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La capacità negativa dello psicoterapista di gruppo

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E<strong>di</strong>toriale del Presidente<br />

Rifl essioni sulla politica...<br />

professionale dott. Giuseppe Luigi Palma<br />

Presidente Or<strong>di</strong>ne Psicologi Puglia<br />

Forse dovremmo ricominciare<br />

a pensare, forse dovremmo<br />

tornare ai padri del pensiero<br />

fi losofi co per ritrovare<br />

il senso dei nostri giorni. E<br />

rifl ettendo <strong>di</strong> politica fermarci<br />

al pensiero aristotelico del<br />

bene comune e dell’uomo che<br />

“è per natura un essere politico”.<br />

<strong>La</strong> storia ci mostra che<br />

nel tempo vi sono stati <strong>di</strong>versi<br />

mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> interpretare, fare od<br />

usare la politica, ma la politica<br />

riguarda tutti, allo stesso modo<br />

e nella stessa misura riguarda<br />

coloro che hanno<br />

un ruolo attivo e<br />

coloro che invece<br />

sembrano non<br />

occuparsene.<br />

In questo solco<br />

ritengo vada<br />

interpretata anche<br />

l’azione politica<br />

che riguarda<br />

la professione,<br />

un’azione <strong>di</strong> tutela,<br />

promozione<br />

e valorizzazione<br />

<strong>di</strong> una professione<br />

per il bene <strong>di</strong><br />

tutti. Ovviamente<br />

intendo per “tutti” non solo<br />

i professionisti, ma anche i<br />

destinatari delle prestazioni/<br />

servizi, cioè gli utenti/clienti.<br />

Mantenere il delicato<br />

equilibrio tra interessi <strong>di</strong> una<br />

categoria professionale e interessi<br />

dei clienti è l’elemento<br />

più critico per una buona politica<br />

professionale, poiché il<br />

rischio <strong>di</strong> autoreferenzialità<br />

e corporativismo è sempre in<br />

agguato.<br />

Il sistema professionale<br />

(<strong>di</strong> tutte le professioni) del nostro<br />

Paese è strutturato in 27<br />

organi nazionali (Or<strong>di</strong>ni, Federazioni,<br />

Collegi), 118 se<strong>di</strong><br />

regionali e 1.759 se<strong>di</strong> territoriali.<br />

<strong>La</strong> rete dei professionisti<br />

ha partecipato e contribuisce<br />

ogni giorno attivamente al<br />

processo <strong>di</strong> innovazione del<br />

nostro Paese con importanti<br />

risultati sul piano sociale e<br />

culturale, oltre che economico.<br />

Basti pensare al contributo<br />

delle professioni giuri<strong>di</strong>che,<br />

tecniche, sanitarie e sociosanitarie,<br />

per comprendere la<br />

rilevanza ed il valore sociale<br />

delle professioni. Il peso economico<br />

delle professioni regolamentate<br />

è notevole, viene<br />

stimato che nel 2008 il volume<br />

d’affari complessivo è sta-<br />

to <strong>di</strong> 196 miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> euro, pari<br />

al 12,5% del Pil nazionale.<br />

Gli effetti occupazionali sono<br />

1


Dal Consiglio Nazionale dell’Or<strong>di</strong>ne degli Psicologi<br />

Elezione del Presidente Palma nel Dirett ivo CUP<br />

Il Presidente del Consiglio<br />

nazionale dell’Or<strong>di</strong>ne degli Psicologi,<br />

Giuseppe Luigi Palma, è<br />

stato eletto nel Direttivo del CUP,<br />

il Comitato unitario delle professioni.<br />

<strong>La</strong> designazione è avvenuta<br />

nel corso della Assemblea dei<br />

Presidenti dei Consigli Nazionali<br />

componenti il Comitato Unitario<br />

degli Or<strong>di</strong>ni e dei Collegi Professionali<br />

svoltasi lo scorso 18<br />

ottobre.<br />

Nella stessa occasione Marina<br />

Calderone, presidente del<br />

Consiglio Nazionale dell’Or<strong>di</strong>ne<br />

dei Consulenti del <strong>La</strong>voro è stata<br />

rieletta con consenso unanime al<br />

Roma, 22 ottobre 2012<br />

Roma, 12 novembre 2012<br />

Sanità: Decreto su standard <strong>di</strong> qualità<br />

Palma “riconoscere all’assistenza psicologica il ruolo<br />

che ad essa compete nell’ambito <strong>di</strong> quella ospedaliera”<br />

“E’ molto grave che nella bozza del decreto<br />

del Regolamento relativo alla “Defi nizione degli<br />

standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi<br />

relativi all’assistenza ospedaliera” sia stata<br />

“<strong>di</strong>menticata” l’assistenza psicologica ed, in generale,<br />

le attività <strong>di</strong> psicologia erogate ed erogabili<br />

nei contesti ospedalieri. Chie<strong>di</strong>amo un rapido intervento<br />

del Ministro Balduzzi volto ad introdurne<br />

le opportune mo<strong>di</strong>fi che: il regolamento infatti - pur<br />

proponendosi <strong>di</strong> conseguire una riduzione della<br />

spesa non attraverso tagli generici alle attività, bensì<br />

attraverso processi <strong>di</strong> miglioramento dell’appro-<br />

priatezza clinica ed organizzativa e della qualità<br />

oggettiva e percepita - non può non considerare le<br />

attività <strong>di</strong> psicologia e questa vistosa <strong>di</strong>menticanza<br />

deve pertanto essere colmata senza indugio.”<br />

Così Luigi Giuseppe Palma, presidente del<br />

Consiglio Nazionale dell’Or<strong>di</strong>ne degli Psicologi.<br />

“Le trasformazioni dei processi <strong>di</strong> cura e delle esigenze<br />

assistenziali in ambito ospedaliero, scaturite<br />

dal progresso scientifi co e tecnologico e da una<br />

utenza più acculturata ed attenta – ricorda ancora<br />

Palma – hanno comportato la crescente emersio-<br />

vertice del Cup Nazionale per il<br />

triennio 2012-2015.<br />

Eletti nel Direttivo anche<br />

Guido Alpa (avvocati), Andrea<br />

Bonechi (commercialisti), Annalisa<br />

Silvestri (infermieri), Roberto<br />

Orlan<strong>di</strong> (agrotecnici), Gaetano<br />

Penocchio (veterinari), Giancarlo<br />

<strong>La</strong>urini (notai), Massimo Gallione<br />

(architetti).<br />

“Il mondo delle Professioni<br />

regolamentate – ha detto Palma<br />

subito dopo la sua elezione – sta<br />

attraversando un momento importante<br />

e decisivo dovendo essere in<br />

grado <strong>di</strong> affrontare il cambiamento<br />

in atto nella società italiana e<br />

rispondere alle sempre nuove e<br />

mutate esigenze degli utenti. Il<br />

mio impegno nell’ambito del Cup<br />

sarà volto a testimoniare l’importanza<br />

della platea degli oltre due<br />

milioni <strong>di</strong> professionisti italiani.<br />

“Ritengo – ha concluso Palma<br />

– che il CUP sia la casa comune<br />

delle professioni or<strong>di</strong>nistiche e<br />

come tale debba essere interpretato<br />

da coloro che assumono incarichi<br />

<strong>di</strong> rappresentanza; mantenendo<br />

comunque alta l’attenzione - e<br />

anche in questo senso mi impegnerò<br />

con forza - sulle specifi cità<br />

e peculiarità della professione <strong>di</strong><br />

Psicologo.”<br />

ne <strong>di</strong> problematiche ed esigenze attinenti alla sfera<br />

della soggettività, delle relazioni, dei comportamenti,<br />

della comunicazione, della gestione <strong>dello</strong><br />

stress, riferibili ai pazienti ed ai loro familiari, così<br />

come agli operatori ed alle strutture”.<br />

Palma pone poi l’accento sul fatto che come<br />

risposta a queste tematiche emergenti, che sono<br />

state spesso e a volte anche riduttivamente contrassegnate<br />

come “umanizzazione” e “personalizzazione”<br />

delle cure ospedaliere, si sono registrati<br />

rilevanti incrementi nel campo della ricerca, delle<br />

pratiche assistenziali, della formazione e, parallelamente,<br />

una nuova specifi ca attenzione e sensibilità<br />

da parte delle politiche sanitarie.<br />

“Questa signifi cativa mole <strong>di</strong> attività, che ha visto<br />

una ine<strong>di</strong>ta ma forte collaborazione a livello internazionale<br />

tra Me<strong>di</strong>cina e Psicologia – conclude il<br />

Presidente degli psicologi italiani – ha portato alla<br />

evidenziazione dei vantaggi clinici, assistenziali e,<br />

più recentemente, economici, <strong>di</strong> una integrazione<br />

dei percorsi <strong>di</strong> <strong>di</strong>agnosi, cura e riabilitazione con<br />

l’inserimento mirato <strong>di</strong> specifi ci interventi <strong>di</strong> ambito<br />

psicologico”.<br />

3


4<br />

Aspetti deontologici della professione<br />

Etica e Deontologia come risorse<br />

imprescin<strong>di</strong>bili per la professione <strong>di</strong> Psicologo<br />

dott. Salvatore Nuzzo - Psicologo Psicoterapeuta<br />

Consigliere Or<strong>di</strong>ne Psicologi Puglia - Coor<strong>di</strong>natore Commissione per l’Etica e la Deontologia<br />

1. Or<strong>di</strong>namento della professione <strong>di</strong> Psicologo<br />

Che cos’è una professione? Una professione è<br />

un’attività umana che risponde ai seguenti cinque<br />

attributi tipici:<br />

a) possiede un corpo sistematico <strong>di</strong> conoscenze<br />

e <strong>di</strong> teorie specifi che;<br />

b) <strong>di</strong>spone <strong>di</strong> un’autorità professionale, da<br />

intendersi come riconoscimento della competenza<br />

specifi ca e autonoma, in termini<br />

<strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio e <strong>di</strong> valutazione, ad intervenire<br />

su questioni o problemi afferenti l’oggetto<br />

dell’attività;<br />

c) benefi cia della legittimazione socio-giuri<strong>di</strong>ca<br />

dell’utilità sociale degli interventi posti<br />

in essere dal professionista;<br />

d) utilizza un Co<strong>di</strong>ce etico auto regolativo,<br />

come corpus deontologico, esplicito, sistematico<br />

e costrittivo, della professione;<br />

e) conta su una cultura professionale, intesa<br />

sia come qualifi cato e specifi co livello <strong>di</strong><br />

formazione professionale, sia come patrimonio<br />

<strong>di</strong> conoscenze e <strong>di</strong> acquisizioni proprio<br />

della comunità professionale.<br />

Al professionalismo classico è via via subentrato<br />

il neoprofessionalismo con tutta una serie <strong>di</strong> cambiamenti<br />

che ne accentuano la complessità e che Bosio<br />

(2011) ha così schematizzato:<br />

Professionalismo classico Neoprofessionalismo<br />

Poche professioni ben in<strong>di</strong>viduate<br />

Ancoraggio forte a una scienza,<br />

ovvero forte integrazione fra un<br />

sapere scientifico e una pratica<br />

professionale:<br />

un sapere = una professione<br />

Occupazione elettiva e unica <strong>di</strong><br />

un contesto professionale da<br />

parte <strong>di</strong> una scienza (monopolio)<br />

Bosio, 2011<br />

Molte professioni: estensione<br />

crescente della professionalizzazione<br />

a nuovi ambiti<br />

Flessibilità <strong>di</strong> rapporti fra sapere<br />

scientifico e contesto <strong>di</strong> impiego:<br />

un sapere = più professioni<br />

una professione = più saperi<br />

Confronto (competizione e/o collaborazione)<br />

fra più saperi in uno<br />

stesso contesto professionale<br />

(multi-/inter-<strong>di</strong>sciplinarità)<br />

<strong>La</strong> rottura dell’equazione “un sapere = una professione”<br />

<strong>di</strong>lata le possibilità <strong>di</strong> posizionamento per<br />

un <strong>gruppo</strong> professionale, ma aumenta la probabilità<br />

<strong>di</strong> dover convivere con altri gruppi che aspirano ad<br />

occupare gli stessi territori: l’autoreferenzialità <strong>di</strong> un<br />

<strong>gruppo</strong> deve cedere conseguentemente il passo al<br />

confronto, sia esso basato su istanze cooperative o<br />

su istanze confl ittive. Il neoprofessionalismo sembra<br />

proporsi, pertanto, come un agente globale <strong>di</strong> cambiamento<br />

delle professioni nuove e tra<strong>di</strong>zionali.<br />

Le nuove professioni si caratterizzano prevalentemente<br />

in termini <strong>di</strong> servizio, soprattutto per<br />

l’attenzione riservata al cliente e alla sua domanda.<br />

Il cliente, a sua volta, cessa <strong>di</strong> svolgere il ruolo <strong>di</strong><br />

semplice destinatario e recettore passivo <strong>di</strong> una prestazione<br />

per assumere una rilevanza del tutto nuova:<br />

la domanda del cliente <strong>di</strong>venta essenziale per la defi<br />

nizione <strong>di</strong> una professione; il cliente costruisce o,<br />

meglio, co-costruisce sempre più attivamente con il<br />

professionista la prestazione e il risultato. Corollario<br />

<strong>di</strong> questo orientamento è un’attenzione crescente alla<br />

qualità percepita quale fattore <strong>di</strong> successo <strong>di</strong> una prestazione,<br />

ovvero alla sod<strong>di</strong>sfazione del cliente.<br />

<strong>La</strong> Legge 18 febbraio 1989, n. 56, Or<strong>di</strong>namento<br />

della professione <strong>di</strong> Psicologo, ha stabilito le norme<br />

in materia <strong>di</strong> or<strong>di</strong>namento della professione <strong>di</strong> psicologo,<br />

sintetizzando i contenuti della professione,<br />

tentando una defi nizione della fi gura <strong>di</strong> psicologo,<br />

fi ssando i requisiti per l’esercizio dell’attività <strong>di</strong><br />

Psicologo e <strong>di</strong> Psicoterapeuta, istituendo l’Or<strong>di</strong>ne<br />

e l’Albo degli Psicologi.<br />

Con questa legge, per la prima volta, lo Stato<br />

ha riconosciuto legalmente il lavoro <strong>dello</strong> psicologo<br />

come “libera professione”, ovvero come<br />

un’attività altamente qualifi cata, <strong>di</strong> riconosciuta<br />

utilità sociale, che può essere esercitata unicamente<br />

da in<strong>di</strong>vidui che hanno acquisito una<br />

competenza specializzata, non riconducibile a<br />

quella <strong>di</strong> altre professionalità, e che hanno seguito,<br />

quin<strong>di</strong>, un corso <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> lungo ed orientato<br />

precipuamente a tale scopo.<br />

Chi è lo Psicologo? <strong>La</strong> risposta la troviamo<br />

nell’art. 1 della legge or<strong>di</strong>nistica 56/89 che ne<br />

32 defi nisce lo specifi co ambito <strong>di</strong> competenze: «<strong>La</strong>


professione <strong>di</strong> psicologo comprende l’uso degli strumenti<br />

conoscitivi e <strong>di</strong> intervento per la prevenzione,<br />

la <strong>di</strong>agnosi, le attività <strong>di</strong> abilitazione-riabilitazione e<br />

<strong>di</strong> sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona,<br />

al <strong>gruppo</strong>, agli organismi sociali e alle comunità.<br />

Comprende altresì le attività <strong>di</strong> sperimentazione, ricerca<br />

e <strong>di</strong>dattica in tale ambito».<br />

Si tratta <strong>di</strong> un ambito molto ampio, che abilita lo<br />

psicologo ad operare effi cacemente in moltissimi settori:<br />

clinico, sociale, psicologia del lavoro, benessere<br />

psico-fi sico e crescita personale (crescita emotiva,<br />

cognitiva, relazionale, etc.).<br />

Per poter svolgere quanto previsto dall’art. 1<br />

della L. 56/89 lo Psicologo deve adempiere però a<br />

quanto contemplato dal successivo art. 2, e cioè deve<br />

essersi laureato in psicologia, deve aver svolto un<br />

tirocinio pratico, deve aver conseguito l’abilitazione<br />

a svolgere la propria attività in ambito psicologico<br />

me<strong>di</strong>ante il superamento dell’esame <strong>di</strong> Stato e<br />

la successiva iscrizione all’Albo professionale degli<br />

psicologi. Quin<strong>di</strong> tutto ciò che rientra nell’ambito <strong>di</strong><br />

attività sopra descritto è ex lege riservato agli psicologi<br />

regolarmente abilitati ed iscritti all’Albo.<br />

Chi è lo Psicoterapeuta? <strong>La</strong> risposta la troviamo<br />

nell’art. 3 della legge or<strong>di</strong>nistica 56/89: «1. L’esercizio<br />

dell’attività psicoterapeutica è subor<strong>di</strong>nato ad<br />

una specifi ca formazione professionale, da acquisirsi,<br />

dopo il conseguimento della laurea in psicologia<br />

o in me<strong>di</strong>cina e chirurgia, me<strong>di</strong>ante corsi <strong>di</strong><br />

specializzazione almeno quadriennali che prevedano<br />

adeguata formazione e addestramento in psicoterapia,<br />

attivati ai sensi del decreto del Presidente della<br />

Repubblica 10 marzo 1982, n. 162, presso scuole <strong>di</strong><br />

specializzazione universitaria o presso istituti a tal<br />

fi ne riconosciuti con le procedure <strong>di</strong> cui all’articolo<br />

3 del citato decreto del Presidente della Repubblica.<br />

2. Agli psicoterapeuti non me<strong>di</strong>ci è vietato ogni<br />

intervento <strong>di</strong> competenza esclusiva della professione<br />

me<strong>di</strong>ca. 3. Previo consenso del paziente, lo psicoterapeuta<br />

e il me<strong>di</strong>co curante sono tenuti alla reciproca<br />

informazione».<br />

Alla luce dell’art. 1 e dell’art. 3 della L. 56/89<br />

l’attività <strong>di</strong> psicoterapeuta si <strong>di</strong>fferenzia nettamente<br />

da quella <strong>dello</strong> psicologo. Pertanto, l’attività <strong>di</strong> psicoterapeuta<br />

può essere esercitata non da tutti coloro<br />

che sono iscritti all’albo degli psicologi, ma solo da<br />

coloro che, iscritti in detto albo, siano in possesso <strong>di</strong><br />

specializzazione in psicoterapia.<br />

Il lavoro <strong>dello</strong> psicologo rientra tra le professioni<br />

intellettuali protette (Dodaro, 2006, p. 16), il cui esercizio<br />

è subor<strong>di</strong>nato all’iscrizione in appositi albi.<br />

<strong>La</strong> protezione consiste, innanzitutto, nell’inter<strong>di</strong>-<br />

Aspetti deontologici della professione<br />

zione ad esercitare la professione per chiunque non<br />

sia iscritto all’albo o ne sia stato espulso; in secondo<br />

luogo, nella privazione del <strong>di</strong>ritto alla retribuzione<br />

per il professionista non iscritto (art. 2231 Co<strong>di</strong>ce civile);<br />

in terzo luogo, nella soggezione degli iscritti al<br />

potere <strong>di</strong>sciplinare che l’Or<strong>di</strong>ne esercita a salvaguar<strong>di</strong>a<br />

della <strong>di</strong>gnità e del decoro della professione.<br />

Uno dei fattori caratterizzanti la professione intellettuale<br />

protetta è il carattere rigorosamente personale<br />

della prestazione (art. 2232 c.c.), insieme con<br />

la previsione <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> limitazioni alla libertà del<br />

professionista nella determinazione del compenso.<br />

L’Or<strong>di</strong>ne degli psicologi è stato istituito nel 1989<br />

ai sensi dell’art. 5 della L. 56/89 ed è costituito dagli<br />

iscritti all’albo professionale. Si tratta <strong>di</strong> un ente<br />

pubblico non economico, che opera sotto la vigilanza<br />

del Ministero della Giustizia (<strong>di</strong> recente è avvenuto<br />

il passaggio sotto la vigilanza del Ministero della<br />

Salute). L’Or<strong>di</strong>ne è strutturato a livello nazionale,<br />

regionale e, limitatamente alle province <strong>di</strong> Trento e<br />

Bolzano, a livello provinciale.<br />

L’Or<strong>di</strong>ne degli psicologi costituisce «l’organo <strong>di</strong><br />

autogoverno della comunità degli psicologi, cui compete<br />

per delega legislativa - in con<strong>di</strong>visione con lo<br />

Stato - sia la gestione e la <strong>di</strong>fesa degli interessi della<br />

categoria professionale e dei singoli iscritti all’albo,<br />

sia la tutela dei <strong>di</strong>ritti del citta<strong>di</strong>no utente/cliente»<br />

(Dodaro, 2006, p. 21). L’Or<strong>di</strong>ne svolge attività prevalentemente<br />

amministrativa nelle varie funzioni<br />

ad esso spettanti e che riguardano specifi catamente<br />

i rapporti interni (tenuta dell’albo, ecc.), i rapporti<br />

esterni (certifi cazione, emanazione delle tariffe, ecc.)<br />

e l’autotutela (in<strong>di</strong>viduazione delle regole deontologiche<br />

e funzione <strong>di</strong>sciplinare).<br />

<strong>La</strong> mission <strong>dello</strong> psicologo consiste, in sintesi,<br />

nell’accrescimento delle conoscenze sul comportamento<br />

umano e nell’utilizzazione <strong>di</strong> tali conoscenze<br />

per promuovere il benessere psichico del singolo<br />

in<strong>di</strong>viduo, del <strong>gruppo</strong> e dell’intera comunità umana.<br />

Compiti primari della professione sono l’attività <strong>di</strong><br />

stu<strong>di</strong>o e <strong>di</strong> ricerca tendente all’ampliamento del patrimonio<br />

conoscitivo relativo alla condotta dell’uomo<br />

e l’attività applicativa <strong>di</strong> dette conoscenze al fi ne <strong>di</strong><br />

prevenire il <strong>di</strong>sagio psichico e <strong>di</strong> curarlo, ove questo<br />

sia presente.<br />

2. Etica, Morale e Deontologia<br />

Due concetti costituiscono i presupposti fondamentali<br />

della deontologia: il concetto <strong>di</strong> morale e<br />

quello <strong>di</strong> etica. Ricoeur (1990) ha defi nito con il termine<br />

etica ciò che è considerato buono e con il termine<br />

morale ciò che si impone come obbligatorio.<br />

5


6<br />

<strong>La</strong> morale (dal latino mos, moris, che signifi ca<br />

costume) è una realtà fenomenologica che comprende,<br />

descrive e defi nisce i costumi, gli stili <strong>di</strong> vita, i<br />

comportamenti, i pensieri degli esseri umani che vivono<br />

in una determinata società, con particolare riferimento<br />

rispetto a ciò che, all’interno <strong>di</strong> quella società,<br />

è considerato bene e a ciò che è considerato male.<br />

Proprio perché si riferisce ai “costumi”, che mutano<br />

da società a società e si mo<strong>di</strong>fi cano nel corso del tempo,<br />

la morale non può essere unica e immutabile per<br />

tutta l’Umanità, ma cambia da popolazione a popolazione<br />

e si mo<strong>di</strong>fi ca nel corso degli anni anche all’interno<br />

della stessa civiltà alla quale si applica. Non<br />

è, dunque, un concetto statico e defi nibile “a priori”<br />

una volta per tutte, ma “segue i tempi” per sod<strong>di</strong>sfare<br />

le esigenze <strong>di</strong> sopravvivenza degli in<strong>di</strong>vidui e delle<br />

comunità che via via essi costituiscono. <strong>La</strong> morale<br />

è, pertanto, il complesso organico <strong>di</strong> principi e valori<br />

aventi una propria gerarchia e delle regole con<strong>di</strong>vise<br />

dalla maggioranza <strong>di</strong> un dato <strong>gruppo</strong> sociale che pongono<br />

come obiettivo il bene sociale e comunitario.<br />

Per lo psicologo la morale è il regno dell’autonomia<br />

professionale, dell’impegno intellettuale e della<br />

libertà in<strong>di</strong>viduale, ma non certamente delle scelte<br />

svincolate dai criteri, arbitrarie e compiute per sé soltanto<br />

o in solitu<strong>di</strong>ne.<br />

Il termine etica (dal greco ethos, ethicòs, che signifi<br />

ca consuetu<strong>di</strong>ne, costume) in<strong>di</strong>ca l’insieme dei<br />

comportamenti vissuti all’interno <strong>di</strong> una cultura, accompagnato<br />

dalla rifl essione critica su quei comportamenti<br />

e dalla ricerca del senso <strong>di</strong>rettivo dell’agire.<br />

L’etica è quella branca della fi losofi a che stu<strong>di</strong>a<br />

i fondamenti oggettivi e razionali che permettono <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>stinguere i comportamenti umani in buoni, giusti,<br />

o moralmente leciti, rispetto ai comportamenti ritenuti<br />

cattivi, o moralmente inappropriati, e cerca <strong>di</strong><br />

comprendere e defi nire i criteri in base ai quali si<br />

valutano le scelte e i comportamenti degli in<strong>di</strong>vidui<br />

e dei gruppi, le caratteristiche e i contenuti delle <strong>di</strong>namiche<br />

sociali, nel corso delle quali si defi niscono e<br />

si ridefi niscono - in un continuo processo <strong>di</strong> verifi ca<br />

e <strong>di</strong> aggiustamento - i valori, i principi e le regole cui<br />

si richiamano i singoli e i gruppi.<br />

L’etica può essere defi nita anche come la ricerca<br />

<strong>di</strong> uno o più criteri che consentano all’in<strong>di</strong>viduo <strong>di</strong><br />

gestire adeguatamente la propria libertà nel rispetto<br />

degli altri; essa pretende una base razionale, quin<strong>di</strong><br />

non emotiva, dell’atteggiamento assunto, non riducibile<br />

a slanci solidaristici o amorevoli <strong>di</strong> tipo irrazionale.<br />

In questo senso l’etica pone una cornice<br />

<strong>di</strong> riferimento dei canoni e dei confi ni entro cui la<br />

libertà umana si può estendere ed esprimere. Pertan-<br />

Aspetti deontologici della professione<br />

to, quando parliamo <strong>di</strong> etica o <strong>di</strong> morale facciamo<br />

riferimento al costume e, più ampiamente, al nostro<br />

modo <strong>di</strong> agire e <strong>di</strong> comportarci, alle scelte che quoti<strong>di</strong>anamente<br />

compiamo in modo più o meno consapevole,<br />

ai criteri, ai valori e alle norme in base ai quali<br />

orientiamo il nostro agire.<br />

Una parte dell’etica è rappresentata dall’etica<br />

professionale che ha come oggetto <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o i valori<br />

che caratterizzano il rapporto tra il professionista<br />

e il cliente. Ogni professione è esercitata da uomini<br />

ed è rivolta ad altri uomini: poiché ha una ricaduta<br />

più o meno <strong>di</strong>retta sulla vita dell’uomo, essa assume<br />

inevitabilmente un risvolto etico comportando –<br />

attraverso gli spazi <strong>di</strong> <strong>di</strong>screzionalità e <strong>di</strong> decisione<br />

riconosciuti al professionista – una responsabilità<br />

espressamente morale.<br />

<strong>La</strong> deontologia professionale è l’espressione<br />

dell’etica professionale in quanto traduce in norme<br />

le istanze morali, specialmente in relazione ai destinatari<br />

delle prestazioni e dell’attività professionale.<br />

Quin<strong>di</strong> è l’insieme delle norme relative ai doveri<br />

strettamente inerenti un’attività professionale: consiste<br />

in un insieme <strong>di</strong> regole <strong>di</strong> auto<strong>di</strong>sciplina e <strong>di</strong> auto<br />

comportamento che valgono per i membri <strong>di</strong> una determinata<br />

professione. Tuttavia i doveri inerenti la<br />

professione non sono solo quelli sanciti dal Co<strong>di</strong>ce<br />

deontologico, dal Co<strong>di</strong>ce civile o dal Co<strong>di</strong>ce penale<br />

ma sono anche e soprattutto quelli morali, ispirati ad<br />

un’etica su cui si fonda il lavoro <strong>dello</strong> psicologo che<br />

comporta particolari responsabilità, sia per l’imme<strong>di</strong>atezza,<br />

la totalità, l’intimità del rapporto, sia per il<br />

fatto che lo psicologo stesso è metro e strumento del<br />

proprio lavoro. Il professionista psicologo è chiamato<br />

ad affrontare principi morali e fi losofi ci che regolano<br />

la crescita della persona, principi professionali<br />

inerenti l’autodeterminazione e, quin<strong>di</strong>, la responsabilità<br />

morale nei confronti della libertà del cliente.<br />

<strong>La</strong> deontologia impone, perciò, allo psicologo<br />

non solo <strong>di</strong> fare in modo che il suo comportamento<br />

sia moralmente corretto e si ispiri al “bene”, ma anche<br />

che sia professionalmente adeguato e si ispiri al<br />

“buono” (Madonna, 2002, p. 35).<br />

<strong>La</strong> deontologia è, allora, l’insieme dei valori,<br />

principi, regole, consuetu<strong>di</strong>ni che ogni <strong>gruppo</strong> professionale<br />

si dà e deve osservare, e ai quali deve ispirarsi,<br />

nell’esercizio della professione. In sintesi, è la<br />

dottrina dei doveri propri <strong>di</strong> una determinata categoria<br />

professionale: un insieme co<strong>di</strong>fi cato <strong>di</strong> obblighi<br />

che l’esercizio della professione impone ai professionisti.<br />

<strong>La</strong> deontologia defi nisce gli aspetti normativi e<br />

prescrittivi del comportamento etico, ovvero defi -


nisce cosa fare, cosa non fare, i principi e i criteri<br />

generali <strong>di</strong> riferimento per l’esercizio <strong>di</strong> un’attività<br />

professionale; ovviamente defi nisce pure i criteri<br />

sanzionatori dei comportamenti deontologicamente<br />

scorretti e illeciti.<br />

<strong>La</strong> deontologia consiste, perciò, in un insieme <strong>di</strong><br />

regole professionali che in<strong>di</strong>cano i comportamenti<br />

migliori e più signifi cativi che l’esperienza operativa<br />

ha prodotto in un particolare momento o contesto<br />

e che vengono proposti strumentalmente per il raggiungimento<br />

delle fi nalità che la professione si prefi<br />

gge. Se la deontologia è uno strumento e non uno<br />

scopo dell’agire professionale ne deriva che fare riferimento<br />

alla deontologia signifi ca, per lo psicologo,<br />

porsi continuamente domande sulle proprie azioni<br />

professionali.<br />

Anche se l’Etica e la Morale sono alla base dei<br />

principi e delle norme deontologiche la deontologia<br />

professionale non va confusa con l’etica o con la morale:<br />

le norme deontologiche non vengono dedotte<br />

dai principi <strong>di</strong> una particolare teoria morale, ma sono<br />

stabilite tramite un accordo tra i professionisti allo<br />

scopo <strong>di</strong> «incrementare la <strong>di</strong>gnità della professione,<br />

attraverso l’esplicitazione <strong>di</strong> alcune norme (positive<br />

o negative) che il professionista deve seguire, limitatamente<br />

all’esercizio della sua attività» (Spinsanti,<br />

1987, p. 9).<br />

Quando si parla <strong>di</strong> deontologia non si può prescindere<br />

dall’impiegare termini <strong>di</strong> provenienza strettamente<br />

giuri<strong>di</strong>ca, quali legge, norma giuri<strong>di</strong>ca, co<strong>di</strong>ce.<br />

Le “leggi” sono norme scritte (quin<strong>di</strong> ferme e costanti),<br />

imposte dall’Autorità per determinare i <strong>di</strong>ritti<br />

e i doveri dei singoli appartenenti ad uno specifi co<br />

<strong>gruppo</strong> sociale. Le “norme deontologiche” sono delle<br />

leggi scritte alle quali un <strong>gruppo</strong> professionale affi da<br />

la tutela del proprio sistema etico complessivo; sono,<br />

dunque, vere e proprie norme giuri<strong>di</strong>che che regolano<br />

gli aspetti etici <strong>di</strong> un’attività professionale.<br />

Le regole deontologiche, che un tempo erano<br />

contenute nel “Giuramento”, oggi sono raccolte nel<br />

Co<strong>di</strong>ce deontologico, che costituisce una raccolta organica<br />

<strong>di</strong> norme deontologiche alle quali un <strong>gruppo</strong><br />

professionale affi da la tutela del proprio sistema etico<br />

complessivo e delle quali ogni professione dev’essere<br />

dotata al fi ne <strong>di</strong> poter concretamente salvaguardare<br />

e rendere operativi i principi etici da essa ritenuti fondamentali<br />

per lo svolgimento delle proprie attività.<br />

Tra le “ragioni” dell’esistenza dei Co<strong>di</strong>ci Deontologici<br />

troviamo le seguenti:<br />

a) sono un’espressione pubblica delle regole <strong>di</strong><br />

autodeterminazione degli appartenenti ad una<br />

Aspetti deontologici della professione<br />

professione;<br />

b) rappresentano l’espressione pubblica del senso<br />

stesso della professione;<br />

c) tengono conto dell’asimmetria che esiste nella<br />

relazione tra il professionista e il cliente/utente,<br />

che richiede <strong>di</strong> garantire sempre un giusto<br />

equilibrio;<br />

d) si pongono a tutela della professione e <strong>di</strong> coloro<br />

ai quali il professionista si rivolge.<br />

Pertanto, le “ragioni” dell’esistenza <strong>di</strong> un Co<strong>di</strong>ce<br />

Deontologico stanno nella necessità <strong>di</strong> identifi -<br />

cazione, appartenenza e visibilità della professione,<br />

nell’utilità <strong>di</strong> uno strumento <strong>di</strong> magistratura interna<br />

alla professione stessa e nella funzione <strong>di</strong> contrappeso<br />

nell’asimmetria della relazione tra il professionista<br />

e l’utente.<br />

Il Co<strong>di</strong>ce Deontologico è lo strumento scritto e<br />

reso pubblico, che stabilisce e defi nisce le concrete<br />

regole <strong>di</strong> condotta che devono necessariamente essere<br />

rispettate nell’esercizio <strong>di</strong> una specifi ca attività<br />

professionale. Rappresenta, perciò, il dover essere<br />

per il professionista in quanto determina l’agire professionale<br />

all’interno <strong>di</strong> regole fondate su un’etica<br />

con<strong>di</strong>visa dalla comunità professionale.<br />

Al tempo stesso ha la funzione <strong>di</strong> contribuire<br />

alla costruzione <strong>di</strong> un’identità professionale comune,<br />

identità basata anche sulla in<strong>di</strong>viduazione <strong>di</strong> modalità<br />

