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Sjette

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la testa. Un movimento minimo e la pallottola, invece di colpire

me, uccide lui.

E il Gabrielli? Voleva tornare per vedere la sua figliola, appena

nata. Mostrava a tutti la fotografia della bambina inviata dalla

moglie. Al ritorno seppe che la piccola era morta.

E io pensavo a mia moglie e a mio figlio di tre anni: erano vi -

vi? Ci saremmo incontrati ancora?

La morte non si licenzia, ma è peggio il dolore perché trova

sempre da lavorare nella nostra fottuta vita!»

Esitando un attimo, si appoggiò al bastone per salire sul pullman.

Non mi frenai: «Maggi, ma perché sta sempre in piedi?

Sono anni che la guardo e non si è mai seduto.»

«E poi il Tempini? Era un ingordo. In tempo di pace, mangiava

alle sei, alle otto, alle dieci. Rubava il rancio, poi veniva a men -

sa e alla fine usciva a pranzare in una locanda.

Durante la ritirata, non mangiavo da due giorni.

Bestemmiavo mia madre per avermi dato la vita e la pregavo

perché mi facesse tornare.

Le forze andavano spegnendosi.

Un urlo lontano: Gaetano, Gaetano, vieni qui. Vado e vedo

un uomo con in mano una coscia di pollo: era il Tempini che

l’aveva conservata per me.

Una prova d’amicizia grandiosa!»

L’autobus s’arrestò.

Scendemmo vicino alla stazione di Monza.

Ansimante, il Maggi puntò dritto verso uno stupido, altissimo

prisma a forma d’alveare: un palazzo residenziale.

Lo seguivo, ma non riuscivo più ad ascoltarlo.

Se non m’avesse fatto pena, me ne sarei andato infastidito.

Lui parlava, parlava, ma parlava solo per ascoltarsi e non mi

diceva neppure perché se ne stava sempre in piedi.

Bofonchiando, tirò fuori un mazzo di chiavi. Aprì l’ingresso

principale, s’avvicinò all’ascensore e mi fece segno di salire. Ven -

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