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rivista giugno 2013 - Partito Comunista Internazionale

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SUL FILO ROSSODEL TEMPODISTINGUE IL NOSTRO PARTITO: La linea da Marx, a Lenin, a Livorno 1921, alla lotta della sinistracontro la degenerazione di Mosca, al rifiuto dei blocchi partigiani, la dura opera del restauro della dottrina edell’organo rivoluzionario, a contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco.Paarrt tito Comunissttaa IntIteerrnaazzi ionaal lee1


ABBASSO LA REPUBBLICA BORGHESE ABBASSO LA SUA COSTITUZIONEIntroduzioneVi chiederete perché proporre un testo del primo dopoguerra; può forse un articolo vecchio di oltrecinquant’anni aiutarci a conoscere meglio la società contemporanea? Evidentemente, se abbiamo deciso dipubblicarlo, la convinzione da cui partiamo è che anche il lettore, nel corso della sua esplorazione del testo,avrà modo di cogliere la fondatezza della nostra ipotesi.Il tema principale dell’articolo, da noi ripescato nel mare magnum dei testi della sinistra, ruota intorno allafase costitutiva dell’attuale Stato italiano post-fascista. È idea generalizzata che la costituzione dello Statoitaliano, “che si vuole nato dalla resistenza, fondato sul lavoro e sulla presunta uguaglianza giuridica deicittadini, sia un testo molto avanzato; per questo motivo la sua piena realizzazione renderebbe l’Italia un paesemigliore e più giusto”.Nell'’articolo del 1947 è demistificata all’origine una tale visione fasulla e stucchevole, attraverso ildisvelamento del carattere intrinseco d’impostura e inganno sociale celati dietro la novella costituzionedemocratica.Come sempre una mezza verità (l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro), ha lo stesso effettoillusionistico di una bugia intera. Infatti, il nostro articolo del 1947 ricorda che bisogna aggiungere il terminesalariato al lavoro neutro e angelicato, su cui i padri costituenti volevano fondare la nuova repubblichetta italica.Si tratta solo di una semplice definizione, eppure essa fa la differenza, poiché il diavolo si nasconde nei dettagli,e quel piccolo dettaglio ci svela la natura schiavistica del nuovo stato democratico costituzionale, sorto incontinuità d’amorosi sensi con il precedente Stato fascista totalitario. Alla fine di quell’articolo, in un sussulto didisgusto e di rabbia, si stigmatizza l’ipocrisia di una Costituzione che sbandiera la tutela dei “diritti del cittadino”,consentendo al contempo la schiavitù del cittadino proletario, destinato a vivere di lavoro salariato se non vuolecrepare di fame. I regimi schiavistici che hanno preceduto l’attuale società borghese, invece, non avvertivanol’esigenza di abbellire con vuote e ipocrite formule giuridiche l’inferno in cui si consumava la vita delle classisubordinate. Lo schiavo sapeva d’essere tale, non s’illudeva d’avere uguali diritti di fronte alla legge fatta daisuoi padroni, e quindi almeno la corretta percezione della sua condizione d’inferiorità sociale non gli erasottratta dai suoi sfruttatori. Certamente esistevano delle ideologie miranti a giustificare la servitù di larghi stratisociali, nondimeno la condizione di servitù era definita come tale e non edulcorata con la triste favola del liberoscambio fra forza-lavoro e salario. Molto illuminante, in questo senso, è la descrizione marxista delle formementali assunte dai rapporti sociali, all’interno del modo di produzione feudale, ”Qui, invece dell'uomoindipendente, troviamo che tutti sono dipendenti: servi della gleba e padroni, vassalli e signori feudali, laici epreti. La dipendenza personale caratterizza tanto i rapporti sociali della produzione materiale, quanto le sfere divita su di essa edificate.Ma proprio perché rapporti personali di dipendenza costituiscono il fondamento sociale dato, lavori eprodotti non hanno bisogno di assumere una figura fantastica differente dalla loro realtà: si risolvononell'ingranaggio della società come servizi in natura e prestazioni in natura. La forma naturale del lavoro, la suaparticolarità, è qui la sua forma sociale immediata, e non la sua generalità, come avviene sulla base dellaproduzione di merci. La corvée si misura col tempo, proprio come il lavoro produttore di merci, ma ogni servodella gleba sa che quel che egli aliena al servizio del suo padrone è una quantità determinata della sua forzalavoropersonale.La decima che si deve fornire al prete è più evidente della benedizione del prete. Quindi, qualunque sia ilgiudizio che si voglia dare delle maschere nelle quali gli uomini si presentano l'uno all'altro in quel teatro, irapporti sociali delle persone appaiono in ogni modo come loro rapporti personali, e non sono travestiti darapporti sociali delle cose, dei prodotti del lavoro”. Marx: Il Capitale: il carattere di feticcio della merce e il suoarcano.Il modo di produzione feudale, dunque, proprio essendo una forma di dominio personale dell’uomosull’uomo non ha celato, e non poteva celare, i rapporti sociali reali fra le persone sotto la parvenza illusoria dirapporti sociali delle cose (come avviene nel modo di produzione attuale). Ogni servo della gleba sa quel cheegli aliena al servizio del suo padrone, scrive Marx, diversamente da quello che accade al moderno schiavo2


salariato nel teatro sociale contemporaneo. Merce contro merce, lavoro contro salario: questa è la recita chetrova rappresentazione sul palco del libero mercato, ma una volta tolta la maschera e il trucco, la recita si svelaper quello che è: un modo di produzione fondato sull’alienazione capitalistica del lavoro; e quindi sullaproduzione di merci in cui è incorporata la preziosa sostanza valorificante, il lavoro, e quella parte ancora piùpreziosa: il plus-lavoro/plus-valore, ossessivamente desiderata dal capitale, così come un amante desideraincessantemente l’oggetto del suo amore perduto. Rimane la debita considerazione sull’ odierno partitaccio, ilpartito democratico che ha impostato un intera campagna propagandistica sul motto “lavoro, lavoro, lavoro”, epoiché il lupo perde il pelo ma non il vizio, anche gli attuali epigoni del vecchio e abbietto partito stalinistadimenticano di specificare che in questa società capitalistica non di lavoro in generale si tratta, ma di un benpreciso tipo di lavoro, definito - guarda caso - con il nome di salariato. Il capitale ha bisogno di ritornare amacinare profitti, e quindi il lavoratore prossimo venturo, cui il partitaccio democratico assicura insistentemente‘lavoro, lavoro, lavoro’, marcia gioiosamente verso un futuro in cui dovrà sgobbare sempre di più in cambio diun minor numero dei tanto decantati diritti e retribuzioni inferiori al passato.L’Europa ci ha promosso, dichiara con zelo petulante il “caro” Presidente del Consiglio Letta, espressione diquel partito democratico, possiamo quindi esultare di soddisfazione insieme ai milioni di disoccupati, ai precari,e agli anziani privi d’assistenza sanitaria che formano, insieme ai pochi privilegiati di questo regime demente,l’attuale società italiana erede della costituzione fondata sul lavoro. Il Presidente Napolitano, un tempo fiero econvinto esponente del partitaccio stalinista, continua imperterrito ad invocare come un disco rotto le riformenecessarie al rilancio dell’economia nazionale e al superamento dell’emergenza lavoro. Quanta solerzia esincera preoccupazione in quelle alate parole.Ci permettiamo di tradurre per i poveri di comprendonio - e anche di spirito – il senso autentico delle argutee lacrimevoli esortazioni quirinalizie: il presidente Napolitano chiede al parlamento di lubrificare e razionalizzarerapidamente il meccanismo dello sfruttamento capitalistico, al fine di consentire alla borghesia di ritornare amacinare profitti. Nell’arco di tempo che va dalla fondazione costituzionale dell’odierna repubblichetta all’attualemomento politico-economico poco è cambiato nella sostanza dei rapporti sociali, la conservazione del lavoroschiavistico è sempre al centro dei nobili sentimenti dei padri della patria, e noi siamo sempre più convinti delvecchio motto ‘il lupo perde il pelo ma non il vizio’. Il capitale, da vero puparo tira i fili dei vari burattini che siaffannano a servirlo con zelo dai più alti scranni istituzionali ai più umili incarichi sbirreschi. La gioia del padronesi riflette sempre negli occhi adoranti dei suoi servi sciocchi.Articolo apparso nel 1947Il dibattito sulla costituzione della Repubblica Italiana è stato già definito come un compromesso traideologie diverse e contrastanti. La sottile malignità di Nitti 1 ha distribuito alla massa dei suoi tanto più giovanicolleghi una autorevole patente di asinità, scherzando sulla combine di morale cristiana e dialettica marxista.Non meno ovviamente si risponde che la politica non è che l’arte del compromesso, che il problema dell’ogginon è che politica – politique d’abord – e che le questioni di principio erano di moda trent’anni fa. Oggi tutti quelliche di politica fanno professione le considerano fuori corso, e si sentono ad ogni passo anche vecchi militanti disinistra chiedere con aria stanca di raffinati: non vorrete mica fare tra le masse questioni di teoria?!Lasciamo dunque per un momento da parte le dottrine e il chiaro assunto che quella religiosa e quellasocialista sono incompatibili. Segnano solo un innegabile punto di vantaggio a questo riguardo che i cristiani e icredenti in genere sono in grado di vantare sui sedicenti marxisti. Chi segue un sistema religioso è dualista,ossia pone su due piani e in due mondi distinti i fatti dello spirito e quelli del mondo materiale. Sui dogmioggetto di fede non transige, e può benissimo tenerli salvi ed indenni nel settore spirituale e teorico mentre famercati nel campo degli atti pratici, dei fatti interessi materiali. Questo vantaggio sta alla base della grande forzastorica della Chiesa, duttile e volubile nella sua politica e nella sua attività sociale, rigidissima sui capisaldi dellateologia. Quindi il cristiano, che come militante politico addiviene al miscuglio di opposte direttive nelle questionidello stato terreno, e dei rapporti tra le classi e i partiti, non tradisce i suoi principi, o almeno non è corretto adammettere di averne subordinato il rispetto a questioni di bassa convenienza.1 Presidente del Consiglio dei ministri del Regno d'Italia, più volte ministro.3


Così non è per il marxista, il cui sistema si basa sulla direttiva delle ideologie dallo stesso mondo materialein cui si svolgono i fatti, e i rapporti degli interessi che divengono forze reali. Questi non possiede una comodacassaforte dove riporre, mentre fa commercio di fatto con i propri avversari nel campo pratico, una intattadottrina. Quando i delegati degli opposti partiti e delle opposte classi trafficano tra loro e convergono su unaccordo intermedio alle loro posizioni di partenza, chi segue o dice di seguire il materialismo storico non ha ildiritto di contestare che sia avvenuto il “commercio di principi” rimproverato da Marx ed Engels ai programmisocialdemocratici 2 . Poiché alla pratica, alla effettiva meccanica della collaborazione, non può non corrisponderenei cervelli, una eguale frammistione e contaminazione delle opinioni.&&&Procuriamo dunque di vedere alcune delle questioni più notevoli su cui si discute a proposito della nuovacostituzione, senza sfondare la porta aperta che i testi di compromesso che vengono fuori dalla discussione, emeglio dalla manovra, sono dal punto di vista teorico semplicemente pietosi nella sostanza come nella forma;ma attenendoci ai rapporti concreti e al gioco delle forze storiche.Vi è la questione della laicità dello stato, ridotta al cavillo di menzionare o meno in un articolo dellacostituzione il patto tra l’Italia e il Papato stipulato da Mussolini 3 , che però tutti d’accordo nel volere rispettato.Nulla di più esatto, storicamente, che dichiarare chiusa la questione romana, e nulla di più vano e sterileche il voler risuscitare su di questo punto il vecchio schieramento dei blocchi anticlericali secondo il metodo chei socialisti marxisti già liquidarono prima del 1914 rompendola con le ideologie e la politica della borghesiamassonica. A tal proposito entrambi i partiti socialisti hanno dimostrata la stessa vuotaggine, ed il contenutoveramente reazionario e di estrema destra di tutto lo schieramento, che condividono con i gruppetti repubblicanie consimili, e qualche cadavere di liberale.La questione è storicamente superata su scala sociale se si considera la generale evoluzione delcapitalismo e della Chiesa, e soprattutto su scala locale se si pone mente alle vicende dello stato italiano.La rivoluzione borghese che instaurò la democrazia trovò come ostacolo ed avversario di prima forza lachiesa, in quanto la organizzazione, l’inquadramento gerarchico di questa, e la stessa sua vasta funzioneeconomica, facevano blocco con il regime delle aristocrazie feudali. La dura lotta economica e sociale si riflettéin una lotta ideologica, sicché la filosofia borghese fu antireligiosa e la politica della vittoriosa e giovane classecapitalista fu antichiesastica. I tentativi di restaurazione del vecchio regime trovarono solidale la chiesa, e quinditutte le misure della borghesia nel rafforzare le proprie conquiste di classe furono decisamente anticlericali.Tuttavia quando il clero comprese che non era più possibile evitare socialmente il trionfo del capitalismo, essocessò di scomunicarlo, e ovunque si affiancò, in un processo più o meno complicato nei dettagli, al nuovo cetoprivilegiato. Il contrasto teorico tra la religione e i fondamenti della economia e della politica borghese prima sisbiadì, poi scomparve, come riflesso della alleanza tra gli stati maggiori del capitale e della chiesa. Non staremoa riportare la dimostrazione, esatta, che non vi è contrasto tra l’etica e il diritto capitalistico ed una visionefideistica.La classe operaia, alleata rivoluzionaria della borghesia nascente fu a lungo trascinata sullo slancio di ungiacobismo letterario e retorico, e il succo della politica massonica fu di fare di questo mangiapretismo undiversivo alla lotta di classe ed una maschera al vero obiettivo che la politica proletaria, una volta uscita diminorità ed acquistato un moto storico autonomo, trovava nell’abbattimento del privilegio economico e sociale.In Italia tale svolgimento ebbe ben noti aspetti particolari. Lo stato nazionale non si era formato nel periodopreborghese, e tra le cause vi era il fatto che in Italia aveva la massima chiesa a base mondiale. La giovaneborghesia unitaria fu tremendamente antipapale e anticattolica: nel 1848 non esitò ad espellere il papa daRoma, nel 1870 fece quel che tutti sappiamo 4 .2 La Critica del Programma di Gotha (1875) è in sostanza la critica delle posizioni lassalliane.3 Patti Lateranensi è il nome con cui sono noti gli accordi di mutuo riconoscimento tra il Regno d'Italia e la Santa Sede sottoscritti l'11febbraio 19294 Concilio Vaticano I, il ventesimo ecumenico, che si apre l'8 dicembre 1869, in cui si proclama l'autenticità della dottrina cattolica el'infallibilità del papa.4


La chiesa cattolica fu costretta a compiere in Italia al rallentatore la sua manovra storica generale dibenedire l’avvento dei regimi capitalistici e conciliarsi con essi. Da Cavour a Mussolini, finalmente ci arrivòcome in tutti gli altri paesi aveva fatto.Una volta di più si dimostrò il carattere del metodo cattolico. Il fascismo nei suoi dubbi abbozzi ideologici erainaccettabile nella dottrina per il tentativo di spostare su nuovi miti, con la sua mistica della nazione e dellostato, i valori religiosi, cosa che fece poi più radicalmente in Germania. Ma la sua politica pratica offrì lapossibilità di consolidare negli istituti presenti l’influenza dell’inquadramento chiesastico, e convenne subitoapprofittarne. La meccanica fascista e quella cattolica nell’ordine economico sociale conducono infatti ad unastessa prassi conservatrice, e questo era il punto sostanziale.Questo status quo non dà fastidio alla attuale repubblichetta il cui riformismo e progressismo è avviato dallastoria sulla stessa strada.Ma come potrebbe l’attuale governo italiano, senza vera sovranità e senza forza materiale, più o menodelegato o tollerato dalle grandi forze mondiali, permettersi in questo campo novità ed iniziative?Evidentemente nel nuovo clima storico susseguono a due guerre mondiali, in cui l’organismo borghesedirigente italiano si è misurato e si è rotto le costole per sempre, non si tarderebbe ad avere una nuova leggeinternazionale delle guarentigie, analoga a quella nazionale del 1870 sorta dalla regolazione unitaria deirapporti tra i vari stati e regioni cattoliche della penisola con il Vaticano. Questo porrebbe più quale un paricontraente di fronte all’Italia, come nella puerile finzione del famoso articolo 7, ma in un piano superiore.Nella moderna fase totalitaria del capitalismo è facile prevedere una regolazione pianificata mondiale anchedel fattore religioso. Al fianco dell’ONU vedremo probabilmente una U.C.O. (United Churches Organisation).La Chiesa di Roma non si trova a controllare la maggioranza dei credenti nelle più potenti nazioni delmondo, America, Inghilterra, Russia. Essa non può non aspirare ad una funzione unitaria cristiana. Nella suaazione politica chiama oggi i partiti che inspira “democratici cristiani”, “cristiani sociali”, “popolari”, mai “cattolici”.Con ciò al solito non elude la sua dottrina, poiché la riforma fu questione di dogma e di rito, ma l’etica socialepuò essere la stessa per tutti i cristiani, se non per tutti i religiosi. Quindi gli abbozzi che si ebbero dopo l’altraguerra per una Chiesa unitaria avranno a ripetersi, sotto nuova forma, e già si parla di una <strong>Internazionale</strong>cristiana. Un grande paese in maggioranza cattolico, la Francia, che sembrava qualche decennio faguadagnato all’ateismo militante, ha visto sorgere dal nulla un potente partito cattolico.Nella nostra visione marxista noi consideriamo invece storicamente che le chiese riformate sorsero incorrispondenza di una adesione anticipata del fideismo al mondo borghese che nasceva, ed oggi la Chiesa diRoma conciliandosi col regime mondiale del Capitale si mette al passo con quei precursori. L’ultimo atto diquesto svolto storico furono i patti del Laterano. Meravigliarsi che lo Statuto della Repubblica sia più legato alVaticano di quello della Monarchia è ingenuo. La questione sa di rancido, e in ciò Togliatti ha ragione.Lo slogan liberale del laicismo fa ridere. Di individui laici si poteva parlare quando tutta la società eracontrollata da una gerarchia religiosa e i chierici erano in potere di convalidare non solo gli atti politici e giuridicima anche quelli scolastici e culturali, monopolizzando tali funzioni in un inquadramento stabile e cristallizzato.Tentando di agire fuori di questi rigidi schemi e di rompere il conformismo feroce, ben facevano opera laicaDante, gli umanisti del Rinascimento, Galileo 5 , Vico 6 , Bruno 7 , Telesio 8 , Campanella 9 , benché di essi alcunifossero frati. Il primo laico, nel mondo d’occidente, fu Cristo, contro il chiericume degli scribi e dei farisei. Laicodovette essere Cavour e laico lo Stato Albertino 10 , poiché non potevano procedere se non spezzando i poteri didiritto divino nella penisola, le investiture di Roma e le manomorte.5 Galileo Galilei è stato un fisico, filosofo, astronomo e matematico italiano, considerato il padre della scienza moderna.6 Giambattista Vico filosofo, storico e giurista italiano.7 Giordano Bruno, filosofo, scrittore e frate domenicano italiano.8 Bernardino Telesio, filosofo e naturalista italiano, iniziatore della nuova filosofia della natura rinascimentale.9 Tommaso Campanella, filosofo, teologo, poeta e frate domenicano italiano.10 Statuto del Regno o Statuto Fondamentale della Monarchia di Savoia 4 marzo 1848, adottato dal Regno sardo-piemontese il17 marzo 1861, con la fondazione del Regno d'Italia, divenne la carta fondamentale della nuova Italia unita e rimase formalmente tale,5


Oggi che il Sillabo più non tuona contro l’economia ufficiale capitalista e il diritto romano-napoleonico, sottolo stesso conformista si muovono tutti quelli che, pur vantando intenti riformatori e progressivi non meglioidentificati, non sono schierati in una lotta istituzionale dall’esterno per rovesciare ed infrangere autorità egerarchia di un ordine costituito.Lo stesso fatto di scrivere una costituzione in cento è sintomo di una fase di conformismo. Quandostoricamente le costituzioni ebbero una ragione ed un contenuto, esse seguivano ad una lotta rivoluzionaria, neerano il riflesso, la loro stesura fu rapida e diritta nelle fiamme dell’azione. Sancirono come carte e dichiarazionidi una nuova classe vincente princìpi in contrasto stridente col passato, un gruppo omogeneo le affermò eproclamò con ideologie a netti contorni. In epoca successiva le costituzioni “concessive” dei principi segnaronola presa di atto di una irrevocabile situazione rivoluzionaria, anche laddove la lotta non era stata così aperta evittoriosa.Oggi tutti quei signori di Montecitorio sono allo stesso grado conformisti. Chierici tutti. Voci “laiche” nelsenso storico non se ne sono, lì dentro, sentite. Una complicità da congrega li associa, nei loro urti, intrighi ecomplotti.Nell’atteggiamento dei “comunisti” alla Costituente non è grave dunque lo smantellamento delle tesi cheuno stato borghese e democratico-parlamentare come questa povera Italietta possa ben stare sotto le ali dellaChiesa, constatazione storica del ponte gettato tra il regime capitalistico e la religione. Il grave è la pretesa digettare un altro e ben diverso ponte tra i regimi proletari socialisti e il fideismo. Qui la rinnegazione delmarxismo si ripete e si riconferma.Ne avremo un solo esempio storico ed è la Russia. Ivi non solo vi sarebbe libertà di coscienza religiosa (equale mai posto nel materialismo dialettico trovano i termini “libertà”, “coscienza”, e la loro correlazione?), ma lastessa Chiesa, avendo rinunziato alla difesa del vecchio Regime Zarista di cui era alleata, viene oggi ammessadallo Stato, e la sua propaganda ha collaborato in guerra con quella nazionale nello spingere le masse militarialla lotta.La questione è di una portata imponente. Essa presenta due conclusioni: o quella di Togliatti che lareligione e il socialismo non sono in antitesi, o l’altra che siamo in presenza di una nuova prova che il regime diMosca non ha più carattere socialista e proletario. Comunque un’altra verità pacifica è che al fine di lanciaremilioni di esseri umani nel mattatoio bellico la fede nell’oltretomba è un fattore prezioso.Poiché tutti i politici e i giornalisti stanno a chiedersi che cosa pensa il capo dei comunisti italiani quando lisorprende – ci vuole poco – colle sue mosse e le sue tesi, ci proveremo a illuminarli col dire che egli, nel raggiodel futuro praticamente indagabile dalla sua mente concreta, si chiede se la interchiesa mondiale di domanisarà o meno un monopolio e un possente atout del blocco occidentale. Nella gara a chi potrà con successomaggiore sfruttare la voga dell’odio al fascismo e al nazismo, si inserisce un’altra gara, vecchia quanto la storiaumana, a chi potrà meglio utilizzare, per la sua bandiera di commercio e di guerra, la popolarità del buon Dio.Purtroppo il cumulo della sagacia della romana curia e della tenacia del pestifero puritanesimo anglosassone cifanno vedere la bilancia pendere dal lato opposto a quello palmiresco. Togliatti si induce a fare un po’ di creditoa Dio, De Gasperi avvalla la cambialetta, ma con la comoda reservatio mentalis che Dio non paga il sabato… Sitroverà poi sempre un Calosso 11 per credere che ad essere fatto fesso è stato il prete.&&&Troppi spunti offrirebbe nei suoi innumeri e malconnessi articoli il progetto di costituzione, e il suorabberciamento col metodo parlamentare, che più che mai mostra di essere putrescente.Si è voluto dare un contenuto comune a tutti i gruppi del presente aggregato politico, derivati, come si devefar credere al grosso pubblico, dall’abbattimento del fascismo, trovando una nota, una almeno, accettabile perpur con modifiche, fino al biennio 1944-1946 quando, con successivi decreti legislativi, fu adottato un regime costituzionale transitoriovalido fino all'entrata in vigore della Costituzione della Repubblica Italiana.11 Nel 1946 fu eletto deputato alla Costituente nelle liste del PSIUP. Nel 1948 fu eletto alla Camera dei deputati.6