<strong>di</strong> comportamento corretto, innanzitutto dal<br />

punto <strong>di</strong> vista strettamente professionale, idonee a<br />

dare certezze al professionista, tutelare il destinatario<br />

dell’intervento, promuovere e mantenere gli standard<br />

etici <strong>di</strong> condotta professionale.<br />

Di conseguenza il Co<strong>di</strong>ce Deontologico non è<br />

altro che l’esposizione, sotto forma <strong>di</strong> articoli, dei<br />

contenuti della deontologia professionale.<br />

3. Deontologia professionale <strong>dello</strong> Psicologo<br />

I due pilastri sui quali si fonda la professione <strong>di</strong><br />

psicologo sono la scienza e la coscienza (Calvi, 2002,<br />

p. 9). Per “scienza” si intende la competenza intesa<br />

come possesso delle tecniche e delle teorie della<br />

tecnica: lo psicologo deve operare mantenendo uno<br />

standard adeguato, fornendo servizi e tecniche per le<br />

quali possiede una specifi ca formazione e qualifi cazione.<br />

Per “coscienza” si intende l’osservanza delle<br />

norme etiche che devono informare l’agire professionale,<br />

quin<strong>di</strong> la responsabilità intesa come assunzione<br />

delle conseguenze dei propri atti nel campo della ricerca,<br />

nell’ambito educativo e in quello clinico professionale.<br />

Pertanto la deontologia (“osservanza delle nor-<br />

7


8<br />

me”) procede insieme alla formazione (“competenza”)<br />

nel costituire il patrimonio del professionista:<br />

l’“agire competente” e l’“agire deontologico” procedono<br />

parallelamente e sono, <strong>di</strong> fatto, profondamente<br />

embricati.<br />

«Accade infatti assai spesso che una violazione<br />

delle regole <strong>di</strong> condotta confi guri un defi cit <strong>di</strong><br />

competenza (si pensi, ad es., al caso <strong>dello</strong> psicoterapeuta<br />

che instauri con il proprio paziente un rapporto<br />

sessuale, il che non può non compromettere<br />

ra<strong>di</strong>calmente l’andamento del processo terapeutico);<br />

d’altro canto, la mancata consapevolezza dei propri<br />

limiti competenziali, e la conseguente assunzione <strong>di</strong><br />

incarichi professionali che esulino dalle proprie abilità<br />

professionali, costituisce, <strong>di</strong> per sé, una specifi -<br />

ca trasgressione delle norme deontologiche» (Calvi,<br />

2002, pp. 9-10). <strong>La</strong> professione <strong>di</strong> Psicologo, come<br />

le altre attività intellettuali, fonda le sue regole deontologiche,<br />

cioè il complesso <strong>di</strong> regole <strong>di</strong> condotta che<br />

devono essere rispettate nell’attività professionale,<br />

sul <strong>di</strong>ritto (il rispetto delle leggi), sull’etica (la coscienza<br />

e la morale) e sulla prassi (i comportamenti<br />

ripetuti e costanti della pratica psicologica, clinica e<br />

non solo). <strong>La</strong> deontologia <strong>dello</strong> psicologo non può<br />

prescindere da quanto contenuto nel primo comma<br />

dell’art. 1 e nel primo comma dell’art. 2 della Dichiarazione<br />

Universale dei Diritti Umani (adottata<br />

dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10<br />

<strong>di</strong>cembre 1948), nel primo comma dell’art. 3 della<br />

Costituzione della Repubblica Italiana e nel primo<br />

comma dell’art. 4 del vigente Co<strong>di</strong>ce Deontologico<br />

degli Psicologi Italiani.<br />

Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, adottata<br />

dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite<br />

(ONU) il 10 <strong>di</strong>cembre 1948:<br />

Art. 1, comma 1: «Tutti gli esseri umani nascono liberi<br />

ed eguali in <strong>di</strong>gnità e <strong>di</strong>ritti».<br />

Art. 2, comma 1: «Ad ogni in<strong>di</strong>viduo spettano tutti<br />

i <strong>di</strong>ritti e tutte le libertà enunciate nella presente<br />

Dichiarazione, senza <strong>di</strong>stinzione alcuna, per ragioni<br />

<strong>di</strong> razza, <strong>di</strong> colore, <strong>di</strong> sesso, <strong>di</strong> lingua, <strong>di</strong> religione,<br />

<strong>di</strong> opinione politica o <strong>di</strong> altro genere, <strong>di</strong> origine nazionale<br />

o sociale, <strong>di</strong> ricchezza, <strong>di</strong> nascita o <strong>di</strong> altra<br />

con<strong>di</strong>zione».<br />

Costituzione della Repubblica Italiana:<br />

Art. 3, comma 1: «Tutti i citta<strong>di</strong>ni hanno pari <strong>di</strong>gnità<br />

sociale e sono eguali davanti alla legge, senza <strong>di</strong>stinzione<br />

<strong>di</strong> sesso, <strong>di</strong> razza, <strong>di</strong> lingua, <strong>di</strong> religione, <strong>di</strong><br />

opinioni politiche, <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zioni<br />

personali e sociali».<br />

Aspetti deontologici della professione<br />

Co<strong>di</strong>ce Deontologico degli Psicologi Italiani:<br />

Art. 4, comma 1: «Nell’esercizio della professione,<br />

lo Psicologo rispetta la <strong>di</strong>gnità, il <strong>di</strong>ritto alla riservatezza,<br />

all’autodeterminazione ed all’autonomia <strong>di</strong><br />

coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta<br />

opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre<br />

il suo sistema <strong>di</strong> valori; non opera <strong>di</strong>scriminazioni<br />

in base a religione, etnia, nazionalità, estrazione sociale,<br />

stato socio-economico, sesso <strong>di</strong> appartenenza,<br />

orientamento sessuale, <strong>di</strong>sabilità».<br />

I valori contenuti nel Co<strong>di</strong>ce deontologico degli<br />

Psicologi italiani trovano fondamento giuri<strong>di</strong>co anche<br />

in altri documenti internazionali, tra i quali la<br />

Carta dei <strong>di</strong>ritti del fanciullo (ONU, 1959), la Convenzione<br />

internazionale sull’eliminazione <strong>di</strong> ogni<br />

forma <strong>di</strong> <strong>di</strong>scriminazione razziale (New York, 1965),<br />

la Convenzione sull’eliminazione <strong>di</strong> ogni forma <strong>di</strong> <strong>di</strong>scriminazione<br />

nei confronti della donna (Strasburgo,<br />

1979), la Carta dei <strong>di</strong>ritti fondamentali dell’Unione<br />

Europea (Nizza, 2000) e la Carta della Costituzione<br />

europea (Roma, 2004).<br />

Le norme deontologiche <strong>di</strong> in<strong>di</strong>rizzo nella professione<br />

<strong>di</strong> psicologo sono rappresentate dagli artt.<br />

12, 17, 26, 27, 28 della Legge 18 febbraio 1989, n.<br />

56/89, Or<strong>di</strong>namento della professione <strong>di</strong> psicologo,<br />

e dall’art. 2229 del Co<strong>di</strong>ce civile: esse istituiscono<br />

l’Or<strong>di</strong>ne professionale e gli conferiscono la funzione<br />

<strong>di</strong> produrre e far applicare una specifi ca normativa<br />

deontologica, in considerazione anche del fatto che<br />

la professione <strong>di</strong> psicologo, e le prestazioni che essa<br />

comprende, è in<strong>di</strong>ssolubilmente legata al <strong>di</strong>ritto alla<br />

salute che l’art. 32 della Costituzione defi nisce come<br />

un <strong>di</strong>ritto dell’in<strong>di</strong>viduo e un interesse della collettività.<br />

<strong>La</strong> salute, quale stato <strong>di</strong> completo benessere fi sico,<br />

psicologico e sociale (OMS), è un <strong>di</strong>ritto soggettivo<br />

a <strong>di</strong>mensione in<strong>di</strong>viduale e, allo stesso tempo, un<br />

interesse a <strong>di</strong>mensione collettiva, dal quale <strong>di</strong>scende<br />

un particolare con<strong>di</strong>zionamento ed orientamento per<br />

la <strong>di</strong>sciplina della professione <strong>di</strong> Psicologo, con una<br />

enfatizzazione dei tratti <strong>di</strong> servizio e <strong>di</strong> qualità della<br />

prestazione rispetto ai tratti <strong>di</strong> tipo organizzativo ed<br />

economico.<br />

Poiché lo Psicologo opera nel contesto <strong>di</strong> una<br />

professione <strong>di</strong> aiuto e, comunque, sempre all’interno<br />

<strong>di</strong> una relazione umana, egli è costantemente sottoposto<br />

a pressioni ed aspettative proprie e <strong>di</strong> tutti i<br />

possibili destinatari della prestazione, dal singolo in<strong>di</strong>viduo<br />

al grande <strong>gruppo</strong>, su un agire “buono”, dove<br />

la misura del “buono” è infl uenzata dai luoghi comuni<br />

e dalle immagini ingenue e spesso idealizzate con<br />

cui le persone arrivano a una domanda <strong>di</strong> aiuto.


4. Il Co<strong>di</strong>ce Deontologico degli Psicologi<br />

Italiani<br />

Il Co<strong>di</strong>ce Deontologico degli Psicologi Italiani è<br />

stato approvato dal Consiglio Nazionale dell’Or<strong>di</strong>ne<br />

nell’adunanza del 27-28 giugno 1997, è stato confermato<br />

con referendum dagli iscritti all’Or<strong>di</strong>ne degli<br />

Psicologi in data 17 gennaio 1998 ed è entrato in vigore<br />

il 16 febbraio 1998.<br />

Il testo del Co<strong>di</strong>ce deontologico attualmente in<br />

vigore è stato mo<strong>di</strong>fi cato (con riferimento agli artt.<br />

23 e 40, relativi al compenso professionale e alla<br />

pubblicità) e approvato dal Consiglio Nazionale<br />

dell’Or<strong>di</strong>ne in data 15-16 <strong>di</strong>cembre 2006 e in data<br />

30 luglio 2009. Pertanto, dal 16 febbraio 1998 tutti<br />

coloro che esercitano la professione <strong>di</strong> Psicologo in<br />

Italia hanno a <strong>di</strong>sposizione un preciso testo scritto<br />

quale riferimento fondamentale per le normative e le<br />

problematiche deontologiche della Professione.<br />

<strong>La</strong> necessità <strong>di</strong> un Co<strong>di</strong>ce deontologico per gli<br />

psicologi è spiegata nell’art. 3 <strong>dello</strong> stesso Co<strong>di</strong>ce:<br />

«Lo psicologo è consapevole della responsabilità<br />

sociale derivante dal fatto che, nell’esercizio professionale,<br />

può intervenire signifi cativamente nella<br />

vita degli altri; pertanto deve prestare particolare<br />

attenzione ai fattori personali, sociali, organizzativi,<br />

fi nanziari e politici, al fi ne <strong>di</strong> evitare l’uso non<br />

appropriato della sua infl uenza, e non utilizza indebitamente<br />

la fi ducia e le eventuali situazioni <strong>di</strong> <strong>di</strong>pendenza<br />

dei committenti e degli utenti destinatari<br />

della sua prestazione professionale. Lo psicologo è<br />

responsabile dei propri atti professionali e delle loro<br />

preve<strong>di</strong>bili <strong>di</strong>rette conseguenze».<br />

Rispetto alla maggior parte degli analoghi strumenti<br />

adottati da altre Categorie professionali, il<br />

Co<strong>di</strong>ce Deontologico degli Psicologi Italiani presenta<br />

almeno tre caratteristiche estremamente signifi<br />

cative: la sua esistenza è prevista per legge, ed in<br />

particolare dall’art. 28 dalla Legge 56/89, istitutiva<br />

della professione <strong>di</strong> Psicologo e del relativo Or<strong>di</strong>ne<br />

Professionale; la sua vali<strong>di</strong>tà è subor<strong>di</strong>nata all’approvazione<br />

da parte della Categoria professionale<br />

me<strong>di</strong>ante apposito referendum; la legge 56/89, che<br />

lo ha previsto, sancisce anche la necessità <strong>di</strong> un suo<br />

perio<strong>di</strong>co aggiornamento.<br />

Le norme deontologiche non scritte che regolavano<br />

la condotta degli psicologi prima della promulgazione<br />

del Co<strong>di</strong>ce rientravano nelle norme sociali in<br />

genere, mentre le norme che compongono il Co<strong>di</strong>ce<br />

Deontologico sono vere e proprie norme giuri<strong>di</strong>che<br />

che appartengono all’or<strong>di</strong>namento giuri<strong>di</strong>co professionale.<br />

Il Co<strong>di</strong>ce Deontologico in<strong>di</strong>ca, in sostanza, che<br />

Aspetti deontologici della professione<br />

cosa il cliente/utente deve attendersi dallo Psicologo.<br />

Pertanto se il curriculum formativo defi nisce lo<br />

Psicologo nelle sue competenze, il Co<strong>di</strong>ce deontologico<br />

lo defi nisce nella sua “coscienza professionale”,<br />

rappresentando la Carta d’identità <strong>dello</strong> Psicologo:<br />

uno strumento <strong>di</strong> garanzia per lui e per i suoi utenti/<br />

clienti.<br />

Il Co<strong>di</strong>ce Deontologico degli Psicologi Italiani<br />

raccoglie in 42 articoli le norme <strong>di</strong> comportamento<br />

alle quali lo psicologo deve attenersi nello svolgimento<br />

della propria attività, la cui osservanza è necessaria<br />

alla realizzazione e alla tutela dei valori e<br />

della funzione che il <strong>gruppo</strong> professionale riconosce<br />

come propri.<br />

Fornisce, inoltre, i criteri per affrontare i <strong>di</strong>lemmi<br />

etici e deontologici e per dare pregnanza etica alle<br />

azioni professionali. Le norme del Co<strong>di</strong>ce sono vincolanti<br />

per tutti gli psicologi iscritti all’albo (art. 1);<br />

la loro inosservanza costituisce illecito <strong>di</strong>sciplinare<br />

(art. 2), che espone lo psicologo a specifi che sanzioni.<br />

Lo psicologo iscritto all’albo è tenuto a conoscere<br />

le regole deontologiche e l’ignoranza delle medesime<br />

non lo esime da responsabilità <strong>di</strong>sciplinare (art. 1).<br />

Il Co<strong>di</strong>ce Deontologico degli Psicologi Italiani è<br />

costituito da 42 articoli, sud<strong>di</strong>visi in cinque gruppi tra<br />

loro omogenei e riuniti nei seguenti cinque “Capi”:<br />

Capo I: Principi generali<br />

comprende 21 artt. (dall’1 al 21)<br />

Capo II: Rapporti con l’utenza e con la committenza<br />

comprende 11 artt. (dal 22 al 32)<br />

Capo III: Rapporti con i colleghi<br />

comprende 6 artt. (dal 33 al 38)<br />

Capo IV: Rapporti con la società<br />

comprende 2 artt. (dal 39 al 40)<br />

Capo V: Norme <strong>di</strong> attuazione<br />

comprende 2 artt. (dal 41 al 42)<br />

In sintesi, il Co<strong>di</strong>ce Deontologico svolge le funzioni<br />

<strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduazione e controllo, consentendo alla<br />

società <strong>di</strong> conoscere le fi nalità e i principi che fondano<br />

l’agire professionale degli psicologi e <strong>di</strong> sviluppare<br />

un controllo circa l’effettiva messa in pratica<br />

<strong>di</strong> tali istanze da parte degli psicologi nel comportamento<br />

lavorativo; <strong>di</strong> chiarifi cazione sia tra gli addetti<br />

ai lavori, mantenendo ben chiaro agli psicologi quali<br />

sono gli aspetti e i temi fondamentali cui porre attenzione<br />

nel lavoro, sia all’esterno, dando la possibilità<br />

ad altri professionisti e ai potenziali clienti <strong>di</strong> capire<br />

ciò che la categoria professionale degli psicologi intende<br />

tutelare, <strong>di</strong> cosa si prende cura e quali limiti si<br />

pone mentre lavora; <strong>di</strong> demarcazione rispetto a tutto<br />

ciò che si situa al <strong>di</strong> fuori, che non corrisponde a logiche<br />

con<strong>di</strong>vise o a tutele per i clienti (Kaneklin, 2007,<br />

9


10<br />

pp. 53-54).<br />

L’esistenza del Co<strong>di</strong>ce mo<strong>di</strong>fi ca la pratica professionale<br />

<strong>dello</strong> psicologo nel senso che le prestazioni<br />

non possono essere giustifi cate esclusivamente in<br />

senso autoreferenziale, chiamando in causa esclusivamente<br />

la propria coscienza oppure la pertinenza<br />

rispetto ad un particolare orientamento psicologico,<br />

ma devono raccordarsi con il dettato <strong>di</strong> norme vincolanti.<br />

<strong>La</strong> violazione delle regole che dovrebbero governare<br />

i comportamenti professionali espone, inevitabilmente,<br />

lo psicologo a specifi che sanzioni.<br />

Ma la fi losofi a <strong>di</strong> fondo del Co<strong>di</strong>ce Deontologico<br />

è solo in parte orientata in senso specifi catamente<br />

punitivo: e questo non solo per la ricorrente presenza<br />

in quasi tutti gli articoli dei principi positivi ma anche<br />

per la quasi totale assenza <strong>di</strong> defi nizione <strong>di</strong> comportamenti<br />

defi niti come gravi e, pertanto, passibili <strong>di</strong><br />

pesanti sanzioni <strong>di</strong>sciplinari.<br />

Soltanto due volte, in tutto il Co<strong>di</strong>ce Deontologico,<br />

vengono descritti ed esemplifi cati comportamenti<br />

<strong>dello</strong> Psicologo esplicitamente defi niti come “gravi”:<br />

esattamente all’interno del secondo comma dell’art.<br />

28 che testualmente recita: «Costituisce grave violazione<br />

deontologica effettuare interventi <strong>di</strong>agnostici,<br />

<strong>di</strong> sostegno psicologico o <strong>di</strong> psicoterapia rivolti<br />

a persone con le quali ha intrattenuto o intrattiene<br />

relazioni signifi cative <strong>di</strong> natura personale, in particolare<br />

<strong>di</strong> natura affettivo-sentimentale e/o sessuale.<br />

Parimenti costituisce grave violazione deontologica<br />

instaurare le suddette relazioni nel corso del rapporto<br />

professionale».<br />

Il Co<strong>di</strong>ce non stabilisce il tipo <strong>di</strong> sanzione per<br />

ogni singola violazione, come accade ad esempio nel<br />

Co<strong>di</strong>ce penale, dove per ogni reato viene in<strong>di</strong>cato il<br />

massimo e il minimo della pena, ma lascia al giu<strong>di</strong>cante<br />

Consiglio dell’Or<strong>di</strong>ne territoriale il più ampio<br />

spazio nell’in<strong>di</strong>viduazione della sanzione da comminare.<br />

E’ stato obiettato che tale libertà contrasta, in<br />

qualche misura, con il principio della certezza del <strong>di</strong>ritto,<br />

non potendo conoscere anticipatamente il colpevole<br />

a quale punizione andrà incontro. Ma nel campo<br />

deontologico è estremamente <strong>di</strong>ffi cile, per non <strong>di</strong>re<br />

impossibile, predeterminare la sanzione in rapporto<br />

alla violazione della norma, posto che il medesimo<br />

“fatto” può assumere gra<strong>di</strong> <strong>di</strong> gravità estremamente<br />

<strong>di</strong>fferenti in ragione della misura della consapevolezza<br />

dell’autore circa l’illiceità della propria condotta,<br />

della negligenza o dell’imperizia manifestata col<br />

comportamento colpevole, nonché della gravità del<br />

danno conseguito dalla parte offesa. Da ciò l’ampia<br />

<strong>di</strong>screzionalità nell’infl izione delle sanzioni <strong>di</strong>scipli-<br />

Aspetti deontologici della professione<br />

nari, previste dalla Legge 56/89 che sono:<br />

a) avvertimento: consiste nella contestazione<br />

dell’infrazione commessa e nel richiamo dell’incolpato<br />

ai suoi obblighi deontologici, a non persistere<br />

e a non ripetere l’infrazione commessa;<br />

b) censura: <strong>di</strong>chiarazione formale <strong>di</strong> biasimo per<br />

l’infrazione commessa;<br />

c) sospensione dall’esercizio professionale per un<br />

periodo non superiore ad un anno: inibizione<br />

temporanea ad esercitare la professione;<br />

d) ra<strong>di</strong>azione: espulsione dall’Albo professionale,<br />

con il conseguente <strong>di</strong>vieto <strong>di</strong> esercizio dell’attività<br />

professionale.<br />

<strong>La</strong> professione <strong>di</strong> Psicologo comporta una serie<br />

<strong>di</strong> scelte e il dover affrontare dei <strong>di</strong>lemmi che il professionista<br />

si pone relativamente alla possibilità, alla<br />

correttezza e alla legittimità <strong>di</strong> determinate condotte.<br />

Di conseguenza, le norme del Co<strong>di</strong>ce deontologico<br />

costituiscono una bussola che sostiene e orienta nelle<br />

scelte ma, al tempo stesso, esse sono infl uenzate dalle<br />

scelte e dalle decisioni che vengono prese nella prassi<br />

lavorativa quoti<strong>di</strong>ana (Calvi e Gulotta, 1999).<br />

Il Co<strong>di</strong>ce ha, dunque, un carattere “sintetico”<br />

(Calvi, 2002, p. 10), nel senso che non prevede una<br />

complessa casistica ma stabilisce regole suffi cientemente<br />

generali, lasciando al compito dell’interpretazione<br />

il calare il caso concreto nella norma astratta.<br />

Tuttavia i principi generali espressi dai primi<br />

ventuno articoli del Co<strong>di</strong>ce fanno da cornice alle prescrizioni<br />

e ai <strong>di</strong>vieti più specifi ci contenuti nei Capi<br />

successivi, dando loro senso e orientando la loro lettura.<br />

Nel nostro Co<strong>di</strong>ce deontologico i principi generali<br />

sono ancora più importanti che in altri Co<strong>di</strong>ci<br />

perché ad essi si deve fare riferimento non solo per<br />

sciogliere eventuali dubbi interpretativi ma anche per<br />

orientarsi nei casi <strong>di</strong> lacunosità della norma che la<br />

scelta “sintetica” inevitabilmente comporta. In caso<br />

<strong>di</strong> incompatibilità, il Co<strong>di</strong>ce Penale e il Co<strong>di</strong>ce Civile<br />

prevalgono sul Co<strong>di</strong>ce deontologico. Pertanto il riferimento<br />

ai primi due e, in generale, alle regole sociali<br />

potrebbero da soli orientare i professionisti e la loro<br />

condotta, ma il Co<strong>di</strong>ce deontologico ha un’ulteriore<br />

funzione: favorisce lo sviluppo <strong>di</strong> una coscienza<br />

collettiva negli iscritti all’Or<strong>di</strong>ne (Calvi e Gulotta,<br />

1999).<br />

Di conseguenza il Co<strong>di</strong>ce Deontologico è funzionale<br />

a chi è iscritto per riconoscersi negli altri<br />

colleghi che, a loro volta, lo riconosceranno come<br />

appartenente al proprio <strong>gruppo</strong>. Ciò consente ai professionisti<br />

iscritti <strong>di</strong> sapere, da un lato, quali condotte<br />

adottare e, dall’altro, quali condotte aspettarsi che gli<br />

altri tengano.


5. Le fi nalità ispiratrici del Co<strong>di</strong>ce Deontologico<br />

degli Psicologi Italiani<br />

Calvi (1999) ha in<strong>di</strong>viduato quattro fi nalità ispiratrici<br />

del Co<strong>di</strong>ce deontologico degli Psicologi italiani:<br />

1. Tutela del cliente (artt. 4, 9, 11, 17, 28);<br />

2. Tutela del singolo professionista nei confronti<br />

dei colleghi (artt. 35, 36);<br />

3. Tutela del <strong>gruppo</strong> professionale complessivo<br />

degli psicologi italiani (artt. 6, 8);<br />

4. Responsabilità nei confronti della società<br />

(artt. 3, 34).<br />

Lo stesso Calvi (2000, pp. 20-22) ha in<strong>di</strong>cato<br />

quattro “imperativi-guida” che dovrebbero ispirare<br />

la condotta professionale degli psicologi italiani:<br />

1. Meritare la fi ducia del cliente (artt. 11, 18, 21,<br />

25). Questo imperativo deontologico <strong>di</strong>scende<br />

dalla concezione della professione come<br />

“servizio” nel quale il professionista può fare<br />

soltanto ciò che va a vantaggio del cliente, per<br />

cui qualsiasi cosa che sia a vantaggio del professionista,<br />

o <strong>di</strong> terzi, deve essere subor<strong>di</strong>nata<br />

all’utilità che <strong>di</strong>scende al cliente dall’intervento<br />

del professionista.<br />

2. Possedere una competenza adeguata a rispondere<br />

alla domanda del cliente (artt. 5, 22, 37).<br />

Questo imperativo comporta per il professionista<br />

la necessità <strong>di</strong> implementare le conoscenze,<br />

acquisendole o aggiornandole con continuità<br />

(formazione permanente) e arricchendo attraverso<br />

la ricerca la propria cultura e quella della<br />

comunità professionale cui appartiene; la <strong>capacità</strong><br />

<strong>di</strong> autovalutazione delle proprie competenze;<br />

la consapevolezza dei limiti del proprio<br />

sapere e saper fare; il rifi uto <strong>di</strong> svolgere attività<br />

per le quali non si senta adeguatamente preparato.<br />

3. Usare con giustizia il proprio potere (artt. 22,<br />

4, 18, 28, 38, 39, 40). Questo imperativo signifi<br />

ca essenzialmente riconoscere l’asimmetricità<br />

del “rapporto professionale”, che non minacci<br />

l’autonomia del cliente, ma gli garantisca<br />

la possibilità <strong>di</strong> decidere e <strong>di</strong> autodeterminarsi.<br />

Signifi ca inoltre saper rispettare e favorire le<br />

<strong>capacità</strong> decisionali del cliente, mettendogli a<br />

<strong>di</strong>sposizione tutte le informazioni in grado <strong>di</strong><br />

consentirgli un più corretto esame <strong>di</strong> realtà.<br />

Ciò implica chiarire al cliente, ad es., l’impossibilità<br />

<strong>di</strong> prevedere con esattezza la durata<br />

o gli esiti del trattamento psicoterapeutico e,<br />

quin<strong>di</strong>, anche il suo complessivo costo economico.<br />

Usare in modo “giusto” il proprio potere<br />

Aspetti deontologici della professione<br />

signifi ca pure non provocare danno (art. 22),<br />

rispettare l’autonomia e la <strong>di</strong>gnità del cliente<br />

non usandolo a proprio vantaggio (artt. 4 e 18),<br />

mantenere una condotta consona al decoro e<br />

alla <strong>di</strong>gnità della professione, sia verso il cliente<br />

sia verso i colleghi e la società (artt. 28, 29,<br />

39, 40).<br />

4. Difendere l’autonomia professionale (art. 6).<br />

Questo imperativo comporta il rifi uto <strong>di</strong> ogni<br />

ingerenza esterna al “corpus” professionale<br />

nel controllo dell’attività del professionista, in<br />

quanto tali ingerenze produrrebbero automaticamente<br />

un calo della fi ducia che il cliente deve<br />

avere nei confronti del professionista a cui si<br />

è rivolto, uno sca<strong>di</strong>mento degli standard professionali,<br />

una minaccia alle competenze professionali<br />

e una ferita alle stesse competenze,<br />

che sono valutabili soltanto da chi appartiene<br />

al medesimo corpo professionale. L’autonomia<br />

professionale implica perciò la costruzione <strong>di</strong><br />

un proprio sistema <strong>di</strong> riferimento (identità) in<br />

un contesto <strong>di</strong> collaborazione e inter<strong>di</strong>pendenza<br />

(Frati, 2004).<br />

L’art. 3, comma 1 del Co<strong>di</strong>ce deontologico afferma<br />

«Lo psicologo considera suo dovere accrescere le<br />

conoscenze sul comportamento umano ed utilizzarle<br />

per promuovere il benessere psicologico dell’in<strong>di</strong>viduo,<br />

del <strong>gruppo</strong> e della comunità».<br />

L’utilizzo del verbo “promuovere” in<strong>di</strong>ca un atteggiamento<br />

professionale <strong>di</strong> tipo “attivo” che, dal<br />

punto <strong>di</strong> vista dell’etica e della deontologia, non può<br />

considerarsi sod<strong>di</strong>sfatto nella semplice “non-violazione”<br />

delle norme deontologiche presenti nel Co<strong>di</strong>ce,<br />

ma contiene in sé anche «la necessità sia <strong>di</strong> azioni<br />

propositive fi nalizzate all’affermazione del benessere<br />

psicologico delle persone sia <strong>di</strong> motivazioni personali<br />

e professionali coerenti con il raggiungimento<br />

degli obiettivi ad esse sottese» (Urso, 2007).<br />

Osserva Desiderio (2000) che «è veramente troppo<br />

poco che uno psicologo, per il senso etico della<br />

sua professione, sia chiamato solo a non…, a non<br />

offendere…, a non attentare alla <strong>di</strong>gnità umana e<br />

non invece ad azioni propositive come per esempio<br />

a rappresentare ed a contribuire alla <strong>di</strong>gnità umana,<br />

nei limiti delle sue possibilità ed all’interno della sua<br />

professione. Sicuramente tutti gli psicologi sono impegnati<br />

concretamente in tal senso, ma quella che è<br />

un’opzione personale dovrebbe <strong>di</strong>ventare un valore<br />

ed un dovere professionale, un caposaldo dell’etica e<br />

della deontologia della categoria».<br />

Il verbo “promuovere” introduce il concetto <strong>di</strong><br />

“etica passiva” e <strong>di</strong> “etica attiva”. L’Etica “passiva”<br />

11


12<br />

è la semplice attenzione alla “non-violazione” delle<br />

norme deontologiche mentre l’Etica “attiva” implica<br />

un impegno volto a “contribuire al bene”, qualunque<br />

sia il proprio quadro <strong>di</strong> riferimento teorico. L’etica<br />

quin<strong>di</strong>, in tale concezione, non si defi nisce più soltanto<br />

come un “non-fare” cose contrarie alle norme o<br />

ai principi deontologici, ma «si trasforma in attività,<br />

fatta <strong>di</strong> azioni e parole», fi nalizzate alla promozione e<br />

al conseguimento del benessere in<strong>di</strong>viduale e collettivo.<br />

L’etica cosiddetta “attiva”, per potersi esprimere,<br />

ha bisogno della presenza <strong>di</strong> almeno tre con<strong>di</strong>zioni<br />

o principi fondamentali: la tutela dell’utente e del<br />

committente, la tutela del <strong>gruppo</strong> professionale, la<br />

tutela del singolo professionista. Parmentola (2000)<br />

sostiene che «occorre molta tecnica, per essere etico».<br />

Infatti, «come spesso accade, un rigore tecnicoprofessionale<br />

può già costituire anche una forma <strong>di</strong><br />

salvaguar<strong>di</strong>a deontologica. Un dottore tecnicamente<br />

bravo è, per ricaduta, un dottore corretto. Un dottore<br />

deontologicamente scorretto non potrà, per ricaduta,<br />

che fornire prestazioni tecnicamente scadenti».<br />

È proprio per questo che, nella professione <strong>di</strong> psicologo,<br />

i concetti <strong>di</strong> “deontologia” e <strong>di</strong> “qualità” non<br />

possono in alcun modo essere <strong>di</strong>sgiunti ed, anzi, un<br />

adeguato approfon<strong>di</strong>mento della materia deontologica<br />

può e probabilmente deve essere anche, per lo psicologo,<br />

una via pressoché obbligata per migliorare i<br />

livelli qualitativi del suo concreto agire professionale<br />

quoti<strong>di</strong>ano (Frati, 2002).<br />

In quanto insieme <strong>di</strong> principi, <strong>di</strong> insegnamenti<br />

e <strong>di</strong> orientamenti il Co<strong>di</strong>ce deontologico è, perciò,<br />

«uno strumento da adottare non solo per essere corretti,<br />

ma anche per essere bravi nell’esercizio della<br />

pratica professionale» (Madonna, 2002, p. 51). Per<br />

questo stu<strong>di</strong>are il Co<strong>di</strong>ce deontologico e la deontologia<br />

in generale, e rifl ettere su <strong>di</strong> essi, rappresenta<br />

«una pratica formativa professionale, una strada ulteriore<br />

e non secondaria per imparare ad essere bravi<br />

professionisti», tenendo sempre presente che l’etica<br />

professionale non si esaurisce nel rispetto del co<strong>di</strong>ce<br />

deontologico bensì corrisponde ad un’attitu<strong>di</strong>ne<br />

mentale e relazionale che informa ogni scelta e<br />

condotta sia nell’esercizio della professione sia nella<br />

partecipazione alla vita della società civile. Nell’attuale<br />

contesto <strong>di</strong> mutamenti strutturali e culturali che<br />

riguardano la professione <strong>dello</strong> psicologo l’adozione<br />

<strong>di</strong> regole deontologiche vincolanti costituisce un<br />

criterio <strong>di</strong> legittimazione e <strong>di</strong> consenso sociale della<br />

psicologia, in quanto contribuisce a fornire e a salvaguardare<br />

una determinata immagine pubblica <strong>dello</strong><br />

psicologo, una sorta <strong>di</strong> mo<strong>dello</strong> <strong>di</strong> “professionista<br />

ideale”, competente e responsabile (Calvi, 2002).<br />

Aspetti deontologici della professione<br />

6. <strong>La</strong> responsabilità <strong>dello</strong> psicologo<br />

Nella visione tra<strong>di</strong>zionale, la responsabilità viene<br />

intesa come facoltà o obbligo del soggetto <strong>di</strong> rispondere<br />

delle azioni fatte o delle azioni non fatte. E’ su<br />

questa concezione che si regge l’impianto deontologico,<br />

che ha lo scopo <strong>di</strong> prescrivere, o vietare, determinate<br />

azioni.<br />

Esiste però un piano che non può essere esaurientemente<br />

abbracciato da questa categoria della responsabilità,<br />

perché le questioni <strong>di</strong> valore e <strong>di</strong> senso del<br />

nostro agire interpellano la coscienza del soggetto<br />

e la consapevolezza <strong>di</strong> sé, aspetti che non possono<br />

essere “sorvegliati” da normative e <strong>di</strong>spositivi esterni,<br />

semplicemente perché non si può prescrivere un<br />

modo della coscienza e del pensiero.<br />

Jonas (1977) ha spiegato che la responsabilità è<br />

una <strong>di</strong>sposizione intrinseca all’uomo che lo stimola a<br />

farsi carico <strong>di</strong> ciò a cui si sente emotivamente legato<br />

e ad investire in senso psicologico su ciò cui si sente<br />

emotivamente legato.<br />

Più che una facoltà razionale, la responsabilità<br />

andrebbe pensata, pertanto, come un “sentimento”,<br />

un “interesse”, una “preoccupazione” personalmente<br />

avvertita per qualcosa che sentiamo riguardarci<br />

<strong>di</strong>rettamente. Non ci sentiamo responsabili perché<br />

qualcuno, o la società stessa, ce lo chiede ma perché<br />

farsi carico, prendersi cura, è un’esperienza che facciamo<br />

spontaneamente all’interno <strong>di</strong> una relazione<br />

con qualcuno a cui assegniamo un valore, qualcuno<br />

che ha valore per noi.<br />

In quest’ottica, rendersi responsabili dell’applicazione<br />

dei valori signifi ca riconoscersi nell’importanza<br />

che quei valori hanno per noi. E riconoscersi<br />

nell’importanza che quei valori hanno per noi signifi<br />

ca preoccuparci <strong>di</strong> salvaguardarli, <strong>di</strong> tenerli vivi e<br />

<strong>di</strong> agire coerentemente con questi. Va dato atto, però,<br />

che i valori che appartengono all’identità professionale<br />

<strong>dello</strong> psicologo sono ancora troppo poco oggetto<br />

<strong>di</strong> una rifl essione all’interno della comunità professionale.<br />

