di intervenire sull’uomo, di cambiarlo, era fortemente legata alla possibilitàdi creare una società “buona”, la società che si voleva.Gli innatisti e ereditaristi erano, invece, fondamentalmente legati politicamentea visioni conservative, razzistiche, <strong>della</strong> società: essi tendevanoa sostenere che la realtà non si potesse cambiare, perché l’uomonon può essere cambiato oltre una certa soglia.Rispetto a tale diatriba, si vede in modo chiaro come Durkheim accolgain pieno l’idea di uomo legato e definito dall’ambiente, in quantousa proprio, in proposito, l’espressione “tabula rasa” riferendosiall’uomo in generale, pur non negando fino in fondo che ogni uomonasce con degli istinti di base, cioè degli elementi legati a delle caratteristichedi tipo fisico e biologico. Ma si tratta di caratteristiche che però alui non sembrano sufficienti a dotare l’uomo di tutte quelle abilità che lasocietà complessa richiede. Ed è qui che appare in modo evidente la distinzione-chiave<strong>della</strong> <strong>concezione</strong> antropologica del pensiero positivista:l’uomo non è un animale. L’uomo viene definito, cioè, per la sua distanzadall’animale, il quale ha già nel suo bagaglio ereditario e istintualetutti quegli elementi che, al di là di pochissime cose, possono servirgli adiventare un adulto. Invece questo non accade per l’uomo, il quale habisogno di essere allevato e l’entrata nella vita adulta, la maturazione delsoggetto, è lunghissima e soprattutto non può avvenire in solitudine:l’uomo da solo non può maturare tutte quelle competenze, quella abilitàche sono richieste da un vivere sociale che voglia essere progredito(l’idea è sempre quella di una società sviluppata). Per cui l’uomo è, fratutti gli esseri, quello che ha più bisogno di un lungo periodo di allevamentoper diventare soggetto adulto, e questo allevamento è fruttodell’intervento <strong>della</strong> società, o degli adulti che sono i mediatori <strong>della</strong> societàrispetto alle nuove generazioni.Il soggetto, in questa immagine, è fortemente plastico. Oltre che una“tabula rasa”, è una sorta di “spugna” che può assorbire tutto ciò che lasocietà gli trasmette. Si tratta quindi di una visione dell’uomo come passibiledi cambiamento in maniera totale, anche se sembra contrastarecon un’altra visione dell’uomo che ha Durkheim e che è presente anchenel saggio a cui ci si sta riferendo. Per Durkheim, infatti, se l’uomo nonè immesso in società, non si crea possibilità di relazione, non si creamoralità, non si crea etica. E l’uomo, lasciato a sé, in questa immaginedurkheimiana, è un uomo che sfodera solo degli istinti aggressivi. Dietroa questo vi è senz’altro l’idea hobbesiana di “homo homini lupus”.28
È chiaro che emerge una sorta di contraddizione, di ambiguità: dauna parte, abbiamo la definizione dell’uomo come “tabula rasa”, cioè diun soggetto che, lasciato a sé, non sa fare niente, non riesce neanche adiventare un soggetto adulto, però, contemporaneamente, dall’altra parte,vi è l’idea che se l’uomo è lasciato a sé e non vive in società non imparaa vivere in essa, non acquisisce le sue norme morali, è un soggettoanimale, nel senso peggiore del termine, perché non è detto che gli a-nimali siano sempre aggressivi; in questa visione, sono soggetti che sfoderanosolo la loro aggressività e si distruggono reciprocamente. Solo lasocietà è fondamento di morale – e questa è una visione, come già detto,totalmente laica – in quanto, dice Durkheim, è in grado di costruirequello che di positivo è nell’uomo. <strong>La</strong> morale è strettamente legata allanatura delle società ed è il risultato <strong>della</strong> vita in comune e, dice questoautore, “è la società che ci fa uscire da noi stessi, ci obbliga a tener conto di interessidiversi dai nostri, ci ha insegnato a dominare le passioni, gli istinti, a regolarli, a limitarci,a privarci, sacrificarci, a subordinare i nostri fini personali a fini più elevati”.Quindi c’è l’idea del bene totale raggiungibile soltanto attraversol’essere insieme, lo stare insieme. L’identificazione, di cui prima si è detto,dell’educazione con la socializzazione realizza non solo il bene <strong>della</strong>società, ma anche il bene del soggetto, perché soltanto entrando a farparte di un determinato nucleo sociale, il soggetto realizza il meglio dise stesso. E Durkheim questo lo afferma in maniera chiara: “l’individuo,volendo la società, vuole se stesso”. Quindi la relazione individuo/società nonsi può leggere come un antagonismo, ma come un’esigenza, anche per ilsoggetto, di reale crescita, di reale autonomizzazione, di reale maturazione.Per cui la libertà coincide sostanzialmente con l’accettare, anchevolontariamente, tramite questo percorso di socializzazione, quelle chesono le norme e i valori <strong>della</strong> società. Il soggetto non deve solo accettarein maniera totalmente adattiva quelle che sono le norme, le regole e ivalori, ma le deve accettare attraverso lo sviluppo del sapere scientifico,essendo consapevole che il suo bene consiste nel mantenimento delconsenso sociale, perché solo questo garantisce lo sviluppo sociale, esolo questo garantisce lo sviluppo del bene del soggetto.In questo si nota in Durkheim, ancora una volta, la preoccupazionetipica del suo tempo di individuare un fondamento all’idea eall’immagine di uomo che non debba rimandare alla coscienza religiosa,e quindi al legame prioritario con un Dio fuori dalla società. Chi èl’uomo? Questo è un interrogativo ausiliario a cui Durkheim cerca di29
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Rocher G. [1972], Talcott Parsons e