />
contraddizioni così accumulate durante<br />
settant’anni in questo immane confronto<br />
alla fine l’hanno condotta puramente e<br />
semplicemente al collasso. La cosiddetta<br />
perestrojka è stata il suggello formale che<br />
l’economia sovietica era entrata in una fase<br />
di irreversibile coma a cui si è tentato di<br />
fornire inizialmente una sopravvivenza<br />
puramente strumentale; il macellaio El’cin<br />
non ha fatto altro che staccargli<br />
definitivamente i tubi, e imbandire nella<br />
casa del defunto un lauto pasto, tutt’altro<br />
che metaforico, secondo lo stile<br />
dell’ebraismo.<br />
Alla distruzione dell’ex impero<br />
dell’URSS hanno concorso attivamente<br />
certamente la politica estera degli USA e di<br />
tutti gli stati da essa dipendenti come<br />
Arabia, Pakistan, Turchia, ecc., e senza<br />
scordarsi la benevola CEE; tuttavia, a<br />
dispetto di ciò, se non fosse stato per le<br />
contraddizioni inerenti ad una Russia mai<br />
uscita dalla produzione mercantile e<br />
capitalistica, che ha costruito un proprio<br />
impero sfruttando prima di tutto l’enorme<br />
prestigio mondiale derivante dalla passata<br />
rivoluzione, che parve rinsaldarsi<br />
all’abnorme contributo di sangue pagato<br />
durante il secondo macello mondiale,<br />
nessuna azione di intelligence opposta, per<br />
quanto scaltra ed intelligente, ne avrebbe<br />
20<br />
passo avanti verso lo scoppio di<br />
contraddizioni sempre più insanabili<br />
all’interno del sistema stesso, e grazie a cui il<br />
proletariato non dovrà più giocare un ruolo<br />
subalterno.<br />
causato il crollo. L’occupazione prima e la<br />
guerra poi dell’Afganistan, ultimo atto<br />
dell’impero moscovita, che spesso viene<br />
indicata come la causa dell’esplosione<br />
dell’URSS, in effetti non è stato che il<br />
contingente detonatore esterno; la massa<br />
esplosiva era tutta al suo interno. Come mai<br />
gli USA, pur fra qualche scossone, sono<br />
passati praticamente indenni da una<br />
parimenti umiliante esperienza in Vietnam,<br />
senza che venisse minimamente intaccato il<br />
ruolo di primario imperialismo mondiale?<br />
Nel trattare degli eventi più recenti<br />
che hanno visto in qualche modo ritornare la<br />
Russia, se non proprio nell’avanscena della<br />
politica mondiale, quantomeno l’oggetto di<br />
attente osservazioni ed analisi da parte<br />
osservatori delle più diverse sponde, si<br />
sconta il fatto che, scomparsa l’URSS come<br />
impero mondiale di primaria grandezza, il<br />
“problema Russia” è ben lungi dall’essere<br />
risolto, e neppure stabilizzato.<br />
Le considerazioni che intendiamo<br />
svolgere, ricollegandoci ad una precedente<br />
nota in cui mettevamo in evidenza il<br />
risorgere dei contrasti interimperialistici,<br />
specificatamente fra USA ed UE, tendono a<br />
dimostrare che la Russia odierna, pur nel<br />
marasma economico e sociale in cui è<br />
piombata dopo la dissoluzione dell’URSS, è<br />
ciò malgrado ancora un tassello non<br />
secondario nei contrasti interimperialisti<br />
mondiali con cui le maggiori potenze<br />
imperialistiche sono tutt’ora costrette a fare i<br />
conti.<br />
Come al solito, non disponendo noi di<br />
nostri mezzi di informazione, siamo costretti<br />
a rivolgerci ai correnti mezzi di<br />
informazione, talvolta a carattere puramente<br />
giornalistico, e diventa quindi non sempre<br />
agevole distinguere nelle notizie così raccolte<br />
quanto vi è, nei fatti correnti, di soggettive<br />
preferenze ideologiche di chi scrive e quanto<br />
di oggettivo e di rilevante che, per
importanza, supera il fatto contingente e ci<br />
fornisce quindi indicazioni sulle linee di<br />
tendenza degli eventi contemporanei. Per il<br />
comunista che cerca di decifrare il divenire<br />
sociale è quindi sempre implicito il rischio di<br />
farsi guidare, suo malgrado, dalla testa<br />
altrui. Il determinismo storico, strumento<br />
indispensabile e sufficiente<br />
all’interpretazione di tutti gli eventi sociali,<br />
non è in effetti di semplice utilizzo. Ne’ a sua<br />
garanzia è sufficiente una forte fede<br />
nell’avvento della società comunista; ma<br />
certamente ne è una condizione.<br />
Per tal motivo faremo sovente ricorso<br />
oltre che a dati anche a citazioni tratte<br />
direttamente dalla stampa dichiaratamente<br />
borghese, quando a nostro avviso qualche<br />
scrittore riporta anche dei brandelli di<br />
verità, o delle argomentazioni che per noi<br />
acquistano particolare significato; e oggi,<br />
certamente per l’assenza di una qualunque<br />
minaccia sociale da parte proletaria, e quindi<br />
per arrogante sicurezza, qualche “verità<br />
borghese” è pur possibile rintracciarla sulla<br />
loro stampa.<br />
Nel riassumere le conclusioni a cui<br />
tendiamo possiamo ben dire che gli eventi<br />
recenti, anche considerati dal<br />
ridimensionato settore di azione della<br />
Russia, riconfermano la nostra concezione<br />
del necessario risorgere di urti<br />
interimperialistici che oggi sempre più si<br />
rendono manifesti alla superficie delle<br />
“politiche” dei diversi stati, imperialisti e<br />
men che tali, non per manie o deviazioni di<br />
individui, e neppure di apparati statali, ma<br />
per reali determinazioni materiali,<br />
economiche, sociali, storiche, non meno che<br />
politiche, alle quali, individui o apparati, si<br />
piegano quali determinati esecutori. È solo<br />
con questa visione chiaramente premessa<br />
che possiamo scendere a considerare gli<br />
eventi contingenti, frutto certamente anche<br />
di decisioni che nella loro soggettività<br />
possono essere più o meno congruenti con le<br />
linee di sviluppo, meglio di sopravvivenza,<br />
dell’imperialismo contemporaneo, ma che<br />
nei fatti ne determinano il corso.<br />
Son di questi ultimissimi giorni le<br />
notizie che, a seguito delle non velate<br />
minacce degli USA all’Iran per la sua<br />
determinazione a voler costruire il suo<br />
21<br />
reattore nucleare per uso pacifico – la solita<br />
storia del lupo e dell’agnello; agli eredi di<br />
Komeini viene imputato, tra l’altro, tanto la<br />
corsa alla costruzione di armi di sterminio<br />
di massa che quello dell’appoggio al<br />
terrorismo internazionale, le due infamie<br />
dell’epoca moderna al cui solo profferirle<br />
ogni stato si sente in dovere di dimostrare la<br />
propria estraneità ed innocenza (fa<br />
parzialmente eccezione la Corea del Nord) –<br />
la Russia ha risposto che è sua intenzione<br />
proseguire negli aiuti all’Iran in tale campo<br />
per portare a compimento il progetto e non<br />
solo; il sommo capo del Cremlino si recherà<br />
personalmente a Teheran per rinsaldare un<br />
programma di cooperazione e, si può stare<br />
certi, di reciproca sicurezza militare.<br />
La cosa potrebbe apparire come un<br />
banale sgarbo della Russia a Washington<br />
dato la debolezza attuale dello stato russo,<br />
tanto in assoluto che relativamente<br />
all’America, la classica puntura della zanzara<br />
all’elefante, ed in una certa misura è anche<br />
vero. Ma solo parzialmente.<br />
Sono ormai mesi che<br />
l’amministrazione USA ha sbandierato ai<br />
quattro venti la sua ferma determinazione a<br />
proseguire nella sua crociata antiterrorista<br />
planetaria ma, poiché anche il maggiore<br />
imperialismo mondiale non ha limiti<br />
economici infiniti, ha necessità che altri<br />
vengano a rilevare il grosso delle truppe a<br />
stelle e strisce a completare l’opera di<br />
pacificazione iniziata con la guerra del 2003.<br />
Da qui la presunta riconversione delle tesi<br />
USA ad una democratizzazione della<br />
questione irakena con l’affidarla alla<br />
gestione dell’ONU e, per suo tramite, alla<br />
Nato, tesi tanto cara all’Eu e alla Russia, per<br />
non parlare di tutto l’opportunismo<br />
democratoide oscillante fra europeismo e<br />
demo-nazionalismo. In fondo gli USA<br />
stanno trattando la questione irakena come<br />
una normale partita di politica aziendale; il<br />
bravo dirigente non è quello che svolge<br />
direttamente tutti i compiti che concorrono<br />
ai buoni risultati del budget, ma quello che,<br />
fissata le direttrici della politica aziendale, si<br />
circonda degli opportuni collaboratori, a cui<br />
concede anche totale autonomia, di giudizio<br />
e d’azione, ma al fine del perseguimento<br />
dell’obiettivo prefissato. Così, tra l’altro,
viene anche salvaguardata la finzione<br />
democratica.<br />
Il fatto è che, e per convincersene è<br />
sufficiente osservare una cartina geografica,<br />
gli Usa con i tre interventi militari diretti in<br />
Afganistan ed Iraq, abbinati a quelli politicodiplomatici-economici-terroristici<br />
nella<br />
regione caspica (Geogia, Azerbagian) e in<br />
centr’Asia (Kazakistan, Turkmenistan,<br />
Usbekistan, Tagikistan, Kirghisiztan), gli<br />
USA, dalla fine dell’URSS come secondo<br />
bastione mondiale dell’imperialismo, stanno<br />
innalzando un formidabile muro di<br />
contenimento fra Europa, Russia ed Asia<br />
verso il Medio Oriente, e fra ognuno dei<br />
possibili aspiranti a competere globalmente<br />
con il colosso USA. Anche l’offensiva nei<br />
Balcani e quella verso i paesi ex-sovietici del<br />
centro-nord Europa (Polonia, Romania,<br />
Bielorussia, Ucraina, repubbliche baltiche),<br />
così come il preannunciato intervento nella<br />
Corea del Nord, rispondono alla stessissima<br />
logica di accerchiamento ed isolamento di<br />
tutti i possibili potenziali, allo stato attuale,<br />
avversari.<br />
Vista da Washington, la politica<br />
estera americana in effetti è - a dispetto delle<br />
infinite variabili locali, trattate con modelli<br />
matematici stile war games, e possiamo<br />
anche crederci - senza alternative; sono stati<br />
costretti a dichiarare la guerra preventiva a<br />
tutto il mondo perché è lo standard di vita<br />
americano che è debitore al mondo intero e<br />
la sua difesa (Kissinger: “nessuno pensi di<br />
poter mettere in discussione il modo di vita<br />
americano”) di necessità diventa un<br />
problema mondiale. Quando scrivevamo che<br />
“la zona d’interessi degli USA è una fascia<br />
che fa il giro del mondo” non usavamo una<br />
immagine retorica per colpire<br />
l’immaginazione del militante o del lettore: è<br />
una realtà puramente letterale.<br />
L’URSS, in quanto primo partnerconcorrente<br />
mondiale, sono stati i primi a<br />
farne le spese. Ed oggi sono ridotti alla<br />
Federazione russa e la CSI.<br />
Che a tanto miri la politica di<br />
Washington a Mosca è certo che ne sono ben<br />
consci, - ma il fatto sostanziale è che anche<br />
la politica di Mosca è senza alternative; o<br />
rassegnarsi definitivamente a divenire una<br />
22<br />
nazioncella di terzo o quart’ordine – i teorici<br />
della borghesia continuano a porre per la<br />
Russia il problema irrisolto dell’opposizione<br />
fra impero e nation building, perché nella<br />
visione occidentale il crollo dell’URSS era<br />
stato ipotizzato come uno puro e semplice<br />
smembramento del colosso moscovita in<br />
tanti stati quanti formavano la vecchia<br />
federazione – oppure, nella logica della<br />
semplice sopravvivenza fisica, tentare di<br />
opporvisi o, quantomeno, contenerne<br />
nell’immediato le pressioni maggiormente<br />
distruttive.<br />
Tutto questo turbinare di azioni e<br />
reazioni della politica che ci è presentato<br />
dalla giornalistica quotidiana come l’azione<br />
cosciente, volontariamente perseguita, degli<br />
apparati statali e dei personaggi di gran<br />
spicco in essi pontificanti, ridotta ai suoi<br />
termini essenziali continua a mostrare<br />
l’affermarsi ottusamente incosciente delle<br />
leggi di vita e di sopravvivenza del<br />
capitalismo, modo di produzione, e<br />
dell’imperialismo, non pura politica degli<br />
stati ma condizioni oggettive a quel modo di<br />
produzione corrispondenti. La produzione e<br />
circolazione mercantile sono la sua base<br />
obiettiva, i rapporti di forza derivanti dalle<br />
dimensioni della base produttiva, tanto nel<br />
rapporto fra aziende che fra stati supposti<br />
indipendenti, il predomino del capitale<br />
finanziario su quello produttivo, l’affermarsi<br />
sempre più prepotente della rendita<br />
differenziale anche nella produzione<br />
industriale non sono che delle necessarie<br />
conseguenze. Nel rapporti reciproci i singoli<br />
stati sono costretti a comportarsi secondo<br />
una logica che, per certi versi, non è<br />
dissimile da quella operante nelle singole<br />
aziende considerate come unità produttive, e<br />
cioè tendere ad un aumento crescente delle<br />
proprie dimensioni che ne aumenti il<br />
potenziale concorrenziale rispetto a<br />
qualunque altro concorrente. Mentre però<br />
nel settore produttivo ciò conduce, sovente,<br />
alla semplice fagocitazione di unità minori,<br />
per gli stati ciò invece, di norma, conduce al<br />
solo assoggettamento economico<br />
conservando, ma non è minimamente un<br />
limite assoluto, una parvenza di<br />
indipendenza politica, almeno sul piano<br />
formale dell’indipendenza statuale. Per tal<br />
mezzo gli stati economicamente più deboli si
fanno famigli di quelli economicamente<br />
dominanti che, quindi, divengono in effetti<br />
anche politicamente dominanti. Così<br />
sorgono le cosiddette zone d’influenza che,<br />
nella dizione nazista, era senza ipocrisia<br />
definita il Lebensraum, lo spazio vitale. Ed<br />
in effetti per l’imperialismo, per ogni<br />
compagine nazionale dell’imperialismo, è<br />
strettamente vitale competere e sopraffare<br />
ogni altro concorrente. Il fatto che oggi,<br />
fenomeni tipici dell’imperialismo, nel settori<br />
produttivi predominino i trust monopolistici<br />
internazionali e, al di sopra di essi, il capitale<br />
finanziario, per loro natura sopranazionali,<br />
non attenua minimamente la lotta di<br />
concorrenza fra i diversi stati, anzi pone la<br />
loro lotta a livello mondiale. E per tutti e per<br />
ognuno è semplice questione di<br />
sopravvivenza. Non quindi scelte coscienti e<br />
volontarie ma leggi immanenti e, i cosiddetti<br />
grandi, pur nelle scelte individuali e delle<br />
amministrazioni che dirigono, che noi non<br />
neghiamo ne’ sottovalutiamo, lo sono in<br />
quanto riescano a tradurre in azioni<br />
conseguenti le determinazioni materiali che<br />
coercitivamente li spingono a realizzare.<br />
E’ questa nostra concezione, che trova<br />
applicazione nel determinismo economico,<br />
che ci permette di ricondurre gli eventi tanto<br />
economici che politici, dei grandi non meno<br />
che degli apparati statali che dirigono, di cui<br />
in realtà sono gli esecutori, nei fatti di<br />
Russia ne forniscono ulteriore conferma.<br />
Dopo aver perso tutto l’impero esterno<br />
costituito dai paesi dell’Europa orientale,<br />
anche l’impero strettamente interno<br />
costituito dalla Federazione ha subito<br />
pesanti smembramenti, la soluzione<br />
peggiore anche da un punto di vista<br />
strettamente borghese. Se ciò è avvenuto in<br />
primo luogo sul terreno politico, sono ovvie<br />
anche le conseguenze su quello economico.<br />
Da una parte l’integrazione dei paesi<br />
centroeuropei e di quelli baltici nella Ue e<br />
nella Nato hanno avuto il doppio scopo di<br />
installare più stabilmente il controllo USA in<br />
Europa molto più ad est, nel cuore stesso<br />
dell’Europa, rispetto al passato, costruendo<br />
un corridoio da essi controllato che separa la<br />
Ue dalla Russia e, dall’altra, contribuire ad<br />
inserire paesi oggi di stretta fede americana<br />
nelle istituzioni europee, proprio perché da<br />
essa controllati. A questa che è ormai storia<br />
23<br />
dell’ultimo quindicennio la Russia non<br />
poteva che rispondere cercando di far valere<br />
l’integrazione di queste aree prima di tutto<br />
sul terreno economico, retaggio della<br />
precedente integrazione all’interno<br />
dell’URSS.<br />
Inizialmente si è potuto assistere ad<br />
una formidabile pressione americana<br />
tendente al puro e semplice smembramento<br />
dell’ex URSS, in questo affiancata, anche se<br />
in posizione subalterna, dalla UE, e la Russia<br />
di El’cin sembrava ben decisa a tale manovra<br />
anche perché non era più in grado di pagare<br />
le spese del mantenimento del suo impero;<br />
ed in ogni caso era il costo da pagare per<br />
trovare gli interessati sponsor in occidente.<br />
Una burocrazia onnipresente e capillare che,<br />
partendo dal vertice di tutte le repubbliche,<br />
scendeva per gradi sino alle singole<br />
amministrazioni comunali, di villaggio e sin<br />
dentro alle unità produttive, un apparato di<br />
partito che ricalcava la stessa struttura, un<br />
apparato militare elefantiaco,<br />
determinavano un peso economico che la<br />
nota bassa produttività dell’apparato<br />
economico russo non poteva più sostenere.<br />
E questo slancio iniziale decentralizzatore è<br />
stato cavalcato da USA ed Ue per smembrare<br />
politicamente l’URSS e parimenti per<br />
invaderla sul terreno economico. Le<br />
privatizzazioni selvagge operate a partire dal<br />
’91 con alle spalle imprese multinazionali<br />
hanno letteralmente fatto razzia del<br />
patrimonio pubblico detenuto dallo stato, o<br />
da enti comunque pubblici. Le conseguenze<br />
economico-sociali sono state a dir poco<br />
catastrofiche; il tenore di vita delle masse<br />
proletarie è diminuito di un abbondante<br />
40%, in Russia oggi vi è una diffusione<br />
generalizzata della miseria e,<br />
conseguentemente, di tutti i fenomeni tipici<br />
ad essa collegati ad un livello<br />
incomparabilmente maggiore di quanto<br />
potrebbe far supporre la sua potenza<br />
economica. Si è progressivamente sviluppata<br />
una vera degradazione di tutto il tessuto<br />
sociale. Scadenti, sia qualitativamente che<br />
quantitativamente, livelli nutrizionali,<br />
alcoolismo e droghe dilaganti, Aids e<br />
tubercolosi, corruzione divenuto metodo di<br />
vita di tutta la burocrazia,<br />
incomparabilmente maggiore che sotto<br />
l’URSS, organizzazioni mafiose che
controllano oltre che prostituzione e droga<br />
qualunque aspetto della vita civile.<br />
Il sistema sanitario, come servizio all’intera<br />
collettività, è completamente scomparso:<br />
ogni prestazione medica oggi è prestata<br />
unicamente dietro pagamento diretto ed i<br />
medici infatti sono divenuti un strato fra i<br />
più agiati della piccola-media borghesia. Da<br />
questo fatto il ritorno e la diffusione,<br />
documentata, fra le altre cose, anche della<br />
tubercolosi. A ciò è da aggiungere una<br />
diminuzione progressiva e costante della<br />
popolazione totale poiché, a partire dal ’92,<br />
le morti hanno permanentemente superato<br />
le nascite di un fattore circa 1,5. Il risultato è<br />
che dal ’91 al 2004 la popolazione residente<br />
in Russia è diminuita di 3,5 milioni, dato<br />
questo che però nasconde il fatto che la<br />
Federazione Russa è un’importatrice netta di<br />
braccia, ad es. dalle repubbliche del<br />
centr’Asia e dalle repubbliche baltiche. In<br />
realtà in questo periodo le morti hanno<br />
superato le nascite di circa 10 Mln. Il<br />
significato sociale è evidente: lo<br />
svecchiamento della società russa è la mera<br />
conseguenza di una più alta mortalità.<br />
I fatti che abbiamo riportato, peraltro già<br />
presenti nella società sovietica, hanno<br />
subito una prima accentuazione a partire<br />
dalla fase detta della perestrojka e della<br />
glasnost che è stato il tentativo, chimerico,<br />
di traghettare l’economia russa dal<br />
controllo oppressivo ed onnipresente e,<br />
malgrado tutto, ancora fortemente<br />
centralizzato, sotto lo stato-partito del<br />
capitalismo di stato russo ad un’economia<br />
di mercato completamente svincolata dal<br />
controllo dello stato centrale. Con il colpo di<br />
24<br />
stato che ha portato al Cremlino la banda di<br />
El’cin è invece iniziata una vera e propria<br />
guerra gansteristica, formalmente<br />
all’insegna della democratizzazione del<br />
paese.<br />
È da presumere che non vi siano esempi<br />
storici in epoca moderna così ampi e<br />
profondi come quello russo degli anni ’90<br />
che possano dimostrare come e quanto la<br />
democrazia sia unicamente uno strumento<br />
della classe borghese in funzione<br />
esclusivamente antiproletaria. A scorrere le<br />
cronache dell’epoca ciò che viene alla mente<br />
sono le pagine di Marx sull’accumulazione<br />
originaria in Inghilterra, col suo bagaglio<br />
infinito di miserie, di abbrutimento, di<br />
totale degradazione sociale. La differenza<br />
fondamentale è che nella Russia degli ultimi<br />
anni, essendo la struttura produttiva già<br />
pienamente capitalistica, lo smembramento<br />
delle unità produttive statali, o comunque<br />
pubbliche, ha condotto ad una<br />
privatizzazione selvaggia in cui la parte del<br />
leone l’han fatta i vecchi funzionari dello<br />
stato o del partito, quelli che quindi<br />
disponevano già di una posizione<br />
privilegiata, e ciò è stato tanto più possibile<br />
dalla pressoché scomparsa di ogni controllo<br />
statale. Le stesse proprietà del PCUS sono<br />
state prima confiscate e poi privatizzate.<br />
Specchio di questa situazione generale è<br />
stata la crisi economica che ha investito la<br />
Russia e che ha toccato il suo massimo nel<br />
’98, sia nei settori direttamente produttivi<br />
che finanziari – la crisi della borsa ha avuto<br />
riflessi notevoli anche nel sud-est asiatico, a<br />
Wall Street ed a Londra.<br />
(Continua)
La nascita e lo sviluppo peculiare del capitalismo cinese<br />
Questa prima parte del lavoro riprende, in<br />
buona sostanza, quello che già il <strong>Partito</strong> ha<br />
svolto sulla Cina, negli anni passati. Non si<br />
tratta di affrontare la contingenza dell’oggi,<br />
ma attraverso il percorso di ieri, spiegare<br />
quello che oggi sta avvenendo. Per capire<br />
l’evoluzione storica ed economica della Cina<br />
dobbiamo abbandonare il Mediterraneo e<br />
l’oceano Atlantico per spostarci su un altro<br />
oceano, quello Pacifico. La Cina che su tale<br />
oceano si affaccia ha mostrato uno sviluppo<br />
diverso da quello europeo, sia per la sfasatura<br />
delle epoche storiche, sia per il manifestarsi<br />
di un modo di produzione originale rispetto a<br />
quelli avutisi in Europa: il modo di<br />
produzione asiatico. Questo ha lasciato una<br />
traccia profonda sia a livello culturale che<br />
economico, dissimile dal sistema che<br />
conosciamo.<br />
La prima parte dell’articolo riguarderà,<br />
appunto, la peculiarità dell’evoluzione storica<br />
cinese. “Al fine di gettare le basi organiche di<br />
uno studio sul cinese, riteniamo<br />
utile fornire ai compagni un insieme di<br />
nozioni storiche fondamentali sulle<br />
peculiarità dell’evoluzione storica cinese, che<br />
hanno un peso diretto ed immediato sul<br />
problema di oggi”. Questo scriveva il partito<br />
nel 1957, quando si apprestava a pubblicare<br />
sul “programma comunista” nn. 23-24 del<br />
1957 e nn.7-8 del 1958 uno studio dove si<br />
trattava di riaffermare, attraverso l’utilizzo<br />
della teoria marxista e del materialismo<br />
storico, il metodo di analisi corretta e di<br />
comprendere gli avvenimenti storici nel loro<br />
corso reale, di leggere i movimenti politici e lo<br />
sviluppo delle forze sociali come conseguenza<br />
dei rapporti economici reali. Il partito<br />
riprendeva il filo delle analisi che Marx ed<br />
Engels avevano avviato alla fine del 1800, in<br />
cui si individuavano nella Cina e nell’area<br />
asiatica il futuro susseguirsi delle fasi di<br />
sviluppo e destabilizzazione del sistema<br />
capitalistico. La serie di articoli che<br />
riguardano questo tema sono raccolti nel<br />
testo “India Cina Russia”. E’ stato attraverso<br />
l’utilizzo di questi materiali che noi potevamo<br />
prevedere, già alla fine degli anni ’50, sia il<br />
futuro ed impressionante sviluppo del<br />
capitalismo cinese, sia il carattere non<br />
socialista della rivoluzione maoista. Questa<br />
prima serie di articoli, che noi per ovvi motivi<br />
Piano di lavoro e riferimenti<br />
25<br />
di spazio utilizzeremo riassumendone i<br />