Nella storia più recente della professione psicologica<br />

si è fatto molto sul piano della responsabilità<br />

deontologica, cioè sul rapporto tra il professionista e<br />

la norma. E’ questa la responsabilità giuri<strong>di</strong>ca, da intendere<br />

come obbligo a rispondere delle proprie azioni,<br />

in nome <strong>di</strong> un mandato esterno. Ma si perderebbe<br />

un’importante occasione <strong>di</strong> sviluppo e <strong>di</strong> crescita<br />

professionale se si rinunciasse a trovare uno spazio<br />

per con<strong>di</strong>videre - anziché rimetterla esclusivamente<br />

alla coscienza del singolo - anche la rifl essione sulla<br />

responsabilità etica, cioè sul rapporto tra il professionista<br />

e i valori. Dal punto <strong>di</strong> vista etico, infatti,


la responsabilità non può non defi nirsi, in senso più<br />

psicologico, come preoccupazione umana, come impegno<br />

per il benessere dell’altro (Coin, 1997).<br />

Avere un’etica esplicita consente allo psicologo<br />

<strong>di</strong> avere un orizzonte e <strong>di</strong> usufruire, in situazioni<br />

estreme, della libertà anche <strong>di</strong> scegliere <strong>di</strong> trasgre<strong>di</strong>re<br />

la norma in nome <strong>di</strong> un valore che lo orienta. Molto<br />

spesso la possibilità <strong>di</strong> questa libertà <strong>di</strong>venta elemento<br />

<strong>di</strong> maggiore garanzia etica e <strong>di</strong> rispetto per la realtà<br />

dell’altro che non la scelta <strong>di</strong> ripararsi <strong>di</strong>etro ai formalismi<br />

della neutralità o delle risposte preconfezionate,<br />

che troppe volte si traducono in veri e propri atti<br />

<strong>di</strong> collusione e <strong>di</strong> connivenza psicologica i cui esiti,<br />

paradossalmente, si oppongono alle fi nalità del ruolo<br />

che si è chiamati a svolgere.<br />

<strong>La</strong> responsabilità <strong>dello</strong> psicologo è così co<strong>di</strong>fi cata<br />

nel Co<strong>di</strong>ce deontologico:<br />

responsabilità <strong>di</strong>sciplinare: «Le regole del<br />

presente Co<strong>di</strong>ce deontologico sono vincolanti<br />

per tutti gli iscritti all’Albo degli psicologi.<br />

Lo psicologo è tenuto alla loro conoscenza, e<br />

l’ignoranza delle medesime non esime dalla<br />

responsabilità <strong>di</strong>sciplinare» (art. 1);<br />

responsabilità sociale: «Lo psicologo è consapevole<br />

della responsabilità sociale derivante<br />

dal fatto che, nell’esercizio professionale, può<br />

intervenire signifi cativamente nella vita degli<br />

altri» (art. 3, comma 3);<br />

responsabilità professionale: «Lo psicologo è<br />

responsabile dei propri atti professionali e delle<br />

loro preve<strong>di</strong>bili <strong>di</strong>rette conseguenze» (art. 3,<br />

comma 4); «Lo psicologo salvaguarda la propria<br />

autonomia nella scelta dei meto<strong>di</strong>, delle<br />

tecniche e degli strumenti psicologici, nonché<br />

della loro utilizzazione; è perciò responsabile<br />

della loro applicazione ed uso, dei risultati,<br />

delle valutazioni ed interpretazioni che ne ricava»<br />

(art. 6, comma 2).<br />

Allo psicologo che interviene nella vita e privata<br />

e familiare delle persone, viene ormai richiesto «un<br />

insieme <strong>di</strong> competenze che garantiscano legittimità,<br />

vali<strong>di</strong>tà ed effi cacia al suo operato, nell’ottica <strong>di</strong> una<br />

concreta tutela del destinatario del’intervento» (Cesaro,<br />

2007, p. 67). <strong>La</strong> responsabilità <strong>dello</strong> psicologo,<br />

quin<strong>di</strong>, comporta un’adeguata consapevolezza (ed un<br />

corrispondente esercizio) del proprio ruolo <strong>di</strong> competenza<br />

e professionalità, la cui carenza comporterebbe<br />

un <strong>di</strong>fetto etico nei confronti del cliente/utente.<br />

L’art. 2 del Co<strong>di</strong>ce Deontologico recita: «L’inosservanza<br />

dei precetti stabiliti nel presente Co<strong>di</strong>ce deontologico,<br />

ed ogni azione od omissione comunque<br />

contrarie al decoro, alla <strong>di</strong>gnità ed al corretto eser-<br />

Aspetti deontologici della professione<br />

cizio della professione, sono punite secondo quanto<br />

previsto dall’articolo 26, comma 1°, della Legge 18<br />

febbraio 1989, n. 56, secondo le procedura stabilite<br />

dal Regolamento <strong>di</strong>sciplinare».<br />

<strong>La</strong> norma in esame stabilisce il principio secondo<br />

il quale non solo l’inosservanza delle regole deontologiche<br />

espressamente contemplate nel Co<strong>di</strong>ce Deontologico,<br />

ma altresì ogni condotta, attiva od omissiva,<br />

che sia contraria al decoro, alla <strong>di</strong>gnità e al corretto<br />

esercizio della professione, costituisce infrazione <strong>di</strong>sciplinare<br />

punibile secondo quanto previsto dall’art.<br />

26/1 della L. 65/89. Ciò implica la constatazione che<br />

il Co<strong>di</strong>ce non è esaustivo nella contemplazione <strong>di</strong> tutte<br />

le possibili infrazioni <strong>di</strong>sciplinari e che, pertanto,<br />

viene lasciato all’apprezzamento dei singoli Consigli<br />

dell’Or<strong>di</strong>ne uno “spazio libero” <strong>di</strong> valutazione della<br />

condotta professionale degli iscritti.<br />

Le categorie <strong>di</strong> illecito deontologico cui si riferisce<br />

l’art. 2 comprende tutti i casi in cui siano violati i<br />

criteri <strong>di</strong> decoro, <strong>di</strong> <strong>di</strong>gnità e <strong>di</strong> correttezza nell’esercizio<br />

dell’attività professionale. Per “decoro” e “<strong>di</strong>gnità”<br />

si deve intendere lo stile che nell’atteggiamento,<br />

nei mo<strong>di</strong> e nella condotta è conveniente alla<br />

con<strong>di</strong>zione professionale <strong>dello</strong> psicologo. Contrasterebbe<br />

con tale stile lo psicologo che assumesse un<br />

comportamento volgare, in privato con i propri clienti<br />

e pazienti, ed anche in pubblico ove rappresenti a<br />

qualsiasi titolo la sua professione (art. 38). Parimenti,<br />

la “correttezza professionale” sta nell’aderenza ai<br />

principi informatori della deontologia nei rapporti<br />

con i clienti, con i pazienti e con i colleghi, che sono<br />

il rispetto, l’onestà e la lealtà.<br />

Se il rapporto psicologo/paziente si caratterizza<br />

come relazione complementare in quanto una persona<br />

in situazione <strong>di</strong> bisogno si affi da allo specialista<br />

per poter essere aiutato, uno stile comportamentale<br />

scorretto è doppiamente lesivo della <strong>di</strong>gnità della<br />

persona con la quale ci si rapporta in quanto espressione<br />

<strong>di</strong> un utilizzo inadeguato del “potere” che il<br />

ruolo professionale conferisce al professionista; in<br />

questo modo il comportamento <strong>dello</strong> psicologo non<br />

sembra orientato al benessere del paziente.<br />

Se l’art. 2 del Co<strong>di</strong>ce deontologico intende per<br />

“illecito <strong>di</strong>sciplinare” l’inosservanza dei precetti<br />

stabiliti nel Co<strong>di</strong>ce ed ogni azione od omissione comunque<br />

contrarie al decoro, alla <strong>di</strong>gnità ed al corretto<br />

esercizio della professione, l’art. 26 della L. 56/89<br />

intende per illecito l’abuso o la mancanza nell’esercizio<br />

della professione o qualsiasi altro comportamento<br />

non conforme alla <strong>di</strong>gnità o al decoro professionale.<br />

<strong>La</strong> <strong>di</strong>sposizione non descrive compiutamente le azioni<br />

o le omissioni vietate, ma pone clausole generali<br />

13


14<br />

che lasciano aperto il catalogo dei comportamenti<br />

illeciti. Ogni illecito <strong>di</strong>sciplinare si compone <strong>di</strong> due<br />

elementi: l’elemento oggettivo, consistente nel comportamento<br />

materiale vietato, che si può realizzare<br />

me<strong>di</strong>ante una condotta attiva oppure una omissione;<br />

talvolta la realizzazione dell’illecito richiede la<br />

causazione <strong>di</strong> un evento (es. un danno o pericolo per<br />

l’interesse tutelato dalla norma violata), quale conseguenza<br />

della condotta, ad essa riconducibile sulla<br />

base <strong>di</strong> un nesso <strong>di</strong> causalità; l’elemento soggettivo,<br />

per cui l’illecito deve essere commesso con dolo o almeno<br />

con colpa; quando non è stato realizzato né con<br />

dolo né con colpa, l’autore non può essere chiamato<br />

a rispondere sul piano <strong>di</strong>sciplinare delle eventuali<br />

conseguenze.<br />

L’illecito è doloso quando è commesso con la<br />

consapevolezza e la volontà <strong>di</strong> realizzare il fatto; è<br />

colposo, invece, quando l’evento (<strong>di</strong> danno o <strong>di</strong> pericolo),<br />

anche se previsto, non è voluto dall’agente e si<br />

verifi ca per violazione <strong>di</strong> regole cautelari <strong>di</strong> <strong>di</strong>ligenza,<br />

prudenza, perizia (non scritte o recepite in leggi,<br />

regolamenti, or<strong>di</strong>ni o <strong>di</strong>scipline) la cui osservanza ne<br />

avrebbe impe<strong>di</strong>to la realizzazione.<br />

Le infrazioni <strong>di</strong>sciplinari previste dal Co<strong>di</strong>ce Deontologico<br />

si prescrivono nel termine <strong>di</strong> cinque anni<br />

dalla commissione del fatto. <strong>La</strong> determinazione della<br />

tipologia e del contenuto degli illeciti è rimessa alla<br />

valutazione del Consiglio dell’Or<strong>di</strong>ne, in funzione<br />

<strong>di</strong> organo giu<strong>di</strong>cante in materia <strong>di</strong>sciplinare. Non si<br />

tratta <strong>di</strong> una valutazione arbitraria, ma <strong>di</strong> un giu<strong>di</strong>zio<br />

<strong>di</strong>screzionale da svolgere tenendo conto dei principi<br />

che informano l’or<strong>di</strong>namento giuri<strong>di</strong>co complessivamente<br />

considerato (es. la Costituzione), delle norme<br />

<strong>di</strong> etica professionale (anche non espressamente<br />

co<strong>di</strong>fi cate nel Co<strong>di</strong>ce), delle prassi interpretative ed<br />

applicative consolidatesi nel <strong>gruppo</strong> degli psicologi<br />

(es. nella giurisprudenza <strong>di</strong>sciplinare dei Consigli degli<br />

Or<strong>di</strong>ni territoriali degli psicologi o nei contributi<br />

della letteratura specialistica), eventualmente anche<br />

prima dell’entrata in vigore del co<strong>di</strong>ce, o in altre categorie<br />

professionali esercenti attività sanitaria (es.<br />

me<strong>di</strong>ci) o non sanitaria (es. avvocati, limitatamente<br />

ai principi deontologici comuni).<br />

Un ultimo illecito è offerto dall’art. 8 del Co<strong>di</strong>ce<br />

deontologico: «Lo psicologo contrasta l’esercizio<br />

abusivo della professione come defi nita dagli articoli<br />

1 e 3 della Legge 18 febbraio 1989, n. 56, e segnala<br />

al Consiglio dell’Or<strong>di</strong>ne i casi <strong>di</strong> abusivismo o <strong>di</strong><br />

usurpazione <strong>di</strong> titolo <strong>di</strong> cui viene a conoscenza. Parimenti,<br />

utilizza il proprio titolo professionale esclusivamente<br />

per attività ad esso pertinenti, e non avalla<br />

con esso attività ingannevoli od abusive».<br />

Aspetti deontologici della professione<br />

<strong>La</strong> ratio ispiratrice dell’art. 8 è evidente: ogniqualvolta<br />

si verifi ca una situazione <strong>di</strong> esercizio abusivo<br />

della professione si pone, da un lato, a rischio la<br />

salute e l’interesse dell’utente, che viene a servirsi <strong>di</strong><br />

prestazioni professionali formalmente (e quasi sempre<br />

anche sostanzialmente) non sorrette da un’adeguata<br />

competenza; d’altro canto viene danneggiata la<br />

categoria professionale per la concorrenza illecita da<br />

parte <strong>di</strong> persone non qualifi cate a svolgere defi nite<br />

attività che sono riservate a chi, essendo in possesso<br />

dell’abilitazione da parte <strong>dello</strong> Stato, è iscritto ad un<br />

Albo professionale.<br />

In conclusione commette il reato <strong>di</strong> esercizio<br />

abusivo della professione chi esercita la professione<br />

pur essendo privo del titolo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o; chi abbia ottenuto<br />

il titolo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o fraudolentemente; chi esercita<br />

la professione senza aver superato l’esame <strong>di</strong> Stato<br />

o senza aver adempiuto alla formalità dell’iscrizione<br />

all’albo; chi esercita la professione dopo essere stato<br />

sospeso o ra<strong>di</strong>ato a seguito <strong>di</strong> condanna penale o<br />

<strong>di</strong>sciplinare; chi eccede i limiti imposti alla propria<br />

professione (es. lo psicologo che prescriva farmaci<br />

a un paziente; l’iscritto alla sez. B dell’albo che realizzi<br />

interventi <strong>di</strong> competenza esclusiva <strong>dello</strong> psicologo,<br />

come attività <strong>di</strong> <strong>di</strong>agnosi o <strong>di</strong> somministrazione<br />

<strong>di</strong> test proiettivi).<br />

7. Profi li etico-deontologici dell’intervento<br />

psicologico<br />

Guardando al panorama della psicologia, oggi,<br />

sarebbe forse più appropriato parlare <strong>di</strong> psicologie,<br />

poiché esistono innumerevoli campi applicativi e<br />

in<strong>di</strong>rizzi e, all’interno <strong>di</strong> questi, para<strong>di</strong>gmi teorici e<br />

correnti <strong>di</strong> pensiero che fanno della nostra materia<br />

una realtà estremamente composita, tanto da poter<br />

arrivare a teorizzare l’esistenza <strong>di</strong> un approccio per<br />

ogni psicologo, perché mai due professionisti, seppur<br />

formatisi nella stessa scuola, avranno mo<strong>di</strong> identici<br />

<strong>di</strong> concepire, valutare e intervenire su una medesima<br />

situazione. Di fronte alla vastità <strong>di</strong> teorie e meto<strong>di</strong><br />

occorre trovare e proteggere un senso con<strong>di</strong>viso,<br />

un’identità comune, che in<strong>di</strong>vidui le specifi cità della<br />

fi gura <strong>dello</strong> psicologo e raccor<strong>di</strong> le <strong>di</strong>verse forme<br />

applicative del suo sapere. Questa “casa comune”<br />

potrebbe essere fornita, meglio che dal para<strong>di</strong>gma teorico-metodologico,<br />

proprio dall’etica professionale<br />

intesa come ethos, ossia come luogo in cui si identifi<br />

cano i valori e i signifi cati che strutturano l’identità<br />

professionale <strong>dello</strong> psicologo e che qualifi cano<br />

il contributo specifi co che può apportare alla società.<br />

Le acquisizioni epistemologiche più recenti <strong>di</strong>mostrano<br />

l’esistenza <strong>di</strong> un’interazione tra fatti e va-


lori e mettono in risalto l’infl uenza determinante del<br />

piano valoriale sulle azioni personali. Lo psicologo<br />

interviene sui processi <strong>di</strong> pensiero <strong>di</strong> un singolo, <strong>di</strong><br />

un <strong>gruppo</strong>, <strong>di</strong> un sistema. Il senso ultimo della sua<br />

azione consiste nel fornire all’altro (singolo in<strong>di</strong>viduo<br />

o grande <strong>gruppo</strong>) degli stimoli e degli strumenti<br />

attraverso i quali l’altro possa ampliare il campo<br />

delle sue scelte e trovare soluzioni che lo aiutino a<br />

relazionarsi con se stesso, con gli altri, con tutta la<br />

sua realtà in modo più funzionale al conseguimento<br />

<strong>di</strong> un maggior benessere.<br />

Lo “specifi co” <strong>dello</strong> psicologo è già <strong>di</strong> per sé un<br />

atto etico, perché tocca la realtà e l’umanità dell’altro<br />

e perché propone un orizzonte <strong>di</strong> signifi cati con<br />

cui l’altro si troverà ad interagire. L’intervento <strong>dello</strong><br />

psicologo è etico se e quando è volto a stimolare un<br />

processo interiore che tenga conto dell’altro come<br />

persona con una sua vita autonoma che, una volta<br />

esaurita la prestazione professionale, potrà trovarsi<br />

confermato nelle sue idee <strong>di</strong>sfunzionali o ineffi caci<br />

ad una sod<strong>di</strong>sfacente realizzazione <strong>di</strong> sé, oppure più<br />

consapevole e in grado, grazie all’elaborazione della<br />

crisi, <strong>di</strong> migliorare complessivamente la sua qualità<br />

<strong>di</strong> vita. Un “buon psicologo” non è uno “psicologo<br />

buono”. Agire eticamente non signifi ca essere “buoni”<br />

né essere (soltanto) deontologicamente corretti,<br />

bensì realizzare i valori nei quali si identifi cano la<br />

cultura, le fi nalità e il senso della professione. Ogni<br />

psicologo possiede dei valori e inevitabilmente, in<br />

modo più o meno strisciante e sotterraneo, egli introduce<br />

i suoi valori nella relazione con il cliente/<br />

utente, e ciò è rilevante sia dal punto <strong>di</strong> vista etico<br />

che dal punto <strong>di</strong> vista teorico e terapeutico.<br />

Solo avendo chiaro il senso che fonda e orienta<br />

le proprie prassi, gli psicologi possono garantire in<br />

autonomia (cioè anche in assenza della possibilità <strong>di</strong><br />

una regola che <strong>di</strong>ca cosa fare o della possibilità <strong>di</strong><br />

un riscontro da parte dell’utente/cliente) il rigore e<br />

la forza necessari a sostenere (anzitutto “dentro” se<br />

stessi) e a perseguire con coerenza la via meno facile.<br />

Attestarsi entro i binari deontologici non basta<br />

ad assicurare questo livello, perché il problema non<br />

riguarda la <strong>di</strong>sciplina della condotta manifesta ma la<br />

posizione, l’atteggiamento interiore <strong>dello</strong> psicologo,<br />

qualcosa cioè che sfugge alla possibilità <strong>di</strong> essere oggettivato<br />

in una normativa e sottoposto a una verifi ca<br />

<strong>di</strong>retta (neanche da parte del cliente che è l’unico testimone<br />

<strong>di</strong>retto, perché dentro alla relazione).<br />

Utili in questa <strong>di</strong>rezione risultano la riservatezza,<br />

il segreto professionale e il consenso informato. L’art.<br />

4 del Co<strong>di</strong>ce deontologico prescrive: «Nell’esercizio<br />

della professione, lo psicologo rispetta la <strong>di</strong>gnità, il<br />

Aspetti deontologici della professione<br />

<strong>di</strong>ritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed<br />

all’autonomia <strong>di</strong> coloro che si avvalgono delle sue<br />

prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi<br />

dall’imporre il suo sistema <strong>di</strong> valori; non opera<br />

<strong>di</strong>scriminazioni in base a religione, etnia, nazionalità,<br />

estrazione sociale, stato socioeconomico, sesso<br />

<strong>di</strong> appartenenza, orientamento sessuale, <strong>di</strong>sabilità.<br />

principi, e rifi uta la sua collaborazione ad iniziative<br />

lesive degli stessi. Quando sorgono confl itti <strong>di</strong> interesse<br />

tra l’utente e l’istituzione presso cui lo psicologo<br />

opera, quest’ultimo deve esplicitare alle parti,<br />

con chiarezza, i termini delle proprie responsabilità<br />

ed i vincoli cui è professionalmente tenuto. In tutti i<br />

casi in cui il destinatario ed il committente dell’intervento<br />

<strong>di</strong> sostegno o <strong>di</strong> psicoterapia non coincidano,<br />

lo psicologo tutela prioritariamente il destinatario<br />

dell’intervento stesso».<br />

L’art. 11 del Co<strong>di</strong>ce deontologico fi ssa l’obbligo<br />

del segreto professionale relativamente alla pluralità<br />

<strong>di</strong> informazioni che lo psicologo apprende in<br />

relazione del suo rapporto professionale: «Lo psicologo<br />

è strettamente tenuto al segreto professionale.<br />

Pertanto non rivela notizie, fatti o informazioni apprese<br />

in ragione del suo rapporto professionale, né<br />

informa circa le prestazioni professionali effettuate<br />

o programmate, a meno che non ricorrano le ipotesi<br />

previste dagli articoli seguenti». E’ la garanzia della<br />

segretezza che «consente alle persone <strong>di</strong> poter esplorare<br />

a tutto campo con uno psicologo le complesse<br />

connessioni tra fatti, comportamenti, pensieri anche<br />

molto intimi. Quin<strong>di</strong> il vincolo del segreto è con<strong>di</strong>tio<br />

sine qua non della possibilità <strong>di</strong> avviare e sostenere<br />

nel tempo un lavoro psicologico» (Kaneklin, 2007,<br />

p. 58). Lo “spazio psicologico del segreto” potrebbe<br />

essere considerato come «un territorio privilegiato<br />

del soggetto, ove sono conservati quegli elementi più<br />

personali che hanno assicurato la sua identifi cazione<br />

primaria. Del resto “fare spazio dentro <strong>di</strong> noi al paziente”<br />

costituisce la base per ogni buona relazione<br />

terapeutica, uno spazio in cui il paziente si potrà sentire<br />

protetto e aiutato a sviluppare i propri contenuti<br />

evolutivi e comunicativi» (Colombi, 1998). L’esigenza<br />

<strong>di</strong> riservatezza assoluta costituisce «uno dei<br />

punti basilari per quella in <strong>di</strong>spensabile confi denza<br />

utile anche a fi ne clinico» rivestendo «portata e signifi<br />

cato assai più ampi <strong>di</strong> quelli certamente limitativi<br />

del segreto professionale» (Palmieri 1993).<br />

Ogni prestazione <strong>di</strong> carattere psicologico, per<br />

essere legittima, deve essere subor<strong>di</strong>nata al <strong>di</strong>mostrabile<br />

e valido consenso del destinatario della prestazione,<br />

come richiesto dall’art. 24 del Co<strong>di</strong>ce deontologico:<br />

«Lo psicologo, nella fase iniziale del rappor-<br />

15


16<br />

to professionale, fornisce all’in<strong>di</strong>viduo, al <strong>gruppo</strong>,<br />

all’istituzione o alla comunità, siano essi utenti o<br />

committenti, informazioni adeguate e comprensibili<br />

circa le sue prestazioni, le fi nalità e le modalità delle<br />

stesse, nonché circa il grado e i limiti giuri<strong>di</strong>ci della<br />

riservatezza. Pertanto, opera in modo che chi ne ha<br />

<strong>di</strong>ritto possa esprimere un consenso informato. Se la<br />

prestazione professionale ha carattere <strong>di</strong> continuità<br />

nel tempo, dovrà esserne in<strong>di</strong>cata, ove possibile, la<br />

preve<strong>di</strong>bile durata».<br />

Per consenso informato si intende il «<strong>di</strong>ritto <strong>di</strong><br />

ogni cliente/paziente <strong>di</strong> essere informato, nel modo<br />

più completo, chiaro, reale e costante, sui trattamenti<br />

cui viene sottoposto dal professionista così da poter<br />

acconsentire in piena coscienza, nel suo interesse e<br />

per il suo bene, ai trattamenti stessi. Dal punto <strong>di</strong> vista<br />

del professionista, per consenso informato si intende<br />

il dovere <strong>di</strong> informare l’utente/cliente con tutti<br />

gli elementi <strong>di</strong>sponibili e le informazioni scientifi che<br />

sistematiche affi nché questi possa decidere in piena<br />

consapevolezza e coscienza» (Crema, 2007, p. 88).<br />

Attraverso il consenso informato il cliente consente<br />

al professionista psicologo «<strong>di</strong> tenere, ma anche<br />

<strong>di</strong> trattare i dati, per es. trasformandoli in relazioni,<br />

o progetti o ipotesi <strong>di</strong> ricerca, a seconda del tipo<br />

<strong>di</strong> consenso dato. Insomma, il consenso a mantenere<br />

e trattare i dati viene richiesto dal professionista e<br />

rilasciato dal cliente proprio per consentire allo psicologo<br />

<strong>di</strong> svolgere profi cuamente e in modo metodologicamente<br />

corretto il lavoro richiesto» (Kaneklin,<br />

2007, p. 61).<br />

Concludendo, la prestazione professionale <strong>dello</strong><br />

psicologo contiene una specifi ca un’esigenza <strong>di</strong> correttezza<br />

e <strong>di</strong> trasparenza nei rapporti con il cliente/<br />

utente.<br />

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17


18<br />

Ricerca clinica<br />

Un intervento psicoeducazionale<br />

<strong>di</strong> <strong>gruppo</strong> per pazienti psicotici<br />

Dott. Maria Assunta Carati, Ernesto Nuzzo Psicologi Psicoterapeuti presso Strutture Residenziali <strong>di</strong><br />

Riabilitazione Psichiatrica, Tutors Project APC Lecce<br />

Gian Luigi Dell’Erba Psicologo Psicoterapeuta Servizio <strong>di</strong> Psicologia Clinica ASL Lecce, Didatta APC Lecce<br />

Viviana Armenise, Lorenza Bracci, Annapaola Buquicchio, Francesca Paola Cafarella, Clara Calia,<br />

Cosima Camposeo, Giada Caricato, Rossana Cervone, Tania De Iaco, Eleonora De Leo, Rosa Denora,<br />

Daria Di liso, Andrea Elia, Fabrizio <strong>La</strong>mpugnano, Giovanni Mancini, Grazia Moro, Rosa Caterina<br />

Mosca, Riccardo Pagliara, Emanuela Pino, Brigida Ruggieri, Rosa Scaringella<br />

Psicologi specializzan<strong>di</strong> APC Lecce<br />

INTRODUZIONE<br />

Negli ultimi vent’anni è andato ra<strong>di</strong>calmente<br />

mutando l’orizzonte teorico e applicativo riguardante<br />

i <strong>di</strong>sturbi <strong>dello</strong> spettro schizofrenico.<br />

Nuovi contributi provenienti dalle neuroscienze<br />

e dalla ricerca <strong>di</strong> base sui rapporti tra attaccamento e<br />

sviluppo <strong>di</strong> specifi che funzioni, quali quella <strong>di</strong> mentalizzazione<br />

e quella della teoria della mente, hanno<br />

consentito <strong>di</strong> superare molte delle empasse teoriche<br />

a proposito dell’eziopatogenesi <strong>di</strong> tali <strong>di</strong>sturbi.<br />

Attualmente, il nuovo mo<strong>dello</strong> <strong>di</strong> sintesi, chiamato<br />

“vulnerabilità-stress-coping”, unitamente al concetto<br />

<strong>di</strong> defi cit delle funzioni meta-cognitive, consentono<br />

al clinico una gamma <strong>di</strong> scelte terapeutiche mai<br />

avute in precedenza.<br />

Nel campo della psicoterapia, il mo<strong>dello</strong> cognitivo-comportamentale<br />

si afferma come mo<strong>dello</strong> elettivo,<br />

sia nella sua versione standard riadattata (Fowler<br />

et al., 1995; Birchwood, 1997), sia nelle recenti<br />

applicazioni mutuate dall’approccio meta-cognitivo<br />

(Frith, 1994; Semerari, 1999).<br />

Elemento critico fondamentale (e prioritario)<br />

per ogni intervento risulta essere la possibilità <strong>di</strong><br />

inscrivere qualunque trattamento all’interno <strong>di</strong> una<br />

relazione terapeutica sostenibile, in grado <strong>di</strong> superare<br />

le eventuali e frequenti rotture della compliance<br />

ma anche <strong>di</strong> consentire lo svolgersi del processo<br />

terapeutico pur in presenza <strong>di</strong> schemi interpersonali<br />

fortemente <strong>di</strong>sturbati e <strong>di</strong> emozioni intense e poco<br />

modulabili. A tale scopo le recenti formulazioni in<br />

ambito cognitivo-comportamentale sulla regolazione<br />

della relazione terapeutica con i pazienti gravi<br />

(Semerari 1999; Safran e Muran, 2000), rappresentano<br />

una risorsa imprescin<strong>di</strong>bile per chiunque operi<br />

a contatto con tali pazienti tanto in setting terapeutici<br />

quanto in quelli riabilitativi.<br />

<strong>La</strong> specifi cità ma allo stesso tempo la fl essibilità<br />

degli strumenti operativi <strong>di</strong> matrice cognitivo-comportamentale<br />

applicati alla schizofrenia (role play,<br />

problem solving, superamento dei cicli interpersonali<br />

patogeni, tecniche per la gestione dei sintomi<br />

positivi, etc.), rappresenta un know-how in<strong>di</strong>spensabile<br />

per qualunque clinico che si trovi ad approcciare<br />

non soltanto i pazienti schizofrenici, ma in generale<br />

tutti i pazienti “<strong>di</strong>ffi cili” (Perris e McGorry, 2000).<br />

Con questo termine ci si riferisce a pazienti particolarmente<br />

problematici in virtù del tipo <strong>di</strong> patologia<br />

che li caratterizza e soprattutto per la loro parziale e<br />

poco collaborativa <strong>di</strong>sponibilità alle cure. Questi pazienti,<br />

spesso, presentano qualche alterazione a carico<br />

delle funzioni metacognitive, dalle quali <strong>di</strong>pendono<br />

altre <strong>di</strong>ffi coltà che concorrono a determinare la<br />

loro complessiva gravità. In risposta alle esigenze <strong>di</strong><br />

questa categoria <strong>di</strong> pazienti si realizzano, pertanto,<br />

in campo me<strong>di</strong>co <strong>di</strong>verse tipologie <strong>di</strong> intervento.<br />

<strong>La</strong> riabilitazione, contemporaneamente o al termine<br />

della terapia, si propone l’obiettivo <strong>di</strong> superare<br />

nel migliore dei mo<strong>di</strong> possibili gli impe<strong>di</strong>menti fi sici<br />

che ostacolano il pieno recupero delle potenzialità<br />

dell’in<strong>di</strong>viduo. Attraverso questo processo, abilità<br />

perdute possono essere riacquistate oppure possono<br />

essere sviluppate delle nuove strategie <strong>di</strong> adattamento<br />

in modo che il soggetto possa raggiungere<br />

il migliore grado <strong>di</strong> funzionamento (Hume, 1994).<br />

I programmi riabilitativi, complessivamente, sono<br />

quin<strong>di</strong> fi nalizzati al miglioramento della qualità della<br />

vita della persona svantaggiata, dove con il costrutto<br />

“qualità della vita” si intende il maggior livello<br />

<strong>di</strong> autonomia del paziente nello svolgimento delle<br />

attività della vita quoti<strong>di</strong>ana e la conquista <strong>di</strong> un<br />

reinserimento sociale e lavorativo <strong>di</strong>gnitoso e sod<strong>di</strong>sfacente.<br />

Tuttavia, questo non sempre è possibile;<br />

così, in relazione alle caratteristiche del soggetto e<br />

alle sue risorse, alla gravità clinica della malattia,


all’ambiente sociale e familiare nel quale vive, nonché<br />

sulla base delle risorse possedute dagli operatori<br />

socio-sanitari del programma riabilitativo, dovranno<br />

essere in<strong>di</strong>viduati obiettivi specifi ci e mirati per ciascun<br />

singolo in<strong>di</strong>viduo.<br />

Per quanto riguarda l’approccio cognitivo-comportamentale<br />

esistono <strong>di</strong>versi tipi <strong>di</strong> trattamenti riabilitativi<br />

possibili. Questi possono essere in primo<br />

luogo <strong>di</strong>stinti in base all’utenza verso cui sono destinati,<br />

ovvero con il singolo in<strong>di</strong>viduo o con gruppi<br />

<strong>di</strong> persone che con<strong>di</strong>vidono la stessa <strong>di</strong>sabilità o<br />

con la famiglia del paziente e/o con gruppi <strong>di</strong> famiglie.<br />

In riferimento al primo <strong>gruppo</strong> menzionato si<br />

possono trovare l’insegnamento <strong>di</strong> abilità sociali e<br />

programmi <strong>di</strong> terapia psicologica integrata, mentre<br />

risultano rivolte alle famiglie gli interventi <strong>di</strong> tipo<br />

psicoeducativo e quelli che aiutano specifi catamente<br />

i familiari ad affrontare la malattia e promuovono il<br />

loro reciproco aiuto. Infi ne, sempre rivolti ai singoli<br />

in<strong>di</strong>vidui sono gli interventi psicoterapici cognitivocomportamentali.<br />

