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Numero 109 - Anno XVIII, Novembre/Dicembre 2010

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sparizione della “moneta” in Sicilia<br />

con una crescente crisi finanziaria<br />

dovuta «all’emissione di un estesissimo<br />

numero di polizzini di piccolo<br />

taglio pagabili al portatore» (sempre<br />

il Giuffrida, ibidem).<br />

Questa crisi strisciante, che<br />

caratterizzò con vari scandali tutta<br />

l’Italia, si concluse con un apposito<br />

atto legislativo che fu emanato l’11<br />

agosto del 1867, allorquando il Governo,<br />

per rispondere alle richieste<br />

degli stessi siciliani, trasformò il<br />

Banco di Sicilia, unico stabilimento<br />

pubblico dell’Isola, in “Ente Morale<br />

Autonomo”, annettendovi le Casse<br />

di Sconto fino a quel momento autonome.<br />

Per inciso, analoga trasformazione<br />

ebbe luogo anche per il<br />

Banco di Napoli. E fu così che i due<br />

banchi meridionali nel 1867 divennero<br />

istituti di credito autonomi, pur<br />

se a capitale pubblico, sottraendo<br />

alla Banca Nazionale il monopolio<br />

dell’emissione della carta moneta<br />

attraverso l’autorizzazione ad emettere<br />

polizzini di cassa e fedi di credito,<br />

richiedibili a titolo gratuito per<br />

evitare di portare con sé masse monetarie<br />

ingenti da una parte all’altra<br />

dell’Italia, titoli negoziabili a vista al<br />

portatore presso ogni filiale in Italia<br />

anche della Banca Nazionale.<br />

La prima espansione e la<br />

direzione di Notarbartolo<br />

Un’ulteriore valorizzazione<br />

del Banco di Sicilia avvenne con la<br />

progressiva apertura di nuove filiali<br />

in Sicilia (le prime a Catania, Girgenti,<br />

Trapani e poi a Caltanissetta,<br />

Siracusa e pian piano anche nel<br />

“continente”) e con l’autorizzazione<br />

già nel 1870 a effettuare operazioni<br />

di credito fondiario. Fra una crisi<br />

finanziaria e l’altra, qualche anno<br />

più tardi, la legge Minghetti del<br />

1874 autorizzò sei banche in Italia,<br />

fra cui il Banco di Sicilia, ad emettere<br />

“biglietti di banco”; in cambio<br />

queste sei banche, riunite in consorzio,<br />

avrebbero concesso allo<br />

stato un prestito di un miliardo di<br />

lire, una enormità per l’epoca, a<br />

causa delle cattive condizioni del<br />

bilancio dello stato.<br />

Ma mentre le altre banche<br />

cessarono questa attività nel 1893,<br />

il Banco di Sicilia ebbe il privilegio<br />

insieme al Banco di Napoli di proseguirla<br />

ininterrottamente fino al<br />

1926, affiancando l’istituto di emissione<br />

che continuò a gestire la<br />

tesoreria di stato, anche se la denominazione<br />

“Banca Nazionale”<br />

con la legge 449 del 1893 (che<br />

riordinò dopo le varie crisi finanzia-<br />

Banconota di 1 lira emessa dal Banco di Sicilia,<br />

nella sua funzione di istituto di emissione proseguita fino al 1926<br />

rie di fine ‘800 la banca) fu modificata<br />

definitivamente in “Banca<br />

d’Italia”.<br />

Il massimo prestigio del<br />

Banco di Sicilia a fine ‘800 corrispose<br />

alla gestione del Direttore<br />

Generale Emanuele Notarbartolo,<br />

che era stato fra i seguaci di Garibaldi<br />

e che per circa tre anni era<br />

stato anche Sindaco di Palermo,<br />

uomo integerrimo che, fra le altre<br />

azioni intraprese per rendere più<br />

solida la banca e per aumentarne<br />

la funzionalità, riuscì ad avere affidata<br />

dallo stato la gestione finanziaria<br />

delle opere pubbliche e quella<br />

del credito agrario. Oltre a ciò la<br />

grande intuizione del Notarbartolo<br />

fu quella dell’apertura di una rete<br />

di agenzie (non di sedi come lo erano<br />

state le prime filiali), sì autonome,<br />

ma “controllate da una operazione<br />

superiore”, cioè appunto<br />

da sedi capozona. Oltre<br />

all’apertura di Roma, Milano e Reggio<br />

Calabria, la banca iniziò la sua<br />

espansione in centri di grande interesse<br />

commerciale (per lo zolfo,<br />

per l’agricoltura, per il commercio),<br />

come Caltagirone e Sciacca.<br />

Emanuele Notarbartolo, Direttore<br />

Generale del Banco di Sicilia dal<br />

1876 al 1890, assassinato dalla<br />

mafia il 1° febbraio 1893<br />

IL CLUB n. <strong>109</strong> – pag. 43<br />

Il suo lavoro al Banco di<br />

Sicilia non fu però semplice, e non<br />

solo per le continue crisi finanziarie<br />

che attanagliavano l’Italia del tempo.<br />

Il consiglio generale della banca<br />

era composto infatti principalmente<br />

da politici, molti dei quali<br />

collegati ad apparati locali di potere<br />

o peggio collusi anche con la<br />

mafia. Per di più, durante il governo<br />

Depretis furono affiancati a Notarbartolo<br />

due personaggi a lui notoriamente<br />

ostili, tra cui il parlamentare<br />

Raffaele Palizzolo. Il deputato,<br />

come si sussurrava<br />

all’epoca in tutti gli ambienti, era<br />

colluso con la mafia locale e le sue<br />

speculazioni avventate avevano<br />

già creato non pochi screzi con il<br />

Notarbartolo.<br />

Nel 1882 Emanuele Notarbartolo<br />

fu addirittura oggetto di un<br />

sequestro, con la liberazione avvenuta<br />

solo a seguito del pagamento<br />

di un riscatto. Ma fu solo il prologo<br />

della sua triste fine: dopo la manifesta<br />

progressiva ostilità cui andò<br />

sempre più incontro nella sua azione,<br />

Notarbartolo fu infine costretto<br />

dopo 14 anni alle dimissioni<br />

dalla carica di Direttore Generale e<br />

addirittura a intentare una causa<br />

con lo stesso Banco di Sicilia che<br />

gli negava la dovuta pensione. Infine,<br />

il 1° febbraio 1893, mentre<br />

era sul treno che da Termini Imerese<br />

lo avrebbe condotto a Palermo,<br />

nei pressi di Trabia venne ucciso<br />

con 27 colpi di pugnale da<br />

Matteo Filippello e Giuseppe Fontana,<br />

legati alla mafia siciliana.<br />

Questo caso avrebbe acceso un<br />

importante dibattito sulla situazione<br />

della mafia in Sicilia e in Italia<br />

e, soprattutto, sulla collusione tra<br />

mafia e politica, ma inizialmente<br />

nessuno osò fare nomi. Solo nel<br />

1899 la Camera dei Deputati au-

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