concetti ed i passaggi fondamentali, hanno un<br />
contenuto prettamente storico e si fermano al<br />
periodo in cui inizia la decadenza dell’Impero<br />
cinese e dell’area asiatica, a causa della rapina<br />
ed espansione dell’imperialismo occidentale.<br />
La situazione di dominio che<br />
l’imperialismo occidentale esercita, funge<br />
intanto da catalizzatore del dissolvimento dei<br />
vecchi modi di produzione cinesi. Lo sviluppo<br />
delle forze materiali e l’impianto di strutture<br />
di produzione capitalistiche da parte delle<br />
potenze imperialisteche nella fascia costiera<br />
della Cina imperiale, produce la nascita di un<br />
proletariato urbano e di una borghesia<br />
nazionale che male sopporta la dominazione<br />
straniera. Le rivolte sociali che interessano la<br />
Cina dalla metà dell’800 fino alla metà del<br />
secolo, scorso sono l’espressione di questo<br />
movimento nazionale. Il maoismo<br />
appoggiandosi alla vasta base contadina ed<br />
alla piccola e media borghesia nazionalista,<br />
compie la rivoluzione nazionale borghese<br />
sacrificando il glorioso proletariato di Canton<br />
e di Shangai. La sua sovrastruttura ideologica,<br />
per i motivi di un ritardo dello sviluppo<br />
economico e storico delle classi allora<br />
presenti e del contesto storico internazionale,<br />
ha assunto la forma populista e falsamente<br />
socialista.<br />
Nella serie di articoli apparsi sul<br />
Programma <strong>Comunista</strong> del 1962 nn. 10-11-12,<br />
si pubblica una riunione di partito (riunione<br />
interfederale di Firenze del 18-19 marzo<br />
1962), dove si analizza molto bene questo<br />
periodo ed il carattere non socialista della<br />
rivoluzione maoista. È dalla serie di questi<br />
articoli che trarremo buona parte del<br />
materiale di questa prima parte.<br />
La seconda parte dell’articolo, che<br />
chiaramente sarà materiale per un successivo<br />
numero della rivista, riguarderà lo sviluppo<br />
dell’industrialismo cinese fino ai giorni nostri.<br />
Le tabelle, i dati ed i grafici che<br />
pubblicheremo, cercheranno di utilizzare il<br />
metodo del “Corso del capitalismo”,<br />
individuando nella legge della decrescenza<br />
degli indici di incremento della produzione<br />
industriale, il tarlo che mina dalle<br />
fondamenta anche il fantastico (per gli
sprovveduti) sviluppo industriale cinese. Si<br />
incroceranno diversi indici, i più importanti<br />
sono rappresentati dalla produzione<br />
industriale da cui nasce il plusvalore e che ci<br />
dimostra ancora la vitalità di un capitalismo,<br />
e dalla produzione d’acciaio, sua espressione<br />
di forza. La stessa che consentirà la dittatura<br />
di classe. L’exploit della produzione d’acciaio<br />
cinese deve necessariamente tradursi in un<br />
apparato militare sempre più potente, che<br />
tendenzialmente non deve essere inferiore a<br />
nessun’altro. I rapporti di potenza fra Stati e<br />
capitalismi nazionali sono stabiliti dall’entità<br />
degli armamenti messi in opera: questa<br />
valutazione indica che in Cina è pronta a<br />
partecipare a pieno titolo alle guerre del<br />
capitale sulla pelle del proletariato mondiale.<br />
a) Si incroceranno questi indici con quelli<br />
delle altre potenze industriali per valutare i<br />
rapporti di forza fra gli stati e per vedere quali<br />
sono gli effetti dinamici di sconvolgimento ed<br />
accelerazione degli equilibri capitalistici<br />
mondiali.<br />
b) Va tenuto presente che l’entrata della<br />
Cina nel novero delle potenze borghesi<br />
avviene nella piena fase di putrescenza del<br />
capitalismo in occidente e conseguentemente<br />
si porta dietro tutte le caratteristiche di<br />
questo periodo. Ciò significa che dovremo<br />
cominciare a individuare le debolezze dello<br />
straripante sviluppo capitalistico cinese ed i<br />
problemi sociali (leggi sviluppo ed estensione<br />
dei conflitti sociali ad esso collegati) che<br />
questo sta producendo sul proletariato cinese.<br />
Le fonti di questa seconda parte del<br />
lavoro sono oltre le tabelle del “Corso del<br />
capitalismo” e delle successive integrazioni<br />
prodotte fino al 1996 dal lavoro economico<br />
fatto in occasioni delle riunioni generali del<br />
‘93 e ’96, quando eravamo in Programma<br />
<strong>Comunista</strong>. Dati, tabelle ed indici tratti da<br />
internet e articoli di giornali (c’è una serie di<br />
articoli di Repubblica sulle condizioni di<br />
lavoro in Cina).<br />
I testi di riferimento classici oltre agli<br />
articoli pubblicati sul Programma sono:<br />
1. Marx-Engels India Cina Russia, più<br />
varie lettere e carteggi sulla Cina.<br />
2. La serie di articoli “La distensione<br />
aspetto recente della crisi” nn1-6/1960<br />
3. L’incandescente risveglio delle “genti<br />
di colore” nella visione marxista, nn1-2/1961<br />
26<br />
4. Trostsky-Vujotic-Zinoviev: Cina 1927<br />
Scritti e discorsi sulla rivoluzione. Ed.Iskra<br />
• Prima parte<br />
“Certo, per effetto della<br />
industrializzazione a tappe forzate che il<br />
regime cinese va conducendo, la<br />
Cina, fra qualche decennio diventerà la prima<br />
potenza asiatica. Esistono tutte le condizioni<br />
affinché tale previsione si tramuti in realtà:<br />
l’immenso territorio, la sterminata<br />
popolazione, i giacimenti minerari, e quel che<br />
soprattutto conta, la ventata di spirito<br />
rivoluzionario che anima le moltitudini<br />
popolari. Un’altra condizione obbiettiva<br />
merita un cenno: le radicate tradizioni<br />
collettivistiche di un popolo antichissimo che<br />
la millenaria lotta contro i giganteschi<br />
rivolgimenti della natura (soprattutto le<br />
inondazioni dei fiumi) ha abituato al lavoro di<br />
massa. Del resto la Cina è stata nei secoli la<br />
maggiore potenza asiatica. Se, dopo cent’anni<br />
di eclisse, essa giungerà sotto il regime<br />
a riprendere il posto che il<br />
Celeste Impero occupava tra le potenze<br />
asiatiche e mondiali, di ciò potranno stupirsi<br />
soltanto gli sprovveduti”. (La “distensione”<br />
aspetto recente della crisi capitalista P.C.<br />
1960)<br />
Questa citazione da cui vogliamo partire,<br />
trae tutta la sua ragione dal lavoro che il<br />
partito in quegli anni andava svolgendo sulla<br />
questione cinese. Per ricostruire la storia<br />
della Cina con criteri marxisti, cioè scrivere la<br />
storia reale della Cina e spiegarne il decorso<br />
odierno, bisognava svolgere un poderoso<br />
lavoro di archeologia economica. Gli storici<br />
tradizionali infatti trascurano per formazione<br />
mentale o per semplice conservazione di<br />
classe l’esame delle strutture economiche e<br />
sociali che mutano parallelamente la forma<br />
politica dell’evoluzione storica. Ecco che il<br />
marxista è costretto a percorrere all’indietro il<br />
suo cammino, “partendo” cioè dal risultato<br />
finale dell’evoluzione storica per retrocedere<br />
alle cause economiche e sociali che l’hanno<br />
determinata. Attraverso questo lavoro<br />
potremo così spiegarci le varie fasi storiche ed<br />
economiche che hanno interessato questo<br />
paese: la sua millenaria civiltà ricca e potente,<br />
il declino economico e sociale a partire dalla<br />
metà del 18° secolo, il colonialismo e la<br />
rivoluzione nazionale borghese, il maoismo e<br />
lo straordinario sviluppo capitalistico, il suo<br />
peso nel mercato mondiale e l’assurgere della
Cina nel novero delle potenze militari<br />
mondiali .<br />
La Cina è stato l’unico caso storico in cui<br />
sede geografica, razza, nazione e stato,<br />
abbiano coinciso attraverso parecchi millenni.<br />
Non esiste infatti altro esempio di edificio<br />
statale che, ad onta dei profondi rivolgimenti<br />
interni e delle invasioni di popoli stranieri,<br />
abbia conservato l’originaria sede territoriale<br />
e la base nazionale e razziale su cui fu<br />
innalzato. La nazione cinese non ha mai<br />
cambiato dimora, le dominazioni e le dinastie<br />
straniere che si sono succedute, mongole e<br />
mancesi, riuscirono solo transitoriamente ad<br />
impossessarsi del vertice dello stato. Ogni<br />
volta l’immenso oceano fisiologico della<br />
nazione ha ingoiato gli ospiti, spariti senza<br />
alterare i connotati fisici e culturali degli<br />
occupati. Come sempre, il giovane sangue<br />
“barbaro” assimilò tutto quanto di vivo e<br />
vitale trovò nella tradizione millenaria cinese:<br />
quanto il vinto aveva elaborato di tecnica, di<br />
sapere, di progresso effettivo, non perì, ma<br />
conquistò il vincitore: “[…] Nell’enorme<br />
maggioranza dei casi di conquista durevole<br />
il conquistatore più rozzo deve adattarsi<br />
all’ superiore quale<br />
risulta della conquista, e viene assimilato dai<br />
conquistati e per lo più deve perfino<br />
accettarne il linguaggio”. Due sono i fattori<br />
essenziali della straordinaria sedentarietà<br />
della nazione cinese. Il primo è di ordine<br />
geologico, e riguarda la estrema fertilità della<br />
pianura cinese. Come la Mesopotamia ed il<br />
bacino del Gange, la potente civiltà agraria<br />
cinese affonda le sue radici nella stessa<br />
formazione geologica del continente asiatico,<br />
che unito ad un gigantesco potenziale creativo<br />
ha trasformato in poderose realizzazione<br />
storiche. L’altro fattore anch’esso di ordine<br />
materiale è la posizione geografica della<br />
nazione cinese. La grande pianura cinese ha<br />
avuto per confini naturali degli ostacoli<br />
invalicabili: il semideserto del bacino del<br />
Tarim, l’attuale Turkestan cinese, l’immensa<br />
distesa d’acqua del Pacifico ad oriente. Inoltre<br />
barriere insuperabili come: l’Altipiano del<br />
Tibet, delimitato a sud dalle catene<br />
dell’Himalaya e a nord dalle catene del<br />
Kuenlun e dello Alti-tagh; e in piena Asia<br />
centrale, i Tien-shan, l’Altai, il Kagai. Unica<br />
frontiera scoperta era quella settentrionale,<br />
dove vivono popolazioni nomadi, più dedite a<br />
guerre di rapine che a vere e proprie<br />
invasioni.<br />
27<br />
Queste condizioni hanno determinato che<br />
mentre nel resto del mondo “civile” imperava<br />
ancora lo schiavismo, queste condizioni<br />
portarono al completo compimento il<br />
percorso storico del feudalesimo cinese. Con<br />
l’avvento della dinastia dei T’sin nel III secolo<br />
a.c., avviene già il trapasso violento dal<br />
primitivo feudalesimo aristocratico<br />
(organizzato nelle forme che appariranno in<br />
Europa parecchi secoli più tardi) a quello che<br />
il nostro partito ha definito “feudalesimo di<br />
stato”, cioè non poggiante più sul potere<br />
periferico di una aristocrazia terriera, ma su<br />
un accentrato apparato burocratico di stato.<br />
L’esautoramento dei principi feudali, la<br />
riduzione della aristocrazia terriera a puro<br />
strumento della Corte imperiale, la<br />
oppressione dello spezzettamento del potere<br />
politico e la formazione dello stato unitario -<br />
cioè le condizioni storiche che hanno<br />
permesso il sorgere dei moderni stati<br />
capitalistici- furono possibili in Europa solo<br />
alla fine del Medioevo. Essendo già esistenti<br />
in Cina tali premesse, fu possibile secoli<br />
prima la comparsa di uno Stato unitario.<br />
L’anticipo segnato dalla Cina, è stato possibile<br />
dall’assenza della fase schiavista nel suo<br />
sviluppo storico. Non si hanno notizie di uno<br />
schiavismo cinese. È vero che è esistito in<br />
Cina una forma di schiavitù, ma essa era<br />
legata piuttosto al modo di vita delle famiglie<br />
ricche, che ad un modo di produzione sociale.<br />
La vita sociale cinese resta caratterizzata,<br />
sotto il profilo economico, da una produzione<br />
agricola associata con quella di manufatti, su<br />
base familiare, di villaggio, su cui si<br />
sovrappone il potere centrale accentratore,<br />
“imprenditore generale” dell’irrigazione delle<br />
vallate fluviali e delle grandi opere idrauliche,<br />
senza la quale non sarebbe stata possibile<br />
l’agricoltura. Il controllo dell’acqua è stato in<br />
questo paese sempre una funzione<br />
dell’autorità centrale, che impose alla forza<br />
lavoro contadina del sistema di villaggio il<br />
lavoro servile e coatto, in una condizione cioè<br />
più libera dello schiavo, ma meno libera di un<br />
lavoratore salariato.<br />
La società cinese uscita dalla barbarie,<br />
può saltare lo schiavismo perché può liberare<br />
il proprio potenziale produttivo ed ordinarsi<br />
nelle forme di civiltà senza dover ricorrere<br />
alla guerra ed all’imperialismo e senza doverli<br />
subire da nazioni nemiche. Tutto questo si<br />
comprende se guardiamo ai due grandi fattori<br />
prima elencati. La composizione geologica del
suolo favorevole al progresso di una società<br />
agraria sedentaria; ed alla posizione<br />
geografica della “fortezza”cinese<br />
assolutamente imprendibile. Posta al riparo<br />
delle aggressioni altrui, ed esentata dal<br />
forgiarsi una tradizione guerriera, perché la<br />
terra, quasi senza concime ma con il prezioso<br />
ausilio di ingegnose opere idrauliche, produce<br />
derrate in proporzione al numero pure alto<br />
degli abitanti, la nazione cinese è in grado di<br />
vivere quasi isolata dal resto del mondo.<br />
E’ in Cina che il feudalesimo può attuare<br />
tutte le sue possibilità di sviluppo. Ciò accade<br />
perché lo stato raggiunge ben presto un alto<br />
grado di potenza e riesce a sopprimere il<br />
potere particolaristico della aristocrazia<br />
terriera, sostituendo ad esso un apparato<br />
amministrativo e burocratico fortemente<br />
accentrato nelle mani dell’imperatore. La<br />
cancellazione delle frontiere interne, proprie<br />
dei paesi spartiti entro gli angusti domini<br />
feudali, rende possibile un intenso commercio<br />
interno, attraverso la rete fluviale, quindi un<br />
fitto scambio di relazioni sociali. Il territorio è<br />
suddiviso in province e distretti, che sono<br />
posti sotto la giurisdizione di funzionari<br />
nominati dall’imperatore. La nuova<br />
burocrazia imperiale si differenzia in due<br />
rami, civile e militare, che fanno capo a un<br />
primo ministro ed a un Maresciallo<br />
dell’impero (comandante in capo dell’esercito<br />
regio). Vertice del potere è l’imperatore, nella<br />
cui persona confluiscono i due rami<br />
dell’amministrazione. Su tutto l’apparato<br />
vigila un corpo di ispettori che rispondono<br />
direttamente all’imperatore e sono incaricati<br />
di sorvegliare tanto l’amministrazione<br />
centrale, quanto quella delle province. In altre<br />
parole si assiste alla nascita della monarchia<br />
assoluta, cioè di una forma di stato<br />
caratterizzata da un rigoroso accentramento<br />
di potere, che rimane tuttavia la<br />
sovrastruttura di una base economica feudale.<br />
Questa struttura statale si è mantenuta<br />
inalterata per duemila anni e sotto tutte le<br />
dinastie succedutesi. Essa ufficialmente<br />
cesserà di esistere allo scoppio della<br />
rivoluzione antimonarchica del 1911, benché<br />
le tradizioni accentratrici dell’edificio sociale<br />
cinese si stiano perpetuando nei regimi post-<br />
rivoluzionari giunti al potere , così come in<br />
quelli attuali.<br />
Il dato che si ricava dallo studio della<br />
storia cinese, qualunque cosa pretendano gli<br />
storici idealisti, è cha la molla del progresso<br />
28<br />
sociale è la guerra civile, la lotta di classe.<br />
Ritroviamo qui un altro grande concetto<br />
marxista, la violenza ha nella storia una<br />
funzione rivoluzionaria, essa è la levatrice di<br />
ogni vecchia società gravida di una nuova, è lo<br />
strumento con cui si compie il movimento<br />
della società, che infrange forme politiche<br />
irrigidite e morte. E’ appunto l’eccezionale<br />
frequenza dei rivolgimenti sociali che spiega<br />
la precocità dello sviluppo storico cinese di<br />
fronte all’Occidente. La rivolta sociale è un<br />
catalizzatore del processo storico, perciò la<br />
storia cinese che è più ricca di rivolte e di<br />
guerre civili marcia più in fretta che la storia<br />
degli altri paesi. Tra una grande rivolta e la<br />
successiva, si sono intercalate nel millenario<br />
corso della nazione cinese centinaia di rivolte<br />
e di guerre contadine di minore importanza.<br />
Si contano in un periodo di oltre duemila anni<br />
ben diciotto grandi rivolte. Nessun popolo<br />
può vantare una tradizione rivoluzionaria così<br />
ricca. Non si trattò di reazioni elementari di<br />
masse infuriate, ma la lotta fisica si<br />
accompagnò spesso ad una tagliente critica<br />
della classe dominante. Fu una gigantesca<br />
rivolta contadina che nel 1380 pose fine alla<br />
dominazione mongola e fu ancora una grande<br />
guerra civile che depose la dinastia dei Ming,<br />
però mancando il bersaglio, rappresentato<br />
dalle classi possidenti, che per proteggersi<br />
contro la sovversione sociale, preferirono<br />
chiamare in aiuto la dinastia straniera dei<br />
Manciù. Molti secoli dopo (1849) era la<br />
famosa rivolta dei Tai-ping che proclamava :<br />
“Tutta la terra che è sotto il cielo dovrà essere<br />
coltivata da tutto il popolo che è sotto il cielo.<br />
Che la coltivino tutti insieme e, quando<br />
raccolgono il riso, che lo mangino insieme”:<br />
questo esprimeva già in se dei concetti di<br />
“comunismo agrario”. La rivolta viene<br />
repressa dopo 15 anni col sangue di 20<br />
milioni di abitanti, così gli europei che hanno<br />
difeso la dinastia imperiale dalla rivolta,<br />
preparano nuove possibilità di penetrazione<br />
ai loro capitali ed alla conquista di territorio<br />
cinese.<br />
Se finora abbiamo insistito sulla precocità<br />
dello sviluppo storico cinese rispetto<br />
all’occidente, è perché le caratteristiche<br />
sociali che lo hanno determinato sono<br />
presenti anche oggi ed operano all’interno<br />
dello strabiliante sviluppo economico che sta<br />
attraversando la Cina moderna dopo anni di<br />
oblio, che appunto la sta portando, per<br />
riprendere la citazione iniziale:“…a
iprendere il posto che il Celeste Impero<br />
occupava tra le potenze asiatiche e mondiali,<br />
[e] di ciò potranno stupirsi soltanto gli<br />
sprovveduti”.<br />
Da quali cause fu prodotto l’oblio<br />
centenario della Cina e di tutta l’Asia,<br />
nonostante l’anticipazione politica e sociale<br />
dell’ordinamento statale cinese rispetto agli<br />
stati europei.<br />
L’Europa e l’Asia, partendo da epoche<br />
diverse, arrivano ad una meta comune: la<br />
monarchia assoluta a fondamento feudale.<br />
L’Europa raggiunge questa meta nei secoli XV<br />
e XVI , ed è in questa epoca che siamo<br />
all’equilibrio fra Asia ed Europa ma è anche<br />
da questo momento che lo sviluppo dei due<br />
continenti comincia a divergere ed a opporsi.<br />
La monarchia assoluta è una forma di stato<br />
che sottintende una fase di transizione nel<br />
processo economico e infatti, l’Europa in<br />
questo trapasso da feudale diventa borghese.<br />
Con un balzo prodigioso sopravanza tutti gli<br />
altri paesi e si pone alla testa del mondo. Ci<br />
riuscirà mediante orrende carneficine e<br />
assoggettando il mondo a forme inaudite di<br />
sfruttamento. L’Asia invece resta inchiodata<br />
al precapitalismo. Come si spiega ciò? Come<br />
si spiega che nazioni europee come la Spagna,<br />
la Francia e l’Inghilterra diventano in pochi<br />
decenni ricche e potenti, mentre nazioni<br />
antiche come la Cina decadano dalla loro<br />
posizione dominante?<br />
A parte le diverse vie seguite, a parte le<br />
accidentalità presenti nello sviluppo di<br />
ciascuno e le differenze degli organismi<br />
politici, una tendenza è comune a tutti gli<br />
stati: la tendenza al rinnovamento delle<br />
strutture sociali, all’espansione dei mezzi<br />
produttivi, alla ricerca di nuovi modi di vita<br />
sociale, in una parola, la tendenza a superare<br />
il feudalesimo. Ma la dialettica storica<br />
permetterà solo ad un gruppo di Stati di<br />
percorrere fino in fondo il cammino<br />
intrapreso, e cioè a quegli Stati che<br />
riusciranno ad imprimere un ritmo mai visto<br />
all’accumulazione capitalistica primitiva, alla<br />
costruzione di grandi fortune mercantili e<br />
finanziarie che in seguito renderanno<br />
possibile la rivoluzione industriale. La grande<br />
partita tra Asia ed Europa si deciderà sui mari<br />
precisamente nell’epoca delle grandi scoperte<br />
geografiche, sulle rotte oceaniche che<br />
apriranno la strada al mercato mondiale<br />
moderno. In questa impresa l’Asia è assente,<br />
vi parteciparono, invece, i nuovi stati atlantici<br />
29<br />
dell’Europa, le neonate monarchie cristiane<br />
che sono emerse da una lotta vittoriosa e<br />
tendono irresistibilmente ad espandersi. La<br />
circumnavigazione del globo, negli anni 1519-<br />
1522, sanziona il primato ed il predominio<br />
mondiale dell’Occidente, poco importa se<br />
dalle mani degli iberici questo passerà agli<br />
olandesi ed agli inglesi. Cambieranno i<br />
dominatori, che la tortureranno e la<br />
spoglieranno spietatamente, ma non muterà<br />
mai più la sorte dall’Asia: scompariranno dai<br />
mari le sue flotte, si inaridiranno le sue<br />
campagne, si spopoleranno le sue<br />
meravigliose città. I suoi popoli cadranno<br />
nella galera infernale del colonialismo<br />
capitalista, il più feroce ed inumano cha sia<br />
mai esistito. Non per altro motivo si spiegano<br />
le cause del ripiegamento e la decadenza<br />
dell’Asia, e per essa della Cina. Da allora,<br />
l’imperialismo bianco è riuscito a dominare<br />
l’Asia dominando gli Oceani. Non a caso è<br />
accaduto che appena gli antichi padroni<br />
britannici, francesi ed olandesi ne furono<br />
scacciati, nel corso della seconda guerra<br />
mondiale le nazioni asiatiche siano sorte a<br />
nuova vita.<br />
• Dalla dominazione coloniale alla<br />
rivoluzione nazionale borghese<br />
È in Cina che il capitalismo europeo nel<br />
corso di tre secoli ha rivelato tragicamente la<br />
sua intrinseca natura sopraffattrice, ma la<br />
presenza degli europei agisce anche da<br />
dissolvente sulla struttura economica e,<br />
quindi, sulla sovrastruttura politica cinese. La<br />
compagnia delle Indie Orientali ed il<br />
contrabbando inglese danno impulso<br />
all’importazione dell’oppio, in un primo<br />
tempo limitata, in seguito aumentata in<br />
proporzioni sempre maggiori. Tale<br />
importazione assumerà un’importanza<br />
determinante agli effetti dei cambiamenti<br />
sociali e politici prodottisi a partire dal 1840<br />
circa. L’introduzione dell’oppio, attraverso la<br />
quale il capitalismo inglese intacca<br />
profondamente lo stato sociale del paese, la<br />
cui diffusione viene effettuata a mezzo di<br />
personale burocratico dello stato, accentua<br />
sempre di più la rarefazione dell’argento, in<br />
Cina corrente moneta di scambio. Tale<br />
rarefazione si riflette sensibilmente sullo<br />
stesso erario statale, è contro questo effetto<br />
ed alla conseguente rovina economica del<br />
paese, cosicché il governo imperiale reagisce<br />
scatenando le guerre dell’oppio. La Cina esce<br />
sconfitta da queste guerre che invece
favoriranno l’apertura al commercio<br />
dell’oppio di altri cinque porti e la<br />
penetrazione ancora più vasta delle potenze<br />
straniere. La decadenza economica della Cina<br />
in questo periodo è giunta ad una fase<br />
drammatica. L’importazione dei tessuti<br />
inglesi aveva provocato una crisi della<br />
produzione nazionale. La gestione della terra<br />
nel modo in cui veniva attuata dalle comunità<br />
aveva, da secoli , comportato l’esecuzione di<br />
una serie di bonifiche, di regolazioni di corsi<br />
fluviali, necessari alla produzione agraria. La<br />
fuga dell'argento dal paese, accentuata<br />
dall'importazione dell'oppio attraverso i<br />
mandarini divenuti compradores, aveva<br />
comportato l’arresto o diminuzione<br />
nell'intervento tecnico necessario al<br />
mantenimento in funzione delle opere di<br />
bonifica, etc.. Con disastrose conseguenze<br />
sull'agricoltura del paese, attraversato da<br />
frequenti carestie. Le prime tre guerre<br />
dell’oppio non saranno dunque che il preludio<br />
di un dramma nel quale Gran Bretagna e<br />
Francia prima, gli Stati Uniti e la Russia come<br />
profittatori non belligeranti dello sporco<br />