Ve<strong>di</strong>amo, in particolar modo, in cosa consistono<br />

i programmi <strong>di</strong> social skills training (SST) e la terapia<br />

cognitiva standard (TCS) in favore del paziente<br />

grave. I programmi <strong>di</strong> insegnamento delle abilità<br />

sociali o social skills training si basano sulla teoria<br />

dell’appren<strong>di</strong>mento e sul mo<strong>dello</strong> della vulnerabilità-stress-coping-competence,<br />

proposto principalmente<br />

da Lieberman (1997). Solitamente, le persone<br />

con malattie psichiatriche hanno molti problemi <strong>di</strong><br />

relazione con gli altri, inclusi gli operatori, i membri<br />

delle loro famiglie e gli altri pazienti. Questi problemi<br />

si manifestano nell’adattamento sociale e in un<br />

impoverimento della qualità della loro vita, legato,<br />

tra l’altro, al possesso <strong>di</strong> abilità sociali inadeguate.<br />

In generale l’insegnamento <strong>di</strong><br />

queste abilità utilizza gli stessi<br />

meto<strong>di</strong> sviluppati nell’ambito<br />

dei training per incrementare<br />

i comportamenti assertivi e<br />

prevedono anche interventi<br />

<strong>di</strong>retti a migliorare le <strong>capacità</strong><br />

del paziente per l’inserimento<br />

nel mondo del lavoro o per<br />

una gestione più consapevole<br />

delle sue relazioni.<br />

Per quanto riguarda la<br />

terapia cognitiva standard al<br />

paziente grave, Alford e Beck<br />

(1997) sostengono la rilevanza<br />

<strong>di</strong> questo tipo <strong>di</strong> intervento<br />

Ricerca clinica<br />

nel trattamento <strong>di</strong> vari <strong>di</strong>sturbi, partendo dalla concezione<br />

che la TCS ha un potere <strong>di</strong> integrazione maggiore<br />

<strong>di</strong> altri modelli <strong>di</strong> psicoterapia, occupandosi<br />

dei pensieri, delle emozioni e <strong>di</strong> complessi processi<br />

interpersonali <strong>di</strong>sturbati dei pazienti.<br />

Le principali tecniche utilizzate effi cacemente in<br />

questo approccio sono: l’empirismo collaborativo, il<br />

<strong>di</strong>alogo socratico e la scoperta guidata nella forma<br />

dell’A-B-C <strong>di</strong> Ellis (1962, 1991; Birchwood, Chadwick,<br />

Trower, 1997).<br />

Il trattamento cognitivo-comportamentale alla<br />

schizofrenia è stato sottoposto da parte del GDG<br />

(Guideline Development Group - National Collaborating<br />

Centre for Mental Health 2004) ad un’analisi<br />

delle prove <strong>di</strong> effi cacia rispetto a: riduzione dei sintomi,<br />

ricadute, permanenza in trattamento e prevenzione<br />

dei comportamenti suicidari. Il GDG utilizza<br />

una defi nizione della CBT intesa come un intervento<br />

psicologico <strong>di</strong>stinto che:<br />

•<br />

•<br />

•<br />

Incoraggia coloro che ricevono l’intervento a<br />

stabilire dei collegamenti fra i pensieri, i sentimenti<br />

o le azioni e i sintomi attuali o pregressi;<br />

Consente a coloro che ricevono l’intervento <strong>di</strong><br />

rivalutare le proprie percezioni, credenze o ragionamenti<br />

sui sintomi bersaglio;<br />

Implica la presenza <strong>di</strong> almeno uno dei seguen-<br />

ti aspetti: a) monitoraggio dei pensieri, sentimenti<br />

o comportamenti <strong>di</strong> coloro che ricevono<br />

l’intervento, rispetto ai sintomi; b) promozione<br />

<strong>di</strong> modalità alternative per gestire i sintomi bersaglio;<br />

c) riduzione <strong>dello</strong> stress.<br />

I risultati ottenuti evidenziano che “ nel complesso,<br />

esistono buone prove d’effi cacia che la CBT<br />

riduca i sintomi nelle persone affette da schizofrenia<br />

fi no ad un anno <strong>di</strong> follow-up, rispetto all’”assistenza<br />

standard” e ad altri trattamenti.<br />

Le prove d’effi cacia<br />

sono più consistenti quando<br />

la CBT è utilizzata per il trattamento<br />

dei sintomi psicotici<br />

persistenti piuttosto che per i<br />

sintomi acuti. Le prove d’effi<br />

cacia per l’utilizzo della<br />

CBT nella fase acuta <strong>di</strong> un<br />

primo episo<strong>di</strong>o <strong>di</strong> schizofrenia<br />

non sono chiare. Questa<br />

terapia può anche migliorare<br />

l’insight e l’adesione al trattamento<br />

farmacologico e può<br />

avere un effetto positivo sul<br />

funzionamento sociale. I van-<br />

19


taggi della CBT sono più marcati quando il trattamento<br />

è continuato per più <strong>di</strong> 6 mesi e prevede più <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>eci sedute <strong>di</strong> terapia. Il trattamento a breve termine<br />

con la CBT può produrre miglioramenti modesti<br />

nei sintomi depressivi, ma è improbabile che abbia<br />

un impatto sui sintomi psicotici. Inoltre, quando la<br />

CBT è portata avanti per più <strong>di</strong> 3 mesi, esistono forti<br />

prove d’effi cacia che i tassi <strong>di</strong> ricaduta si riducano<br />

(National Collaborating Centre for Mental Health,<br />

2004; pag. 132).<br />

Roth e Fonagy (2005), da un’analisi degli stu<strong>di</strong><br />

a <strong>di</strong>sposizione, concludono che “sebbene le aspettative<br />

<strong>di</strong> recupero siano modeste, la terapia cognitivocomportamentale<br />

può rappresentare un importante<br />

contributo al miglioramento della qualità <strong>di</strong> vita e<br />

<strong>dello</strong> stato mentale del paziente”.<br />

Di seguito faremo una breve rassegna <strong>di</strong> stu<strong>di</strong><br />

sui trattamenti psicoeducativi <strong>di</strong> <strong>gruppo</strong> ad in<strong>di</strong>rizzo<br />

cognitivo-comportamentale che prevedono sia la<br />

partecipazione <strong>di</strong> pazienti e famiglie (o fi gure signifi<br />

cative) sia dei soli pazienti.<br />

STUDI SULLA TERAPIA FAMIGLIARE<br />

A partire dagli anni ottanta, i trattamenti familiari<br />

della schizofrenia si sono sviluppati soprattutto<br />

in seguito alle ricerche condotte in Gran Bretagna, e<br />

successivamente replicate in altri Paesi, sull’emotività<br />

espressa. Un costrutto che in<strong>di</strong>ca la presenza <strong>di</strong><br />

alcune caratteristiche del clima emotivo famigliare e<br />

che è risultato collegato al tasso <strong>di</strong> ricadute nei pazienti<br />

schizofrenici che erano stati <strong>di</strong>messi dai contesti<br />

ospedalieri. Non sembra esserci una relazione<br />

lineare tra i livelli <strong>di</strong> emotività espressa (EE) e i tassi<br />

<strong>di</strong> ricaduta, ma la suddetta associazione evidenzierebbe<br />

la modalità <strong>di</strong> gestire la malattia <strong>di</strong> un fi glio<br />

con <strong>di</strong>sturbo schizofrenico da parte dei genitori.<br />

L’interesse sempre maggiore per il ruolo rappresentato<br />

dalla famiglia era dovuto al fatto che ai<br />

trattamenti farmacologici spesso si aggiungevano<br />

gli interventi riabilitativi che richiedevano la collaborazione<br />

dei familiari e <strong>di</strong> altre persone dei contesti<br />

abituali della vita dei pazienti. I vari trattamenti familiari<br />

della schizofrenia che si sono sviluppati nel<br />

tempo, compresi quelli che non hanno una matrice<br />

cognitivo-comportamentale, con<strong>di</strong>vidono alcune<br />

fondamentali caratteristiche (Gingerich e Bellack,<br />

1995):<br />

20<br />

-<br />

i familiari possono imparare a <strong>di</strong>stinguere tra<br />

le caratteristiche e i comportamenti dei pazienti<br />

che rifl ettono i suoi stati <strong>di</strong> personalità e le<br />

-<br />

-<br />

-<br />

Ricerca clinica<br />

manifestazioni che invece sono espressione<br />

del <strong>di</strong>sturbo, così come, all’interno <strong>di</strong> queste, i<br />

segni promotori <strong>di</strong> ricaduta;<br />

i familiari sono visti come alleati e co-protago-<br />

nisti del trattamento e non viene loro attribuita<br />

alcuna colpa o responsabilità per il <strong>di</strong>sturbo o<br />

per il suo andamento;<br />

i familiari sono anche essi considerati biso-<br />

gnosi del trattamento. Sopportano un carico e<br />

molte limitazioni in conseguenza del <strong>di</strong>sturbo<br />

<strong>di</strong> un loro membro e che per questo devono<br />

essere aiutati a migliorare le loro strategie <strong>di</strong><br />

gestione del problema e <strong>di</strong> comunicazione con<br />

gli altri;<br />

i programmi familiari hanno anche lo scopo <strong>di</strong><br />

massimizzare la compliance del paziente verso<br />

il trattamento farmacologico, <strong>di</strong> migliorare<br />

il suo livello <strong>di</strong> funzionamento e <strong>di</strong> ridurre il<br />

rischio <strong>di</strong> reci<strong>di</strong>va;<br />

- spesso, in questi programmi è posto ad introduzione<br />

un modulo strutturato a carattere psicoeducativo,<br />

cui seguono incontri con la singola<br />

famiglia o con più famiglie, con cadenza<br />

almeno mensile e che continuano per lunghi<br />

perio<strong>di</strong> (minimo due anni).<br />

Uno dei protocolli più completi è l’intervento<br />

psicoeducativo integrato <strong>di</strong> Ian Falloon (1985) le cui<br />

componenti sono:<br />

1) la valutazione dei punti <strong>di</strong> forza e dei lati deboli<br />

del nucleo familiare e la defi nizione <strong>di</strong><br />

obiettivi da parte <strong>di</strong> ciascun membro e della<br />

famiglia nel suo insieme;<br />

2) il fornire informazioni approfon<strong>di</strong>te sul <strong>di</strong>sturbo<br />

psichiatrico in questione e sul trattamento;<br />

3) L’insegnamento <strong>di</strong> abilità <strong>di</strong> comunicazione;<br />

4) L’insegnamento <strong>di</strong> un metodo strutturato per la<br />

risoluzione dei problemi;<br />

5) L’uso <strong>di</strong> strategie specifi che per rispondere a<br />

particolari esigenze (ad es. il rischio <strong>di</strong> suici<strong>di</strong>o<br />

e la non compliance al trattamento farmacologico).<br />

Altre caratteristiche <strong>di</strong> questo tipo <strong>di</strong> intervento<br />

sono l’integrazione del trattamento psicoeducazionale<br />

con quello riabilitativo e con quello farmacologico<br />

e, infi ne, l’identifi cazione precoce dei segni<br />

<strong>di</strong> crisi.<br />

Dalla rassegna meta-analitica curata da Pilling e<br />

collaboratori (2002) emerge che la terapia familiare,<br />

soprattutto quella rivolta a singole famiglie per volta,<br />

mostra chiari effetti <strong>di</strong> tipo preventivo rispetto ad<br />

alcune specifi che misure <strong>di</strong> effi cacia, ossia le ricadu-


te psicotiche e la frequenza dei ricoveri ospedalieri,<br />

oltre che numerosi vantaggi in termini <strong>di</strong> aderenza ai<br />

trattamenti farmacologici. <strong>La</strong> terapia familiare, inoltre,<br />

ha il vantaggio <strong>di</strong> connettere il paziente psicotico<br />

alle persone che sono quoti<strong>di</strong>anamente in relazione<br />

con lui e che si occupano delle sue cure, rendendoli<br />

partecipanti attivi (co-terapeuti) nel suo processo<br />

<strong>di</strong> guarigione anche dal punto <strong>di</strong> vista psicologico<br />

e non solo, dunque, da quello più pratico dei trattamenti<br />

me<strong>di</strong>ci.<br />

In questa analisi sono stati considerati ben 18<br />

stu<strong>di</strong> controllati (RCTs), riguardanti la terapia familiare<br />

applicata ai <strong>di</strong>sturbi psicotici, con le seguenti<br />

caratteristiche: un numero non inferiore alle sei sedute,<br />

adeguati meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> assegnazione dei soggetti<br />

sperimentali ai campioni previsti, partecipanti con<br />

una <strong>di</strong>agnosi esclusiva <strong>di</strong> schizofrenia pura o <strong>di</strong> un<br />

qualsiasi altro <strong>di</strong>sturbo delle spettro psicotico fatta<br />

sulla base dei criteri del DSM III, del DSM III-R o<br />

del DSM IV, oppure ancora, in base al PSE, quale<br />

strumento <strong>di</strong> assessment ricavato dall’ICD-9. Il numero<br />

complessivo <strong>di</strong> pazienti era pari a 1467 con<br />

un’età me<strong>di</strong>a <strong>di</strong> 31 anni e due mesi.<br />

<strong>La</strong> variabile principale per effettuare i confronti<br />

è stata la frequenza delle ricadute nell’arco <strong>di</strong> tempo<br />

compreso tra l’inizio e la conclusione del trattamento,<br />

dopo la fi ne del trattamento stesso, ma anche la<br />

me<strong>di</strong>a dei tentativi <strong>di</strong> suici<strong>di</strong>o, la frequenza dei dropout,<br />

gli effetti dell’emotività espressa e il livello <strong>di</strong><br />

accettazione e <strong>di</strong> aderenza farmacologica.<br />

Complessivamente questo stu<strong>di</strong>o ha <strong>di</strong>mostrato<br />

che, quanto più effettuato precocemente, l’intervento<br />

<strong>di</strong> tipo familiare mostra risultati che si mantengono<br />

anche a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> tempo in tutte le misure<br />

sopramenzionate, anche se i valori attribuiti ad esse<br />

variano appunto, con il trascorrere degli anni e sembrerebbe<br />

che questo sia da attribuire all’entusiasmo<br />

dei componenti della famiglia che traggono benefi ci<br />

da un simile intervento e che tende a decrementare<br />

con il tempo. L’analisi ha suggerito, inoltre, che la<br />

terapia che considera un nucleo famigliare alla volta<br />

sembrerebbe <strong>di</strong> gran lunga più vantaggiosa. Ad<br />

esempio per la prevenzione delle ricadute nel corso<br />

del primo anno <strong>di</strong> trattamento sarebbero suffi cienti<br />

11 sedute nella terapia con una sola famiglia, rispetto<br />

alle ben 34 sedute che sarebbero necessarie in un setting<br />

<strong>di</strong> tipo multifamiliare. In concomitanza, nelle<br />

terapie multifamiliari è stata riscontrata una riacutizzazione<br />

dei sintomi psicotici e/o delle riammissioni<br />

ospedaliere maggiore rispetto a quello riportato negli<br />

stu<strong>di</strong> che si sono occupati <strong>di</strong> terapie unifamiliari.<br />

Ricerca clinica<br />

I vari stu<strong>di</strong> meta-analitici concordano nelle conclusioni<br />

che nel confronto con le cure standard i trattamenti<br />

familiari, in particolare quelli ad in<strong>di</strong>rizzo<br />

cognitivo-comportamentale, riducono il rischio <strong>di</strong><br />

ricadute. Peraltro, questo tipo <strong>di</strong> intervento fornisce<br />

ai familiari <strong>di</strong> pazienti gravi un importante supporto<br />

sociale e la possibilità <strong>di</strong> stabilire una rete utile <strong>di</strong><br />

rapporti e <strong>di</strong> scambio interpersonale che può consentirgli<br />

<strong>di</strong> contrastare il senso <strong>di</strong> impotenza e solitu<strong>di</strong>ne.<br />

STUDI SUGLI INTERVENTI PSICOEDUCA-<br />

ZIONALI DI GRUPPO<br />

L’adattamento dell’approccio cognitivo-comportamentale<br />

al contesto <strong>di</strong> <strong>gruppo</strong> consente <strong>di</strong> mantenere<br />

alcuni degli obiettivi della terapia in<strong>di</strong>viduale, ottimizzando<br />

i tempi dell’intervento, e presenta anche<br />

dei vantaggi d’or<strong>di</strong>ne generale che derivano proprio<br />

dalla <strong>di</strong>mensione del <strong>gruppo</strong>, quali il confronto delle<br />

proprie esperienze con quelle degli altri e il superamento<br />

del senso <strong>di</strong> isolamento. Gli aspetti trattati<br />

che accomunano gli interventi <strong>di</strong> questo tipo riguardano:<br />

informazioni sulla malattia e spiegazione sulla<br />

base del mo<strong>dello</strong> stress-vulnerabilità, informazioni<br />

sui farmaci e adesione al trattamento, sintomi postivi<br />

(deliri, allucinazioni), <strong>di</strong>scussione su strategie <strong>di</strong><br />

coping effi caci.<br />

Recenti scoperte raccomandano che i programmi<br />

psico-educativi dovrebbero concentrarsi sui sintomi<br />

depressivi, la stigmatizzazione e alla qualità della<br />

vita, oltre ad offrire informazioni sulla malattia<br />

(Carroll et al, 1999; Karow e Pajonk, 2006; Staring<br />

et al, 2009).<br />

Ci sono alcune evidenze preliminari che suggeriscono<br />

l’effi cacia della psicoeducazione specifi catamente<br />

per i pazienti con schizofrenia: ad esempio,<br />

l’impatto positivo <strong>di</strong> un programma breve sulla loro<br />

conoscenze, gli atteggiamenti verso i farmaci e la<br />

comprensione (Jennings et al, 2002). Uno stu<strong>di</strong>o più<br />

recente <strong>di</strong> Vallentine e collaboratori (2010) su pazienti<br />

con <strong>di</strong>sturbi psichiatrici ha messo in luce che<br />

il lavoro <strong>di</strong> <strong>gruppo</strong> psicoeducazionale ha favorito il<br />

loro impegno in un ulteriore lavoro psicologico.<br />

Nordhal e Hagen (2005) si sono proposti <strong>di</strong> valutare<br />

l’effi cacia della terapia <strong>di</strong> <strong>gruppo</strong> cognitivocomportamentale<br />

(CBGT) in un campione <strong>di</strong> pazienti<br />

con co-morbi<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> depressione e <strong>di</strong>sturbi psicotici.<br />

I partecipanti a questo stu<strong>di</strong>o facevano riferimento<br />

sia alla clinica psichiatrica ambulatoriale sia<br />

all’ospedale universitario psichiatrico <strong>di</strong> Trondheim.<br />

Valutazioni self-report <strong>di</strong> sintomi depressivi, (<strong>di</strong>spe-<br />

21


azione, l’autostima, gli schemi <strong>di</strong>sadattivi e tratti/<br />

schemi <strong>di</strong> personalità) e una intervista misurante la<br />

depressione, sono stati somministrati all’inizio della<br />

terapia, dopo l’interruzione della terapia (otto settimane)<br />

ed a sei mesi <strong>di</strong> follow-up. Il funzionamento<br />

psicosociale è stato valutato anche in pre-trattamento<br />

e dopo sei mesi <strong>di</strong> follow-up. Diciassette soggetti<br />

hanno completato otto settimane <strong>di</strong> terapia. I risultati<br />

hanno <strong>di</strong>mostrato che un programma <strong>di</strong> otto settimane<br />

<strong>di</strong> CBGT ha avuto un effetto signifi cativo sulla<br />

depressione nei pazienti schizofrenici, sia a livello<br />

post-trattamento sia dopo sei mesi <strong>di</strong> follow-up, senza<br />

ricadute. Anche il funzionamento psicosociale ha<br />

mostrato un aumento signifi cativo a sei mesi <strong>di</strong> follow-up<br />

rispetto al pre-trattamento. Il presente stu<strong>di</strong>o<br />

suggerisce, quin<strong>di</strong>, che la terapia cognitivo comportamentale<br />

<strong>di</strong> <strong>gruppo</strong> può essere utile nel trattamento<br />

<strong>di</strong> stati <strong>di</strong> co-morbi<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> depressione in pazienti con<br />

<strong>di</strong>sturbi schizofrenici.<br />

In un lavoro <strong>di</strong> Aho-Mustonen e colleghi (2008)<br />

i pazienti con schizofrenia sono stati in grado <strong>di</strong> acquisire<br />

maggiori informazioni sulla loro malattia e<br />

<strong>di</strong> migliorare la loro consapevolezza. Gran parte dei<br />

pazienti <strong>dello</strong> stu<strong>di</strong>o pilota ha anche riferito <strong>di</strong> aver<br />

benefi ciato del lavoro <strong>di</strong> <strong>gruppo</strong>, anche anni dopo,<br />

soprattutto per quanto riguarda l’acquisizione <strong>di</strong><br />

nuove informazioni sulla malattia (Aho-Mustonen<br />

et al., 2009). I partecipanti entrati nel <strong>gruppo</strong> hanno<br />

anche sperimentato un senso <strong>di</strong> ‘destino comune’ e<br />

che non erano soli nei loro problemi.<br />

Un altro stu<strong>di</strong>o successivo, <strong>dello</strong> stesso <strong>gruppo</strong><br />

<strong>di</strong> ricerca (Aho-Mustonen e al., 2010), consisteva in<br />

otto sessioni <strong>di</strong> <strong>gruppo</strong> <strong>di</strong> psicoeducazione i cui argomenti<br />

erano così sud<strong>di</strong>visi: 1. L’orientamento; 2.<br />

Cos’è la schizofrenia? I sintomi della schizofrenia.<br />

3. Diagnosi. Epidemiologia della schizofrenia. Corso<br />

della malattia. 4. Le cause e l’esito della schizofrenia.<br />

Sintomi ricorrenti. 5. Il mo<strong>dello</strong> Stress-vulnerabilità,<br />

infl uenza degli stress. Segni <strong>di</strong> ricaduta. L’alcol e i<br />

farmaci. 6. Antipsicotici. 7. Trattamento psicosociale<br />

della schizofrenia. Le questioni legali. 8. Riepilogo.<br />

Tre mesi dopo aver completato il trattamento i<br />

partecipanti al <strong>gruppo</strong> mostravano gli effetti positivi<br />

del trattamento in termini <strong>di</strong> conoscenza della malattia,<br />

<strong>di</strong> stima <strong>di</strong> sé e <strong>di</strong> insight della malattia. I soli<br />

effetti negativi erano un lieve incremento nell’irritabilità,<br />

ma questo non si è tradotto in comportamenti<br />

che potessero far preoccupare lo staff. Il risultato più<br />

sod<strong>di</strong>sfacente è stato che anche i malati più gravi si<br />

alzavano dal letto per partecipare agli incontri.<br />

Feldmann e collaboratori (2002) hanno esami-<br />

22<br />

Ricerca clinica<br />

nato l’infl uenza della durata della malattia, prima<br />

dell’inizio della terapia, sugli effetti <strong>di</strong> un training<br />

psicoeducativo. L’effi cacia <strong>di</strong> un training psicoeducazionale<br />

è stata stu<strong>di</strong>ata in termini <strong>di</strong> frequenza <strong>di</strong><br />

ri-ospedalizzazioni e <strong>di</strong> funzionamento generale subito<br />

dopo il completamento <strong>di</strong> quest’ultimo e entro<br />

un follow-up <strong>di</strong> 5 anni. L’intervento aveva l’obiettivo<br />

<strong>di</strong> migliorare la conoscenza sulla schizofrenia e<br />

il relativo trattamento, nonché <strong>di</strong> suggerire abilità <strong>di</strong><br />

gestione <strong>di</strong> assunzione <strong>di</strong> farmaci e delle crisi. Il trattamento<br />

cognitivo si proponeva <strong>di</strong> migliorare abilità<br />

<strong>di</strong> problem-solving, fornendo una pianifi cazione<br />

strutturata <strong>di</strong> strategie comportamentali. I risultati<br />

riportati hanno supportato l’ipotesi secondo la quale<br />

un intervento psicoeducativo precoce è più effi cace.<br />

Un intervento psicoeducativo tempestivo potrebbe<br />

favorire un’accettazione della malattia e promuovere<br />

abilità per gestire le crisi (Birchwood et al., 1997).<br />

<strong>La</strong> psicoeducazione ha mostrato un effetto più preventivo<br />

in pazienti con una durata me<strong>di</strong>a della malattia.<br />

C’è qualche prova secondo cui i pazienti, dopo<br />

un lungo lasso <strong>di</strong> tempo dall’esor<strong>di</strong>o della schizofrenia,<br />

aderiscono ad assunzioni i<strong>di</strong>osincratiche e fataliste<br />

che hanno costruito per spiegarsi la malattia e<br />

la sua persistenza rispetto agli interventi terapeutici.<br />

Queste convinzioni non aprono facilmente la strada<br />

alla psicoeducazione che promuove la conoscenza e<br />

le abilità riguardo alla gestione delle crisi. D’altro<br />

canto, se la durata della malattia è molto breve, i pazienti<br />

possono ancora non riconoscere il <strong>di</strong>sturbo e<br />

non accettare nozioni su qualcosa che “non li riguarda”<br />

o il miglioramento <strong>di</strong> abilità che ritengono non<br />

applicabili alla loro con<strong>di</strong>zione. Pertanto, i risultati<br />

hanno suggerito che una durata me<strong>di</strong>a della malattia<br />

è l’arco <strong>di</strong> tempo ottimale per dare inizio agli interventi<br />

psicoeducazionali.<br />

In Italia si sono avviate delle esperienze <strong>di</strong> interventi<br />

<strong>di</strong> <strong>gruppo</strong> ad orientamento cognitivo-comportamentale<br />

in setting ospedalieri.<br />

Bazzoni e colleghi (2001) presso il San F. Neri <strong>di</strong><br />

Roma hanno valutato la CBGT combinata al trattamento<br />

abituale per pazienti ricoverati in fase acuta. Il<br />

confronto, che ha riguardato complessivamente 385<br />

soggetti, è stato fatto su alcuni in<strong>di</strong>catori tra l’anno<br />

precedente e quello seguente alla partecipazione al<br />

CBGT. Ognuno dei partecipanti ha preso parte in<br />

me<strong>di</strong>a a 4 sessioni. Dai dati raccolti è emerso che<br />

si sono ridotti <strong>di</strong> un terzo (p < 0.001) i trattamenti<br />

sanitari obbligatori (TSO) totali, <strong>di</strong> 1/3 (p < 0.05) il<br />

fenomeno della “porta girevole” , <strong>di</strong> 3/4 (p < 0.005)<br />

i TSO nelle riammissioni, della metà (p < 0.001) gli


episo<strong>di</strong> violenti, mentre non si registravano quasi più<br />

contenzioni fi siche e fughe dal reparto.<br />

Anche Veltro e collaboratori (2006) hanno sperimentato<br />

l’effi cacia della terapia <strong>di</strong> <strong>gruppo</strong> cognitivocomportamentale<br />

integrata nel trattamento <strong>di</strong> routine<br />

presso un reparto <strong>di</strong> degenza ospedaliera psichiatrica.<br />

Gli autori hanno usato un <strong>di</strong>segno pre-post per misurare<br />

il processo, gli esiti e il risultato <strong>di</strong> in<strong>di</strong>catori<br />

introdotti l’anno prima della CBGT (2001) in contrasto<br />

con i due anni successivi (2002, 2003). Sono stati<br />

valutati: riammissione in ospedale, ricoveri obbligatori,<br />

atmosfera <strong>di</strong> reparto (cioè l’uso della contenzione<br />

fi sica, gli episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> comportamento violento)<br />

sod<strong>di</strong>sfazione dei pazienti. Il 90% <strong>di</strong> tutti i pazienti<br />

ricoverati negli anni 2002-2003 ha partecipato alla<br />

terapia <strong>di</strong> <strong>gruppo</strong>. I dati sono stati interessanti: negli<br />

anni successivi la CBGT, il tasso <strong>di</strong> riammissione<br />

introdotto è sceso dal 38% al 27% e 24% (p


Approfon<strong>di</strong>sce nello specifi co i vari aspetti del<br />

funzionamento globale e della abilità del paziente<br />

psichiatrico attraverso 7 singole scale: 1. Compromissioni<br />

del funzionamento psicologico; 2. Abilità<br />

sociali; 3. Comportamenti violenti; 4. Attività della<br />

vita quoti<strong>di</strong>ana - Abilità occupazionali; 5. Abuso <strong>di</strong><br />

sostanze; 6. Compromissione delle con<strong>di</strong>zioni fi siche;<br />

7. Compromissione in altre aree.<br />

Sono stati comparati i punteggi ottenuti nelle<br />

scale:<br />

1. Compromissione del funzionamento psicologico<br />

3. Comportamenti violenti.<br />

PROTOCOLLO DELL’INTERVENTO<br />

L’incontro <strong>di</strong> <strong>gruppo</strong> è stato condotto da due<br />

professionisti (nello specifi co due psicologi clinici)<br />

nelle vesti <strong>di</strong> “conduttore” e <strong>di</strong> “co-conduttore”, il<br />

primo avrà il compito della conduzione del <strong>gruppo</strong><br />

in maniera <strong>di</strong>retta, il secondo coa<strong>di</strong>uverà nella conduzione<br />

e nel sostenere il “clima” <strong>di</strong> interesse del<br />

<strong>gruppo</strong> (richiamando all’attenzione, chiarendo eventuali<br />

concetti che possono sembrare ostici…).<br />

Il tema per ogni sessione è stato preventivamente<br />

concordato all’interno dell’equipe clinica, tenuto<br />

conto delle <strong>di</strong>agnosi e delle criticità dei pazienti, in<br />

seguito è stato con<strong>di</strong>viso singolarmente con i pazienti<br />

stessi che hanno accettato <strong>di</strong> partecipare agli<br />

incontri. (il protocollo<br />

<strong>di</strong> intervento psicoeducazionale<br />

ha preso<br />

il nome “Gruppo Risorsa”,<br />

è così viene denominato<br />

dai pazienti<br />

stessi).<br />

I°-II° modulo: autogestione<br />

dell’aggressività,<br />

atteggiamento assertivo.<br />

Tempi: 4 sessioni<br />

<strong>di</strong> incontro nell’arco <strong>di</strong><br />

due settimane, 30 min<br />

circa ad incontro:<br />

•<br />

•<br />

•<br />

24<br />

Si defi nisce in<br />

quali situazioni ci<br />

arrabbiamo<br />

Con<strong>di</strong>visione del<br />

mo<strong>dello</strong> ABC<br />

Quali sono le<br />

conseguenze<br />

comportamentali<br />

dell’”eccessiva”<br />

Ricerca clinica<br />

rabbia<br />

• Quali comportamenti per “gestire” l’aggressività<br />

• Imparare ad assumere un atteggiamento Assertivo<br />

Obiettivo <strong>di</strong> questi moduli è quello <strong>di</strong> insegnare ai<br />

pazienti modalità comportamentali adeguate e non<br />

aggressive. L’approccio non è quello <strong>di</strong> una lezione<br />

frontale ma <strong>di</strong> una <strong>di</strong>scussione e <strong>di</strong> un <strong>di</strong>alogo <strong>di</strong><br />

tipo “socratico” che comporterà la presentazione in<br />

termini <strong>di</strong>mensionali <strong>di</strong> sintomi, emozioni bersaglio<br />

e atteggiamenti.<br />

III° Modulo: Pensiero Psicotico. Tempi : 2 sessioni<br />

nell’arco <strong>di</strong> una settimana, circa 30 min ad incontro.<br />

• Si promuove la comunicazioni <strong>di</strong> esperienze<br />

deliranti<br />

•<br />

•<br />

•<br />

Si costruisce il mo<strong>dello</strong> ABC - relazione tra si-<br />

tuazioni/eventi soggettivi interni o esterni che<br />

precedono il fenomeno e le emozioni o i comportamenti<br />

che ne conseguono.<br />

Valutazione delle strategie messe in atto per<br />

fronteggiare il problema.<br />

Si stimolano i pazienti a produrre ipotesi alternative<br />

alla spiegazione dell’evento -”B alternativo”.<br />

•<br />

Problem sol-<br />

ving per cercare strategie<br />

<strong>di</strong> coping funzionali.<br />

Gli obiettivi dell’intervento<br />

<strong>di</strong> <strong>gruppo</strong> su questo<br />

sintomo sono: a)<br />

consentire la con<strong>di</strong>visione<br />

con gli altri ospiti<br />

dell’esperienza psicotica,<br />

quin<strong>di</strong> la sua comunicazione<br />

e il superamento<br />

delle emozioni<br />

<strong>di</strong> vergogna e ansia ad<br />

essa correlate; b) sviluppare<br />

la <strong>capacità</strong> <strong>di</strong><br />

riconoscere le idee deliranti<br />

come spiegazione<br />

<strong>di</strong> esperienze. L’approccio<br />

non è quello <strong>di</strong><br />

una lezione frontale ma<br />

<strong>di</strong> una <strong>di</strong>scussione e <strong>di</strong><br />

un <strong>di</strong>alogo <strong>di</strong> tipo “socratico”.


