sono obbligati a prendere decisioni di tipo tecnico imposte dal debito nazionale e dalla crisi, invece, sotto leapparenze di decisioni tecniche, si celano gli interessi della classe dominante borghese, scelte finalizzate aincrementare lo sfruttamento dei lavoratori, per rilanciare il ciclo d’accumulazione del capitale.La figura del cittadino elettore presenta delle bizzarre particolarità, già evidenziate nell’analisi del lontano1948, “Il meccanismo elettorale è oggi caduto nel campo inesorabile del conformismo e della soggezione dellemasse alle influenze dei centri ad altissimo potenziale, così come i granelli di limatura di ferro si adagiano docilisecondo le linee di forza del campo magnetico. L'elettore non è legato ad una confessione ideologica né ad unaorganizzazione di partito, ma alla suggestione del potere, e nella cabina non risolve certo i grandi problemi dellastoria e della scienza sociale, ma novantanove volte su cento il solo che è alla sua portata: chi vincerà? Cosìcome fa il giocatore alla Sisal; e, di più, imbrocca meglio chi non ha nessuna competenza sulla materia delgioco e mentisce alle sue stesse intime simpatie”.Oggi spopola la categoria degli esperti di politica da bar sport, pronti a dissertare di elezioni e vittorieelettorali come fa il giocatore del lotto e dei vari giochi affini, una vana ricerca del chi vincerà, in cui perde solochi non ha capito l’impossibilità che “comunque per via democratica possano le classi sfruttate arrivare alpotere”. A cosa si riduce la farsa elettorale, allora, se non nella promessa del potere, di lembi di potere, per isolerti candidati parlamentari al lavoro di funzionari del capitale? Oggi come nel 1948 restano valide le stesseconsiderazioni sul ruolo farsesco e mistificatorio delle elezioni, un’organizzazione marxista propone altre mete“Con uno schieramento delle forze della classe operaia al di fuori della tattica del fronte unico e popolare, cherifuggisse da rivendicazioni antitetiche al programma proletario e da promesse di vittorie legali, che avessesaputo disprezzare la illusoria conquista rappresentata dal riottenimento della facoltà democratica, ben altraposizione di resistenza avrebbero ora dinanzi a sé i piani di assoggettamento del capitalismo di oltreoceano…”.Sembra di essere ai giorni nostri, costretti a rendere conto ai diktat dell’Europa, dell’America e dei centrimonopolistici dominanti.Come ultima riflessione, si osserva che la farsa elettorale è terminata, gli attori sociali (eletti ed elettori)ritornano alle faccende normali, alla vita di sempre, alla “soddisfacente laboriosità” del lavoro nelle officine, neicampi e negli uffici. Un lavoro quotidiano in cui gli elettori proletari continueranno a essere dominati e distruttidal capitale, e gli eletti in parlamento, voteranno le leggi per garantire democraticamente al capitale dicontinuare a dominare e distruggere i proletari che li hanno mandati a governare. Proponiamo un passo trattodalle opere di Marx, “…il capitale, nel suo smisurato e cieco impulso, nella sua voracità da lupo mannaro dipluslavoro, scavalca non soltanto i limiti massimi morali della giornata lavorativa, ma anche quelli puramentefisici. Usurpa il tempo necessario per la crescita, lo sviluppo e la sana conservazione del corpo. Ruba il tempoche è indispensabile per consumare aria libera e luce solare. Lesina sul tempo dei pasti e lo incorpora, dove èpossibile, nel processo produttivo stesso, cosicché al lavoratore viene dato il cibo come a un puro e semplicemezzo di produzione, come si dà carbone alla caldaia a vapore, come si dà sego e olio alle macchine”. 25Il proletario elettore ha espresso liberamente il suo voto, mandando in parlamento i suoi rappresentanti, eora la rappresentazione farsesca purtroppo è finita; in quella recita sfavillante ci si poteva illudere di contarequalcosa, di essere un cittadino con uguali diritti. Il risveglio è molto amaro, quando significa ritrovarsi nellacondizione di una merce umana al servizio del profitto del capitale. Riprendiamo la lettura del testo di Marx“Come capitalista, egli è soltanto capitale personificato. La sua anima è l’anima del capitale. Ora il capitale haun unico istinto vitale, l’istinto cioè di valorizzarsi, di creare plusvalore, di assorbire con la sua parte costante,che sono i mezzi di produzione, la massa di plus-lavoro più grande possibile…Quindi il capitale non ha riguardiper la salute e la durata della vita dell’operaio, quando non sia costretto a tali riguardi dalla società.Al lamento per il deperimento fisico e mentale, per la morte prematura, per la tortura del sopralavoro, ilcapitale risponde: dovrebbe tale tormento tormentar noi, dal momento che aumenta il nostro piacere (ilprofitto)? Ma, considerando il fenomeno nel suo complesso, tutto ciò non dipende neppure dalla buona o cattivavolontà del capitalista singolo. La libera concorrenza fa valere le leggi immanenti della produzione capitalisticacome legge coercitiva esterna nei confronti del capitalista singolo”. 2625 Il Capitale, libro primo, sezione III, capitolo 8.26 Il Capitale, libro primo, sezione III, capitolo 8.26
