il gruppo o i gruppi ai quali apparteniamo; tali sono le credenze religiose, le credenzee le pratiche morali, le tradizioni nazionali o professionali, le opinioni collettive diogni tipo. Il loro insieme forma l’essere sociale. Il fine dell’educazione è costruire questoessere in ciascuno di noi”. Si vede chiaramente qui che analiticamente,per astrazione, Durkheim distingue tra un essere individuale e un esseresociale.L’essere individuale è quello che riguarda soltanto l’intimità <strong>della</strong> persona,la coscienza, l’essere sociale riguarda la vita di gruppo, la vita in società.Quindi sembra, almeno in via analitica, che Durkheim riconosca unaseparazione tra il soggetto e l’essere sociale, ma, in realtà, l’essere individualeè ridotto pressoché a niente o a molto poco. Non solo perchél’essere sociale finisce per diventare la maggior parte <strong>della</strong> coscienza delsoggetto, ma anche perché è l’essere sociale (nello spirito del suo tempo)a costituire il bene per eccellenza per l’individuo: quest’ultimo nonsta bene, non vive bene o non è realmente “uomo” se non all’interno <strong>della</strong>società.Qui siamo di fronte ad un’affermazione analiticamente precisa, inquanto, da un lato, riconosce un’esistenza individuale e astratta nella società,ma poi, dall’altro, sul piano concreto, relega quest’esistenza individualein limiti molto angusti. Essa non costituisce il nucleo portante<strong>della</strong> persona, l’elemento che garantisce il bene in assoluto del soggettoindipendentemente dalla società. Anzi, il discorso è rovesciato: è propriol’essere sociale il bene e l’espressione di massima autorealizzazione<strong>dei</strong> soggetti. Ma si tratta di una posizione tipica <strong>della</strong> posizioni liberalidel suo tempo, preoccupate di riferirsi a una definizione “laica”, orizzontale,di uomo, al di là <strong>della</strong> visione religiosa. E si tratta di una preoccupazioneche percorrerà le correnti ideologiche dominanti in tuttol’Ottocento fino ai primi del Novecento: come possiamo definirel’uomo indipendentemente dal suo legame con Dio? <strong>La</strong> risposta a taleinterrogativo individua un uomo che è totalmente orizzontale, che vienedefinito dal suo essere sociale.Ma la preoccupazione di Durkheim è quella di assumere un punto divista squisitamente sociologico e riguarda il capire che cosa è, e che significatiha, questa costruzione dell’essere sociale. In alcuni momentisembra che, come si diceva all’inizio, si tratti di una preoccupazione piùmetodologica che sostanziale. Pur essendo l’uomo costituito da unacomponente individuale e da una componente sociale, secondo questo26
autore i sociologi sono interessati a capire soprattutto quella sociale, adetrimento dell’altra.Studiare sociologicamente l’educazione significa quindi studiare lasocializzazione, e anche se, in linea puramente teorica, la socializzazionenon si risolverebbe pienamente nell’educazione, l’educazione come socializzazionenasce dall’esigenza di una conoscenza che voglia essere veramentesociologica.Ciò sembrerebbe potersi concludere a partire dal fatto che è tanta etale la preoccupazione di Durkheim per l’essere sociale, e di sostenereche solo attraverso la socializzazione si costruisce il “vero uomo”, che lospazio di questa individualità – anche dal punto di vista sostanziale enon solo metodologico – rimane molto ridotto e la sua rilevanza moltodiscutibile. Per cui anche se in linea di massima non si può negare che cisia una preoccupazione metodologica di non perdere il soggetto – comela già citata ricerca sul suicidio sembrerebbe dimostrare – e poi, concretamente,quando descrive il significato <strong>della</strong> costruzione di questo esseresociale, allora ci sembra di vedere un Durkheim totalmente convintoche la socializzazione sia il “cuore” dell’educazione.Tale problema induce a tal punto ad approfondire un altro aspettodel pensiero di questo autore.Egli si potrebbe definire un ambientalista convinto: secondo lui èl’ambiente a definire il soggetto. Tale posizione va riferita alla diatriba,ancora viva nel suo tempo, e che di volta in volta riemerge (stiamo tornandoin un periodo caldo <strong>della</strong> discussione), tra innatisti (ereditaristi) eambientalisti. I primi sostenevano che il soggetto era interpretabile apartire da tendenze innate, per cui il patrimonio biologico e fisiologicoera definito fin dall’inizio e la società poteva al massimo cambiare qualcosa,ma non cambiava gli elementi fondamentali legati agli stati fisici,intellettuali e morali del soggetto. Gli ambientalisti sostenevano, invece,che il soggetto nasceva sostanzialmente “vergine”, con pochi istintifondamentali, ed era la società che interveniva a definire tutti gli elementifondamentali <strong>della</strong> vita umana. Al tempo di Durkheim, a questadiscussione corrispondeva, peraltro, ad una divisione di natura politica:gli ambientalisti erano dalla parte delle politiche di tipo progressista, innovatore,quelli che, sostanzialmente, speravano che attraversol’intervento sociale si potessero risolvere i problemi. E, quindi, avevanouna visione ottimistica dello sviluppo e del futuro. Per cui la possibilità27
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Bibliografia essenzialeAlexander J.
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Rocher G. [1972], Talcott Parsons e