RISULTATI<br />

I dati sono stati analizzati statisticamente con il<br />

T-Student<br />

- Risultati pre post intervento<br />

I risultati hanno messo in luce al termine dell’intervento<br />

una <strong>di</strong>fferenza signifi cativa dei punteggi ottenuti<br />

dai quattro pazienti agli item della BPRS e alle<br />

scale dell’ASSE K.<br />

Per i moduli autogestione dell’aggressività,<br />

comportamento assertivo l’analisi statistica ha fatto<br />

registrare una <strong>di</strong>fferenza signifi cativa tra i punteggi<br />

ottenuti sia all’item Ostilità della BPRS sia alla scala<br />

Comportamenti violenti dell’ASSE K (tab. I). L’intervento<br />

psicoeducazionale mostra <strong>di</strong> incidere sulla<br />

riduzione dei comportamenti ostili e aggressivi del<br />

nostro campione <strong>di</strong> pazienti psicotici.<br />

Tab 1: confronto dei punteggi al pre e post intervento<br />

per il modulo autogestione dell’aggressività, atteggiamento<br />

assertivo.<br />

Pre-Post<br />

T-Student Osti lità (BPRS)<br />

Comportamenti violenti<br />

(ASSE K)<br />

p


fronteggiamento.<br />

I confronti dei punteggi al pre e post intervento<br />

registrati alle scale dell’ASSE K e agli item della<br />

BPRS sono signifi cativi e lo sono soprattutto quelli<br />

utilizzati per la misura del pensiero psicotico (item<br />

Contenuto insolito del pensiero della BPRS e scala<br />

Compromissione del funzionamento psicologico<br />

dell’ASSE K).<br />

È, tuttavia, evidente che gli effetti signifi cativi<br />

ottenuti non siano attribuibili tout court all’intervento<br />

psicoeducazionale ma siano da ricollegare<br />

anche a tutti gli altri trattamenti cui sono sottoposti<br />

i pazienti in una struttura residenziale. Soprattutto<br />

hanno un peso determinante in primo luogo la terapia<br />

farmacologica e in seconda istanza la CBT in<strong>di</strong>viduale,<br />

avendo entrambe un’azione <strong>di</strong>retta, oltre<br />

che sugli altri sintomi, sull’ideazione delirante e sul<br />

comportamento violento ambedue target del nostro<br />

intervento.<br />

Lo stesso dato del follow-up a due mesi sul modulo<br />

pensiero psicotico sottolinea, a nostro avviso,<br />

l’importanza dell’integrazione dei vari interventi.<br />

L’effetto maggiormente signifi cativo registrato per il<br />

pensiero psicotico può essere comprensibile alla luce<br />

<strong>di</strong> uno degli step <strong>di</strong> questo intervento, quello relativo<br />

all’in<strong>di</strong>viduazione <strong>di</strong> strategie funzionali <strong>di</strong> coping,<br />

che, possiamo <strong>di</strong>re, si rifl ette anche sulla <strong>di</strong>sponibilità<br />

del soggetto a seguire il piano più complessivo <strong>di</strong><br />

trattamento. Nella fattispecie, nel modulo si <strong>di</strong>scute<br />

con i pazienti delle strategie <strong>di</strong> fronteggiamento più<br />

adeguate all’emergere dei deliri tra cui importantissima<br />

quella della <strong>di</strong>scussione del sintomo con lo<br />

psichiatra e dell’assunzione regolare dei neurolettici.<br />

L’adesione alla terapia me<strong>di</strong>ca quin<strong>di</strong> è sostenuta e<br />

rafforzata da questo intervento e ciò è estremamente<br />

rilevante se si considera l’elevata labilità della compliance<br />

al trattamento farmacologico tipica dei nostri<br />

pazienti.<br />

I dati sul follow-up relativamente alla gestione<br />

dell’aggressività sono, invece, meno robusti e concor<strong>di</strong>.<br />

I risultati mostrano <strong>di</strong> reggere con minore<br />

forza sul me<strong>di</strong>o periodo, a sostegno dell’osservazione<br />

clinica che questo tipo <strong>di</strong> intervento deve essere<br />

costantemente ripetuto, soprattutto con pazienti che<br />

hanno altri <strong>di</strong>sturbi in comorbi<strong>di</strong>tà come <strong>di</strong> frequente<br />

accade nelle comunità <strong>di</strong> riabilitazione psichiatrica<br />

(due dei nostri pazienti hanno un Ritardo Mentale<br />

Lieve).<br />

Inoltre, l’effetto statisticamente <strong>di</strong>verso ottenuto<br />

alle due misure (item Ostilità della BPRS e scala<br />

Comportamenti violenti dell’ASSE K) è, a nostro<br />

26<br />

Ricerca clinica<br />

avviso, attribuibile alle loro caratteristiche lievemente<br />

<strong>di</strong>fferenti. Pur valutando entrambe l’aggressività,<br />

mentre l’item della BPRS misura anche nei punteggi<br />

interme<strong>di</strong> espressioni <strong>di</strong> rabbia e minacce, la seconda<br />

si focalizza maggiormente sulle azioni chiaramente<br />

violente verso sé e/o gli altri. È probabile che<br />

l’intervento sull’autogestione dell’aggressività e sul<br />

comportamento assertivo sia meno stabile sul me<strong>di</strong>o<br />

termine, se non tanto sulla <strong>capacità</strong> <strong>di</strong> controllo degli<br />

agiti violenti, almeno sulla <strong>capacità</strong> <strong>di</strong> assumere<br />

comportamenti non ostili e orientati all’affermazione<br />

assertiva dei propri bisogni.<br />

I dati <strong>di</strong> questo lavoro sono quin<strong>di</strong> incoraggianti<br />

anche se vanno interpretati con cautela sia per il numero<br />

ristretto del campione che per la <strong>di</strong>ffi coltà <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>stinguere, per l’assenza <strong>di</strong> un <strong>gruppo</strong> <strong>di</strong> controllo,<br />

il peso specifi co delle altre variabili <strong>di</strong> trattamento.<br />

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27


Le fonti informative deputate a censire la presenza<br />

dei minori stranieri in Italia sono numerose, tuttavia<br />

i dati statistici prodotti riescono a rappresentare<br />

solo una parte <strong>di</strong> tale presenza - quella visibile - e<br />

<strong>di</strong> conseguenza sottostimano la reale ampiezza del<br />

fenomeno.<br />

A titolo rappresentativo tra i principali in<strong>di</strong>catori<br />

sulla presenza dei minori stranieri in Italia ritroviamo:<br />

permessi <strong>di</strong> soggiorno, residenza in Italia, iscrizioni<br />

scolastiche, segnalazioni <strong>di</strong> minori stranieri<br />

non accompagnati, informazioni sulle pratiche dei<br />

richiedenti protezione internazionale <strong>di</strong> minore età,<br />

registrazioni dei provve<strong>di</strong>menti per tratta (L. 11 agosto<br />

2003, n. 228 - Misure contro la tratta <strong>di</strong> persone),<br />

minori autori <strong>di</strong> reato.<br />

I principali enti deputati alla rilevazione <strong>di</strong> tale<br />

categoria <strong>di</strong> minori risultano pertanto i Ministeri<br />

dell’Interno, dell’Istruzione, Università e Ricerca,<br />

del <strong>La</strong>voro, della Salute e delle Politiche Sociali, il<br />

Comitato per i Minori Stranieri, la Direzione Nazionale<br />

Antimafi a, il Dipartimento per la Giustizia<br />

Minorile del Ministero della Giustizia e l’Istat.<br />

I dati del Ministero dell’Interno, basati su una<br />

stima Istat (http://demo.istat.it/) riportavano pari a<br />

933.693 il numero dei minori stranieri regolari residenti<br />

in Italia al 1° Gennaio 2009 (il 24% del totale<br />

dei citta<strong>di</strong>ni non comunitari residenti). <strong>La</strong> principale<br />

fonte informativa sulla presenza dei minori stranieri<br />

non accompagnati sul territorio è la banca dati<br />

del Comitato per i Minori Stranieri, in cui vengono<br />

puntualmente registrate le segnalazioni effettuate da<br />

Pubblici Uffi ciali, incaricati <strong>di</strong> pubblico servizio ed<br />

enti che svolgono attività sanitaria o <strong>di</strong> assistenza. Al<br />

30 settembre 2009 la banca dati contava 6.587 minori<br />

stranieri non accompagnati (I Rapporto annuale <strong>di</strong><br />

Save The Children Italia Onlus, 2009).<br />

Orientando l’attenzione sulla realtà del tratta-<br />

28<br />

Psicologia Forense<br />

Minori extracomunitari autori <strong>di</strong><br />

reato: quale tratt amento in carcere?<br />

Dott. A. Lisi*, V. Stallone*, F. Campobasso**, A. Cannito**,<br />

Y. Massaro**, C. Signorile***, N. Petruzzelli****, I. Grattagliano* 1<br />

mento dei minori stranieri ristretti negli Istituti Penitenziari<br />

italiani, sono stati osservati i dati sui fl ussi<br />

<strong>di</strong> utenza dei Servizi della Giustizia Minorile relativi<br />

all’anno 2009 (Servizio Statistica del Ministero della<br />

Giustizia - DGM, 2009), rilevando come il numero<br />

<strong>di</strong> minori entrati in Centri <strong>di</strong> Prima Accoglienza<br />

(CPA) fosse pari a 2.422.<br />

L’analisi secondo la nazionalità evidenzia la<br />

prevalenza per quell’anno della componente italiana,<br />

con il 62% sul totale. Interessante appare il dato<br />

per il quale sul totale dei minori <strong>di</strong> sesso femminile<br />

entrati in CPA nel 2009 (275), l’82% <strong>di</strong> queste era<br />

rappresentato da minori straniere (grafi ci 1 e 2).<br />

Graf. 1: Percentuale ingressi in CPA nel 2009<br />

secondo la nazionalità<br />

Ulteriormente i dati pubblicati dal Dipartimento<br />

<strong>di</strong> Giustizia Minorile permettono <strong>di</strong> riscontrare come<br />

nel 2009 la maggior parte dei minorenni transitati<br />

in CPA (l’82%) sia stata <strong>di</strong>messa con l’applicazione<br />

<strong>di</strong> una misura cautelare. <strong>La</strong> scomposizione del dato<br />

in base alla nazionalità evidenzia come tale misura<br />

abbia trovato maggiore applicazione tra gli italiani<br />

(91%) rispetto agli stranieri (73%) (grafi co 3).<br />

A questo dato va associato il fatto che i minorenni<br />

stranieri uscivano dai CPA più frequentemente per<br />

1 * Sezione <strong>di</strong> Criminologia e Psichiatria Forense, Università degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Bari, coor<strong>di</strong>natore Prof. Roberto Catanesi<br />

** Dipartimento <strong>di</strong> Scienze Neurologiche e Psichiatriche, Università degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Bari, <strong>di</strong>rettore Prof. Marcello Nar<strong>di</strong>ni<br />

*** CAPS, Centro <strong>di</strong> Aiuto Psicosociale - Bari<br />

**** Direzione Istituto Penale Minorile “N. Fornelli” - Bari


Graf. 2: Percentuale ingressi in CPA nel 2009<br />

secondo nazionalità e sesso<br />

remissione in libertà, per non imputabilità in ragione<br />

dell’età o per mancanza <strong>di</strong> altri presupposti ai fi ni<br />

dell’arresto o del fermo.<br />

Una volta transitati dal CPA i minori possono<br />

sperimentare l’esperienza della carcerazione giungendo<br />

negli Istituti Penitenziari Minorili (IPM) in<br />

quanto soggetti sottoposti alla custo<strong>di</strong>a cautelare (in<br />

attesa <strong>di</strong> primo giu<strong>di</strong>zio o del giu<strong>di</strong>zio in Appello o<br />

del ricorso in Cassazione) o soggetti in esecuzione<br />

della pena, coloro per i quali, infatti, vi è stata sentenza<br />

passata in giu<strong>di</strong>cato.<br />

Analizzando in dettaglio le uscite accompagnate<br />

da una misura cautelare, si evince che nel<br />

complesso, tra minori italiani e stranieri, il<br />

provve<strong>di</strong>mento maggiormente applicato è<br />

stato quello del collocamento in comunità<br />

(32%), seguito dalla permanenza in casa<br />

(29%), dalla custo<strong>di</strong>a cautelare (24%)<br />

ed infi ne dalla misura della prescrizione<br />

(14%).<br />

Un elemento interessante emerge<br />

tuttavia dall’analisi dei dati sulla base<br />

dell’ulteriore <strong>di</strong>saggregazione per nazionalità:<br />

come si può vedere dal grafi co 4<br />

l’applicazione della custo<strong>di</strong>a cautelare<br />

risulta più frequentemente applicata per<br />

i minori stranieri, mentre per gli italiani<br />

vengono <strong>di</strong>sposte prevalentemente misure<br />

non detentive, come la permanenza in casa<br />

ed il collocamento in comunità. Il minore immigrato<br />

soffre maggiormente <strong>di</strong> quella misura cautelare più<br />

limitativa della libertà, che è appunto il carcere, in<br />

quanto <strong>di</strong>ffi cilmente possiede quegli elementi che<br />

possono far propendere verso un altro tipo <strong>di</strong> scelta,<br />

poiché spesso non ha un nucleo familiare alle spalle,<br />

una casa, un lavoro (o lo ha precario), ed è così<br />

inevitabile che i criteri <strong>di</strong> affi dabilità sociale fi niscano<br />

per penalizzarlo. Dunque, in un certo senso, già<br />

Psicologia Forense<br />

la con<strong>di</strong>zione stessa <strong>di</strong> migrante, a causa della<br />

carenza <strong>di</strong> riferimenti all’esterno e <strong>di</strong> un tessuto<br />

sociale conosciuto, e quin<strong>di</strong> con legami deboli<br />

e precari con il territorio, pone l’imputato<br />

straniero, a parità <strong>di</strong> condotta deviante, in una<br />

posizione <strong>di</strong> svantaggio rispetto ad un ipotetico<br />

imputato italiano.<br />

Quin<strong>di</strong>, per quanto riguarda la fruibilità delle<br />

misure alternative alla detenzione carceraria,<br />

i minori stranieri, anche se astrattamente nelle<br />

con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> goderne, presentano <strong>di</strong>ffi coltà<br />

ad accedervi (De Leo, 2001; Scivoletto, 1999,<br />

2000; Servizio Statistica del Ministero della<br />

Giustizia - DGM, 2009). Tali istituti giuri<strong>di</strong>ci,<br />

pur nelle gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenziazioni, hanno dei requisiti<br />

<strong>di</strong> tipo oggettivo (i limiti della pena) in cui facilmente<br />

il minore condannato straniero rientra. Il<br />

problema sono i requisiti soggettivi, perché spesso<br />

l’applicazione <strong>di</strong> una misura alternativa presuppone<br />

un inserimento nel territorio (una casa, un lavoro, familiari<br />

<strong>di</strong> riferimento, etc.) che è proprio ciò che ad<br />

un immigrato spesso manca.<br />

Analogo <strong>di</strong>scorso vale per lo specifi co istituto<br />

della sospensione del processo e messa alla prova<br />

cui <strong>di</strong> fatto i minori stranieri sembrano accedere con<br />

minore frequenza.<br />

Graf. 3:<br />

Composizione percentuale delle uscite dai CPA nel<br />

2009 con applicazione della misura cautelare<br />

Nel 2009 il numero complessivo degli ingressi<br />

negli IPM è stato <strong>di</strong> 1.222 minori, il valore più basso<br />

analizzando la serie storica tra il 1991 ed il 2009 (cfr.<br />

Servizio Statistica del Ministero della Giustizia -<br />

DGM, 2009). Tale andamento in <strong>di</strong>minuzione appare<br />

29


associato essenzialmente alla componente straniera<br />

dell’utenza. Tuttavia, se si considera come specifi co<br />

in<strong>di</strong>catore il numero <strong>di</strong> presenze me<strong>di</strong>e giornaliere<br />

in IPM dal 2006 (anno d’introduzione della L. 31<br />

luglio 2006, n. 241 - Concessione d’Indulto) al 2009,<br />

si passa da un valore <strong>di</strong> 418 unità me<strong>di</strong>e giornaliere a<br />

503 minori. Quin<strong>di</strong> un incremento che vede la quota<br />

<strong>di</strong> minori italiani come più ampia. Nel 2009, infatti,<br />

il 43% dei minori ristretti era rappresentato da stranieri<br />

(523 minori su 1.222), con una presenza me<strong>di</strong>a<br />

giornaliera in IPM del 41% ed una prevalenza <strong>di</strong> Rumeni<br />

(26%), Marocchini (21%), Serbi-Montenegrini<br />

(13%), Tunisini (7%).<br />

Possiamo quin<strong>di</strong> sostenere che i minori stranieri<br />

rappresentano comunque una consistente quota del<br />

totale dei minori devianti che popolano le carceri.<br />

Tale aspetto può essere riconducibile al fatto che i<br />

minori immigrati, specialmente quelli “non accompagnati”,<br />

proprio a causa <strong>di</strong> tale con<strong>di</strong>zione, rappresentano<br />

una categoria <strong>di</strong> soggetti con forte esposizione<br />

al rischio <strong>di</strong> per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> tutela ovvero <strong>di</strong> caduta<br />

in condotte devianti. Nel caso <strong>di</strong> minori nati in Italia,<br />

<strong>di</strong>scendenti della prima generazione <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>ni immigrati,<br />

la caduta in carriere devianti può rappresentare<br />

una sorta <strong>di</strong> “nuova” forma <strong>di</strong> <strong>di</strong>sagio giovanile,<br />

interpretabile come esito del fallimento del processo<br />

d’integrazione iniziato dai genitori.<br />

Come spiegano utilmente Mastropasqua, Pagliaroli,<br />

e Totaro (2008) la criminalità degli immigrati,<br />

intesa come fatto sociale, come evento relazionale<br />

30<br />

Graf. 4:<br />

Composizione percentuale delle uscite con misura cautelare<br />

secondo la tipologia <strong>di</strong> provve<strong>di</strong>mento<br />

Psicologia Forense<br />

e fenomeno collettivo, sarebbe<br />

anche in<strong>di</strong>ssolubilmente legata<br />

all’insieme <strong>di</strong> procedure e meto<strong>di</strong><br />

utili a riconoscerla, descriverla<br />

e spiegarla, alle procedure<br />

d’indagine della polizia, alle<br />

regole utilizzate dai Giu<strong>di</strong>ci,<br />

Pubblici Ministeri ed Avvocati<br />

per valutare i proce<strong>di</strong>menti giu<strong>di</strong>ziari,<br />

alle tecniche <strong>di</strong> analisi<br />

sociologica, ai pregiu<strong>di</strong>zi sociali,<br />

ai rapporti <strong>di</strong> potere tra<br />

le parti sociali, alla razionalità<br />

economica. Nell’esaminare i<br />

rapporti tra devianza ed immigrazione<br />

gli stessi autori ritengono<br />

opportuno considerare<br />

sia l’eventualità che per alcuni<br />

migranti il percorso migratorio<br />

stesso sia fi nalizzato al compimento<br />

<strong>di</strong> reati, sia le possibili<br />

ricadute dell’evento migratorio<br />

sull’esposizione dei migranti al rischio <strong>di</strong> coinvolgimento<br />

nella devianza (come autori e/o come vittime<br />

<strong>di</strong> atti illeciti), sia i processi <strong>di</strong> esclusione che possono<br />

talvolta contribuire alla costruzione <strong>di</strong> nuove<br />

fi gure devianti, ad esempio trasformando in “devianza”<br />

la “<strong>di</strong>versità” <strong>di</strong> cui alcune categorie <strong>di</strong> migranti<br />

possono essere portatori (<strong>di</strong>versità <strong>di</strong> usi e costumi,<br />

<strong>di</strong> valori, <strong>di</strong> tratti somatici o, più semplicemente, <strong>di</strong><br />

con<strong>di</strong>zione economica e <strong>di</strong> accesso alle possibilità <strong>di</strong><br />

riscatto sociale).<br />

I minori extracomunitari che hanno commesso<br />

reati hanno necessità <strong>di</strong> un percorso trattamentale<br />

che connetta dentro <strong>di</strong> loro identità e memoria, prestando<br />

particolare attenzione al loro modo <strong>di</strong> raccontarsi<br />

ed ai registri comunicativi usati. Sono minori<br />

impegnati ad affrontare <strong>di</strong>versi stress: quello della<br />

carcerazione, dell’elaborazione e del ripensamento<br />

del reato commesso. Spesso sono in “transito migratorio”<br />

e quin<strong>di</strong> coinvolti in uno sforzo <strong>di</strong> memoria<br />

in<strong>di</strong>viduale che ha <strong>di</strong>versi vertici: ricostruzione del<br />

passato ma collocazione in nuove gruppalità interne<br />

ed esterne (Nathan, 1990; Raison, 1978).<br />

<strong>La</strong> migrazione è, in un certo senso, una vera e<br />

propria esperienza <strong>di</strong> rinascita con il rischio della<br />

<strong>di</strong>ffi coltà ed impossibilità <strong>di</strong> ri-affi liarsi al nuovo<br />

universo culturale in cui si è immersi. Tutto ciò potrebbe<br />

comportare una ferita all’involucro psichico<br />

del minore, <strong>di</strong> cui bisogna tenere debito conto nel<br />

trattamento criminologico. E’ un doppio transito:<br />

sono minori, adolescenti, sono migranti mentre sono


adolescenti, sono adolescenti mentre sono migranti.<br />

<strong>La</strong> con<strong>di</strong>zione dei giovani migranti <strong>di</strong> frequente<br />

non è “solidale” con le loro famiglie o i territori <strong>di</strong><br />

origine. Da un lato si riteneva che l’impatto destrutturante<br />

della migrazione potesse essere elaborato,<br />

contenuto e gestito dall’appartenenza ai contesti<br />

d’origine, dai processi <strong>di</strong> socializzazione con i nuovi<br />

contesti <strong>di</strong> arrivo. Spesso solo la vita scolastica rappresentava<br />

un contatto <strong>di</strong>retto con i nuovi territori.<br />

Ma come evidenzia Appadurai (2001), gli effetti della<br />

comunicazione <strong>di</strong> massa da un lato e della deterritorializzazione<br />

degli in<strong>di</strong>vidui dall’altro fanno sì che<br />

i tra<strong>di</strong>zionali contenitori familiari non riescano più<br />

ad incapsulare il senso d’identità ed i minori migranti<br />

si trovino spesso a dover fronteggiate il compito<br />

<strong>di</strong> costruire un proprio senso d’identità ed appartenenza<br />

lungo frontiere culturali incerte ed instabili.<br />

Le funzioni, le abilità, i costrutti messi in gioco sono<br />

identità e memoria. L’appartenenza ad un <strong>gruppo</strong> si<br />

identifi ca con un or<strong>di</strong>ne simbolico,<br />

affettivo e relazionale che ha a che<br />

fare con l’identità e la memoria dei<br />

soggetti.<br />

Può esserci anche un trauma culturale<br />

legato all’emigrazione. Se si<br />

esaminano le modalità attraverso cui<br />

i minori possono esprimere il loro <strong>di</strong>sagio,<br />

possiamo in<strong>di</strong>viduare una gamma<br />

<strong>di</strong> atteggiamenti che và dal rifi uto<br />

nei confronti della loro tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong><br />

origine, alla sua assimilazione me<strong>di</strong>ante<br />

forme espressive <strong>di</strong>fferenti che<br />

meglio si adattano al nuovo contesto.<br />

Necessità <strong>di</strong> ricordare e necessità <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>menticare si rincorrono spesso nella<br />

esperienza dei minori migranti.<br />

L’affi liazione ad un nuovo or<strong>di</strong>ne simbolico<br />

richiesta dall’esperienza migratoria soprattutto ai<br />

giovani migranti, necessita <strong>di</strong> un tempo in cui sia<br />

possibile svolgere un imponente lavorio psichico e<br />

culturale opportuno per una vera e propria riformulazione<br />

identitaria, rifondazione simbolica <strong>di</strong> sé e<br />

del mondo (Sayad, 2002). <strong>La</strong> questione del trauma<br />

psichico connesso con la migrazione rappresenta<br />

un passaggio centrale che attraversa l’intera psicopatologia<br />

delle migrazioni. E’ possibile considerare<br />

l’evento migratorio come trauma a sé, capace <strong>di</strong><br />

determinare patologie psichiche, o come uno degli<br />

scenari su cui si può manifestare una vulnerabilità<br />

preesistente (Beneduce, 1998; De Micco & Martelli,<br />

1993; Frigessi Castelnuovo & Risso, 1981).<br />

Nelle storie dei minori migranti che commettono<br />

Psicologia Forense<br />

reati o giungono all’attenzione della giustizia minorile,<br />

ci sono abbandoni da parte dei genitori, violenze<br />

fi siche e psicologiche subite, separazioni violente e<br />

prolungate dalla famiglia e dal contesto d’origine,<br />

assimilazioni coatte a gruppi criminali italiani, <strong>di</strong> altre<br />

etnie o della propria. Molti <strong>di</strong> questi eventi non riescono<br />

a trovare una collocazione, una rappresentanza,<br />

un signifi cato (Augè, 2000a; Fabietti & Matera,<br />

1999). Ciò apre una serie <strong>di</strong> prospettive per il lavoro<br />

trattamentale nelle scienze criminologiche: porre le<br />

basi della costruzione culturale del trauma connesso<br />

all’emigrazione e degli atti devianti e criminali posti<br />

in essere, lavorando sui processi <strong>di</strong> narrazione del sé<br />

e della propria vita, con tutte le forme ed i registri<br />

comunicativi possibili, non solo quello verbale, restituendo<br />

visibilità e rappresentabilità a tali vissuti.<br />

Nei progetti <strong>di</strong> trattamento dei minori extracomunitari<br />

un ruolo centrale potrebbe essere dato al “fare<br />

ed essere <strong>gruppo</strong> con gli altri”. Il <strong>gruppo</strong> <strong>di</strong> coetanei<br />

con cui si con<strong>di</strong>vide l’esperienza può prendere allora<br />

il posto del “<strong>gruppo</strong> interno” a cui si può sentire <strong>di</strong><br />

appartenere, un <strong>gruppo</strong> però intrinsecamente fragile,<br />

mancandogli proprio quella <strong>di</strong>mensione “genealogica”<br />

che <strong>di</strong>venta fondamentale per poter ra<strong>di</strong>care la<br />

propria soggettività nella memoria. Lo spazio <strong>di</strong> una<br />

collettività in cui gli in<strong>di</strong>vidui si riconoscono e si defi<br />

niscono attraverso <strong>di</strong> esso (Augè, 1997, 2000b).<br />

Una valida risorsa potrebbe essere rappresentata<br />

non solo dal raccontarsi, ma dal farlo scrivendo<br />

una propria narrazione che ricomponga fratture interne<br />

in funzione delle <strong>capacità</strong> in<strong>di</strong>viduali <strong>di</strong> reperire<br />

strumenti simbolici che consentano una effi cace<br />

reintegrazione nel nuovo mondo, traducendoli come<br />

afferma Le Breton (2002), in forme simboliche <strong>di</strong><br />

rimessa al mondo, ma in modo strettamente perso-<br />

31


nale.<br />

Tuttavia, quanto fi n qui esposto, non sempre<br />

trova riscontro o applicazione nella realtà, dove la<br />

mancanza <strong>di</strong> mezzi, <strong>di</strong> formazione del personale, la<br />

scarsità <strong>di</strong> risorse rendono il trattamento sui minori<br />

stranieri in carcere <strong>di</strong>ffi cile e limitato ad un numero<br />

ristretto <strong>di</strong> inte rventi.<br />

In particolare, analizzando alcune delle esperienze<br />

trattamentali dei minori stranieri in IPM in <strong>di</strong>verse<br />

realtà italiane è stato possibile osservare come:<br />

32<br />

-<br />

-<br />

tutti gli IPM osservati, aderendo pienamen-<br />

te agli articoli dell’O.P. del ‘75 ed al R.E. del<br />

2000, appaiano impegnati nel garantire ai minori<br />

stranieri i <strong>di</strong>ritti all’istruzione e inserimento<br />

professionale, all’espressione e pratica del<br />

proprio culto religioso, ad accedere ad attività<br />

culturali ricreative e sportive, a mantenere i<br />

contatti con il mondo esterno e con le famiglie<br />

d’origine;<br />

tutti gli IPM osservati sembrano implementare<br />

laboratori e corsi <strong>di</strong> avviamento professionale:<br />

es. laboratori musicali, <strong>di</strong> arti espressive e grafi<br />

co-pittoriche, informatica, cucina multietnica<br />

o corsi <strong>di</strong> artigianato per lo scambio collegato<br />

alle culture e alle religioni, offi cina meccanica<br />

ecc., con l’obiettivo <strong>di</strong> promuovere la con<strong>di</strong>visione<br />

del quoti<strong>di</strong>ano carcerario tra i minori presenti,<br />

<strong>di</strong> rappresentare occasione <strong>di</strong> rifl essione<br />

e <strong>di</strong> ridescrizione della propria identità; <strong>di</strong> promuovere<br />

l’integrazione e lo scambio culturale;<br />

<strong>di</strong> incentivare le conoscenze <strong>di</strong> sé e dell’altro<br />

<strong>di</strong>verso da sé.<br />

Dagli IPM <strong>di</strong> Catania (Asero, 2010), Catanzaro 1<br />

e Torino 2 arrivano esperienze positive della centralità<br />

del ruolo del me<strong>di</strong>atore culturale e dei volontari<br />

come sostegno per i ragazzi stranieri, dall’ingresso<br />

all’uscita dall’istituto penitenziario (attraverso colloqui,<br />

contatti telefonici con le famiglie, interpreti nel<br />

caso <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffi coltà linguistiche, sostegno durante le attività,<br />

partecipazione alle èquipe interne dell’istituto,<br />

contatti con il territorio).<br />

Le realtà <strong>di</strong> IPM come quelli <strong>di</strong> Firenze 3 o Bologna<br />

(Abbiati, 2010), quest’ultimo da molto tempo<br />

impegnato con gran<strong>di</strong> percentuali <strong>di</strong> detenuti stranie-<br />

1 http://www.michelucci.it/pagine/allegati/IPM/Catan-<br />

zaro.htm<br />

2 http://www.michelucci.it/pagine/allegati/IPM/torino.<br />

htm<br />

3 http://www.michelucci.it/pagine/allegati/IPM/Firen-<br />

ze.htm<br />

Psicologia Forense<br />

ri, invece consentono <strong>di</strong> accendere i rifl ettori sulla<br />

mancanza <strong>di</strong> strumenti e risorse per costruire percorsi<br />

specifi ci, rilevando ad es. la limitata presenza della<br />

fi gura del me<strong>di</strong>atore ad orari e ambiti ristretti, spesso<br />

relegata al ruolo <strong>di</strong> interprete e non considerata parte<br />

integrante del lavoro quoti<strong>di</strong>ano all’interno del carcere.<br />

Rispetto ai limiti e <strong>di</strong>ffi coltà del trattamento in<br />

IPM dei minori stranieri, queste sembrano nel complesso<br />

collegate a:<br />

-<br />

-<br />

-<br />

-<br />

-<br />

-<br />

fattore comunicazione (sia a livello verbale che<br />

non-verbale): quella della me<strong>di</strong>azione risulta<br />

una risorsa poco valorizzata, relegata, come si<br />

è detto, ad orari e ambiti ristretti;<br />

la carenza <strong>di</strong> risorse economiche (strettamente<br />

legata alla precedente) e conseguentemente <strong>di</strong><br />

personale e <strong>di</strong> strumenti operativi e formativi;<br />

problemi generati dalla brevità della perma-<br />

nenza: il perenne sovraffollamento genera frequenti<br />

trasferimenti che rendono impossibile la<br />

conoscenza del soggetto e la costruzione <strong>di</strong> un<br />

percorso educativo in<strong>di</strong>vidualizzato;<br />

la specifi cità delle esigenze dei giovani im-<br />

migrati: oltre alle richieste dei loro coetanei<br />

italiani essi esprimono bisogni “adulti” quali<br />

accedere al più presto al mercato del lavoro,<br />

imparare la lingua, essere in grado <strong>di</strong> cavarsela<br />

da soli, ottenere documenti regolari;<br />

l’in<strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> una famiglia <strong>di</strong> riferimento,<br />

perché del tutto assente o perché non in grado<br />

<strong>di</strong> sostenere un percorso educativo. È questo<br />

uno dei principali motivi per cui i minori stranieri,<br />

più degli italiani, fi niscono per scontare la<br />

loro pena in carcere;<br />

la mancanza della possibilità, per gli operatori,<br />

<strong>di</strong> formarsi una conoscenza precisa e specifi ca<br />

dei contesti <strong>di</strong> provenienza <strong>di</strong> questi giovani e<br />

dei loro modelli culturali.<br />

Per i minori stranieri che delinquono molti sono<br />

gli aspetti problematici ed i fattori <strong>di</strong> rischio tanto<br />

evolutivi quanto criminologici sui quali è necessario<br />

intervenire: la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> clandestinità, la<br />

lontananza delle fi gure genitoriali e, in ogni caso, <strong>di</strong><br />

legami parentali signifi cativi, l’assenza <strong>di</strong> una fi ssa<br />

<strong>di</strong>mora, il riferimento ai gruppi della criminalità organizzata,<br />

la <strong>di</strong>ffi coltà <strong>di</strong> arrivare all’accertamento<br />

dell’età anagrafi ca, il livello d’identifi cazione e <strong>di</strong><br />

appartenenza alla cultura d’origine, le carenze linguistico-culturali<br />

da superare.<br />

Caratteristiche comuni a quest’utenza sono il<br />

trovarsi in piena età evolutiva in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> precarietà<br />

socio-economica, lo stato <strong>di</strong> abbandono morale


e materiale conseguente al precoce allontanamento<br />

dalla famiglia naturale ed una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> deprivazione<br />

affettiva. A questi ragazzi mancano modelli<br />

positivi con cui identifi carsi, con la conseguente necessità<br />

<strong>di</strong> adottare stili <strong>di</strong> comportamento e valori <strong>di</strong><br />

riferimento “adultizzati” e <strong>di</strong> rinunciare anzitempo<br />

all’adolescenza.<br />

Devono essere, pertanto, favoriti percorsi che<br />

sappiano valorizzare le potenzialità offerte dalla ricchezza<br />

dell’essere portatori <strong>di</strong> culture e appartenenze<br />

<strong>di</strong>verse, affermando questa prospettiva a livello<br />

educativo.<br />

Emerge, in generale, una situazione tesa a supportare<br />

alcune oggettive <strong>di</strong>ffi coltà del presente (quali<br />

la carenza <strong>di</strong> fon<strong>di</strong> propria del settore pubblico) cui<br />

sia l’Amministrazione centrale, sia tutti gli operatori<br />

del sistema, inseriti a qualsiasi livello, cercano <strong>di</strong> far<br />

fronte con professionalità e intelligenza, avvalendosi<br />

anche <strong>di</strong> collaborazioni con gli enti locali e con il<br />

privato sociale.<br />

In carcere si può essere per ragioni <strong>di</strong> custo<strong>di</strong>a<br />

cautelare o <strong>di</strong> esecuzione <strong>di</strong> pena. Circa la prima ipotesi<br />