tutti. Se andiamo in senso contrario alla “statolatria” fascista, non ci resta che fare leva sull’Individuo, e sullasacra ed inviolabile dignità della persona umana. E dall’altra parte abbozzare alla meglio un decentramentoburocratico colla creazione di altri organi parassitari e confusionisti – se non camorristici – quali saranno leamministrazioni regionali. Temi tutti che si presentano a suggestive illustrazioni.Lasciamo la teoria. Mentre le realtà di oggi più che mai dimostrano la caratteristica saliente nello irretire, nelsoffocare quel povero individuo, quella disgraziata persona, nelle strette senza complimenti dei centriorganizzati, mentre gli stessi Stati minori perdono ogni residuo di funzione autonoma in tutti i campi ad operadelle pressioni e dei brutali interventi dei grossi mostri statali (vedi per ultimo episodio il colpo di tallone inGrecia e Turchia), qui ci corbelliamo col ricostruire cartaceamente la lacerata libertà del singolo e della regione.Su quei princìpi “sacri e inviolabili” convengono nel nirvana conformistico tutte le multicolori ideologierappresentate a Montecitorio: trascendentalisti cui occorre dare all’individuo il libero arbitrio (poiché altrimenticome farebbe dopo morto andare all’inferno?); immanentisti che, dalla libertà dell’IO di attuarsi nella eticità delloStato, debbono derivare la facoltà di disporre vuoi del proprio patrimonio vuoi del proprio lavoro, ossia la libertàdi comprare e di vendere tempo umano; materialisti e positivisti che, avendo tra tutti fatto un informe pasticcio dimarxismo, da un lato col più volgare cinismo, dall’altro colla più lacrimogena filantropia, non sapevano qualeparola più comoda della libertà potesse indurre gli elettori a fare la estrema fesseria di designarli a prendere ilposto dei gerarchi di Mussolini.Quando una cosa è divenuta sacra e inviolabile per tutti, in quanto in quattrocento discorsi non uno tenta diintaccarla, questa è la prova certa che se ne fregano tutti nella stessa suprema misura. Vada questo finaleconforto al cittadino elettore che si paga a prezzo da borsa nera la compilazione della carta costituzionale.&&&Vi è il piatto forte nel contenuto economico e sociale della costituzione repubblicana. Si fa il passo audacedi menzionare qua e là insieme al cittadino anche il lavoratore. Abbiamo una repubblica fondata sul lavoro, o suilavoratori? L’uno e l’altro, in quanto tutti gli stati borghesi odierni sono fondati sullo sfruttamento sia del lavoroche dei lavoratori da parte del capitale. Come le fondazioni sopportano il peso dell’edificio, così i lavoratoriitaliani tengono sulle spalle il peso di questa repubblica fallimentare.Le espressioni letterali sono state felici. La più comoda era stata purtroppo sfruttata dai fascisti: l’Italia è unarepubblica sociale.Anche questa evoluzione di attitudini è perfettamente consona a tutto lo sviluppo del ciclo borghese. Angliinizi la mentalità e l’ordinamento democratico non tollerano che si parli di lavoratore e non di cittadino, diquestione sociale e non politica. Il cittadino può credere di essere uguale a tutti gli altri, il lavoratore capisce diessere uno schiavo. La politica del Capitale è uguaglianza di diritti, la sua sociologia è lo sfruttamento.Ma in un secolo la difensiva borghese ha avuto agio di cambiare i suoi fronti polemici. Riformismo prima,fascismo dopo, hanno portato sulla scena le misure sociali ed il lavoro. Non riportiamo qui questadimostrazione, che è al centro di tutto il nostro compito di analisi e di ricerca 12 .Il liberale e il giacobino puro non esistono più. Il sindacato economico proibito nella prassi iniziale dellarivoluzione borghese viene prima ammesso, poi corrotto, poi inquadrato nello stato. Il gioco delle iniziativeeconomiche che all’inizio deve per sacro canone (versione diretta di quello sgonfione della inviolabilità dellapersona) essere incontrollato, vede interventi sempre più fitti e diretti del potere politico, in nome dell’interessesociale!Ma al mondo borghese liberale puro e social interventista, contrapponiamo, noi socialisti conseguenti, unaidealizzazione, una mistica, una demagogia del lavoro e del lavoratore? Mai più. Ecco un altro punto che meritadi essere chiarito e liberato da ostinate incrostazioni.12 Si consigliano le letture: Tesi della Sinistra: Ciclo Storico dell’economia capitalistica. Ciclo Storico del dominio della borghesia.Si consigliano le letture: Tesi della Sinistra - Ciclo storico dell’economia capitalistica. Ciclo storico del dominio politico dellaborghesia .7


Quando gli schiavi lottarono per emanciparsi, proposero una repubblica di schiavi? Gli operai oggi lottanoper una società senza salariati.È fare filosofia definire il lavoro come attività umana generale sulla natura senza dedurne subito l’analisi deidiversi rapporti sociali in cui il lavoro stesso si inquadra. La lotta proletaria non tende ad esaltare ma a diminuireil dispendio di lavoro, e si basa sulle enormi risorse della tecnica odierna per avanzare verso una società senzasforzi lavorativi imposti, in cui la presentazione di ciascuno si farà allo stesso titolo con cui si esplica ogni altraattività, abbattendo progressivamente la barriera tra atti di produzione e di consumo, di fatica e di godimento.Non per nulla i regimi fascisti parlano largamente di lavoro, e la carta mussoliniana si chiamò carta dellavoro. La stessa falsa demagogia guida la prassi “sociale” dei modernissimi regimi. Dove essi, tutti, scrivonoesigenze sociali noi leggiamo: esigenze borghesi di classe.La classe operaia non può considerare come una sua conquista l’enunciato che nelle istituzioni entra illavoratore.Il programma di trapasso dei comunisti tra l’epoca capitalista e quella socialista non è una repubblica in cui iborghesi ammettono i lavoratori, ma una repubblica da cui i lavoratori espellono i borghesi, in attesa di espellerlidalla società, per costruire una società fondata non sul lavoro, ma sul consumo.Il postulato politico della classe operaia non è il trovare un posto nello stato costituzionale presente, inquanto i posticini vi sono solo “per quelli dei membri della classe dominante che ogni tanti anni gli operaipossono scegliere a rappresentarli” (Marx).Il suo postulato sociale non è nemmeno di trovare un posto nella gestione dell’azienda. Nemmeno lafabbrica è l’ideale cui tendono le conquiste del socialismo. Se Fourier 13 chiamò le industrie capitalisticheergastoli mitigati, Marx, ricordando le inglesi “case di terrore” per i poveri, dice che questo ideale si realizzònella manifattura borghese, e il suo nome fu: “fabbrica”! 14Tutto il riformismo moderno sulla tecnica produttiva non cessa di avere a scopo il prodotto e non illavoratore; forse non tutti sanno che le recentissime fabbriche di motori in America si fanno senza finestreperché il pulviscolo atmosferico disturba le lavorazioni meccaniche di precisione, e occorre un ambientecondizionato per temperatura, umidità etc. Da ergastolo a tomba.Quanto ai metodi russi di ultra lavoro viene anche a mente un passo di Marx: “A Londra lo stratagemma chesi usa nelle fabbriche per la costruzione di macchine è che il capitalista sceglie come capo operaio un uomo digran forza fisica e sollecito nel lavoro. Gli paga tutti i trimestri e ad altre epoche un salario supplementare, apatto che esso faccia tutto il suo possibile per eccitare i suoi collaboratori, i quali non ricevono che il salarioordinario, a gareggiare di zelo con lui…” 15 .Basta col fare sgobbare, basta con lo spingere le masse coi metodi che derivano da quelli che si applicanoagli schiavi, se non al bestiame da lavoro e da macello. Al quale, tuttavia, non si imponeva nella costituzione dicredersi sacro e inviolabile, né risuscitabile dopo essere stato mangiato.13 Charles Fourier filosofo francese, che ispirò la fondazione della comunità socialista utopista14 Bangladesh, il lavoro che uccide - pessime condizioni di lavoro: lunghi turni – 12 ore sono la norma, per un salario medio di 30euro al mese – contatto prolungato, senza adeguata protezione con sostanze tossiche, aerazione e illuminazione insufficienti, attrezzie processi di lavoro pericolosi.15 Marx: Il Capitale, I, IV, 3.8


A PROPOSITO DI RIFORMA E COMPETIZIONE ELETTORALE.Come comunisti e come proletari stiamo al nostro postoe dalla nostra parte:ALLA LARGA DALLA FOGNA ELETTORALE!A quanto si affannano a riproporci quotidianamente giornali, riviste, radio, televisione, commentandoconvegni, seminari, dibattiti, primarie e cos’altro l’imbecillimento organizzato può offrire, sembra che larepubblica di Stenterello 16 , la tanto amata e sfottuta “alma Italietta”, non possa più sopravvivere senza la“riforma elettorale”, ovverosia la massima “riforma costituzionale” che partiti e personaggi, decisamente piùsquallidi che illustri, votati unicamente a garantirsi la sicurezza di campare ben retribuiti sulle spalle della classeoperaia e, conseguentemente, alla sola amministrazione corrente dello stato borghese, riescano a concepire.Ormai ci hanno abituato che non è mai rilevante un fatto oggettivo per ciò che oggettivamente realizza, masemplicemente la giustificazione ideologica che ne riesce a fornire, come cioè si riesce a “vendere il prodotto”.È questa l’arte del far fesso il sempre osannato “popolo” in una società in cui vi sono leggi economiche, quelledel capitalismo, che hanno il valore di imperativi generali, chiunque sia il manovratore che contingentemente èchiamato a muovere le leve pubbliche ed in cui le quantità sociali - non diciamo l’individuo, con o senza inizialemaiuscola, che anche nella più arretrata società tribale trovava più salda difesa - valgono unicamente comemassa di manovra.Mera amministrazione corrente e politicantismo personale sono in realtà i cardini su cui oggi si fonda questasfottuta Italietta (detto il tutto senza il minimo rammarico!).Dovete, dunque, diffidare di tutto quello che vi si dice e vi si promette in questo ennesimo momento disbornia elettorale: la più che decennale esperienza dovrebbe ormai avervi dimostrato come in parlamento ideputati che pur continuano ad essere eletti coi vostri voti si dimentichino completamente di voi, dei vostriinteressi di salariati e soprattutto del costante peggioramento delle vostre condizioni di vita e di lavoro. Il vomitodovrebbe oramai essere il sintomo meno preoccupante dello schifo per il mulino di chiacchiere del parlamento,per il gioco di marionette e pupazzi che sono le elezioni e per il cretinismo dilagante che fa convinti,parlamentari e aspiranti tali, che tutto il mondo, la sua storia e il suo avvenire, siano retti e determinati dallamaggioranza dei voti di camera e senato. Già nel 1887 era chiaro quanto poteva valere la competizioneelettorale a tal proposito Paul Lafargue 17 , nel testo “Il diritto all’ozio”, scriveva: “Nella baracca si comincerà conla Farsa Elettorale. Di fronte agli elettori dalle teste di legno e le orecchie di somaro, i candidati borghesi, vestitida clown, danzeranno la Danza delle Libertà Politiche, pulendosi la faccia e il culo con i loro programmielettorali dalle tante promesse e parlando con le lacrime agli occhi delle miserie del popolo; e le teste deglielettori a ragliare sonoramente in coro: hi ho, hi ho!Poi il pezzo forte: il Furto dei Beni della Nazione. La nazione capitalistica, enorme femmina, pelosa in volto,il cranio calvo, sformata, le carni flaccide, gonfie, giallastre, dagli occhi spenti e sonnacchiosi, sta sdraiata su ungigantesco divano di velluto; ai suoi piedi il Capitalismo Industriale, gigantesco organismo di ferro, mascherascimmiesca, divora meccanicamente uomini, donne e bambini, le cui grida lugubri e strazianti riempiono l’aria;la Banca, dal muso di faina, dal corpo di iena e dalle grinfie d’arpia, gli sfila con destrezza di tasca monete.Orde di miserabili proletari, macilenti, a sbrendoli, scortati da gendarmi con la sciabola sguainata, incalzati dafurie che li sferzano con le fruste della fame, portano ai piedi della nazione montagne di merci, barili di vino,sacchi d’oro e di grano. Deposti i carichi, coi calci dei fucili e a colpi di baionetta fanno scacciare gli operai eaprono le porte a industriali, commercianti e banchieri. In un grande acciaccapesta questi si precipitano sulcumulo e ingollano cotonate, sacchi di grano, lingotti d’oro, prosciugano botti; quando non ne possono più,sudici, ributtanti si accasciano sulle loro lordure e i loro vomiti. Allora il tuono rimbomba, la terra trema e sispalanca, la Fatalità Storica si leva; con il suo piede di ferro schiaccia le teste di coloro che singhiozzano, cheesitano, che cadono e non possono più scappare, e con la sua grande mano rovescia la nazione capitalistica,attonita e in sudore per la paura. Se, sradicando dal suo cuore il vizio che la domina e ne avvilisce la natura, la16 Stenterello maschera toscana, d’aspetto sparuto e smagrito, come riecheggia il suo nome.17 Rivoluzionario, giornalista, scrittore, saggista e critico letterario francese, di ispirazione comunista.9


classe operaia si levasse con la sua forza terribile non per reclamare i Diritti dell’uomo, che altro non sono che idiritti dello sfruttamento capitalistico, non per reclamare il Diritto al lavoro, che altro non è se non il diritto allamiseria, ma per forgiare una legge bronzea che proibisse a ognuno di lavorare più di tre ore al giorno, la Terra,la vecchia Terra, fremente di gioia, sentirebbe un nuovo universo nascere in sé”.Operaio che non riesci ad arrivare alla fine del mese, disoccupato che quando va bene devi trovare aiutonella famiglia, precario a cui han tolto qualsiasi prospettiva, pensionato che hai pagato contributi per una vita efai fatica a comperare pane e latte, farai il primo fondamentale passo innanzi riconoscendo che il “benesseresociale garantito per tutti” è mortale illusione che caratterizza chi ha svenduto la classe operaia, il primo e utilepasso verso il ritorno alla lotta di classe aperta, per realizzare anche solo un minimo di difesa immediata delletue condizioni di esistenza. Manda al diavolo i falsi profeti della pace e del benessere sociale, infami sgherridella borghesia, e torna ad aver fiducia nella lotta e nei tuoi compagni di sventura!Novembre 201210


LA FARSA ELETTORALELavoratori, disoccupati, giovani precari, non fatevi ingannare. La nuova farsa elettorale non cambierà levostre condizioni di vita. QUESTO SISTEMA NON HA FUTURO: solo la lotta di classe e la rivoluzionecomunista possono mettere fine alla barbarie capitalista.11“Se fosse utile votare, non ce lolascerebbero fare”. (Mark Twain)Viviamo in un mondo in cui anche le cose più inutili spesso hanno uno scopo; sembra che questo valgaanche per le vicine elezioni politiche del 24 febbraio <strong>2013</strong>. A prima vista, allestire una consultazione elettorale,sembrerebbe uno spreco insensato di tempo e di denaro, ben sapendo che, chiunque sia vincitore, alla fine,esso potrà solo, inevitabilmente e indipendentemente dalla sua volontà, adeguarsi al sistema capitalistico,continuando a mettere in atto (usiamo le autorevoli parole di Napolitano) i provvedimenti le riforme necessariche ci sono richiesti dall’Europa. Infatti, chiunque esca vincitore dal confronto delle urne non metterà mai inquestione, per debolezza intrinseca ed adesione passiva allo statu quo, prescrizioni e diktat esterni provenientidagli organismi mondiali, politici e finanziari). Assodata questa necessità, osiamo dirci perfino in sintonia con lecommoventi riflessioni del presidente della repubblica, e, sfruttando la sua luce riflessa, sosteniamo che - inogni caso - dal parlamento ai comuni, qualunque amministrazione potrà affrontare i problemi posti dallacomplessa macchina sociale contemporanea, soltanto adeguandosi alle leggi che regolano il capitalismo. Pernostra sventura l’unica legge fondamentale che regola questo sistema, da cui tutte le altre derivano, è quelladella produzione di plusvalore attraverso lo sfruttamento del lavoro salariato. Di conseguenza, qualunque sia ilcolore della compagine politica che dovrà governare l’Italia dopo le elezioni, le attuali tendenze all’inasprimentodelle condizioni di sfruttamento e di schiavitù della classe lavoratrice, non cambierà di una virgola.Possiamo anche chiarire meglio cosa sono le tendenze di cui stiamo parlando. Usiamo i dati -probabilmente ottimistici - di una fonte ufficiale come il Censis, così non ci accuseranno d’essere catastrofisti.Il Censis nel Rapporto 2012 descrive una crisi peggiore delle altre, "perfida", che ci rende inermi di fronte a"eventi estremi", quasi al di fuori della comprensione.I consumi di molte famiglie sono ritornati ai livelli del 1997 e, in certi casi, anche più indietro nel tempo. Ilreddito medio è sceso a 15.700 euro annui pro capite. Una percentuale pari a 83% delle famiglie italiane hariorganizzato la spesa alimentare, ricercando offerte speciali e cibi meno costosi, il 65,8% ha drasticamenteridotto gli spostamenti in auto per risparmiare, il 42% ha rinunciato a viaggi e vacanze, il 39,7% all'acquistod’abbigliamento e calzature, 2,5 milioni di famiglie hanno venduto oro e altri oggetti preziosi, 2,7 milioni d’italianihanno iniziato a coltivare ortaggi e verdura, quasi 11 milioni d’italiani preparano in casa quasi tutti i generialimentari per l’autoconsumo familiare.In dieci anni la ricchezza finanziaria è scesa mediamente da 26.000 a 15.600 euro a famiglia, tuttavia la quotapercentuale di nuclei familiari con una ricchezza finanziaria superiore a 500.000 euro è più che raddoppiata,spostandosi dal 6% al 12,5% (Miracoli della crisi, che come la guerra fa sopravvivere e arricchire solo i più forti).I disoccupati, secondo la stima prudente del Censis ammontano 2.753.000 unità (tuttavia tale numero noncomprende l’enorme esercito di lavoratori precari e sottoccupati). Aumentano inoltre i soggetti costretti avendere la propria casa, rassegnandosi a vivere in affitto (+2,6%).Inoltre nei centri urbani, la percentuale dellefamiglie in affitto è cresciuta fino al 30%.Quali cose possono dire adesso, di fronte a questi dati ufficiali, tutti coloro che ancora l’altro ieri irridevano etrattavano con sufficienza il vecchio Marx e le sue scoperte scientifiche sulla caduta tendenziale del saggio diprofitto, l’impoverimento della popolazione, le crisi economiche? Quanti ci hanno creduto, fino in fondo, nellibero mercato e nell'’impresa? Quanti sono quelli che ci credono, ancora adesso, al pari di quei soldatigiapponesi che non sapevano che la guerra era finita? Soprattutto, quanti sono gli ingenui che ancoraritengono d’essere liberi, solo perché gli è consentito di scegliere con il voto democratico la propriaamministrazione politica? Quando questi signori dicono che terranno fede agli impegni assunti con le principalicancellerie straniere, con l’UE, il FMI, i mercati ecc. poichè questi obblighi rappresentano una politica obbligatadi impoverimento delle proprie popolazioni, si può avere finalmente presente il valore del vostro voto. La sua


efficacia è, dunque, meno di niente. Per questo motivo si può ben sostenere che la democrazia è il migliorinvolucro di una dittatura strisciante e surrettizia la quale, attraverso una partecipazione fittizia ed inessenzialedella “società civile” alle decisioni istituzionali (preventivamente selezionate e dettate dalle necessità delcapitale, e per ciò stesso disattivate di ogni loro eventuale carica critica), ritualizzata negli eventi elettorali acadenze prefissate, ottiene il plebiscito dei “cittadini” a garanzia di istanze preordinate sulle quali “il popolo” haapparentemente voce in capitolo.Nella società capitalistica, l’efficienza e l’efficacia di una buon’amministrazione politica, si misuranoattraverso la sua capacità di far continuare il processo di valorizzazione del capitale (efficacia), limitando alminimo la stato di conflitto sociale e i pericoli rivoluzionari latenti (efficienza). In questo senso, non solo il ritoelettorale ma anche le successive rappresentazioni farsesche del teatro parlamentare e governativo, non sonoinutili, ma svolgono l’importante funzione ideologica di persuadere le moderne moltitudini di schiavi d’essereliberi e di potere scegliere democraticamente il proprio governo. Verrebbe da dire “nulla di nuovo sotto il sole”,ricordando in particolare che i condizionamenti ideologici sono una costante nella storia umana, e hanno loscopo ultimo di garantire - senza l’uso diretto della violenza - il dominio di una classe sociale su un’altra classesociale.Se, come la Sinistra <strong>Comunista</strong> ha da tempo affermato, dopo la seconda guerra imperialista la vittoria èstata fascista non militarmente ma socialmente, cosa intendiamo dire? Esattamente questo: la democrazia è laforma rappresentativa più limpida della dittatura del capitale. La dittatura agisce per conto della democrazia inquanto mezzo estremo per la difesa del “principio democratico” (principio vitale per lo sviluppo del capitalismo),la democrazia agisce per conto della dittatura in quanto mezzo di consenso formidabile per la difesa del“principio di realtà” ovvero dello “Stato di classe”.Sostenere che la dittatura (dichiarazione di aperta guerra sociale) sia sostanzialmente diversa dallademocrazia (organizzazione del consenso politico sulla base di una violenza potenziale, di uno stato d’allerta),è voler isolare l’atto di forza repressivo dalla sua matrice sociale (“ la guerra non è la continuazione della politicacon altri mezzi”?). Ciò che li distingue sono i mezzi non la finalità. Ovviamente è errato sostenere che citroviamo oggi in una “società autoritaria” o in uno “stato di polizia”. Manca ad una tale realtà l’antagonista, ilproletariato, attualmente invischiato in una tela di rapporti che ne debilitano le forze e le spinte elementari.Abbiamo più volte espresso questa condizione storica con la formula di “democrazia blindata” o di“fascistizzazione”. È di fronte a una crisi economica e politica sistemica, quale quella ormai in corso da decennie senza soluzioni immediate in vista, che il capitale è costretto a uscire allo scoperto, ed agire, sia in ambitonazionale che internazionale, in sintonia con la sua forma “moderna ed adeguata” del suo dominio politico: ilfascismo. Esso continua l’adeguamento alle difficoltà economiche di una lunga fase discendente in manierairreversibile, nell’impossibilità di continuare a fingere su una dichiarata “libertà ed uguaglianza” di tutti. L’attualefase totalitaria dell’epoca borghese, vede le forme parlamentari, anche se continuamente osannate, in nettodeclino, esse tendono sempre più a diventare “camere di ratifica” per il progressivo rafforzamentodell’esecutivo.Il meccanismo stesso dello stato capitalistico mette in crisi l’edificio della democrazia rappresentativa intutte le sue componenti: i parlamenti, i partiti, le assemblee locali ecc. Le scelte attraverso cui si esprimel’interesse del capitale tramite il potere pubblico (decisioni di investimento, interventi anticongiunturali, gestionedei servizi, rapporti politici internazionali, politiche salariali e fiscali) sfuggono ormai completamente alladiscussione ed al controllo delle assemblee parlamentari. Le rinnovate funzioni affidate agli stati nazionali, dalgrande capitale monopolistico finanziario transnazionale sono funzioni anzitutto economiche, di raccordofinanziario e monetario per l’estrazione del plusvalore, la concentrazione del denaro e la circolazione delcapitale. Ma tali atti economici statali possono esprimersi appieno solo se le forme istituzionali che li debbonoracchiudere siano a essi adeguate e corrispondenti. Il potere reale si trasferisce verso l’esecutivo, e da questaad una struttura burocratica statale che si estende dall’apparato amministrativo statale all’impresa pubblica finoai maggiori gruppi privati e alle maggiori centrali sindacali.I contenuti delle “scelte” operate dai poteri pubblici, vengono sempre più tecnicizzandosi, nascondendo laloro sostanza politica e generale sotto il velo di calcoli specialistici, poiché, per loro stessa natura, in quantoscelte sempre subordinate alla conservazione e riproduzione del capitale e dei suoi interessi, cioè ad una realtànon modificabile del sistema, si presentano come alternative variamente efficienti (governi di destra o di12