commercio più tardi, infine Germania e<br />
Giappone, si avventeranno sulla Cina,<br />
portandovi il ferro ed il fuoco. Ma creandovi<br />
anche i primi nuclei di classe operaia<br />
altamente concentrata nelle città litoranee,<br />
pur senza, comunque, riuscire a modificare in<br />
modo sostanziale i rapporti di produzione e di<br />
vita nelle campagne. L'ormai sistematica<br />
spoliazione del paese fa pullulare le rivolte<br />
antieuropee, che sorgono e si sviluppano nelle<br />
campagne, ultima linea di resistenza della<br />
società indigena all’offensiva capitalistica<br />
internazionale.<br />
Marx scrive in quegli anni, a proposito di<br />
quei fatti e delle prospettive che quegli<br />
avvenimenti innescavano sugli equilibri del<br />
capitalismo di allora : “ La<br />
sovrappopolazione in lento ma regolare<br />
progresso aveva già da tempo reso<br />
soffocanti, per la grande maggioranza di<br />
quella nazione, i rapporti sociali. Vennero gli<br />
inglesi e si aprirono con la forza il libero<br />
scambio con cinque porti cinesi. Migliaia di<br />
navi salparono dall’Inghilterra e<br />
dall’America verso la Cina, e questa in breve<br />
fu sommersa dai manufatti britannici ed<br />
americani. L’industria cinese, poggiante sul<br />
lavoro manuale, soccombette alla<br />
concorrenza della macchina, l’incrollabile<br />
Impero di Mezzo subì una profonda crisi<br />
30<br />
sociale. Le tasse non entravano più, lo stato<br />
giunse alla soglia del fallimento, la<br />
popolazione in massa precipitò nel<br />
pauperismo, esplose in violente rivolte,<br />
malmenò ed uccise numerosi mandarini e<br />
bonzi. Sul paese in sfacelo incombe ora lo<br />
spettro di una rivoluzione violenta. Ma non è<br />
il peggio.<br />
Dalla plebe in tumulto, qualcuno si<br />
levò a denunciare la miseria degli uni<br />
e la ricchezza degli altri e a chiedere<br />
una ridivisione della proprietà, anzi<br />
l’abolizione completa della proprietà<br />
privata. […] è pur sempre un fatto<br />
ameno, che in otto anni le balle di<br />
cotonerie della borghesia britannica<br />
abbiano portato l’impero più antico e<br />
solido del mondo alla vigilia di un<br />
sovvertimento sociale, i cui risultati<br />
avranno comunque, per la civiltà, una<br />
importanza immensa”. 39<br />
E' dall'accumulazione di lunghi decenni di<br />
pirateria imperialistica in combutta con la<br />
classe dirigente indigena che sprigionò nel<br />
1900 l'esplosione della rivolta xenofoba e<br />
popolare dei Boxers, della quale<br />
approfittarono le grandi potenze europee per<br />
trarre pretesto non solo per ristabilire<br />
sanguinosamente l'ordine e rinsaldare le basi<br />
vacillanti della monarchia, ma per divorare<br />
altre fette del territorio nazionale cinese. Si<br />
inizia un secondo o terzo round di assalto alla<br />
Cina in nome della «civiltà» e del<br />
«progresso». Alla fine del secolo 19° la Cina<br />
veniva a trovarsi avviluppata nei tentacoli del<br />
capitale mondiale, che aveva dato origine,<br />
specie nei grandi porti, ad uno strato di<br />
proletariato indigeno, mentre caratterizzava<br />
la borghesia cinese come quasi<br />
esclusivamente commerciale. In pari tempo il<br />
contatto con la civiltà europea aveva fatto<br />
nascere quella che potrebbe chiamarsi una<br />
«classe» politica di studenti, studiosi e<br />
uomini d'affari. Essa cominciò a fare avvertire<br />
il suo peso sulla struttura statale solo negli<br />
ultimi anni del 1800.<br />
E' l'occupazione straniera che installa le<br />
prime strutture industriali e dà l'avvio alla<br />
trasformazione dell'economia cinese. Infatti<br />
nell'Est e nel Nord, lungo le coste orientali<br />
dell'interminabile subcontinente, si<br />
39 Marx-Engels : India Cina Russia, “Grande Muraglia e<br />
cotonerie inglesi” , pg 37 Il Saggiatore
sviluppano le ferrovie ed i primi apparati<br />
industriali anche nazionali, sulla base dei<br />
quali la Cina odierna prende l'avvio per uno<br />
sviluppo economico di tipo capitalistico. Ma<br />
la differente condizione fra privilegio<br />
straniero e nuova borghesia cinese spinge<br />
questa ultima a richiedere un<br />
ammodernamento del regime che non<br />
rispondeva agli interessi dell’economia in<br />
espansione. Una serie di editti pur emessi,<br />
restarono sulla carta. Le nazioni europee<br />
continuavano ad ottenere concessioni e<br />
facilitazioni. Per avere un’idea di quali<br />
privilegi godessero le potenze imperialistiche<br />
in Cina, basti pensare che sulla base degli<br />
accordi statali, gli stranieri mantenevano il<br />
privilegio di sottostare alle leggi delle<br />
rispettive nazioni in tutte le transazioni<br />
commerciali e di altro genere. Non erano<br />
perciò soggetti alle leggi ed ai tribunali cinesi.<br />
Una società straniera poteva costituirsi<br />
secondo le leggi vigenti nel proprio stato di<br />
origine, essa poteva impiantare una fabbrica<br />
in uno dei qualsiasi dei settanta porti<br />
compresi nei trattati, impiegare lavoratori<br />
cinesi e lavorare in condizioni di favore<br />
rispetto alla stessa industria cinese. Fu<br />
intorno al 1898 che la Cina avvertì appieno il<br />
pericolo implicito nelle intromissioni degli<br />
interessi europei e nelle rivalità per le<br />
concessioni ferroviarie, minerarie ed è<br />
parimenti di questo periodo il contrasto tra la<br />
giovane borghesia nazionalista e la vecchia<br />
classe compradora, puramente conservatrice,<br />
legata a doppio filo con i vari imperialismi<br />
presenti sul territorio cinese.<br />
Si andava formando una nuova classe di<br />
operai urbani, ancora giovani e grezzi, che<br />
non conosceva le seduzioni del riformismo:<br />
era stata proiettata nel girone della grande<br />
industria meccanizzata senza passare<br />
attraverso gli anelli successivi della<br />
cooperazione semplice e della manifattura, e<br />
aveva di fronte a sè la potenza anonima del<br />
capitale nella sua cruda realtà, non celata dai<br />
veli della filantropia progressista e della<br />
retorica liberale; l’estrema mobilità a cui era<br />
sottoposta non la vincolava ancora<br />
all’azienda; l’assenza di ogni qualificazione<br />
non opponeva nemmeno un esile strato di<br />
aristocrazia operaia all’esercito enorme della<br />
manovalanza. Privo di “cultura”, il<br />
proletariato cinese aveva percorso<br />
rapidamente- per uno di quei fenomeni di<br />
accelerazione che la storia ripete a scadenze<br />
31<br />
regolari- tutti i gradini della scuola della<br />
lotta di classe, la sede reale della sua<br />
“cultura”. Rimanevano uno sterminato<br />
strato di contadini schiacciati dal peso dei<br />
canoni d’affitto, dalle imposte, dai debiti<br />
contratti a tassi usurari per l’acquisto o anche<br />
il noleggio dei più rudimentali mezzi di<br />
lavorazione del suolo, dalle prestazioni<br />
personali di vario genere derivanti dal passato<br />
feudale. Nello stesso tempo si accumulavano<br />
e si elevavano le fortune della classe borghese,<br />
su cui primeggiava il potere delle cosiddette<br />
«quattro famiglie»: dei Soong, dei Kung, dei<br />
Chen e dei Chiang, padroni della Cina con la<br />
protezione delle potenze occidentali ed in<br />
particolare degli USA. E' proprio sotto la<br />
spinta delle «quattro famiglie» che si compie<br />
nel 1911 il primo episodio della rivoluzione<br />
borghese sotto la guida di Sun Yat-Sen,<br />
tentativo della grossa borghesia cinese di<br />
liberarsi dal paternalismo oppressivo e<br />
costoso del capitalismo bianco e giapponese.<br />
Questa rivoluzione aveva come premesse<br />
essenziali i movimenti rivoluzionari dei Taiping<br />
e dei Boxers. Ma se a questi movimenti,<br />
profondamente popolari, mancava non solo il<br />
carattere unitario nazionale che solo la<br />
grande borghesia può infondere, ma anche il<br />
sottofondo di interessi omogenei precostituiti,<br />
alla rivoluzione del 1911 mancava, al<br />
contrario, un movimento veramente<br />
popolare. Nelle classiche rivoluzioni borghesi<br />
dell’occidente la classe capitalistica nascente<br />
aveva saputo prendere il potere e consolidarlo<br />
distruggendo i rapporti feudali delle<br />
campagne. In Cina questa stessa classe era<br />
troppo intimamente legata a quei rapporti per<br />
sollevare i contadini. La rivolta non segnò<br />
l’avvento di nessun gruppo e di nessuna<br />
classe capaci di dirigere l’opera di<br />
trasformazione della Cina, di risolvere la crisi<br />
agraria, di resistere alle ingerenze ed alle<br />
pretese degli stranieri. Il potere passa in<br />
mano ai signori della guerra; il partito di Sun-<br />
Yat-Sen, dato che non c’era stato nessun moto<br />
autenticamente popolare dal quale potesse<br />
attingere forza e vigore, si perdeva nella<br />
ricerca di protezioni fra i vari generali. Il<br />
periodo della guerra imperialista del 1914-18<br />
porta alla Cina un po’ di ossigeno, si allenta la<br />
concorrenza straniera, cresce l’esportazione,<br />
nascono nuove industrie locali. Dopo la fine<br />
della guerra, le speranze riposte nelle<br />
promesse wilsoniane di autodecisione e<br />
giustizia sociale per tutti i popoli, andarono<br />
deluse. Nel 1919 la gioventù studentesca
esplose in grandiose manifestazioni contro il<br />
governo filo giapponese di Pechino e gli<br />
operai scioperarono in appoggio alla richiesta<br />
di cambiamento di regime. Alla nascita delle<br />
nuove organizzazioni operaie contribuirono<br />
in maggior misura gli operai che ritornavano<br />
dall’emigrazione nei paesi europei ed<br />
americani. Intanto sull’onda di questi<br />
movimenti, anche il partito anemico di Sun-<br />
Yat-Sen prese ossigeno. Era un vago e timido<br />
programma il suo, poiché respingeva sia<br />
l’idea della lotta di classe, che quella di una<br />
partecipazione popolare alla vita politica. La<br />
sua speranza risiedeva in una pacifica<br />
riorganizzazione della società, dopo che il suo<br />
partito, con mezzi puramente militari, si fosse<br />
assicurato il potere. Tutto ciò è dimostrato<br />
dallo stesso “Piano per lo sviluppo della<br />
Cina”, che era il programma politico di Sun<br />
Yat-Sen, in cui si vede come la grande<br />
borghesia cinese si faccia ancora molte<br />
illusioni, pretendono di conquistare la sua<br />
indipendenza nazionale con «l'aiuto<br />
dell'imperialismo». Nel 1923 Sun-Yat-Sen<br />
lancia i suoi tre punti politici fondamentali:<br />
; postula l’amicizia con l’Urss<br />
e l’alleanza coi comunisti, che si realizzerà nel<br />
1925 nel primo governo nazionale con i<br />
rappresentanti del Kuomintang. Nel 1927<br />
questa alleanza si spezzerà in maniera<br />
sanguinosa con gli eccidi proletari di Canton e<br />
Shangai. Mao, più tardi, riprenderà pari pari i<br />
principi di Sun Yat-Sen e, con alterne fortune<br />
nell'alleanza con la grossa borghesia<br />
commerciale, rappresentata da Chiang<br />
Kaishek, porterà a compimento la rivoluzione<br />
democratico-nazionale. Mao intuisce che<br />
prima di tutto bisogna creare uno Stato<br />
unitario, vale a dire uno Stato in cui tutte le<br />
forze sociali siano subordinate al<br />
rafforzamento dello Stato stesso. Per questo il<br />
PCC (partito comunista cinese) abbandona la<br />
strada maestra della rivoluzione proletaria,<br />
consentendo alla grassa borghesia di<br />
stroncarne i sussulti infondendo fiducia alla<br />
piccola borghesia ed al contadiname. Anziché<br />
quindi parlare di rivoluzione democratica è<br />
più giusto parlare di controrivoluzione<br />
democratica in Cina, se si considera che senza<br />
l'abbattimento violento delle Comuni operaie<br />
di Canton e di Shangai il capitalismo non<br />
avrebbe potuto trionfare. I «comunisti» sia<br />
russi sia cinesi, abbandonato il corso storico<br />
della rivoluzione proletaria, si sono issati sulle<br />
32<br />
spalle della piccola borghesia e dei contadini<br />
con l'aiuto del capitalismo internazionale.<br />
Quando, al principio del secolo,<br />
l'imperialismo mondiale ebbe<br />
irrimediabilmente spezzato con la forza i<br />
quadri economici e politici dell'antica Cina<br />
accelerando l'espropriazione delle comunità<br />
agricole e screditando il potere centrale, due<br />
compiti si imponevano alla rivoluzione<br />
nazionale borghese: assicurare l'indipendenza<br />
nazionale contro gli Stati capitalistici che si<br />
erano divisi il paese e realizzare la riforma<br />
agraria, conditio sine qua non di ogni<br />
sviluppo industriale. Il problema era di sapere<br />
chi, borghesia o proletariato, si sarebbe<br />
assunto questi compiti assicurandosi in tal<br />
modo un vantaggio decisivo sul nemico di<br />
classe. Si può dire che il proletariato cinese si<br />
costituì,se non prima della borghesia<br />
nazionale, certo in una relativa indipendenza<br />
da essa. Concentrato quasi esclusivamente<br />
nelle concessioni straniere, esso aveva già in<br />
mano le sorti della lotta anti-imperialista;<br />
mentre la borghesia, nata in ritardo sulla base<br />
di uno sfruttamento semicoloniale, tendeva al<br />
compromesso con l'imperialismo, sotto<br />
l'incubo, ossessionante dalla fine della prima<br />
guerra mondiale, di un assalto proletario.<br />
Come nella Russia zarista e come nella<br />
Germania del 1848, spettava quindi al<br />
proletariato organizzato in partito autonomo<br />
di classe prendere la testa della rivoluzione<br />
democratica e condurla a termine fino alla<br />
proclamazione della sua dittatura. Questa<br />
prospettiva deve alla controrivoluzione<br />
staliniana la causa d'essere stata liquidata sul<br />
suo terreno d'origine. Lo stalinismo legò il<br />
partito del proletariato al partito della<br />
borghesia e poi lo trasformò, dal 1927 e con<br />
Mao, in un partito contadino.<br />
La Cina di Mao e compagni ha offerto in<br />
esempio ai popoli coloniali il corso doloroso<br />
di 40 anni di compromessi con la borghesia<br />
nazionale e con l'imperialismo mondiale, di<br />
liquidazione della tattica e dei principi<br />
comunisti nella questione coloniale e di<br />
abbandono della linea della rivoluzione<br />
doppia a favore di una «rivoluzione<br />
democratica» che in Cina, per dirla con<br />
Trotzki, non fu una rivoluzione borghese, ma<br />
una vera controrivoluzione. Così prima come<br />
dopo la presa del potere, il partito di Mao non<br />
ha avuto per i paesi arretrati altro programma<br />
che di far assumere al proletariato i compiti<br />
politici ed economici della borghesia
storicamente condannata come classe<br />
rivoluzionaria.<br />
Nell'irrimediabile degenerazione dei<br />
partiti nati dalla III <strong>Internazionale</strong>, il partito<br />
cinese ebbe la sua parte nel seppellire fra i<br />
primi la teoria marxista della rivoluzione<br />
doppia e a predicare la rivoluzione per<br />
«tappe». Ciò che rende doppia una<br />
rivoluzione non consiste nel fatto che essa sia<br />
prima borghese, poi socialista, ma appunto<br />
che permetta di saltare le «tappe » riformiste<br />
della democrazia borghese. La rivoluzione di<br />
Ottobre, come rivoluzione politica, fu<br />
socialista tout court e tutto il suo corso<br />
storico rappresenta la vittoria della linea<br />
proletaria su quella della democrazia<br />
borghese. L’estremismo cinese, se non ha<br />
nulla in comune con la linea del proletariato<br />
nella rivoluzione anticoloniale, non si<br />
identifica neppure con un radicalismo<br />
borghese conseguente e ciò per la semplice<br />
ragione che, in una rivoluzione doppia, ogni<br />
via diversa dalla dittatura proletaria<br />
compromette le sorti della rivoluzione<br />
borghese: se il proletariato interviene in<br />
prima linea nella rivoluzione democraticoborghese<br />
e nazionale, lo fa avendo come vera<br />
bussola quella “garanzia relativa” contro una<br />
restaurazione del passato che è la rivoluzione<br />
stessa portata, come può solo portarla il<br />
proletariato, fino al suo limite estremo (la<br />
repubblica, le otto ore, la nazionalizzazione<br />
della terra) e quella “garanzia assoluta” che è<br />
la rivoluzione socialista mondiale, quale<br />
condizione essenziale per scavalcare i confini<br />
borghesi. Pronto a picchiare sul nemico<br />
precapitalistico o imperialista in unione alla<br />
borghesia nazionale, fermamente convinto a<br />
“marciare separato” da essa, il proletariato<br />
può tradurre in atto questa decisione<br />
soltanto se fin dall’inizio denunzia le<br />
inevitabili esitazioni ed i tradimenti dei<br />
”compagni di strada”, si batte e si<br />
organizza per divenire classe egemone,<br />
si organizza e si arma per mantenere<br />
questa posizione, trascina dietro di sé il<br />
proprio aiutante contadino, levando alta la<br />
bandiera della rivoluzione agraria. Così e solo<br />
così imprime il carattere classista ad una<br />
rivoluzione che tutti gli “altri” vorrebbero<br />
confinata in un quadro interclassista. E’<br />
questa una strada di attacco, non di difesa; di<br />
avanguardia non di codismo, di audacia non<br />
di pavidità o timidezza, di autonomia non di<br />
dipendenza; di rivoluzione in permanenza,<br />
33<br />
non di rivoluzione rinviata all’ultima di una<br />
serie di “tappe”. Questo non è avvenuto in<br />
Cina, dove il maoismo è servito prima ad<br />
ingannare il proletariato sulla natura<br />
rivoluzionaria della borghesia nazionale, poi<br />
ad ingannarlo sul socialismo cinese e la<br />
politica del governo popolare. In entrambe i<br />
casi si vede che Stalin è il padre di Mao, e che<br />
il secondo ha avuto la meglio su Chiang non<br />
perché sia stato il migliore campione della<br />
democrazia borghese, ma perché si rendeva<br />
necessario schiacciare il proletariato e<br />
inquadrare saldamente i contadini poveri per<br />
impedire che la rivoluzione non uscisse dal<br />
binario democratico. Opera a cui Mao ha dato<br />
perfetta riuscita. Quanto sia stato lungo e<br />
tormentato questo processo, e quanto la<br />
“rivoluzione borghese” rechi le stimmate della<br />
controrivoluzione subita dal proletariato si<br />
deduce da tutta la storia della Repubblica<br />
Popolare Cinese, dalla sua nascita ai giorni<br />
nostri, “nella prudenza che induce di continuo<br />
i suoi dirigenti a tornare indietro, a frenare il<br />
moto delle masse per assicurarsene il<br />
dominio, a puntellare il vecchio edificio<br />
invece di demolirlo, a cambiare mille volte<br />
programma, tattica, alleati per giungere a<br />
consolidare un potere borghese, malgrado le<br />
reazioni dell’imperialismo mondiale da una<br />
parte e milioni di proletari e semi proletari<br />
della città e della campagna dall’altro.” 40 La<br />
nuova repubblica, autodefinitasi “popolare”,<br />
anziché dittatura apertamente proletaria, ha<br />
costruito il capitalismo nazionale sulla base di<br />
un controllo soltanto parziale dello stato<br />
sull’industria e un controllo ancora più<br />
elastico sull’agricoltura.<br />
• Epilogo della rivoluzione<br />
maoista (o democratico borghese).<br />
Quale è stato il corso oggettivo della<br />
rivoluzione borghese in Cina? Il punto di<br />
partenza è dato dallo stato di arretratezza e<br />
gracilità del suo sviluppo industriale, dalla<br />
primitività dei suoi mezzi di comunicazione,<br />
dal carattere eminentemente agricolo della<br />
sua struttura economica, dall'immaturità<br />
sociale dei suoi rapporti di produzione<br />
capitalistici.<br />
In un ambiente di tale arretratezza<br />
l'imperialismo si installava nell'immenso<br />
territorio, accelerando la decomposizione dei<br />
40 Programma <strong>Comunista</strong> nn 22/1962
vecchi rapporti di produzione e, con essi,<br />
della compagine statale, prima sotto l'impero,<br />
poi sotto la repubblica. Il fenomeno inizia alla<br />
fine del secolo scorso ed è tutt'altro che<br />
superato dall'ascesa con Mao Tse-tung dei<br />
pretesi «comunisti» nel 1949; ma presenta<br />
caratteri sostanzialmente uniformi. La<br />
debolezza dei mezzi di comunicazione e delle<br />
risorse industriali e finanziarie, come la<br />
penetrazione accelerata dei diversi<br />
imperialismi concorrenti, accompagnate dalle<br />
guerre per la divisione della Cina, hanno<br />
imposto alle diverse zone del paese di cercare<br />
il capitale, le merci, gli sbocchi secondo la<br />
loro collocazione geografica, sfuggendo così al<br />
controllo dello Stato centrale. Ecco perché la<br />
lotta per l'unità nazionale, compito essenziale<br />
della rivoluzione borghese in Cina e sua<br />
premessa ovunque, doveva necessariamente<br />
svilupparsi sia contro l'imperialismo e le forze<br />
borghesi centrifughe interne ad esso legate,<br />
sia contro i signori «feudali» per abbattere i<br />
quali combatterono le masse contadine.<br />
La trama di uno Stato unitario<br />
centralizzato poteva essere tessuta solo grazie<br />
ad uno sviluppo delle forze produttive,<br />
soprattutto nelle campagne, che permettesse<br />
di liberare una manodopera per l'industria<br />
nascente e il sostentamento del proletariato<br />
urbano. Questa logica dello schema di<br />
accumulazione degli anni ’50, non è stata<br />
tuttavia portata alle sue estreme conseguenze<br />
che avrebbero implicato trasferimenti<br />
massicci di manodopera dalle attività agricole<br />
a industria e servizi, cioè dalle campagne alle<br />
città. Un esodo rurale massiccio avrebbe<br />
richiesto spese di infrastrutture ed una<br />
creazione di occupazione che erano fuori dalla<br />
portata del paese; per cui un livello seppur<br />
significativo di sottoccupazione nelle<br />
campagne rappresentava un male minore<br />
rispetto a milioni di disoccupati nelle città.<br />
L’organizzazione maoista della economia<br />
rurale rappresentava un modo di affrontare<br />
contemporaneamente la presenza di eccesso<br />
di forza lavoro e limitate risorse finanziarie.<br />
Se diamo una rapida occhiata al primo piano<br />
quinquennale cinese del 1953-57, si possono<br />
eseguire rilievi interessanti:gli operai<br />
industriali aumentano da 2,75 mil. a 6,95 mil,<br />
con una percentuale di accrescimento del<br />
154%. La percentuale della produzione di<br />
acciaio passa da 1,8 mil di t. a 5,2 mil. di t.,<br />
con una percentuale di incremento del 188%,<br />
le stesse risultanze si hanno per ghisa,<br />
34<br />
petrolio e macchine utensili. Si assiste alla<br />
nascita di città nuove che sorgono per incanto<br />
ed all’allargamento dei vecchi centri che si<br />
modernizzano. Nascono nuove industrie e<br />
stabilimenti, cantieri ed officine che si<br />
moltiplicano di giorno in giorno. Si calcola<br />
che ogni giorno siano sorte fino ad oggi tre<br />
unità produttive moderne. Ma più<br />
impressionante è che questo sviluppo sia<br />
sproporzionato ai mezzi tecnici impiegati,<br />
assai scarsi ed imperfetti. L’aliquota del<br />
prodotto netto destinata alla riproduzione<br />
allargata dal 18,2% del 1952 è salita al 22,5%<br />
e la quota parte al consumo è scesa dall’81,8%<br />
al 77,5% pur essendo aumentati i consumi<br />
individuali da 100 a 113 per i contadini e da<br />
100 a 119 per gli operai ed impiegati.<br />
E’ vero che gli ultimi paesi che<br />
pervengono al capitalismo si trovano<br />
avvantaggiati dalla superiore tecnica<br />
sviluppata dai Paesi altamente industrializzati<br />
e quindi sono obiettivamente in grado di<br />
poter sviluppare le forze produttive con<br />
maggiore celerità. Ma è altresì vero che,<br />
appena varcate le soglie della civiltà<br />
industriale, debbono fare i conti con gli assalti<br />
iugulatori dell'imperialismo capitalistico e<br />
bruciare così le giovani forze produttive<br />
sull'altare di un industrialismo<br />
superaccelerato, nel cui crogiuolo convogliano<br />
il 90% del prodotto netto, del plusprodotto; e<br />
debbono necessariamente sviluppare<br />
un'economia monca, che va sulla sola<br />
stampella dell'industria. Nel 1939 Mao<br />
dichiarava (“sul governo di coalizione”):<br />
. All’8°<br />
congresso del pcc, il presidente Liu-Shao-Chi,<br />
ribadiva:<br />
. Nel<br />
1958, infine, la parola d’ordine fu: ”TUTTO<br />
PER L’ACCIAIO”. Questo sforzo gigantesco,<br />
anche se ingrossato dalla propaganda, ha<br />
avuto il solo scopo di creare uno stato<br />
nazionale forte, indipendente ed autonomo,<br />
coperto dalla teoria staliniana del “socialismo<br />
in un paese solo”, con tutta la carica<br />
reazionaria ed illusoria in essa contenuta.