(che è solo una delle possibili risposte cautelari<br />

tra le molte oggi percorribili), i dati riscontrano che,<br />

il minore immigrato soffre maggiormente <strong>di</strong> quella<br />

misura cautelare più limitativa della libertà, in quanto,<br />

come già illustrato, mancano i requisiti in<strong>di</strong>spensabili<br />

per far propendere verso un altro tipo <strong>di</strong> scelta.<br />

Analogamente si pone il problema della fruibilità<br />

delle misure alternative alla detenzione, come ad es.<br />

la sospensione del processo con messa alla prova.<br />

In tale senso fondamentale appare lo stu<strong>di</strong>o e lo<br />

sviluppo <strong>di</strong> modelli <strong>di</strong> gestione e <strong>di</strong> prassi con<strong>di</strong>visibili<br />

che rispondano sempre <strong>di</strong> più ai bisogni effettivi<br />

della tipologia attuale dei minori stranieri nei servizi<br />

della Giustizia Minorile e che facilitino processi<br />

d’integrazione sociale. Per questa strada è possibile<br />

capire i riferimenti simbolici e valoriali <strong>di</strong> ciascuna<br />

cultura: tale comprensione <strong>di</strong>venta necessaria per assicurare<br />

una presa in carico educativa effettivamente<br />

personalizzata.<br />

In sintesi, per i minori stranieri, il bisogno <strong>di</strong> costruire<br />

la propria identità attraverso memoria, risimbolizzazione,<br />

rinascita nel nuovo mondo, narrazione<br />

<strong>di</strong> sé, costituisce paradossalmente un rischio o una<br />

risorsa, cioè quella <strong>di</strong> ritrovare una propria identità o<br />

<strong>di</strong> perderla. Ed in questo paradosso rischioso, in questo<br />

gioco tra centro e margine, esposto a mille contingenze<br />

soggettive ed ambientali-situazionali, <strong>di</strong>ffi -<br />

cilmente preve<strong>di</strong>bili (basti pensare al fattore tempo<br />

<strong>di</strong> permanenza in IPM), è tutto lo spazio d’azione<br />

del trattamento criminologico e degli operatori. Per<br />

Psicologia Forense<br />

alcuni versi sembrano necessari strumenti relazionali,<br />

concettuali e visioni trattamentali nuove, capaci<br />

<strong>di</strong> restituire, attraverso indagini etnografi che, la<br />

complessità <strong>di</strong> trame identifi cative con il loro intimo<br />

legame tra alterità e molteplicità. Una metodologia<br />

che metta insieme trattamento criminologico, ascolto<br />

psicologico e sguardo antropologico ed etnografi co<br />

all’atto deviante, alla trama evolutiva e relazionale<br />

del minore straniero, per comprenderne il signifi cato<br />

e declinarlo sul versante della costruzione <strong>di</strong> una più<br />

salda identità (Grinberg & Grinberg, 1990).<br />

Possono essere segnalate le seguenti priorità: necessità<br />

della nomina <strong>di</strong> un valido e signifi cativo tutore<br />

per ogni minore straniero privo <strong>di</strong> fi gure parentali;<br />

garanzia del <strong>di</strong>ritto alla <strong>di</strong>fesa tecnica e qualifi cata<br />

nel processo penale minorile; promozione, sostegno,<br />

ampliamento delle risorse familiari relazionali,<br />

laddove esistenti, e <strong>di</strong> quelle territoriali. Solo lo<br />

sviluppo <strong>di</strong> una società solidale può creare una rete<br />

accogliente capace <strong>di</strong> intercettare sul nascere i sintomi<br />

del <strong>di</strong>sagio e della devianza <strong>di</strong> cui sempre sono<br />

portatori i minori stranieri dell’area penale.<br />

Il complesso <strong>di</strong> tali elementi crea spesso il rischio<br />

<strong>di</strong> costruire percorsi superfi ciali poiché non si<br />

è avuto tempo e modo <strong>di</strong> instaurare una vera relazione<br />

con il minore, ed inoltre si tende a generalizzare<br />

la con<strong>di</strong>zione degli immigrati fornendo risposte preconfezionate,<br />

poco tagliate sulle specifi che esigenze<br />

del minore in questione.<br />

Le <strong>di</strong>ffi coltà nell’implementare e concludere<br />

positivamente un progetto trattamentale, risultano<br />

fortemente con<strong>di</strong>zionate dalle risposte dei servizi ed<br />

enti esterni. Risulta fondamentale l’integrazione con<br />

le professionalità degli operatori esterni al carcere<br />

nel lavoro <strong>di</strong> équipe o <strong>di</strong> “rete”, il coinvolgimento,<br />

lo si riba<strong>di</strong>sce, dei servizi territoriali, degli organi<br />

della giustizia minorile, <strong>di</strong> vali<strong>di</strong> tutori e rappresentanti<br />

del minore e delle associazioni <strong>di</strong> volontariato<br />

esterne all’IPM, per quanto concerne la scelta della<br />

misura cautelare e preparazione del terreno più idoneo<br />

all’uscita dal carcere del minore straniero.<br />

Non soltanto nell’ottica <strong>di</strong> un inserimento ed<br />

integrazione scolastica, lavorativa e sociale, quanto<br />

anche <strong>di</strong> una concreta ed operativa presa in carico<br />

esterna del trattamento avviato in IPM, che garantisca<br />

la continuità <strong>di</strong> tale processo.<br />

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Psicologia Forense<br />

Ascolto del minore e problematiche familiari<br />

Le ragioni dell’ascolto del minore<br />

<strong>La</strong> psicologia parla dell’ascolto<br />

come <strong>di</strong> uno dei doveri<br />

dell’adulto nei confronti dei “bisogni”<br />

del bambino. L’or<strong>di</strong>namento<br />

giuri<strong>di</strong>co e l’ormai costante<br />

giurisprudenza <strong>di</strong> merito e legittimità<br />

riconosce l’ascolto come un<br />

“<strong>di</strong>ritto del bambino”. Il punto <strong>di</strong><br />

convergenza tra le due <strong>di</strong>scipline<br />

sta nel fatto che in entrambe si afferma<br />

la necessità che il bambino<br />

venga ascoltato.<br />

L’introduzione e la valorizzazione<br />

dell’ascolto interessano<br />

soprattutto i proce<strong>di</strong>menti civili<br />

minorili (in particolare adozione<br />

e potestà) e, con l’introduzione<br />

della normativa sull’affi damento<br />

con<strong>di</strong>viso, i casi <strong>di</strong> separazione<br />

sia <strong>di</strong> coppie coniugate che <strong>di</strong> fatto<br />

e <strong>di</strong> <strong>di</strong>vorzio. Il verbo “ascoltare”<br />

mette in risalto la posizione<br />

del minore nei proce<strong>di</strong>menti che<br />

lo riguarda-no, nell’esercizio del<br />

proprio <strong>di</strong>ritto ad essere informato<br />

e esprimere liberamente la sua<br />

opinione. L’ascolto implica quin<strong>di</strong><br />

che non siano poste, da parte <strong>di</strong><br />

chi compie questa attività, domande<br />

al minore <strong>di</strong>rette a raccogliere<br />

informazioni utilizzabili nel proce<strong>di</strong>mento<br />

quali mezzi <strong>di</strong> prova,<br />

ma che vengano fornite al minore<br />

che sia capace <strong>di</strong> <strong>di</strong>scernimento<br />

tutte le informazioni necessarie<br />

per fargli comprendere quanto sta<br />

accadendo.<br />

L’ascolto del minore è lo strumento<br />

attraverso cui egli partecipa<br />

alla assunzione delle decisioni<br />

che lo riguardano. L’ascolto si<br />

<strong>di</strong>fferenzia dalla testimonianza,<br />

in quanto non è rivolto all’accertamento<br />

dei fatti, bensì alla persona<br />

del minore, costituendo una<br />

manifestazione <strong>di</strong> opinioni e <strong>di</strong><br />

emozioni.<br />

L’introduzione dell’ascolto<br />

del minore nel mondo giuri<strong>di</strong>co fa<br />

riferimento, in primo luogo, alle<br />

Convenzioni sui <strong>di</strong>ritti dei minori,<br />

secondo cui i minori sono considerati<br />

come soggetti che devono<br />

essere partecipi nelle decisioni<br />

che possono infl uenzare la loro<br />

vita in quanto viene loro riconosciuto<br />

che sono a pieno titolo portatori<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>ritti civili, economici,<br />

politici e sociali (Atwood, 2003;<br />

Elrod, 2007).<br />

In secondo luogo, vi è accordo<br />

sul fatto che i bambini vogliono<br />

essere parte attiva nelle decisioni<br />

che infl uenzeranno la loro<br />

vita ad esempio dopo la separazione<br />

dei genitori e sono in grado<br />

<strong>di</strong> comprendere la <strong>di</strong>fferenza tra<br />

fornire un input nel processo decisionale<br />

e la decisione fi nale (Morrow,<br />

1999).<br />

Terzo: è stato evidenziato<br />

come la partecipazione dei minori<br />

ai proce<strong>di</strong>menti <strong>di</strong> separazione dei<br />

genitori si correla positivamente<br />

con la loro <strong>capacità</strong> <strong>di</strong> adattarsi<br />

a nuove confi gurazioni familiari<br />

(Butler, Scanlon, Robinson, Douglas,<br />

Murch, 2003) e <strong>di</strong> riprendere<br />

il controllo su quello che durante<br />

e subito dopo la separazione può<br />

<strong>di</strong>ventare il “tempo della confusione”<br />

(ibidem).<br />

Quarto: l’inclusione dei minori<br />

permette <strong>di</strong> focalizzarsi sui loro<br />

bisogni e questo dovrebbe portare<br />

ad una riduzione dell’intensità e<br />

della durata del confl itto genitoriale,<br />

attraverso un incremento<br />

della collaborazione fra i genitori<br />

e delle competenze negoziali del<br />

minore stesso (McIntosh, Wells,<br />

Long, 2007).<br />

Quinto: la partecipazione costruttiva<br />

del minore può essere<br />

considerato un fattore <strong>di</strong> protezione<br />

durante la separazione genito-<br />

Dott. Salvatore Nuzzo<br />

riale dal momento che accresce<br />

quella che viene defi nita resilienza,<br />

come pure il senso <strong>di</strong> autostima,<br />

<strong>di</strong> controllo sulla propria vita<br />

e la percezione <strong>di</strong> miglioramento<br />

della relazione con i genitori (Kelly,<br />

2002; Pryor, Emery, 2004).<br />

Secondo Wallerstein e Tanke<br />

(1996) “i Tribunali dovrebbero<br />

ascoltare la voce <strong>di</strong> un minore,<br />

amplifi candola e anteponendola<br />

al rumore del confl itto genitoriale,<br />

solo in questo modo è possibile<br />

assicurarsi il miglior interesse del<br />

minore” (p. 323). Questi stu<strong>di</strong>osi<br />

riba<strong>di</strong>scono che la voce del fi glio<br />

porterà ad una più profonda consapevolezza<br />

dei suoi bisogni, dei<br />

suoi sentimenti e delle sue preferenze<br />

e questa consapevolezza, a<br />

sua volta, guiderà gli interventi<br />

necessari per promuovere l’adattamento<br />

della famiglia alla separazione.<br />

Un sesto elemento <strong>di</strong> rifl essione<br />

fa riferimento al concetto <strong>di</strong><br />

empowerment secondo cui, prendere<br />

in considerazione ed integrare<br />

le idee dei minori, aiutandoli a<br />

sentirsi più potenti in un momento<br />

<strong>di</strong> grande sconvolgimento, ansia<br />

e cambiamento, può permettere<br />

loro <strong>di</strong> affrontare in maniera più<br />

effi cace l’esperienza della separazione.<br />

Un ulteriore elemento è fornire<br />

ai genitori l’input che anche<br />

loro possono e devono essere più<br />

attenti ad “ascoltare” i propri fi -<br />

gli.<br />

Le modalità dell’ascolto del minore<br />

L’au<strong>di</strong>zione nel processo deve<br />

costituire per il minore un’effettiva<br />

opportunità <strong>di</strong> esprimere i<br />

propri bisogni e i propri desideri.<br />

A tale scopo è necessario che si<br />

proceda all’ascolto con modalità<br />

35


adeguate e rispettose della sua<br />

sensibilità, nel rispetto del principio<br />

della minima offensività.<br />

Ascoltare il minore signifi ca<br />

permettergli <strong>di</strong> leggere dentro se<br />

stesso e cercare <strong>di</strong> capire quelle<br />

che sono le sue aspirazioni, i suoi<br />

desideri, ma anche le sue paure e<br />

i suoi bisogni.<br />

Tutto ciò che il minore esprime<br />

va deco<strong>di</strong>fi cato, depurato: è<br />

necessario mettere in atto una<br />

strategia in funzione della sua età,<br />

della sua vulnerabilità e del suo<br />

contesto quoti<strong>di</strong>ano e familiare.<br />

Nell’ascolto è necessario prestare<br />

molta attenzione al linguaggio<br />

utilizzato dal minore, ai suoi<br />

messaggi nascosti. E’ fondamentale<br />

allentare le sue resistenze,<br />

cercare <strong>di</strong> far emergere le sue paure,<br />

i suoi vissuti, prestando molta<br />

attenzione all’ambiente familiare<br />

che lo riguarda. <strong>La</strong> persona minore<br />

<strong>di</strong> età deve acconsentire ad essere<br />

ascoltata, deve in<strong>di</strong>care le modalità<br />

nelle quali vuole si proceda (se<br />

<strong>di</strong>rettamente dal giu<strong>di</strong>ce o in<strong>di</strong>rettamente<br />

tramite un rappresentante<br />

– genitore, tutore o curatore o<br />

avvocato o psicologo o assistente<br />

sociale) e sulle quali anche deve<br />

essere informato; non deve essere<br />

sentita più del “necessario”. Alle<br />

sue opinioni deve essere dato il<br />

“giusto peso” in considerazione<br />

dell’età e della maturità, intesa<br />

come <strong>capacità</strong> <strong>di</strong> esprimere le proprie<br />

opinioni in<strong>di</strong>pendentemente.<br />

A seconda della fascia d’età<br />

alla quale appartiene, il minore<br />

può avere una <strong>di</strong>versa “<strong>capacità</strong><br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>scernimento”, <strong>capacità</strong> che<br />

non è acquisita da tutti i soggetti<br />

nello stesso momento e, quin<strong>di</strong>,<br />

non è correlabile costantemente<br />

con un’età. <strong>La</strong> capacitò <strong>di</strong> <strong>di</strong>scernimento<br />

<strong>di</strong>pende sia da un complesso<br />

<strong>di</strong> fattori suffi cientemente<br />

stabili per il soggetto, come quelli<br />

biologici, sociali e relazionali <strong>di</strong><br />

base, sia da fattori variabili nel<br />

tempo, come quelli correlati a<br />

particolari momenti e stati, fi sici e<br />

36<br />

psicologici.<br />

Per questo è opportuno, prima<br />

<strong>di</strong> ascoltare un minore, osservarne<br />

il livello <strong>di</strong> sviluppo e provare a<br />

comprendere, possibilmente con<br />

l’ausilio <strong>di</strong> un esperto, quanto i<br />

suoi processi logici risultino essere<br />

raggiunti e consolidati, nonostante<br />

la fascia evolutiva a cui<br />

appartiene, in modo da verifi care<br />

quanto esso sia capace <strong>di</strong> effettuare<br />

un ragionamento concreto e/o<br />

più o meno astratto. Ciò permetterà<br />

<strong>di</strong> escludere che quanto da<br />

lui <strong>di</strong>chiarato non sia da ritenere<br />

valido, o in certi casi inatten<strong>di</strong>bile,<br />

solo per via della sua minore età.<br />

Altra argomentazione <strong>di</strong> grande<br />

rilevanza nell’ascoltare un minore<br />

è la possibile suggestione,<br />

intesa come processo psichico che<br />

conduce l’in<strong>di</strong>viduo ad agire secondo<br />

suggerimenti esterni, provenienti<br />

da personalità più forti<br />

della sua o da situazioni ambientali<br />

particolarmente cariche <strong>di</strong> tensione<br />

emotiva, senza aver subìto<br />

alcuna costrizione manifesta.<br />

Pertanto, pur ritenendo tutti i<br />

soggetti sia adulti che minori potenzialmente<br />

suggestionabili va<br />

evidenziato come esistano delle<br />

raccomandazioni operative che<br />

chi ascolta, giu<strong>di</strong>ce o suo delegato,<br />

dovrebbe sempre impartire<br />

al minore o al soggetto debole, in<br />

modo da arginare il processo della<br />

suggestione, che <strong>di</strong>pende dal contesto<br />

più che dai tratti personologici.<br />

È importante che colui che<br />

deve essere ascoltato venga posto<br />

in una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> serenità in<br />

cui, dopo una fase <strong>di</strong> riscaldamento<br />

e <strong>di</strong> acclimatizzazione, percepisca<br />

non solo l’interesse <strong>di</strong> chi lo<br />

sta ascoltando, ma soprattutto la<br />

sua voglia <strong>di</strong> comprendere, senza<br />

per questo aspettarsi determinate<br />

risposte.<br />

È opportuno rimarcare al minore<br />

“non solo <strong>di</strong> raccontare la<br />

verità, ma <strong>di</strong> riferire soltanto ciò<br />

che si ricorda”, spiegandogli che,<br />

quando non riesce a rievocare un<br />

Psicologia Forense<br />

qualcosa, è più corretto <strong>di</strong>re <strong>di</strong> non<br />

essere in grado <strong>di</strong> farlo. Ciò, in<br />

qualche modo, tende a contenere<br />

la pressione dell’aspettativa <strong>di</strong> colui<br />

che pone le domande, che può<br />

indurre, a seconda della strutturazione<br />

della personalità del soggetto<br />

che viene ascoltato, un effetto<br />

potenzialmente suggestionabile.<br />

Esso è particolarmente evidente<br />

nel momento in cui si reitera la<br />

stessa questione, poiché crea una<br />

sorta d’insicurezza nel minore,<br />

che può tendere a ritrattare quanto<br />

detto, ritenendo la sua risposta<br />

non giusta o non corretta, semplicemente<br />

perché gli è stata chiesta<br />

nuovamente.<br />

È importante per chi lavora<br />

in ambito psicogiuri<strong>di</strong>co tenere<br />

sempre presente che il minore non<br />

solo è portatore <strong>di</strong> narrazioni (che<br />

vengono e debbono essere sempre<br />

verbalizzate nella maniera più accurata),<br />

ma anche <strong>di</strong> emozioni (che<br />

quasi mai vengono annotate, a eccezione<br />

forse <strong>di</strong> alcune au<strong>di</strong>zioni<br />

presso i Tribunali per i Minorenni<br />

in cui, nei verbali d’istruzione delegata,<br />

si fa riferimento allo stato<br />

emotivo in cui versa il soggetto).<br />

Le emozioni non possono in<br />

alcun modo essere ignorate, in<br />

quanto non sono solo parte costitutiva<br />

del modo <strong>di</strong> esprimersi del<br />

bambino, ma anche - soprattutto in<br />

ambito penale - in<strong>di</strong>catori <strong>di</strong> compatibilità<br />

rispetto a quanto narrato<br />

relativamente ai propri vissuti.<br />

In tal senso, è particolarmente<br />

utile imparare a prestare attenzione<br />

al “non verbale” (le espressioni<br />

del volto, lo sguardo, i movimenti<br />

del corpo, i gesti, la sudorazione,<br />

i rossori, i tremori, il tono<br />

della voce, ecc.) che accompagna<br />

quanto viene riferito dal minore<br />

all’Autorità Giu<strong>di</strong>ziaria, secondo<br />

quanto ampiamente riportato<br />

nella produzione scientifi ca <strong>di</strong><br />

M. Malagoli Togliatti (2011), in<br />

quanto elemento complementare<br />

e in<strong>di</strong>cativo <strong>di</strong> una realtà, che non<br />

si rappresenta mai solo attraverso


le parole, ma che ha sempre un<br />

correlato emotivo, che può paradossalmente<br />

<strong>di</strong>sconfermare quanto<br />

affermato verbalmente.<br />

motivazioni per cui ha richiesto<br />

l’incontro;<br />

Con<strong>di</strong>zioni imprescin<strong>di</strong>bile per<br />

• il minore è preferibile che interagisca<br />

con un unico interlocutore,<br />

che possa essere chiaramente<br />

identifi cato (giu<strong>di</strong>ce<br />

l’ascolto del minore<br />

o suo delegato) e che possibil-<br />

Se appare importante affi nare mente rimanga suo referente<br />

una serie <strong>di</strong> elementi interattivi nel tempo;<br />

e osservativi in chi si <strong>di</strong>spone ad • il minore non deve essere in-<br />

ascoltare un minore, non si può gannato in relazione alla pos-<br />

prescindere da una serie <strong>di</strong> consibilità che il giu<strong>di</strong>ce possa<br />

<strong>di</strong>zioni organizzative, che hanno mantenere il segreto sul suo<br />

a che fare con la consapevolezza ascolto, in quanto parte inte-<br />

che si ha <strong>di</strong>nanzi un soggetto che grante del giu<strong>di</strong>zio;<br />

necessità <strong>di</strong> cura e <strong>di</strong> protezione. • il minore deve avere spazio/<br />

Pertanto, appare doveroso sot- tempo per potere raccontare,<br />

tolineare una serie <strong>di</strong> raccoman- e in tal senso il giu<strong>di</strong>ce deve<br />

dazioni che hanno a che fare con mettersi in una posizione <strong>di</strong><br />

le modalità operative dell’ascolto “ascolto attivo” e formulare le<br />

del minore, e che potrebbero es- sue domande solo dopo aver<br />

sere defi nite, così come per certi instaurato con lui un rapporto<br />

versi è stato fatto da Piercarlo fi duciario;<br />

Pazè (2003) che ha scritto l’alfa- • il minore deve essere approcbeto<br />

della relazione con il minore, ciato attraverso un linguaggio<br />

come delle vere e proprie istruzio- semplice e il più possibile adeni<br />

per l’uso:<br />

guato alla sua età, evitando<br />

• il minore deve essere informa- termini giuri<strong>di</strong>ci/psicologici da<br />

to (preferibilmente dai genitori parte <strong>di</strong> chi lo ascolta che crea-<br />

o dal suo curatore/tutore) in no <strong>di</strong>stanza;<br />

precedenza dell’incontro con • il minore non va in alcun modo<br />

il giu<strong>di</strong>ce e delle con<strong>di</strong>zioni pressato, ossia non bisogna<br />

del suo svolgimento;<br />

tentare <strong>di</strong> far <strong>di</strong>re al bambino<br />

• il minore non deve subire, qualcosa che possa confermare<br />

quando convocato, lunghe at- ciò che chi ascolta già crede,<br />

tese (bisogna, in tal senso, ri- conosce, o desidera;<br />

spettare orari e tempi che non • al minore deve avere spiega-<br />

devono essere troppo prolissi to, alla fi ne del suo ascolto, il<br />

in relazione alle sue <strong>capacità</strong> signifi cato che ha avuto l’in-<br />

attentive, che non sono <strong>di</strong> luncon- tro con chi l’ha sentito<br />

ga tenuta);<br />

e per quanto possibile, che la<br />

• il minore non deve essere in- natura e il contenuto delle de-<br />

contrato in luoghi spersonacisioni che lo riguarderanno,<br />

lizzati o a lui non adatti (in terranno conto <strong>di</strong> quanto da<br />

quanto spesso o sono troppo lui detto, ma potranno essere<br />

affollati o, al contrario, sono <strong>di</strong>verse.<br />

desolati);<br />

Inoltre, è consigliabile che<br />

• il minore deve essere messo a l’ascolto del minore non avvenga<br />

proprio agio, pertanto è neces- in presenza <strong>di</strong> un “pubblico” ansario<br />

lavorare accuratamente che se pertinente con il contesto<br />

sulla sua accoglienza. Il giu- (avvocati, consulenti <strong>di</strong> parte, psi<strong>di</strong>ce<br />

deve presentarsi puntualcologi, operatori dei servizi, ecc.),<br />

mente e adeguatamente nonché e che esso non subisca la <strong>di</strong>satten-<br />

deve informare il minore sulle zione data, ad esempio, dalla scar-<br />

Psicologia Forense<br />

sa conoscenza degli atti <strong>di</strong> chi si<br />

trova a interagire con lui.<br />

Appare chiaro come il minore<br />

necessiti <strong>di</strong> un’informazione<br />

all’ascolto, qualunque sia la<br />

sua età, che ha che fare sia con il<br />

“senso” dell’ascolto, ovvero con<br />

la con<strong>di</strong>visione del senso delle<br />

parole, secondo quanto affermato<br />

dagli stu<strong>di</strong> condotti da M. Sclavi<br />

(2003), ma anche con il giusto “signifi<br />

cato” rispetto a ciò che si sta<br />

facendo: l’informazione, quin<strong>di</strong>,<br />

come elemento atto a contestualizzare<br />

per evitare erronee attribuzioni,<br />

tipo il “percepirsi sotto interrogatorio”.<br />

Alla luce <strong>di</strong> quanto<br />

osservato, si concorda pienamente<br />

con quanto affermato da Pazè<br />

(2004), il quale sostiene che ciò<br />

che interessa comprendere a chi è<br />

deputato ad ascoltare un minore,<br />

è proprio la sua opinione, ossia<br />

come egli vede il mondo, e per<br />

far ciò si deve provare a sospendere<br />

un atteggiamento giu<strong>di</strong>cante<br />

e incentivare, invece, curiosità ed<br />

esplorazione, oltre che l’empatia<br />

(ossia la <strong>capacità</strong> <strong>di</strong> mettersi nei<br />

panni dell’altro).<br />

Questi presupposti, come ampiamente<br />

documentato da Capri<br />

(2007), possono permettere <strong>di</strong><br />

creare una relazione in cui si tende<br />

a “sostenere” e non a “suggestionare”<br />

il minore, capace peraltro<br />

<strong>di</strong> attivare delle resistenze in proposito.<br />

Ciò consentirà <strong>di</strong> creare<br />

un rapporto in cui l’alterità potrà<br />

essere sentita come una risorsa,<br />

e l’empatia la base su cui costruire<br />

una relazione che permetta al<br />

minore <strong>di</strong> aprirsi e raccontare <strong>di</strong><br />

sé e del suo mondo. Attraverso<br />

domande aperte, si può favorire<br />

quin<strong>di</strong>, in primis, la narrazione<br />

del minore e, solo in un secondo<br />

momento, attraverso una modalità<br />

che include il chi, il come, il quando<br />

e il dove, la possibile raccolta<br />

d’informazioni, che dovrebbero<br />

sempre essere concordate con le<br />

parti coinvolte.<br />

37


Conclusioni<br />

Pertanto, l’ascolto è un momento<br />

processuale che richiede<br />

un’attenzione particolare, da parte<br />

del magistrato che è delegato<br />

a farlo, per preparare l’ascolto,<br />

insieme ai soggetti a <strong>di</strong>verso titolo<br />

coinvolti (avvocati, consulenti,<br />

curatori, tutori, ecc.). Ciò può portare,<br />

da una parte, a fare sentire il<br />

giu<strong>di</strong>ce “meno solo” (come avviene<br />

frequentemente in ambito civile),<br />

ma anche a lasciare emergere<br />

nel minore un “<strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> parola”,<br />

sostenuto da un “<strong>di</strong>ritto all’ascolto”,<br />

che porta conseguentemente<br />

il giu<strong>di</strong>ce a porre e a porsi delle<br />

domande, nonché ad avere ulteriori<br />

elementi che lo aiuteranno a<br />

“progettare creativamente” secondo<br />

termini psicologici o a “decidere<br />

ancora più adeguatamente” per<br />

rientrare nei canoni giuri<strong>di</strong>ci.<br />

Quin<strong>di</strong>, è necessario, quando<br />

si pensa <strong>di</strong> ascoltare un minore,<br />

prendere tutte le accortezze possibili:<br />

strutturali (ricorrere a luoghi,<br />

giochi ecc. adeguati), temporali<br />

(l’attesa ha già in qualche modo<br />

insita l’idea dell’essere respinti),<br />

metodologiche (utilizzo dell’empatia,<br />

impiego <strong>di</strong> domande aperte),<br />

proprio perché preparare un<br />

au<strong>di</strong>zione, non è come preparare<br />

una prova.<br />

L’ascolto <strong>di</strong> un bambino è<br />

l’incontro con una persona, a cui<br />

deve essere chiaro l’interesse che<br />

gli operatori <strong>di</strong> giustizia provano<br />

per lui: in tal senso non può essere<br />

mai <strong>di</strong>menticato che il suo <strong>di</strong>re,<br />

nonché le risposte alle domande<br />

fattegli, hanno a che fare con il<br />

clima emotivo che si riesce a creare,<br />

anche in un contesto per lui<br />

“coatto” come quello giuri<strong>di</strong>co.<br />

In conclusione, si può affermare<br />

che il bambino per sentirsi<br />

accolto e ascoltato e, conseguentemente,<br />

per potersi aprire a un<br />

colloquio, ha bisogno <strong>di</strong> percepire<br />

che si ha interesse per lui e che la<br />

persona che ha davanti (sia esso<br />

giu<strong>di</strong>ce o consulente) sia al cor-<br />

38<br />

rente della sua storia, e soprattutto<br />

che lui non è uno fra tanti. Tutto<br />

ciò potrebbe permettere <strong>di</strong> far vivere<br />

al minore questa esperienza<br />

d’ascolto come un momento signifi<br />

cativo della sua vita, e non come<br />

una situazione spersonalizzante o<br />

ad<strong>di</strong>rittura in alcuni casi traumatizzante.<br />

<strong>La</strong>vorare nell’interesse<br />

del minore è pertanto non solo<br />

possibile ma doveroso, in quanto<br />

essendovi realtà e conoscenze <strong>di</strong>verse,<br />

psicologiche e giuri<strong>di</strong>che,<br />

che oggi iniziano a integrarsi attraverso<br />

la creazione <strong>di</strong> numerosi<br />

“protocolli”, ossia <strong>di</strong> “soluzioni<br />

alternative con<strong>di</strong>vise a tutela del<br />

minore”, si sta cominciando a<br />

dare la giusta centralità a questo<br />

soggetto, che è e rimane un interlocutore<br />

privilegiato. Il minore,<br />

infatti, entrando nel circuito giuri<strong>di</strong>co,<br />

dovrà vivere quanto la giustizia<br />

non solo possa essere al suo<br />

servizio, ma anche a sua misura.<br />

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Martina ed altri...<br />

Quoti<strong>di</strong>ane storie <strong>di</strong> scolari in crisi<br />

Ciao, sono Martina.<br />

Ho otto anni e frequento<br />

la terza elementare.<br />

Il mio colore preferito è<br />

il celeste, perché è un<br />

colore limpido …<br />

Vorrei essere sempre buona e gentile però<br />

spesso, mi arrabbio con le mie amiche perché<br />

mi prendono in giro per come leggo e<br />

ripetono sempre che i miei quaderni sono<br />

brutti e non si capisce niente!<br />

Mi piace tanto la cioccolata, le passeggiate<br />

in campagna e il computer.<br />

Sogno <strong>di</strong> averne uno tutto MIO per poter<br />

scrivere tante altre letterine, non solo<br />

questa, perché mi piace parlare <strong>di</strong> me dei<br />

giochi che voglio fare e non sempre....dei<br />

compiti…..Ciao!<br />

MARTINA<br />

E’ stato <strong>di</strong>ffi cile leggere questa letterina?<br />

E quanto tempo ci avete messo?<br />

Abbiamo affrontato il tema dei Disturbi specifi<br />

ci <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento nell’Aprile del 2010 e<br />

Settembre 2011 (ve<strong>di</strong> PsicoPuglia, Notiziario<br />

dell’Or<strong>di</strong>ne Psicologi Puglia) ma la pressione <strong>di</strong><br />

famiglie in crisi e scuole che polemizzano ci “obbliga”<br />

a tornare sull’argomento. Quoti<strong>di</strong>anamente<br />

riceviamo quesiti del tipo:<br />

con la L.170 del 2010 non è chiaro: chi,<br />

deve fare che cosa?<br />

come farlo se i rapporti con le famiglie<br />

si fanno <strong>di</strong>ffi cili?<br />

perché le ASL non ci aiutano?<br />

cosa sono concretamente gli strumenti<br />

compensativi?<br />

e i <strong>di</strong>spensativi?<br />

e come spiego ai bambini <strong>di</strong>fferenti valu-<br />

Dai Servizi del Territorio<br />

Dott.sse Virginia Miglio*, Rosa Anna Centrone**, Anna Maria Germano***<br />

tazioni a fronte <strong>di</strong> uno stesso compito?<br />

e alle famiglie?<br />

non sarebbe meglio fargli ripetere l’anno?<br />

un alunno mi ha detto : perché a lui avete<br />

dato il computer e a me no?<br />

perché i terapisti non hanno questa bambina<br />

in trattamento?<br />

la psicologa quando viene?<br />

perché per questo bambino non facciamo<br />

le riunioni?<br />

perché gli strumenti compensativi e <strong>di</strong>spensativi<br />

non vengono chiaramente in<strong>di</strong>cati?<br />

E così via fi no, in alcuni casi, all’avvio <strong>di</strong> procedure<br />

me<strong>di</strong>co-legali contro la scuola o specifi ci<br />

insegnanti. E fi n qui parliamo <strong>di</strong> problematiche<br />

“quoti<strong>di</strong>ane” nelle scuole elementari. Se si dà<br />

uno sguardo a ciò che avviene nelle scuole me<strong>di</strong>e<br />

inf. e sup. in genere assistiamo al fatto che,<br />

pur riscontrandosi un miglioramento ad es. nelle<br />

<strong>capacità</strong> <strong>di</strong> lettura, non si evidenziano altrettanti<br />

miglioramenti scolastici. Questo può attribuirsi ad<br />

alcune variabili come:<br />

I tempi scolastici sempre più rapi<strong>di</strong><br />

Lo stu<strong>di</strong>o è sempre più specifi co e <strong>di</strong> conseguenza<br />

necessario <strong>di</strong> un maggiore approfon<strong>di</strong>mento<br />

Aumento delle prove <strong>di</strong> verifi ca scritte<br />

Dunque i cambiamenti che caratterizzano i due<br />

or<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> scuola sono determinanti per un soggetto<br />

<strong>di</strong>slessico (parleremo qui <strong>di</strong> <strong>di</strong>slessia ma <strong>di</strong>amo<br />

per acquisito che ad essa si associa molto spesso<br />

anche un problema <strong>di</strong> scrittura e/o <strong>di</strong> calcolo) ne<br />

consegue che:<br />

aumenta la <strong>di</strong>screpanza tra le potenzialità dei<br />

ragazzi con DSA e ciò che riescono a fare<br />

concretamente;<br />

gli insegnanti giungono a conclusioni errate<br />

sulle <strong>capacità</strong> dei loro studenti specie al primo<br />

anno;<br />

possibili bocciature;<br />

cambi <strong>di</strong> scuola e abbandoni scolastici;<br />

39


<strong>di</strong>sagio psicologico nonostante un buon impegno<br />

nello stu<strong>di</strong>o.<br />

Nel contesto italiano uno studente su cinque<br />

incontra, lungo il proprio percorso scolastico, un<br />

momento <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffi coltà tale da <strong>di</strong>venire oggetto <strong>di</strong><br />

segnalazione da parte <strong>di</strong> insegnanti ai genitori e<br />

poi ai vari specialisti. Anche se le <strong>di</strong>ffi coltà <strong>di</strong><br />

appren<strong>di</strong>mento scolastico riguardano il 10-20%<br />

della popolazione in età scolare, la prevalenza dei<br />

<strong>di</strong>sturbi specifi ci <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento viene posta<br />

dalla maggioranza degli autori tra il 2,5 e il 3,5%<br />

(Consensus Conference, 2010).<br />

<strong>La</strong> specifi cità cognitiva degli alunni e degli<br />

studenti con DSA determina, inoltre, importanti<br />

fattori <strong>di</strong> rischio per quanto concerne la <strong>di</strong>spersione<br />

scolastica dovuta, in questi casi, a ripetute<br />

esperienze negative e frustranti durante l’intero<br />

iter formativo.<br />

I fattori che possono maggiormente infl uenzare<br />

la gestione dei <strong>di</strong>sturbi <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento<br />

possono essere <strong>di</strong> tipo intra e/o interin<strong>di</strong>viduale:<br />

personalità, livelli <strong>di</strong> motivazione e stili <strong>di</strong> vita,<br />

qualità dell’istruzione, ambiente socio culturale e<br />

clima familiare.<br />

40<br />

E’ confusione o uno stop alla delega?<br />

In breve sintesi, con la Legge 170 dell’8 ottobre<br />

2010 e il successivo D.M. con le Linee Guida<br />

del Luglio 2011 la scuola deve far fronte e, alla<br />

formazione dei docenti, e ad una specifi ca organizzazione<br />

interna della <strong>di</strong>dattica fi nalizzata ad<br />

offrire opportunità educativo-formative adeguate<br />

agli studenti che siano in possesso <strong>di</strong> una precisa<br />

<strong>di</strong>agnosi <strong>di</strong> DSA rilasciata dagli organi competenti.<br />

Dunque a <strong>di</strong>fferenza delle procedure a cui fare<br />

ricorso per i soggetti che possono usufruire delle<br />

agevolazioni previste dalla legge-quadro 104 del<br />

’92, gli insegnanti sono in prima persona coinvolti<br />

nell’applicare quanto previsto dalle norme<br />

vigenti e perciò, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quanto avviene<br />

per i soggetti con <strong>di</strong>sabilità (a cui ormai da anni<br />

si approcciano coa<strong>di</strong>uvati dai docenti <strong>di</strong> sostegno<br />

e dalle unità multi<strong>di</strong>sciplinari delle ASL) devono<br />

attivarsi con misure pedagogico-<strong>di</strong>dattiche da<br />

programmare personalmente ed in<strong>di</strong>vidualmente<br />

per gli studenti che ne abbiano bisogno visto che<br />

le istituzioni scolastiche devono garantire “l’uso<br />

<strong>di</strong> una <strong>di</strong>dattica in<strong>di</strong>vidualizzata e personalizzata,<br />

con forme effi caci e fl essibili <strong>di</strong> lavoro scolastico<br />

che tengano conto anche <strong>di</strong> caratteristiche<br />

Dai Servizi del Territorio<br />

peculiari del soggetto, adottando una metodologia<br />

e una strategia educativa adeguate” ( Legge<br />

170/2010).<br />

E’ stato utile, in uno degli incontri formativi<br />

con i docenti, aprire i lavori non partendo da <strong>di</strong>ssertazioni<br />

sulle <strong>di</strong>agnosi <strong>di</strong> DSA, ormai chiare per<br />

i più e facilmente consultabili, ma chiarendo subito:<br />

Per quali bambini siamo qui?<br />

• Per quelli che pur non avendo defi cit intel-<br />

lettivi, né psicologici, neurologici o sensoriali,<br />

né problemi ambientali, hanno <strong>di</strong>ffi coltà a<br />

leggere e scrivere in modo adeguato.<br />

• Per quelli che per riuscire a leggere e scri-<br />

vere devono impegnare al massimo le loro<br />

<strong>capacità</strong> e le loro energie, si stancano molto<br />

ed impegnano molto tempo. Sono lenti, commettono<br />

errori, saltano parole e righe.<br />

• Per quelli che non riescono ad imparare le<br />

tabelline, l’or<strong>di</strong>ne alfabetico, i giorni della<br />

settimana, i mesi in or<strong>di</strong>ne.<br />

• Per quelli che spesso non riescono a ricordare<br />

la loro data <strong>di</strong> nascita, quand’è Natale,<br />

le stagioni.<br />

• Per quelli che confondono la destra con la sinistra<br />

e non hanno una buona organizzazione<br />

del tempo.<br />

• Per quelli che non riescono a fare calcoli in<br />

automatico, non riescono a fare numerazioni<br />

regressive, ad imparare le procedure delle<br />

operazioni aritmetiche.<br />

In una società alfabetizzata come quella in cui<br />

viviamo, leggere e comprendere quanto letto rappresentano<br />

un requisito in<strong>di</strong>spensabile per gestire<br />

le normali attività della vita quoti<strong>di</strong>ana. Questo il<br />

motivo per cui la scuola, da sempre, attribuisce<br />

grande importanza all’acquisizione delle abilità<br />

<strong>di</strong> letto-scrittura. Ma la scuola stessa riveste un<br />

ruolo cruciale nell’identifi cazione <strong>di</strong> quei segnali<br />

precoci che fungono da campanello d’allarme rispetto<br />

alla possibile insorgenza <strong>di</strong> DSA.<br />

Gli insegnanti, infatti, hanno una posizione <strong>di</strong><br />

vantaggio per l’in<strong>di</strong>viduazione <strong>di</strong> queste <strong>di</strong>ffi coltà<br />

rispetto agli altri educatori, poiché essi operano in<br />

un contesto, la classe, costituito da un numero <strong>di</strong><br />

soggetti omogeneo per età; questo permette loro<br />

<strong>di</strong> riscontrare <strong>di</strong>ffi coltà in<strong>di</strong>viduali all’interno <strong>di</strong><br />

un <strong>gruppo</strong> che procede in un percorso <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento<br />

che vuole essere comune. Perciò l’insegnante<br />

che si trova <strong>di</strong> fronte un allievo che mostra<br />

alterazioni nel tipico sviluppo del linguaggio, che<br />

apprende con fatica quelle abilità che richiedono


l’uso <strong>di</strong> “carta e matita”, che tende a non automatizzare<br />

i processi <strong>di</strong> deco<strong>di</strong>fi ca rapida dell’informazione<br />

visiva e/o fonologica, ha il dovere <strong>di</strong><br />

procedere con tempestività alla segnalazione <strong>di</strong><br />

tali situazioni alle famiglie che dovranno poi contattare<br />

le strutture sanitarie preposte.<br />

Il lavoro <strong>dello</strong> psicologo con Martina<br />

Colloquio con la madre e anamnesi<br />

Martina giunge alla nostra osservazione in<br />

terza elementare. <strong>La</strong> madre racconta che già verso<br />

la fi ne della scuola dell’infanzia, le insegnanti<br />

le avevano segnalato delle <strong>di</strong>ffi coltà della piccola<br />

nell’acquisizione dei pre-requisiti delle abilità<br />

<strong>di</strong> letto-scrittura. Con l’inserimento nella scuola<br />

primaria, tali <strong>di</strong>ffi coltà permangono e inducono<br />

la mamma ad insospettirsi e a pensare che qualcosa<br />

impe<strong>di</strong>sse alla fi glia <strong>di</strong> imparare a leggere e<br />

a scrivere come i suoi fratelli. Questo sospetto,<br />

tuttavia, viene “minimizzato” dalle insegnanti<br />

che, pur riconoscendo le incertezze e <strong>di</strong>ffi coltà <strong>di</strong><br />