sinistra) per la soluzione di problemi parziali il cui senso generale è fuori dalle loro stesse capacità. Diconseguenza, ogni reale parentela tra l’esercizio del potere statale ed i programmi generali o l’ideologia delleforze politiche diviene sempre più formale; tutti si uniformano alla necessità di conservazione del sistemaeconomico sociale ed i programmi governativi si assomigliano come fotocopie, almeno sulle questioni di vitaleinteresse per il capitale.Così alla crisi dei parlamenti si associa la crisi dei partiti, la loro trasformazione in apparati e in macchinefinalizzate alla gestione del potere, la loro disgregazione in sistemi di clientele e corruzione, e la loro parzialesostituzione con organizzazioni di tipo corporativo.Dall’incalzare di questa crisi e dalle spinte centrifughe che da essa si sprigionano (instabilità, incertezza delpotere, inefficienza) sorge un rafforzamento del potere esecutivo nella sua forma estrema: il poterepersonificato. La delega al “capo carismatico” diventa la sola forma possibile di mediazione fra il simulacro della“sovranità popolare” e la realtà del potere borghese. Dunque le “riforme istituzionali” e costituzionali, checaratterizzano e accompagnano la presente fase di crisi, non sono meri contraccolpi del disordine “politico” marappresentano una tappa necessaria del generale riassetto del potere imperialistico internazionale. Lacaricatura plebiscitaria e maggioritaria della democrazia diretta è consona a questa mistificazione istituzionale.Nella storia umana il pensiero e la pratica riformista hanno rappresentato la migliore attività di produzioneideologica - di cui il capitale è riuscito a dotarsi - per sconfiggere l’infezione rivoluzionaria (paragonabile, inquesto, alla produzione d’anticorpi da parte delle difese immunitarie di un organismo biologico).Ritroviamo nel primo volume dell’opera dal titolo “Storia della sinistra comunista” le seguenti considerazioni,a nostro parere ancora attuali e calzanti rispetto ai temi imposti dal presente. La lotta di classe…“ Il riformista laconcepisce come conflitto d’interessi fra i padroni capitalisti e le maestranze operaie, fra i quali lo statointerviene secondo l’influenza dei partiti borghesi e operai in lotta nel parlamento. Non troviamo un solocongressista (Si parla del IV congresso socialista svoltosi nel settembre del 1900) che ricordi la tesi marxistache lo stato democratico e parlamentare difende per sua natura gli interessi del capitale… (in definitiva) per ilmarxismo, vi è uno stato in cui il proletario è inferiore al capitalista; e se ne prevede uno in cui il capitalista èinferiore al proletario, anzi in cui il primo è nulla e il secondo è tutto: l’assurdo sta nel ritenere che ci si arrivipassando per una forma di stato storico in cui il proletario e il capitalista siano giuridicamente e politicamenteuguali. Qui il nocciolo della demolizione della democrazia in cui la dottrina marxista consiste, e qui la centralescoperta di Marx: la dittatura proletaria”. Pag.30Il contenuto di questa citazione può aiutarci a leggere in modo appropriato le farsesche vicende elettoralirecenti, la citazione, infatti, mette in luce il fondamentale vizio del pensiero riformista, che si rivela (alla resa deiconti) illogicamente assurdo e funzionale al sistema. Un conto, infatti, è affermare che nel divenire storico ilnegativo (lo Stato borghese), può trasformarsi in positivo (lo stato proletario) - attraverso il non secondarioevento definito rivoluzione - un altro conto è sostenere che, mentre il negativo è negativo, cioè stato borghese,può essere anche, contemporaneamente, qualcosa di diverso da se stesso, cioè stato proletario.Riprendiamo le vivaci riflessioni critiche contenute nel testo a pag.31, dove si ricorda come nella visioneriformista di Turati e Treves ” lo Stato democratico (è il luogo) dove il proletario si sente realmente uguale,politicamente e giuridicamente, al capitalista”. Sarebbe a questo punto una crudeltà inutile ricordare anche ainostri moderni riformisti democratici, che un luogo del genere non può esistere - e, infatti, non è mai esistito - eche nel mondo capitalistico reale lo stato, assuma una forma democratico - parlamentare o una forma fascista,è sempre l’arma che permette al capitale di perpetuare la schiavitù e lo sfruttamento del proletario. Le illusionidemocratico – elettorali, tuttavia, non sono solo dei sogni innocui. Nell’esperienza reale della vita, la tesiassurda che pone come effettivamente esistente una dimensione in cui “Lo stato democratico (è il luogo) dove ilproletario si sente realmente uguale, politicamente e giuridicamente, al capitalista”, si rovescia nellaconcretezza di una società dove, invece, il proletario continua ad essere schiavo, politicamente, giuridicamenteed economicamente del capitalista e del suo stato, anche grazie all’assurda irrealtà delle tesi riformiste, chesvolgono la funzione pratica di persuadere le moderne moltitudini di schiavi d’essere liberi e di potere sceglieredemocraticamente il proprio governo. L’aggravamento della crisi economica cui si assiste da anni, tuttavia,aumentando la disoccupazione e i tagli al welfare, spinge una parte dei proletari a ribellarsi, erodendo nelfrattempo l’importanza politica della funzione riformista e della farsa elettorale democratica, poiché, alla carota e13


al guanto di velluto, lo stato del capitale è obbligato a sostituire il bastone e il pugno di ferro della repressione.Il mascheramento ugualitario del capitale non regge più, disvelamento che si evidenzia sotto l’urto inconfutabiledella realtà sociale in disgregazione che non permette di andare oltre, pertanto esso persegue l’adeguamentoalla difficoltà economica di una lunga fase discendente in maniera irreversibile, trovandosi nell’impossibilità dicontinuare a fingere su una dichiarata “uguaglianza” di tutti. Inizia a tramontare quindi il tempo della favoledemocratico - riformiste, e al loro posto appare in tutta la vera natura il volto Demo - fascista del Molochcapitalista, il quale cerca di sopravvivere ad ogni costo, impiegando tutti i mezzi a sua disposizione. Alla lottaelettorale e alle sue bugie si sostituisce dunque una tendenza allo scontro di classe diretto con il capitale e ilsuo apparato statale. Per ora si tratta solo di piccoli fuochi, ma col tempo potrebbero diventare un incendio, eporre finalmente la parola fine all’infame esistenza del sistema di dominio capitalista.Gennaio <strong>2013</strong>14


OPPORTUNISTI NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE:PASSATO E PRESENTE DI UNA ILLUSIONESiamo nel settembre 1920, di fronte all'estendersi della serrata degli industriali. In modo particolare neltriangolo Milano-Torino-Genova, si manifesta un’immediata e spontanea azione di occupazione da parte deglioperai. Il fatto significativo è che tutto ciò avviene senza decisioni centrali della Cgl. Solo il primo settembre laFiom emanerà una direttiva in cui inviterà gli operai a estendere l'occupazione -come misura difensiva- ove gliindustriali dovessero tentare la serrata. Tuttavia, nella realtà, gli operai molto spesso decidono di occupare lefabbriche prendendo l'iniziativa, senza aspettare che gli industriali facciano la prima mossa. In questa fase èdegna di rilievo la capacità comunicativa fra le varie realtà operaie in lotta ed anche il livello di controllo el’autodisciplina dimostrate autonomamente da controlli e prescrizioni sindacali. Queste forze in lotta, agendocon rapidità e senza residui tentennamenti, anticipano le mosse dell'avversario di classe, spiazzando in talmodo la stessa dirigenza sindacale. Si può immaginare che da un luogo oscuro della coscienza di questilavoratori, inizi a farsi strada l'idea che l'azione che stanno compiendo non è un semplice mezzo di pressione,volto ad ottenere miglioramenti contrattuali, ma una tappa di una vera e propria lotta di classe, in cui la posta ingioco è la conquista di posizioni di forza (da cui muovere per successive e decisive azioni di conflitto).Risultava vagamente comico, in quel contesto, il comunicato della Fiom che recitava testualmente“Speriamo che la tenacia degli operai nel restare al loro posto di lotta e di sacrificio finirà con l'indurre gliindustriali a fare altri passi verso la soluzione della vertenza”.Gli operai in lotta si muovevano seguendo un’altra logica: autonomamente hanno occupato, presidiatofabbriche e altri luoghi di lavoro, continuando a farli funzionare, senza clamore, silenziosamente, estendendo lalotta alle altre categorie. “Si muovono di colpo, come un sol uomo, senza squilli di tromba, quasi in silenzio;sono loro ad occupare le fabbriche, a presidiarle, a farle funzionare, ad emettere le prime disposizioniorganizzative, ad allargare il raggio del movimento quando ancora i capi si chiedono se o no lasciarlocircoscritto ad una sola categoria...” 18Infatti, Cgl e Fiom resteranno ancora indecise per molto tempo sugli scopi ultimi dell'azione in corso e sulledirettive da emanare. Ma intanto, dal 1 settembre al 4 settembre saranno quasi mezzo milione i lavoratoricoinvolti nel movimento delle occupazioni degli stabilimenti metallurgici, chimici e tessili, in quasi tutta l'Italia.Bisogna però ricordare che l'ampiezza del movimento e la relativa facilità delle occupazioni, è favoritadall'astuta politica di ordine pubblico del primo ministro Giolitti 19 .Nelle sue memorie scriverà ”Io fui allora accusato di non essere ricorso all'uso della forza pubblica per farerispettare la legge e impedire la violazione del diritto privato...se poi fossi ricorso alla forza pubblica...nesarebbe nato un vasto e sanguinoso conflitto 20 ”.Al di là di ogni preoccupazione di natura morale sull'evenienza di un vasto e sanguinoso conflitto, Giolittipersegue in realtà una efficace strategia di normalizzazione del conflitto sociale, puntando sulla stanchezza e losfinimento degli occupanti, auto reclusi nelle fabbriche, e quindi irrilevanti come minaccia alla conservazione delcentro politico-statuale del potere borghese.In effetti, a posteriori, si può concludere che il primo ministro Giolitti abbia delle valide ragioni per escludereazioni armate di ordine pubblico. Egli è infatti convinto che fino a quando la protesta operaia resterà chiusanelle fabbriche, i pericoli per l'apparato statale borghese e il lavoro delle forze dell'ordine saranno decisamenteridotti. Solo nella malaugurata ipotesi che il movimento scenda nelle piazze e nelle strade, per scontrarsidirettamente con gli apparati di controllo e di repressione dello Stato borghese, si porrà per il lungimirante primoministro Giolitti la scelta inevitabile relativa all'uso della forza. La condotta di Giolitti è lineare e coerente con unpensiero conservatore-razionale che calcola i mezzi in vista del fine (per usare una formula di Max Weber), equindi sceglie l'opzione di impiegare al minimo l'uso della forza, allo scopo di scongiurare il rischio che episodidi repressione poliziesca prematuri possano spingere il movimento di protesta ad uscire dalle fabbriche,18 Storia della Sinistra <strong>Comunista</strong>, vol. 3^, pag. 66.19 Politico italiano, più volte presidente del Consiglio dei Ministri.20 Memorie della mia vita, Giolitti, pag. 588, 589.15


finalmente alla ricerca dello scontro frontale con l'apparato statale esistente (scudo e spada del capitale). Lacoerenza di Giolitti non è invece rintracciabile nella teoria e nella prassi della dirigenza politico sindacalesocialista, che fino all'ultimo, pateticamente, continuerà a blaterare di lotte mirate al controllo sindacale sullaproduzione, cogestione delle aziende fra lavoro e capitale, e miglioramenti retributivi.A un certo punto della farsa, sarà il segretario del partito socialista (Gennari 21 ), a proporre la strada dellaconquista, con ogni mezzo, del potere politico, al fine di realizzare la socializzazione dell'economia. In uncomunicato congiunto fra direzione Cgl e direzione socialista, datato 5 settembre 1920 si legge “Qualora, perl'ostinazione padronale e per la violazione della neutralità da parte del governo, non si giungesse ad unasoddisfacente soluzione del conflitto...viene proposto agli organi competenti che alla lotta sia in tal caso datol'obiettivo del controllo sulle aziende per arrivare alla gestione e alla socializzazione di ogni forma diproduzione”.La linea di Gennari, faticosamente metabolizzata dal vertice sindacale, appare per un momento lievementepreponderante nel PSI dell'epoca e tuttavia la sua sorte è quella di un fuoco fatuo, destinato mestamente ascomparire con le prime luci dell'alba. Le ragioni concrete della effimera sorte toccata alla proposta di Gennari,erano nelle caratteristiche specifiche del partito socialista dell'epoca, politicamente e materialmente impreparatoa guidare una rivoluzione proletaria 22 . Incapace strutturalmente di proporsi come forza antisistema, la galassiapolitico-sindacale opportunista svolgerà, in alternativa, il più congeniale e comodo ruolo di ammortizzatore delconflitto sociale, orientando le spinte autonome della classe operaia verso i lidi sicuri della pacificazione e dellariconciliazione con le esigenze del “sistema industriale nazionale”.Ed è proprio quello che accadrà, dopo un periodo di vane e risibili discussioni fra il velleitario segretariosocialista Gennari e il gradualista segretario sindacale D'Aragona, peraltro entrambi prigionieri e attoriineguagliati nella commedia delle illusioni opportuniste.Tornando ai nostri giorni è curioso notare come l'ingenua fiducia di taluni sindacalisti, verso le chimere e leillusioni dell'ideologia dominante si conservi immutata nel tempo. Stiamo parlando di Giorgio Airaudo,responsabile auto Fiom, il quale in una intervista al quotidiano “Repubblica”, giovedì 1 novembre sull’annuncioche la Fiat licenzierà 19 lavoratori in cambio del reinserimento dei 19 lavoratori Fiom riammessi dal giudice,rilascia le seguenti dichiarazioni: “I licenziamenti minacciati dalla Fiat non sono un'azione contro i 19 dipendenti,ma contro lo stato di diritto...ci aspettavamo che la Fiat applicasse le sentenze...non è un gesto contro di noi,ma contro i giudici. Quei lavoratori si sono rivolti alla magistratura. Lo hanno fatto come qualsiasi cittadino.Perché la legge deve valere anche nelle aziende. Questo almeno accade nel mondo occidentale”. Traspare contutta evidenza, dalle risposte all'intervista giornalistica, l'idea ingenua che l'apparato statale, le sue leggi, ilpotere giudiziario e poliziesco che ne impone l'osservanza, siano, nell'attuale società capitalistica, una funzioneneutra, al servizio imparzialmente del cittadino operaio e del cittadino capitalista.Cosa dire, già nel quinto secolo a.c, è Parmenide di Elea 23 a ricordare che l'uomo comune è avviluppatonella doxa, il buon vecchio senso comune delle cose; ci penseranno poi i filosofi materialisti, nel terzo secoloa.c, a ribadire che l'uomo è misura di tutte le cose, e la verità prevalente è solo il punto di vista corrispondenteagli interessi della persona o del gruppo sociale dominanti in un certo contesto spazio-temporale. Come si vedenon c'è neppure bisogno di scomodare il pensiero marxista, per motivare il senso di meraviglia nei confronti21 Politico italiano. Ha iniziato la carriera politica nel <strong>Partito</strong> Socialista Italiano, di cui è stato segretario tra il 1918 e il1919.22 Karl Marx, Lotte di classe in Francia “Chi soccombette in queste disfatte non fu la rivoluzione. Furono i fronzoli tradizionali prerivoluzionari,risultati da rapporti sociali non caratterizzati da netti antagonismi di classe, persone, illusioni, fantasie, progetti, da cuinon era libero il partito rivoluzionario avanti la rivoluzione di febbraio, e da cui non la vittoria di febbraio poteva liberarlo, ma solamenteuna serie di disfatte”.Storia della Sinistra <strong>Comunista</strong>, vol.3^, pag. 81. “Non si poteva andare avanti... senza porre la questione della proprietà dei mezzi diproduzione e dei prodotti e, quindi, del potere politico: in questo senso aveva ragione la direzione del partito. Solo che essa nullaaveva fatto per preparare il partito e le masse alla soluzione che ora, con leggerezza pari alla demagogia, improvvisamenteprospettava, ben sapendo di spiccare un salto nel buio e di doversi quindi, prima o poi, tirare indietro cedendo il campo ai promotori diuna soluzione sindacale concordata col governo e suscettibile di liquidare il movimento prima che fosse troppo tardi e il disastrodiventasse inevitabile...”.23 Filosofo greco antico, presocratico.16


delle convinzioni che trapelano dal discorso del sindacalista Fiom. Alla fine quelle ingenue convinzioni, tanto insintonia con il buon vecchio senso comune delle cose, saranno smentite dal fastidioso dettaglio dei fatti reali econcreti, i quali raccontano come la Fiat continui a fare quello che ogni azienda capitalistica fa da sempre, inbarba a ogni sentenza giudiziaria estemporanea: licenziare, sfruttare, opprimere. Il sistema giudiziario, in ultimaistanza, è solo uno degli organi nel corpo unitario della società capitalistica, e al di là di ogni apparentecontraddizione, non può mai minacciare realmente lo stesso organismo di cui è parte integrante, e da cuidipende la sua stessa esistenza. Marx, in una delle ultime opere, pubblicata postuma, definisce come fame dalupi per il plus-lavoro la pulsione nascosta che si agita nel cuore bestiale del capitale.Lo ricordiamo, perché, in fondo, è intorno a questa pulsione famelica che sta alla base stessa dell'economiacapitalistica, che viene costruito un apparato statale, magistratura compresa, finalizzato alla sua difesa. E così,come Alice nel paese delle meraviglie, i moderni eredi dell'opportunismo e i traditori del movimento operaio,passati dal terreno di classe a quello della conciliazione fra le classi prima, e dell'asservimento diretto allaclasse opposta poi, continuano a farsi irretire dalle sirene dell'ideologia borghese: il buon vecchio sensocomune delle cose, duro a morire anche se ricorrentemente smentito dai fatti.Novembre 201217


NOTA CRITICA SULLA “DECRESCITA”Lo sfruttamento capitalistico di risorse umane e naturali ha raggiunto un livello tale che gli stessi economistiborghesi denunciano la follia della crescita infinita in un mondo finito. Prolificano tuttavia mistificatori cheindicano la possibilità di “mondi alternativi”, in cui uno sviluppo sostenibile sarebbe attuabile attraverso unariduzione dei consumi ed una “decrescita”. Teoria priva di analisi scientifica della realtà mondiale fatta daldominio incontrastato del modo di produzione capitalistico e della sua infernale legge di valorizzazionecontinua. Considerazioni che non individuano le effettive cause della crisi in divenire e tantomeno gli eventuali“rimedi”. Si tratta di cause che affondano le loro radici nella struttura fisica del pianeta, ma mostrano oraun’accelerazione drammatica con l’esponenziale sviluppo del modo di produzione capitalistico.Quello che nel 1848 fu percepito con straordinaria tempestività da Engels e Marx, il mancato ricambioorganico con la natura, è adesso sotto gli occhi di tutti: il capitale nella sua folle corsa genera continuamente lesue contraddizioni portandole a limiti estremi fino ad alterare a tal punto l’ambiente dentro cui viviamo, che la suadegenerazione e sfruttamento risultano dannose persino per il capitalismo stesso.L’ideologia ecologista di cui si pasce la maggior parte dei movimenti ambientalistici e “sottoconsumistici”,non fa altro che ripercorrere l’astratto concetto idealistico della natura come “bene comune” che dovrebbelegare tra loro gli individui della “specie” umana. Essi mettono questo aspetto di “natura come bene comune” aldi sopra delle relazioni sociali storicamente determinate, eludono ogni riferimento alle classi sociali, alla lorolotta e ai rapporti di proprietà e di produzione che le caratterizzano e si diversificano nel corso della storia. Siaeconomisti che filosofi non criticano mai i rapporti di proprietà esistenti, non si prefiggono di capovolgere queirapporti stessi, ma si fermano alla condanna morale dei fenomeni che il capitalismo genera, confermando dinon discostarsi dai valori borghesi caratteristici di questo modo di produzione. Il presupposto da cui iniziare lacritica è il sistema sociale in decomposizione che crea un mondo in decomposizione.La follia teorica e pratica della “decrescita”, per citare l’ultima moda, parte dalla condizione che non puòesserci una crescita permanente, all’interno di risorse limitate, spazio finito e popolazione incalzante. Il“problema” comincia ad evidenziarsi con i modelli matematici sulla limitazione della crescita, elaborati nelrapporto del MIT (Massachutes Institut of Technologies) per conto del Club di Roma nel 1972 su “ I limiti dellosviluppo. Questi modelli evidenziavano che “l’umanità non può continuare a proliferare a ritmo accelerato ...senza scontrarsi con i limiti naturali del processo”. Le cause di questa neo-complessità erano individuatenell’aumento incontrollato della popolazione, l’industrializzazione estensiva, l’inquinamento diffuso, ecc., chestavano costituendo le premesse per un futuro di povertà, urbanesimo, alienazione e “rifiuto dell’autorità. … Unulteriore aggravarsi di questo stato di cose, renderebbe inevitabile un’esplosione politica”. Obiettivo del MIT erala valutazione del rischio connesso alla interazione di cinque fattori: aumento della popolazione, produzionealimentare, industrializzazione, esaurimento delle risorse naturali ed inquinamento.A seguire, in “Oltre i limiti dello sviluppo” (1992), alcuni degli estensori del precedente rapporto, provarono adescrivere uno sviluppo possibile e “sostenibile”, che tenga conto della salvaguardia dell’ambiente, dellegenerazioni future e di coloro che vivono nei “continenti più poveri o nei quartieri più poveri delle città”, di ogniparte del mondo. La preoccupazione nuovamente agitata è che se i cinque fattori di rischio prima menzionatidovessero crescere in maniera impetuosa, il risultato negativo sarà il declino del livello della popolazione e delsistema industriale. La soluzione prospettata è che si attuino programmi di crescita controllata, di efficienzaenergetica, di riciclo dei rifiuti, di risoluzione non violenta dei conflitti e lo sviluppo delle comunità dal basso. Iltutto escludendo ogni discussione sulle logiche del sistema, anzi cercando di garantire la continuitàdell’accumulazione attraverso uno sviluppo più temperato ed equilibrato, in grado di conciliare lasovrapproduzione e il mantenimento di un saggio del profitto adeguato: accordi di cartello tra impresetrasnazionali e migliore impiego delle risorse finanziarie. Questa crescita controllata, dovrebbe puntare sulladifferente ridistribuzione del reddito, permettendo di mantenere il valore totale della produzione, così come unanuova produzione “ecologica”, che non abbasserebbe il tenore di vita, in maniera troppo sensibile, conciliandomodernizzazione, progresso e tecnica. Le soluzioni di contenimento della crisi espansiva del capitalismo erano,comunque, tutte all’interno del mantenimento e sostenibilità dell’attuale sistema di produzione.18


