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Cover-mania: la linea sottile

tra omaggio e banalizzazione

Agosto 2020, Salerno -

Reggio Calabria. La radio

accesa. Poi, l’annuncio:

“Ascoltiamo con voi Caruso

di Jovanotti!”. Sembra

l’inizio di una barzelletta,

ma non lo è. Le chiacchiere

sul traffico e sul tempo si

bloccano immediatamente

per dare tempo al cervello

di elaborare l’informazione.

Un’altra delle cover

di “I love my Radio”, ho

pensato.

Jovanotti - che fra l’altro

ascolto con piacere - di

sicuro non è apprezzato

per le sue doti canore, e

questa non è una novità. Ma

il problema è stato ascoltare

la tramutazione di un

capolavoro in banalità.

La straordinaria canzone di

Dalla, dedicata al famoso tenore

Caruso che, costretto

da una tempesta a restare

a Surriento, fa esplodere il

suo canto tra il tormento

di un amore mai vissuto

e il dolore di una malattia

logorante, di banale non ha

proprio nulla. E se la prima

cover in versione orchestrale

è senza infamia e senza

lode, la versione “latina”

con i Cacao Mental mi ha

fatto torcere le budella dal

nervoso. Caruso diventa

una ballata insignificante,

dal ritmo da spiaggia da

ballicchiare con un mojito

in mano e la collana di fiori

appesa al collo.

Come se fosse una qualunque

canzone dell’estate,

destinata ad essere dimenticata

dopo due giorni.

Ho così deciso di ascoltare

tutte le altre cover nate da

questa iniziativa, “I love my

Radio”, nata per festeggiare

i 45 anni del sistema

radiofonico. Il progetto

ha proposto di votare la

canzone italiana più amata

degli ultimi 45 anni e in

contemporanea ha pubblicato

ogni settimana uno

dei classici della canzone

italiana reinterpretato da

grandi artisti del panorama

musicale italiano.

E così sono nate “Mare

Mare” di Elisa, “La donna

cannone” di Gianna Nannini,

“Centro di gravità permanente”

di Biagio Antonacci,

etc. Non per criticare

l’iniziativa in sé, che poteva

essere anche valida. Ma pur

apprezzando molti degli artisti

partecipanti, ho dovuto

ammettere a me stessa che

quasi tutte le interpretazioni

hanno perso la cosa principale:

l’anima.

E succede, in verità, da un

lustro circa, da quando è

iniziata la “Cover-Mania”,

da quando, evidentemente,

le sette note non bastano

più e la creatività è morta.

E allora si è cominciato a

rovistare nel cassettone dei

ricordi e ogni artista ha dato

la sua “interpretazione” a

diversi pezzi, facendone

dei veri e propri album.

Pezzi cantati “tanto per”,

interpretati senza dare un

senso alle meravigliose parole

che hanno reso grande

la musica italiana e, quindi,

pezzi a cui strappare via

il cuore tramutandoli in

canzonette da karaoke.

Le cover in generale non

sono queste. Sono cover

quando aggiungono, quando

arricchiscono dando

nuove sfumature e nuova

giovinezza all’originale,

senza però perdere il religioso

rispetto dovutogli.

Eppure sembra abbiano

deciso di toglierci anche il ricordo

della Musica “pensata”

e della sua complessa

bellezza.

Così potremmo ballare a

ritmo di raeggeton e smettere

di aspirare ad alzare

l’asticella.

A cura di:

Roberta

Attardi

Bada al senso, e i suoni baderanno

a sé stessi. (Lewis Carroll)

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