Martina nel processo <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento, tendono<br />

ad attribuire tali ritar<strong>di</strong> al carattere eccessivamente<br />

chiuso ed insicuro della piccola e al suo bisogno<br />

<strong>di</strong> attenzioni.<br />

Giunta in terza elementare, <strong>di</strong> fronte alle signifi<br />

cative ricadute <strong>di</strong> tali <strong>di</strong>ffi coltà, non solo sul<br />

ren<strong>di</strong>mento scolastico ma anche sui livelli <strong>di</strong> partecipazione<br />

e impegno della bambina nelle attività<br />

svolte in classe, l’insegnante <strong>di</strong> italiano consiglia<br />

alla famiglia <strong>di</strong> sottoporla a visita specialistica. È<br />

così Martina giunge presso il nostro Ambulatorio<br />

al fi ne <strong>di</strong> identifi care le sue <strong>di</strong>ffi coltà <strong>di</strong> lettoscrittura<br />

e fornire suggerimenti per un eventuale<br />

percorso ri-abilitativo.<br />

Psico<strong>di</strong>agnosi<br />

Martina si separa serenamente dalla madre.<br />

Durante l’intera valutazione i suoi livelli <strong>di</strong> attenzione<br />

appaiono piuttosto stabili e costanti. Anche<br />

se adeguata nelle posture, la mimica facciale durante<br />

l’esame è risultata poco espressiva (Martina<br />

non ha sorriso quasi mai).<br />

Le <strong>capacità</strong> affettivo-relazionali risultano ancora<br />

molto immature; emergono carenze signifi -<br />

cative sul piano dell’iniziativa sociale e della reciprocità<br />

comunicativa: si mostra estremamente<br />

timida ed introversa, poco loquace, risponde alle<br />

domande con tono <strong>di</strong> voce molto basso e spesso<br />

china la testa.<br />

Dai Servizi del Territorio<br />

A detta della madre la bambina mostra delle<br />

resistenze nella verbalizzazione dei suoi stati interiori<br />

anche se in contesti extra-scolastici, che<br />

non richiedono prestazioni e valutazioni, sembra<br />

risulti più propositiva e <strong>di</strong>sponibile all’integrazione<br />

sociale.<br />

All’analisi dei test grafi co-proiettivi la presenza<br />

<strong>di</strong> un tratto grafi co incerto, le frequenti<br />

esitazioni e cancellature, sembrano confermare i<br />

tratti <strong>di</strong> insicurezza ed inibizione della piccola. In<br />

particolare, si delineano elevati livelli <strong>di</strong> ansia e/o<br />

frustrazione, con un conseguente bisogno <strong>di</strong> protezione<br />

e rassicurazione da situazioni potenzialmente<br />

ansiogene, come è facile dedurre da questi due<br />

<strong>di</strong>segni (Omino sotto la pioggia che Martina ha<br />

chiesto <strong>di</strong> <strong>di</strong>segnare due volte)<br />

Infatti in questa fascia d’età, le <strong>di</strong>ffi coltà <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento<br />

possono incidere signifi cativamente<br />

anche sullo sviluppo psicologico, in particolare<br />

sulla percezione <strong>di</strong> Sé e sullo sviluppo <strong>di</strong> un sentimento<br />

<strong>di</strong> auto-effi cacia. Un elemento clinico, da<br />

non trascurare, è costituito dalla presenza <strong>di</strong> tratti<br />

<strong>di</strong> aggressività repressa e latente, che si manifesta<br />

me<strong>di</strong>ante un atteggiamento rigido ed oppositivo<br />

ed il rifi uto <strong>di</strong> ogni forma <strong>di</strong> me<strong>di</strong>azione, in risposta<br />

a correzioni o riconoscimento <strong>di</strong> errori.<br />

Martina esegue una serie <strong>di</strong> prove per la valutazione<br />

delle <strong>capacità</strong> intellettive ed è subito chia-<br />

41


42<br />

ro che le sue <strong>di</strong>ffi coltà non sono dovute a defi cit<br />

intellettivi.<br />

Alla scala WISC-R (Wechsler, 1974) riporta<br />

un punteggio complessivo <strong>di</strong> 90. Ai subtest verbali<br />

si rileva una <strong>di</strong>screta padronanza lessicale e una<br />

buona <strong>capacità</strong> <strong>di</strong> ragionamento numerico. Alle<br />

prove <strong>di</strong> performance risultano maggiormente<br />

carenti la coor<strong>di</strong>nazione visuo-motoria, l’organizzazione<br />

dei rapporti spaziali e la <strong>capacità</strong> <strong>di</strong> analizzare,<br />

sintetizzare e riprodurre modelli geometrici<br />

bi<strong>di</strong>mensionali in<strong>di</strong>cando, dunque, incertezze<br />

nell’organizzazione percettivo-prassica.<br />

Accanto a tali prestazioni cognitive Martina<br />

mostra, tuttavia, un comportamento peculiare<br />

quando legge un brano ad alta voce (Prove MT<br />

lettura riferita alla 3°classe interme<strong>di</strong>a, Cornol<strong>di</strong>,<br />

Colpo, 1995). <strong>La</strong> sua prestazione è lenta,<br />

esitante e priva <strong>di</strong> proso<strong>di</strong>a, ottenendo punteggi<br />

<strong>di</strong> correttezza e rapi<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> lettura che si collocano<br />

rispettivamente nella fascia criteriale: Richiesta<br />

Intervento Imme<strong>di</strong>ato e Richiesta d’attenzione.<br />

Il processo <strong>di</strong> sintesi fonemica è piuttosto lento,<br />

legge sillabando, commette numerosi errori <strong>di</strong><br />

scambio <strong>di</strong> vocali, aggiunta o omissione <strong>di</strong> suoni,<br />

pause protratte per più <strong>di</strong> 5 secon<strong>di</strong>. Nella prova <strong>di</strong><br />

comprensione la sua prestazione è nella norma.<br />

Ai DDO (Test <strong>di</strong> Diagnosi dei Disturbi Ortografi<br />

ci), nonostante una prestazione comples-<br />

Dai Servizi del Territorio<br />

siva valutabile nella norma, la scrittura <strong>di</strong> parole<br />

contenenti ambiguità ortografi che fa registrare un<br />

punteggio patologico.<br />

Nelle prove <strong>di</strong> dettato <strong>di</strong> parole, non-parole e<br />

testi, risulta evidente la <strong>di</strong>sgrafi a motoria che infl<br />

uenza signifi cativamente il processo <strong>di</strong> scrittura:<br />

il corsivo è molto <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nato e i singoli grafemi<br />

mancano <strong>di</strong> elementi <strong>di</strong> riconoscimento. Lo stampato,<br />

invece, è più organizzato e leggibile.<br />

Nell’espressione verbale Martina, pur <strong>di</strong>sponendo<br />

<strong>di</strong> buone <strong>capacità</strong> <strong>di</strong> accesso lessicale, presenta<br />

<strong>di</strong>ffi coltà narrative con strutturazione frastica<br />

molto semplice.<br />

Si conclude per:<br />

Funzionamento intellettivo nella norma in soggetto<br />

con Disturbi Evolutivi Specifi ci delle abilità<br />

scolastiche (F81.0 - F81.1, ICD-10).<br />

In<strong>di</strong>cazioni<br />

I ridotti livelli <strong>di</strong> autostima, la scarsa fi ducia in<br />

sé, le precarie <strong>capacità</strong> <strong>di</strong> gestire ansia e frustrazione,<br />

riscontrate in Martina, rendono in<strong>di</strong>spensabile<br />

accompagnare la bambina non solo verso maggiori<br />

livelli <strong>di</strong> successo nell’ambito degli appren<strong>di</strong>menti<br />

scolastici, ma fornirle occasioni <strong>di</strong> successo<br />

e gratifi cazione, utili a sviluppare un’immagine <strong>di</strong><br />

sé più effi cace e connotata positivamente.<br />

Per motivare bambini con <strong>di</strong>slessia, che solitamente<br />

rifuggono compiti che implicano la lettoscrittura,<br />

è necessario adottare strategie educative<br />

adatte alle loro modalità <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento.<br />

E’ dunque opportuno che sia la scuola, sia la<br />

famiglia, sia il terapista della ri-abilitazione propongano<br />

modalità più idonee alle sue caratteristiche:<br />

potrà ad es. essere utile ricorrere alla rappresentazione<br />

dei contenuti attraverso immagini,<br />

schemi, vignette, cartoni animati, elementi questi<br />

che assolvono evidenti funzioni legate all’attra-


zione, alla curiosità e dunque creano interesse e<br />

motivazione.<br />

Strumenti compensativi e <strong>di</strong>spensativi a cui<br />

fare ricorso sia a scuola, sia a casa, che in altre<br />

strutture (ri-abilitazione, catechismo, boy-scout,<br />

insegnante nel pomeriggio, ecc.) frequentate dalla<br />

minore:<br />

Gli strumenti compensativi e <strong>di</strong>spensativi sono<br />

strumenti <strong>di</strong> facilitazione che danno a coloro che<br />

hanno delle <strong>di</strong>ffi coltà, l’opportunità <strong>di</strong> raggiungere<br />

molti obbiettivi in autonomia, <strong>di</strong> non aver bisogno<br />

degli altri, <strong>di</strong> sentirsi più sicuri, <strong>di</strong> aver voglia<br />

<strong>di</strong> provare e fare attività che altrimenti non avrebbero<br />

voglia <strong>di</strong> provare. Martina utilizzando per le<br />

sue <strong>di</strong>ffi coltà <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento alcuni strumenti<br />

compensativi/<strong>di</strong>spensativi sarà più capace <strong>di</strong> fare<br />

da sola senza l’assistenza continua <strong>di</strong> un adulto;<br />

potrà perdere la paura <strong>di</strong> sbagliare e accettare <strong>di</strong><br />

lavorare da sola. Ricorrere a “buone prassi” quali<br />

l’appren<strong>di</strong>mento “a memoria” ridotto al minimo,<br />

no ad un appren<strong>di</strong>mento meccanico, incoraggiare<br />

l’appren<strong>di</strong>mento esperienziale, no alla memorizzazione<br />

<strong>di</strong> elenchi <strong>di</strong> parole, è fortemente consigliato.<br />

Poiché la <strong>di</strong>ffi coltà <strong>di</strong> fondo dei <strong>di</strong>sturbi è<br />

nell’esecuzione <strong>di</strong> quei compiti “automatici” non<br />

“espressamente intelligenti” la compensazione<br />

può essere favorita fornendo per es. a Martina:<br />

• la tabella dei mesi,<br />

• la tabella dell’alfabeto con i vari caratteri,<br />

• la tabella delle misure,<br />

• la tabella delle formule geometriche,<br />

• la tavola pitagorica,<br />

• la calcolatrice,<br />

• il registratore,<br />

• durante le spiegazioni <strong>di</strong> storia o geografi a riferirsi<br />

a cartine, mappe, atlante<br />

• favorire la scrittura in stampato maiuscolo<br />

• il computer con programmi <strong>di</strong> videoscrittura,<br />

• la costruzione <strong>di</strong> mappe e schemi per facilitare:<br />

o la memorizzazione <strong>di</strong> informazioni<br />

o il lavoro <strong>di</strong> sintesi<br />

o la sequenzialità mnemonica durante le in-<br />

terrogazioni.<br />

Strumenti <strong>di</strong>spensativi :<br />

• Dispensa dalla lettura a voce alta,<br />

• Dispensa dalla scrittura veloce sotto dettatura,<br />

• Dispensa dall’uso della scrittura in corsivo<br />

Dai Servizi del Territorio<br />

• Dall’uso del vocabolario,<br />

• Dallo stu<strong>di</strong>o mnemonico delle tabelline,<br />

• Dispensa, ove necessario, dallo stu<strong>di</strong>o della<br />

lingua straniera scritta,<br />

• Programmazione <strong>di</strong> tempi più lunghi per prove<br />

scritte e per lo stu<strong>di</strong>o a casa,<br />

• Organizzazione <strong>di</strong> interrogazioni programmate,<br />

• Quando possibile sud<strong>di</strong>videre le prove <strong>di</strong> verifi<br />

ca,<br />

• Valutazione delle prove scritte e orali con modalità<br />

che tengano conto del contenuto e non<br />

della forma.<br />

Fin qui abbiamo evidenziato quanto si è ritenuto<br />

utile suggerire per la piccola Martina, ma, su<br />

costante richiesta <strong>di</strong> molti docenti, conclu<strong>di</strong>amo lo<br />

spazio de<strong>di</strong>cato alla scuola, in<strong>di</strong>cando (espressamente,<br />

come i docenti stessi richiedono) ulteriori<br />

strategie da applicare ovviamente a seconda dei<br />

bisogni specifi ci del caso. Prima <strong>di</strong> tutto l’insegnante<br />

dovrebbe:<br />

• Accogliere realmente la “<strong>di</strong>versità”, stu<strong>di</strong>arla,<br />

comunicare serenamente con il bambino e <strong>di</strong>mostrargli<br />

comprensione; chiedere al bambino <strong>di</strong>slessico<br />

<strong>di</strong> moltiplicare gli sforzi, con il convincimento<br />

interno che si eserciti poco, ottiene, nella maggior<br />

parte dei casi, un defi nitivo consolidamento del rifi<br />

uto a svolgere attività <strong>di</strong> letto-scrittura.<br />

• Parlare alla classe e non nascondere il problema<br />

(un modo potrebbe essere ad es. chiedere ad ogni<br />

bambino della classe <strong>di</strong> esporre ai compagni una<br />

loro <strong>di</strong>ffi coltà).<br />

• Spiegare alla classe il perché del <strong>di</strong>verso trattamento<br />

che viene riservato in varie occasioni ai<br />

<strong>di</strong>slessici.<br />

• Utilizzare le risorse dei compagni <strong>di</strong> classe ad es.<br />

assegnando un tutor al bambino <strong>di</strong>slessico.<br />

Altri strumenti compensativi e <strong>di</strong>spensativi<br />

• Fornire al soggetto la lettura ad alta voce da<br />

parte <strong>di</strong> un tutor durante le verifi che<br />

• Leggere sempre per le verifi che le consegne<br />

degli esercizi<br />

• Evitare <strong>di</strong> far prendere appunti<br />

• Evitare la copiatura dalla lavagna<br />

• Ridurre i compiti a casa<br />

• Controllare la gestione del <strong>di</strong>ario<br />

• Fissare interrogazioni programmate<br />

•<br />

Evitare la sovrapposizione <strong>di</strong> interrogazioni<br />

43


• Nelle verifi che ridurre gli esercizi senza mo<strong>di</strong>fi<br />

care gli obbiettivi<br />

• Utilizzare per le verifi che domande a scelta<br />

multipla<br />

• Garantire tempi più lunghi<br />

• Evitare le risposte vero o falso<br />

• Evitare il più possibile la contemporaneità fra<br />

ascolto e scrittura<br />

• Evitare il più possibile la contemporaneità fra<br />

ascolto e lettura <strong>di</strong> un testo.<br />

(Questi ultimi due strumenti <strong>di</strong>spensativi tendono<br />

a compensare le <strong>di</strong>ffi coltà nei processi <strong>di</strong> automatizzazione<br />

della letto-scrittura che rende <strong>di</strong>ffi<br />

cile o impossibile seguire contemporaneamente i<br />

due proce<strong>di</strong>menti in<strong>di</strong>cati)<br />

44<br />

Elementi <strong>di</strong> ri-abilitazione con training<br />

cognitivo<br />

<strong>La</strong> precocità del sospetto <strong>di</strong>agnostico, l’imme<strong>di</strong>atezza<br />

della <strong>di</strong>agnosi, le in<strong>di</strong>cazioni fornite<br />

e realizzate a scuola, l’adeguatezza del trattamento<br />

ri-abilitativo sono gli elementi fondanti <strong>di</strong> una<br />

concreta evoluzione migliorativa del caso <strong>di</strong> Martina,<br />

<strong>di</strong> cui spero <strong>di</strong> poter avere e dare un riscontro<br />

entro la fi ne del percorso <strong>di</strong> scuola elementare.<br />

Appurato che le <strong>di</strong>ffi coltà ad effettuare una<br />

lettura accurata e fl uente, <strong>di</strong> processare la conversione<br />

grafema-fonema ed elaborare testi scritti, si<br />

sono presentate con intensità clinicamente signifi -<br />

cativa, tale da compromettere i normali processi <strong>di</strong><br />

appren<strong>di</strong>mento fi n dai primi anni <strong>di</strong> scuola e non<br />

sono in alcun modo riconducibili a defi cit intellettivi<br />

o sensoriali e/o alla qualità dell’insegnamento<br />

ricevuto, è utile fornire a Martina un trattamento<br />

ri-abilitativo pianifi cando un percorso d’intervento<br />

specifi co e strutturato per la bambina, fi nalizzato<br />

al miglioramento e potenziamento delle abilità<br />

valutate come defi citarie.<br />

Un buon terapista certamente partirà costruendo<br />

in primis un rapporto empatico, fi duciario, <strong>di</strong><br />

collaborazione con Martina e la sua famiglia. Imposterà<br />

inizialmente il trattamento con attività psicomotorie<br />

fi nalizzate a tranquillizzare la bambina<br />

puntando sui suoi punti <strong>di</strong> forza, e, ottenuta collaborazione<br />

e motivazione proseguirà poi gradualmente<br />

con un training cognitivo che ovviamente<br />

nelle sue varie fasi sarà illustrato alle insegnanti<br />

affi nchè le attività scolastiche e ri-abilitative non<br />

siano contrastanti ma siano reciprocamente <strong>di</strong><br />

supporto.<br />

Dai Servizi del Territorio<br />

In questo caso il terapista ha come obbiettivo<br />

fi nale <strong>di</strong> favorire la velocizzazione e automatizzazione<br />

dei processi <strong>di</strong> conversione grafema-fonema<br />

senza però trascurare il corretto riconoscimento<br />

dei segni alfabetici. <strong>La</strong>vorerà sul riconoscimento<br />

<strong>di</strong> vocali e consonanti, sull’abbinamento<br />

consonante/vocale e quin<strong>di</strong> sul riconoscimento <strong>di</strong><br />

sillabe semplici e/o complesse organizzando attività<br />

<strong>di</strong> analisi fonologica, sintesi fonemica e accesso<br />

lessicale.<br />

In una fase successiva potrà lavorare sulle<br />

parole trisillabe semplici e/o su gruppi ortografi -<br />

ci complessi (come gn, gl, gh, ce, ci, gi, ge, ch,<br />

sci, sce, sca, sch) anche aiutandosi con materiale<br />

illustrativo, immagini o <strong>di</strong>segni e software (programmi)<br />

informatici.<br />

Non bisognerà inoltre perdere <strong>di</strong> vista il controllo<br />

del tempo <strong>di</strong> lettura e l’uso frequente del<br />

rinforzo che valorizzi anche i minimi progressi;<br />

si potrebbe, se sarà il caso, <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> un cronometro,<br />

utilizzabile anche da Martina, che la renda<br />

protagonista dei propri trionfi ! Ogni reale appren<strong>di</strong>mento<br />

acquisito e ogni successo scolastico rinforzano<br />

negli alunni e negli studenti con DSA la<br />

percezione in<strong>di</strong>viduale <strong>di</strong> poter riuscire nei propri<br />

impegni nonostante le <strong>di</strong>ffi coltà, con evidenti esiti<br />

positivi sul tono psicologico complessivo.<br />

Parallelamente al percorso d’intervento sui<br />

processi <strong>di</strong> lettura, si dovrà impostare e condurre<br />

un programma ri-abilitativo graduale che punti<br />

all’acquisizione della consapevolezza dell’errore<br />

nelle prestazioni <strong>di</strong> scrittura e quin<strong>di</strong> a un maggior<br />

controllo su tale abilità. Il bambino che ad es.<br />

sbaglia a usare l’« h », o compie molti errori <strong>di</strong><br />

raddoppiamento, <strong>di</strong> fronte a un compito si trova<br />

sempre in una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> indecisione perché<br />

non riesce a gestire e ad organizzare le domande<br />

da porsi per giungere ad una risposta certa.<br />

In questo caso si potrebbero costruire attività<br />

ad hoc volte a riconoscere ad es. il <strong>di</strong>verso uso del<br />

verbo avere dalla preposizione, oppure per il caso<br />

delle doppie applicare un training sulla <strong>di</strong>scriminazione<br />

u<strong>di</strong>tiva che sia funzionale a <strong>di</strong>stinguere<br />

le parole aggiungendo o togliendo una delle due<br />

consonanti, magari associando anche il cambio <strong>di</strong><br />

signifi cato che ne consegue (ve<strong>di</strong> palla/pala). Accanto<br />

a queste attività, si dovrebbe lavorare anche<br />

sulla corretta gestione <strong>dello</strong> spazio grafi co e sul<br />

rispetto delle <strong>di</strong>stanze tra le lettere nella scrittura<br />

<strong>di</strong> parole attraverso l’insegnamento dei relativi


criteri motori che orientino l’or<strong>di</strong>ne e la <strong>di</strong>rezione<br />

dei movimenti della mano-polso.<br />

E’ fondamentale però che l’intervento ri-abilitativo<br />

si ponga, fra i suoi obiettivi, il potenziamento<br />

delle strategie metacognitive e motivazionali,<br />

utili per sviluppare processi <strong>di</strong> autoregolazione e<br />

autocontrollo. Il trattamento sublessicale sembra<br />

produrre buoni risultati: uno stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Tressol<strong>di</strong><br />

e Vio (2011) confronta i risultati <strong>di</strong> tutti gli stu<strong>di</strong><br />

relativi al trattamento della <strong>di</strong>slessia evolutiva<br />

condotti su soggetti italiani negli ultimi <strong>di</strong>eci anni.<br />

In questo stu<strong>di</strong>o vengono confrontati gli esiti <strong>di</strong> 41<br />

trattamenti della <strong>di</strong>slessia evolutiva effettuati secondo<br />

<strong>di</strong>versi meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> trattamento riconducibili<br />

a quattro categorie:<br />

• sub lessicali<br />

• lessicali<br />

• balance<br />

• neuropsicologici<br />

• misti<br />

Gli esiti del trattamento sono confrontati secondo<br />

due criteri: effi cacia ed effi cienza.<br />

•<br />

L’effi cacia <strong>di</strong> ciascun trattamento è il mi-<br />

glioramento nella velocità <strong>di</strong> lettura (calcolato<br />

in sillabe al secondo) rispetto al <strong>gruppo</strong><br />

<strong>di</strong> controllo o rispetto al cambiamento atteso<br />

senza trattamento.<br />

Dai Servizi del Territorio<br />

• L’effi cienza corrispondente ai cambiamenti<br />

rispetto alle ore <strong>di</strong> trattamento (ottenuto <strong>di</strong>videndo<br />

l’effi cacia <strong>di</strong> ciascun stu<strong>di</strong>o con il<br />

numero me<strong>di</strong>o <strong>di</strong> ore utilizzate).<br />

• Tutti i tipi <strong>di</strong> trattamento elencati ottengono<br />

un miglioramento nella lettura <strong>di</strong> brano<br />

(i trattamenti sublessicali e neuropsiclogici<br />

producono un risultato migliore nella lettura<br />

<strong>di</strong> parole isolate [liste <strong>di</strong> parole] e nella lettura<br />

<strong>di</strong> parole incontrate per la prima volta<br />

[non-parole]. In sintesi, quin<strong>di</strong>, i trattamenti<br />

sublessicali e neuropsicologici sembrano essere<br />

quelli più effi caci a mo<strong>di</strong>fi care la velocità<br />

<strong>di</strong> lettura.<br />

Rispetto al parametro “effi cienza”, che corrisponde<br />

ai cambiamenti <strong>di</strong> velocità per ora <strong>di</strong> trattamento,<br />

si evidenzia la superiorità dei trattamenti<br />

sublessicali che ottengono un cambiamento quasi<br />

doppio rispetto agli altri trattamenti. In sintesi questo<br />

trattamento si effettua quando il bambino ha<br />

acquisito i precursori della lettura, sa identifi care<br />

i grafemi, e <strong>di</strong>venta dunque importante consentire<br />

la velocizzazione del processo <strong>di</strong> lettura e la sua<br />

automatizzazione attraverso la facilitazione del<br />

riconoscimento rapido <strong>di</strong> sillabe o altri gruppi<br />

<strong>di</strong> lettere che costituiscono subcomponenti delle<br />

parole. È un programma <strong>di</strong> lavoro che mira all’au-<br />

45


46<br />

tomatizzazione dell’identifi cazione della SILLA-<br />

BA. Le meto<strong>di</strong>che sublessicali appaiono quelle<br />

ottimali per bambini <strong>di</strong>slessici a partire dalla fi ne<br />

della 2° elementare fi no alla scuola secondaria<br />

<strong>di</strong> primo grado. Per essere effi cace questo tipo <strong>di</strong><br />

trattamento deve avere una certa intensità: 5-6 ore<br />

al mese (10-15 min al giorno) e può essere svolto<br />

anche a casa. In questo modo dopo 3-5 mesi si potrebbero<br />

vedere dei cambiamenti.<br />

Risulta funzionale, infi ne, affi ancare al supporto<br />

“tecnico” sulle <strong>di</strong>ffi coltà specifi che, una serie <strong>di</strong><br />

iniziative che possono facilitare l’appren<strong>di</strong>mento<br />

e offrire alla bambina l’opportunità <strong>di</strong> rifl ettere<br />

sull’importanza dell’appren<strong>di</strong>mento nella vita<br />

quoti<strong>di</strong>ana: far sperimentare il successo attraverso<br />

atteggiamenti gratifi canti e motivanti, aiutare la<br />

bambina ad auto valutarsi liberandola dai blocchi<br />

psicologici e relazionali che vive, sostenere, rinforzare<br />

e riporre fi ducia nei tentativi <strong>di</strong> padronanza<br />

e nei minimi progressi che riesce a compiere. Si<br />

tratta, in defi nitiva, <strong>di</strong> trasmettere una visione “incrementale”<br />

delle proprie abilità, ossia concepire<br />

l’appren<strong>di</strong>mento come occasione per costruire<br />

nuove abilità.Il successo infatti non è delineato dal<br />

solo risultato fi nale ma è un successo provare ad<br />

affrontare i compiti proposti, cimentarsi, applicarsi,<br />

de<strong>di</strong>carsi mettendoci il massimo dell’ impegno<br />

con la fi nalità <strong>di</strong> IMPARARE E CONOSCERE.<br />

Conclusione con rifl essioni su alcuni<br />

ostacoli<br />

E’ bene tenere in considerazione che non sempre<br />

gli strumenti compensativi-<strong>di</strong>spensativi sono<br />

accolti positivamente dal bambino/ragazzo; potrà<br />

vederli come un ulteriore segno <strong>di</strong> emarginazione<br />

e <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenziazione dal resto della classe.<br />

Sarà pertanto cura delle insegnanti, in stretta<br />

collaborazione con i genitori e con gli specialisti<br />

del settore, valutare quali possano essere le strategie<br />

migliori per agevolare l’alunno in <strong>di</strong>ffi coltà<br />

senza incidere sulla sua autostima e sul rapporto<br />

con i compagni.<br />

Sarebbe ancora molto utile nella fase <strong>di</strong> rafforzamento<br />

delle abilità attentive, fortemente implicate<br />

nel superamento-miglioramento del problema,<br />

che il soggetto con DSA acceda ad attività<br />

sportive ed artistiche che, come <strong>di</strong>mostrato in<br />

molti stu<strong>di</strong>, si è rivelato essere un grosso aiuto.<br />

Abbiamo su descritto la fase <strong>di</strong> agevolazione<br />

con l’uso degli strumenti compensativi-<strong>di</strong>spensativi,<br />

e la fase del trattamento ri-abilitativo in cui<br />

Dai Servizi del Territorio<br />

il soggetto deve essere stimolato e potenziato con<br />

l’appropriato training cognitivo tarato sui punti <strong>di</strong><br />

forza e <strong>di</strong> debolezza, ma è fondamentale sottolineare<br />

che le due fasi devono essere in sincronia,<br />

parallele.<br />

Ciò purtroppo, operando una concreta analisi<br />

<strong>di</strong> realtà, è, almeno nei nostri servizi ASL, praticamente<br />

quasi mai possibile.<br />

L’accesso ai trattamenti riabilitativi nella quasi<br />

totalità dei casi è penalizzato da lunghe liste <strong>di</strong><br />

attesa, pertanto è quasi sempre impossibile iniziare<br />

il trattamento a pochi giorni dalla richiesta.<br />

(Il riferimento è relativo al territorio della ASL <strong>di</strong><br />

Bari). L’esperienza <strong>di</strong> molti anni nei Servizi <strong>di</strong> Riabilitazione<br />

mi porta a poter affermare che per<br />

rispondere con tempestività ai bisogni degli utenti,<br />

il personale, in alcuni settori, andrebbe, come<br />

minimo, raddoppiato, perché anche se, secondo<br />

il prof. Giacomo Stella, la riabilitazione,in questi<br />

casi, ha senso farla fi no alla terza elementare, io<br />

penso che la riabilitazione fa fatta fi nchè produce<br />

risultati e perciò “agevolare” questi bambini con<br />

gli strumenti e le strategie ampiamente su descritte<br />

senza rafforzare può essere riduttivo tanto quanto<br />

dare una “pacca sulla spalla” per promuovere l’autostima.<br />

Non si può afferrare<br />

lo spirito <strong>di</strong> un bambino rincorrendolo; ci si<br />

deve parare innanzi e amarlo per quello che<br />

presto darà in cambio.<br />

Arthur Miller<br />

Note<br />

Negli Stati Uniti lo screening prescolare avviene<br />

per legge e deve essere somministrato a tutti<br />

i bambini nell’ultimo anno della scuola dell’infanzia<br />

per assicurare che i bambini a rischio siano<br />

in<strong>di</strong>viduati precocemente e che possa essere iniziato<br />

il più presto possibile un programma <strong>di</strong> recupero<br />

nelle aree carenti <strong>La</strong> <strong>di</strong>agnosi psico-educativa<br />

include l’anamnesi, il controllo della vista e<br />

dell’u<strong>di</strong>to, la valutazione delle <strong>capacità</strong> cognitive,<br />

<strong>dello</strong> sviluppo del linguaggio e il livello scolastico<br />

<strong>di</strong> lettura e scrittura. Dopo la valutazione eseguita<br />

dagli specialisti dell’equipe, si decidono varie<br />

modalità <strong>di</strong> rieducazione.<br />

Inclusione del ragazzo con D.S.A. in una classe<br />

in cui si svolga un programma adatto alle sue<br />

<strong>capacità</strong>. Insegnamento specializzato per la rie-


ducazione della <strong>di</strong>slessia in<strong>di</strong>viduale o in picco li<br />

gruppi (<strong>di</strong> 2 o 3 bambini) per più volte la settimana<br />

(spesso sessioni <strong>di</strong> 45 minuti al giorno).<br />

Inclusione in una classe specializzata per <strong>di</strong>slessici<br />

con al massimo 8 bambini con un insegnante<br />

e un assistente per le varie materie: letteratura,<br />

storia e altre, secondo le esigenze del<br />

bambino. Per il resto della giornata, il bambino<br />

partecipa alle lezioni nella sua classe.<br />

Lo studente può partecipare alle lezioni in<br />

una classe specializzata per un anno o due e poi<br />

tornare nella sua classe quando la valutazione<br />

delle sue <strong>capacità</strong> <strong>di</strong> letto-scrittura in<strong>di</strong>ca che è<br />

nella norma per l’età o per il livello intellettivo.<br />

Negli anni successivi, lo studente con <strong>di</strong>agnosi<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>slessia ha <strong>di</strong>ritto ad avere più tempo per gli<br />

esami, se la valutazione in<strong>di</strong>ca che può leggere<br />

nella norma per accuratezza, ma che la lettura è<br />

ancora lenta. Questo <strong>di</strong>ritto continua per tutti gli<br />

anni dell’università. Più complessa la situazione<br />

ad es. in Belgio, dove la <strong>di</strong>slessia, in<strong>di</strong>cata come<br />

<strong>di</strong>ffi coltà specifi ca d’appren<strong>di</strong>mento, tocca fi no al<br />

5% della popolazione scolastica. Il Belgio ha una<br />

situazione unica poiché il paese ha tre lingue uffi -<br />

ciali <strong>di</strong>verse:Francese, fi ammingo e tedesco. Negli<br />

ultimi anni la situazione sembra migliorata perché<br />

è aumentata la consapevolezza dei problemi<br />

legati alla <strong>di</strong>slessia. Diversi programmi TV, libri,<br />

opuscoli ed articoli sono stati pubblicati ed hanno<br />

messo a fuoco soprattutto la prevenzione e la sua<br />

identifi cazione nell’infanzia. Nel 2001 un kit <strong>di</strong><br />

“pronto soccorso”, con un video intitolato “non<br />

chiamarmi stupido” e un CD ROM sono stati offerti<br />

gratis a tutte le scuole con lingua fi amminga.<br />

Il lavoro <strong>di</strong> supporto è effettuato dalle logope<strong>di</strong>ste,<br />

nelle scuole e anche in ospedali, o privatamente.<br />

In alcuni altri paesi europei la <strong>di</strong>slessia viene affrontata<br />

e gestita come <strong>di</strong>sabilità.<br />

Bibliografi a<br />

Berton M.A., Ciceri F., Craighero M., Dazzi V., Gran<strong>di</strong><br />

L., <strong>La</strong>mpugnani G., Meloni A., Peroni M., Savelli<br />

E., Staffa N., Stella G., (2006), Strategie e<br />

tecnologie per l’appren<strong>di</strong>mento: risorse educative<br />

per famiglia e scuola, «Dislessia»,Erickson.<br />

Cazzaniga S., Re A. M., Cornol<strong>di</strong> C., Poli S., Tressol<strong>di</strong><br />