“Socialismo in paese solo” significa che ogni<br />
stato deve arrangiarsi con le sue sole forze in<br />
rapporto al mercato mondiale, facendo i conti<br />
con le altre potenze capitalistiche sempre<br />
pronte ad aggredire qualunque paese non<br />
tanto con la guerra, che è l'espressione<br />
saltuaria della potenza economica, quanto<br />
con l'invasione di merci a basso prezzo, di<br />
capitali a condizioni favorevoli, che<br />
saccheggiano l'economia nazionale,<br />
impediscono lo sviluppo delle forze<br />
produttive, forzano lo sfruttamento delle<br />
riserve naturali, accelerano l'anarchia della<br />
produzione. I < mille forni> e i altro non significarono che la<br />
utilizzazione materiale delle uniche forze<br />
produttive in abbondanza ed a buon prezzo,<br />
vale a dire i 670 milioni di cinesi di allora. Le<br />
comuni cinesi costituirono la forma di una<br />
divisione del lavoro ancora indifferenziata,<br />
nel tentativo di non disperdere questa<br />
immense energie.<br />
La Cina, che come tutti i paesi coloniali o<br />
semi coloniali ha dovuto spogliarsi delle<br />
proprie risorse naturali, minerarie e agricole,<br />
per farsi inondare d'oppio o di cotonate nel<br />
corso dell’800, una volta entrata nel girone<br />
d'inferno dell'economia capitalistica ha sì in<br />
un primo tempo finanziato le proprie<br />
importazioni di impianti, attrezzature e<br />
macchine per l'industria con l'esportazione di<br />
materie prime e di derrate, ma<br />
successivamente ha finanziato le proprie<br />
importazioni con esportazione di manufatti,<br />
saldando attivamente la propria bilancia<br />
commerciale. Dialetticamente si è messa in<br />
moto ciò che Marx diceva nel 1853 durante la<br />
guerra dell’oppio, “Possiamo tuttavia essere<br />
certi che, qualunque asprezza raggiunga il<br />
contrasto fra le grandi potenze europee,<br />
qualunque moto possa tentare una<br />
minoranza romantica in questo o quel paese,<br />
l’ira dei principi e la furia dei popoli saranno<br />
parimenti snervati dal soffio della<br />
prosperità. Non è probabile che guerre<br />
rivoluzioni mettano a soqquadro l’Europa se<br />
non per riflesso di una crisi commerciale e<br />
industriale generalizzata, di cui, come al<br />
solito, deve dare il segno l’Inghilterra, la<br />
rappresentante europea sui mercati del<br />
mondo.[…]è inevitabile che giunga l’ora in<br />
cui l’allargamento dei mercati non potrà<br />
tenere il passo con lo sviluppo delle<br />
manifatture inglesi, e questo squilibrio<br />
produrrà una nuova crisi con la stessa<br />
35<br />
necessità che l’ha prodotta in anni<br />
precedenti. Se, per giunta, uno dei mercati<br />
più vasti si restringe, la crisi non potrà che<br />
risultarne accelerata. Ora come stanno le<br />
cose oggidì, la rivoluzione cinese avrà sulla<br />
gran Bretagna appunto questo effetto. [….]<br />
In queste circostanze, avendo l’industria<br />
inglese percorso la maggior parte del ciclo<br />
commerciale, si può tranquillamente<br />
prevedere che la rivoluzione in Cina getterà<br />
una scintilla nella polveriera sovraccarica<br />
del sistema economico vigente e provocherà<br />
l’esplosione della crisi generale che da tempo<br />
si prepara e che, debordando<br />
dall’Inghilterra, sarà seguita a breve<br />
distanza da rivoluzioni politiche in Europa.<br />
Sarebbe invero uno spettacolo curioso quello<br />
di una Cina che esporta il disordine<br />
nel mondo occidentale nell’atto stesso in<br />
cui le potenze occidentali si adoperano, con<br />
navi da guerra britanniche , francesi ed<br />
americane, a ristabilire l’ a<br />
Shangai, a Nanchino e alle foci del Gran<br />
Canale”. 41 e che Engels ribadirà nel 1894: “ E’<br />
di nuovo una meravigliosa ironia della<br />
storia: insomma non resta più alla<br />
produzione capitalistica che impadronirsi<br />
della Cina; ora, realizzando finalmente<br />
questa conquista, essa- da se stessa- si rende<br />
impossibile la vita nella sua patria di<br />
origine” . 42 Quanto questa prospettiva si sia<br />
dimostrata oggi veritiera, lo dimostra il<br />
terrore, il panico dei capitalisti occidentali di<br />
fronte al “pericolo giallo” ed agli scompensi e<br />
squilibri che sta portando l’integrazione della<br />
Cina nel mercato mondiale. Al proletariato<br />
cinese, sconfitto sul campo di battaglia nel<br />
suo tentativo eversivo rivoluzionario, saranno<br />
fatti pagare nei decenni a seguire i<br />
massacranti costi della selvaggia<br />
industrializzazione capitalistica del paese.<br />
(Continua)<br />
41 Marx, India Cina e Russia ed.Saggiatore “Rivoluzione<br />
in Cina e in Europa”1853<br />
42 Engels : Lettera a Kautsky del 23-9-1894.
Il significato del nostro astensionismo<br />
Di fronte ai problemi determinati<br />
dall’approfondirsi inesorabile della crisi<br />
economica, che accresce ogni giorno di più la<br />
sua pressione sul proletariato togliendole le<br />
già esigue riserve con l’aumento dei<br />
licenziamenti, le riduzioni salariali, i tagli alla<br />
sanità e alle pensioni, il regime borghese<br />
ripropone una nuova tornata elettorale dando<br />
la parola al “popolo sovrano” ma cercando in<br />
realtà ancora una volta di guadagnare tempo<br />
e di distogliere l’attenzione delle masse dai<br />
reali problemi che pesano sui lavoratori.<br />
Per capire come queste prossime elezioni<br />
politiche in Italia siano soltanto una messa in<br />
scena senza alcun reale significato politico, è<br />
sufficiente aprire un solo istante occhi e<br />
orecchi agli slogan propagandistici dei vari<br />
concorrenti alla lotteria parlamentare.<br />
Da destra a sinistra le stesse promesse:<br />
cambiamento, ripresa economica, riforme,<br />
sicurezza, ordine, chi più ne ha più ne metta.<br />
D’altronde la pratica quotidiana ci<br />
insegna che i continui cambiamenti di<br />
governo, di coalizioni, di schieramenti<br />
politici, contrastano profondamente con la<br />
continuità del potere statale che resta sempre<br />
ben ancorato a difesa degli interessi della<br />
classe borghese, dimostrando di viaggiare<br />
così su ben altri binari di quelli elettorali.<br />
La cosiddetta “pubblica opinione” sta<br />
manifestando il suo malcontento e la sua<br />
sfiducia nel sistema dei partiti e di fronte al<br />
crescente potere delle varie bande di<br />
politicanti, che avrebbero trasformato il<br />
parlamento nel terreno di scontro dei loro<br />
privati interessi personali e di bottega. Il<br />
disagio dell’italico elettorato è dunque<br />
palpabile.<br />
Ma la nostra indicazione ai proletari è<br />
quella di superare questo disagio e questo<br />
malcontento, astenendosi dal partecipare alla<br />
truffa elettorale, rifuggendo dal mito dell’urna<br />
e della scheda, restando fuori dal “confronto<br />
civile e democratico” in questo senso<br />
intendiamo ribadire, come facevamo già nel<br />
1953 con l’articolo qui riproposto che tutta<br />
questa liturgia elettoralesca è completamente<br />
estranea alla classe operaia, che mai il<br />
proletariato potrà impadronirsi del potere<br />
politico con l’arma del voto, che la democrazia<br />
è il sistema di governo più congeniale alla<br />
borghesia per l’esercizio della sua dittatura di<br />
36<br />
classe, che le elezioni sono di per sé una truffa<br />
proprio in quanto pretendono di dare parità<br />
di peso ad ogni voto personale. In tempi ben<br />
diversi, quando anche l’apparenza di una<br />
matrice ideologica era propugnata dai partiti<br />
politici presenti a quel tempo, per cui si<br />
poteva pensare ad una reale contrapposizione<br />
delle forze in lizza, questo scrivevamo nei<br />
nostri articoli a proposito delle elezioni del<br />
1948: “Non le conte schedaiole determinano<br />
le situazioni, ma i fattori economici che si<br />
concretano in posizioni di forza, in controlli<br />
inesorabili sulla produzione e il consumo, in<br />
polizie organizzate e stipendiate, in flotte<br />
incrocianti nel mare di lor signori. Eletto<br />
chicchessia al governo della repubblica, non<br />
avrebbe altra scelta che rinunziare, o offrirsi<br />
in servigio all’ingranamento di forze<br />
capitalistiche mondiali che maneggia lo stato<br />
vassallo italiano. [….] Il meccanismo<br />
elettorale è oggi caduto nel campo<br />
inesorabile del conformismo e della<br />
soggezione delle masse alle influenze dei<br />
centri ad altissimo potenziale, così come i<br />
granelli di limatura di ferro si adagiano<br />
docili secondo le linee di forza del campo<br />
magnetico. L’elettore non è legato ad una<br />
confessione ideologica né ad una<br />
organizzazione di partito, ma alla<br />
suggestione del potere, e nella cabina non<br />
risolve certo i grandi problemi della storia e<br />
della scienza sociale, ma novantanove volte<br />
su cento il solo che è alla sua portata:chi<br />
vincerà? […] Questo arduo problema di<br />
indovinare chi è il più forte lo affronta il<br />
candidato rispetto al governo, il governante<br />
rispetto al campo internazionale.” 43<br />
Ciò era tanto reale ieri quanto lo è oggi<br />
nel completo decadimento e nella completa<br />
inconsistenza sia dei politici sia dei governi<br />
di fronte ai processi economici mondiali,<br />
quando proprio nei nostri giorni è ancora più<br />
evidente la farsa del meccanismo elettorale.<br />
Infine, è per noi fondamentale ribadire<br />
che la preparazione elettorale nega la<br />
preparazione rivoluzionaria che è invece<br />
l’unica strada che il proletariato dovrà<br />
percorrere per l’abbattimento dello Stato<br />
borghese e dei suoi istituti parlamentari e<br />
costituzionali.<br />
43 “Dopo la garibaldata.” Prometeo n°10 del giugno-<br />
luglio 1948
Il proletariato rivoluzionario non voterà per nessuno<br />
Decidere, una volta ogni tanti anni,<br />
quale membro della classe dominante andrà<br />
ad opprimere e schiacciare il popolo in<br />
Parlamento, ecco la vera essenza del<br />
parlamentarismo borghese non solo nelle<br />
monarchie costituzionali ma nelle<br />
repubbliche più democratiche. (Lenin)<br />
Dalla formazione dei Partiti Comunisti<br />
attorno al programma della III<br />
<strong>Internazionale</strong>, nel 1920-21 – e, prima<br />
ancora, dal programma e dalle posizioni di<br />
battaglia dei gruppi rivoluzionari marxisti –<br />
fu inseparabile in tutto il mondo la denuncia<br />
radicale del parlamentarismo<br />
socialdemocratico; la riaffermazione, contro<br />
le illusioni elettorali, legalitarie e gradualiste,<br />
dell’arma della violenza di classe contro la<br />
dittatura violenta del capitale.<br />
Ai proletari che ancora riescono ad<br />
orientarsi in una situazione di accumulate<br />
sconfitte e di controrivoluzione spiegata su<br />
tutti fronti del capitalismo internazionale e<br />
forte di tutte le armi di corruzione politica e di<br />
inquinamento ideologico, questi otto anni di<br />
regime democratico e parlamentare appaiono<br />
come la più schiacciante conferma che la via<br />
della conquista del potere non passa né per le<br />
elezioni né per il parlamento, ma fuori e<br />
contro di essi. Tutto è stato parlamentare,<br />
legalitario, elettoralistico, in questo<br />
dopoguerra : tutto il potere<br />
economico e politico è rimasto, più saldo che<br />
al crollo dei regimi fascisti, nelle mani della<br />
borghesia dei partiti rivoluzionari marxisti<br />
era (e rimane) il riconoscimento imperialista.<br />
Ma altrettanto inseparabile dalla<br />
posizione antiparlamentare che il metodo<br />
elettorale, parlamentare, democratico, non<br />
soltanto non è un’arma proletaria di<br />
conquista del potere, ma è una specifica arma<br />
di difesa del capitalismo; un’arma alla quale<br />
esso ricorre per inquinare la coscienza di<br />
classe dei proletari, per cullarli nella illusione<br />
di un pacifico trapasso al socialismo, e per<br />
ricondurre la classe operaia schifata o ribelle<br />
nell’alveo della legalità e della rinuncia<br />
all’aperto scontro fra le classi. In otto anni di<br />
gragnuola elettorale, di tornei schedaioli sul<br />
piano comunale e nazionale, regionale e,<br />
magari, europeo, la classe dominante ha, di<br />
37<br />
volta in volta, sviato il fermento e la ribellione<br />
dei dominati procedendo al potenziamento<br />
delle sue forze repressive e dello Stato, al<br />
rafforzamento del dispotismo aziendale, al<br />
riarmo in vista di nuovi scontri imperialisti.<br />
Non solo il parlamento e tutta<br />
l’orchestrazione propagandistica che gli fa<br />
corona non servono agli interessi dei<br />
proletari: servono, contro i proletari, alla<br />
conservazione del regime dello sfruttamento e<br />
della guerra.<br />
Che i partiti di tutti i colori lanciati alla<br />
questua dei voti e sollecitanti l’appoggio dei<br />
proletari con una propaganda che tutto<br />
mobilita, dagli spaghetti e dalla bistecca fino<br />
alla paura della dannazione eterna o al<br />
preannuncio di un qualsiasi ,<br />
che tutti i partiti aspiranti al seggio di<br />
Montecitorio e di Palazzo Madama<br />
ipocritamente presentino le proprie incruente<br />
battaglie oratorie come un torneo da cui<br />
dipende l’avvenire della classe operaia, è<br />
dunque insieme l’espressione e la conferma<br />
della loro natura di pattuglie politiche della<br />
conservazione borghese. Sono i partiti della<br />
democrazia, uniti quindi nel combattere la<br />
dittatura proletaria; della riforma, concordi<br />
quindi nell’opporsi alla rivoluzione<br />
comunista; della legalità, schierati quindi in<br />
una comune negazione della violenza di classe<br />
proletaria contro la violenza della<br />
dominazione del capitale; del salvataggio<br />
dell’industria, solidali quindi nella difesa<br />
della sorgente del profitto; e, belanti in<br />
commovente accordo alla pace (una pace da<br />
ladroni, la pace della fra Stati capitalisti ed un<br />
che, se tale fosse, non<br />
potrebbe mai convivere con essi), agiscono in<br />
realtà come truppe d’assalto politiche degli<br />
imperialismi di occidente e di oriente.<br />
Elezionismo e parlamentarismo sono la<br />
loro arma perché sono l’arma della<br />
controrivoluzione trionfante. Né cambia nulla<br />
a questa realtà il fatto che lo stalinismo,<br />
spudoratamente autoproclamantesi difensore<br />
degli interessi operai, sappia, quando occorre,<br />
disfarsi della veste parlamentare e<br />
democratica per ricorrere alla violenza del<br />
colpo di Stato o dell’insurrezione partigiana;<br />
giacché questa violenza – alla quale del resto
nessun partito parlamentare borghese ha mai<br />
esitato a ricorrere di fronte alla marea<br />
montante della rivoluzione comunista – è<br />
volta non ad abbattere ma a conservare o<br />
potenziare il regime della produzione<br />
mercantile, del salario e del profitto.<br />
Il proletariato rivoluzionario denuncia la<br />
spudorata menzogna della consultazione<br />
elettorale: non ha voci da dare agli<br />
amministratori della società borghese, ai<br />
candidati alla sua dominazione.<br />
Né, in questa paurosa fase di<br />
smarrimento ideologico, i rivoluzionari<br />
porteranno acqua al mulino della confusione<br />
politica, dell’inquinamento ideologico e<br />
dell’oscuramento della via maestra della<br />
conquista del potere, presentando a loro<br />
volta, sia pure col solo intento di svolgere<br />
propaganda antiparlamentare ed<br />
antidemocratica, una propria lista. L’infernale<br />
strumento dei saturnali schedaioli e della<br />
tribuna elettorale non si piega ai fini della<br />
contropropaganda rivoluzionaria: può<br />
soltanto piegare questa contropropaganda ai<br />
propri fini. La peste dell’opportunismo ha il<br />
suo focolaio e il suo veicolo nel meccanismo<br />
elettorale e parlamentare; più che mai, la<br />
demarcazione fra interessi proletari e<br />
interessi capitalisti, fra rivoluzione e<br />
controrivoluzione, esige che al metodo della<br />
scheda sia opposto con inequivocabile<br />
chiarezza il metodo della preparazione<br />
rivoluzionaria alla conquista del potere.<br />
Sarebbe già ora una vittoria della classe<br />
dominante, se il proletariato rivoluzionario si<br />
lasciasse distrarre dal suo lavoro e<br />
disperdesse le sue energie, concentrate nella<br />
dura opera della ricostruzione del tessuto<br />
ideologico ed organizzativo del suo esercito di<br />
domani, nel far concorrenza ai partiti della<br />
scheda e nel ridare interesse all’indegno<br />
baraccone della caccia al voto. Non<br />
nell’appestata atmosfera elettorale, non<br />
nell’aula parlamentare e davanti ai<br />
rappresentanti titolati del capitale ma fuori e<br />
contro tutti, il proletariato rivoluzionario<br />
agita il suo programma.<br />
Ancora oggi, nonostante la conferma<br />
schiacciante dei fatti, la grande maggioranza<br />
dei proletari seguirà la corrente, crederà nella<br />
virtù risolutrice della scheda, darà il suo voto<br />
a qualcuno. Noi anticipiamo con assoluta<br />
certezza quel domani in cui il proletariato di<br />
tutti i paesi, ritrovata la sua strada maestra,<br />
dirà alla lusinga elettorale per dire<br />
alla potente realtà della rivoluzione, e,<br />
impugnate le sue armi di classe, calpesterà<br />
per sempre la scheda.<br />
(Programma <strong>Comunista</strong> n. 10 del 21 maggio – 4 giugno 1953)<br />
38
Federazione Nazionale Giovanile Socialista<br />
LAVORATORI!<br />
In quest’ora nella quale si leva verso voi<br />
un coro di voci che, proclamandosi animata<br />
dal proposito di migliorare le vostre misere<br />
condizioni di vita, implorano il vostro<br />
concorso per la conquista di un seggio in<br />
parlamento e già vi anticipano radiose<br />
promesse, ascoltate la voce nostra che è voce<br />
veramente sincera e disinteressata.<br />
Lavoratori, compagni, diffidate di tutto<br />
quello che vi si dice in questi momenti;<br />
l’esperienza deve ormai avervi dimostrato<br />
come in parlamento i deputati che pur sono<br />
stati eletti coi vostri voti si dimenticano<br />
completamente di voi, quando non diventino<br />
complici dei vostri avversari - ed anche la<br />
fiacca opposizione si risolve in una complicità<br />
– nel manipolare leggi liberticide e<br />
dissanguatrici. Negate dunque sdegnosi, a<br />
chiunque, l’appoggio vostro e non permettete<br />
ad alcuno di parlare in vostro nome e di<br />
intitolarsi, se eletto, vostro rappresentante.<br />
Nessun candidato, nessun partito ha<br />
infatti oggi il diritto di dirsi rappresentante<br />
della vostra classe e dei vostri interessi:<br />
neppure quel PARTITO SOCIALISTA che<br />
dell’emancipazione vostra aveva fatto il<br />
caposaldo del proprio programma e che oggi<br />
si è ridotto ad un roseo partito di democrazia<br />
più o meno cristiana.<br />
Trescare coi RADICALI, borghesia sia<br />
pure evoluta ma sempre borghesia e pronta<br />
I Giovani Socialisti della SEZIONE DI PISA<br />
(Volantino del 1909)<br />
39<br />
ad indossare la casacca ministeriale e a votare<br />
a larghe mani milioni e milioni per le spese<br />
militari, non è agire nell’interesse del<br />
proletariato; e tanto meno agiscono<br />
nell’interesse vostro, o lavoratori, i<br />
REPUBBLICANI che vanno in tutta Italia<br />
nascondendo il loro programma – già di per<br />
sé poco chiaro e reciso – con unioni popolari,<br />
avendo cura di scegliere candidature che<br />
raccolgono le più larghe simpatie anche<br />
nell’avverso campo monarchico.<br />
Se volete quindi, quanti siete sfruttati e<br />
oppressi, raggiungere davvero quel fine di<br />
benessere economico e di libertà politica che<br />
anelate, dimostrate di volere e di saper fare da<br />
voi:<br />
ASTENETEVI<br />
perciò dal partecipare alle sterili lotte<br />
elettorali e stringetevi più saldi nelle vostre<br />
organizzazioni di classe, poiché soltanto<br />
coll’AZIONE DIRETTA vi sarà possibile<br />
conseguire tutto ciò che invano aspettate<br />
dall’azione parlamentare.<br />
E voi giovani destinati a costituire uno dei<br />
massimi sostegni di questo regime capitalista<br />
così pieno di ingiustizie, venite a noi, venite a<br />
combattere al fianco nostro “CONTRO OGNI<br />
FORMA DI SFRUTTAMENTO E DI<br />
AUTORITA’”: e quando le file della gioventù<br />
ribelle saranno divenute sempre più fitte e<br />
numerose, l’ora dell’emancipazione operaia<br />
non sarà più troppo lontana.
Il ruolo della chiesa nell’epoca attuale<br />
Prendiamo spunto, per iniziare, da<br />
un’intervista all’”emerito” sociologo e<br />
professore Achille Ardigò, pubblicata su “La<br />
Repubblica” del 7 luglio 2005, nella quale il<br />
“nostro” si lamenta del “nuovo” interventismo<br />
delle gerarchie cattoliche guidate da papa<br />
Benedetto XVI, interventismo che spazia dal<br />
campo della politica a quello del<br />
comportamento etico e individuale di<br />
ciascuno, entrando quindi nel merito delle<br />
scelte di vita dei cittadini, e “fondato solo sul<br />
richiamo al razionalismo di un’asserita legge<br />
naturale”. 44<br />
Dal tono dell’intervista, il professore forse<br />
desidererebbe in cuor suo che la chiesa si<br />
occupasse solo di pecorelle smarrite e delle<br />
anime dei credenti, essendo questo il senso<br />
comune il ruolo assegnato alla chiesa. Ma noi<br />
sappiamo benissimo che non queste funzioni,<br />
ma ben altre sono quelle assegnate alla chiesa<br />
ed alle chiese di qualsiasi confessione dalle<br />
varie società classiste succedutesi nell’arco di<br />
migliaia di anni da quando apparve la prima<br />
proprietà privata e la differenziazione di<br />
funzioni all’interno della società (cioè le<br />
classi).<br />
Senza andare lontano, ed attenendoci alla<br />
storia degli ultimi 60 anni, la chiesa cattolica<br />
romana è sempre intervenuta non solo nelle<br />
faccende politiche italiane, ma anche in<br />
campo internazionale.<br />
Alla fine della II Guerra Mondiale la<br />
classe dominante italiana aveva bisogno di<br />
strutture politiche rigidamente accentrate,<br />
adeguate alla struttura monopolistica<br />
assunta dalla macchina della produzione<br />
economica e dello sfruttamento di classe, […]<br />
caduto il fascismo, il vecchio apparato<br />
politico non era adeguato alle nuove sfide e<br />
solo la chiesa, attraverso le gerarchie<br />
ecclesiastiche garantiva il giusto grado di<br />
conoscenza, capacità, centralità di potere e<br />
comando, queste doti furono messe al<br />
servizio dello Stato per manovrare quel<br />
partito marionetta che fu la Democrazia<br />
Cristiana. […] Queste capacità non furono<br />
messe solo a disposizione dell’Italia, ma in<br />
44 La Repubblica del 7 lug. 2005. “La bussola della<br />
Chiesa”<br />
40<br />
tutta la coalizione del Patto Atlantico, la<br />
chiesa, si pose al servizio del capitalismo e<br />
della guerra, svelando contro ogni<br />
affermazione contraria, le innegabili finalità<br />
sociali della religione 45 .<br />
La chiesa cattolica romana rappresenta il<br />
miglior alleato e sostegno del mondo<br />
capitalistico 46 , questo in forza della propria<br />
struttura rigidamente centralizzata basata sul<br />
dogma dell’infallibilità del Papa, della propria<br />
forza ideologica ed anche economica, e della<br />
propria tradizione universalista che interessa<br />
centinaia di milioni di fedeli in tutto il<br />
mondo, essendosi sempre spostata con i suoi<br />
evangelizzatori al traino dell’imperialismo<br />
coloniale occidentale fin dal 1500.<br />
Ricordiamo il ruolo che la chiesa ebbe in<br />
Centro-America ed in Sud-America, grazie ai<br />
gesuiti e all’Inquisizione, nello sdradicamento<br />
perlopiù violento delle tradizioni aborigene e<br />
delle fedi tradizionali. Fu un vero e proprio<br />
ariete di sfondamento per meglio preparare<br />
gli indigeni a diventare bravi e mansueti<br />
proletari.<br />
Questo le ha consentito appunto di<br />
presentarsi avente carattere universalista<br />
rispetto alle altre chiese di professione<br />
cristiana, ma anche rispetto alle altre fedi<br />
religiose, che hanno carattere più locale, con<br />
una vera e propria vocazione missionaria<br />
contrastata solamente dalla vitalità dell’Islam,<br />
che da sempre, e non nascostamente come<br />
fanno i cattolici, si è occupato di politica. Anzi<br />
le candidature politiche devono essere ben<br />
accette dagli Imam, e questo spiega perché<br />
tutti i leader del mondo arabo<br />
capitalisticamente sviluppato hanno sempre<br />
cercato di svincolarsi dalla religione e di<br />
introdurre il laicismo in politica.<br />
45 P.C. n. 22/59 – La Chiesa del Patto Atlantico.<br />
46 Questa affermazione sembrerebbe essere smentita dal<br />
fatto che la nascita delle chiese protestanti avvenne<br />
proprio per creare un retroterra ideologico e pratico<br />
all’impianto del capitalismo nella morente società<br />
feudale. In effetti le nuove confessioni furono espressione<br />
particolare di ogni singolo capitalismo nazionale<br />
nascente, quindi inadatte a rivestire un ruolo universalista,<br />
rappresentante nel suo complesso gli interessi generali<br />
dell’imperialismo mondiale.
Ma ritornando alla chiesa di Roma, la sua<br />
vantata universalità in realtà non è affatto<br />
indipendente e slegata da uno Stato o da una<br />
coalizione di stati sovrani, dei quali è invece<br />
spesso portavoce e sostegno politico. A<br />
dispetto delle apparenze e della supposta<br />
sovranità della stessa, ”i rapporti tra la<br />
Chiesa ( di tutte le chiese) ed il capitalismo<br />
sono quelli che corrono tra padrone e<br />
mantenuta”. 47<br />
Infatti, dappertutto è il capitale a<br />
detenere i mezzi di produzione, ed anche se le<br />
varie chiese si appropriano di una fetta dei<br />
profitti, in vari modi e con varie modalità a<br />
seconda dei vari stati, esse dipendono sempre<br />
dal supporto della stessa borghesia<br />
capitalistica. “Infatti la chiesa cattolica, come<br />
del resto le chiese di tutto il mondo, riesce a<br />
durare, sotto il capitalismo, non per forza<br />
propria ma perché lo Stato borghese<br />
stipendia le gerarchie ecclesiastiche,<br />
favorisce l’ingrandimento patrimoniale della<br />
Chiesa, protegge in mille modi le attività<br />
molteplici delle varie organizzazioni legate<br />
alla struttura chiesastica. Ma l’aiuto più<br />
possente che lo Stato borghese le fornisce<br />
garantendone la sopravvivenza, è costituito<br />
dal fatto che tutta la forza dello stato<br />
capitalista e della classe che lo esprime è<br />
mobilitata ad impedire la propagazione delle<br />
dottrine atee”. 48<br />
La dimostrazione palese che la chiesa,<br />
nella fattispecie quella romana, è asservita al<br />
capitale, è data dal fatto che a seconda di<br />
come si muovono le coalizioni di stati nello<br />
scacchiere internazionale essa varia le proprie<br />
posizioni politiche in base a questi<br />
movimenti. Facciamo degli esempi: fino alla<br />
prima guerra del Golfo(1991) la visione<br />
geopolitica della chiesa ha coinciso con quella<br />
del Patto Atlantico, ma da quell’episodio<br />
iniziano a delinearsi dei contrasti, specie nei<br />
confronti degli americani. Ricordiamo tutti la<br />
grande campagna pacifista portata avanti dai<br />
vari militanti politici di fede cattolica,<br />
trasversalmente ai partiti, ma anche da intere<br />
formazioni politiche fondamentalmente<br />
laiche, tipo i verdi. Il cosiddetto popolo della<br />
pace si sbizzarrì con le fiaccolate, le marce ad<br />
Assisi, ed ebbe il papa come faro di<br />
riferimento e guida politica e spirituale.<br />
Eppure ognuno potrebbe appunto pensare<br />
47 Idem<br />
48 idem come nota 1.<br />
41<br />
che questo cosiddetto popolo pacifista<br />
guidato dal Papa sia contro la guerra toutcourt,<br />
ma non è così.<br />
In un’intervista concessa da Woythjla a<br />
Jas Gawronski nell’ottobre del ’93, lo stesso<br />
papa, parlando della guerra giusta e della<br />
Bosnia, spiegava che va fatta “in caso di<br />
aggressione” perché “ bisogna togliere<br />
all’aggressore la possibilità di nuocere”. Non<br />
così per la guerra del Golfo: ”quella è stata<br />
una guerra di tipo punitivo perché –<br />
ragiona il papa – il presidente Bush, con<br />
l’aiuto di molti alleati europei, aveva deciso<br />
di punire chi aveva invaso ingiustamente il<br />
Kuwait, cioè Saddam Hussein. 49<br />
A prima vista un laico, digiuno dei dogmi<br />
cristiani, rimarrebbe stupito da queste<br />
affermazioni di papa Woythjla, in quanto<br />
sembra non esserci palese differenza tra le<br />
due, ci troviamo infatti di fronte ad una<br />
aggressione militare in entrambi le situazioni,<br />
ma più evidente nel caso iracheno e quindi<br />
pure la prima guerra del Golfo potrebbe<br />
apparire una “guerra” giusta. Il ragionamento<br />
qui è molto sottile: l’intervento americano<br />
1990-91 nel Golfo è stato ingiusto, non perché<br />
non ci fosse stata aggressione ad uno Stato<br />
sovrano, ma perché l’America si è<br />
arrogantemente attribuita un ruolo che è<br />
prerogativa assoluta Dio quella cioè di punire<br />
gli invasori peccatori. Quindi l’errore<br />
dell’America non è stato l’intervento, ma la<br />
megalomania di un presidente (Bush senior)<br />
e di una classe dirigente che si propagandano<br />
gli “unti del Signore”, senza tener conto di chi<br />
è invece il vero Vicario di Dio in terra. Quello<br />
che è invece rivelatore in questa affermazione<br />
di Woythjla è che la chiesa, sposando<br />
l’ideologia borghese dell’aggredito e<br />
dell’aggressore, da implicitamente il placet a<br />
tutte le guerre tra stati, perché tutte si<br />
inquadrano in questo schema, arrogandosi il<br />
diritto di decidere ogni volta chi è nel giusto e<br />
chi no. Il pacifismo del Vaticano è in<br />
quest’ottica solo di facciata, una vuota icona.<br />
Quello che è risultato evidente in questi<br />
due conflitti, ma specialmente a seguito della<br />
II Guerra del Golfo, è che il Papa (Giovanni<br />
Paolo II) ha sposato completamente le tesi e<br />
le politiche della compagine eurocentrica<br />
(Germania, Francia, ecc.) rinnegando il filoatlantismo<br />
che la chiesa aveva professato fino<br />
49 Riportata su: La Repubblica del 15 aprile 2005.”Un CD<br />
per scoprire il papa privato”
a prima della sua salita al seggio papale. Se<br />
guardiamo al passato recente, infatti, uno dei<br />
motivi che avevano portato all’elezione a<br />
papa di Montini (Paolo VI) era stato il suo<br />
palese coinvolgimento con la politica<br />
americana (specie quella più sporca) ed il suo<br />
ruolo di “ufficiale di collegamento” tra la<br />
Santa Sede e l’ambasciata Americana in Italia.<br />
Addirittura, cosa che non avveniva<br />
probabilmente da qualche secolo, il papa, a<br />
seguito dei bombardamenti a tappeto su<br />
Baghdad, lanciò una vera maledizione biblica<br />
al guerrafondaio Bush sotto forma di<br />
anatema, affermando che il sangue versato<br />
nella guerra all’Iraq sarebbe ricaduto sulla<br />
sua testa.<br />
Qualcuno potrebbe non condividere<br />
questa visione, affermando che tutto<br />
sommato nella prima guerra del Golfo il papa<br />
si schierò da solo contro tutti, e quindi giocò<br />
da libero, ma in base anche a nostri<br />
precedenti lavori appare evidente che<br />
l’Europa partecipò a quel conflitto tirata per i<br />
capelli dagli americani, e non poté fare a<br />
meno di mostrare buon viso a cattivo gioco a<br />
causa della propria debolezza politica e<br />
militare di alleato atlantico. Ma a prescindere<br />
da questo, dobbiamo rammentare che la<br />
chiesa aveva pure un interesse diretto a che<br />
Saddam Hussein (il cui fido ministro degli<br />
esteri era il cristiano Tarek Aziz) non venisse<br />
scalzato dal suo posto, e questo a causa del<br />
ruolo che lo stesso aveva rivestito come<br />
baluardo contro l’Islam, diventando un vero<br />
punto di riferimento per gli altri leader arabi<br />
che volevano svincolarsi dagli imam. Questo<br />
atteggiamento dei leader del mondo arabo e<br />
le conseguenti aperture politiche e sociali,<br />
avrebbero costruito un retroterra ideale di cui<br />
la chiesa di Roma si sarebbe potuta<br />
avvantaggiare per penetrare in quei nuovi<br />
territori, facendosi forza del fatto che la<br />
religione Cristiana si presta meglio dell’Islam<br />
a garantire un migliore e più rapido sviluppo<br />
capitalistico, condividendo ormai il proprio<br />
cammino con il capitalismo fin dai suoi primi<br />
vagiti nell’Italia del 1200.<br />
Ritorniamo di nuovo al ruolo<br />
internazionale rivestito dalla chiesa di Roma<br />
attualmente: da questo punto di vista essa è<br />
diventata il puntello della Comunità Europea,<br />
la cassa di risonanza delle sue politiche, il suo<br />
supporto propagandistico, ma anche per<br />
contraltare la sua coscienza critica.<br />
42<br />
Infatti la chiesa, in forza del suo apparato<br />
di conoscenze, di esperienze e memorie<br />
storiche, tenute sempre vive dai suoi centri di<br />
studio, si è anche assunta il ruolo di smussare<br />
le punte troppo aguzze dello sfruttamento<br />
capitalistico e della sua anarchia produttiva.<br />
Fermo restando il ruolo invariante dello<br />
Stato fin dalla nascita e dello sviluppo del<br />
capitalismo, quale comitato d’affari della<br />
borghesia, la chiesa ha progressivamente<br />
ricoperto il ruolo di calmieratore degli eccessi<br />
sia dei singoli capitalisti che degli stessi Stati<br />
borghesi. Eccessi che si possono sintetizzare<br />
nelle scelte e nelle azioni autonome di<br />
capitalisti privati e pubblici (lo Stato come<br />
unico capitalista collettivo) che hanno delle<br />
ovvie conseguenze economiche e politicosociali<br />
quasi sempre a danno degli interessi<br />
generali della specie. Questo ruolo è oggi per<br />
buona parte ricoperto in Occidente dalla<br />
chiesa cattolica vaticana.<br />
Eccessi nei quali sono caduti anche gli<br />
stessi stati, che ormai si sono trasformati in<br />
una sorta di unico capitalista collettivo.<br />
Da ciò si spiega l’ingerenza continua del<br />
papato, in tutte quelle questioni economiche<br />
e sociali, riguardanti in special modo lo<br />
sfruttamento nel mondo del lavoro, i<br />
licenziamenti e le politiche verso gli<br />
immigrati. Guardacaso, non c’è stata negli<br />
ultimi anni in Italia quasi nessuna vertenza<br />
che non sia stata sottoposta al vescovo locale<br />
dagli stessi operai e sindacati affinché<br />
intervenisse. Ed è ormai ricorrente che le<br />
parrocchie si occupino di rendere agli<br />
immigrati il meno aspro possibile l’impatto<br />
con le delizie del mondo capitalista,<br />
adoperandosi per trovar loro un lavoro e un<br />
alloggio. Il mercato delle badanti e delle<br />
donne delle pulizie polacche e rumene per<br />
esempio oggigiorno è nelle mani della chiesa<br />
che, non sola in questo caso, funge da vero e<br />
proprio ufficio di collocamento. Attraverso<br />
queste attività, la chiesa cerca di limitare<br />
quanto possibile gli attriti sociali, ed inoltre si<br />
garantisce di controllare le proprie pecorelle,<br />
evitando così che si rivolgano ad altre<br />
parrocchie, sia politiche che religiose.<br />
L’ulteriore campo di intervento della<br />
Chiesa riguarda le scelte di vita degli<br />
individui: la loro etica, le loro preferenze<br />
sessuali, le loro forme di vita familiari, le<br />
opzioni genitoriali, ecc.. La chiesa tenta in<br />
questo modo di porre un argine a ciò che per
essa è un continuo degrado sociale, avverso<br />
naturalmente ai suoi “ferrei” principi<br />
spirituali, e alimentato da fenomeni sociali<br />
quali la disintegrazione della famiglia e tutti<br />
quei comportamenti individuali che trovano il<br />
loro libero sfogo nel cosumismo,<br />
nell’edonismo e nell’egoismo dilaganti. La<br />
Chiesa riconosce che tutto questo è pur<br />
sempre provocato dalla cosiddetta economia<br />
di mercato e dalla sua attuale organizzazione<br />
del lavoro e della vita sociale, sottoposta<br />
all’imperativo sistemico di consumare,<br />
generando sempre nuovi bisogni che facciano<br />
conseguentemente crescere ed ingigantire la<br />
vorace macchina produttiva del capitalismo.<br />
Vi è un motivo importante, comunque,<br />
per il quale la Chiesa è drastica su questi<br />
argomenti, non recedendo di un passo e<br />
apparendo spesso retriva e conservatrice,<br />
pure agli occhi dei suoi stessi aderenti che,<br />
sebbene credenti, prendono comunque la<br />
pillola, divorziano, abortiscono, oppure sono<br />
anche omosessuali. Tale motivo è che senza<br />
un solido istituto familiare che funga da<br />
pilastro della società, senza un insieme di<br />
regole sociali universalmente accettate e<br />
riconosciute (come quelle cristiane), senza<br />
tutti quei divieti ai comportamenti<br />
individualistici e antisociali imposti dall’etica<br />
religiosa, senza quel senso di timore, di<br />
remissività all’autorità che solo in seno ad<br />
una famiglia tradizionale si può acquisire, la<br />
chiesa svolge con difficoltà quello che è il suo<br />
compito principale e cioè di servire da<br />
pompiere sociale, da calmieratore degli<br />
eccessi. Questo lo ha sempre fatto educando<br />
le persone fin dall’infanzia ad acquisire una<br />
coscienza sociale: ciò significa che se sei un<br />
proletario o comunque uno sconfitto dalla<br />
vita, non ti devi ribellare ma devi chinare il<br />
capo, perché tutto ci viene da Dio che<br />
attraverso le tribolazioni ci mette alla prova,<br />
e, che se faremo i bravi ci ricompenserà dopo<br />
la morte ossia come le pecore facendoci<br />
mungere e tosare in silenzio prima di andare<br />
al macello. Ribadiamo ancora meglio quanto<br />
detto citando un nostro testo: “La schiavitù<br />
economica e sociale di una classe, come la<br />
storia dimostra, è sempre assicurata e<br />
ribadita dalla diffusione del pregiudizio<br />
religioso che, trovando facile terreno<br />
nell’ignoranza, logica conseguenza della<br />
miseria, tenta di impedire agli oppressi la<br />
rivolta contro gli oppressori, ottenebrando<br />
nei primi la coscienza della propria forza<br />
43<br />
latente. Ed è sempre esistita, a fianco delle<br />
caste dominanti, la casta sacerdotale,<br />
stipendiata appunto per mantenere e<br />
diffondere la rassegnazione, la viltà,<br />
nell’animo dei servi chini sotto il giogo, per<br />
far fronte ai fremiti di rivolta causati dal<br />
disagio e dal malcontento”. 50<br />
Naturalmente per fare quanto detto<br />
prima, non basta che la chiesa si rivolga ai soli<br />
credenti, ma ha bisogno di alleati e di inserirsi<br />
soprattutto in ambienti sociali e culturali che<br />
prima la guardavano con diffidenza; come per<br />
esempio il vasto mondo dei non cristiani e in<br />
special modo dei non credenti.<br />
Riguardo ai non credenti, essi sono<br />
impermeabili ai precetti cristiani a parole,<br />
essendo nei fatti sottomessi alle visioni ed al<br />
carisma dei cosiddetti intellettuali (ed altri<br />
simili giullari del capitale). È aprendosi al<br />
confronto con i cosiddetti intellettuali atei o<br />
anche solo laici, che l’attuale papa si è rivolto<br />
per trovare dei punti di contatto per un lavoro<br />
in comune (l’unione fa la forza!).<br />
Questa cosa comunque non è di oggi,<br />
Ratzinger infatti in un’intervista nella quale<br />
illustra la sua partecipazione al Concilio<br />
Vaticano II, ha ricorda che uno degli<br />
argomenti di discussione in merito alla<br />
supposta universalità della chiesa romana,<br />
riguardava la salvezza dei non cristiani e dei<br />
non credenti. 51 Ritorneremo in seguito su<br />
questi ultimi, adesso apriamo una lunga<br />
parentesi sui primi, i non cristiani.<br />
Il Concilio Vaticano II (11/10/62–<br />
8/12/65) elaborò il “Nostra Aetate”, che a<br />
detta dello stesso Ratzinger, allora era<br />
considerato un documento secondario,<br />
mentre adesso si è rivelato come uno dei<br />
documenti più importanti del Concilio. Quel<br />
documento aprì infatti nuove frontiere<br />
all’intervento della Chiesa di Roma nel<br />
mondo e alla politica diffusa delle missioni e<br />
dei nuovi mercati di anime in Africa<br />
ed Asia, col rafforzamento del proprio<br />
intervento nelle aree storiche come quella<br />
dell’America Latina.<br />
50<br />
“ Socialismo e Religione” pubblicato su: L’Avanguardia<br />
del 14 dicembre 1913.<br />
51<br />
Perché non solo in Asia o in Africa erano presenti i non<br />
cristiani ma soprattutto nella nostra società cominciava ad<br />
avvertirsi il peso dei non credenti, dei non cristiani. Su La<br />
Repubblica del 13 maggio 2005,”Ratzinger il mio<br />
Concilio”.
