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L’ORO DI NAPOLI
racconto di Angelo Mozzillo
illustrazione di Andrea De Luca
Giovanni Chianchiere sedeva col volto sui pugni e i pugni
sul bancone.
Il barista lo guardava, afflitto. Giovanni con movimenti ondulatori
faceva scricchiolare il suo sgabello. Era infastidito dallo
sgocciolare incessante del rubinetto accanto ai distillatori, che
andava ad aggiungersi al rumore bianco della televisione priva
di segnale. Che bar di merda, sbottò.
Ne uscì.
Erano le due di pomeriggio.
Chianchiere suonò il campanello di Antonio Solachianello e
ciondolò nervoso nell’attesa. Risuonò. Guardò l’ora. Riciondolò.
Antonio apparve alla porta in canottiera e infradito. Non eb -
be il tempo di accorgersi di Giovanni che questo gli chiese, l’ho
prestato a te il libro L’oro di Napoli?
Ma perché, domandò Antonio a sua volta. Tu leggi i libri?
Era già nervoso, Giovanni, e il fatto d’aver ricevuto una do -
manda al posto di una risposta lo agitava ancora di più. No che
non li leggo.
E io nemmeno.
Si morse le labbra, Giovanni. E prese a pensare.
Pensava, Giovanni. E allora Antonio capì che c’era qualcosa.
Si preoccupò. Ma perché, domandò di nuovo.
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