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terci. Non abbiamo nemmeno messo un difensore, quando sia -
mo rimasti in dieci. Siamo la Jugoslavia più forte di sempre. Chia -
ro, bisognerà aspettare due anni, e tutto il resto.»
Poi Mate tornò a guardare il fiume, come se volesse vedere
sopra il pelo dell’acqua tutte le cose che possono starci dentro
due anni. La licenza media alla fine l’avrebbe presa. La Jugoslavia
avrebbe giocato ancora meglio, forse avrebbero finito la superstrada
dietro i colli. La fabbrica avrebbe riaperto come dicevano,
non c’era verso di fare diversamente, e suo padre e suo zio sarebbero
tornati a lavorare. Ciò che era certo è che in quel tempo
avrebbe capito tutto quel mucchio di cose che non capiva.
«Due anni non passeranno mai», mugugnò Toni il biondo, tormentando
l’ultima sigaretta della sera.
«Nel 1992 avrò quattordici anni. Porterò i capelli lunghi.»
«Sai che spettacolo, fai schifo già così.»
«Io tra due estati avrò fatto l’amore», decise Drago. «E anche
un bel po’. Niko, se vuoi poi te lo insegno.»
«Me lo insegna già tua madre.»
«Sapete cosa penso? Che è come dice il vecchio del bar di so -
pra, e da questa partita io ho capito qualcosa. Ed è che questa è
davvero la Jugoslavia più forte di sempre, e può vincere gli Euro -
pei. Sul serio.»
«Mi sa che ti si è ghiacciato il cervello, in quel fiume.»
Dentro al bar di sotto qualcuno aveva alzato il gomito, e gli
schiamazzi zittirono i grilli per qualche momento. Poi i grilli ri -
presero subito a dominare.
«Vi giuro che tra due anni in Svezia noi vinciamo. E io mi but -
to davanti al bar di sotto nella Neretva, e lo faccio nudo.»
Era la fine di giugno del 1990, e delle parole di Mate, di ogni
parola di Mate, quando fu il 1992 non si ricordava più nessuno.
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