Naturalmente, anche i soggetti a cui<br />
rivolgersi ed il modo di presentare il<br />
catechismo è diverso, da religione quindi del<br />
ricco e sofisticato Occidente, da religione dei<br />
padroni del mondo, il cattolicesimo si sta<br />
trasformando in religione dei poveri, dei<br />
reietti dell’umanità, “sopravanzando anche<br />
l’Islam di un rapporto di tre a due”<br />
(Jenkins). 52 A prescindere comunque da<br />
questo entrismo, gli occhi della chiesa ed il<br />
centro della geopolitica vaticana sono per ora<br />
puntati verso l’Europa. Finito il filoatlantismo<br />
dei tre papi precedenti (Pio XII,<br />
Giovanni XXIII, Paolo VI), con Giovanni<br />
Paolo II è iniziato il feeling tra l’Unione<br />
Europea e la chiesa romana, e non a caso<br />
Ratzinger è stato eletto papa perché degno<br />
continuatore di questa politica. Inoltre,<br />
l’attuale pontefice si trova in una posizione<br />
più favorevole per riprendere i contatti con il<br />
patriarcato di Mosca e con la Cina, con la<br />
quale si sono ripresi i contatti anche in forza<br />
dei 12 milioni di credenti cattolici ivi<br />
residenti 53 . Questo segnale di apertura dato è<br />
veramente molto forte: si riconosce infatti<br />
come Stato sovrano, disconoscendo<br />
automaticamente Taipei e indebolendo<br />
quindi la politica Americana nell’area. 54<br />
Nonostante la scelta Europeista, il<br />
vaticano non a smesso d’intervenire in casa<br />
statunitense, dove le sue pecorelle sono<br />
comunque numerose. Nelle precedenti<br />
elezioni presidenziali, un gruppo di vescovi<br />
americani premette sul Vaticano affinché<br />
venisse sconfessato pubblicamente il<br />
democratico Kerry 55 , che intendeva infatti<br />
difendere la legislazione sull’interruzione<br />
della gravidanza. Allora, fu mandato lo stesso<br />
Ratzinger a calmare i vescovi. Adesso la<br />
chiesa è ritornata sui suoi passi, e Ratzinger<br />
che nel frattempo è diventato papa, ha<br />
lanciato un appello perché si selezionassero i<br />
candidati alle elezioni in base alla loro<br />
opposizione alla legislazione abortista. Questo<br />
è anche quanto si sostiene su<br />
“l’Instrumentum Laboris” del prossimo<br />
sinodo dei vescovi, in cui si afferma che è<br />
52<br />
La Repubblica 29 aprile 2005. Il nuovo papa, la Russia<br />
e la Cina.<br />
53<br />
La Repubblica del 13 mag. 2005, “ Diplomazia,<br />
Ratzinger apre alla Cina”.<br />
54<br />
La Repubblica del 29 apr. 2005, “ Il nuovo papa la<br />
Russia e la Cina”.<br />
55<br />
La Repubblica del 8 lug. 2005, “ Peccato sostenere chi<br />
vota l’aborto”.<br />
44<br />
peccato grave votare per un politico che<br />
sostiene l’aborto. Siccome il documento parla<br />
anche di difesa della vita, il divieto sarà esteso<br />
pure nei confronti di chi sostiene la ricerca<br />
scientifica sull’embrione o addirittura la sola<br />
diagnosi prenatale sull’embrione stesso,<br />
attraverso cui si rilevamento di malattie<br />
ereditarie sulle quali è possibile intervenire.<br />
E di questa crociata abbiamo avuto un<br />
assaggio anche in Italia, a proposito dei<br />
referendum sulla procreazione assistita e<br />
sull’utilizzo degli embrioni nella ricerca<br />
scientifica. Nel corso della recente campagna<br />
contro i matrimoni gay, è possibile<br />
riconoscere quale considerazione abbiano<br />
della chiesa i leader politici: sia il credente<br />
Prodi che l’ateo pentito Fassino sono ritornati<br />
sui loro passi a proposito dei matrimoni gay e<br />
delle coppie di fatto, giustificandosi e<br />
ponendo dei distinguo tra la loro posizione e<br />
quella dello “spauracchio” Zapatero. Hanno<br />
così affermato con enfasi che non si mette<br />
assolutamente in discussione la centralità<br />
della coppia tradizionale, ma si vuole<br />
solamente garantire un minimo di stato<br />
sociale a favore di unioni che non essendo<br />
riconosciuto giuridicamente non possono<br />
godere di diritti garantiti invece a chi è<br />
sposato tradizionalmente.<br />
Anche su questioni che riguardano la sua<br />
organizzazione interna, la Chiesa non compie<br />
nessun passo in avanti, “non si modernizza<br />
adeguandosi ai tempi ed al libertarismo<br />
imperante”. E su questioni quali il celibato dei<br />
preti, il sacerdozio femminile, o più<br />
semplicemente il riconoscimento del ruolo<br />
della donna nella attuali istituzioni<br />
ecclesiastiche, mantiene in modo<br />
intransigente la sua posizione dogmatica.<br />
Tutto questo sfata un altro mito, costruito<br />
dalla intellighenzia di sinistra per lisciare il<br />
pelo ai prelati cosiddetti progressisti: ovvero<br />
che la Chiesa di Roma sia durata 2000 anni in<br />
quanto capace di adattarsi alle nuove<br />
strutture di pensiero, di rinnovarsi a seconda<br />
dei tempi e delle ideologie e di trovare un<br />
modus vivendi adeguato ai cambiamenti<br />
avvenuti nello sviluppo storico dei modi di<br />
produzione succedutisi finora (schiavismo,<br />
feudalesimo, capitalismo). È vero invece tutto<br />
il contrario. Infatti tutti i nuovi padroni si<br />
sono sempre rivolti alla Chiesa come fattore<br />
di stabilità e di continuità nei tempi che<br />
cambiavano. La Sinistra <strong>Comunista</strong> faceva<br />
giustamente notare: “ Non è vero che la forza
della Chiesa risieda nell’adattarsi ai tempi,<br />
risiede, al contrario, nella capacità di<br />
adattare la voce dei tempi, al suo sistema” 56 .<br />
E si fa forte in questo dell’appoggio delle<br />
classi dirigenti, i cui rappresentanti si<br />
formano spesso presso le strutture educative<br />
della stessa Chiesa (nelle sue scuole, nei suoi<br />
collegi e nei suoi centri studi).<br />
Il capitalismo ha bisogno del supporto<br />
della religione in quanto forza di<br />
conservazione sociale e come pilastro<br />
dell’ordine borghese. I valori della chiesa<br />
sono ritenuti universali ed il capitale, dopo la<br />
sbornia anticlericale illuminista, ha<br />
uniformato a questi la sua ideologia,<br />
affermando che i principi basilari di questa<br />
siano principi naturali.<br />
Anche se prima abbiamo ribadito che la<br />
Chiesa è la mantenuta del capitale, di fatto<br />
essa ripaga il capitale medesimo con gli<br />
interessi, attraverso i propri servigi che sono<br />
molteplici.<br />
Il dogma imperativo più importante per la<br />
chiesa è la propria sopravvivenza e continuità<br />
nel tempo, questa esigenza è ormai legata a<br />
doppia mandata con l’appoggio all’infame<br />
modo di produzione capitalistico. La Chiesa<br />
sa che con la caduta del capitalismo anch’essa<br />
cadrebbe, e che i credenti, sul piano<br />
individuale, rimarrebbero ancora in molti<br />
senza l’eliminazione materiale del bisogno,<br />
della sofferenza impotente e quant’altro<br />
alimenti la superstizione religiosa. Ma la<br />
struttura materiale della chiesa e la casta dei<br />
preti cadrebbero certamente da subito dopo<br />
la rivoluzione, in quanto il loro apparato si<br />
regge principalmente sulle entrate a vario<br />
titolo e sugli stipendi che il capitale versa ad<br />
essa con continuità. La chiesa riconosce tutto<br />
questo, sa grazie alla sua esperienza che se<br />
viene abbattuta l’ultima società classista,<br />
anch’essa cadrà come istituzione ed è dovuto<br />
a questo riconoscimento “il fatto che la<br />
completa sottomissione della Chiesa cattolica<br />
alla dittatura del capitale non sia stata<br />
ottenuta con mezzi coattivi”. 57<br />
Ritorniamo adesso ai non credenti: è<br />
interessante come la recente politica papalina<br />
apra nuovi campi di discussioni con i seguaci<br />
dell’ateismo.<br />
56 P.C. n. 14/61, “C’è posto per tutti sotto l’ombrello di<br />
santa madre chiesa”.<br />
57 Idem come nota 1.<br />
45<br />
Si dice che se si vive abbastanza a lungo si<br />
riesce a vedere di tutto, ma in quest’epoca i<br />
processi si muovono così velocemente sotto la<br />
spinta della crisi, che siamo riusciti a vedere<br />
finalmente l’abbraccio tra gli ex mangiapreti e<br />
la chiesa romana: e non si tratta di un<br />
abbraccio formale, ma di una vera<br />
condivisione di un cammino in comune.<br />
Stiamo parlando del dibattito<br />
sull’Umanesimo tenutosi a Lione, e che ha<br />
visto come relatori sintonizzati su un’unica<br />
lunghezza d’onda, il “socialista” Giuliano<br />
Amato ed il vescovo di Terni Vincenzo<br />
Paglia 58 . In quest’incontro entrambi hanno<br />
convenuto che “Umanesimo religioso” ed<br />
“Umanesimo laico” sono fondati sugli stessi<br />
principi e che, addirittura,a detta del<br />
“socialista”, i diritti umani come noi li<br />
concepiamo nascono nel medioevo, e non<br />
nell’epoca illuminista come si era sempre<br />
pensato. Ambedue queste dottrine hanno<br />
inoltre origine dal diritto canonico: i diritti<br />
umani quindi non sono un parto della<br />
borghesia, ma sono stati concepiti nell’epoca<br />
che gli stessi pensatori borghesi hanno<br />
sempre definito oscura, ma dai canonici<br />
cristiani e di Averroè che non era cristiano,<br />
ma che incarnava la libertà di coscienza di<br />
quei tempi. I mangiapreti dunque<br />
riabbracciano pubblicamente la chiesa<br />
cattolica, e non di nascosto nelle sacrestie<br />
come ai tempi di Baffone. Nel suo intervento,<br />
il vescovo Paglia liscia il pelo ai laici ed al<br />
laicismo, affermando che è laico chi non<br />
assolutizza il proprio pensiero; che la vera<br />
laicità non si identifica con nessun credo<br />
preciso od ideologia e che essere laici significa<br />
essere tolleranti, significa demistificare tutti<br />
gli idoli, anche i propri, significa operare<br />
secondo principi logici che non possano<br />
essere condizionati da nessuna fede, sia<br />
politica che religiosa, significa infine credere<br />
fortemente in alcuni valori, consapevoli che<br />
ne esistano anche altri. Sembra, insomma, il<br />
decalogo dell’intellettuale di sinistra, che a<br />
parole possiede dei forti principi, però nei<br />
fatti si lascia il campo libero a qualsiasi<br />
mutamento di pensiero e a qualsiasi cambio<br />
di bandiera. Ed è in questa cloaca intellettuale<br />
che da un pò la chiesa sguazza. Ricordiamo<br />
l’incontro di Ratzinger, prima di diventare<br />
papa, con Ferrara e Gad Lerner; e l’incontro<br />
segreto con Oriana Fallaci, loro odierna<br />
Giovanna d’Arco, strenua oppositrice della<br />
58 La Repubblica del 16 sett. 2005, “ Laicismo”.
concorrenza islamica. È questo quanto sta<br />
succedendo: sotto l’urto della crisi, tutte le<br />
forze antiproletarie si coalizzano per creare<br />
nuovi ostacoli alla ripresa della lotta di classe<br />
e per perpetuare la cappa di piombo della<br />
controrivoluzione.<br />
Uno dei compiti quindi del movimento<br />
operaio internazionale è di combattere la<br />
religione. Ma per vincere questa lotta non<br />
servono le tirate e la propaganda anticlericale,<br />
come fecero per primi nel 700 Voltaire e gli<br />
illuministi, ma bisogna abbattere le sue basi<br />
materiali e la società capitalistica, creando<br />
così le condizioni per l’uscita dall’umanità<br />
dalla schiavitù dello sfruttamento salariale e<br />
della superstizione religiosa.<br />
Concludiamo con un’illuminante citazione<br />
di Lenin tratta dai suoi scritti “Sulla<br />
Religione”.“La religione è l’oppio del popolo:<br />
questo detto di Marx è la pietra angolare di tutta<br />
la concezione marxista in materia di religione.<br />
(…) Tutte le religioni e le chiese oggi esistenti,<br />
tutte –quali che siano– le organizzazioni<br />
religiose, sono sempre state considerate dal<br />
marxismo come strumenti della reazione<br />
borghese, che servono a difendere lo<br />
sfruttamento e a stordire la classe operaia. (...)<br />
Nei paesi capitalistici odierni le radici (della<br />
religione) sono soprattutto sociali.<br />
L’oppressione sociale delle masse lavoratrici, la<br />
loro apparente totale impotenza di fronte alle<br />
forze cieche del capitalismo, che è causa, ogni<br />
giorno ed ogni ora che passa delle sofferenze<br />
più orribili, dei tormenti più selvaggi per la<br />
massa dei lavoratori, in misura mille volte<br />
maggiore di tutte le calamità come le guerre, i<br />
terremoti, ecc.; ecco in cosa consiste<br />
attualmente la radice profonda della religione.<br />
(…) La paura ha creato gli dei. La paura<br />
dinnanzi alla cieca forza del capitale, cieca<br />
perché non può essere prevista dalle masse<br />
popolari, la quale ad ogni istante della vita del<br />
proletariato e del piccolo proprietario minaccia<br />
di portarli e li porta ad una catastrofe subitanea,<br />
inattesa, accidentale, che li rovina, li trasforma<br />
in mendicante, in povero, in prostituta, li riduce<br />
a morire di fame: ecco la radice dell’odierna<br />
religione che il materialista deve tenere<br />
presente prima di tutto e al disopra di<br />
tutto” 59 .<br />
59 Riportata su il P.C. dell’8 apr. 1962: “Religione e<br />
Marxismo sono incompatibili”.<br />
46
Esecuzione di “DOUGLAS PRINCIPAL”, militante del <strong>Partito</strong> <strong>Comunista</strong><br />
<strong>Internazionale</strong> ad opera del capitalismo venezuelano e della mafia di Chavez.<br />
Le prime ed incipienti lotte operaie in<br />
America Latina cominciarono verso il 1680 ed<br />
erano lotte rivendicative molto isolate in un<br />
ambiente sociale di capitalismo agrario o<br />
propriamente precapitalista. Ma poiché<br />
andarono generalizzandosi ed estendendosi<br />
dal 1890 al 1910 nelle miniere cilene e nella<br />
città di Buenos Aires, la repressione di<br />
massa fu la pratica dei capitalisti, il loro<br />
determinismo economico ed il loro modo<br />
morale di continuare il processo di<br />
accumulazione originaria del capitale,<br />
appoggiandosi sulla forza del capitale<br />
imperialista inglese, francese, tedesco ed<br />
infine nordamericano.<br />
Nella misura in cui l’America Latina<br />
importò tutto, dal modo di produzione alle<br />
ancestrali tradizioni iberiche, dalle classi<br />
sociali alle sue burocrazie inquisitorie, dai<br />
partiti ai sindacati, dai capitali alle tecnologie,<br />
importò anche i metodi repressivi,<br />
ampiamente usati nella Penisola iberica,<br />
contro mori, ebrei, critici alla Cervantes,<br />
durante la riconquista e la successiva<br />
catechizzazione dell’impero. Anche nel<br />
coltivare e sperimentare i metodi repressivi la<br />
borghesia creola latino-americana ha<br />
dimostrato di essere un’alunna diligente,<br />
prima con gli stermini delle popolazioni<br />
native, poi con le espropriazioni forzate delle<br />
terre ai contadini poveri o alle genti indigene<br />
(proprietari naturali della terra) e, sempre,<br />
contro i diseredati o peoni ed i proletari delle<br />
città e delle campagne.<br />
Con molti infecondi tentativi di<br />
rivoluzione, le correnti democratiche della<br />
piccola borghesia solcano il corso dei tempi,<br />
tentativi di rivoluzioni rovinose e cruente che,<br />
qualora trionfanti, finivano in semplici rivolte<br />
di palazzo, perché i loro proclami non<br />
superavano gli ambiti della rivoluzione<br />
mercantile, né la sua legge fondamentale o<br />
organica, che conosciamo come legge del<br />
valore, già predominante in questo campo<br />
storico fin dall’indipendenza dal colonialismo<br />
spagnolo (ad eccezione di Cuba–Puerto Rico)<br />
fra il 1810 ed il 1830.<br />
Né il “sindacalismo rivoluzionario”<br />
argentino del 1890-1913, né il <strong>Partito</strong> Operaio<br />
Socialista cileno del 1900-1913 (sicuramente<br />
47<br />
il più vicino in America alle tesi di Marx), né<br />
gli zapatisti del 1910-1919, né i “Cinturoni<br />
Industriali” cileni del 1972-73 (e meno di<br />
tutti, il castrismo-guevarismo) arrivarono a<br />
superare il mercantilismo, il baratto o il<br />
lavoro salariato nei loro programmi: in<br />
generale, il loro progenitore fu la corrente<br />
Prohudon-Bernstein. “il fine non è nulla,il<br />
movimento è tutto” fu la divisa<br />
prohudoniana-bernsteiniana.<br />
Le borghesie più arretrate, però, più<br />
dipendenti dai capitali e dalle tecniche<br />
dell’imperialismo internazionale e, pertanto,<br />
più deboli, non potevano permettersi<br />
l’esistenza di rumorosi movimenti piccoloborghesi<br />
che reclamavano la ripartizione della<br />
terra contro i latifondisti borghesi, o le misure<br />
sociali europee (Wellfare State) come<br />
pensioni, ospedalizzazione, medicine, scuola<br />
gratuita e credito economico per tutti gli<br />
imprenditori della città o della campagna. Per<br />
non parlare dell’odioso tremore prodotto in<br />
loro da chi propaga il fantasma della<br />
“rivoluzione proletaria”: a questa borghesia<br />
poco importa che i suoi promotori o<br />
portavoce siano movimenti studenteschi o<br />
partiti nazionalisti.<br />
Per queste deboli e talvolta straccione<br />
borghesie dipendenti e per l’imperialismo<br />
vampiro e protettore, questi fantasmi, questi<br />
spettri non potevano essere portati a spasso<br />
né in libertà né in clandestinità. In questa<br />
visione così assolutista, tanto americana<br />
quanto internazionale, stanno invece le radici<br />
“dell’azione preventiva” statunitense e<br />
mondiale contro ogni pericolo interno o<br />
esterno che minacci il “ben operare”, il “buon<br />
procedere degli affari” propagando o<br />
provocando risse o tumulti, sia latini che<br />
piccolo-borghesi.<br />
Questa lunga tappa di repressione di<br />
massa, coltivata e preservata dalle guerre per<br />
l’indipendenza dal colonialismo spagnolo, è<br />
ciò che cercano di chiudere dall’Europa con<br />
l’appoggio alla formazione del MERCOSUR e<br />
con i processi alle giunte militari opposte al<br />
circo parlamentare.<br />
Cercano di serrare il brutto ricordo dei<br />
massacri di massa come quello degli studenti<br />
nella piazza messicana di Tlatelolco, come lo
sciopero nelle miniere di Cananea o i<br />
massacri nel Chiapas, gli stessi più gravi<br />
massacri in Guatemala, El Salvador,<br />
Nicaragua e Honduras, il sistematico<br />
disperdere, a colpi d’arma da fuoco, di<br />
scioperanti e manifestanti in Repubblica<br />
Dominicana, Haiti, Ecuador, Bolivia e Perù.<br />
La feroce repressione della borghesia<br />
cilena al servizio di Pinochet non era nuova;<br />
già nel 1907 e nel 1909 si produssero, fra gli<br />
altri, i massacri di proletari a Santa Maria di<br />
Iquique e nelle miniere di Marusia per<br />
reprimere a sangue e fuoco gli scioperi operai.<br />
Neppure gli oltre 30.000 desaparecidos<br />
in Argentina sono niente di nuovo né di<br />
eccezionale. Fra il 1860 ed il 1890 i<br />
proprietari dei mattatoi e dei frigoriferi, ossia<br />
la borghesia creola ed i suoi mentori<br />
britannici, gettarono le nuove radici<br />
sterminatrici contro le tribù indie, dalla città<br />
di Buenos Aires. Addussero, come<br />
giustificazione storica dello sterminio,<br />
effettuato fino a Rio Negro, che gli indigeni si<br />
erano alleati con la borghesia cilena per<br />
appropriarsi della Pampa o di altri territori<br />
argentini. Dopo aprirono la caccia ai<br />
GAUCHOS che si rifiutavano di convertirsi in<br />
semplici servi dei grandi proprietari terrieri.<br />
In seguito scoppiarono i grandi e lunghi<br />
scioperi, dal 1890 a Buenos Aires, influenzati<br />
e diretti dalla corrente del “Sindacalismo<br />
Rivoluzionario” francese (i soreliani), poi<br />
incarnati nella FOA (Federazione Operaia<br />
Argentina), fondata nel 1901. Nel 1903 si<br />
scissero 19 associazioni della FOA, fondando<br />
nel 1904 la FORA (Federazione Operaia<br />
Regione Argentina), ecc.<br />
Dal 1902 fino al 1932, lo stato d’assedio fu<br />
quasi costante in Argentina, accompagnato da<br />
migliaia di operai assassinati dall’esercito e<br />
dalla polizia. Tutti i governi parteciparono<br />
alla repressione antioperaia. Di conseguenza,<br />
le repressioni moderne sono soltanto la<br />
continuazione di quelle antiche.<br />
Ciò è dimostrato dalla repressione dello<br />
scossone in Venezuela di febbraio-marzo del<br />
1989, con più di 3.000 morti ammazzati, per<br />
finire con la rivolta della fame, da parte del<br />
governo socialdemocratico di Carlos Andrés<br />
Pérez. Questa repressione fu effettuata dal<br />
glorioso esercito venezuelano, dai suoi<br />
capitani e comandanti, cioè, dai golpisti del<br />
1992 e del 1994, ossia, dal partito<br />
dell’esercito, questo movimento che oggi si<br />
48<br />
chiama chavismo o bolivarismo, movimento<br />
militare nazionalista al quale si unirono dal<br />
1992-94 quasi tutti i difensori della guerriglia.<br />
Degli USA ricorderemo soltanto lo<br />
scioglimento del sindacato dei controllori di<br />
volo ed il licenziamento degli scioperanti da<br />
parte del governo di R. Reagan, insieme alla<br />
continua applicazione ad opera di tutti i<br />
governi della legge antisciopero o del reale<br />
stato d’assedio contro gli scioperanti, che<br />
impedisce o rompe lo sciopero<br />
sottomettendolo all’arbitraggio. La<br />
repressione violenta degli scioperi è una legge<br />
non scritta da più di 150 anni in USA.<br />
L’azione delle bande bianche o di gradassi al<br />
soldo della padronale (si ricordi Chicago 1886<br />
per la giornata di 8 ore e l’incendio della<br />
