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MACCHIA NERA
racconto di Giovanni Venanzi
illustrazione di Giulia Pastorino
Come se, oltre che calciarlo, ci fosse altro da fare, con un pallone.
Non ci riesco con Silvio, si diceva sua madre mentre lui inseguiva
il pallone sul piazzale davanti alla chiesa.
Giorno della comunione, assieme cresima e comunione, as -
sieme al fratello più grande, assieme per risparmiare qualcosa
sul rinfresco, assieme per farla essere più festa.
In chiesa, i pacchi alimentari e le indulgenze plenarie; nella
sezione del Pci, il faccione di Stalin, sopra al calciobalilla; a casa,
la domenica, le fettuccine e il pollo arrosto con patate.
«Silvio, vieni qui!»
Era il tono con cui non si discuteva. Silvio si ricompose in
fret ta; doveva aver sbagliato qualcosa, per un urlaccio così, e sul
piazzale della chiesa.
Si avvicinò comunque tranquillo. Già sapeva che lei non gli
riusciva a dare “lo sguardo normativo del padre”, la cui mancanza,
con malcelato orgoglio, l’analista di Silvio avrebbe denunciato
una quarantina di anni dopo. Sua madre e lui lo sapevano da
allora, ed era così, né bene né male.
Lei si accosciò davanti a Silvio per guardarlo in faccia, le mani
sulle spalle, scuotendolo; poi sistemò camicia, cravattina dorata
con l’elastico, e fazzoletto bianco nel taschino della giacca.
«Vergognati: guarda come ti sei ridotto! Giocare a pallone col
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