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venivano da porti italiani (143 da Genova e 14 da Napoli). Soltanto tre si erano imbarcati<br />

a Barcellona.<br />

Combinando i dati degli archivi europei con quelli sudamericani non sembra<br />

azzardato dedurre che anche a Buenos Aires approdarono ambulanti originari dalla zona<br />

di Viggiano. Certo è che se fosse possibile identificare quei viaggiatori come arpisti, i dubbi<br />

sarebbero minori ma le fonti non aiutano. I registri d’ingresso argentini quando registrano<br />

le professioni degli arrivati non scendono in particolari sul tipo di attività musicale di quei<br />

migranti, e d’altra parte questa volta non ci soccorre l’ausilio della letteratura locale. Infatti,<br />

nei testi argentini contemporanei di queste migrazioni come la saga emblematica nazionale,<br />

il Martin Fierro, si trovano frequenti riferimenti a italiani che suonano l’organetto a<br />

manovella ma non ci sono riferimenti ad arpisti. Scrive Hernández:<br />

Allí un gringo con un órgano<br />

Y una mona que bailaba<br />

Haciéndonos rair estaba<br />

Cuando le tocó el arreo,<br />

¡Tan grande el gringo y tan feo!<br />

Lo viera cómo lloraba.<br />

I riferimenti con tono squalificante che identificano quel tipo di suonatore ambulante<br />

con gli italiani sono così numerosi nella letteratura di quegli anni, che si deduce<br />

l’abituale impiego nella società della parola “organillero” per denigrare i migranti peninsulari.<br />

Molto spesso l’identificazione fu più precisa: quel personaggio del musicante fu<br />

sovente caratterizzato come napoletano. Tenendo conto che “napoletano” non indicava<br />

soltanto chi proveniva dalla città partenopea ma più genericamente dall’antico Regno di<br />

Napoli, e dato che la Basilicata era regione apparteneva a quel reame, l’ipotesi delle migrazioni<br />

di ambulanti di Viggiano a Buenos Aires torna a rifiorire come possibile.<br />

Un contatto personale mi fu di particolare aiuto. Ebbi modo di conoscere uno<br />

degli ultimi costruttori di organetti a Buenos Aires, Osvaldo La Salvia, il quale sorprendentemente<br />

mi manifestò che la sua famiglia era originaria di… Tramutola! La conversazione<br />

con La Salvia ha spiegato, sebbene di maniera iperbolica, il rebus del passaggio dall’arpa<br />

all’organetto. Il nostro interlocutore ci racconta che il suo avo, appena arrivato dall’Italia<br />

suonava in realtà l’arpa ma che il mitico Juan Moreira tagliò le corde dello strumento con<br />

il suo facón e così il povero musicante dovette ripiegare sull’organetto. Questa colorita<br />

storia, come in dettaglio spiego altrove 6 , è la mitizzazione di una tragedia sociale: la miseria<br />

dilagante nel sud d’Italia sostituì il fenomeno della forzata migrazione di un gruppo<br />

famigliare in cerca di fortuna con una realtà ancora più cruda: un vero e proprio commercio<br />

minorile. Nella prima situazione, i bambini accompagnano i genitori. Erano gli adulti a<br />

suonare strumenti come l’arpa e gli infanti giravano con il cappello richiedendo un soldo<br />

ai transeunti, al massimo suonavano qualche tamburello. La seconda situazione invece<br />

vede lo sfruttamento dei bimbi. Loro erano consegnati ad un “protettore” che li costringeva<br />

a mendicare per le strade, e, ovviamente, non erano capaci di suonare strumenti tranne<br />

quelli meccanici come l’organetto.<br />

Tornando all’archivio lucano sono stato in grado d’identificare numerosi musicanti<br />

di Tramutola di cognome La Salvia o derivati che chiedono alle autorità salvacondotto per<br />

viaggiare. Molti di loro indicano come destinazione di viaggio il Sudamerica.<br />

...........................................................................<br />

6 Cetrangolo, A. E., Dell’arpa de Viggiano all’organito porteño. In: Etno-folk, Revista de etnomusicologia, nº 14-<br />

15 giugno-novembre 2009, p. 596-621.<br />

Atualidade da Ópera - Série Simpósio Internacional de Musicologia da <strong>UFRJ</strong>

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