Un testo particolarmente illuminante per comprendere la posizionedi questo autore nei confronti dell’educazione (e quindi <strong>della</strong> socializzazione)è L’éducation, sa nature e son rôle, pubblicato per la prima volta nel1911 nel Nouveau Dictionnaire de pédagogie, a cura di F. Buisson e poi ripubblicatodall’autore nel 1922 nell’opera Éducation et Sociologie 5 .Questo testo, secondo il suo stile, inizia con una disamina critica delleimpostazioni filosofiche e pedagogiche a lui contemporaneedell’educazione. Pur analizzandole singolarmente, le accomuna poi inun’unica critica di tipo generale: queste visioni pedagogiche e filosofichenon contestualizzano l’educazione storicamente e all’interno di societàconcrete, e soprattutto non considerano l’educazione come un insiemecostituito anche da pratiche e istituzioni.Focalizziamo a questo punto la prima definizione data da Durkheim,proprio a partire da una preoccupazione metodologica: l’educazione èun “fatto sociale”. Come è noto, quello di “fatto sociale” è un concettochiavedell’analisi durkheimiana, che sviluppa nella sua opera del 1895Le règles de la méthode sociologique. Vi sono almeno due caratteristiche fondamentaliche, secondo questo autore, distinguono un fatto sociale:l’esternalità e la coercizione.Quindi, inizia a definire l’educazione come “fatto sociale”, considerandolain primis come un insieme di pratiche e di istituzioni (quindi “visibili”ed esterne all’uomo) che si sono andate consolidando lentamentenel tempo e che sono relazionate in maniera stretta alle altre istituzioni epratiche caratterizzanti un determinato sistema sociale, e che si impongonodall’esterno, con forza, al soggetto, il quale ad esse non si puòcontrapporre al di là di una certa soglia.E qui la visione durkheimiana dell’educazione sembrerebbe appariretotalmente deterministica. È pur vero che su questo vi sono pareridiscordanti, in quanto esistono altre letture più mediate relativamente aquesto determinismo così forte. Però, per quanto riguarda l’educazione,la preoccupazione che ha Durkheim in questa sua lettura è quella di dareuna definizione molto chiara e perentoria. Egli, infatti, afferma: “... inrealtà, ogni società, considerata ad un dato momento del suo sviluppo, ha un sistemadi educazione che si impone agli individui con una forza generalmente irresistibile. Èillusorio credere che noi possiamo allevare i nostri figli come vogliamo. Ci sono <strong>dei</strong>costumi cui siamo tenuti a conformarci; se ce ne allontaniamo troppo, essi si vendica-5 Le citazioni che seguono si riferiscono all’edizione italiana di Durkheim, 1922.12
no sui nostri figli. Questi, una volta adulti, non saranno più in grado di vivere inmezzo ai loro contemporanei coi quali non sono in armonia. Non importa che sianostati allevati in base ad idee troppo arcaiche o premature; in un caso come nell’altro,essi non appartengono al loro tempo e, di conseguenza, non si trovano in condizionidi vita normale”.Qui il messaggio è espresso molto chiaramente: ogni società è caratterizzatada un determinato modello di educazione, da un insieme di valori,di norme, di regole di comportamento, che si sono costruiti lentamentenel tempo. Sono norme, pratiche e valori che non sono stati inventatidalla mente di qualcuno, ma che sono il frutto di un’evoluzionesociale (questa è la filosofia durkheimiana) e si impongono in manieracostrittiva sul soggetto. Per meglio dire, devono imporsi in maniera costrittivase vogliamo mantenere la solidarietà sociale. Si tratta di un determinismoche appare molto forte, tanto che chi non si adegua al legamesociale, non lo accetta, o chi non viene formato ai valori su cui essosi fonda, è considerato un “deviante”, un “anormale” (“Essi non appartengonoal loro tempo e, di conseguenza, non si trovano in condizioni di vita normale”).In tal modo, prende corpo l’idea che l’educazione crei conformità,normalità, integrazione sociale (direi complessiva e totale) <strong>dei</strong> soggetti.Tale impostazione è stata spesso indicata come una delle peculiaritàdell’impostazione teorica durkheimiana, ed è interessante notare che aproposito dell’educazione ciò sia precisato con parole nettissime, percui si fa fatica a non pensare che la visione di Durkheim a proposito<strong>della</strong> socializzazione sia quella che è stata definita una visione “ultrasocializzata”6 . Una visione in cui, cioè, il soggetto è totalmente realizzatonella misura in cui è totalmente inserito e ha totalmente recepito quelliche sono i costumi <strong>della</strong> società del suo tempo: come è ribadito nelleRègles de la méthode sociologique, è proprio <strong>della</strong> natura del fatto socialel’avere un carattere di coercizione nei confronti del soggetto. Si pensiall’affermazione: “È illusorio credere che noi possiamo allevare i nostri figli comevogliamo”. Non solo colui che si deve formare, cioè il socializzando, ètenuto a conformarsi, e quindi raggiungere la normalità solo nella misurain cui assume i costumi <strong>della</strong> società, ma anche l’agente socializzatoreè vincolato alla trasmissione delle norme socialmente condivise. Gli a-6 Tale termine è ripreso da Wrong, 1961.13
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Rocher G. [1972], Talcott Parsons e