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cui fil rouge è la necessità del racconto<br />
di sé, nel tentativo di un’integrazione.<br />
L’ultima produzione,<br />
dal titolo San Vittore Globe Theatre<br />
- Atto II: Le Tempeste, spettacolo<br />
al femminile dedicato a<br />
Shakespeare e risultato del laboratorio<br />
di auto drammaturgia<br />
“Dentro/Fuori San Vittore” condotto<br />
dalla stessa Massimilla,<br />
andrà in scena il prossimo mercoledì<br />
4 ottobre al Piccolo Teatro<br />
Studio Melato.<br />
Oltre al CETEC, altra realtà artistica<br />
relativa al mondo del teatro<br />
in carcere che si è imposta nel<br />
panorama milanese è Opera Liquida.<br />
Ivana Trettel, regista della<br />
compagnia, ci ha spiegato il lavoro<br />
che dal 2009 svolge quotidianamente<br />
con i detenuti nella<br />
Casa di Reclusione Milano<br />
Opera.<br />
Dal nome della Compagnia<br />
risuona familiare il riferimento<br />
alla società liquida descritta dal<br />
sociologo Zygmunt Bauman. È<br />
corretto il riferimento, Ivana?<br />
«Lo è, anche se in senso oppositivo.<br />
La società di Bauman è liquida<br />
in quanto sfugge ai tentativi<br />
di concretizzazione dei propri<br />
elementi. Opera invece è un tentativo<br />
di solidificazione, condotto<br />
proprio nel luogo di sottrazione<br />
per eccellenza, il carcere. È un<br />
tentativo di restituire quanto sottratto<br />
con l’isolamento».<br />
Come nasce questo progetto?<br />
«Inizialmente non fu nemmeno un<br />
progetto ma un’istanza nata dalla<br />
mia esperienza formativa al DAMS<br />
di Bologna, come allieva di Claudio<br />
Meldolesi. È nata dalla passione,<br />
tutto qui. E oggi mi dà<br />
qualche soddisfazione, per fortuna.<br />
Io faccio il lavoro che<br />
vorrei fare ed è un privilegio».<br />
Perché proprio in carcere?<br />
«Con una battuta, direi che così<br />
posso avere il teatro e gli attori<br />
gratis! Seriamente, comporre<br />
drammaturgie e spettacoli con<br />
i reclusi ha a che fare con l’urgenza<br />
mia e loro di esprimere<br />
pensieri attraverso la creazione<br />
artistica. Molti proseguono anche<br />
una volta scarcerati e questo ci<br />
ha chiamati a ideare il progetto<br />
Stai all’occhio. Insegniamo a chi<br />
lavora con noi a proteggersi utilizzando<br />
l’arte della scrittura».<br />
Proteggersi da cosa? E in che<br />
senso farlo attraverso la scrittura<br />
e il teatro?<br />
«Scrivere significa mettersi davanti<br />
allo specchio ma senza umiliarsi,<br />
anzi mettendo in gioco, sentimenti,<br />
emozioni, esperienze e i<br />
propri “segni” in modo rappresentativo.<br />
La scrittura e il teatro<br />
parlano dell’umano sentire e<br />
agire, non delle esperienze personali.<br />
Dal particolare al generale,<br />
potremmo dire. In fondo, è proprio<br />
questa la materia con la<br />
quale lavora l’attore. Ricordo un<br />
recluso al quale dovetti insegnare<br />
proprio a tenere la testa alta, a<br />
guardare negli occhi l’interlocutore<br />
quando si parla. Lavoriamo<br />
dunque anche sulla dignità e<br />
l’autostima nel tentativo di rendere<br />
i reclusi capaci di creare<br />
qualcosa che meriti di essere<br />
visto anche da occhi che non<br />
vivono in carcere».<br />
Si può parlare di riabilitazione?<br />
«Lo speriamo, anche se la riabilitazione<br />
può essere una conseguenza,<br />
non l’obiettivo primario.<br />
Premesso che io non faccio teatro<br />
terapeutico, il fatto è che il detenuto<br />
è un soggetto fragile che,<br />
se sovraesposto, esplode. Non<br />
si pensa mai a un detenuto come<br />
a una persona fragile ma come a<br />
un criminale da fermare. Però,<br />
quando fermi una persona, perché<br />
il carcere ti ferma, sospendi<br />
anche il suo tempo. Generalmente<br />
il detenuto ti parla del<br />
prima e del dopo, “cosa ho fatto<br />
e cosa farò quando sarò fuori”.<br />
Ecco che allora il teatro può aiutarlo<br />
a rientrare nel tempo presente,<br />
rendendolo più creativo e<br />
malleabile, dunque vivo. Io vedo i<br />
detenuti sei ore alla settimana, un<br />
tempo enorme ma il mio mestiere<br />
non è quello della psicologa e<br />
nemmeno dell’educatrice: io faccio<br />
teatro e in teatro accadono, o<br />
non accadono, cambiamenti personali.<br />
Il teatro in carcere non è<br />
una forma di strumentalizzazione<br />
in vista di scopi che trascendano<br />
la creazione teatrale stessa; in<br />
questo senso il ruolo di attore<br />
ha poco a che vedere con la<br />
condizione di carcerato».<br />
Siete esigenti? E in che termini<br />
lo siete?<br />
«Si, molto esigenti. Non mettiamo<br />
in pratica quella che potremmo<br />
definire infantilizzazione<br />
Foto © Opera Liquida<br />
del detenuto, il quale, vivendo in<br />
un tempo sospeso, adotta ritmi,<br />
compiti e responsabilità non stabilite<br />
da lui. Qualcuno a volte<br />
mi dice: oggi non ho testa. Gli rispondo:<br />
fa niente, vieni lo stesso<br />
e porta quello che hai. Perché<br />
qui sei un attore e sei responsabile.<br />
Io stessa vengo anche<br />
quando ho mal di testa o semplicemente<br />
non ne ho voglia».<br />
Come definiresti il tuo rapporto<br />
con i detenuti?<br />
«Lo riassumo così: io lavoro secondo<br />
il criterio dell’assenza di<br />
giudizio e della colleganza. Colleganza<br />
significa che siamo tutti alla<br />
pari, il messaggio è: “fate quello<br />
che dico io solo perché sono la<br />
regista, non perché c’è gerarchia”.<br />
È una questione di ruoli,<br />
non c’è un rapporto verticale».<br />
Quali sono le ultime produzioni<br />
in programma?<br />
«Lo scorso 24 giugno è stata<br />
inaugurata la VI edizione del festival<br />
Prova a sollevarti dal suolo,<br />
dislocato tra il Teatro Casa di<br />
reclusione Milano Opera e lo<br />
spazio IN Opera Liquida al Parco<br />
Idroscalo. Il festival continuerà<br />
ancora per il mese di ottobre:<br />
venite a vederci!».<br />
Ringraziamo Ivana le cui parole<br />
ci suggeriscono, in chiusura, una<br />
riflessione. Il teatro, paradossalmente<br />
sospendendoci per un<br />
attimo dalla realtà, ci permette<br />
di rileggerla più lucidamente:<br />
un’esperienza valida non solo<br />
per gli spettatori ma, soprattutto<br />
in questo caso, per quei particolari<br />
attori che, vivendo nuovi<br />
ruoli, hanno l’occasione di riscattarsi<br />
creativamente, liberandosi<br />
da quella maschera di negatività<br />
che li aveva condannati.<br />
(Articolo pubblicato per<br />
concessione della <strong>rivista</strong> Foyer<br />
http://www.foyertabloid.net)