Lo stesso principio è presente anche negli eredi contemporanei di tale pensiero che lo hanno adeguato aidifficili tempi correnti di conflitto planetario e sovrapproduzione: sono quegli intellettuali, economisti, filosofi eprofessori che hanno coniato la neo-categoria della decrescita, che prendono le distanze dal marxismo e dalsuperamento integrale di stato e società capitalista. Questi intellettuali avrebbero costruito il modello cheassicura la convivenza di “comunità” associate dedite alla mutualità e alla cooperazione, dentro il sistema dellemerci e del potere politico vigenti.Marx aveva già ampiamente mostrato come in una società divisa in classi (antiche o moderne), ènecessario che ci siano disuguaglianze, che non tutti possano svilupparsi con le medesime potenzialità. Ossia,alla proprietà di alcuni deve di necessità corrispondere dialetticamente l’espropriazione di tutti gli altri, alcapitale il lavoro salariato, alla borghesia il proletariato, ai nababbi miliardari i morti di sete e di fame. Lasoluzione di questa contraddizione non può che stare nella piena conoscenza scientifica di essa, una coscienzadell’impossibilità di tenere insieme in un unico sistema la disparità dei rapporti di proprietà con la pretesa diuguaglianza tra tutti i membri della società. Mentre gli ideologi borghesi, con piena consapevolezza di quantoaccade, passano comunque sotto silenzio il fatto che nel sistema non si può intervenire con migliorie, gliideologi piccolo-borghesi, grazie ad una errata conoscenza, si illudono di poter aggiustare le peggiori storture.Essi si limitano a prendere atto dell’esistenza del problema e cercano di trovare la soluzione esattamente in ciòche genera il problema e non in ciò che può eliminare il problema. Sono impossibilitati a farlo non tantoscientificamente, quanto socialmente.Un sistema strutturato come l’attuale, non può che subordinare l’uso della ricchezza materiale e del sapere,prodotta dalla collettività, alla produzione per lo scambio finalizzato al profitto, per l’autovalorizzazione delCapitale medesimo.Soltanto una pianificazione cosciente e autoregolata della produzione sociale finalizzata ai diversi usinecessari e possibili è in grado di mantenere e sviluppare la società stessa tutta intera: ma una tale coscienzadi “pianificazione” è incompatibile con il modo di produzione capitalistico in quanto tale, animato e dominatocom’è dalla concorrenza e da una mentalità individualistica.Nel capitalismo quello che non può avvenire è che “il lavoro è un processo che si svolge fra l’uomo e lanatura, nel quale l’uomo per mezzo della propria azione produce, regola e controlla il ricambio organico fra sestesso e la natura: contrappone se stesso, quale una fra le potenze della natura, alla materialità della natura.Egli mette in moto le forze naturali appartenenti alla sua corporeità per appropriarsi i materiali della natura informa usabile per la propria vita” [Capitale, libro I. cap. 5]. Un piano cosciente necessita della libertà di produrre,che tuttavia - “rimane sempre una necessità”- da parte di uomini “socializzati”, cioè di produttori associati che“regolano razionalmente questo loro ricambio organico con la natura”; produttori che “eseguono il loro compitocon il minore possibile impiego di energia e nelle condizioni più adeguate alla loro natura umana e più degne diessa” [Capitale, libro III. Cap. 48].Il ricambio organico con la natura è continuamente peggiorato sotto il dominio del modo di produzionecapitalistico. I vari e successivi “protocolli” internazionali per la salvaguardia del pianeta ( a partire da Kyoto inpoi) propongono iniziative che sono incompatibili con l’infinità di crescita insita soltanto nel capitalismo stesso.Non sono mai esistiti al mondo, e mai esisteranno, altri sistemi sociali finalizzati alla massima crescita possibiledelle merci da scambiare con profitto. Pertanto è vano cercare di “convincere” i singoli individui, uno dopol’altro, a consumare meno mentre la produzione capitalistica ha pretesa dell’“infinità” ed è manovrata dacolossali gruppi monopolistici multinazionali, compresi quelli camuffati sotto un’illusoria veste “bio”. L’erroreeconomicistico di partire dal consumo, pensando che anche nel capitalismo la produzione sia subordinata aesso, è un granitico pregiudizio di classe; ed esso si ripresenta con tutta la sua erroneità e virulenza nelle piùsvariate maschere politiche.Una società che vorrebbe trasformare in oro tutto ciò che tocca e che pur di vendere per far profitto induceproduttori e consumatori ad aumentare a dismisura le loro spese, come potrebbe fare marcia indietro erestringere le spese dei compratori (capitalisti e consumatori finali), persuadere tutti quegli acquirenti a ridurre ipropri consumi (produttivi o improduttivi) o, come alcuni oggi amano dire, a imboccare la strada di unasistematica “decrescita”? Insomma “predicare” per persuadere intere popolazioni a cambiare drasticamente19


inveterate abitudini di vita, peraltro dettate e guidate dall’esigenza dell’accumulazione di capitale, dal dominiodel valore.In primo luogo occorre vedere su quali popolazioni si vorrebbe intervenire in simile maniera. La maggiorparte degli abitanti dei paesi dominanti, nelle aree imperialistiche (Usa, Ue, Giappone, e pochi altri stati)consumatori poveri a parte, ché ci sono ovunque, ha livelli personali di vita, di spreco, di lusso, inammissibili. Lastruttura produttiva di quei paesi, poi, supera ogni immaginazione ( a es., il consumo energetico complessivodegli Usa è superiore ai ⅔ di quello del mondo intero!). Per far recedere quei milioni di persone dal loro modo divita è necessaria la coercizione, non bastano le buone parole; e pure a far questo si impiegherebbero anni eanni, parecchi decenni. O meglio, ci vorrebbe una rivoluzione sociale, che richiederebbe, oltre a una grandecoscienza e a una valida direzione, anche una rilevante coercizione.Ma le popolazioni di quei paesi (includendo in esse anche i loro “poveri” ufficialmente riconosciuti) nonassommano complessivamente a un miliardo di persone, rappresentando al massimo un sesto dellapopolazione mondiale. Come stiano gli altri 5 miliardi è molto facile verificarlo da fonti ufficiali: 3 miliardi, la metàdella popolazione mondiale, sta a livelli di indigenza assoluta, di cui più di un miliardo soffre sete, fame emalattie spesso in prossimità della morte (a cui vanno aggiunti i disastrati negli stati imperialisti). È stato dettoche per portare tutto il mondo al livello di ricchezza dei paesi dominanti bisognerebbe produrre 80 volte più diadesso, ma anche limitandosi solo a raddoppiare l’attuale produzione, senza migliorare praticamente per nulla ilivelli di vita di quelle masse diseredate, l’equilibrio planetario arriverebbe a un passo dal tracollo.Allora, ci vuole una bella faccia tosta per andare a blaterare di “decrescita” a popolazioni ed a proletari chenon hanno la sussistenza minima; a meno che quelle popolazioni non si rendano finalmente conto dellosfruttamento che subiscono ogni giorno da secoli e, tanto per cominciare, impediscano che i propagandistidella-decrescitase ne tornino indenni nelle loro case accoglienti! Chi vorrebbe bloccare la crescita sa bene che,essendo impensabile e rischiosissimo proporre ai “diseredati” del mondo questa seconda opzione ( la rivolta ela rivoluzione), si rifugia entro la prima (la decrescita e l’elemosina) molto più rassicurante. Quegli utopisti fuoritempo fanno voti speranzosi che entro i paesi imperialisti ci si possa affidare alla filantropia dei padroni(capitalisti, loro stati e organismi sovrastatuali) e al buon cuore della piccola borghesia “parvenue dell’altro ieri”,come la chiamava Marx, che sarebbe sempre pronta, a mettere-la testa-a-posto per limitare il consumoopulento.Sennonché, come si sa, il solo consumo finale dei parvenus inebetiti dalla pubblicità, anche seassurdamente colpisse nel segno, sarebbe poca cosa se non si guarda preliminarmente alla straripante attivitàproduttiva del capitale. Questo, non soltanto incidentalmente, punta proprio sui nuovi “mercati della povertà” pertrovare l’ultima fonte ancora quasi inesplorata da cui trarre profitti facendo leva sulla miseria, dimostrandoancora una volta che è proprio la produzione imperialistica del capitale che per definizione non può recederedall’espandersi all’infinito. C’è storicamente una sola circostanza e un solo momento in cui è il capitale stessoche, molto parzialmente e disordinatamente, è costretto a bloccare la crescita: è la sovraproduzione che eccedeil plusvalore (profitto) realizzabile e che perciò origina le crisi e la distruzione di capitale e ricchezza. Le più omeno lunghe crisi del mercato mondiale (come quella attuale) sono quindi la sola effettiva irrilevante“decrescita” planetaria attualmente possibile laddove predomina il modo di produzione capitalistico. In altreparole, l'economia non ha nessuna situazione “stabile” né “neutrale”: c'è solo crescita o contrazione. E“contrazione” è un nome più carino per dire depressione, un lungo periodo di perdite di lavoro, pignoramenti,fallimenti e bancarotta e, infine, guerra generalizzata.L’unica maniera per interrompere alle sue origini l’“infinità” del capitale e la monopolizzazione delle forzeproduttive naturali è realizzare solo i valori d’uso storicamente necessari ad un piano di specie, che assicuri alcontempo il ricambio organico tra uomo e natura. Ciò può essere fatto unicamente attraverso un pianocosciente e regolato della produzione mondiale, che sappia convogliare il potenziale tecnico e produttivoraggiunto dalla società, verso una armonizzazione cosciente di uomo e natura. Ma anche pensatori un tempo aldi sopra di ogni “sinistro” sospetto debbono constatare che una tale pianificazione vuol dire comunismo: e simileconcetto e parola è impronunciabile per i signori del denaro e del capitale e per i loro corifei, i quali tutti siprofessano “allergici” a quel modo di produzione e di vita e alla corrispondente teoria marxista.20


Serge Latouche [La scommessa della decrescita] accusa direttamente Marx di accomunarsi all’idealeliberale di soddisfare il benessere sociale attraverso l’utilizzazione della capacità produttiva della tecnica: anchese l’umanità sarà liberata dalla proprietà privata e sottomessa dalla direzione della classe operaia, il mitoproduttivistico di staliniana memoria permarrà. Latouche, come altri autori consimili, semplifica e volgarizzaMarx, letto male e capito peggio, attribuendogli di mantenere le medesime condizioni di crescita produttiva e disfruttamento delle risorse naturali, pur rovesciando i rapporti di produzione e fondando il nuovo stato proletario.Sempre secondo questa vulgata, Marx considererebbe unico male l’accumulazione, perché eseguita dalCapitale, per l’ineguale ripartizione del plusvalore prodotto ed estorto; mentre la produzione dei beni rimarrebbeinalterata anche se attuata da parte operaia.Di travisatori e mistificatori del marxismo è piena la storia, e quindi non ci impressionano i moderniincantatori e parolai “progressisti positivisti” come li aveva definiti Marx ai suoi tempi, che non hanno nulla daeccepire contro questo modo di produzione se non un astratto quanto fantasioso tentativo di migliorare ilmondo.Marx scrive che la produttività (cioè quanto valore d’uso sia generato in un tempo determinato), losfruttamento dell’uomo, l’estrazione delle risorse naturali, l’utilizzazione dei mezzi tecnici per la produzione,ecc., dipendono, nella società dominata dal capitalismo, dalla necessità e dalla finalità imposta dal capitalemedesimo. Se si elimina la produzione capitalistica e, con essa, si abolisce lo stato borghese che governa ilconflitto tra le classi, si potrà limitare la giornata lavorativa al lavoro necessario (non la banale riduzionedell’orario di lavoro) e rendere più ricche le condizioni di vita degli esseri umani.Non solo, ma ciò assicurerà un risparmio considerevole sull’uso dei mezzi di produzione e l’esclusione diogni attività lavorativa senza utilità sociale o dannosa per la collettività e l’ambiente naturale: perché laproduzione socializzata non causerà più il depauperamento selvaggio delle materie prime e delle risorsenaturali (minerali, terra, acque, flora e fauna), lo sperpero smisurato dei mezzi di produzione e l’impiegosuperfluo della forza lavoro. In una società liberata dall’accumulazione capitalistica, si ridistribuirà il lavoro,ridotto a mero lavoro necessario per la ri-produzione e si conquisterà il tempo di vita per la libera attività socialee culturale. Il regno della libertà non potrà che sorgere con la fine dello stato di necessità, imposto dai soliinteressi del capitale. Gli uomini, organizzati in produttori associati, regoleranno equilibratamente il loro ricambioorganico con la natura, con il minimo dispendio di energie, in maniera più consona e più degna alla loro naturaumana e di esseri naturali.Del resto, in tale pianificazione del ricambio con la natura rientra completamente quella che viene definita“portata del pianeta”. Ovverosia, il globo di acqua-terra-aria è quello che è. La popolazione che riesce a starcidentro per viverci, sia in assoluto e soprattutto in rapporto con le risorse naturali che il pianeta può dare:atmosfera, acqua dolce, terra coltivabile, vegetali, animali, minerali fondamentali (a partire dalle fonti dienergia), il cui consumo non può superare una certa quantità che è in tutti i casi ipotizzabile, determinabilequasi con precisione matematica. L’agricoltura capitalistica industrializzata su larga scala riduce la popolazionerurale a un minimo continuamente decrescente e le contrappone una popolazione industriale continuamentecrescente e concentrata nelle grandi città; ciò “genera così le condizioni che provocano un’incolmabile fratturanel nesso del ricambio organico sociale prescritto dalle leggi naturali della vita, in seguito alla quale la forzadella terra viene sperperata e questo sperpero viene esportato molto al di là dei confini del proprio paese”[Capitale, libro III. Cap.47]. Così facendo – dice Marx – la grande industria e la grande agricoltura gestiteindustrialmente operano in comune, dilapidano e rovinano sia la forza-lavoro, la forza naturale dell’uomo, sia laforza naturale della terra, succhiando l’energia degli operai e depauperando la terra.I “partigiani della decrescita” non possono comprendere che non c’è nulla da progettare all’interno di questaforma sociale, perché siamo immersi in una rete mondiale di produzione e di scambio che ha ormai saturato ilmondo, ed è con questa che bisogna fare i conti. Non c’è più spazio per ipotetiche “comunità locali cheresistano al paradigma della globalizzazione” rimanendo prigionieri delle categorie del valore e del profitto(impossibilmente equo).La futura forma sociale (comunismo) non avrà nulla da costruire ma dovrà distruggere il sovrappiù dischifezze accumulato, disinvestire, abbassare il tasso di crescita, demineralizzare la vita degli uomini cheabitano la biosfera, liberare energia sociale in modo che la nuova forma di produzione, le cui potenzialità sono21


già presenti in questa, possano esprimersi con tutta la loro capacità in armonia con l’ambiente. A tutto ciò èpregiudiziale il rovesciamento del modo capitalistico di produzione, fattore che a tutti quei signori obbedienti aipadroni che ipotizzano una moralistica “riconversione” dello stile di vita individuale, non passa affatto per latesta.*Per maggiori approfondimenti sul tema si consiglia di leggere - Mineralizzazione del pianeta - reperibile sulnostro sito internet ed in forma cartacea sulla Rivista - Sul Filo Rosso del Tempo - Aprile 2012.22


L’ILLUSORIA DESCRESCITAVogliamo qui riportare le nostre impressioni in quanto parte del numeroso pubblico accorso, il 26/01/<strong>2013</strong>,al teatro comunale di Santorso (VI) per partecipare all’incontro con il professor Serge Latouche, docente diScienze economiche all’Università parigina. Quello che colpiva, inizialmente, era per l’appunto la salastraripante di persone, attente e interessate ad argomenti affrontati con elegante sicurezza dal relatoreprincipale.Viviamo in tempi particolari, caratterizzati dalla crisi di molte certezze, perciò sono in aumento quelli checercano delle risposte ai vuoti lasciati dalla fine delle spiegazioni tradizionali. E tuttavia, dall’insieme delleargomentazioni contenute nella esposizione del professore francese, emergeva la fastidiosa sensazione di undejà vu, di una debolezza concettuale ravvisabile nella solita incoerenza comune a molte teorie riformiste(vecchie e nuove). Per chiarire meglio, le tesi fondamentali del professore ruotavano intorno all’idea che ladecrescita, la riduzione dei consumi, il ritorno alle produzioni fatte in casa e una condotta da consumatoriresponsabili, siano inevitabili per salvarci dalla catastrofe socio-ambientale incombente. In questo senso, lostesso tema dell’incontro, poteva ben ispirare i toni profetici. La debolezza di fondo di queste teorie consistenell’incoerenza fra fini e mezzi e quest’incoerenza nasce da una lettura sbagliata e superficiale della realtàsociale ed economica del sistema capitalistico.Questi mistificatori, al servizio (ben retribuito) del sistema economico capitalista, vanno in giro ad illudere ilpopolino che l’uscita da questo sistema sia possibile attraverso l’esodo volontario e pacifico di grandi massesociali verso nuove forme di consumo. Essi propongono la creazione di isole locali di produzione comunitaria,rispettose dell’ambiente e orientate al semplice valore d’uso e non più a quello di scambio dei beni prodotti.Queste strade sono state già percorse in passato e i frutti della loro realizzazione non hanno modificato diuna virgola la stabilità del dominio del capitale, il quale ha tranquillamente ignorato le fughe dalla realtà deisognatori di ogni specie, continuando a macinare profitti attraverso lo sfruttamento della forza-lavoro. Sipropone un’uscita dal capitalismo, come se fosse semplicemente possibile aprire una porta e dire, fermate ilmondo voglio scendere; come se non esistessero delle forze sociali che, traendo vantaggi e privilegi da questosistema, si porrebbero ad ostacolo di ogni serio movimento di uscita da esso. Inoltre, la stessa borghesia nonpuò che sottostare ai meccanismi economici del sistema che funzionano in maniera impersonale e se, perassurdo, volesse svincolarsene, ciò sarebbe impossibile. Se vogliamo realmente uscire dal capitalismo, alloradobbiamo considerare - nel conto delle spese da pagare - l’inevitabile scontro con quella parte di società, laborghesia, che da esso trae potere e privilegi. Se invece vogliamo uscirne solo nella nostra immaginazione,allora possiamo pensare e dire di tutto e, alla fine del viaggio fantastico, saremo ancora al punto di partenza,accorgendoci con stupore di non esserci mossi di un millimetro.Nel nostro piccolo, anche noi comunisti rivoluzionari cerchiamo di essere vegetariani, di comprare cibobiologico, di non inquinare, di usare la bicicletta e, se è il caso, di aiutare le vecchiette ad attraversare la strada,ma non è certo questo che farà cambiare il sistema infernale di produzione. La cosa importante è che questecondotte individuali virtuose non impensieriscono minimamente il sistema, il quale le osserva con distaccoolimpico e somma serenità, continuando a fare profitti. La rivolta del cittadino consumatore che, con la propriadomanda “equa e solidale” determina il cambiamento dell’offerta, è solo una pia illusione.Riproponiamo, a questo punto dell’analisi critica, un passo tratto dal testo di Marx, Per la critica dellafilosofia del diritto di Hegel, pp.49-50, edizioni Einaudi.“Questo stato, questa società producono la religione, una coscienza capovolta del mondo, poiché essi sonoun mondo capovolto… Essa è (la religione) la realizzazione fantastica dell’essenza umana, poiché l’essenzaumana non possiede una realtà vera (in questa società). La religione è il sospiro della creatura oppressa, ilsentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l’oppio delpopolo. Eliminare la religione in quanto illusoria felicità del popolo vuol dire esigerne la felicità reale. L’esigenzadi abbandonare le illusioni sulla sua condizione è l’esigenza di abbandonare una condizione che ha bisogno diillusioni… La critica ha strappato dalla catena i fiori immaginari, non perché l’uomo porti la catena spoglia esconfortante, ma affinché egli getti via la catena e colga i fiori vivi. La critica della religione disinganna l’uomoaffinché egli pensi, operi, configuri la sua realtà come un uomo disincantato e giunto alla ragione, affinché egli si23


muova intorno a se stesso e perciò, intorno al suo sole reale. La religione è soltanto il sole illusorio che simuove intorno all’uomo, fino a che questi non si muove intorno a se stesso”. Cosa c’entra la critica delriformismo con questa importante citazione? Forse nulla, eppure come non vedere le assonanze fra l’illusionereligiosa e quella riformista? Il concetto di ideologia, infatti riguarda tutte le produzioni di pensiero e lerappresentazioni mentali, politiche, filosofiche e religiose, che nel loro operare storico - sociale svolgono lafunzione di occultare i rapporti reali delle cose, al fine di conservare lo status quo esistente.Con l’aumento dello sfruttamento reale del proletariato, la moderna classe di schiavi si pone l’esigenza, peril sistema, di aumentare nel contempo il livello fantastico del racconto riformista. Tale racconto ricopre di fioriillusori le catene della schiavitù proletaria e induce al consolatorio sonno della ragione coloro che assumonol’oppio riformista. È interesse del capitale, a consolazione mentale del proletariato che tale oppio non smettamai di circolare e anzi venga assunto in dosi sempre maggiori, poiché esso concerne “il sospiro della creaturaoppressa, il sentimento di un mondo senza cuore”, prodotto, per l’appunto, da una società oppressiva e senzacuore. Ma “affinché egli si muova intorno a se stesso e perciò, intorno al suo sole reale”, è necessaria unacritica rivoluzionaria che strappi dalla catena i fiori illusori del riformismo “non perché l’uomo porti la catenaspoglia e sconfortante, ma affinché egli getti via la catena e colga i fiori vivi”.Gettare via le catene per essere liberi non è opera semplice, significa abbandonare le illusioni sulla propriacondizione, i condizionamenti ideologici e il conformismo sociale, e inoltrarsi sul pericoloso sentiero delloscontro vero, riconoscendo la propria condizione reale di asservimento, una condizione che ha bisogno diillusioni, per poi scontrarsi inevitabilmente con le forze reali, - in primis con l’apparato statale borghese - chevogliono mantenerci in un eterno sonno per meglio perpetuare quella condizione di asservimento.Il <strong>Partito</strong> <strong>Comunista</strong>, armato della teoria rivoluzionaria, è la prefigurazione della società futura el’avanguardia di quel movimento, che può condurre l’uomo contemporaneo a spezzare con la rivoluzione lagabbia del capitale, fatta di sogni illusori e incubi reali, per vivere in una società non alienata in cui “… pensi,operi, configuri la sua realtà come un uomo disincantato e giunto alla ragione, affinché egli si muova intorno ase stesso e perciò, intorno al suo sole reale”.Alla fine della dotta relazione gli organizzatori, bontà loro, hanno consentito al pubblico di rivolgere delledomande all’esimio ospite. Il secondo e ultimo a porre domande è stato un nostro compagno il quale hapacatamente chiesto due cose al dotto interlocutore: in primo luogo se può ritenersi sensato riproporre teoriegià esistenti in passato e mai rivelatesi determinanti per produrre cambiamenti; in secondo luogo che senso haparlare di decrescita a quei miliardi di esseri umani - che vivono in condizioni di fame e miseria - e dimenticareche solo superando il modo di produzione capitalistico si potrà ottenere la decrescita e, insieme, unmiglioramento “equo e solidale” delle condizioni di vita generali.Probabilmente, le parole del compagno, hanno toccato delle corde nascoste nel cuore di molti dei presenti,soprattutto giovani, che hanno inaspettatamente iniziato ad applaudire in modo lungo, frenetico e liberatoriol’intervento, dimostrando di apprezzarne la critica demistificatrice ai discorsi ascoltati fino a quel punto. Lesuccessive risposte di Latouche, sono state vaghe e indefinite, scivolose come una saponetta che danza fra lemani e infine cade a terra, lasciando insoddisfatta la curiosità di molti dei presenti. Si spera che almeno la partedel pubblico che ci ha applaudito, inizi a cercare nel confronto con una tradizione di pensiero e azione marxista- come la nostra - la strada per una critica reale dell’attuale modo di produzione capitalistico, poiché “l’esigenzadi abbandonare le illusioni sulla (propria) condizione è l’esigenza di abbandonare una condizione che habisogno di illusioni “.gennaio <strong>2013</strong>24