fabbrica Cotton di New York l’8/3/1909 dove<br />
bruciarono le lavoratrici in sciopero), insieme<br />
con le provocazioni della polizia, è stata<br />
moneta di scambio comune a tutta la storia<br />
dei rapporti fra padronale-governo e proletari<br />
in lotta.<br />
Raccogliere ed analizzare tutte queste<br />
esperienze repressive organizzate dalla classe<br />
borghese e sofferte dal proletariato e dalla<br />
piccola borghesia, in tutto il continente<br />
americano, legate alle esperienze di tutto il<br />
proletariato mondiale, è uno dei compiti<br />
importanti che assumiamo di fronte al futuro<br />
risorgimento delle lotte classiste proletarie,<br />
seguendo l’obiettivo dell’unificazione degli<br />
impulsi operai in un’unica lotta in tutta<br />
l’America ed il mondo. Un’unificazione che si<br />
può conseguire soltanto se si introduce e si<br />
estende la solidarietà e l’appoggio effettivo<br />
per tutte le lotte genuinamente proletarie al di<br />
sopra di frontiere, lingue e razze.<br />
È in questo contesto storico che<br />
dobbiamo collocare l’attuale tentativo di<br />
superare la tappa della repressione di massa<br />
delle borghesie deboli ed insicure dei governi,<br />
dando il balzo alla repressione selettiva<br />
basata su una borghesia molto più sicura di sé<br />
avendo esteso la sua base sociale di governo,<br />
incorporando nell’azione governativa ampi<br />
settori della piccola borghesia e della<br />
nascente aristocrazia operaia, come accade in<br />
Brasile con il <strong>Partito</strong> dei Lavoratori, o nel caso<br />
dello giustizialista argentino Kirchner, o del<br />
Cile pinochetiano-democristiano e<br />
socialdemocratico, o del chavismo in<br />
Venezuela, o dei tentativi di integrare in<br />
questo Mercato ed ambiente politico anche
Colombia, Perù, Ecuador, Bolivia, Uruguay e<br />
Paraguay.<br />
Questa tendenza è influenzata ed<br />
appoggiata dalla socialdemocrazia europea,<br />
che utilizza profusamente i lacci storici e<br />
linguistici della socialdemocrazia spagnola<br />
per consolidare un forte blocco<br />
latinoamericano che mantenga la sua<br />
autonomia dagli Stati Uniti. La potenza<br />
imperialista brasiliana gioca la funzione di<br />
nuovo epicentro del potere, laddove<br />
l’imperialismo centroeuropeo (Germania–<br />
Olanda) e spagnolo giocano un ruolo<br />
determinante in base ai loro investimenti.<br />
È in questo contesto che si deve<br />
analizzare la repressione selettiva, il sicariato,<br />
contro le avanguardie proletarie e contro i<br />
militanti marxisti, poiché sono centinaia i<br />
proletari uccisi in Venezuela, Colombia, Perù,<br />
perché alla testa di lotte rivendicative nelle<br />
aziende, denunciando mafie sindacali, mafia<br />
poliziesche, o mafie formate da trafficanti di<br />
bestiame, di droga, di donne, da assaltatori di<br />
case, mercati, automobilisti, autobus ed<br />
individui isolati, quasi tutti collegati e protetti<br />
dalla polizia,dall’esercito, dai giudici e dalle<br />
mafie politiche e sindacali.<br />
A volte scoppia lo scandalo basato sulla<br />
corruzione di qualcuno o di tutti i gruppi<br />
sopra citati, come succede in tutto il mondo.<br />
Perfino i più corrotti si indignano gridando<br />
contro la corruzione! Noi affermiamo che lo<br />
sfruttamento della classe proletaria è<br />
anche la causa, la base dalla quale deriva la<br />
corruzione. Facciamola finita con lo<br />
sfruttamento e con il sistema di lavoro<br />
salariato che lo genera e l’avremo fata finita<br />
con la causa e l’effetto della corruzione.<br />
Come è perché uccisero il nostro<br />
compagno Douglas Principal?<br />
Il nostro compagno fu ucciso<br />
premeditatamente e freddamente, dopo un<br />
inseguimento da professionisti durato<br />
probabilmente giorni, settimane, sulla porta<br />
di un negozio dove erano andati a fare<br />
compere. Un fratello di Douglas entrò per<br />
comperare, mentre Douglas aspettava nel<br />
furgone parcheggiato sulla strada. Circa 35<br />
minuti dopo il fratello sentì una forte<br />
detonazione, uscì e trovò Douglas con un<br />
colpo di pistola alla testa, mentre vide ritirarsi<br />
la banda di mafiosi, alla cui testa erano due<br />
uomini del partito di Chavez, partito della V<br />
Repubblica.<br />
49<br />
Sono tutti liberi, tutti protetti dal partito<br />
della V Repubblica e dal governo capitalista<br />
democratico di Chavez. Come scrivevano i<br />
compagni venezuelani in un altro comunicato<br />
un mese dopo o 8 mesi dopo:<br />
“Ad un mese dall’assassinio<br />
dell’agronomo Douglas A. Principal Abarca i<br />
criminali continuano ad essere in libertà ed<br />
anche quando la denuncia è giunta fino alla<br />
Fiscalia Generale della Repubblica, il<br />
Difensore del Popolo, la Commissione dei<br />
Diritti Umani dell’Assemblea Nazionale, la<br />
Fiscalia Superiore dello Stato Lara e la PTJ,<br />
la minaccia e l’intimidazione da parte dei<br />
delinquenti si è estesa al resto dei familiari<br />
ed amici che hanno continuato nella<br />
denuncia. In questo modo resta evidente, una<br />
volta di più, la complicità fra corpi<br />
repressivi, istituzioni dello stato e<br />
delinquenti.<br />
Oggi la famiglia Principal Abarca vive in<br />
clandestinità con le conseguenze che questo<br />
comporta, fra cui il fatto che undici<br />
minorenni hanno dovuto rinuncia alla<br />
scolarizzazione, uomini e donne hanno<br />
dovuto abbandonare il posto di lavoro, i loro<br />
affari ed i beni materiali acquisiti in una vita<br />
di lavoro e di sacrifici.<br />
Senza dubbio, il caso di questa famiglia<br />
non è un caso isolato, nello stato Lara altre<br />
famiglie sopravvivono alla persecuzione<br />
delittuosa ed in ambito nazionale le notizie<br />
dimostrano come viene incrementato<br />
l’assassinio di operai da parte della<br />
delinquenza sindacale incaricata di truffare i<br />
lavoratori con vendite fraudolente di<br />
contratti. In definitiva, però, lo stato<br />
capitalista protegge soltanto la grande<br />
proprietà capitalista ed utilizza la<br />
delinquenza ed i corpi repressivi per<br />
terrorizzare i lavoratori.”<br />
Così si legge in un comunicato del<br />
“Comitato Vittime dell’Impunità”, formato<br />
per denunciare l’assassinio di Douglas e le<br />
menzogne giustificative lanciate da<br />
televisione, radio e stampa del governo<br />
chavista e dai suoi sicari:<br />
“Se ci riproponessimo di presentare i casi<br />
di impunità che si ripetono giornalmente,<br />
basterebbe citare i mezzi di comunicazione<br />
regionali che nel 2004 rilevano la morte di<br />
più di 100 persone per mano dei Corpi di<br />
Sicurezza dello Stato (El Impulso, 06/01/05),<br />
senza contare quelli che giornalmente
cadono abbattuti nei nostri quartieri per<br />
mano della delinquenza comune: “In totale<br />
ci sono stati 633 omicidi nel 2004” (El<br />
Impulso, 06/01/05). Queste statistiche<br />
permettono di constatare l’efficienza del<br />
Ministero Pubblico e dei Corpi di Sicurezza;<br />
quando si tratta di persone umili, il responso<br />
è sempre lo stesso: “regolamento di conti,<br />
scontro fra bande”, molte volte<br />
trasformando le vittime in colpevoli.”<br />
A tutti questi casi di omicidio o<br />
esecuzione la banda del governo di Chavez, i<br />
suoi poliziotti ed i suoi giudici attaccano<br />
un’etichetta, un timbro: “è un regolamento<br />
di conti fra narcotrafficanti, è uno<br />
scontro fra bande”.<br />
Con questa logica, con questa<br />
giustificazione, dopo l’esecuzione di Douglas,<br />
quando i familiari dovettero denunciare<br />
l’assassinio e gli assassini con nome e<br />
cognome, la polizia mise sul tavolo, come<br />
espediente, i rapporti polizieschi sulle attività<br />
di Douglas quando era uno studente e sulla<br />
sua successiva militanza nel <strong>Partito</strong><br />
<strong>Comunista</strong> <strong>Internazionale</strong>, giungendo ad un<br />
rapido commento ed una immediata<br />
sentenza: Accidenti, era un militante<br />
del <strong>Partito</strong> <strong>Comunista</strong> <strong>Internazionale</strong>!<br />
Questa è una guerra fra bande mafiose,<br />
la polizia non interverrà.<br />
Questa decisione è dimostrata dal titolo<br />
che capeggia sul rapporto della polizia del<br />
28/06/2004 dopo la rapina-provocazione al<br />
negozio della famiglia di Douglas: scontro<br />
fra bande.<br />
Questo titolo “scontro fra bande” viene<br />
all’indomani di una rapina nella quale due<br />
fratelli di Douglas furono feriti e ricoverati in<br />
ospedale per gli spari da parte dei mafiosi il<br />
28/06/2004 alle ore 13.00, con la polizia che<br />
non arriva prima delle 17.00 e non interroga<br />
né arresta alcun mafioso, pur avendone nomi,<br />
cognomi ed indirizzi nel quartiere di<br />
Garabatal nella città di Barquisimento.<br />
Il compagno dopo un periodo di studio e<br />
di interessamento alla teoria marxista, ed ai<br />
cosiddetti regimi socialisti (Russia, Cuba….),<br />
venne in contatto casualmente con una rivista<br />
“il Programma <strong>Comunista</strong>” stampato e diffuso<br />
da compagni spagnoli. Lì scoprì i testi<br />
classici della Sinistra <strong>Comunista</strong> d’Italia:<br />
“L’Invarianza Storica del Marxismo, Il Falso<br />
Espediente dell’Attivismo, Teoria e Azione, Il<br />
Programma Rivoluzionario Immediato, Le<br />
50<br />
Rivoluzioni Multiple, La Rivoluzione<br />
Anticapitalista Occidentale, La Questione<br />
Agraria”.<br />
Il condensato di carica rivoluzionaria che<br />
aveva trovato impressionò talmente Douglas<br />
che tornò sul luogo della scoperta e portò via,<br />
come se si trattasse di un gran tesoro, gli altri<br />
7 numeri della rivista per distribuirli ai suoi<br />
compagni di Università. Soleva raccontare<br />
questo incontro con i testi della Sinistra come<br />
il più importante della sua vita, anche perché<br />
questo lo aveva aiutato a non lasciarsi<br />
coinvolgere né influenzare dalla guerriglia e<br />
dallo stalinismo.<br />
Douglas terminò gli studi pur senza borsa<br />
di studio, prese il titolo di Ingegnere<br />
Agronomo, dopo aver lavorato per più di 7<br />
anni nel CIARA (Abilitazione ed<br />
Investigazione Applicata alla Riforma<br />
Agraria), in programmi agricoli finanziati<br />
dalla Banca Mondiale per combattere le<br />
piaghe ed introdurre nuove coltivazioni e<br />
nuove tecniche in Venezuela, nella zona di<br />
Sanare (Stato Lara). Lì lavorava con altri<br />
ingegneri agronomi cubani con i quali ebbe<br />
sempre buoni rapporti lavorativi e personali,<br />
anche se affermava che di storia e di politica<br />
questi cubani non sapevano nulla e di niente<br />
si interessavano. Non abbiamo trovato indizi<br />
che facciano pensare che questi cubani<br />
abbiano riferito qualcosa al governo di Chavez<br />
per la classica liquidazione stalinista del<br />
nostro compagno, visto che i rapporti erano<br />
piuttosto buoni. Consigliavano ed aiutavano i<br />
piccoli contadini in zone orografiche montane<br />
e piuttosto povere.<br />
E a questo punto nasce la domanda:<br />
perchè Douglas nel settembre del 2004<br />
e non in agosto del 1996 o 2000?<br />
La risposta si deve cercare nei contatti e<br />
nelle attività che Douglas ed altri compagni<br />
stavano mantenendo fra diversi nuclei<br />
rivendicativi del proletariato e nel taglio<br />
classista che davano alle rivendicazioni difese.<br />
Una cosa deve essere chiara: la borghesia<br />
non viene colpita dalla semplice<br />
pubblicazione di una rivista che tratti di<br />
argomenti teorici, programmatici o tattici,<br />
che parli di rivendicazioni e metodi di<br />
funzionamento e di lotta generici, né dai<br />
volantini che ogni 2-3 mesi si distribuiscono.<br />
Questa semplice propaganda generica non<br />
basta per contribuire a smascherare né la<br />
borghesia né i suoi luogotenenti nelle file
operaie: partiti socialdemocratici, stalinistiguerriglieri<br />
o sindacalisti cattolici od<br />
anarchici.<br />
Finché gli autonominatisi marxisti si<br />
limitano a questa semplice attività letteraria,<br />
potranno anche scrivere delle buone cose, e<br />
quasi corrette, ma non supereranno i<br />
cosiddetti ciarlatani da bar.<br />
Nell’intestazione della rivista di <strong>Partito</strong> è<br />
scritto che ciò che distingue il nostro <strong>Partito</strong><br />
è: “La linea che va da Marx a Lenin […]”, in<br />
continuità con quanto stabilito nel Manifesto<br />
del <strong>Partito</strong> <strong>Comunista</strong> del 1948: “I comunisti<br />
(…) si distaccano e fanno valere gli interessi<br />
comuni di tutto il proletariato (…),<br />
rappresentano sempre gli interessi del<br />
proletariato nel suo insieme. Praticamente, i<br />
comunisti sono il settore più risoluto (…),<br />
il settore che spinge sempre avanti la massa;<br />
teoricamente, hanno (…) il vantaggio della<br />
chiara visione delle condizioni, del cammino e<br />
dei risultati generali del movimento<br />
proletario.”<br />
Qui, per Marx e per i marxisti integrali di<br />
ieri, oggi e domani, la teoria e la pratica<br />
vanno insieme: senza teoria rivoluzionaria<br />
non ci può essere pratica classista<br />
rivoluzionaria, ma senza pratica classista, la<br />
teoria rimane ciarlataneria, retorica.<br />
Sappiamo, siamo coscienti che Douglas<br />
non è stato assassinato perché fosse retorico,<br />
né ciarlatano, ma perché manteneva uno<br />
stretto contatto con diversi nuclei proletari<br />
che in questi ultimi anni hanno portato avanti<br />
lotte rivendicative: maestri e professori,<br />
impiegati, lavoratori del settore elettrico, di<br />
quello petrolifero.<br />
Questo contatto con la classe operaia, il<br />
lavoro di chiarificazione storica e di lotta<br />
rivendicativa immediata sono le cause<br />
principali per cui il capitalismo venezuelano<br />
ed il suo governo chavista hanno ordito<br />
freddamente con i delinquenti, con la mafia<br />
51<br />
locale controllata ed al servizio della polizia,<br />
prima la rapina, gli spari contro i fratelli di<br />
Douglas e poi l’esecuzione.<br />
La finalità perseguita con violenza<br />
reazionaria è tanto semplice quanto pratica:<br />
a) terrorizzare i suoi compagni, simpatizzanti<br />
e proletari, facendoli desistere e scomparire<br />
dalla scena del movimento rivendicativo; b)<br />
provocare una risposta di autodifesa armata<br />
da parte dei nostri compagni contro i mafiosi<br />
in condizioni sfavorevoli. In questo caso, la<br />
polizia e lo Stato capitalista avrebbero agito<br />
prontamente aprendo la caccia ai nostri<br />
compagni per difendere e proteggere i loro<br />
agenti paramilitari, le loro bande bianche,<br />
filofasciste o chaviste alla Napoleone III, così<br />
come le definì Marx nel testo classico “Le<br />
lotte di classe in Francia”, dichiarando,<br />
ufficialmente e pubblicamente, il <strong>Partito</strong><br />
<strong>Comunista</strong> <strong>Internazionale</strong> come il nemico da<br />
sterminare, azione per la quale conteranno<br />
sull’aiuto confederale di tutte le classi<br />
borghesi e degli Stati capitalisti di tutto il<br />
mondo.<br />
Dobbiamo riconoscere che non siamo in<br />
condizioni di rispondere alla violenza<br />
reazionaria con la violenza rivoluzionaria.<br />
In questa situazione siamo obbligati a<br />
difenderci politicamente, denunciando di<br />
fronte ai settori del proletariato che ci<br />
ascoltano, la politica repressiva ed<br />
antiproletaria della borghesia e del suo<br />
governo chavista.<br />
In questa situazione il nostro obiettivo<br />
principale sarà quello di dare continuità al<br />
lavoro politico e sindacale che andiamo<br />
realizzando, poiché riteniamo che sia stato<br />
questo lavoro di chiarificazione storicopolitico<br />
e di appoggio al coordinamento o<br />
all’organizzazione della lotta economicosindacale<br />
che hanno cercato di far abortire<br />
con la premeditata esecuzione del nostro<br />
compagno Douglas.
Le catastrofi ed il falso mito della scienza e della tecnica risolutrici<br />
Negli ultimi anni siamo continuamente<br />
martellati da un genere particolare di notizia:<br />
le catastrofi cosiddette “naturali”, che si sono<br />
presentate puntualmente sotto forma di<br />
un’alluvione, un terremoto con migliaia di<br />
vittime, un maremoto che distrugge intere<br />
isole e, per finire, di virus insidiosi che<br />
sembrano sfuggire al controllo umano.<br />
L’umanità insomma sopravvive arrancando in<br />
un crescendo di disastri che, sommati alle<br />
delizie tipiche della società capitalistica (crisi<br />
economica, guerre, disoccupazione), rendono<br />
sempre più precaria la nostra vita sul pianeta<br />
e gli effetti di tali disastri si manifestano in<br />
modo più sensibile nelle aree ad alta intensità<br />
di popolazione e sugli strati più poveri della<br />
stessa. Il marxismo da sempre ha dimostrato<br />
che é il capitalismo il diretto ed unico<br />
responsabile delle “catastrofi naturali”. Con<br />
questo non vogliamo dire che é il capitale che<br />
provoca i terremoti, gli uragani o che fa<br />
piovere in continuazione, ma che le tragedie<br />
che derivano dai suddetti fenomeni sono<br />
provocate o comunque aggravate nei<br />
loro aspetti più devastanti da ben precise<br />
cause economiche.<br />
Non sono gli eventi naturali in sé,<br />
insomma, ad uccidere gli uomini, ma é il<br />
modo di utilizzare le scoperte scientifiche e le<br />
loro applicazioni tecniche, che, agendo<br />
nell’ottica imposta dal modo di produzione<br />
capitalista, provoca i morti o quantomeno, li<br />
moltiplica; non é il terremoto in sé che<br />
provoca migliaia di vittime ma é il crollo delle<br />
case e delle infrastrutture che sono state<br />
progettate e realizzate secondo criteri di<br />
economicità.<br />
L’atteggiamento borghese nei confronti di<br />
queste catastrofi pretenderebbe che, dopo<br />
migliaia di anni di “progresso” nel campo<br />
delle conoscenze scientifiche, l’uomo<br />
padroneggiasse ormai la natura a tal punto da<br />
poter risolvere qualsiasi problema derivante<br />
da eventi particolari della biosfera terrestre<br />
grazie alle “straordinarie” risorse tecnologiche<br />
di cui ora dispone.<br />
Chi crede che la conoscenza tecnologica<br />
possa liberare l’uomo dalle sue miserie e dalle<br />
sue difficoltà risolvendo le contraddizioni<br />
insite nella società capitalistica é in realtà solo<br />
un sognatore: il fatto é che non esiste una<br />
tecnica al di sopra delle classi, frutto<br />
52<br />
dell’ingegno umano generico proprio perché<br />
non esiste l’ingegno umano generico, ma<br />
esiste solo l’ingegno umano applicato nelle<br />
condizioni storiche, sociali ed economiche<br />
date. Lo sviluppo sociale ed economico<br />
borghese impone infatti alla tecnologia di<br />
seguire un ben preciso indirizzo, e cioè di<br />
consentire uno sfruttamento delle risorse<br />
umane e naturali che in tanto é privo di<br />
qualsiasi limite nel suo dispiegamento<br />
intensivo in quanto é finalizzato<br />
esclusivamente alla produzione di valore e<br />
profitto. È proprio questo indirizzo che<br />
imprime alla attuale tecnologia<br />
caratteristiche borghesi e criminali ( 60 )<br />
e che, nello stesso tempo, risulta<br />
determinante nel distorcere il rapporto<br />
uomo-natura, ovvero nel provocare il degrado<br />
e l’esaurimento di quelle risorse ambientali<br />
che costituiscono la base oggettiva della<br />
continuazione della nostra vita di specie su<br />
questo pianeta.<br />
A chi possiamo ascrivere gli effetti<br />
devastanti della crescita esponenziale di una<br />
produzione industriale che ormai non<br />
risponde e non si proporziona più ad alcun<br />
bisogno umano: alla “fame ardente di<br />
sopralavoro” ( 61 ) di S. M. il Capitale, che<br />
proprio perciò inquina con una montagna<br />
60 “Non vi é potente fregnaccia, che la tecnica<br />
moderna non sia lì pronta ad avallare, e rivestire di<br />
plastiche verginali, quando ciò risponde alla<br />
pressione irresistibile del capitale e ai suoi sinistri<br />
appetiti” (“Politica e «costruzione»”, Prometeo, serie<br />
II, luglio-settembre 1952, n. 3-4).<br />
61 “La fame di sopralavoro (Capitale VIII, 2: Il<br />
capitale famelico di sopralavoro) non solo conduce<br />
ad estorcere ai vivi tanta forza di lavoro da<br />
abbreviarne l'esistenza, ma rende un buon affare la<br />
distruzione di lavoro morto, al fine di sostituirne i<br />
prodotti ancora utili con altro lavoro vivo. Come<br />
Maramaldo, il capitalismo, oppressore dei vivi, é<br />
omicida anche dei morti: «Appena popoli la cui<br />
produzione si muove nelle forme inferiori del lavoro<br />
degli schiavi, della corvée ecc., vengono attratti in un<br />
mercato internazionale dominato dal modo di<br />
produzione capitalistico, il quale fa evolvere a<br />
interesse preponderante la vendita dei loro prodotti<br />
all'estero, allora sull'orrore barbarico della schiavitù,<br />
della servitù della gleba, ecc. s'innesta l'orrore<br />
civilizzato del sovraccarico di lavoro». Il titolo<br />
originale del citato paragrafo é: «Der Heisshunger<br />
nach Mehrarbeit», letteralmente: «la fame ardente<br />
di sopralavoro»” (“Omicidio dei morti”, Battaglia<br />
<strong>Comunista</strong>, n. 24 del 19-31 dicembre 1951).
