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Elegante, trascinava la bellezza dei suoi novant’anni.
Un giorno di Pasqua, dopo Messa, il tempio era vuoto.
Mi sentivo forte come un toro in erezione.
Iniziai a suonare il maestoso inno dell’Unione Sovietica, il
più bello del mondo.
Dalla navata centrale sentii la stessa melodia. Proveniva da
una voce affaticata e flebile. Il suono si avvicinava sempre più.
Era lui: l’uomo che non si sedeva mai.
Il vecchio si sistemò al mio fianco, cantando commosso e
sempre in piedi.
Vidi i suoi occhi per la prima volta. Raccontavano poco. Le
sopracciglia erano folte e arrotolate come zucchero filato e nel -
la sua barba si annidavano semi d’ortica pronti a far male.
La bocca era piccola e tagliente: un rasoio con la lama rivolta
sia all’esterno, sia all’interno.
Non aveva rughe sulla fronte, solo chiazze rossastre che si
muovevano in sincrono con gli occhi. Il naso carnoso aveva na -
rici pallide di marmo bianco, morbide di burro, bagnate di prosecco.
Era un naso artistico, un’opera di Rodin.
Ma quei semi d’ortica facevano paura.
«Piacere, sono il Colonnello Gaetano Maggi, ma mi chiami
pu re Colonnello Gaetano Maggi.»
«Scusi?»
Non mi diede il tempo di capire e ciò m’irritò.
Iniziò a parlare con una voce ovale e profonda che avrebbe
affascinato Marina.
Che bastardo.
Le labbra si muovevano come mulinelli lacustri e i sobbalzi
della barba spargevano i semi d’ortica.
Mi angosciava, ma gli sorrisi.
«Ho fatto tutta la campagna di Russia, compresa la ritirata
del ‘43. Nella battaglia di Nikolajewka, sotto il ponte, il prete
benediva chi andava a morire. Volevano costruire un muro di
car ne che ci permettesse di fuggire dalle mitragliatrici. Usci va -
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