LO SCONCERTO DEI POPOLI FEDELI AL VATICANOED AL PARLAMENTOPassato il santo, passata la festa; è un modo di dire molto diffuso in certe zone d’Italia, il suo senso alludealla transitorietà dei momenti d’euforia collegati a ricorrenze particolari, com’è il giorno festivo dedicato a uncerto santo. E’ sempre malinconico il momento in cui si deve tornare alle incombenze quotidiane, dopo la gioiadei momenti festivi, in cui sembra che il mondo diventi diverso da quello di sempre, grigio, feroce, pienod’ingiustizie. La festa del santo, il carnevale, le elezioni politiche, sono i momenti socialmente riconosciuti in cuil’uomo comune può vivere un tempo diverso da quello ordinario, in cui può illudersi di essere re per un giorno edi partecipare a un grande evento accomunante, popolare, in cui svaniscono le divisioni sociali presenti nelmondo reale. Si tratta di compensazioni mentali a una vita di subordinazione dentro un meccanismo socialeoppressivo, una semplice fuga ritualizzata, consentita e approvata dal sistema, come una valvola di sfogopsichico, al pari della violenza negli stadi. Il popolo degli elettori ed il popolo dei fedeli papalini si trovasconcertato di fronte al doppio vuoto di potere (senza Papa e senza Governo parlamentare).Le elezioni politiche del 24 e 25 febbraio sono appena terminate, un nugolo di commentatori politici producemigliaia d’inutili righe d’analisi politiche sul grande evento democratico. Nuovi equilibri politici, rischid’ingovernabilità, il ruolo del capo dello Stato, le preoccupazioni dell’Europa; sarebbe superfluo continuare. Unasequenza di parole senza senso è riprodotta attraverso i mass-media, sono pronunciate con foga dai politici,enunciate soffertamene da alte figure istituzionali: la governabilità, il rispetto delle scelte elettorali del popolosovrano, il tavolo delle trattative, le scelte responsabili per l’interesse del paese. Termini vuoti di significato,pronunciati da attori sociali logori e stanchi, in verità dei semplici funzionari al servizio del sistema di dominio delcapitale. Essi devono svolgere il ruolo che gli assegna il sistema, e quindi, ingannando i poveri sciocchi chesono andati a votare per loro, facendogli credere che il loro voto abbia importanza, continueranno a fare iterminali politici nazionali degli input del capitale monopolistico globale.Nel 1948, commentavamo le elezioni dell’epoca ricordando “Non le conte schedaiole determinano lesituazioni, ma i fattori economici che si concretano in posizioni di forza, in controlli inesorabili sulla produzione eil consumo, in polizie organizzate e stipendiate, in flotte incrocianti nel mare di lor signori”. Il significato è chiaro;sono i processi racchiusi nel conflitto sociale, e gli equilibri di potere fra le classi che determinano i cambiamentidella storia.La cabina elettorale è invece la tomba in cui il proletario seppellisce la speranza di modificare realmente lesue condizioni d’esistenza, legittimando, con la farsa schedaiola, uno Stato democratico/parlamentare che, alpari di uno Stato dittatoriale, ha in ultima istanza la funzione di garantire la vita mostruosa del capitale. Ancora1948 scrivevamo: “Eletto chicchessia al governo della repubblica, non avrebbe altra scelta che rinunziare, ooffrirsi in servigio all'ingranamento di forze capitalistiche mondiali che maneggia lo Stato vassallo italiano”.Gli eletti dal popolo sovrano non hanno scelta, o accettano di far continuare a funzionare la macchina delcapitale, oppure devono rinunziare e dimettersi. Non ci sono alternative, il capitale non ammette servitoriinfedeli, le forze capitalistiche mondiali che maneggiano lo Stato vassallo italiano sono controllori occhiuti ezelanti, e i loro investimenti vanno tutelati. Nel mondo contemporaneo, va ripetuto, le scelte decisive sfuggonoalla discussione e al controllo delle assemblee legislative, dei partiti e di tutte le altre forme organizzate dirappresentanza popolare. Oggi, anche di fronte ad una crisi politica emergente dagli stessi risultati elettoralidiventa sempre più difficile mantenere la mascheratura democratico/parlamentare, che infatti tende adissolversi. Quello che emerge è la concretezza di un apparato statale e di un “partito d’ordine” 24 che si deveincaricare di mantenere la continuità del dominio di classe e degli interessi generali del capitale.Il grande capitale monopolistico transnazionale delega poche funzioni agli stati nazionali; si tratta di semplicicompiti di coordinamento finanziario e monetario delle varie economie nazionali, per meglio favorire losfruttamento della forza lavoro e la circolazione del capitale. Il potere legislativo è spostato verso l’esecutivo, eda questo a organismi burocratici che si estendono dall’apparato amministrativo dello Stato all’impresa statale,fino ai più grandi gruppi privati e alle maggiori organizzazioni sindacali. In apparenza i governi e i parlamenti24 Il riferimento è al testo di Marx “Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte”25


sono obbligati a prendere decisioni di tipo tecnico imposte dal debito nazionale e dalla crisi, invece, sotto leapparenze di decisioni tecniche, si celano gli interessi della classe dominante borghese, scelte finalizzate aincrementare lo sfruttamento dei lavoratori, per rilanciare il ciclo d’accumulazione del capitale.La figura del cittadino elettore presenta delle bizzarre particolarità, già evidenziate nell’analisi del lontano1948, “Il meccanismo elettorale è oggi caduto nel campo inesorabile del conformismo e della soggezione dellemasse alle influenze dei centri ad altissimo potenziale, così come i granelli di limatura di ferro si adagiano docilisecondo le linee di forza del campo magnetico. L'elettore non è legato ad una confessione ideologica né ad unaorganizzazione di partito, ma alla suggestione del potere, e nella cabina non risolve certo i grandi problemi dellastoria e della scienza sociale, ma novantanove volte su cento il solo che è alla sua portata: chi vincerà? Cosìcome fa il giocatore alla Sisal; e, di più, imbrocca meglio chi non ha nessuna competenza sulla materia delgioco e mentisce alle sue stesse intime simpatie”.Oggi spopola la categoria degli esperti di politica da bar sport, pronti a dissertare di elezioni e vittorieelettorali come fa il giocatore del lotto e dei vari giochi affini, una vana ricerca del chi vincerà, in cui perde solochi non ha capito l’impossibilità che “comunque per via democratica possano le classi sfruttate arrivare alpotere”. A cosa si riduce la farsa elettorale, allora, se non nella promessa del potere, di lembi di potere, per isolerti candidati parlamentari al lavoro di funzionari del capitale? Oggi come nel 1948 restano valide le stesseconsiderazioni sul ruolo farsesco e mistificatorio delle elezioni, un’organizzazione marxista propone altre mete“Con uno schieramento delle forze della classe operaia al di fuori della tattica del fronte unico e popolare, cherifuggisse da rivendicazioni antitetiche al programma proletario e da promesse di vittorie legali, che avessesaputo disprezzare la illusoria conquista rappresentata dal riottenimento della facoltà democratica, ben altraposizione di resistenza avrebbero ora dinanzi a sé i piani di assoggettamento del capitalismo di oltreoceano…”.Sembra di essere ai giorni nostri, costretti a rendere conto ai diktat dell’Europa, dell’America e dei centrimonopolistici dominanti.Come ultima riflessione, si osserva che la farsa elettorale è terminata, gli attori sociali (eletti ed elettori)ritornano alle faccende normali, alla vita di sempre, alla “soddisfacente laboriosità” del lavoro nelle officine, neicampi e negli uffici. Un lavoro quotidiano in cui gli elettori proletari continueranno a essere dominati e distruttidal capitale, e gli eletti in parlamento, voteranno le leggi per garantire democraticamente al capitale dicontinuare a dominare e distruggere i proletari che li hanno mandati a governare. Proponiamo un passo trattodalle opere di Marx, “…il capitale, nel suo smisurato e cieco impulso, nella sua voracità da lupo mannaro dipluslavoro, scavalca non soltanto i limiti massimi morali della giornata lavorativa, ma anche quelli puramentefisici. Usurpa il tempo necessario per la crescita, lo sviluppo e la sana conservazione del corpo. Ruba il tempoche è indispensabile per consumare aria libera e luce solare. Lesina sul tempo dei pasti e lo incorpora, dove èpossibile, nel processo produttivo stesso, cosicché al lavoratore viene dato il cibo come a un puro e semplicemezzo di produzione, come si dà carbone alla caldaia a vapore, come si dà sego e olio alle macchine”. 25Il proletario elettore ha espresso liberamente il suo voto, mandando in parlamento i suoi rappresentanti, eora la rappresentazione farsesca purtroppo è finita; in quella recita sfavillante ci si poteva illudere di contarequalcosa, di essere un cittadino con uguali diritti. Il risveglio è molto amaro, quando significa ritrovarsi nellacondizione di una merce umana al servizio del profitto del capitale. Riprendiamo la lettura del testo di Marx“Come capitalista, egli è soltanto capitale personificato. La sua anima è l’anima del capitale. Ora il capitale haun unico istinto vitale, l’istinto cioè di valorizzarsi, di creare plusvalore, di assorbire con la sua parte costante,che sono i mezzi di produzione, la massa di plus-lavoro più grande possibile…Quindi il capitale non ha riguardiper la salute e la durata della vita dell’operaio, quando non sia costretto a tali riguardi dalla società.Al lamento per il deperimento fisico e mentale, per la morte prematura, per la tortura del sopralavoro, ilcapitale risponde: dovrebbe tale tormento tormentar noi, dal momento che aumenta il nostro piacere (ilprofitto)? Ma, considerando il fenomeno nel suo complesso, tutto ciò non dipende neppure dalla buona o cattivavolontà del capitalista singolo. La libera concorrenza fa valere le leggi immanenti della produzione capitalisticacome legge coercitiva esterna nei confronti del capitalista singolo”. 2625 Il Capitale, libro primo, sezione III, capitolo 8.26 Il Capitale, libro primo, sezione III, capitolo 8.26


Qualcuno potrebbe obiettare che tali analisi sono vecchie di oltre un secolo e mezzo, e quindi ormaisuperate; ma forse due semplici esempi potrebbero smontare la tesi sull’inattualità delle citazioni tratte dalCapitale di Marx: Ilva di Taranto, Thissen Group e recente sentenza giudiziaria connessa.Sappiamo bene che una pervicace illusione può spingere a negare anche i fatti più evidenti, rendendoopinabile ogni scoperta di concatenazioni di causa/effetto negli eventi contingenti, per cui, alla fine, i morti sullavoro e il mortifero inquinamento ambientale, possono essere letti come tragiche fatalità, oppure come costiinevitabili del progresso. Tuttavia, la rimozione della realtà torna utile solo ai padroni del vapore, le vittime delsistema dominante dovrebbero avere, forse, altre priorità. Il testo che ci accingiamo a ripresentare risale al1948, in esso è contenuta un’analisi di quel periodo storico e delle sue figure politiche di riferimento: oggigiornogli attori sociali contemporanei portano altri nomi e cognomi, e tuttavia non è cambiata la scena su cui recitanola loro parte, sostanzialmente invariata rispetto al 1948, ma anche rispetto al periodo in cui Marx scriveva le sueanalisi. Il lettore attento ritroverà in quelle analisi la conferma elementare del vecchio detto: sono cambiati isuonatori, ma la musica è rimasta la stessa.FEBBRAIO <strong>2013</strong>DOPO LA GARIBALDATA (PROMETEO N. 10 del <strong>giugno</strong> 1948)Nuovi avvenimenti finiscono di spegnere gli echi della grande battaglia elettorale italiana di aprile, edimostrano che la forza economica del dollaro può parimenti attuare le sue conquiste con e senza le bombe diaereo di Grecia, con e senza le schede d'Italia. Passata la pietosa scalmana, è più facile far capire quanto giàallora era di solare chiarezza, che da quello spareggio numerico nulla poteva derivare e che dopo il 18 famosotutto sarebbe continuato ad andare come prima in Italia. Eppure, in quei giorni vari milioni di poveri succubicredettero di avere in mano nella scheda dai tanti simboli la chiave per fare la storia.Alta tra le tante reciproche rampogne dei contendenti fu quella che rinfacciava al Fronte la sua malafede nelpaludarsi del segno garibaldino, e gridò all'offesa recata al nome dell'Eroe nazionale da quello che lapropaganda antifrontista dipingeva come pericolosi rivoluzionari pronti a far saltare le strutture della società,della patria e dello Stato.Se scandalo vi fu, non era quello di aver disonorato Garibaldi facendone il segnacolo di forze antinazionali,ma quello invece di aver preteso di rappresentare sotto quel simbolo le forze, le tradizioni e gli ideali dellaclasse operaia rivoluzionaria, e l'offesa era recata non al ricordo del Generale, idolo a giusta ragione dellegenerazioni borghesi ottocentesche, bensì alle migliori e più degne tradizioni del movimento proletario italiano,che le inesauribili risorse del super-opportunismo nostrano non perverranno a obliterare e cancellare dallastoria.Nel 1905, ricorrendo il centenario della nascita di Giuseppe Garibaldi, l'Italia ufficiale organizzòfesteggiamenti e commemorazioni. La tendenza a gettarsi in questo movimento per dargli «un carattere disinistra» era tanto banale quanto ovvia. Garibaldi era stato sempre presentato letterariamente non solo comeavversario della monarchia e del Vaticano, ma come campione dell'indistinto democratismo internazionaleavanzato; ed era citato come autore della frase divenuta ritornello dell'Inno dei Lavoratori: «Il socialismo è ilsole dell'avvenire». La borghesia di destra onorava in lui il generale vittorioso e il fondatore dell'unità nazionalein alleanza ai Savoia; poteva sembrare un vero trionfo avanti lettera della tattica «bolscevicoleninista »(presentata oggi come l'ultimo trovato «900» dell'abilità rivoluzionaria) quello di gettarsi dentro, costellare icortei di bandiere rosse e sopraffare le note ufficiali della marcia reale con le grida di: Viva Garibaldi! Abbasso ilPapa e il Re!Il movimento operaio italiano di allora era aderente ad uno scarso tessuto sociale industriale, era di recentetradizione marxista, sia teorica che organizzativa, in quanto i suoi primi decenni si erano ispiratiprevalentemente ad indirizzi di facile sovversivismo romantico e all'epoca della Prima <strong>Internazionale</strong> vidominavano i bakuniniani, mentre solo nel 1892 i socialisti marxisti si erano separati dagli anarchici come27


partito. D'altra parte soggiaceva largamente alle influenze dell'azione affiancata con i partiti borghesi di sinistra,radicali e repubblicani, ribadita nei moti del '98 e nelle battaglie elettorali dell'epoca.Eppure quel movimento che poteva dirsi primordiale ebbe, quasi mezzo secolo addietro, tanta maturità esensibilità di classe da disertare le manifestazioni garibaldine borghesi e tricolori. Pochi anni dopo, nel 1911,l'Italia solennizzò un'altra ricorrenza, il cinquantenario della sua unità, attuata nel 1861 dopo le conquiste dellaseconda guerra contro l'Austria e della spedizione dei Mille. Appunto perché la classe dominante era coerentenel festeggiare coi simboli e le parole d'ordine patriottiche la vittoria storica conseguita a carico dei vecchiregimi austriacanti assolutisti e papisti, il proletariato, che pure dal 1821, anzi dal 1799, al 1861 aveva dato lasua collaborazione e il suo sangue alle vittorie borghesi, mostrò di possedere nel suo inquadramento sindacalee politico una sufficiente coscienza di classe, boicottò le dimostrazioni statali e regie, si schierò contro di esse econtrappose vigorosamente ai simboli e alle parole del democratismo patriottico le sue posizioni socialiste edinternazionaliste.Nel 1912 l'Italia giolittiana fece le sue prove nel campo dell'imperialismo con quella guerra di Libia cherappresentò un momento di peso non secondario nel divenire del moderno capitalismo europeo.La borghesia, in una nuova sbornia tricolore, inneggiò ai marinai e ai soldati partenti con la canzone «Tornatorna Garibaldi», ma ancora una volta gli operai ed i socialisti furono fieramente dall'altra parte contro leconsegne e le influenze borghesi, contro Garibaldi.Nel 1914-15, nell'altra più grande battaglia di classe contro l'interventismo che affasciava tutte le sfumatureborghesi dai nazionalisti ai repubblicani quando fu mobilitata in pieno tutta la tradizione e la retoricagaribaldesca per l'irredentismo patriottico, per la guerra antiteutonica e democratica, quando gli stessigaribaldetti della terza generazione risalirono sul palcoscenico della grande commedia con le camicie rosse e leinsegne delle legioni delle Ardenne, anche e soprattutto allora la classe lavoratrice italiana rifiutò quellesuggestioni del nemico interno e rimase solidamente sul terreno socialista.In tutti questi storici episodi vi furono confusionari arrivisti e rinnegati che passarono dalla parte opposta ecercarono di intorbidare le acque con la propaganda ruffiana di un connubio tra le finalità operaie socialiste e ledirettive del sinistrismo borghese massoneggiante, ma il grosso del movimento non si lasciò ingannare e isocialgaribaldanti furono messi fuori a pedate.D'altra parte queste posizioni di elementare chiarezza non erano proprie dell'ala estremista del partito, maerano base comune ai socialisti tutti, anche a quelli di tendenze via via più moderate alla Serrati, alla Lazzari,alla Treves, alla Turati, alla Modigliani.Mentre il proletariato italiano, attraverso la opposizione alla guerra 1914-18 e le grandi battaglie di classedel dopoguerra, si portava sulle direttive più solidamente rivoluzionarie della <strong>Internazionale</strong> di Mosca, il suoavversario di classe svolse con assoluta continuità la sua contro-azione che culminò nel fascismo, generandoladal troncone dell'interventismo e del maggio radioso, in cui non a caso il segnale della guerra D'Annunziol'aveva lanciato dal garibaldino scoglio di Quarto, e le forze antisocialiste si ordinarono nei fasci patriottici, diazione garibaldina e di combattimento dei Mussolini e dei Nenni.Se dunque i socialcomunisti nostrani di oggi sono partiti in battaglia avendo sulla bandiera la faccia diGaribaldi, valgano i simboli quel che valgano, ciò conferma che essi continuano la linea storica dei disertoridella classe operaia e che, degni successori dei rifiuti che il movimento socialista seppe liquidare con vergognanel '12, nel '14, nel '15, nel '21, sempre più vanno volgendo le terga al marxismo rivoluzionario e alla lotta diclasse.Se è vero che il vecchio di Caprera, forte nell'azione ma assai poco ferrato nella dottrina politica, tanto dameritare malgrado la simpatia dichiarata ai comunardi i non pochi e piuttosto atroci strali di Carlo Marx,riprodotti a buon proposito dalla stampa antifrontista, fu tuttavia da tanto da antivedere nel socialismo la forzaviva dell'avvenire, questi marxisti nostrani sono scesi all'opposto tanto in basso da non sapere più che cosaraccattare dal passato per farne la loro consegna. Nei loro giornali, insieme alla riesumazione di tutta unaridicola paccottiglia quarantottesca e patriottarda, molto più risibile ancora di quella dei fasti romani del littorio, sisono viste stampate a carattere cubitali frasi come queste: lottiamo per gli ideali dei nostri padri.28


I quali nostri padri, logicamente, appunto perché liberali garibaldini mazziniani e sinistri alla carduccianamaniera, andavano su tutte le furie quando sentivano le enunciazioni marxiste e classiste della generazioneoggi anziana dei seguaci del socialismo.Al fine di fare gioco politico, d'acchiappar voti, di disturbare l'avversario e che so altro, a che ricorrerannoancora i nostri «progressivi» in questo accelerato indietreggiamento attraverso la storia? Su quale consegna sifarà una nuova campagna? Avendo sottratto Garibaldi ai borghesi, il prossimo capolavoro strategico sarà forsedi portar via a De Gasperi Tommaso d'Aquino o Ignazio di Loyola? La chiave della fiera contesa era evidente.Mentre i socialfrontisti si sforzavano di guadagnare voti negli strati dei ceti medi continuando nella loro operaannosa di immergere il socialismo operaio in laghi di scolorina, e si presentavano come nazionali patriotticilegalitari pacifisti credenti e conformisti in tutti i sensi, gli avversari, non meno ciarlatani e falsi, rendevano loro ilsegnalato servigio di restituire ad essi con tonnellate di carta e miliardi di kilocicli - tutte le plastiche sonopossibili al dollaro - la remota verginità di rivoluzionari.I frontisti avevano tutto l'interesse ad accreditare tra le masse proletarie la frottola che la loro vittoriaavrebbe significato l'inizio della rivoluzione antiborghese in Italia, e sfruttavano a questo scopo, oltre ladiffusione di interne «capillari» menzogne, il pubblico clamore avversario, mentre dal canto loro cercavano, conle contrapposte - e queste veritiere - affermazioni di aver tutto barattato del programma bolscevico e dittatoriale,di aggiungere ai voti operai quelli di un largo strato di incerti e di anfibi, e ne assumevano nelle loro liste alcuniineffabili rappresentanti «indipendenti», reclutando i tipi più dimessi e spregevoli del pur orripilante campo delpersonale politico italiano (e sarà interessante seguire in quale spazzaturaio finiranno costoro).I socialcomunisti hanno gridato alla sopraffazione, perché la campagna della paura che tingeva di rossovivo il loro rosa ultrasudicio avrebbe portato loro via i milioni di voti necessari a vincere, spaventando masse dielettori troppo timorati di Dio, dell'ordine e della proprietà. Ma le elezioni della paura hanno invece aiutatoproprio i «popolari» a barare, perché hanno mascherato agli occhi degli elettori proletari la loro diserzione dalletradizioni della lotta socialista e operaia in Italia, ed hanno fatto sì che i lavoratori, oltre a credere ancora unavolta disgraziatamente all'inganno della conquista democratica e schedaiola del potere, abbiano ritenuto inlarghe masse di agire contro la borghesia votando il fronte, visto che borghesi e preti tanto gridavano ai pericolidi esso, alla certezza, se avesse vinto, della repubblica italiana dei Soviet!Questa sciocca denunzia del mezzo della paura, che è per sé stessa una abiura del testo fondamentale delcomunismo: «le classi dominanti ben possono tremare dinanzi ad una rivoluzione comunista» corona ildispregio e di più l'ignoranza della storia della lotta di classe in Italia. Lo stesso «migliore», che passa perpolemista temuto nel pollaio italiota dei politici, lamentò in uno o più dei suoi discorsi che la borghesia italianaavesse sempre usato questo mezzo di descrivere come spaventoso il movimento proletario, e citò le elezioniamministrative del 1914 a Milano, in cui la lista capeggiata da socialisti moderatissimi alla Caldara o Filippettiera presentata come Barbarossa alle porte di Milano. Ma la citazione era data al rovescio. Fu l'«Avanti!» asalutare la vittoria in quella campagna, condotta sulla linea di una intransigenza antiborghese di principio,coll'articolo: «Barbarossa padrone di Milano». Mussolini, per immaginifico a vuoto che sia stato in molte fasi,potrebbe insegnare a questi signori che, volendo dare all'azione operaia un mito, si cerca non un mitonazionale, ma uno antinazionale. Del resto molti di questi marxisti da Canzone di Legnano erano interventistiprima che lo divenisse il futuro duce.Se d'altra parte essi avessero vinto, né Barbarossa né baffogrigio sarebbero calati in Italia. Non le conteschedaiole determinano le situazioni, ma i fattori economici che si concretano in posizioni di forza, in controlliinesorabili sulla produzione e il consumo, in polizie organizzate e stipendiate, in flotte incrocianti nel mare di lorsignori.Eletto chicchessia al governo della repubblica, non avrebbe altra scelta che rinunziare, o offrirsi in servigioall'ingranamento di forze capitalistiche mondiali che maneggia lo Stato vassallo italiano. Quanto al fare del«sabotaggio», è altra illusione su quello che è il compito dei portabandiera parlamentari. Sono le sferedell'affarismo borghese e delle alte magistrature militari e civili che possono a loro mercé sabotare i politicantiportafogliati, e non viceversa.Il meccanismo elettorale è oggi caduto nel campo inesorabile del conformismo e della soggezione dellemasse alle influenze dei centri ad altissimo potenziale, così come i granelli di limatura di ferro si adagiano docili29


secondo le linee di forza del campo magnetico. L'elettore non è legato ad una confessione ideologica né ad unaorganizzazione di partito, ma alla suggestione del potere, e nella cabina non risolve certo i grandi problemi dellastoria e della scienza sociale, ma novantanove volte su cento il solo che è alla sua portata: chi vincerà? Cosìcome fa il giocatore alla Sisal; e, di più, imbrocca meglio chi non ha nessuna competenza sulla materia delgioco e mentisce alle sue stesse intime simpatie.Questo arduo problema di indovinare chi è il più forte lo affronta il candidato rispetto al governo, ilgovernante rispetto al campo internazionale. Lo affronta l'elettore rispetto al candidato che vota; cerca, nonreca, un appoggio personale nella difficile lotta di ogni giorno.Se si fosse saputo il 17 aprile che vinceva De Gasperi, invece del 50 per cento gli davano il 90 per cento deisuffragi. A questo ci arrivava la dialettica dei frontisti, ed ogni argomento serio era superato e prostituito dinanzia quello massimo: Vinceremo! (E potremo pagare, coi soldi di Pantalone, galoppini, cagnotti e graziosi sodali«indipendenti»). Mussolini non diceva altro, De Gasperi lo diceva e lo sta facendo senza ritegno.Tutta la politica e la tattica degli avversari dei democristiani sono state disfattiste. La lunga praticadell'opportunismo dei capi delle organizzazioni dette di massa ha condotto ad una situazione in cui non è piùinseribile una avanzata progressiva, nella lotta sul terreno delle elezioni, di un partito che abbia un programmaed un atteggiamento di opposizione di principio e che proclami agli elettori il rifiuto della illusione che comunqueper via democratica possano le classi sfruttate arrivare al potere.Oggi l'elezionismo è pensabile solo in funzione della promessa del potere, di lembi di potere.Questo è il risultato della malfamata tattica delle alleanze, dei blocchi, dei fronti unici. Esso è dimostrato neldisfattismo non solo di ogni preparazione rivoluzionaria e di ogni forza classista, ma degli stessi scopicontingenti che i frontisti italiani si pongono, chiamateli pure come volete, stalinisti moscoviti antiamericani oaltro.Questo metodo disgraziato ha portato più facilmente avanti De Gasperi e il suo partito, come avrebbeportato quel qualunque attruppamento cui al capitale mondiale piacesse confidare il controllo in Italia. È stupidopiangerci.Si iniziò coll'indegno baratto di tutta la posizione classista della lotta proletaria nella consegna del «viva lalibertà» e della unità antifascista. Si passò per le tappe dei Comitati di Liberazione, dell'Esarchia, del governoTripartito, sempre lasciando credere ai lavoratori che, prese ipoteche su fette della cittadella del potere, pianopiano la borghesia capitalistica sarebbe stata spinta fuori dagli altri settori. Il processo invece procedevainesorabile in senso inverso.Rotto il tripartito e ridotto il fronte alla unità di azione tra i due partiti opportunisti, eredi abusivi dei nomi dicomunista e socialista, lo sfaldamento non fece che continuare. La parte di questo fronte informe che poggia suceti medi e su influenze borghesi, mano mano che decifra che la forza e il successo sono dalla parteamericana, si cala a gruppi successivi fuori bordo. Ne abbiamo viste nel passato di queste diserzioni in serie...Il partito socialista che sembrava saldamente agganciato all'organismo filorusso cominciò collo scindersiuna prima volta. Fu vano gridare che si trattava di pochi capi, perché un paio di milioni di quei voti che facevanovenire l'acquolina in bocca ai maneggioni, e purtroppo a tanti e tanti ingenui, se ne andò con loro. Oggi siannunzia un nuovo sfaldamento, e sul piano nazionale come su quello internazionale gli sfaldamenti seguonoinevitabili all'impiego vellutato di quei mezzi di feroce beneficenza che sono il piano Marshall, l'ERP e così via:piegate le schiene e avrete qualcosa nello stomaco. Lo stomaco della grande massa lavoratrice ed elettriceresterà allo stesso punto, ma non sarà così dei «quadri» passati a tempo dall'altra parte. Sembra che anche legrinte più feroci con questo sistema si vadano spianando. E chi sa che non si finisca col vedere a questi passiBarbarossa in persona!In questo quadro di disfatta, che non è in fondo che la disfatta dei traditori del proletariato, l'aspetto piùripugnante è il ripiego su posizioni e dichiarazioni di sinistra e l'invocazione al marxismo, che si sentono oltrefrontiera e dentro frontiera e nel bailamme dello sbandarsi del partito socialista. Semiammutolito Nenni, i tipicome Basso sono caratteristici esempi di questi marxisti a ritorni mestruali.30