vieppiù crescente di scorie e di detriti solidi,<br />
liquidi e gassosi l’intero orbe terracqueo, alla<br />
putrescenza del capitalismo, all’asservimento<br />
totale della scienza e della tecnica alle sue<br />
esigenze di illimitato sfruttamento. A chi<br />
possiamo ascrivere la rapida crescita della<br />
popolazione mondiale, ma, soprattutto, la sua<br />
irrazionale distribuzione sulla crosta<br />
terrestre ossia la sua inumana concentrazione<br />
in megalopoli invivibili ( 62 ), se non al<br />
processo di concentrazione del Capitale, che<br />
impone di ammassare la forza-lavoro in<br />
prossimità degli impianti industriali per<br />
ridurre i costi di produzione? A chi possiamo<br />
ascrivere la sottoalimentazione diffusa della<br />
popolazione soprattutto urbana -ma non solo-<br />
dettata dal gap crescente tra agricoltura ed<br />
industria, se non alla congenita timidezza del<br />
capitalismo nel fare investimenti nel settore<br />
agrario, dove quella sua fame inesauribile<br />
urta contro i limiti posti dalla terra al ciclo di<br />
rotazione del capitale?<br />
“Non é tuttavia necessario essere<br />
marxisti per inquietarsi degli effetti<br />
devastatori del capitalismo in campi sempre<br />
più estesi della vita sociale. Perfino strati di<br />
piccola borghesia o della stessa borghesia<br />
[…] sono stati di recente presi dal terrore nel<br />
constatare che il mostro in putrefazione<br />
rischiava di sconvolgere il quieto ritmo della<br />
loro esistenza. Di qui il successo<br />
dell’«ecologismo» in quanto reazione ad<br />
alcune conseguenze del capitalismo” ( 63 ), ed<br />
anche la fisima e la “moda” di vivere ed<br />
alimentarsi con prodotti naturali, reazioni di<br />
cui non può non rilevare il carattere nello<br />
stesso tempo utopistico e retrovolto: se é<br />
vero infatti che l’ecologismo con “la sua<br />
miopia e la sua impotenza” ( 64 ) non é<br />
assolutamente in grado di risalire dalle<br />
conseguenze “alle […] cause reali e<br />
62 “La lotta rivoluzionaria per lo sventramento dei<br />
paurosi agglomerati tentacolari può definirsi:<br />
ossigeno comunista contro fogna capitalista. Spazio<br />
contro cemento. La corsa all'addensamento non ha<br />
per motivo la scarsezza di spazio, che malgrado la<br />
umana prolificità, figlia anche essa della<br />
oppressione di classe, abbonda ovunque e in ogni<br />
senso, ma le esigenze del modo capitalista di<br />
produzione, che inesorabilmente spinge avanti la<br />
sua scoperta del lavoro in masse di uomini”<br />
(“Spazio contro cemento”, il programma comunista,<br />
n. 1 dell’8-24 gennaio 1953).<br />
63 Prefazione ai “Drammi gialli e sinistri della<br />
moderna decadenza sociale”, Ed Iskra, pag. 10.<br />
64 Ibidem.<br />
53<br />
soprattutto di farvi fronte” ( 65 ), il<br />
naturalismo ad oltranza di quanti cedono alle<br />
suggestioni del “prodotto biologico” ad ogni<br />
costo, incuranti di tutto ed anche del fatto che<br />
il vento stesso porta comunque scorie<br />
tossiche di ogni genere sugli orticelli sedicenti<br />
“naturali” da cui traggono i loro alimenti, é<br />
intriso fino al midollo di nostalgie reazionarie<br />
per un “piccolo mondo antico” che non<br />
tornerà mai più.<br />
“Il responsabile dell’inquinamento della<br />
natura e della vita umana, delle distruzioni e<br />
delle catastrofi, non é né «l’uomo» in<br />
generale né «la società» in generale e ancor<br />
meno la famosa «civiltà industriale»,<br />
comodo luogo comune per mascherare i<br />
problemi reali; é un modo di produzione ben<br />
preciso, retto da leggi ben precise: il modo di<br />
produzione capitalistico” ( 66 ):<br />
l’accumulazione del capitale ed il processo<br />
della sua concentrazione comportano la<br />
generalizzazione e l’incremento inarrestabile<br />
della produzione delle merci mediante merci -<br />
la forza-lavoro dei salariati-. Questa legge<br />
sorregge tutta l’impalcatura sociale ed il suo<br />
sviluppo, regola tutti gli aspetti della vita<br />
umana: la nocività, l’inquinamento ed i<br />
cosiddetti “disastri naturali” non sono allora<br />
che degli aspetti particolari delle<br />
conseguenze inevitabili di questo<br />
sviluppo.<br />
Secondo gli ecologisti sarebbe possibile<br />
ovviare alle conseguenze dello sviluppo<br />
capitalistico e quindi far sì che questo mondo<br />
in disfacimento cambi pelle, che si ravveda ed<br />
innesti la retromarcia. In che modo?<br />
Semplicemente tornando a vivere in maniera<br />
naturale, quindi applicando al sistema<br />
borghese dei rimedi in grado di correggerne le<br />
storture. “Contrariamente a certi sproloqui<br />
ecologisti, quindi, la critica marxista si<br />
guarda bene dal fare l’apologia sistematica<br />
della natura e di tutto ciò che é «naturale»: a<br />
forza di chiacchiere sulla natura, dicevano<br />
Marx ed Engels, prima o poi si finisce per<br />
idealizzare lo stadio in cui gli uomini nudi<br />
grattavano la terra con le unghie in cerca di<br />
radici commestibili!” ( 67 ).<br />
Ai nostalgici irriducibili della “natura” e<br />
di tutto ciò che é naturale (e che non esiste<br />
più), agli ecologisti che si appellano alla<br />
65 Ibidem.<br />
66 Ibidem.<br />
67 Ibidem, pag. 11.
uona volontà dei governi e degli uomini<br />
come se questi fossero in grado di prendere<br />
decisioni autonome e di controllare il<br />
capitale, come se non fossero, viceversa, le<br />
sue esigenze di valorizzazione attraverso lo<br />
sfruttamento del lavoro e delle risorse<br />
naturali a controllare uomini e governi, noi<br />
diciamo che non tengono conto di un dato di<br />
fatto elementare: che la situazione attuale<br />
dell’uomo fa parte della sua “evoluzione<br />
naturale”, perciò il problema non é quello di<br />
tornare ad uno stadio precedente di quello<br />
sviluppo, ciò che, anche ammesso che fosse<br />
possibile, prima o poi ci riporterebbe alla<br />
situazione attuale, ma di spezzare con un<br />
piano di specie il ciclo infernale che<br />
caratterizza questo stadio del cammino<br />
umano, di por fine in tal modo alla serie<br />
delle forme sociali di produzione che<br />
procedono ancora senza “coscienza” (quindi<br />
di chiudere il capitolo della preistoria<br />
dell’umanità) e di adoperare il potenziale<br />
delle conoscenze tecnico-scientifico sin qui<br />
raggiunto per armonizzare nuovamente<br />
uomo e natura su un piano più elevato<br />
rispetto a quello delle origini. Quello che la<br />
Sinistra ha sempre criticato, dunque, non é il<br />
fatto che si intervenga sulla natura, ma il fatto<br />
che il capitalismo, spinto dalla corsa al<br />
profitto, metta sottosopra il mondo senza<br />
darsi pensiero delle conseguenze a lungo<br />
termine.<br />
Sembra a chi é ancora suggestionato da<br />
Madonna Democrazia che a decidere sia la<br />
società tutta, ma queste libere “scelte” in ogni<br />
campo della vita politica e sociale non sono<br />
altro che una pia illusione: la Sinistra<br />
<strong>Comunista</strong> ha infatti dimostrato e continua a<br />
dimostrare l’inconsistenza dell’individuo ed il<br />
peso del tutto virtuale del suo pensiero e delle<br />
opzioni che ne derivano, mettendo in rilievo,<br />
tra l’altro, che l’individuo creato da questa<br />
società é ancor più inetto ed incapace degli<br />
uomini prodotti dalle precedenti formazioni<br />
economico-sociali. L’homo capitalisticus,<br />
ossia l’uomo comune dei nostri tempi, é<br />
quanto mai lontano dalla padronanza delle<br />
conoscenze scientifiche e tecnologiche, perché<br />
ne é stato radicalmente espropriato dallo<br />
sviluppo millenario delle società di classe, che<br />
ha provocato la frammentazione del<br />
sapere e la specializzazione tecnica spinta<br />
ed esasperata fino al punto di erigere delle<br />
barriere insormontabili tra i diversi settori<br />
della scienza. Processo, questo, che ha<br />
54<br />
raggiunto il culmine nella società capitalista e<br />
che proprio perciò ha comportato la<br />
alienazione totale dell’uomo dalla<br />
comprensione dell’ambiente naturale e<br />
sociale che lo circonda: si tratta di una vera e<br />
propria frantumazione delle conoscenze, tale<br />
per cui alla scala individuale ogni specialista<br />
nulla conosce all’infuori dell’orticello del<br />
proprio settore, dell’ambito ristretto di una<br />
singola branca tecnica o addirittura di una<br />
parte di essa, perdendo così –se mai l’avesse<br />
avuta- la visione delle conseguenze che il suo<br />
operare particolare provoca su scala generale.<br />
Tutto questo fa parte del processo di<br />
scadimento generale ed irreversibile<br />
nell’applicazione della conoscenza tecnica.<br />
Questa degenerazione della tecnica,<br />
intesa come azione e lotta dell’uomo “contro<br />
la natura” anche se non necessariamente<br />
come “sfruttamento della natura” e quindi<br />
come azione “contro natura” ( 68 ), é dovuto<br />
essenzialmente al modo di operare del<br />
capitale, che ha bisogno di crescere<br />
continuamente oggettivizzando lavoro vivo e<br />
provocando in tal modo quelli che sembrano<br />
dei paradossi: ci riferiamo al fatto, ad<br />
esempio, che 2000 anni fa a Roma si<br />
costruivano acquedotti ed impianti idraulici e<br />
fognari con materiali poveri, opere che per la<br />
maggior parte sono ancora funzionanti, che<br />
nel centro della città eterna si possono tuttora<br />
ammirare edifici abitativi che hanno più di<br />
600 anni. Ciò da cui si arguisce che l’ulteriore<br />
sviluppo tecnico e scientifico avrebbe dovuto<br />
darci risultati a dir poco fantascientifici,<br />
mentre si assiste stupefatti ed increduli al<br />
fatto che case, scuole e mercati, costruiti 30 –<br />
40 anni fa con le più moderne tecniche ed i<br />
più moderni materiali crollino per debolezza<br />
strutturale.<br />
Come é stato ben scritto nella<br />
presentazione di una raccolta di testi della<br />
Sinistra sul tema dell’ambiente naturale e del<br />
suo degrado, “il capitalismo non é innocente<br />
neppure nelle catastrofi dette «naturali».<br />
Senza ignorare l’esistenza di forze della<br />
68 “Con la scienza, la tecnica e il lavoro, l’uomo<br />
sfrutta la natura? Non é vero, e il rapporto<br />
intelligente tra uomo e natura nascerà quando non<br />
si faranno questi conti, e calcoli di progetto, in soldi,<br />
ma in grandezze fisiche, ed umane” in quanto<br />
“sfruttare si può dire quando un gruppo umano<br />
sfrutta l’altro” (“La leggenda del Piave”, il<br />
programma comunista. 1-15 novembre 1963, n. 20).
natura che sfuggono all’azione umana, il<br />
marxismo mostra che un buon numero di<br />
cataclismi é indirettamente provocato, o<br />
aggravato, da cause sociali. Che piova senza<br />
sosta (o non piova affatto) é un fatto<br />
naturale, ma che ne segua un’inondazione (o<br />
una siccità) é un fatto sociale. Analogamente,<br />
le scosse sismiche delle Ande sfuggono al<br />
controllo dell’uomo; ma il fatto che<br />
distruggano le città del Perù, mentre Macchu<br />
Piccu vi resiste da secoli, ha cause sociali. […]<br />
Non solo la società borghese può essere<br />
causa diretta di queste catastrofi per la sua<br />
sete di profitto e per l’influenza<br />
predominante dell’affarismo sulla macchina<br />
amministrativa” ( 69 ), ciò che significa<br />
prevaricazione sistematica del pubblico<br />
interesse da parte della macchina dello stato,<br />
ma si rivela anche del tutto “impotente ad<br />
organizzare una protezione efficace nella<br />
misura in cui la prevenzione non é un’attività<br />
redditizia” ( 70 ). Nonostante questa incapacità<br />
di lottare contro le catastrofi, comunque “si<br />
può stare certi che questa società […] sa<br />
perfettamente estrarne dell’oro non solo<br />
grazie ai succulenti «piani di ricostruzione»<br />
ma anche agli stuoli di avvoltoi<br />
dell’affarismo che seguono i disastri per<br />
intascare la loro parte di sovvenzioni e<br />
crediti di emergenza, distribuiti dallo Stato<br />
in funzione di calcoli … elettorali” ( 71 ).<br />
Mentre gli organi borghesi di<br />
informazione individuano le cause di tali<br />
disastri nell’avidità e nell’incoscienza<br />
dell’individuo, giova ricordare ancora una<br />
volta qual’é la reale natura del capitale. “Il<br />
capitale é timido per natura: dagli la<br />
possibilità di guadagnare il dieci per cento e<br />
mette appena fuori la testa, dagli la<br />
possibilità di guadagnare il 30 per cento e si<br />
mette ad investire, dagli la possibilità di<br />
guadagnare il 50 per cento e si fa temerario,<br />
dagli la possibilità di guadagnare il cento<br />
per cento e quello ammazza, dagli la<br />
possibilità, di guadagnare il 300 per cento e<br />
quello arriva al genocidio” (Il Capitale di<br />
Marx).<br />
La potenza delle “catastrofi” non si può<br />
prevedere con certezza, ma si conoscono bene<br />
le aree dove possono colpire con maggior<br />
69 Prefazione ai “Drammi gialli e sinistri della<br />
moderna decadenza sociale”, Ed Iskra, pagg. 8-9.<br />
70 Ibidem, pag. 9.<br />
71 Ibidem, pag. 10.<br />
55<br />
virulenza. Sicuramente fino ad oggi è<br />
possibile fare ben poco per evitarle, ma fin<br />
dall’antichità si conoscono, modi e mezzi<br />
perché esse rechino minor danno possibile<br />
alla specie umana. Sembra sia passato un<br />
secolo dallo tzunami che distrusse i paesi<br />
asiatici invece é passato poco più di un anno<br />
da quel fatidico 26 dicembre 2004 che ha<br />
provocato più di 200.000 morti e centinaia di<br />
feriti. Tra questi ci sono stati circa 10.000<br />
morti occidentali, in gran parte turisti: forse a<br />
questo é dovuto il perdurare della cronaca,<br />
sciacallesca e cinica, che ci riproponevano i<br />
mass-media. Una tragedia immane che i<br />
mezzi d’informazione e i suoi opinionisti<br />
prezzolati hanno fatto presto a definire senza<br />
precedenti, ma che di precedenti ne ha,<br />
eccome. Proprio in quell’area (nel<br />
poverissimo e popolatissimo Bangladesh)<br />
appena 34 anni fa un tifone durato 15 ore e<br />
uno tzunami spazzò via circa 500.000<br />
persone. Ma allora la grancassa mediatica si<br />
spense quasi subito.<br />
Eppure le cosiddette “catastrofi naturali”<br />
ogni anno colpiscono circa 211 milioni di<br />
persone, 2/3 dei quali vivono nei paesi del<br />
Sud del mondo. A detta di alcuni “esperti” la<br />
causa di questo squilibrio nella distribuzione<br />
delle catastrofi sulla crosta terrestre<br />
risiederebbe nella morfologia e nelle<br />
condizioni geologiche e/o meteorologiche che<br />
caratterizzano quei territori. Ottimo<br />
paravento dietro cui nascondersi per non dire<br />
le cose come stanno, in primo luogo che le<br />
vere ragioni di ciò risiedono in qualcosa che<br />
non é affatto naturale, cioè nell’ineguale<br />
sviluppo del saccheggio e della<br />
distruzione della natura operati dal modo<br />
di produzione capitalistico, specie adesso che<br />
si trova nella sua fase senescente ed<br />
imperialista. Modo di produzione che impone<br />
di produrre per la produzione e quindi di<br />
sprecare, di intasare di detriti e di scorie<br />
tossiche le discariche seminate un po’<br />
ovunque nel mondo. Che si concentrano,<br />
guarda caso, proprio dove i disastri “naturali”<br />
imperversano, ossia nei paesi capitalisti più<br />
deboli e meno attrezzati sul terreno della<br />
competizione con i grandi mostri statali.<br />
L’ultima catastrofe avvenuta nelle Filippine,<br />
se ce n’era bisogno, è solo il più recente<br />
esempio di questa logica. Il processo di<br />
imputridimento di questa società corre ad<br />
una velocità pazzesca, e quella di “salvarsi<br />
l’anima” con un piccolo obolo “umanitario” é
un’illusione alimentata solo dall’ipocrisia,<br />
tanto più che questo obolo inviato nelle zone<br />
disastrate é rappresentato di solito da generi<br />
alimentari e farmaci scaduti. Sulle sciagure<br />
umane non prospera solo l’affarismo<br />
borghese, ma anche la truffa, che é poi<br />
l’anima di quell’affarismo.<br />
Si sa che i terremoti non si possono<br />
prevedere con certezza, ma oggi si conoscono<br />
bene le aree sismiche e si conoscono bene<br />
anche le tecniche di costruzione utili a che gli<br />
edifici vi resistano o comunque idonee a<br />
ridurre il rischio dei crolli. Quando le scosse<br />
telluriche si scatenano sul fondo marino<br />
provocano anche onde gigantesche che non é<br />
possibile fermare, fenomeno ben noto alle<br />
popolazioni di Reggio Calabria e Messina che<br />
il 28 dicembre 1908 hanno subito uno dei<br />
terremoti più forti avvenuti in Europa negli<br />
ultimi cinque secoli. Terrificante come quello<br />
del Sud est asiatico e seguito anche allora da<br />
un maremoto che inghiottì interi paesi.<br />
Ancora oggi non si sa con certezza quanti ne<br />
restarono sotto le macerie o quelli che<br />
annegarono, le stime parlano di circa 200<br />
mila morti. Rimasero in piedi solo il 2% degli<br />
edifici. Ma quel che é certo é che costruzioni<br />
anti-sismiche avrebbero ridotto sensibilmente<br />
la percentuale degli edifici distrutti e, di<br />
riflesso, il numero dei morti così nel 1908<br />
come nel 2004.<br />
Uno dei disastri che ha fatto parlare<br />
molto i mass-media ed ha fatto consumare<br />
fiumi di inchiostro é avvenuto nella<br />
cosiddetta “patria della libertà”. Molti si sono<br />
chiesti come é possibile che, nonostante le<br />
sviluppate scienza e tecnica, nella<br />
superevoluta America siano potute accadere<br />
catastrofi come quella di New Orleans.<br />
Quest’area é stata ripetutamente colpita dalle<br />
inondazioni del Mississippi e dagli uragani,<br />
che in questi ultimi anni sono sempre più<br />
violenti e più frequenti. Bisogna dire che<br />
l’esondazione del fiume poteva essere ben<br />
prevista, visto che New Orleans é una delle<br />
tante città americane contro natura: si<br />
trova infatti sotto il livello del mare e sta<br />
sprofondando ad una velocità di due<br />
centimetri l’anno. La “soluzione” di costruire<br />
argini sempre più alti messa in atto dal<br />
capitalismo non é servita a nulla, perché le<br />
sollecitazioni dell’acqua provocate<br />
dall’uragano li ha fatti miseramente crollare e<br />
quindi la città é finita sott’acqua. Questa<br />
massa d’acqua ha fatto venire a galla la<br />
56<br />
miseria che attanaglia gli Stati Uniti. E, come<br />
da copione, chi ha pagato il prezzo più alto<br />
non sono stati certo i governanti, i finanzieri o<br />
i capitani d’industria, ma i ceti più poveri.<br />
Le televisioni ci hanno fatto vedere chi<br />
erano i profughi, i disperati, i morti. Erano<br />
quelli che non avevano dove andare, per lo<br />
più neri di pelle o comunque appartenenti a<br />
ceti non abbienti. Per questi proletari, la<br />
potenza “più grande del mondo” non ha<br />
saputo o voluto approntare un piano di<br />
evacuazione degno di questo nome. I primi<br />
“soccorsi” che sono stati inviati erano i<br />
riservisti della guardia nazionale, mandati lì<br />
non per aiutare i disperati, ma per difendere<br />
la proprietà privata con l’ordine di sparare a<br />
vista, contro quei proletari spinti dalla fame e<br />
colpiti dalla paura e dalla disperazione che<br />
tentavano di impadronirsi di qualsiasi merce.<br />
Si é quindi assistito al secondo atto del<br />
dramma, si sono viste persone aggredite e<br />
ammazzate dai militari perché, una volta<br />
lasciate senza aiuti in una città fantasma,<br />
avevano “osato” prendersi da sé quello di cui<br />
avevano bisogno. Il messaggio non potrebbe<br />
essere più chiaro: anche di fronte<br />
all’apocalisse il capitalismo é ben risoluto a<br />
difendere ad ogni costo la proprietà privata,<br />
arrivando a far morire di fame intere<br />
popolazioni.<br />
Concludiamo citando un articolo apparso<br />
sul Programma <strong>Comunista</strong> nel dicembre<br />
1966, che rappresenta un ottimo ponte in<br />
quanto poggia efficacemente sugli scritti<br />
precedenti: si richiama infatti il “Filo del<br />
Tempo” del 1951 intitolato “Omicidio dei<br />
morti”:<br />
“In Italia abbiamo una vecchia<br />
esperienza delle «catastrofi che si abbattono<br />
sul nostro paese» e abbiamo una certa<br />
specializzazione nel «montarle». Terremoti,<br />
inondazioni, nubifragi, epidemie…<br />
Indiscutibilmente, gli effetti sono sensibili<br />
soprattutto sui popoli ad alta densità e più<br />
poveri, e, se cataclismi spesso terrificanti<br />
assai più dei nostri si abbattono su tutti gli<br />
angoli della terra, non sempre tali<br />
sfavorevoli condizioni sociali coincidono con<br />
quelle geografiche e geologiche. […] Il nostro<br />
capitalismo, poco importante<br />
quantitativamente, ma all’avanguardia non<br />
da oggi, in senso «qualitativo», della<br />
borghese civiltà, di cui offrì i più grandi<br />
precursori tra lo splendere del rinascimento,
ha sviluppato in modo maestro la economia<br />
della sciagura.” ( 72 ).<br />
Poi l’articolo proseguiva rammentando<br />
che proprio in quel “Filo” si era spiegato “il<br />
meccanismo, misterioso ai gonzi ma chiaro<br />
come il sole ai marxisti, per cui la civiltà<br />
borghese, ultratecnica e ultrascientifica come<br />
si vanta di essere, non solo non garantisce<br />
l’umanità dai disastri, ma li provoca e ci vive<br />
sopra, e, più continua a sussistere come un<br />
cadavere che purtroppo cammina, più trae dal<br />
doppio omicidio – dei morti, cioè delle opere<br />
trasmesse a noi dal passato, e dei vivi, cioè<br />
della forza-lavoro spremuta nelle orge della<br />
ricostruzione – la forza di durare<br />
minacciando sempre più gli abitanti del<br />
pianeta. Ricordammo questo meccanismo in<br />
una sintesi che appare oggi confermata per<br />
l’ennesima volta – anzitutto perché il disastro<br />
si é, come prevedevamo, ripetuto e in secondo<br />
luogo perché, come era nei presagi, la sua<br />
ripetizione é avvenuta su scala tanto maggiore<br />
quanto più gli anni di sopravvivenza del<br />
capitalismo si sono allungati: «il Capitale –<br />
scrive Marx – é lavoro morto che, simile al<br />
vampiro, si rianima solo succhiando il lavoro<br />
vivente, e la sua vita é tanto più lieta quanto<br />
più gli é dato di succhiarne». Il capitale<br />
moderno, avendo bisogno di consumatori<br />
perché ha bisogno di produrre sempre di più,<br />
ha tutto l’interesse a inutilizzare i prodotti del<br />
lavoro morto (gli argini, i ponti, le dighe e via<br />
dicendo) per imporre la rinnovazione con<br />
lavoro vivo, il solo dal quale succhia profitti.<br />
Ecco perché va a nozze quando la guerra<br />
viene ed ecco perché si è ben allenato alla<br />
prassi della catastrofe” ( 73 ).<br />
Tutti i disastri (“naturali” e non) non<br />
troveranno dunque alcuna soluzione nella<br />
società capitalistica, potranno essere<br />
alleviati ed in parte risolti solo nella società<br />
comunista perché in essa saranno<br />
completamente rovesciati i rapporti sociali<br />
nell’ambito della produzione e dello scambio.<br />
L’essenza di tale società consiste infatti<br />
non solo nell’abolizione della merce, e quindi<br />
del lavoro salariato e del denaro, ma anche<br />
“nell’abolizione della divisione tecnica e<br />
sociale del lavoro, che vuol dire rottura dei<br />
72 “Omicidio dei morti”, Battaglia <strong>Comunista</strong>, n. 24<br />
del 19-31 dicembre 1951.<br />
73 “La classe dominante non pianga sulle sciagure ci<br />
ha sempre vissuto e ci vivrà sopra” il programma<br />
comunista, n. 21, 21 novembre – 5 dicembre 1966.<br />
57<br />
confini tra azienda e azienda di produzione,<br />
abolizione del contrasto tra città e campagna,<br />
sintesi sociale della scienza e della attività<br />
pratica umana”.<br />
L’accumulazione, nella società<br />
comunista, intesa come accumulazione di<br />
valori d’uso e non di valori di scambio, sarà<br />
lenta e solo di poco superiore alla crescita<br />
demografica.<br />
Il calcolo economico non si baserà più sul<br />
valore, ma sull’utilità del prodotto per la<br />
specie umana; l’economia sarà<br />
programmata secondo un piano di<br />
sottoproduzione, con simultanea crescita dei<br />
costi di produzione, riduzione della giornata<br />
di lavoro, disinvestimenti e livellamento dei<br />
consumi. Non vi sarà alcuna proprietà della<br />
terra e dei suoi prodotti neppure da parte<br />
della società, che ne sarà una semplice<br />
usufruttuaria tenuta ad amministrare il<br />
suolo allo scopo di trasmetterlo migliorato<br />
alle generazioni future. Ed infine, non si<br />
cercherà una “maggiore giustizia”<br />
distribuendo a tutti il plusvalore, o pagando<br />
la forza–lavoro al suo vero valore, perché il<br />
lavoro non avrà più valore e il salario<br />
scomparirà, resterà solo il pluslavoro come<br />
lavoro donato alla società. Questo é il nostro<br />
programma rivoluzionario, tante volte<br />
esposto sulla nostra stampa e nei nostri testi,<br />
che rivendichiamo da oltre un secolo, e che<br />
oggi, soli tra tutti, riproponiamo nella sua<br />
interezza.<br />
Esso non passa attraverso impossibili<br />
“rivoluzioni verdi”, o vuote fantasie su un<br />
capitalismo che produce di meno e non<br />
consuma, né si fa strada attraverso mercati<br />
pretesi socialisti o grazie ad un commercio<br />
“equo e solidale”, e neppure attraverso una<br />
democratizzazione degli apparati militari e<br />
polizieschi che dominano il mondo.<br />
Passa solo ed esclusivamente attraverso<br />
l’abbattimento violento di tutti gli apparati<br />
statali esistenti da parte della Rivoluzione<br />
proletaria ed attraverso la Dittatura del<br />
proletariato guidato dal <strong>Partito</strong> comunista.<br />
Per dura che sia, questa é l’unica strada<br />
realisticamente percorribile che conduce alla<br />
liquidazione della società borghese in<br />
decomposizione ed alla nascita, con la<br />
società comunista, di un armonioso incontro<br />
tra specie umana e natura.