Qualcuno potrebbe obiettare che tali analisi sono vecchie di oltre un secolo e mezzo, e quindi ormaisuperate; ma forse due semplici esempi potrebbero smontare la tesi sull’inattualità delle citazioni tratte dalCapitale di Marx: Ilva di Taranto, Thissen Group e recente sentenza giudiziaria connessa.Sappiamo bene che una pervicace illusione può spingere a negare anche i fatti più evidenti, rendendoopinabile ogni scoperta di concatenazioni di causa/effetto negli eventi contingenti, per cui, alla fine, i morti sullavoro e il mortifero inquinamento ambientale, possono essere letti come tragiche fatalità, oppure come costiinevitabili del progresso. Tuttavia, la rimozione della realtà torna utile solo ai padroni del vapore, le vittime delsistema dominante dovrebbero avere, forse, altre priorità. Il testo che ci accingiamo a ripresentare risale al1948, in esso è contenuta un’analisi di quel periodo storico e delle sue figure politiche di riferimento: oggigiornogli attori sociali contemporanei portano altri nomi e cognomi, e tuttavia non è cambiata la scena su cui recitanola loro parte, sostanzialmente invariata rispetto al 1948, ma anche rispetto al periodo in cui Marx scriveva le sueanalisi. Il lettore attento ritroverà in quelle analisi la conferma elementare del vecchio detto: sono cambiati isuonatori, ma la musica è rimasta la stessa.FEBBRAIO <strong>2013</strong>DOPO LA GARIBALDATA (PROMETEO N. 10 del <strong>giugno</strong> 1948)Nuovi avvenimenti finiscono di spegnere gli echi della grande battaglia elettorale italiana di aprile, edimostrano che la forza economica del dollaro può parimenti attuare le sue conquiste con e senza le bombe diaereo di Grecia, con e senza le schede d'Italia. Passata la pietosa scalmana, è più facile far capire quanto giàallora era di solare chiarezza, che da quello spareggio numerico nulla poteva derivare e che dopo il 18 famosotutto sarebbe continuato ad andare come prima in Italia. Eppure, in quei giorni vari milioni di poveri succubicredettero di avere in mano nella scheda dai tanti simboli la chiave per fare la storia.Alta tra le tante reciproche rampogne dei contendenti fu quella che rinfacciava al Fronte la sua malafede nelpaludarsi del segno garibaldino, e gridò all'offesa recata al nome dell'Eroe nazionale da quello che lapropaganda antifrontista dipingeva come pericolosi rivoluzionari pronti a far saltare le strutture della società,della patria e dello Stato.Se scandalo vi fu, non era quello di aver disonorato Garibaldi facendone il segnacolo di forze antinazionali,ma quello invece di aver preteso di rappresentare sotto quel simbolo le forze, le tradizioni e gli ideali dellaclasse operaia rivoluzionaria, e l'offesa era recata non al ricordo del Generale, idolo a giusta ragione dellegenerazioni borghesi ottocentesche, bensì alle migliori e più degne tradizioni del movimento proletario italiano,che le inesauribili risorse del super-opportunismo nostrano non perverranno a obliterare e cancellare dallastoria.Nel 1905, ricorrendo il centenario della nascita di Giuseppe Garibaldi, l'Italia ufficiale organizzòfesteggiamenti e commemorazioni. La tendenza a gettarsi in questo movimento per dargli «un carattere disinistra» era tanto banale quanto ovvia. Garibaldi era stato sempre presentato letterariamente non solo comeavversario della monarchia e del Vaticano, ma come campione dell'indistinto democratismo internazionaleavanzato; ed era citato come autore della frase divenuta ritornello dell'Inno dei Lavoratori: «Il socialismo è ilsole dell'avvenire». La borghesia di destra onorava in lui il generale vittorioso e il fondatore dell'unità nazionalein alleanza ai Savoia; poteva sembrare un vero trionfo avanti lettera della tattica «bolscevicoleninista »(presentata oggi come l'ultimo trovato «900» dell'abilità rivoluzionaria) quello di gettarsi dentro, costellare icortei di bandiere rosse e sopraffare le note ufficiali della marcia reale con le grida di: Viva Garibaldi! Abbasso ilPapa e il Re!Il movimento operaio italiano di allora era aderente ad uno scarso tessuto sociale industriale, era di recentetradizione marxista, sia teorica che organizzativa, in quanto i suoi primi decenni si erano ispiratiprevalentemente ad indirizzi di facile sovversivismo romantico e all'epoca della Prima <strong>Internazionale</strong> vidominavano i bakuniniani, mentre solo nel 1892 i socialisti marxisti si erano separati dagli anarchici come27