Il nome di Marx e di Lenin e le loro tesi possenti, sulle labbra di quelli che ne hanno fatto inaudito scempio,sono avviliti alla stessa funzione di imbonitura di tutte le altre mistiche ingannatrici. Il marxismo e il leninismonon hanno codici o vangeli, la loro affermazione risiede nella continua, ininterrotta conferma del metodo nelpiano della interpretazione e in quello dell'azione. Invocati al momento dello sbaraglio nello stile da sacrestanidell'ipse dixit, si abbassano allo stesso compito truffaldino che hanno i nomi dei santi sulle bocche dei preti oquelli degli eroi nazionali sulle bocche dei patriottardi.Con uno schieramento delle forze della classe operaia al di fuori della tattica del fronte unico e popolare,che rifuggisse da rivendicazioni antitetiche al programma proletario e da promesse di vittorie legali, che avessesaputo disprezzare la illusoria conquista rappresentata dal riottenimento della facoltà democratica, ben altraposizione di resistenza avrebbero ora dinanzi a sé i piani di assoggettamento del capitalismo di oltreoceano e lecricche di venduti arruolate dalla fosca libidine di amministrare i soccorsi.Invece l'imperialismo capitalistico, le classi privilegiate, gli stati maggiori dell'affarismo, la Chiesa, l'altaburocrazia hanno campo libero in Italia. Poco li disturba il chiasso che riesce ancora a fare una opposizionebattuta che non ha avuto una parola contro il rastrellamento delle armi conservate dagli operai, che affiggemanifesti con «Viva la Polizia!», che sa solo invocare il rispetto della costituzione, che pone come obiettivo agliscioperi ammaestrati rivendicazioni così audaci come la concessione di qualche posto nel gabinetto aglionorevoli del fronte popolare, e, se offerto, avrebbe la suprema viltà di accettarlo rimettendo la sordina a Marxnon solo, ma anche all'ombra pallida che si va farisaicamente rievocando di Giordano Bruno.La democrazia sorta dall'abbattimento del fascismo impegnò a quell'obiettivo le forze operaie promettendoche, vinta la reazione, avrebbe avanzato a ritmo progressivo. Ma noi le contestiamo di essere un progressorispetto al fascismo, e anche se incedesse travolgente, neghiamo che con essa avanzerebbe la causa dellarivoluzione proletaria e del comunismo. Comunque essa tradisce la sua stessa promessa: ognuno può senzaardui sforzi teoretici constatare il senso trionfalmente progressivo della situazione in Italia; bilancio dicinquant'anni di peste bloccarda: la chierica avanza, il fronte rincula.31


lavoro con l’esplosione economica dei paesi emergenti, la fine del blocco russo e dei suoi stati satelliti, chefavorì l’unificazione tedesca ed il conseguente aumento del suo peso politico ed economico nell’area europea.In questa nuova situazione la centralizzazione economica della produzione in filiere trans-nazionali e lafinanziarizzazione diffusa, rendevano il capitalismo italiano meno autonomo e più subordinato ai centri delcapitalismo mondiale. In questo passaggio di fase l’adeguamento della struttura produttiva e finanziaria delcapitalismo italiano esigeva anche la rottura del vecchio quadro politico ed istituzionale (la Prima repubblica),troppo fossilizzato attorno alla giostra elettorale ed alla mediazione parlamentare. Il quadro politico dei partiti delgoverno di centro-sinistra, prima, e poi quelli di unità-nazionale e del pentapartito, che dovevano rappresentaregli interessi strategici complessivi del capitalismo italiano non era adeguato ai nuovi compiti di “governabilità”richieste dal sistema produttivo, e dunque viene scardinato dall’uso della magistratura (Tangentopoli).Nel 1990 con l’iniziativa referendaria di Mario Segni, per il cambiamento del sistema politico “dominato dallapartitocrazia”, come venne definito allora, si arriva alla modifica del sistema elettorale in senso maggioritario ebipolare, si apre la strada verso il cambiamento (adeguamento) della nuova forma politica dello stato. Si avviala II Repubblica ed incomincia la serie degli “esecutivi tecnici” (Ciampi 1992, Dini, Amato) in grado di operareanche senza il ‘cretinismo’ parlamentare. Attraverso questi strumenti ed il loro continuo adeguamento allasituazione economica, il capitalismo italiano e la sua borghesia, hanno tentato con tutti i mezzi di affermare illoro interesse storico collettivo, anche a scapito dell’interesse particolare dei singoli gruppi.I tempi stringonoOggi l’allarme economico (scure del debito, calo della produzione industriale, recessione) e l’allarme sociale(disoccupazione ed impoverimento progressivo delle mezze classi, necessità d’asservimento maggiore dellaforza lavoro dipendente) 30 sono due motivi concatenati e sufficienti per obbligare la borghesia italiana a fare unulteriore tentativo di “governare” l’attuale situazione. Le conseguenze politiche in passato sono state la nascitadel regime fascista (e poi il demo fascismo post-bellico); non è quindi insensato pensare che tali forme digoverno si ripresentino in una variante più aggiornata e quindi “farsesca”.Come “figure” singolarmente emblematiche della farsa e del trash possiamo farci bastare i personaggi oggiin campo: Berlusconi, Bersani , Grillo, Monti o un presidente della repubblica, con il loro clan di politici corrotti eimbecilli, giudici felloni, intellettuali senza intelletto, militari reazionari, mafiosi e golpisti di centro destra e,dall’altro, di personaggi loro oppositori, di pari infimo livello e parimenti schierati nel campo democraticoprogressista-conservatoredel centro sinistra. Mentre l’apparizione del fenomeno Grillo, è l’esempio classico divera mosca cocchiera della storia messo alla testa di movimenti reali prodotti da una realtà in disfacimento. Leforze che si muovono nel sottosuolo hanno una potenza che travalica la loro capacità di elaborazione.Non è il grillismo a produrre la dinamica, tuttalpiù se ne fa interprete, per raccogliere ovunque, da sinistra edestra, e per indirizzarla verso l’azimut nazionalista per antonomasia “né di sinistra né di destra”: la sacra patriadella “gente e dei cittadini” che rivendicano la dignità contro i parassiti, finendo, per lo più, per divenire massa dimanovra nelle mani degli interessi capitalistici interni contro quelli esterni e, soprattutto, contro altre “genti ecittadini” di altre nazioni. Non è fenomeno nuovo ma si inserisce in quel filone dove è sempre la piccolaborghesia a produrre l’ideologia conservatrice da inculcare al proletariato adeguando al momento storico,schemi, simboli e percorsi utili a conservare lo status quo.Il Movimento 5 Stelle è riuscito ad incanalare dentro una generica dimensione rivendicativo-declamatoria(cambiamo il parlamento stando dentro il parlamento, noi siamo oltre la destra e oltre la sinistra, facciamo ireferendum), tutta la demagogia e l’impotenza delle mezze classi: “la frustrazione, la rabbia e l’indignazione”per le incertezze, l’ingiustizie ed il malaffare, indirizzando un malessere comune su persone riconoscibili, ipolitici e i partiti, guardandosi bene dall’indicare la deriva di un sistema sociale ed economico ormai moribondo30 Alcune dati riassuntivi: il debito totale salirà a cifre inconsuete, pari a oltre il 130% a fine <strong>2013</strong>, mentre il calo del Pil per lo stessoanno dovrebbe aggirarsi sul meno 1,3% e la spesa per interessi continuerà a salire fino a raggiungere il 6% nel 2016. Ladisoccupazione intanto lievita, le cifre ufficiali, che sottostimano il fenomeno reale, ci parlano di una crescita dall’8,5% al 12%, tra il2008 e il 2012. Complessivamente i senza lavoro, se sommiamo i disoccupati, i cassaintegrati e gli scoraggiati superano gli 8 milionidi persone. La disoccupazione giovanile è ben al di sopra del 35%.34


che scarica le sue crisi sulla società, in modo che l’eterno gioco del guadagno privato e della perditasocializzata possa continuare.Ora tutte queste figure riunite in un’unica recita, rappresentano assai bene lo stato avanzato didecomposizione della II Repubblica e quindi della necessità impellente di un partito dell’ordine che rispondaadeguatamente alle necessità dell’Italia. Anche se viene mantenuta in vita artificialmente la dicotomia politicadestra/sinistra, è ormai chiaro che essa non è più operante in ragione dell’esistenza di un unico programmapolitico-strategico a cui sono piegate tutte le forze politiche, ridotte a cartelli elettorali con poca militanza, eoperanti come un vero e proprio partito unico capitalistico. Basta infatti che qualche indicatore dell’economiaglobalizzata abbia delle variazioni percentuali e non c’è governo di qualsivoglia paese e colore politico che nonsi allinei istantaneamente agli ordini del Capitale.Per comprendere le modificazioni che attendono la Seconda Repubblica italiana, dobbiamo ricorrere alprimo grande esempio storico di seconda repubblica: quella francese operante dal 1848 fino al 1851.Quell’esempio rappresenta un concentrato di insegnamenti per le lotte di classe, a causa delle condizionioggettive in cui esse si svolsero, e per gli esiti autoritari cui dettero vita. Napoleone Terzo, fu l'affossatoreduraturo della democrazia parlamentare, ergendo il potere esecutivo e lo Stato al di sopra del potere legislativoe delle diatribe politiche parlamentari (usando paradossalmente proprio il parlamento per togliere poteri alparlamento). Recuperare quegli insegnamenti, troppo presto dimenticati, distorti o addirittura ormai perfinomisconosciuti, aiuta a comprendere molte più cose della contemporaneità, che tanti studi di scribacchini attuali,sia sul terreno materiale delle crisi economiche sottostanti, sia sugli sviluppi politici e istituzionali che nederivano. I testi di riferimento sono: Le lotte di classe in Francia e Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte di Marx, 31 incui viene magistralmente tratteggiato il gioco ricorrente attraverso cui un potere esecutivo autoritario si erge difronte all'intera società.In quegli scritti Marx cita il noto aforisma secondo cui “tutti i grandi fatti della storia e i loro personaggicompaiono, per così dire, a due riprese la prima volta in tragedia, la seconda in farsa”, possiamo dunqueaggiungere noi che ormai la terza volta è spettacolo spazzatura. Non occorre cercare di far corrisponderebiunivocamente gli schieramenti e i personaggi di allora, in Francia, con quelli di oggi, in Italia, ed inutile è farsiobiettare che i corsi e ricorsi della storia e dei suoi personaggi non sono mai una “fotocopia”. La corrispondenzaè piuttosto nelle situazioni, nelle condizioni oggettive generali e nelle rappresentazioni soggettive poichè lasituazione politica e le contraddizioni economiche di fondo sono straordinariamente collimanti nel loro complesso.Leggiamo Marx dal Diciotto Brumaio, cap.III: “Il periodo che ci interessa offre il miscuglio più vario distridenti contraddizioni costituzionali che cospirano apertamente contro la costituzione; rivoluzionari che per loroconfessione sono costituzionali; l’assemblea nazionale che vorrebbe esser tutto, ma che resta sempre parlamentare;la "montagna" [la democrazia socialista] che trova nella rassegnazione la sua missione e scusa le suesconfitte presenti con la profezia di vittorie future; il potere esecutivo che trova la sua forza nella propria debolezzae fonda la propria dignità sul disprezzo che ispira; la repubblica che combina, sotto un’etichetta imperiale,alleanze che hanno per clausola fondamentale la divisione; combattimenti in cui la legge prima è l’indecisionepiù assoluta; un’agitazione sterile e rabbiosa in nome della calma; sermoni solenni sulla necessità della quietein nome della rivoluzione; passioni senza verità; verità senza passione; eroi senza gesta; storia senza fatti;sviluppi di cui il calendario sembra essere la sola forza motrice e che stanca per la ripetizione eterna dellestesse tensioni e degli stessi indebolimenti; antagonismi che sembrano tendere pericolosamente verso la crisisolo per meglio indebolirsi e crollare senza potersi risolvere; ostentazioni pretenziose di sforzi tentati per prevenirela fine del mondo e di spaventi borghesi davanti alla minaccia di una rovina universale, allorquando questisalvatori della società si dànno agli intrighi più meschini e rappresentano commedie di palazzo; il genio collettivo[del paese] ignobilmente confuso con l’imbecillità furbesca di un solo individuo; la volontà integrale dellanazione che - a ogni consultazione del suffragio universale - cerca la sua corrispondente espressione tra inemici inveterati degli interessi popolari, fino al giorno in cui essa lo trova nella volontà personale di un filibustiere.Se mai vi fu una pagina grigia nella storia, è proprio questa. E quando lo "spettro rosso" costantemente31 A cui si può aggiungere, per i richiami storici che precedettero la Comune, anche La guerra civile in Francia, con le successivePrefazioni di Engels.35


scongiurato ed esorcizzato dai controrivoluzionari finalmente appare, non ha in testa il berretto frigio dell’anarchia,ma porta l’uniforme dell’ordine.”La «Questione Morale», la battaglia contro i costi della politica, la ricerca del “capro espiatorio” i corrotti, ibanchieri e la finanza, sono una merce che si vende sempre bene, soprattutto in tempi di crisi sociale, quandole classi dominanti si preparano a dare sonore mazzate economiche alle classi subordinate. Tali argomenti,veicolati da efficaci manipolatori mediatici, fanno parte ancora una volta, della migliore, e più antica e collaudatastrategia di distrazione (e distorsione) di massa dalle cause reali della crisi. La divisione fittizia del fronte dellaclasse dirigente in due grandi fazioni apparentemente contrapposte - con la variante grillista già ridimensionata- ovvero la polarizzazione estrema dello scontro politico, ha solo una funzione “distrattiva” in vista dell’emergeredi un partito dell’ordine che assicuri un esecutivo “snello e forte” non troppo intralciato dalle disfunzioniparlamentari. In riferimento a cosa la definiamo una divisione fittizia o apparente? La risposta è semplice: inrelazione all’obiettivo strategico, e cioè soccorrere il sistema in crisi. Il capitalismo ed il suo apparato statale didifesa vanno “salvati”. La manovra è quella di sempre: una grande e complessa operazione di distoglimentodell’attenzione delle masse dal capitalismo, in quanto reale artefice e responsabile della crisi mondiale.Il “pilota automatico”In Italia, come ha dichiarato con chiarezza il burocrate euroglobalista Draghi per "tranquillizzare" i mercati, èin funzione il pilota automatico. In altre parole, a dettare le politiche governative di qualunque governo sarannoancora le misure economiche di austerity in osservanza ai trattati internazionali capestro (fiscal compact),dell’obbligo del pareggio di bilancio recepito costituzionalmente (art. 81) e in sintonia con i diktat BCE/UnioneEuropea, e i "consigli" degli ispettori del FMI, i rating delle agenzie internazionali. Si dovrà andare avanti perinerzia, sulla strada della difesa dell’euro e del rigore dell’euro-consiglio. La ingovernabilità italiana non riguardasolo l’Italia, ma coinvolge in maniera significativa tutto il capitale legato all’euro e gli apparati politici che attornoad esso si sono formati. Il debito è sempre meno sovrano, così come la parvenza di una sovranità popolare èun ricordo del passato, visti gli interventi della nuova governance europea con il fiscal compact. Il debito deipaesi del sud dell’Europa (ma si può includere tra questi anche la stessa Francia) è tale che non potrà maiessere pagato dai singoli stati, e infatti non potrà che diventare un problema continentale, da affrontarsi tramiteprocessi di ristrutturazione.Gli interessati appelli e condizionamenti internazionali verso una “soluzione rapida” della crisi politicaitaliana, nell’ottica della conflittualità intra-imperialistica, hanno sullo sfondo il conflitto euro- dollaro. Da unaparte le politiche di austerità dettate dalla Bce sono la condizione per accedere al fondo salva stati, ma sonoanche il tentativo di contrastare la speculazione del capitale a base dollaro attraverso la scommessa sui debitipubblici, soprattutto quando i Paesi in questione non saranno solo la Grecia o Cipro, ma l’Italia e la Spagna conla Francia in predicato. Chiaramente gli interessamenti americani con i loro referenti nazionali operano in sensoopposto. A dividere le principali fazioni politiche in gioco non è dunque solo un fattore interno, il loro essereespressione di interessi di frazione delle classi che difendono, ma è anche un fattore internazionale, e cioè lapressione verso un posizionamento definitivo nello scontro inter -capitalistico in atto fra l’euro ed il dollaro.La situazione di crisi politica odierna è caratterizzata dall’assenza di una proposta strategica della borghesiaitaliana e dalla incertezza della collocazione dell’industria italiana nel mercato mondiale. La destra cherappresentava il tessuto produttivo del capitalismo più legato alla produzione di beni e servizi per l’interno,pesantemente attaccato dalla recessione e dalla morsa della grande borghesia europea, è in crisi di identitànon in grado di adeguarsi alle mutate condizioni economiche di riduzione di spesa richieste dal risanamentoeconomico imposto. Il centro-sinistra che sembra essere il fedele esecutore degli ordini provenienti dalle istanzedella finanza internazionale, ‘perché l’Europa lo vuole’, vorrebbe essere il referente di quella borghesia che hala necessità di collegarsi ai circuiti della produzione internazionale.La variante grillista è invece l’espressione della paura e dell’agitamento delle mezze classi schiacciate edimmiserite, e di settori operai esausti e sfiduciati, ritrovatisi dentro un ampio e trasversale accorpamentoelettorale fatto di soggetti diversi dichiaratisi “né di destra né di sinistra, che si battono per un nuovonazionalismo per salvare la “vera” Nazione, quella costituita dalle genuine forze produttive, scacciando dallascena i parassiti alleati al grande capitale ed alla grande finanza”. La crisi fa risorgere ovunque nel mondo36


forme di nazionalismo ed il movimento di Grillo si allinea ai tempi: “essere "apartitici" non significa altro cheessere del "partito dominante" del Capitale, in cui la fusione eclettica di argomenti di “sinistra” e di “destra” perfondare un programma “né di destra, né di sinistra”, incarna “veramente” lo spirito per l’emergere di unnazionalismo-popolare molto più adeguato ai tempi di crisi e sacrificio, rispetto a quello fatto di retoricapatriottarda ed europeista evocato dal presidente della repubblica e da tutti i “vecchi” partiti. Tutti questiinteressi trasversali danno luogo a spinte e controspinte che hanno un riflesso sul quadro politico immediato: ipartiti tradizionali e le istituzioni parlamentari si dimostrano inadeguati ad assicurare un equilibrio tra lecomponenti sociali, aumenta la conflittualità politico-istituzionale, emergono “nuovi” soggetti e formazioniparlamentari.Ma tutte le forze politiche, anche se apparentemente divise su molti punti, sono però unite su una precisaposizione di classe: rendere il lavoro ed i salariati ancora più flessibili e genuflessi agli interessi del Capitale edai meccanismi della sua riproduzione. Qualunque esecutivo dovrà risolvere un problema che è sul tappeto daanni: agire sulla forza lavoro per estrarre più plusvalore dentro un nuovo “patto fra produttori”.La sovrastruttura politica che serve a ciò è una democrazia blindata con un esecutivo forte che agisca edoperi senza intralci parlamentari. Su questo terreno democratico tutti i protagonisti della politica-politica sitrovano d'accordo, bisogna cambiare, rinnovare, promuovere, riformare. La direzione di questo cambiamento èsolo quella di portare ad una collaborazione con le buone o con le cattive tutte le classi in nome di un “interessecomune”. Quale schieramento trasversale si farà interprete e massa di manovra, di questa impellente necessitàha poca importanza, la realtà lavora per la sua formazione poiché si restringono gli spazi di mediazione socialesi potenziano gli esecutivi politici e l’invasività dello stato e questo processo troverà i suoi esecutori. Il problemava al di là degli individui oggi in campo, che in quanto tali possono anche uscire di scena, e riguarda, appunto,le dinamiche sociali in atto e il loro sviluppo in un quadro generale che, tra tante incertezze, offre una solidacertezza: non si tornerà più in una situazione precedente la crisi e bisognerà dirottare il più dei sacrifici sullespalle del lavoro dipendente.Quello che è importante, per noi, è la conferma storica che dimostra come: a fronte della necessità dipreservare il ciclo di valorizzazione ed accumulazione del capitale, e di quello finanziario in particolare, gli statidevono continuamente rompere la loro architettura istituzionale trasformandosi, contro tutta la loro ideologiauniversalistica, democratica e schedaiola, nelle macchine di controllo e di dominio che Lenin in Stato eRivoluzione aveva tratteggiato. Accentramento dei poteri, svuotamento degli istituti elettorali-perlamentari edelle istanze politiche tradizionali, impossibilità di gestire e distribuire la ricchezza come in passato, mentre lefunzioni repressive di carattere preventivo assumono una prassi quotidiana: “Anche quindi la politica di governodella classe imperante, da vari decenni a questa parte e con ritmo sempre più deciso, si evolve verso forme distretto controllo, di direzione unitaria gerarchica fortemente centralizzata. Questo stadio e forma politicamoderna, sovrastruttura che nasce dal fenomeno economico monopolistico ed imperialistico previsto da Leninfin dal 1916 col dire che le forme politiche della più recente fase capitalistica possono essere soltanto di tiranniae di oppressione, questa fase tende a sostituire generalmente nel mondo moderno quella del liberismodemocratico classico, non è altro che il fascismo.” (Tesi della Sinistra 1945)La borghesia non aspetta la crisi, e la sua tormentata evoluzione si dirige verso la preparazione alla difesaed all’attacco: la classe operaia ne tragga a sua volta l’ammonimento a difendersi per poter contrattaccare sututti i fronti, dalla più semplice rivendicazione salariale fino alla più vasta affermazione politica, riconoscendo inogni mossa dello stato volta a rafforzare la propria “corazza”, un colpo diretto alla sua esistenza organizzata.Aprile <strong>2013</strong>37