Il nostro intervento nella lotta alla Marzotto<br />
Negli ultimi mesi, oltre ad intervenire con<br />
i nostri volantini negli scioperi contrattuali e<br />
“politici” organizzati dalle sigle sindacali, ci<br />
siamo trovati ad intervenire pure in realtà più<br />
vicine, scaturite dalla crisi economica di<br />
alcuni settori produttivi e di alcune realtà<br />
aziendali. Nella provincia di Vicenza, ad<br />
esempio, in occasione di una ristrutturazione<br />
aziendale della FIAMM, fabbrica che produce<br />
batterie per autoveicoli, siamo intervenuti con<br />
il volantino “Scendere in lotta” in una<br />
manifestazione organizzata dai confederali<br />
contro i licenziamenti e per il rinnovo del<br />
contratto dei metalmeccanici. Il volantino è<br />
stato molto apprezzato e diffuso tra gli operai<br />
proprio perché richiamava alla loro mente il<br />
ricordo ormai lontano di quali devono e<br />
dovranno essere i metodi e gli obiettivi che<br />
essi debbono perseguire per difendere<br />
quotidianamente le loro condizioni materiali<br />
di vita e di lavoro. Si è trattato insomma,<br />
come sempre, di reintrodurre l’ABC della<br />
lotta sindacale all’interno di una classe<br />
operaia confusa e frastornata. Nella stessa<br />
direzione abbiamo impostato, alcuni mesi<br />
dopo, la nostra azione all’interno della lotta<br />
contro i licenziamenti del gruppo tessile<br />
Lanerossi-Marzotto di Schio-Valdagno. Negli<br />
scorsi decenni, infatti, la sezione di Schio ha<br />
mantenuto la sua continuità fisica e storica<br />
grazie anche al passaggio del testimone dei<br />
nostri vecchi militanti impiegati come operai<br />
tessili, che ci hanno trasmesso un programma<br />
già elaborato nel corso della storia. I fatti<br />
relativi alla vicenda Lanerossi-Marzotto si<br />
sono svolti in modo esemplare: i sindacati<br />
confederali fregano gli operai coi piagnistei<br />
sulla difesa del posto di lavoro, che si<br />
dovrebbe conseguire con le solite, inutili e<br />
sterili azioni coinvolgenti le forze sociali,<br />
politiche ed ecclesiastiche schierate sulla<br />
trincea della conservazione borghese e che<br />
non possono, quindi, che ridursi a qualche<br />
oretta di sciopero castrato, inoffensivo, che<br />
non danneggi cioè la già critica situazione<br />
aziendale col solito corollario di conferenze<br />
politiche utili solo a fare da palcoscenico alle<br />
marionette vendute al capitale. Nel frattempo<br />
il sindacato di base CUB, che ha raccolto<br />
qualche piccola adesione tra gli operai del<br />
gruppo, era riuscito a fare eleggere all’interno<br />
delle RSU un proprio delegato, su cui<br />
naturalmente si sono riversate le “attenzioni”<br />
58<br />
aziendali e che conseguentemente è stato<br />
licenziato in tronco per “negligenza”. Questa<br />
iniziativa aziendale non ha suscitato<br />
unicamente una reazione della CUB, ma ha<br />
visto il nostro intervento in questa lotta<br />
originatasi per difendere il lavoratore colpito<br />
dalla rappresaglia della Marzotto. I mezzi di<br />
lotta che sono stati messi in campo, ovvero lo<br />
sciopero improvviso, il picchettaggio duro<br />
davanti alle portinerie dell’azienda, la<br />
possibilità di parlare direttamente di fronte<br />
agli operai, ci ha trovato pronti e disponibili a<br />
contribuire alla lotta e ci ha dato la possibilità<br />
materiale di un contatto diretto con la classe<br />
in modo da riproporre le nostre posizioni<br />
sindacali, che non sono solo rivendicazioniste,<br />
ma puntano all’obiettivo di affasciare gli<br />
operai e di ricondurli su obiettivi<br />
propriamente di classe. Questo episodio<br />
isolato, ma non marginale, che si è risolto con<br />
il reintegro dell’operaio colpito, allo stato<br />
attuale dei fatti non ci può far prevedere una<br />
ripresa di lotta generalizzata degli operai del<br />
gruppo che impedisca i licenziamenti.<br />
Bisogna tener conto del fatto che il settore<br />
tessile ha subito le trasformazioni<br />
caratteristiche del passaggio dalla<br />
concentrazione capitalista alla<br />
centralizzazione; anche se alla Marzotto<br />
residua la struttura fisica di controllo della<br />
forza-lavoro dell’antica fabbrica-galera e della<br />
città-fabbrica paternalistica, lo<br />
sconvolgimento e le contraddizioni dello<br />
sviluppo capitalistico che porta alle<br />
“delocalizzazioni selvagge” fa solo<br />
pronosticare una chiusura in tempi brevi delle<br />
strutture produttive della zona che occupano<br />
attualmente 1300 operai. Per noi è<br />
importante che, comunque, anche se isolata<br />
nell’ambito di una singola fabbrica la lotta ha<br />
pagato e che, per i proletari, alzare la testa è<br />
possibile. Noi sicuramente non ci illudiamo,<br />
ma mettere in pratica quando ci è possibile i<br />
nostri metodi di lotta e le nostre parole<br />
d’ordine ci prepara alle lotte future. Questo<br />
episodio, come molti altri, ci insegna ad avere<br />
il controllo dell’ansia di attività e di crescita<br />
che è uno dei nodi fondamentali da risolvere<br />
quando si tratta di impostare un lavoro,<br />
perché tale ansia deriva da una errata<br />
valutazione dei compiti e dell’ambiente,<br />
insomma della cosiddetta situazione. Occorre<br />
essere consapevoli invece del fatto che certi<br />
atteggiamenti di resa e di rassegnazione da
parte proletaria non derivano da debolezze<br />
individuali della classe operaia medesima, ma<br />
da una pesante determinazione sociale<br />
aggravata dalla controrivoluzione dominante.<br />
LOTTANDO PER I PROPRI INTERESSI SI DIFENDONO<br />
Fin dall’inizio di questa bruttissima<br />
vicenda che vede coinvolto il vostro<br />
compagno di lavoro Daniele, noi comunisti ci<br />
siamo schierati al suo fianco assieme al suo<br />
piccolo sindacato e a tutti quegli operai che in<br />
cuor loro non hanno mai creduto alle<br />
menzogne fatte girare sul suo conto nelle<br />
ultime settimane dai delatori al servizio della<br />
Marzotto. Per noi, infatti, questo<br />
licenziamento non è che l’ennesimo esempio<br />
di rappresaglia antioperaia messa in atto dai<br />
padroni per far fuori i lavoratori più<br />
combattivi, quei pochi lavoratori che come<br />
dicono lorsignori “si ostinano a non voler<br />
collaborare per il bene (= profitto!)<br />
dell’azienda”. E Daniele, nello svolgere la sua<br />
attività di delegato sindacale della Cub prima<br />
di essere licenziato, non combatteva<br />
unicamente contro i dirigenti della Marzotto e<br />
contro le loro imposizioni, ma si opponeva<br />
pure alla logica collaborazionista di svendita<br />
degli interessi operai portata avanti dai tre<br />
sindacati confederali, questi falsi difensori dei<br />
lavoratori che oggi sottoscrivono gran parte<br />
delle accuse imputate a Daniele per<br />
supportare la presunta “negligenza” che<br />
avrebbe dimostrato sul posto di lavoro. Del<br />
resto, che atteggiamento hanno finora tenuto<br />
i capi sindacali della Cgil-Cisl-Uil di fronte<br />
alle continue ristrutturazioni e<br />
delocalizzazioni praticate dal gruppo<br />
Marzotto? E in relazione al caso Lanerossi,<br />
come si sono comportati di fronte allo<br />
spostamento delle produzioni tessili in<br />
Lituania e Rep. Ceca, e che serie iniziative di<br />
lotta hanno intrapreso per difendere i<br />
lavoratori dello stabilimento di Schio<br />
minacciati di licenziamento (ricordiamo i più<br />
di 400 operai lasciati a casa nel 2000 e gli<br />
attuali 125 “esuberi” abbandonati nei gazebo<br />
di fronte ai cancelli della fabbrica ormai<br />
chiusa)? I fatti parlano da sé, e finchè la<br />
cosiddetta risposta o reazione operaia è nelle<br />
mani traditrici dei dirigenti confederali si<br />
dovranno subire i licenziamenti, le<br />
rappresaglie e tutte le angherie padronali<br />
come calamità naturali a cui ci si deve<br />
ANCHE I LAVORATORI COLPITI<br />
59<br />
rassegnare e a cui non è “concesso”<br />
contrapporsi.<br />
Lavoratori!<br />
Solo i democratici ottusi e moralisti si<br />
scandalizzano quando noi comunisti<br />
grattando la pelle del padrone ritroviamo il<br />
sindacalista o il politicante affittato agli<br />
interessi aziendali. Non è di certo colpa<br />
nostra se sui gradini della direzione aziendale<br />
troviamo prima dei vari direttori i capi<br />
confederali e i peggiori attivisti politici servi<br />
del padrone (esempio: anche alla Marzotto ex<br />
avanguardie operaie, cedendo alla diffusa<br />
corruzione aziendale e sindacale, si sono<br />
vendute e hanno fatto strada in azienda, nel<br />
sindacato confederale e pure in politica). Non<br />
è per nostro pregiudizio se ad indicare<br />
obiettivi e metodi falsi di lotta ritroviamo non<br />
solo il classico borghese democratico ma<br />
anche il falso amico degli operai. In queste<br />
condizioni non si vede come non sia possibile<br />
rivolgere i nostri attacchi alla borghesia senza<br />
contemporaneamente colpire i suoi<br />
sostenitori che si mascherano da difensori<br />
della classe operaia. Tutti i lavoratori riescono<br />
ad individuare il capitalista o chi ne tira i fili<br />
in fabbrica, le sue funzioni di nemico, i suoi<br />
metodi dittatoriali, i suoi strumenti violenti,<br />
la sua rete di spie e di lacchè; ma pochissimi<br />
lavoratori riescono a riconoscere la politica di<br />
disarmo e di disorientamento praticata dai<br />
bonzi sindacali e da tutti quegli opportunisti<br />
che alla fine difendono questa società del<br />
profitto e del mercato riempiendosi la bocca<br />
di democrazia e di diritti.<br />
E’ facile per i sindacalisti o per i<br />
politicanti di “sinistra” dire: noi difendiamo<br />
gli interessi dei lavoratori. Anche i preti<br />
oramai dicono da tempo di difendere i<br />
lavoratori, soprattutto da quando la crisi e le<br />
delocalizzazioni lasciano senza lavoro e<br />
garanzie sociali migliaia di operai, oltre a<br />
seminare miseria e incertezza crescenti. Ma<br />
chi è rimasto ad indicare ai lavoratori i reali<br />
obiettivi per cui lottare e i metodi incisivi ed
efficaci per difendere veramente le proprie<br />
condizioni di vita e di lavoro?<br />
Il capitalismo vuole la divisione dei<br />
lavoratori per mettere gli uni contro gli altri.<br />
Ma nulla viene fatto ovviamente da questi<br />
“falsi difensori” per l’unità della classe<br />
operaia, se non accordi e concertazioni sulla<br />
pelle di chi lavora e vive di solo salario.<br />
Diamo invece a tutti i lavoratori obiettivi<br />
comuni e chiari, invitiamo gli operai a battersi<br />
per forti aumenti salariali (maggiori per le<br />
categorie peggio pagate) e non per le solite<br />
elemosine, per la riduzione della giornata<br />
lavorativa, per migliori condizioni di<br />
lavoro; cerchiamo di chiamare alla lotta<br />
tutte le categorie di tutte le aziende<br />
(senza distinzioni tra occupati e disoccupati,<br />
precari e immigrati), con scioperi<br />
improvvisi e decisi ad oltranza, ed<br />
otterremo unità e forza, solidarietà e<br />
coscienza.<br />
Ma i dirigenti sindacali comportandosi in<br />
maniera opposta, frantumando le lotte,<br />
indicando obiettivi in difesa delle aziende,<br />
dell’economia nazionale e dello Stato,<br />
rifuggendo dall’uso di classe dell’arma dello<br />
sciopero, favorendo la divisione degli operai<br />
con la crescente differenziazione dei salari e<br />
dei contratti, si alleano coscientemente o non<br />
con i padroni, con i borghesi, col loro stato di<br />
oppressione e sfruttamento. Questa è la<br />
tragica e concreta realtà, la cui responsabilità<br />
cade sulle spalle di coloro i quali la negano o<br />
la nascondono.<br />
<strong>Partito</strong> <strong>Comunista</strong> <strong>Internazionale</strong><br />
Sede: via Porta di Sotto n°43, Schio (VI) – è aperta il sabato dalle ore 16.00 alle 19.00<br />
Sito internet: http://www.sinistracomunistainternazionale.it - E-mail:<br />
sinistracomunistaint@libero.it<br />
14/11/2005 – Fotocopiato in proprio<br />
60
Lavoratori!<br />
In queste ultime settimane la triplice Fiom-<br />
Fim-Uilm ci sta coinvolgendo nell’ennesima<br />
sequenza di sterili scioperi indetti con le solite<br />
modalità attendiste e disarmanti (10 orette di<br />
mobilitazione in tutto, preannunciate da quasi<br />
un mese e distribuite col contagocce), per<br />
“controbattere” alla netta chiusura dimostrata<br />
da Federmeccanica nella trattativa per il<br />
rinnovo del contratto nazionale dei<br />
metalmeccanici, e soprattutto “per chiedere a<br />
Istituzioni e Governo di intervenire di fronte al<br />
disastro delle delocalizzazioni”. Secondo gli<br />
ultimi dati infatti, a causa delle crisi aziendali e<br />
delle delocalizzazioni sono 500 mila in Italia i<br />
posti di lavoro a rischio, mentre in Veneto i<br />
lavoratori in cassa integrazione e in mobilità<br />
sono 20 mila, di cui 5 mila nella sola provincia<br />
di Vicenza. Nel Nordest del “miracolo” ormai<br />
tramontato e del modello produttivo basato sui<br />
bassi salari drogati dagli straordinari e sul<br />
supersfruttamento della forza lavoro, molte<br />
fabbriche hanno già chiuso o stanno<br />
chiudendo, gli industriali ristrutturano e<br />
spostano la produzione in Romania e in Cina. E<br />
intanto prosegue lo stillicidio di licenziamenti:<br />
alla Zoppas, alla De Longhi, alla Safilo, alla Iar<br />
Siltal, alla Fiamm e in centinaia di medie e<br />
piccole aziende del frammentato tessuto<br />
industriale veneto.<br />
I sindacati che oggi ci chiamano allo<br />
sciopero “per salvare dal declino il sistema<br />
industriale italiano”, sono sulla stessa<br />
lunghezza d’onda di Confindustria e Governo<br />
nel chiederci nuovamente sacrifici e<br />
collaborazione per superare la crisi e per<br />
rilanciare l’economia nazionale ed il “made in<br />
Italy”. Per questo chiedono alla “controparte”<br />
una nuova concertazione, “un nuovo patto<br />
sociale per alimentare l’innovazione e la<br />
riconversione delle attività produttive”. Per<br />
noi, però, questo significa che vogliono<br />
rinnovare la loro “intesa di sempre” con<br />
SCENDERE IN LOTTA<br />
61<br />
padroni e politici in difesa dei profitti e<br />
per sfruttarci ancora di più, facendo<br />
peggiorare ulteriormente le nostre condizioni<br />
di vita e di lavoro. Nel frattempo gli stessi<br />
padroni sono liberi di delocalizzare le loro<br />
aziende e di lasciarci così per strada.<br />
In realtà la grave crisi che stiamo vivendo<br />
non deriva, come vogliono farci credere, da<br />
errori di gestione delle imprese, dalla scarsa<br />
innovazione dei prodotti, dalla bassa<br />
produttività delle aziende, dal costo del lavoro<br />
troppo elevato, dall’Euro, dalla propagandata<br />
“concorrenza sleale” della Cina o di qualche<br />
altro paese emergente, e chi più ne ha più ne<br />
metta.<br />
Questa crisi nasce dalle contraddizioni<br />
interne al sistema capitalistico, già con<br />
ampiezza descritte dal marxismo. La sua<br />
causa essenziale è infatti la caduta del<br />
saggio medio di profitto: è lì che risiede la<br />
forza materiale che condanna il capitalismo a<br />
un destino inevitabile, quello di essere<br />
ciclicamente sopraffatto e soffocato da una<br />
immensa e cronica sovrapproduzione di<br />
merci e di capitali, che giunta al suo apice<br />
intasa i mercati fino alla loro saturazione. In<br />
questi ultimi anni la crisi economica, anziché<br />
risolversi, si è acuita ulteriormente. Le forze<br />
produttive dei capitalismi asiatici, con i loro<br />
complessivi 3,8 miliardi di abitanti, hanno<br />
riversato e continuano a riversare con sempre<br />
maggiore intensità sul mercato internazionale<br />
quantità enormi di merci a basso prezzo,<br />
rispettando in pieno l’essenza del<br />
capitalismo, che consiste nel produrre<br />
sempre di più e a costi sempre minori.<br />
Gli Stati capitalistici occidentali, Italietta<br />
compresa, si sono visti così erodere<br />
progressivamente le rispettive quote del<br />
mercato internazionale, assistendo nel<br />
contempo al crollo dei loro profitti. Per<br />
opporvisi, alle borghesie d’Occidente non resta<br />
che attuare le solite “riforme governative” tese
a taglieggiare i lavoratori a beneficio del<br />
sistema aziendale nazionale,<br />
comprimendone i salari e<br />
peggiorandone “legislativamente” le<br />
condizioni di vita e di lavoro. E quando<br />
questo non basta, capita quello che stiamo<br />
vivendo sulla nostra pelle: gli industriali<br />
nostrani ristrutturano le aziende e chiudono gli<br />
stabilimenti provvedendo a licenziamenti di<br />
massa, per trasferire la produzione nei paesi<br />
“emergenti” allo scopo di ridurne i costi. Con le<br />
delocalizzazioni il padronato sostituisce così<br />
agli ormai “vecchi” e “poco remunerativi”<br />
operai di casa propria, i “nuovi” (più<br />
sfruttabili!) e “più competitivi” operai dell’Est-<br />
Europa e dell’Asia.<br />
Compagni, operai!<br />
Non abbiamo nulla da difendere, né<br />
la galera di fabbrica, né l’economia<br />
nazionale! Dobbiamo tenere bene a mente<br />
che la ripresa economica, di lor signori, passa<br />
solo attraverso il maggior sfruttamento della<br />
classe operaia, attraverso l’aumento dei ritmi di<br />
lavoro per coloro che restano in fabbrica,<br />
attraverso l’ulteriore espulsione di<br />
manodopera, attraverso la precarizzazione del<br />
posto di lavoro e la riduzione del salario reale.<br />
Ci chiedono ancora una volta sacrifici per<br />
superare questa crisi economica di<br />
sovrapproduzione di merci in cui si trova la<br />
borghesia mondiale. Noi dobbiamo<br />
rispondere: non più sacrifici!<br />
Se questa società del cosiddetto<br />
“benessere” non riesce più a garantire la<br />
nostra vita, che sia lotta aperta tra<br />
padronato e operai! Il costo che abbiamo<br />
pagato negli ultimi anni, complici i sindacati, è<br />
già stato alto: centinaia di migliaia di<br />
disoccupati, di emarginati e di precari. I ritmi<br />
produttivi e gli straordinari, insieme alla<br />
precarizzazione delle nostre condizioni<br />
lavorative imposte sotto minaccia di chiusure e<br />
di licenziamenti, hanno aumentato la nostra<br />
incapacità di lottare e di rispondere con<br />
62<br />
efficacia ai ricatti dei padroni e dei vari governi<br />
sia di destra che di sinistra.<br />
La rabbia che esplode qua e là, il<br />
disorientamento, l’incapacità di opporsi<br />
a qualsiasi stretta di vite effettuata sulla<br />
nostra pelle devono, ora, trovare la via<br />
giusta, la via della ripresa della lotta di<br />
classe, per difendere oggi la nostra<br />
possibilità di vivere, per farla finita<br />
domani con l’unico vero responsabile<br />
della realtà che oggi si vive nell’inferno<br />
delle fabbriche d’Europa, d’Asia e<br />
d’America: il capitale!<br />
Il movimento operaio internazionale, nel<br />
suo passato, ha saputo esprimere metodi e<br />
obiettivi di classe: occorre riprenderli per<br />
ricostruire quella trama di lotte e di guerriglia<br />
economica, che gli opportunisti di tutte le<br />
specie, sindacalisti e falsi partiti “operai”,<br />
hanno tentato di cancellare. Ogni cedimento<br />
alle mille sirene che cantano democrazia,<br />
accordi, temporeggiamenti, compromessi in<br />
nome di un’economia nazionale in difficoltà,<br />
prima deprime e dopo annienta la nostra<br />
volontà e i nostri sforzi.<br />
Compagni, operai!<br />
L’unica cosa che possiamo imparare dai<br />
padroni e dai loro servi è l’unità,<br />
l’organizzazione e la centralizzazione che<br />
utilizzano per colpire le nostre condizioni<br />
materiali e i nostri interessi di salariati.<br />
Cerchiamo anche noi di lavorare per<br />
organizzarci ed affasciare il maggior numero<br />
possibile di operai su obiettivi comuni e<br />
condivisibili da tutti, quali:<br />
• la richiesta di forti aumenti<br />
salariali (minimo 200 euro per<br />
recuperare la perdita di potere<br />
d’acquisto degli ultimi anni).<br />
• Il rifiuto dei licenziamenti o in<br />
alternativa il salario integrale ai<br />
disoccupati<br />
Solo un anno fa gli autoferrotranvieri e<br />
i metalmeccanici della FIAT di Melfi<br />
hanno saputo dimostrare, in barba all’inerzia e
al disfattismo dei confederali, quali sono i<br />
metodi che portano ad una lotta vincente:<br />
sciopero improvviso e ad oltranza,<br />
bloccando totalmente la produzione e la<br />
circolazione delle merci, non garantendo i<br />
servizi pubblici minimi e mantenendo<br />
l’agitazione in atto durante tutta la trattativa<br />
fino all’accordo.<br />
E’ ora di scendere in lotta uniti,<br />
occupati e disoccupati, precari e<br />
immigrati, indipendentemente dai<br />
settori di attività. E’ ora di estendere le<br />
lotte fuori dai limiti delle fabbriche,<br />
organizzando e centralizzando la nostra<br />
azione, per superare l’ignobile<br />
individualismo, la divisione per<br />
categorie, la parcellizzazione delle<br />
proteste che ci hanno fatto dimenticare<br />
che noi uniti siamo più forti.<br />
<strong>Partito</strong> <strong>Comunista</strong> <strong>Internazionale</strong><br />
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18/06/2005 – Fotocopiato in proprio<br />
63
Lavoratori!<br />
LOTTARE PER FORTI AUMENTI SALARIALI<br />
Siamo alle solite. Sette mesi di sterile<br />
trattativa, debitamente intervallata dalle ferie<br />
estive, per il rinnovo del contratto nazionale<br />
dei metalmeccanici, e ci troviamo ancora al<br />
ribattuto copione dell’”autunno caldo” che si<br />
apre con uno sciopero nazionale di 8 ore -<br />
preannunciato naturalmente da più di tre<br />
settimane - della categoria lavorativa più<br />
numerosa in Italia. Alle blande e rinunciatarie<br />
iniziative sin qui promosse dal sindacato<br />
(poche orette di sciopero, dilazionate in un<br />
ampio arco di tempo…per stancare meglio gli<br />
operai!), Federmeccanica ha risposto<br />
irrigidendosi e inasprendo via via la propria<br />
posizione sugli aumenti salariali e le proprie<br />
richieste in materia di flessibilità degli orari<br />
di lavoro e degli straordinari.<br />
Oggi è proprio perché stiamo vivendo la<br />
più acuta crisi economica degli ultimi anni<br />
che i padroni vogliono, molto più che nei<br />
passati rinnovi contrattuali, il governo totale<br />
della forza lavoro. Per mantenere questa<br />
prerogativa, si adoperano fermamente nel<br />
disarticolare e travolgere ogni sia pur minima<br />
resistenza organizzata che tenti di opporsi alla<br />
loro volontà. In alternativa è sempre pronto il<br />
ricatto delle ristrutturazioni e, peggio, delle<br />
delocalizzazioni che abbattono in un sol colpo<br />
il costo del lavoro troppo alto e le ingerenze<br />
qualche volta ingombranti dei seppur<br />
svenduti e imbelli sindacati ufficiali. Così<br />
facendo, gli industriali di necessità fanno<br />
virtù: la virtù propria di ridurre i costi e di far<br />
nuovamente lievitare i profitti, non più in<br />
patria ma in Romania o, meglio, in Cina. Nel<br />
frattempo in Italia si parla di 500 mila posti<br />
di lavoro a rischio, e mentre si ingrossano a<br />
vista d’occhio le liste dei lavoratori in cassa<br />
integrazione e in mobilità, non meno di quelle<br />
dei disoccupati stabili, ci pensa l’Istat a<br />
confortare mensilmente il Governo<br />
annunciando la costante crescita<br />
dell’occupazione e il contenimento del dato<br />
sull’inflazione. Due menzogne che purtroppo<br />
la classe operaia, nella realtà, percepisce in<br />
modo diametralmente opposto.<br />
E’ chiaro che questi fatti non possono che<br />
pesare sull’attuale vertenza tra<br />
64<br />
Federmeccanica e confederali di Fiom-Fim-<br />
Uilm. Il padronato infatti si è permesso di<br />
arrivare ad offrire ai metalmeccanici<br />
solamente 60 euro di aumento. Mentre la<br />
piattaforma unitaria dei sindacati prevede<br />
105 euro lordi di aumento per il 5°livello<br />
retributivo, più 25 euro come elemento di<br />
“solidarietà” per i lavoratori delle aziende in<br />
cui non esiste la contrattazione di 2°livello da<br />
almeno 8 anni (una sorta di aumento<br />
aggiuntivo che pare difficilmente ottenibile<br />
dai dipendenti di aziende scarsamente<br />
sindacalizzate). Ma sveliamo l’imbroglio<br />
consueto che i sindacati ci propongono ad<br />
ogni rinnovo contrattuale: la maggior parte<br />
dei lavoratori metalmeccanici non è<br />
inquadrata al 5° livello, ma al 4° e al 3°, e<br />
sempre più al 2° (la maggioranza dei giovani<br />
assunti con contratto a termine, per<br />
esempio); ciò significa che, tolte le tasse, dei<br />
105 euro lordi ne restano rispettivamente 70,<br />
67 e 56. Un’elemosina, da suddividere<br />
nell’arco dei due anni di validità del<br />
contratto!<br />
Queste ridicole proposte, che non<br />
coprono minimamente il reale incremento del<br />
costo della vita, sono la ovvia conseguenza del<br />
piano inclinato su cui si è posta la triplice<br />
confederale a partire dall’abolizione della<br />
scala mobile, in seguito a due decenni di<br />
disastrosa collaborazione sancita con i<br />
famigerati accordi del ’92 e del ’93 sulla<br />
politica dei redditi, e che dal 2001 con<br />
l’avvento dell’odierna grave crisi capitalistica<br />
internazionale né Governo né tanto meno<br />
Confindustria riconoscono più come base per<br />
contrattare i rinnovi delle varie categorie.<br />
Oggi i sindacati, denunciando su questo tema<br />
la chiusura del governo Berlusconi e<br />
incassando le sempre più aspre pretese del<br />
padronato sul salario sulla flessibilità e sul<br />
mercato del lavoro, non possono fare altro<br />
che proporre una nuova concertazione, un<br />
nuovo “patto sociale” che permetta di<br />
affrontare gli effetti della crisi, e in primis il<br />
paventato “declino industriale italiano”, nella<br />
speranza che nel frattempo si instauri un<br />
“governo amico” che li aiuti maggiormente a<br />
controllare e a continuare a fregare la classe<br />
operaia.
Operai, compagni!<br />
Chi può negare che nel corso degli ultimi<br />
anni il salario reale ha subito un abbattimento<br />
pressochè inarrestabile? Chi osa ancora<br />
affermare che il cosiddetto “benessere”<br />
continua ad aumentare e ad estendersi? Oggi<br />
tutti noi, oltre a faticare sempre più per<br />
arrivare alla fine del mese, soffriamo anche di<br />
una sempre maggiore insicurezza ed<br />
incertezza legata alla sorte del nostro posto di<br />
lavoro. A ciò va aggiunto il progressivo<br />
smantellamento dello stato sociale: la sanità e<br />
le pensioni sono ormai “garanzie” per modo<br />
di dire e, come se non bastasse, ora si stanno<br />
mettendo d’accordo per cercare di sottrarci il<br />
TFR. La crisi che avanza obbliga sempre più il<br />
padronato ad imporre al governo di turno e ai<br />
sindacati misure per contrastare la perdita di<br />
competitività delle imprese nazionali sul<br />
mercato mondiale. Misure capestro che<br />
vengono chiamate “riforme”, ma che<br />
nascondono le solite mazzate sulla classe<br />
lavoratrice: contenimento salariale,<br />
incremento della flessibilità e dei ritmi<br />
produttivi, estensione del precariato nei<br />
rapporti di lavoro, tagli alla sanità alle<br />
pensioni e agli ammortizzatori sociali,<br />
riduzione dei “diritti sindacali”, ecc. Signori e<br />
signori, questo è il capitalismo: il “paradiso in<br />
terra” difeso a spada tratta da tutte le<br />
democrazie e da tutti i democratici che vivono<br />
sulle spalle dei proletari!<br />
E i sindacati che rappresentano i<br />
lavoratori e che dovrebbero difenderne gli<br />
interessi e le condizioni di vita e di lavoro, che<br />
fanno?…Collaborano, ovviamente!<br />
Completano, insomma, l’opera di disarmo dei<br />
lavoratori ben avviata da padroni e<br />
politicanti, non promuovendo affatto<br />
iniziative di lotta dai metodi efficaci e decisi.<br />
Anzi, discutono con Governo e Confindustria<br />
la linea rivendicativa da perseguire, alla base<br />
della quale le esigenze della classe lavoratrice<br />
non solo non trovano posto, ma vengono<br />
esplicitamente sacrificate alla necessità di<br />
concedere ulteriore ossigeno alla produzione<br />
e alle imprese in difficoltà, dinnanzi al sacro<br />
ed inviolabile altare dell’economia nazionale,<br />
del tornaconto dei padroni del vapore, del<br />
Bene supremo del Paese. Lavoratori, testa<br />
bassa e collaborate facendo sacrifici per il<br />
profitto!<br />
65<br />
Compagni, operai!<br />
Con questo sciopero di 8 ore, i dirigenti<br />
sindacali ci chiedono di avallare per mezzo<br />
della nostra lotta l’ennesimo tradimento,<br />
presentandosi di fatto all’opinione pubblica<br />
come i difensori dei “diritti” dei lavoratori,<br />
come i paladini delle “parti sociali” più deboli.<br />
Ma noi non possiamo assolutamente<br />
pretendere di credere che gli attuali sindacati,<br />
in assenza di una forte pressione della base, si<br />
oppongano alle misure che i padroni e i loro<br />
governi destri o sinistri che siano attuano<br />
contro i lavoratori. E’ infatti nelle loro<br />
intenzioni far sì che i provvedimenti<br />
antioperai passino nella massima tranquillità<br />
e nel pacifico e regolare “confronto fra le<br />
parti”.<br />
Se la funzione disfattista delle<br />
confederazioni sindacali al tavolo della<br />
trattativa con il padronato appare ormai<br />
chiara, altrettanto chiaro deve apparire il<br />
compito di ognuno di noi che scende in lotta<br />
per il salario e per la difesa delle proprie<br />
condizioni di vita e di lavoro, che vuole porsi<br />
sul terreno di classe rifiutando di collaborare<br />
coi padroni e di utilizzare gli spuntati ed<br />
illusori metodi democratici di “lotta”<br />
(elezioni, referendum, ecc.). Questo compito è<br />
quello di unirsi ed organizzarsi!<br />
E ciò lo possiamo imparare proprio dai<br />
padroni e dai loro tirapiedi, i quali grazie alla<br />
loro unità e organizzazione continuano ad<br />
andare a colpire i nostri interessi di salariati e<br />
a far peggiorare le nostre condizioni<br />
materiali. Cerchiamo anche noi, dunque, di<br />
lavorare per organizzarci ed affasciare il<br />
maggior numero possibile di operai su<br />
obiettivi comuni e condivisibili da tutti, quali:<br />
• la richiesta di forti aumenti salariali:<br />
minimo 250 euro netti per tutti senza<br />
distinzioni di livello retributivo, per<br />
recuperare la perdita di potere d’acquisto<br />
degli ultimi anni;<br />
• il rifiuto dei licenziamenti o in<br />
alternativa il salario integrale ai disoccupati;<br />
• la riduzione dell’orario di lavoro a 30<br />
ore settimanali a parità di salario.<br />
Solo un anno fa gli autoferrotranvieri e i<br />
metalmeccanici della FIAT di Melfi hanno<br />
saputo dimostrare, in barba all’inerzia e al<br />
disfattismo dei confederali, quali sono i<br />
metodi che provocano un danno alle aziende<br />
per costringerle a trattare e che comunque
hanno potuto condurre ad una lotta vincente<br />
per il salario. Metodi che contemplano la sola<br />
arma dello sciopero improvviso e ad oltranza,<br />
scavalcando gli stessi dirigenti sindacali,<br />
bloccando totalmente la produzione e la<br />
circolazione delle merci, non garantendo i<br />
servizi pubblici minimi e mantenendo<br />
l’agitazione in atto durante tutta la trattativa<br />
fino all’accordo.<br />
E’ ora di scendere in lotta uniti, occupati e<br />
disoccupati, precari e immigrati,<br />
indipendentemente dai settori di attività. E’<br />
ora di estendere le lotte fuori dai limiti delle<br />
fabbriche, organizzando e centralizzando la<br />
nostra azione, per superare l’ignobile<br />
individualismo, la divisione per categorie, la<br />
parcellizzazione delle proteste che ci hanno<br />
fatto dimenticare che noi uniti siamo più<br />
forti.<br />
<strong>Partito</strong> <strong>Comunista</strong> <strong>Internazionale</strong><br />
Sede: via Porta di Sotto n.43, Schio (VI) – aperta il sabato dalle ore 16.00 alle 19.00<br />
Sito internet:http://www.sinistracomunistainternazionale.it<br />
E-mail: sinistracomunistaint@libero.it<br />
24/09/2005 – Fotocopiato in proprio<br />
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INDICE<br />
• Il mondo capitalistico si muove verso una nuova spartizione generale<br />
guerreggiata dei mercati internazionali………………………………………………….pag.3<br />
• Dall’aggressione all’Europa al “mito” dell’Europa unita. (Prima parte)……pag.11<br />
• La Russia è fuori dai giochi interimperialistici? (Prima parte)…………………pag.21<br />
• La nascita e lo sviluppo peculiare del capitalismo cinese. (Prima parte)…pag.27<br />
• Il significato del nostro astensionismo……………………………………………….….pag.38<br />
• Il proletariato rivoluzionario non voterà per nessuno. (Articolo del 1953).pag.39<br />
• Il ruolo della chiesa nell’epoca attuale………………………………………………….pag.42.<br />
• Esecuzione di “Douglas Principal”, militante del <strong>Partito</strong> <strong>Comunista</strong><br />
<strong>Internazionale</strong> ad opera del capitalismo venezuelano e della mafia di<br />
Chavez……………………………………………………………………………………….…..…..pag.49<br />
• Le catastrofi ed il falso mito della scienza e della tecnica risolutrici………...pag.54<br />
• Il nostro intervento nella lotta alla Marzotto……………………………………..….pag.60<br />
• Tre nostri volantini………………………………………………………………………………pag.61<br />
67<br />
Questa rivista è interamente redatta,<br />
composta e amministrata da militanti<br />
comunisti che lavorano per la<br />
ricostituzione del <strong>Partito</strong> <strong>Comunista</strong><br />
<strong>Internazionale</strong> rivoluzionario della<br />
classe operaia.<br />
Ma vive anche con il sostegno dei<br />
proletari. SOSTENETELA
E’ compagno militante comunista rivoluzionario<br />
chi ha saputo rinnegare, strapparsi dalla mente e<br />
dal cuore la classificazione in cui lo iscrisse<br />
l’anagrafe di questa società in putrefazione e vede<br />
e confonde se stesso in tutto l’arco millenario che<br />
lega l’ancestrale uomo tribale, lottatore con le<br />
belve, al membro della comunità futura, fraterna<br />
nell’armonia gioiosa dell’uomo sociale.<br />
Indirizzi<br />
• via Porta di Sotto n.43 – 36015 Schio (Vicenza)<br />
• http/www.sinistracomunistainternazionale.it<br />
• E-mail: sinistracomunistaint@libero.it<br />
Distribuita in proprio<br />
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