LE CONDIZIONI DI VITA DEI PROLETARI SONO DESTINATE AD UN PEGGIORAMENTO CONTINUO: QUESTAÈ L’UNICA CERTEZZA CHE IL SISTEMA ECONOMICO-SOCIALE CAPITALISTICO PUÒ ASSICURARE ALLE SUEVITTIME. SOLO L’ORGANIZZAZIONE E IL COORDINAMENTO UNITARIO DELLE LOTTE DEI LAVORATORIRAPPRESENTANO UNA DIFESA EFFICACE.La crisi attraversa le nostre vite, le scuote come un evento naturale. Ma non si tratta di eventi quali unterremoto o un’eruzione vulcanica, quanto di una precisa conseguenza di un modo di produzione ormaiputrescente messo in opera dall’uomo. Vale a dire di quel peculiare modello di organizzazione produttivabasato sullo sfruttamento delle risorse umane, cioè lavorative e materiali, finalizzato all’accumulazione dicapitale tramite la produzione e il consumo di merci (umane e materiali) secondo il meccanismo del mercato(più o meno “libero”) e dello scambio monetario. Entro l'unica ottica del necessario perseguimento – attraversol’intera filiera di tutte queste attività – di un profitto. Senza profitto nulla si produce, nulla si vende, nulla siconsuma: nessuna attività propriamente intesa come “produttiva” viene neanche avviata.Proponiamo un illuminante passo estratto dai quaderni allegati alle teorie sul plus-valore di Marx:“Nel processo di produzione viene succhiato più lavoro di quanto ne è stato comprato, e questoassorbimento, questa appropriazione di lavoro altrui non pagato che viene compiuta nel processo diproduzione, è lo scopo immediato del processo di produzione capitalistico; poiché ciò che vuole produrre ilcapitale in quanto capitale (quindi il capitalista in quanto capitalista), non è, né valore d’uso destinatoimmediatamente al consumo personale, né merce destinata ad essere prima trasformata in denaro esuccessivamente in valore d’uso. Il suo scopo è l’arricchimento, la valorizzazione del valore, l’accrescimento diquesto, dunque la conservazione del valore esistente e la creazione di plusvalore. E questo prodotto specificodel processo di produzione capitalistico il capitale lo ottiene solo nello scambio col lavoro, il quale si chiama perquesto lavoro produttivo.”Da tale peculiare modello economico derivano particolari sistemi politici, sociali, culturali, persino etici,chiamati a legittimare oltre che a difendere e reiterare il modello economico da cui solo una parte sempre piùesigua della società ha il potere di trarre vantaggi e privilegi.Solo il proletariato (che n’è la vittima principale) può distruggere tale struttura, con un’azione di lottaliberatrice di se stesso e del resto dell’umanità. Ci troviamo al culmine di una delle più devastanti e giganteschecrisi strutturali del capitalismo, destinata a peggiorare le condizioni di vita reali delle masse, realtà che non puòessere smentita.(1) In seguito alla crisi è destinato ad aggravarsi ulteriormente il livello di vita delle masse,nonostante ancora persista l'illusione, che serpeggia in alcune parti della società, sulla possibile fine futura dellacrisi, consentendo al sistema di ridistribuire ai suoi schiavi salariati qualche briciola di ricchezza, bisognaribadire con forza che qualsiasi speranza è priva di fondamento.La sola certezza che il sistema economico-sociale capitalistico può regalare alle sue vittime è l'inesorabileinasprimento di insostenibili condizioni di vita. La crisi, al di là dell’aspetto finanziario, si manifesta come unacrisi complessiva del sistema capitalista, ormai incapace di assicurare perfino il livello minimo dei bisogni umani(nutrimento, alloggio, salute…) ad una parte dei suoi schiavi salariati. La crisi fa progredire –contemporaneamente - la tendenza ad accentuare lo sfruttamento della forza-lavoro, e la tendenza a estendereall’intera vita lavorativa di ciascun individuo, non solo per il proletariato industriale, la subordinazione alleesigenze del profitto aziendale. [Su tutto il pianeta si è costretti ad ascoltare la stessa musica infernale, direttada un unico direttore d’orchestra: Il Capitale.]Le conseguenze immediate, nei paesi di più antica industrializzazione, sono l’aumento dello sfruttamentoattraverso il taglio dei salari, l’intensificazione dei ritmi di lavoro, e l’aumento del costo dei beni elementari per lariproduzione della vita e la tutela della salute. Nelle altre aree del pianeta la forza-lavoro è costretta a subirecondizioni di lavoro estreme, che ricordano quelle del XIX secolo descritte nelle pagine del Capitale, in cui lemasse di lavoratori sono ridotte a semplice appendice del macchinario, bestie da soma al servizio del profitto. Inqueste aree del pianeta il sistema schiavistico del capitale non ammette ribellioni represse dalla borghesialocale, ad ogni accenno d’insubordinazione, con mezzi violenti. Questa particolare circostanza prefigura ciò cheavverrà ovunque, quando il proletariato sarà costretto a muoversi, sotto lo stimolo del peggioramento38


inarrestabile delle proprie condizioni di vita. I primi segnali della messa in moto dell’apparato repressivo,d'altronde, sono già visibili in Europa come in America, ed in tutta l’area nord africana, Tunisia ed Egitto in testa.Nei paesi economicamente più sviluppati, espressioni come piena occupazione, crescita continua deltenore di vita, diffusione degli ammortizzatori dello stato sociale, sono ormai un lontano ricordo. Nulla potràripristinare quella situazione, pseudo - idilliaca, che era tipica di un capitalismo in fase espansiva; poiché ormaida decenni il sistema trascina la sua crisi storica, cercando di rallentarla, eliminando le cosiddette speseimproduttive, e tutto ciò che non ha a che fare in modo diretto con la produzione.Chi sarà in grado di retribuire sempre meno la propria forza lavoro, cioè di farla vivere con sempre menodenaro e quindi ad abbassare il valore della sua sopravvivenza in rapporto al valore prodotto, avrà maggiorato ipropri profitti. Operazione ottenibile sia ristrutturando il mercato del lavoro, in cui precarietà inoccupazione esalari stracciati saranno la normalità lavorativa delle prossime generazioni, sia colpendo le fasce sociali piùdeboli, con tagli alla sanità, aumenti del costo di acqua, luce, gas, spazzatura. Il vampirismo del capitale sipasce fino alle ultime stille che ancora vivificano anziani proletari, negando loro le cure mediche gratuite e altreforme di assistenza, pur di rilanciare il suo ciclo di crescita economica.I riformisti, questi scornacchiati senza pudore e vergogna, hanno ancora il coraggio di raccontare allemasse che è possibile convivere con il sistema attuale, in cambio della partecipazione alla ricchezza da essoprodotta. Come se fosse realistico credere che, ancora una volta, ci saranno da raccogliere le briciole e gliavanzi caduti dalla tavola della ricca borghesia. Ma il capitalismo può solo distribuire schiavitù, impoverimento,miseria e degradazione fisico-morale ai suoi subordinati; e i mercenari riformisti al servizio del capitale, indefinitiva sono come la sbirraglia di mozzarecchie (taglia orecchie) che svolgeva il compito di sorvegliare epunire le ribellioni del popolo napoletano, durante il periodo dei viceré spagnoli e in quello del regno borbonico.Gli ideologi propagandisti del pensiero dominante, hanno ripetuto fino alla noia che la crisi è unaconseguenza della cattiva finanza e del sistema bancario, tentando di nascondere i veri motivi che hannoinceppato la macchina economica capitalistica: la sovrapproduzione di merci e l’impossibilità di produrre profittiadeguati ai capitali investiti, determinata dall’accelerazione della tendenza ineliminabile alla caduta del saggio diprofitto. In tempi di crisi mondiale, per tutti i capitalisti la realizzazione di profitti diviene difficile, proprio a causadella troppa merce che si produce e non si realizza come valore monetario, motivo per cui è d'obbligo ridurre laproduzione: chi lavora viene licenziato o mobilitato in cassa integrazione nel migliore dei casi. Cosi come ognicapitalista cerca una nuova espansione sui mercati a scapito di altri suoi pari più deboli o meno attrezzati.Questa è legge stabile al pari di quella della gravità.Si ribadisca, quindi, che lo scopo immediato del processo di produzione capitalistico è l’appropriazione dilavoro altrui non pagato, al fine di conservare e accrescere il valore del capitale investito. Non esiste alla luce diquesto dato di fatto, un capitalismo buono con imprenditori onesti (l’imprenditore capitalista è tale in quantodirige l’appropriazione di lavoro non pagato, plus-lavoro, nel processo di produzione), e un capitalismo cattivocon speculatori finanziari. In realtà Imprenditori e speculatori sono le due facce di una stessa moneta. 32 Nelmomento in cui il capitale non riesce a valorizzarsi nella produzione di beni e servizi reali, esso cercadisperatamente di valorizzarsi nella sfera finanziaria, in cui, tuttavia non si producono merci o servizi, ma siripartisce il valore che è stato prodotto nella cosiddetta economia reale. Per le stesse ragioni, dentro la cornicedel capitalismo, non ci sono governi buoni di centro-sinistra o governi cattivi di centro-destra, poiché in ognicaso - dal Parlamento ai Comuni- qualunque amministrazione può affrontare i problemi posti dalla complessasocietà contemporanea, soltanto adeguandosi alla legge fondamentale che regola il sistema: produzione diplusvalore attraverso lo sfruttamento del lavoro salariato.La disoccupazione è il fenomeno più evidente della crisi. Progressivamente gli operai hanno perso il lavoroo sono in procinto di perderlo, verrà a mancargli la cassa integrazione, si troveranno senza riserve, esaurirannoanche gli ultimi risparmi: la condizione inevitabile sarà la più profonda miseria.32 Il cosiddetto debito di stati imprese e famiglie non è altro che un derivato della crisi interna dall’ottimale funzionamento del sistema,che ha spinto e spinge ora gli usurai della finanza internazionale a speculare sul denaro non potendo esigere profitti da unasovrapproduzione intasata ed irrealizzabile.39


I sindacati asserviti al sistema suggeriscono ai proletari la mobilitazione isolata, fabbrica per fabbrica, alloscopo illusorio del salvataggio dei posti di lavoro in quel certo tipo di azienda. I proletari, molto spesso incapacidi concepire e di lottare per un altro tipo di società (e nel frattempo terrorizzati dalla possibilità di essererisucchiati nel girone infernale del lavoro precario e della miseria estrema), per salvare la fabbrica s’incatenanoagli impianti, salgono sulle ciminiere, chiedono il sostegno delle autorità ecclesiastiche, dei Comuni, delleRegioni, del Governo.La fabbrica diviene quindi l’inferno che si ama, la dura necessità da accettare per sopravvivere, e non più illuogo dove il capitale si appropria di plus-lavoro non retribuito, riproducendo un rapporto sociale di dominazionedi una classe di padroni su una classe di schiavi salariati.Ogni comunista deve partecipare all'azione sindacale, pur essendo chiaro però che non può agire sui luoghidi lavoro senza tener presente la storica funzione del sindacato nel tempo. Negli anni venti è stato ribadito che ilpartito, partecipando all’attività sindacale si ripropone di dirigere le masse preparandole, nel corso degli scontriper le rivendicazioni economiche, alla rivoluzione proletaria e comunista.La conquista delle masse, infatti, non si può realisticamente ipotizzare con la sola azione di propaganda delprogramma del partito e con il proselitismo, ma necessariamente e inevitabilmente attraverso la partecipazionealle azioni di lotta a cui i proletari sono sospinti dalla loro condizione economica. E' in questo modo che il partitocomunista realizza quel contatto con la massa che gli consente di fare attività di propaganda, guadagnandoterreno ed influenza nel seno del proletariato.Tuttavia una condizione indispensabile per l’attività di partito negli organismi economici proletari, è quella dinon compromettere la fisionomia programmatica ed organizzativa del partito. Le condizioni storico-socialipresenti negli anni venti, alla base della teorizzazione di un collegamento lineare fra azione economica epolitica sono cambiate dopo l’avvento del fascismo. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, i sindacati hannocontinuato a subordinarsi in linea di diritto o, di fatto, all’apparato statale borghese, così come era avvenutodurante il fascismo.Nel testo, “31 Punti per la Difesa della Tradizione Rivoluzionaria della Sinistra”, abbiamo scritto qualcheanno addietro: “… Gli attuali sindacati, costituiti dopo l’esperienza fascista e dopo la II Guerra Mondiale, sononati, infatti, come sindacati tricolori, si sono caratterizzati cioè fin dall’inizio come degli organi dello Stato, per cuisarebbe stato un grave errore nel secondo dopoguerra, e lo è a maggior ragione oggi, ritenerli e definirlisemplicemente come dei sindacati riformisti o opportunisti, visto che la dinamica sindacale continua asvilupparsi nel pieno senso del controllo statale e dell’inserzione negli organi amministrativi ufficiali, ossia che loStato borghese non solo continua a controllare i sindacati anche dopo la disfatta militare del fascismo, ma licontrolla ancora più strettamente […], il fascismo portò avanti il riconoscimento giuridico del sindacato, dandoglila titolarità della contrattazione degli accordi collettivi col padronato, cosa questa che prima non gli erariconosciuta, per cui il semplice intento di unificare salari e condizioni di lavoro, implicava delle mobilitazioni perraggiungere tali risultati. In una parola, il sindacato doveva guadagnarsi giorno per giorno attraverso la lotta lasua esistenza ed il suo riconoscimento. Il riconoscimento giuridico da parte dello Stato sanzionato dal fascismo,viceversa, e i doveri che spingono i sindacati all’accettazione e alla difesa del regime capitalista, li hannocondotti “fino all’effettivo imprigionamento di tutto l’inquadramento sindacale nelle articolazioni del potereborghese di classe”. Noi considerammo di fondamentale importanza per il Capitale questo imprigionamentodelle associazioni economiche nello Stato riconoscendovi la risposta dialettica alla riconosciuta e ribaditanecessità che il <strong>Partito</strong> influenzi la lotta sindacale come stadio indispensabile per ogni ulteriore movimentorivoluzionario. La borghesia insomma, sottomettendo i sindacati alla politica dello Stato capitalista, si difendedalla minaccia della Rivoluzione soprattutto perché in tal modo impedisce, ritarda ed ostacola così l’attività deimarxisti e degli stessi operai combattivi nelle lotte economiche …”.La condizione di asservimento dei sindacati al regime capitalista, l’effettivo imprigionamento di questeorganizzazioni nelle articolazioni del potere borghese di classe, non nasce dal nulla, o peggio ancora dallacattiva volontà di singoli individui. Ma oltre ad essere una risposta dialettica della borghesia ai tentativi didirezione delle lotte economiche messe in atto dal <strong>Partito</strong>, ha la sua base materiale nello sviluppo gigantescodelle forze produttive, nella “floridezza” della produzione industriale degli ultimi 50 anni (in particolare, dopo il40


potenti. Nei fatti, la linea sindacale della difesa dell’occupazione nella singola fabbrica, costringe i lavoratori asottomettersi a un’intensificazione dello sfruttamento, alla riduzione del salario, e all’accettazione dellicenziamento di una parte dei propri compagni. Ne segue che da parte di costoro (sindacati e riformisti), parlaredi difesa del lavoro (ancora?), di lotta contro i licenziamenti, di piena occupazione operaia - mantenendo fermoil postulato della permanenza del sistema di produzione basato sul profitto - significa solidarizzare con leesigenze del capitalismo e permettergli di procedere al consolidamento dei suoi interessi.Il sindacalismo ufficiale, integrato e corporativo (CGIL, CISL, UIL, UGL, ecc..), fondato sulla trinitàsindacato-industria-Stato, nonostante l'attuale frammentazione delle sigle, è un sindacalismo interclassista (unoslogan della CGIL: "Siamo sindacato di tutti i cittadini"), che ha l'oggettivo compito di inquadrare il movimento diclasse, portandolo su un terreno rivendicativo (ma anche politico) che sia compatibile con l'accumulazione diplusvalore e con la sua parziale e sempre più ridotta distribuzione sociale (welfare). Dunque, in primo luogo, ilsindacato moderno si fa garante della competitività dell’economia nazionale sul mercato mondiale.Tutte le organizzazioni sindacali tricolore, infatti, manifestando in ogni luogo senso di responsabilità ecomprensione per le ragioni della competitività, alla fine ottengono il risultato di ripetere come dei pappagalli lestesse parole d’ordine della borghesia.Il seguito non troppo sottinteso di questa imitazione pappagallesca è l’idea che la forza-lavoro sia solo unamerce fra le tante, un semplice fattore produttivo, al pari dei macchinari e delle materie prime. Possiamoricordare a questo punto, come ulteriore segno dei tempi, la circostanza relativa agli aumenti contrattuali erogatisolo ai lavoratori iscritti ai sindacati firmatari del contratto con le controparti padronali (mentre in passato anche icrumiri beneficiavano dei risultati delle lotte dei proletari compagni di lavoro). Quando il processo produttivocessa, cioè quando l’azienda non ottiene adeguati profitti, l’operaio diventa un costo superfluo, da espellere elicenziare, da relegare nell'’esercito industriale di riserva - fra i disoccupati - e in attesa di una nuovaoccupazione, può anche cessare di esistere, può anche morire. Sotto l’apparenza di civiltà e democrazia dellasocietà borghese vige quindi una regola feroce, così riassumibile: se in attesa del nuovo ciclo economicoespansivo, il proletario disoccupato non sopravvive, non è un problema, ce ne saranno altri che occuperanno ilsuo posto al momento della ripresa.Non abbiamo scoperto nulla di nuovo descrivendo questa regola, già nei manoscritti economico – filosofici,Marx affermava cose non dissimili dalla regola anzidetta, infatti secondo Marx i capitalisti non conoscono iproletari “… come uomini, ma solo come strumenti della produzione, che devono rendere il più possibile ecostare il meno possibile. Queste masse di operai, sempre più premuti dalla necessità non hanno neppure latranquillità di trovar sempre un'occupazione; l'industria che li ha riuniti, li fa vivere soltanto se ne ha bisogno, enon appena può sbarazzarsene, li abbandona senza darsi il minimo pensiero; e gli operai sono costretti adoffrire la loro persona e la loro forza al prezzo che gli si vuol accordare. E tanto meno sono pagati quanto più illavoro che gli si offre è lungo, penoso, disgustoso; si vedono taluni che con un lavoro di sedici ore al giorno, instato di fatica continuata, si acquistano a mala pena il diritto di non morire”. Karl Marx. Manoscritti economico -filosofici.Anche nel Capitale, ad esempio nel primo libro, troviamo dei passi molto istruttivi al fine del chiarimento diquesti processi di degradazione “Il capitale non si preoccupa della durata della vita della forza- lavoro. Quel chegli interessa è unicamente e soltanto il massimo di forza-lavoro che può essere resa liquida in una giornatalavorativa. Esso ottiene questo scopo abbreviando la durata della forza-lavoro, come un agricoltore avidoottiene aumentati proventi dal suolo rapinandone la fertilità. Con il prolungamento della giornata lavorativa, laproduzione capitalistica, che è essenzialmente produzione di plusvalore, assorbimento di pluslavoro, nonproduce dunque soltanto il deperimento della forza-lavoro umana, che viene derubata delle sue condizioninormali di sviluppo e di attuazione, morali e fisiche; ma produce anche l’esaurimento e l’estinzione precocedella forza-lavoro stessa “.Il capitale: una potenza mortifera - guidata da uno smisurato e cieco impulso - che nella sua voracità dalupo mannaro di pluslavoro supera gli stessi limiti fisici biologici della giornata lavorativa, consumando finoall’esaurimento e all’estinzione precoce la forza-lavoro di cui può fare uso (dopo averla formalmente acquistatain modo libero sul mercato del lavoro).42


La discussione contemporanea sugli incidenti del lavoro, variamente ricorrente, e con toni più accoratiquando si verifica una morte, è probabilmente fuorviante, perché la discussione presuppone che esistano gliincidenti sul lavoro; quando è il lavoro stesso ad essere un incidente e un pericolo per la vita del proletario(nell'’attuale modo di produzione capitalistico).Non bisogna illudersi, la conservazione del meccanismo sociale capitalistico esige maggiori distruzioni dicapitali (nelle aziende e nelle economie più deboli) e maggiore controllo egemonico sul processo lavorativo esociale, l’immiserimento della popolazione, l’aumento del numero dei precari e dei disoccupati, e l’incrementodel saggio di sfruttamento dei lavoratori occupati. I margini di tale tendenza al ribasso si sono dimostrati, nelcorso di questi anni di crisi, molto ampi. Da un altro lato possiamo anche spiegare materialisticamente l’inattivitàdi un’azione di classe dei lavoratori, infatti il livello salariale medio percepito dalla classe lavoratrice neicosiddetti paesi avanzati si è attestato a lungo al di sopra di quello sociale (mondiale medio complessivo diclasse). L’isolamento e la concorrenza tra i lavoratori, generata dalla mobilità del capitale e dalla divisioneinternazionale del lavoro, sono il sostrato fondamentale per il mantenimento di questo status quo.La concorrenza tra i lavoratori, soprattutto, viene esasperata ideologicamente dalla classe dominante,costituendo una delle leve che permette al capitale di non subire una crisi verticale, ossia di non precipitaredrasticamente. La riduzione del salario generale della classe al di sotto del suo valore è lo strumento checonsente al saggio generale di profitto di non cadere verticalmente, ma in maniera tendenziale. L’aumento delgrado di sfruttamento del lavoro, la riduzione del prezzo degli elementi del capitale costante, lasovrappopolazione relativa, il commercio estero e l’accrescimento del capitale azionario, sono una contrazioneche “rappresenta per altro una delle cause più importanti che frenano la tendenza alla caduta del saggio delprofitto”. In una fase come quella attuale, caratterizzata da una potente contrazione nelle possibilità diaccumulazione del capitale in cui, conseguentemente, una formidabile massa di forza lavoro è resa superfluanaturalmente, la dinamica del salario sociale tende al ribasso. Non c’è dunque da rimanere stupiti se i lavoratoridei paesi più arretrati ed indebitati dell’Unione europea, i cosiddetti piigs, vedano quotidianamente, edinesorabilmente, peggiorare le proprie condizioni di vita.Del resto, il processo di precarizzazione dei contratti di lavoro ha ripreso il suo corso, la precarietàcontrattuale è stata alla base dell’accumulazione capitalistica almeno fino alla prima metà del secolo scorso, edè ripreso con l’emergere della crisi generale del sistema di produzione dopo il 1975. Da tale momento storico,dunque, le condizioni dei lavoratori, seguendo l’andamento generale dall’accumulazione intermittente delcapitale mondiale, hanno subito nell’occidente un drastico peggioramento: e le follie accademiche, vagamentemoralistiche, che si pongono dinanzi a tale fenomeno proponendo in primis la decrescenza, assumono un ruolodel tutto anacronistico e mistificatorio.“Si capisce quindi la follia di quella sapienza economica che predica agli operai di adeguare il loro numeroai bisogni di valorizzazione del capitale. Il meccanismo della produzione e dell’accumulazione capitalisticaadegua questo numero costantemente a questi bisogni di valorizzazione. Prima parola di questo adeguamentoè la creazione di una sovrappopolazione relativa ossia di un esercito industriale di riserva, ultima parola lamiseria di strati sempre crescenti dell’esercito operaio attivo e il peso morto del pauperismo”. (Marx - Il Capitale)Un <strong>Partito</strong> <strong>Comunista</strong> non può ribadire che, mentre l’economia capitalistica sopprime interi rami d’industria,e vive l’aggravamento di una crisi iniziata negli anni 70 del secolo scorso, il proletariato non deve continuare asostenere il proprio sfruttamento, attraverso la difesa illusoria del posto di lavoro salariato che lo stesso sviluppodell’economia capitalistica s’incarica di eliminare, in quanto fattore produttivo aziendale poco redditizio einvestimento scarsamente profittevole. Il proletariato deve iniziare a combattere per la propria vita e per la sualibertà, spezzando i particolarismi e l’isolamento, lottando per garantire in ogni caso a chi rimane senza lavoroun salario integrale che gli consenta di vivere. Esso non deve implorare assistenza e misericordia dal sistemasociale in cui è imprigionato – del resto il capitale non conosce nessuna pietà - ma deve rivendicare con la lottail diritto di vivere contro i suoi sfruttatori, e contro i dogmi della competitività e del profitto aziendale al cuicospetto ancora si inchinano i servi e i pappagalli riformisti. Il sindacalismo di regime fa di ogni crisi e vertenzaaziendale un caso a sé stante, da affrontare in modo separato da quello che accade nelle altre aziende,dividendo in questo modo la classe operaia e conducendola in ordine sparso alla sconfitta. In opposizione aquesta prassi il movimento dei lavoratori - un futuro sindacato operaio - deve inserire fra i propri obiettivi di lotta43


quelli generali e intercategoriali del salario pieno ai lavoratori licenziati, forti aumenti salariali (maggiori per lecategorie sottopagate) e una riduzione generalizzata dell’orario di lavoro a parità di salario.I metodi di lotta, per essere efficaci, devono imperniarsi sugli scioperi senza termine e senza preavviso, suipicchetti che bloccano le merci e i crumiri, sull’estensione del fronte di lotta a tutto il mondo del lavoro. La classeoperaia non ha nessun interesse a conservare questo sistema sociale, così come la vittima non ha nessuninteresse a prolungare la vita del suo carnefice. La crisi capitalistica da sovrapproduzione, nel corso della storiaumana documentata, è stata risolta con la guerra (immane distruzione di mezzi e forza-lavoro per rilanciarel’infernale ciclo di accumulazione), o con la rivoluzione (ottobre rosso). La lotta sindacale è importante ma non èsufficiente, perché i diritti strappati al potere, le conquiste economico-sindacali, sono sempre incerti e transitori,fin tanto che il capitalismo continua a vivere e a dettare le regole del gioco.La lotta sindacale, cioè la lotta di classe ristretta alla sfera economica, ha un senso e una prospettivaduratura di liberazione solo se funziona come una palestra per la lotta di classe politica: ovvero per la conquistarivoluzionaria del potere politico e la distruzione del regime capitalistico. In una società comunista - una societàsenza classi di schiavi e di padroni - non sarà più ammesso che degli esseri umani possano esistere, citiamoancora Marx “… soltanto se (il capitale) ne ha bisogno, e non appena può sbarazzarsene, li abbandona senzadarsi il minimo pensiero”.Non si tratta, certo, di evocare la “rivoluzione” a ogni passo e in ogni momento. La rivoluzione vera, non unaqualche rivolta ribellistica e insurrezionale, non è solo il momento del trapasso dei poteri, è un processo storicolungo e tormentoso, che come tale implica significative battute d’arresto e perfino retrocessioni, ossia fasipoliticamente non rivoluzionarie, dal punto di vista della presa di potere. Ma appunto in quanto processo cheverte sulla rottura di un modo di produzione, essa non ammette gradualismi; la rivoluzione non va confusa con ilriformismo gradualista, e non permette di equivocare tra potere reale e Governo parlamentare, tra alternanza dimaggioranze e minoranze parlamentari, tra dittatura proletaria (necessaria e temporanea) e opposizione diclasse, nell’economia, nella società e nelle istituzioni.I ruoli sono assegnati, finché la borghesia detta legge, il proletariato è dominato e non ha altro da fare cheopporsi a questa dominazione, senza cercare pietose scorciatoie. I salariati si trovano ora e si troveranno adover fare i conti con un sistema sociale rispetto al quale non avranno più nulla da perdere. Ciò che finora èstato fonte della loro esistenza diverrà per essi una condizione insostenibile; la condizione di schiavo salariato(nelle forme e condizioni prevalenti all’interno di un capitalismo agonizzante). Ciò che imprimerà caratteristicherivoluzionarie a un movimento proletario è quello che farà il movimento stesso e come agisce in prospettiva,quindi in base a un programma e ad una direzione politica, cioè in base alla direzione del suo <strong>Partito</strong>; e dunqueanche come utilizza gli organismi immediati della lotta economica, al di là di come essi formalmente appaiono.L'esperienza ci insegna che nessun sindacato resiste alla pressione di masse proletarie decise a raggiungereun risultato. C'insegna anche, attraverso una lunga storia di scontri, che di fronte alla determinazione proletariail sindacato può imboccare due strade: o viene travolto e distrutto o è costretto a far sue le istanze della base. Inquest'ultimo caso è ovvio che deve trasformarsi. C'è anche una terza prospettiva; che non è unicamentesindacale e che diventa possibile solo nei momenti di massimo scontro generalizzato. È quella in cui i sindacatisono superati come strumenti da un movimento che va oltre le richieste economiche contingenti. In questo casoil legame fra proletari diventa politico e prende altre forme, che possono variare a seconda della situazionestorica. Così successe in Russia nel 1917 con la nascita dei soviet.Così successe in Polonia nell'80, quando il sindacato ufficiale fu spazzato via da un possente moto dalbasso e nacque Solidarnosc, un miscuglio sindacale che divenne subito organismo politico intermedio, anchese poi degenerò in partito borghese a causa della situazione interna e mondiale. Tali prospettive non sarannomai possibili se permangono la convinzione che la lotta di carattere economico immediato debba avere lecaratteristiche attuali, e la pratica del fronte unico fra sindacalismo istituzionale e sindacalismo "di base":finalizzata all’utilizzo della grande forza proletaria nella difesa di garanzie e “diritti” entro il quadro della societàcapitalistica.44


Il lavoro dei comunisti non è indirizzato ad intaccare il “diritto” alla proprietà dei padroni, non lavoriamo perdistribuire la ricchezza, ma per intaccare la possibilità storica che la borghesia possa esercitare il suo poterecon lo sfruttamento dei lavoratori.L’obiettivo finale di una lotta efficace è l’esproprio degli espropriatori (i capitalisti): ma tale obiettivo richiede– da parte dei lavoratori – la consapevolezza di essere classe mondiale. Solo da questa consapevolezza èpossibile trarre autonomia, forza, resistenza, capacità d’uso delle tecnologie esistenti ecc, necessarieall’emancipazione. Essere insomma adeguati all’enorme potere di questo nemico, delegittimandone gli istituti, lepratiche falsamente “democratiche”, il garantismo illusorio; sottraendogli infine la forza militare e poliziesca concui si difende nel pieno disprezzo di ogni altra vita. Parte integrante di questo lavoro è la necessità dello studioeconomico teorico della modernissima accumulazione capitalistica, l’individuazione di valide strategie per lalotta di classe. Un lavoro volto a mostrare ai proletari lo sviluppo delle conoscenze critiche relative allo stadioeconomico-sociale attuale, al fine di spiegare una realtà presente e futura decisamente diversa da quella cheviene rappresentata dagli apologeti del sistema, mettendo infine in evidenza che ormai non esiste più alcunaintermediazione politica, sindacale ed istituzionale tra loro e questo mostro che si chiama capitalismo.45


FAME ED INSETTIQuando la FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione nel 1960 lanciò una chiassosacampagna contro la fame nel mondo, i grandi paesi capitalistici in piena fase di boom espansivo e quindi prontiad ogni tipo di affare, si impegnarono secondo la loro logica del profitto, (si ricorda la rivoluzione verde,l’incremento delle colture estensive ed intensive nei paesi del terzo mondo, le opere faraoniche di bonifica ecanalizzazione delle risorse idriche, la biotecnologia sulle sementi) a compiere tutti gli sforzi necessari perdebellare nel minore tempo possibile questo flagello. Sono trascorsi più di sessanta anni, ed i rappresentanti deipaesi più affamatori, rapaci e spreconi del mondo, affiancati dai rappresentanti di quelli rapinati, ad ogni loronuova conferenza mondiale, non possono che prendere impotentemente atto del fallimento di tutti i loropropositi.Nel frattempo le multinazionali dell’agro-alimentare e delle biotecnologie hanno visto moltiplicare i loroprofitti e la loro produzione verso un tipo di consumatore pagante ipernutrito (male) e pieno di patologie tossicoalimentari,mentre una metà della popolazione mondiale continua a patire la fame. 33L’alimentazione è uno degli esempi dove appare in maniera maggiormente stridente la contrapposizione trai bisogni umani (in questo caso il bisogno primario di qualunque specie vivente) ed il modo di produzionecapitalista. Le statistiche e le cifre che gli organismi internazionali sciorinano nei loro grafici documentano lecaratteristiche e le contraddizioni classiche del capitalismo: divario crescente fra produzione industriale eproduzione agricola troppo avara di profitti, con progressivo deterioramento e mineralizzazione di quest’ultima,diminuzione delle superfici coltivabili ed erosione del suolo. Concentrazione della produzione commerciale deisettori trainanti dell’alimentazione (grano, mais e sostanze proteiche) in mano a pochi grandi monopoli euroamericani,che operano secondo la logica della massima estorsione di plusvalore per ogni dollaro cheinvestono, e si sa che l’agricoltura che è legata a determinati cicli biologici della terra, non consente gli stessiprofitti dell’industria.Ecco allora che si produce per chi paga e paga meglio, si forza in tutte le maniere la produttività dei suoli, sifa operare la legge della rendita (i prezzi vengono tarati sui prodotti dei campi a più bassa produttività) conconseguente aumento del costo dei prodotti agricoli in rapporto alla loro produzione, fino alla produzione dibiocarburante da colture cerealicole e dalla canna da zucchero. (In questo senso è utile ricordare la crescitacostante della superficie agricola finalizzata alla produzione di energia per le macchine). A fronte di questaevidenza che inchioda inesorabilmente il modo di produzione capitalistico alla sua inefficienza ed incapacità dirispondere adeguatamente ai bisogni generali dell’umanità, cosa fanno ricercatori e scienziati sempre pronti arattoppare le falle nella barca del sistema con mirate teorie? Dal cilindro di questi signori, nell’ultima Conferenzainternazionale su "Le foreste per la sicurezza alimentare e la nutrizione” tenuta a Roma il 13-15 maggio scorso,è sorta l’idea di nutrire una parte dell’umanità con gli insetti. Cioè la proposta è quella di attingere direttamentedal patrimonio agro forestale e dagli insetti che dentro vi vivono una fonte alimentare, non più casualmente,come miliardi di persone fanno già da tempo in alcune zone del mondo, 34 ma “sfruttando”, parola magica che fadrizzare le antenne a tutti gli affaristi, queste risorse in modo più sistematico ed industriale. "Il settore privato èpronto ad investire nell'allevamento degli insetti. Abbiamo enormi opportunità davanti a noi ", ha detto PaulVantomme, uno degli autori del rapporto. “Allevare insetti in modo sostenibile potrebbe contribuire ad evitareuna sovrapproduzione, che potrebbe avere conseguenze sulle specie più pregiate. Alcune specie, come adesempio i vermi pasto, vengono già prodotte a livello commerciale, e sono utilizzati in mercati di nicchia comealimenti per gli animali domestici, per i giardini zoologici e come esche nella pesca da diporto. Se la produzionedovesse essere ulteriormente automatizzata, questo alla fine abbasserebbe i costi a un livello in cui l'industria33 Il cibo è una merce che è sempre in uno stato di sovrapproduzione e, spesse volte, si procede alla sua distruzione per non farabbassare troppo i prezzi. A fronte di questo, gran parte dell’umanità soffre la fame e, inoltre, una pletorica quantità di cibo vieneusata per l’alimentazione animale. L'Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) stima che la metà degli esseri umani, circa 3miliardi di persone, soffra di un qualche genere di malnutrizione. Una persona su cinque nei paesi in via di sviluppo soffre della piùgrave tra le varianti della malnutrizione - la fame.34 Lo dice l'ultimissimo studio della FAO: “gli insetti sono già elemento essenziale della dieta quotidiana di 2 miliardi dipersone”.46


potrebbe trarre profitto dal sostituire per esempio la farina di pesce, con farina di insetti per l'alimentazione delbestiame. Il vantaggio sarebbe un aumento della disponibilità di pesce per il consumo umano.” 35Il Capitale, per continuare a salvaguardare la propria esistenza, ed impedire che la classe che le fornisce ilplusvalore si metta sulla strada delle rivolte sociali in grado di minare la stabilità del sistema stesso, prepara ilterreno costringendo poi, scienziati ricercatori e politici a produrre ricerca, scoperte e decisioni politicheconseguenti. Ecco dunque che a fronte del suo fallimento sul piano agro-alimentare, si comincia a preparare ilterreno a partire dagli studi di laboratori universitari, dalle conferenze internazionali degli enti sovrastatali perarrivare ai governi, al fine di convincere le popolazioni che è un ottimo affare trasformare in cibo gli insetti. A talproposito si forniscono cifre per varare leggi a favore di un capitalismo “sostenibile” quanto a buon senso e asterili enunciazioni volte a migliorare le condizioni alimentari della popolazione mondiale, ma criminale neirisultati pratici.Se da migliaia di anni intere popolazioni hanno vissuto in un sistema di equilibrio naturale sfruttando leforeste e cibandosi anche di insetti, al di là delle differenze storico culturali, non ci dovrebbero essere difficoltà ainserire nelle diete alimentari future anche gli insetti. In una società razionale dove non operano il profitto e larendita, forse non ci sarebbe bisogno di ricorrere a questi “prodotti alimentari”, ma nella società capitalistica,l’interesse mostrato dalle multinazionali verso questo settore, diventa preoccupante, visto come il continuoallargamento dello sfruttamento capitalistico del patrimonio biologico ha alterato il pianeta. 36Nella società capitalistica non è possibile utilizzare con criteri scientifici non soltanto i terreni coltivati o iterreni incolti, ma anche tutte le riserve di biomasse alimentari e non alimentari. Dove il Capitale comincia areclamare proprietà del suolo, sfruttamento di risorse alimentari o minerali, monopolio sul suolo, sui brevetti esulla ricerca, non ci potrà mai essere una risposta alla fame nel mondo, ma rincorsa ad ulteriori incrementi diprofitti e di rendita dei suoli (le foreste in questo caso e tutto quello che dentro si muove). Questa è unacondizione permanente fintanto che durerà il capitalismo, si tratta di un processo storico irreversibile, comedimostra la crescente colonizzazione dei terreni e delle fonti di cibo tradizionale delle popolazioni indigene daparte dell’industria alimentare e tessile internazionale. Soprattutto, non sarà mai attraverso i canali della FAO odi analoghi enti, organizzati nel proposito illusorio di far fronte a situazioni di cui si denuncia il costanteaggravamento, a spiegarci come in una economia mercantile la fame possa essere “risolta”.Per approfondire l’argomento si rimanda a letture più ampie:• Mai la merce sfamerà l’uomo ed. Iskra, (disponibile su richiesta)• La Mineralizzazione, pubblicato sulla <strong>rivista</strong> del 2012 e disponibile sul nostro sito internet• Articolo <strong>rivista</strong> “Sul filo rosso del tempo” del 2008 “Capitalismo ed alimentazione umana”35 La Republica.it del 15 maggio <strong>2013</strong>36 Vedere il lavoro pubblicato sulla <strong>rivista</strong> 2012 e sul nostro sito sulla “Mineralizzazione”47


A QUANDO UN PRIMO MAGGIO DEI LAVORATORI?Non abbiamo particolari propensioni per le ricorrenze solenni, per le celebrazioni a data fissa. Il movimentoproletario è fatto di lavoro oscuro, impersonale e quotidiano, non di esibizioni saltuarie e di parate. E tuttavia,ogni anno lo spettacolo del rosso Primo Maggio vestito in tricolore e avvolto in nuvole d'incenso ci farimescolare il sangue.Scrivevamo in un volantino del 1957:“I cinque operai impiccati a Chicago combatterono nel maggio 1886 e caddero in una lotta che nonconosceva frontiere; il loro sacrificio non appartiene ad un proletariato nazionale, meno che mai ad una"nazione", ma al proletariato di tutti i Paesi. Erano membri attivi di un'organizzazione rivoluzionaria,ideologicamente ancora gracile ma genuinamente e gagliardamente classista, erano antiriformisti edantischedaioli. Non si appellavano a costituzioni solenni o a codici scritti e non scritti; sapevano di violarli,sapevano di essere i bersagli dei loro articoli capestro. Rappresentavano ottantamila scioperanti che per quattrogiorni tennero in scacco l'apparato di difesa della classe dominante; non marciavano alla testa di cortei chemescolavano operai e bottegai, braccianti ed usurai o sbirri. Penzolarono dalle forche non del fascismo madella democrazia, sono stati i simboli di una società irrimediabilmente divisa in classi antagoniste, non di unaipotetica nazione unita in blocco nel rispetto della legge o dei precetti cristiani. Il Primo Maggio fu scelto dalmovimento proletario internazionale in loro onore, e a monito della solidarietà internazionale dei lavoratoricontro il Capitale; la sua bandiera fu rossa dovunque, contro i mille colori degli stendardi dei detentori di unapatria, venerata e coccolata come i conti in banca, e pronta a farli scannare in una nuova guerra.Una genia di traditori scende oggi nelle piazze a celebrare un Primo Maggio patriottico, costituzionale,democratico, legalitario, interclassista e bacchettone, fra messe e fanfare nazionali, fra genuflessioni eabbracci; intona l'Inno di Mameli a maggior gloria dell'infame società cui diedero l’assalto i comunardi di Parigi, imartiri di Chicago, gli operai in tuta o i marinai in casacca di Berlino e di Pietroburgo, e che rispose loro colpiombo e con la forca: il Primo Maggio di Giuda”.La classe dominante pretende e pretende ancor più oggi il controllo totale sulle vite dei dominati. Noncontenta, intreccia sulle loro teste la sua macabra danza rituale che chiama festa del lavoro, con le autoritàpolitiche e sindacali sui palchi pronte ad inneggiare ai nuovi sacrifici; pronte a ripetere le stucchevoli esortazioniaffinché i lavoratori trangugino l’amara medicina della precarietà, della disoccupazione e del lavoro sottopagato.Cercano disperatamente di fare in modo che, attraverso un maggiore saggio di sfruttamento del lavoro, sirealizzi il miracolo di un’impennata del saggio di profitto. Tutto, pur di far ripartire l’accumulazione capitalistica.Questo Primo Maggio <strong>2013</strong> coincide con l’arrivo d’ulteriori legnate alle condizioni di vita dei lavoratori e,quindi, il festeggiato dal meccanismo sociale dominante non è altro che il proletario, destinato ad una cadutasenza fine dentro la ‘festa’ infernale a base di sfruttamento e precarietà estrema preparatagli dall’economiacapitalistica. In questo quadro sociale di diffuso peggioramento della vita dei proletari, si distingue la funzione disupporto sostanziale e formale dei sindacati tricolore ai dettami dell’economia capitalistica e al dominio diclasse della borghesia. E’ inevitabile notare come i sindacati ufficiali stiano intensificando - senza nessunafinzione - gli inviti alla “gestione comune della crisi”, cioè alla collaborazione di classe fra sfruttati e sfruttatori,raccontando la solita miserevole favola sulla necessità di fare sacrifici in vista di un vantaggio futuro.Nonostante le parole dei politici sulla fine delle differenze tra le classi (siamo tutti sulla stessa barca), nelXXI secolo la lotta di classe è viva e vegeta e l’iniziativa, al momento, è nelle mani dei padroni, L’offensivaborghese colpisce i lavoratori, i disoccupati e i sottoccupati, gli immigrati, i precari, le donne, mentre la granparte del proletariato, invece di combattere il meccanismo sociale che la condanna ad un lavoro che non c’èpiù, si incatena o protesta inutilmente per il “privilegio” di lavorare, condannandosi così a rimanere schiacciatadentro quelle istituzioni che hanno lo scopo di perpetuare la sua vita miserabile di sfruttamento e povertàcrescente.Invece di scendere ad inutili compromessi col mostro capitalista, è arrivata l’ora di combatterlo; è arrivatal’ora di fare della lotta una realtà quotidiana. Noi dobbiamo riappropriarci dell’arma dello sciopero e poi, inragione della nostra forza numerica, iniziare a spezzare la gabbia sociale dominante dello sfruttamento.48


La classe lavoratrice è ancora divisa e frammentata: tra immigrati e nativi, tra giovani e vecchi, tra Nord eSud, tra settore privato e settore pubblico; e inoltre dai confini nazionali, di razza, di lingua, di religione, dicolore, di educazione e di fabbrica. Ma sono i lavoratori salariati di ogni condizione che subiscono di più la crisie così, tra i resti straziati di una civiltà in decomposizione, difesa soltanto da squallidi mercenari inglobatinell’apparato politico-sindacale e poliziesco dello stato borghese, erompono i primi conflitti sociali fra sfruttati esfruttatori, i primi segnali di un’insubordinazione sociale potenzialmente ampia e pericolosa.L’anno appena trascorso ha visto segni di speranza per la rinascita di un movimento operaio classista. Ilprimo Maggio del 2012 c’è stata la più grande celebrazione della Giornata <strong>Internazionale</strong> dei Lavoratori, con lachiamata allo sciopero generale condiviso dai lavoratori in centinaia di città nel mondo. Da allora abbiamoassistito alla crescita della resistenza della classe operaia con un deciso profilo di organizzazione dentro e fuorile strutture sindacali tradizionali, con il più grande sciopero della storia in India, i continui scioperi selvaggi inCina, gli scioperi generali contro l’austerità in Europa, Nord Africa e Usa. Anche in Italia, una grandemobilitazione ha avuto come protagonisti diretti i lavoratori della logistica in una corale lotta di classe per lariconquista della dignità e dei diritti nei posti di lavoro. Una lotta caratterizzata da decine di blocchi e datantissime astensioni dal lavoro che ha provocato un ingente danno economico alle committenze e allecooperative responsabili di moderne forme di schiavismo, di ricatti mafiosi dei caporali, di connivenze conistituzioni e con sindacati venduti . Un’ importante prova e un importante segnale di grande compattezza e digrandissima solidarietà tra lavoratori del settore: una solidarietà reale nella quale gli uni si sono mossi asostegno degli altri.I lavoratori che cominciano ad organizzarsi ed a lottare a partire dai luoghi di lavoro è fondamentale cheportino la lotta nelle strade e nelle piazze. Occorre usare strumenti e metodi di lotta che diano soluzioniimmediate per quelle comunità colpite dalla disoccupazione, dal peggioramento delle condizioni di lavoro, daitagli alla spesa pubblica e dalla continua azione repressiva della polizia e delle milizie private dei padroni.È necessaria un’azione che vada al di là della semplice sostituzione dei governanti, o del pietire elemosinesociali: un’azione che imprima al movimento una nuova direzione, che riconosca la necessità di trovare modi diprovvedere ai nostri bisogni che superino le forme di assistenza statale. La caduta nel girone infernale della50miseria estrema e dello sfruttamento intensivo della forza lavoro non è destinata ad interrompersi Se ilproletariato vuole difendere la sua nuda esistenza, giunti a questo punto, può solo organizzarsi e lottare sualcune parole d’ordine basilari come il salario integrale a tutti coloro che hanno perso il lavoro, o che non hannoun lavoro, forti aumenti salariali (maggiori per le categorie sottopagate) e una riduzione generalizzata dell’orariodi lavoro a parità di salario.Noi dobbiamo ricominciare a lottare per difendere le nostre condizioni di vita e di lavoro perché non ci sarànessuna speranza di vittoria, se non inizieremo a combattere per noi stessi, rivendicando i mezzi di sussistenzaelementari dei quali ogni giorno continuiamo ad essere espropriati.Tornerà il Primo Maggio proletario: sarà il giorno non della grande capitolazione, madella grande sfida.<strong>Partito</strong> <strong>Comunista</strong> <strong>Internazionale</strong>(Sul Filo Rosso del Tempo)Sede: via Porta di Sotto n.43, Schio (VI) – aperta il sabato dalle ore 16.00 alle 19.00E-mail: sinistracomunistaint@libero.itSito internet: www.sinistracomunistainternazionale.it1/5/<strong>2013</strong> – Fotocopiato in proprio49


INDICEABBASSO LA REPUBBLICA BORGHESE ABBASSO LA SUA COSTITUZIONNE……... pag. 2A PROPOSITO DI RIFORMA E COMPETIZIONE ELETTORALE….................................... pag. 9LA FARSA ELETTORALE……………………………………………………………………….. pag. 11OPPORTUNISTI NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE………………………………………… pag. 15NOTA CRITICA SULLA “DECRESCITA”………………………………………………………. pag. 18L’ILLUSORIA DECRESCITA…………………………………………………………………….. pag. 23LO SCONCERTO DEI POPOLI FEDELI AL VATICANO ED AL PARLAMENTO………….. pag. 25PARTITO D’ORDINE CERCASI…………………………………………………………………. pag. 32LE CONDIZIONI DI VITA DEI PROLETARI SONO DESTINATE AD UNPEGGIORAMENTO CONTINUO……………………………………………………………….. pag. 38ALIMENTAZIONE – FAME ED INSETTI………………………………………………………. pag. 46A QUANDO UN PRIMO MAGGIO DEI LAVORATORI?........................................................ pag. 48Chiusa nel mese di <strong>giugno</strong> <strong>2013</strong>Questa <strong>rivista</strong> è interamente redatta, composta e amministrata da militanti comunisti che lavoranoper la ricostruzione del <strong>Partito</strong> <strong>Comunista</strong> <strong>Internazionale</strong> rivoluzionario della classe operaia. Ma viveanche con il contributo dei proletari, lettori e simpatizzanti.Sostenetela!Distribuita in proprio51


È compagno militante comunista rivoluzionario chiha saputo rinnegare, strapparsi dalla mente e dalcuore la classificazione in cui lo iscrisse l’anagrafedi questa società in putrefazione e vede econfonde se stesso in tutto l’arco millenario chelega l’ancestrale uomo tribale, lottatore con lebelve, al membro della comunità futura, fraternanell’armonia gioiosa dell’uomo sociale.Indirizzi• via Porta di Sotto n.43 – 36015 Schio (Vicenza)• http/www.sinistracomunistainternazionale.it• E-mail: sinistracomunistaint@libero.it

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