P. E., Dislessia e trattamento sublessicale<br />

(2005). Erickson, Trento.<br />

Chard, D. J., Osborn J. (2003). Avviamento alla lettura:<br />

strategie per la deco<strong>di</strong>fi ca e il riconoscimento<br />

delle parole, Erickson (Rivista Trimestrale),<br />

Dai Servizi del Territorio<br />

Trento.<br />

Cornol<strong>di</strong>, C. (1990). I <strong>di</strong>sturbi dell’appren<strong>di</strong>mento, Il<br />

Mulino, Bologna.<br />

Cornol<strong>di</strong>, C. (1999). Le <strong>di</strong>ffi coltà <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento a<br />

scuola, Il Mulino, Bologna.<br />

Cornol<strong>di</strong>, C. (2007). Diffi coltà e <strong>di</strong>sturbi dell’appren<strong>di</strong>mento,<br />

Il Mulino, Bologna.<br />

Consensus Conference, Raccomandazioni per la pratica<br />

clinica sui <strong>di</strong>sturbi Specifi ci dell’Appren<strong>di</strong>mento,<br />

2007.<br />

Farci G., Orrù R. (2007),I compiti della scuola<br />

nel trattamento della <strong>di</strong>slessia evolutiva,<br />

«Dislessia»,Erickson.<br />

Stella G., <strong>La</strong> <strong>di</strong>slessia. Quando un bambino non riesce<br />

a leggere: cosa fare, come aiutarlo, Il Mulino,<br />

Bologna, 2004<br />

Stella G. (2001), In classe con un allievo con <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ni<br />

dell’appren<strong>di</strong>mento, Milano, Fabbri E<strong>di</strong>tori.<br />

Stella G. (2004a), <strong>La</strong> <strong>di</strong>slessia, Bologna, Il Mulino.<br />

Stella G. (2004b), <strong>La</strong> <strong>di</strong>slessia evolutiva in Italia,<br />

«Dislessia», vol. 1, pp. 7-15.<br />

Stella G., Storie <strong>di</strong> <strong>di</strong>slessia. I bambini <strong>di</strong> oggi e <strong>di</strong><br />

ieri raccontano la loro battaglia quoti<strong>di</strong>ana, Firenze,<br />

Libri Liberi, 2002<br />

Stella G., Savelli E. (2005), <strong>La</strong> rieducazione della<br />

<strong>di</strong>slessia: stato attuale e prospettive future, «Dislessia»,<br />

vol. 2, pp. 262-273.<br />

Stella G., Savelli E., Un approccio alla rieducazione<br />

della <strong>di</strong>slessia evolutiva, «Dislessia», Erickson<br />

Stella G, SILLABE. Software per il trattamento e potenziamento<br />

della lettura sublessicale. Ed. Anastasis<br />

SINPIA, Linee Guida per il DDAI e i DSA, Erickson.<br />

Tressol<strong>di</strong> P.E., Vio C. (1996), Diagnosi dei <strong>di</strong>sturbi<br />

dell’appren<strong>di</strong>mento scolastico, Trento, Erickson<br />

Tressol<strong>di</strong>, P. & Vio C. (2011) Stu<strong>di</strong> italiani sul trattamento<br />

della <strong>di</strong>slessia evolutiva: una sintesi quantitativa<br />

, in Dislessia, Vol. 8, n. 2, maggio (pp.<br />

163-172)<br />

* Dr.ssa Virginia Miglio. Psicologo Psicoterapeuta.<br />

Servizio Sovra<strong>di</strong>strettuale <strong>di</strong> Me<strong>di</strong>cina Fisica e<br />

Riabilitazione. ASL BA. Ambulatorio territoriale <strong>di</strong><br />

Bitonto-Palo.<br />

** Dr.ssa Rosa Anna Centrone. Psicologa. <strong>La</strong>ureata<br />

all’Università degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Bari in Psicologia<br />

Clinica <strong>dello</strong> Sviluppo e delle Relazioni.<br />

*** Dr.ssa Anna Maria Germano. Psicologa. <strong>La</strong>ureata<br />

all’Università degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Bari in Psicologia<br />

Clinica.<br />

47


RIASSUNTO<br />

Il fenomeno mobbing viene ripensato in relazione<br />

alle <strong>di</strong>namiche aggressive e confl ittuali, che<br />

possono generarsi all’interno dei gruppi, nella defi -<br />

nizione dei rapporti <strong>di</strong> potere impliciti ed espliciti<br />

delle strutture e gerarchie organizzative, analizzate<br />

magistralmente da Otto Kernberg.<br />

Il mobbing è un processo evolutivo, che ha ra<strong>di</strong>ci<br />

nella storia <strong>di</strong> un’organizzazione, caratterizzato da<br />

sta<strong>di</strong> e può terminare tragicamente con l’omici<strong>di</strong>o<br />

del mobber o, più frequentemente, con il “suici<strong>di</strong>o<br />

anomico” del mobbizzato.<br />

Si propone <strong>di</strong> includere il mobbing tra i rischi da<br />

lavoro facendolo rientrare a pieno titolo tra le voci<br />

previste per la loro valutazione, analogamente allo<br />

stress lavoro-correlato.<br />

Parole chiave: mobbing lavorativo, leadership,<br />

potere, aggressività strumentale, organizzazione.<br />

De<strong>di</strong>co questo scritto alla memoria <strong>di</strong> due persone<br />

che pur nella loro ra<strong>di</strong>cale <strong>di</strong>versità hanno fatto parte<br />

della mia vita lavorativa e che continuano a <strong>di</strong>alogare<br />

con intensità e chiarezza nel mio “mondo relazionale<br />

interno”.<br />

“[…] Il puro e semplice desiderio <strong>di</strong> conservare il<br />

potere può essere la motivazione dominante del leader<br />

corrotto […]. Mi riferisco qui al leader che,<br />

coscientemente e apertamente, sfrutta a proprio benefi<br />

cio le risorse dell’organizzazione che sono sotto<br />

il suo controllo, senza tener conto delle responsabilità<br />

nei confronti dell’organizzazione del lavoro<br />

e che, così facendo, danneggia le risorse delle organizzazioni<br />

e la corretta esecuzione del compito”<br />

(Kernberg, 1999, p. 165)<br />

Per riferirmi al mobbing ho la necessità <strong>di</strong> introdurlo<br />

come un processo che appartiene alla psicopatologia<br />

dei gruppi e alla <strong>di</strong>storsione dei rapporti<br />

<strong>di</strong> dominio.<br />

Un primo aspetto fondamentale del mobbing è<br />

legato alle <strong>di</strong>namiche aggressive che possono generarsi<br />

all’interno dei gruppi nella defi nizione dei rapporti<br />

<strong>di</strong> potere. Possiamo <strong>di</strong>stinguere l’aggressività<br />

48<br />

Approfon<strong>di</strong>menti tematici<br />

Leadership, potere<br />

e mobbing lavorativo<br />

Dott.ssa Marina Caravella<br />

Dir. Psicologo CSM1 ASL FG - Analista Transazionale Didatta e Supervisore IAT/EATA<br />

strumentale da quella <strong>di</strong> tipo reattivo. Nella forma<br />

reattiva l’aggressività è la risposta ad un evento frustrante,<br />

minaccioso o traumatico, una <strong>di</strong>fesa che rappresenta<br />

prevalentemente una genuina protesta contro<br />

l’asprezza della vita. Al contrario, l’aggressività<br />

strumentale è quella fi nalizzata ad uno scopo, che<br />

riguarda il dominio <strong>di</strong> una persona su un’altra, per<br />

l’ascesa nella gerarchia <strong>di</strong> un <strong>gruppo</strong> o il predominio<br />

<strong>di</strong> un <strong>gruppo</strong> su un altro per la conquista <strong>di</strong> posizioni<br />

più vantaggiose.<br />

Il dominio viene perseguito attraverso la costruzione<br />

<strong>di</strong> “atti sociali complessi” in cui i singoli<br />

componenti del <strong>gruppo</strong> svolgono ruoli <strong>di</strong>fferenti. Vi<br />

è generalmente qualcuno che inizia la costruzione<br />

dell’atto sociale, fa avanzare il suo completamento,<br />

assegnando i ruoli e sorvegliandone la corretta esecuzione.<br />

Si confi gura così una <strong>di</strong>visione <strong>di</strong> ruoli e<br />

una scala gerarchica, in cui alcuni componenti del<br />

<strong>gruppo</strong> rivestono ruoli sovraor<strong>di</strong>nati, altri subor<strong>di</strong>nati<br />

ed i meccanismi <strong>di</strong> emulazione rinforzano il comportamento<br />

prevaricante.<br />

L’impatto del dominio può estendersi ad ogni<br />

singolo fenomeno sociale, dal linguaggio alla famiglia,<br />

dalla religione alla scienza, e opera con pervasività<br />

quando è meno riconoscibile, dato per scontato,<br />

non contestato. “Spesso rimaniamo stretti nelle sue<br />

maglie senza un’autentica consapevolezza del suo<br />

esercizio: le forme <strong>di</strong> dominio sanno occultare i propri<br />

co<strong>di</strong>ci e apparire come naturali, per manifestarsi<br />

alla coscienza solo in alcune situazioni altamente<br />

confl ittuali, che non possono più mascherare”. (Ceretti,<br />

Natali, 2009 p. 162)<br />

Non considerare i processi che generano il dominio<br />

signifi ca non riconoscere le <strong>di</strong>namiche <strong>di</strong> aggressività<br />

le cui conseguenze si estendono all’intero<br />

<strong>gruppo</strong>, dai dominati ai dominanti. Tali processi<br />

muovono entro la struttura dei legami istituiti nel<br />

tempo attraverso la costruzione sociale <strong>di</strong> “mo<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

dominio” che vengono conservati me<strong>di</strong>ante un lavoro<br />

incessante <strong>di</strong> riproduzione. È quin<strong>di</strong> nelle <strong>di</strong>namiche<br />

implicite ed esplicite <strong>di</strong> potere in un <strong>gruppo</strong> istituito<br />

e le congiunture peculiari della realtà istituzionale<br />

che può crescere la “posizione thanatoforica”.


“Il thanatoforo - scrive Diet - usando le <strong>di</strong>sfunzioni<br />

istituzionali, manipolando i confl itti intersoggettivi<br />

e i sensi <strong>di</strong> colpa degli altri membri<br />

del collettivo, regna da padrone assoluto su un universo<br />

senza fede né legge, dominato dall’invi<strong>di</strong>a e<br />

dall’o<strong>di</strong>o. Ma tutto questo avviene come se niente<br />

fosse, fi no a che tutti i riferimenti etici, organizzazionali<br />

e simbolici saranno stati cancellati, fi no a<br />

che tutto ciò che dà senso e limite, tutto ciò che <strong>di</strong>stingue<br />

il bene dal male, il vero dal falso sarà stato<br />

annullato e volto in derisione, mentre, per lo più, le<br />

apparenze saranno state preservate. Alla fi ne come<br />

all’origine, portatore, missionario, attore e moltiplicatore<br />

della <strong>di</strong>struttività all’opera nella situazione <strong>di</strong><br />

crisi, il thanatoforo, camaleonte della morte, si confonderà<br />

in perfetto mimetismo con le confl ittualità<br />

intrapsichiche, intersoggettive e transsoggettive che<br />

avrà attivato. Testimonieranno il suo passaggio solo<br />

la sofferenza dei soggetti squalifi cati, la <strong>di</strong>ssoluzione<br />

<strong>di</strong> un <strong>gruppo</strong>, il fallimento dell’organizzazione e<br />

talvolta la morte dell’istituzione. Senza contare, ma<br />

ciò poco gl’importa, alcuni morti psichici e talvolta<br />

fi sici, in particolare se è un professionista del campo<br />

me<strong>di</strong>co o sociale” (1998, pag. 140). I comportamenti<br />

del thanathoforo possono confi gurarsi nella <strong>capacità</strong><br />

<strong>di</strong> “costringere ad agire” <strong>di</strong>rettamente, oppure in<strong>di</strong>rettamente<br />

lasciando credere ai dominati <strong>di</strong> fare ciò<br />

che vogliono.<br />

Così Sartre ne “Le mani sporche” drammatizza<br />

la logica del potere nel <strong>di</strong>alogo tra due personaggi in<br />

apparente antitesi fra loro: Hugo e Hoederer.<br />

Hugo: […] Per anni lei non farà che mentire, giocar<br />

d’astuzia, barcamenarsi, e passerà da un compromesso<br />

all’altro; e dovrà <strong>di</strong>fendere […] dei provve<strong>di</strong>menti<br />

reazionari presi da un governo <strong>di</strong> cui lei farà<br />

parte […] Hoederer! Questo è il suo partito […] <strong>La</strong><br />

supplico: non lo soffochi con le sue mani.<br />

Hoederer: Quante chiacchiere! Se non vuoi correre<br />

rischi, non devi far politica.<br />

Hugo: Io non voglio correre rischi <strong>di</strong> questo genere.<br />

Hoederer: E come faremo a conservare il potere?<br />

Hugo: Perché prenderlo?<br />

Hoederer: Ma sei matto? […]. È un occasione che<br />

non si ripresenterà più […]<br />

Hugo: Non dobbiamo prendere il potere a questi costi.<br />

Hoederer: E che ne vorresti fare del partito? Una<br />

scuderia <strong>di</strong> cavalli da corsa? A che serve affi lare tutti<br />

i giorni un coltello, se non lo usi mai per tagliare?<br />

Un partito, non è mai altro che un mezzo. Il fi ne è<br />

uno solo: il potere. (2012, pp. 140-141)<br />

Approfon<strong>di</strong>menti tematici<br />

LEADERSHIP E PROCESSO REGRESSIVO<br />

DEL GRUPPO<br />

<strong>La</strong> leadership si fonda sulla relazione reciproca<br />

che si svolge tra: la quantità <strong>di</strong> guida e <strong>di</strong>rezione<br />

(comportamento <strong>di</strong>rettivo) che un leader offre; la<br />

quantità <strong>di</strong> sostegno socioemotivo (comportamento<br />

<strong>di</strong> relazione) fornito dal leader; il livello <strong>di</strong> prontezza<br />

(maturità) manifestata dai collaboratori nel perseguire<br />

uno specifi co compito, funzione od obiettivo” (<br />

Hersey, Blanchard, 1987, p. 246).<br />

L’effi cacia della leadership <strong>di</strong> un’organizzazione<br />

non <strong>di</strong>pende esclusivamente dalla personalità del leader;<br />

per il suo funzionamento è necessario che vi sia<br />

un rapporto ottimale tra lo scopo generale dell’organizzazione,<br />

che deve essere chiaro e raggiungibile, e<br />

la sua struttura gestionale.<br />

Le risorse per la realizzazione dei compiti istituzionali<br />

devono essere adeguate qualitativamente e<br />

quantitativamente al compito istituzionale. Quando<br />

esistono delle carenze <strong>di</strong> risorse o dei limiti negli<br />

aspetti strutturali, delle confusioni gerarchiche o delle<br />

inadeguatezze gestionali, le funzioni del <strong>gruppo</strong> <strong>di</strong><br />

lavoro si perdono e le relazioni interne cominciano a<br />

deteriorarsi in un processo regressivo caratterizzato<br />

da confl ittualità manifesta e nascosta.<br />

“A prescindere dalla maturità e dall’integrazione<br />

psicologica dell’in<strong>di</strong>viduo, i piccoli e i gran<strong>di</strong><br />

gruppi non strutturati che mancano <strong>di</strong> una leadership<br />

operativa o <strong>di</strong> un compito chiaramente defi nito che<br />

possa metterli in relazione con l’ambiente, tendono<br />

a provocare nell’in<strong>di</strong>viduo un’imme<strong>di</strong>ata regressione<br />

[…] Il potenziale <strong>di</strong> tale regressione è insito in<br />

ciascuno <strong>di</strong> noi: quando per<strong>di</strong>amo la nostra abituale<br />

struttura sociale, quando i nostri ruoli sociali vengono<br />

sospesi […]” (Kernberg, 1999 p. 49).<br />

Nell’in<strong>di</strong>viduo oggetto <strong>di</strong> un’aggressione, in<br />

questo vuoto <strong>di</strong> strutturazione del sé e della relazione<br />

con gli altri si può inserire l’aggressività agita verso<br />

se stessi che ripropone in modo speculare, attraverso<br />

il meccanismo <strong>di</strong> identifi cazione con l’aggressore o<br />

gli aggressori, la violenza subita nel tempo nei gruppi<br />

d’appartenenza.<br />

Contestualmente, nel soggetto dominante, il<br />

nucleo dell’aggressività strumentale che caratterizza<br />

come abbiamo visto le <strong>di</strong>namiche del dominio,<br />

si fonda sul narcisismo patologico, magistralmente<br />

descritto ed analizzato da Kernberg in connessione<br />

con la personalità <strong>di</strong> chi <strong>di</strong>rige l’organizzazione, la<br />

struttura <strong>di</strong> questa, i compiti dell’organizzazione ed i<br />

fenomeni <strong>di</strong> <strong>gruppo</strong> che si verifi cano.<br />

I processi <strong>di</strong> <strong>gruppo</strong> nelle istituzioni psichiatriche<br />

sono infl uenzati, ad esempio, dalla natura del<br />

49


compito <strong>di</strong> trattamento <strong>di</strong> patologie regressive <strong>di</strong> tipo<br />

psicotico e borderline, vale a <strong>di</strong>re i confl itti umani<br />

primitivi e profon<strong>di</strong>. Questo aspetto infl uenza i fenomeni<br />

<strong>di</strong> <strong>gruppo</strong> che tendono, in talune circostanze, a<br />

<strong>di</strong>ventare irrazionali ed arbitrari, generando un senso<br />

<strong>di</strong> minaccia negli operatori. In particolare, il contatto<br />

con soggetti e famiglie che presentano confusione<br />

estrema, passività, sentimenti <strong>di</strong> onnipotenza, <strong>di</strong>namiche<br />

persecutorie e meccanismi <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa arcaici<br />

provoca stress elevato e paura. Quando allo stress<br />

dovuto alla natura del compito si aggiungono scarsità<br />

<strong>di</strong> risorse umane, mancanza <strong>di</strong> chiarezza dei ruoli<br />

e delle funzioni dei gruppi <strong>di</strong> lavoro, si regre<strong>di</strong>sce<br />

adottando le logiche apparentemente superate delle<br />

istituzioni manicomiali.<br />

L’attuale ideologia psichiatrica, infatti, tende a<br />

negare o soffocare le contrad<strong>di</strong>zioni esistenti nelle<br />

proprie organizzazioni <strong>di</strong> lavoro. Tali <strong>di</strong>ffi coltà<br />

andrebbero invece esplicitate per non riprodurre le<br />

forme violente del manicomio in cui - il non <strong>di</strong>ritto,<br />

l’ineguaglianza, la morte quoti<strong>di</strong>ana dell’uomo<br />

- come <strong>di</strong>ce Franco Basaglia - vengono eretti a principi<br />

legislativi. “Ề sempre possibile che una grave<br />

psicopatologia del leader sia davvero responsabile<br />

dei problemi <strong>di</strong> caduta del morale, del fallimento<br />

dei gruppi <strong>di</strong> lavoro e <strong>dello</strong> sviluppo <strong>di</strong> fenomeni<br />

regressivi. Diventa allora essenziale <strong>di</strong>stinguere l’attivazione<br />

sintomatica <strong>di</strong> una regressione emotiva del<br />

leader che deriva dai problemi dell’istituzione, dal<br />

deterioramento organizzativo che rifl ette invece una<br />

psicopatologia del leader” (op. cit., 1999 p. 57).<br />

Kernberg sottolinea, inoltre, che l’incompetenza<br />

dei <strong>di</strong>rigenti ha un effetto devastante sul funzionamento<br />

dell’organizzazione oltre ad essere eccessivamente<br />

paranogena ed in<strong>di</strong>vidua le caratteristiche <strong>di</strong><br />

un <strong>di</strong>rigente razionale (un’alta intelligenza; una personalità<br />

onesta ed impermeabile al processo politico;<br />

una <strong>capacità</strong> <strong>di</strong> creare e mantenere delle relazioni<br />

oggettuali profonde; un sano narcisismo; un sano atteggiamento<br />

paranoide legittimamente anticipatore<br />

in opposizione all’ingenuità). Pertanto scegliere dei<br />

buoni leader è uno dei compiti più importanti delle<br />

organizzazioni.<br />

IL MOBBING LAVORATIVO<br />

Nell’ambito della valutazione del mobbing vi<br />

sono impostazioni <strong>di</strong>verse: coloro che in<strong>di</strong>viduano<br />

un tipo o dei tratti <strong>di</strong> personalità riconoscibili, come<br />

base comune a tutte le vittime del mobbing ed altri<br />

che vedono nella <strong>di</strong>namica interpersonale e nel contesto<br />

organizzativo lo sfondo che provoca ed innesca<br />

l’in<strong>di</strong>viduazione della vittima ed il processo <strong>di</strong><br />

50<br />

Approfon<strong>di</strong>menti tematici<br />

mobbing. Diversamente lo stu<strong>di</strong>o della personalità<br />

dell’aggressore può essere letto da un punto <strong>di</strong> vista<br />

in<strong>di</strong>viduale, relazionale, sistemico e situazionale.<br />

Con<strong>di</strong>vido il pensiero <strong>di</strong> Hyrigoyen (2000) che<br />

adotta un punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong>namico relazionale con<br />

attenzione alla <strong>di</strong>mensione del potere, defi nendo il<br />

mobbing come un’azione ripetitiva, sistematica ed<br />

abusiva (verbale e non verbale) che lede l’integrità<br />

psico-fi sica del soggetto e compromette il clima <strong>di</strong><br />

lavoro.<br />

Il termine mobbing venne utilizzato dall’etologo<br />

Konrad Lorenz per in<strong>di</strong>care il comportamento<br />

<strong>di</strong> alcuni animali della stessa specie che, coalizzati<br />

contro un membro del proprio <strong>gruppo</strong>, lo attaccano<br />

ripetutamente al fi ne <strong>di</strong> escluderlo dalla comunità <strong>di</strong><br />

appartenenza. Leymann, nel 1986, prese in prestito<br />

il termine mobbing per descrivere una specifi ca aggressione<br />

(atti negativi ripetuti, <strong>di</strong>namiche <strong>di</strong> <strong>gruppo</strong><br />

intenzionali) tra adulti sul luogo <strong>di</strong> lavoro che spinge<br />

un soggetto nella posizione <strong>di</strong> capro espiatorio.<br />

Il mobbing è un processo evolutivo caratterizzato<br />

da sta<strong>di</strong> che può concludersi con l’uscita anticipata<br />

dal mondo del lavoro, terminare tragicamente con<br />

l’omici<strong>di</strong>o del mobber o, più frequentemente, con il<br />

“suici<strong>di</strong>o anomico” del mobbizzato. Il suici<strong>di</strong>o anomico<br />

rappresenta, come ha scritto Emile Durkheim<br />

riferendosi al un contesto sociale più ampio <strong>di</strong> Stato,<br />

“l’autoaffondamento del citta<strong>di</strong>no cui sono strappati<br />

non solo i <strong>di</strong>ritti ma gli obblighi della citta<strong>di</strong>nanza: la<br />

libera sottomissione alle necessità del lavoro, il sentirsi<br />

parte <strong>di</strong> una società, <strong>di</strong> un or<strong>di</strong>ne professionale,<br />

<strong>di</strong> un sindacato che includa e integri” (la citazione è<br />

<strong>di</strong> Barbara Spinelli).<br />

Ege (1997) applica il concetto al luogo <strong>di</strong> lavoro,<br />

defi nendo mobbing aziendale o strutturale quella<br />

serie <strong>di</strong> comportamenti indesiderabili o illeciti che<br />

i componenti <strong>di</strong> un’azienda mettono in atto con il<br />

fi ne <strong>di</strong> espellere il <strong>di</strong>pendente dall’organizzazione<br />

lavorativa.<br />

Il mobbing dunque è un fenomeno psicosociale,<br />

evolve all’interno <strong>di</strong> un contesto <strong>di</strong> <strong>gruppo</strong> attraverso<br />

l’interazione <strong>di</strong>namica <strong>di</strong> ruoli: il mobber, il mobbizzato;<br />

il ruolo del mobber può essere interpretato da<br />

un’unica persona, da due o più persone coalizzate o<br />

da un’intera organizzazione; il mobbizzato è il soggetto<br />

che subisce le aggressioni e che <strong>di</strong>ffi cilmente<br />

potrà reagire o uscire vittorioso da tale situazione,<br />

soffre e alla fi ne si ammala.<br />

Oltre all’aggressore e alla vittima, in base al grado<br />

<strong>di</strong> partecipazione passiva o attiva agli atti <strong>di</strong> mobbing,<br />

possiamo osservare: i cosiddetti bystanders<br />

(gli spettatori) che assistono in<strong>di</strong>fferenti alle azioni;


i co-mobber, che le sostengono in modo subdolo; i<br />

side-mobber, che collaborano con l’aggressore appoggiando<br />

palesemente le sue persecuzioni.<br />

Il punto centrale del mobbing rimane la vittima,<br />

che sente su <strong>di</strong> sé quegli atti ostili, umilianti e intimidatori.<br />

In Italia, alla prima Conferenza Nazionale<br />

sulla Salute Mentale del 2001, in materia <strong>di</strong> mobbing,<br />

risultarono circa cinque milioni i lavoratori<br />

mobbizzati, due milioni <strong>di</strong> essi erano affetti da patologia<br />

con potenzialità devastante. Secondo le indagini<br />

statistiche il 20% dei suici<strong>di</strong> in un anno in Svezia<br />

hanno come causa scatenante fenomeni <strong>di</strong> mobbing<br />

nel contesto lavorativo (Belsito, 2012).<br />

Harald Ege sostiene che il livello <strong>di</strong> confl ittualità<br />

negli ambienti lavorativi italiani è molto più alto<br />

rispetto ad altri paesi europei. In Italia il mobber raramente<br />

è un singolo in<strong>di</strong>viduo, <strong>di</strong> solito si tratta <strong>di</strong><br />

un <strong>gruppo</strong>: nel 57% dei casi viene esercitato dall’alto<br />

verso il basso (bossing), per cui i mobbers sono<br />

<strong>di</strong> solito i superiori, i quadri aziendali, gli uffi ci del<br />

personale; solo per il 10% dei casi il mobber è un<br />

collega (Bussotti, Mariondo, 2010).<br />

LE CAUSE DEL FENOMENO<br />

Esistono molte teorie che sino ad ora hanno cercato<br />

<strong>di</strong> far luce sul fenomeno del mobbing e <strong>di</strong> spiegare<br />

i motivi per cui esso si verifi ca; i <strong>di</strong>versi modelli<br />

affrontano il fenomeno da punti <strong>di</strong> vista <strong>di</strong>fferenti ed<br />

analizzano i vari aspetti della personalità dei singoli<br />

appartenenti al <strong>gruppo</strong> e dell’ambiente <strong>di</strong> lavoro che<br />

possono favorirne lo sviluppo. Non esiste, tuttavia,<br />

un ambiente tipo o una caratteristica <strong>di</strong> personalità<br />

che da sola basti a scatenare il mobbing, perché è<br />

dalla relazione tra molteplici elementi che esso si<br />

sviluppa.<br />

Leymann vede nel confl itto il presupposto essenziale<br />

alla nascita del mobbing ed in<strong>di</strong>vidua 6 aree<br />

nelle quali si può sviluppare:<br />

1. l’organizzazione del lavoro:<br />

una carente orga-<br />

nizzazione e <strong>di</strong>stribuzione del lavoro è causa<br />

<strong>di</strong> stress e <strong>di</strong> tensioni che vengono scaricate su<br />

un colpevole.<br />

2. le mansioni lavorative:<br />

se un lavoratore svolge<br />

mansioni ripetitive, monotone e sottoqualifi -<br />

cate è più probabile il ricorso al mobbing per<br />

sfuggire alla monotonia: bisogna fare molta attenzione<br />

al lavoro a turni che isola le persone,<br />

in quanto un ambiente con scarse opportunità<br />

<strong>di</strong> socializzazione è più a rischio <strong>di</strong> mobbing.<br />

3. la <strong>di</strong>rezione del lavoro:<br />

una <strong>di</strong>rezione azienda-<br />

le carente, che non tiene conto delle esigenze<br />

dei lavoratori è più facile che favorisca la na-<br />

Approfon<strong>di</strong>menti tematici<br />

scita del mobbing all’interno della sua organizzazione.<br />

4. la <strong>di</strong>namica sociale del <strong>gruppo</strong> <strong>di</strong> lavoro:<br />

riguarda<br />

le relazioni intercorrenti tra i membri<br />

del <strong>gruppo</strong> <strong>di</strong> lavoro che possono essere più o<br />

meno tranquille a seconda del carico <strong>di</strong> lavoro<br />

che grava sul <strong>gruppo</strong>: è infatti noto che lavorare<br />

‘sotto-pressione’ porta gli in<strong>di</strong>vidui a ritrovare<br />

l’equilibrio scaricando le tensioni all’esterno.<br />

5. le teorie sulla personalità:<br />

a questo riguardo<br />

Leymann sostiene che il mobbing è in<strong>di</strong>pendente<br />

dal carattere delle persone, non dando alcun<br />

cre<strong>di</strong>to alle teorie che vogliono identifi care<br />

dei gruppi maggiormente a rischio, in quanto<br />

sostiene che <strong>di</strong>pende sempre dalle circostanze<br />

e dall’ambiente.<br />

6. la funzione nascosta della psicologia nella società:<br />

Leymann critica coloro che identifi cano<br />

le vittime come persone con ‘problemi psicologici’,<br />

ritenendo estremamente pericoloso soffermarsi<br />

solo su <strong>di</strong> esse, trascurando l’aspetto<br />

peculiare del sistema entro cui avviene il mobbing.<br />

In questa lista sulle cause del mobbing si nota<br />

come Leymann identifi chi delle cause esterne ed interne,<br />

ponendo maggiore attenzione su un ambiente<br />

malato o confl ittuale e sulle comunicazioni <strong>di</strong>sturbate<br />

che avvengono tra i lavoratori.<br />

Ege, ponendo l’accento sui ruoli dei <strong>di</strong>versi in<strong>di</strong>vidui,<br />

ha descritto come i tre fattori che concorrono<br />

nel mobbing (aggressore, vittima ed organizzazione)<br />

danno luogo a relazioni nel «sistema a cubo delle<br />

cause»:<br />

comportamento (o reazione) del mobber:<br />

l’azione può essere causata dal suo carattere<br />

cinico o sa<strong>di</strong>co che lo porta a perseguitare incessantemente<br />

la vittima;<br />

comportamento (o reazione) della vittima: il<br />

mobbing potrebbe derivare da una sua tipica<br />

reazione verso il mobber;<br />

ambiente (organizzazione, altri colleghi):<br />

l’ambiente <strong>di</strong> lavoro può essere anch’esso un<br />

fattore cruciale per lo sviluppo del mobbing, in<br />

quanto può assumere due <strong>di</strong>versi orientamenti<br />

in relazione alla situazione: favorire il mobbing<br />

o combatterlo.<br />

Altri stu<strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>scono il ruolo della struttura<br />

organizzativa nello sviluppo del fenomeno del<br />

mobbing. Alcuni fattori <strong>di</strong> rischio sono in<strong>di</strong>viduati<br />

in: cattive con<strong>di</strong>zioni e carenza <strong>di</strong> spazi adeguati per<br />

la gestione del lavoro, scarso livello etico e mancanza<br />

<strong>di</strong> tolleranza, scarsa <strong>capacità</strong> <strong>di</strong> orientamento dei<br />

51


colleghi, richiesta <strong>di</strong> prestazioni sempre più elevate<br />

e pensiero concorrenziale, paura <strong>di</strong> perdere il posto<br />

<strong>di</strong> lavoro, in<strong>capacità</strong> <strong>di</strong> gestione del confl itto, <strong>di</strong>fetti<br />

organizzativi, produttivi o <strong>di</strong> gestione del personale,<br />

sovra o sotto-occupazione. Si considera dunque causa<br />

del mobbing l’errata conduzione del lavoro.<br />

Infi ne dobbiamo considerare come causa <strong>di</strong> mobbing<br />

i pregiu<strong>di</strong>zi sociali verso le persone che svolgono<br />

lavori particolari o i portatori <strong>di</strong> han<strong>di</strong>cap fi sici e<br />

mentali. Risulta infatti evidente che lo sviluppo del<br />

mobbing è maggiore all’interno <strong>di</strong> organizzazioni<br />

che hanno scarsa considerazione della <strong>di</strong>gnità umana<br />

(Bartalucci, 2010).<br />

CONCLUSIONI<br />

“Nemmeno i do<strong>di</strong>ci Angeli della Morte tutti assieme<br />

potranno <strong>di</strong>rottare un mortale dal corso del<br />

proprio adempimento. […] Ma dei tanti, possibili<br />

esiti della materia, nessuno - a bene esaminarli -<br />

sarà stata l’opera <strong>di</strong> un caso cieco; anzi piuttosto <strong>di</strong><br />

un calcolo” (Morante E., 1989 p. 16).<br />

Sul piano sociale, vi sono due conseguenze del<br />

mobbing che assumono particolare valore: il primo<br />

riguarda l’infl uenza <strong>negativa</strong> che il mobbing ha sulla<br />

salute delle persone, il secondo i danni che esso<br />

produce alle relazioni affettive e professionali con<br />

pesanti ricadute <strong>di</strong> tipo economico. Quanto alle cause,<br />

il mobbing, in particolar modo in Italia, assume<br />

un suo tratto caratteristico nella sua origine in un<br />

contesto <strong>di</strong> carenza <strong>di</strong> <strong>capacità</strong> <strong>di</strong> organizzazione.<br />

Per consentire la <strong>di</strong>samina del fenomeno è dunque<br />

necessaria un’attenta analisi delle organizzazioni che<br />

consideri come le patologie della leadership generino<br />

ed alimentino il mobbing.<br />

Il mobbing è, come ho già detto, un processo che<br />

appartiene infatti alla psicopatologia dei gruppi e alla<br />

<strong>di</strong>storsione dei rapporti <strong>di</strong> dominio ed è legato alle<br />

<strong>di</strong>namiche aggressive che possono generarsi nella<br />

defi nizione dei rapporti <strong>di</strong> potere.<br />

Il mobbing è, <strong>di</strong> conseguenza, un problema che<br />

non può essere ricondotto né a semplici “problemi<br />

personali” del soggetto che lo subisce, né alle <strong>di</strong>namiche<br />

<strong>di</strong> semplice confl itto. Il confl itto fi siologico si<br />

struttura, infatti, quando le parti in opposizione hanno<br />

uguale potere e forza; se invece le forze sono squilibrate<br />

ed una parte è più debole e si può trasformare in<br />

vittima, ci si trova nell’ambito delle espressioni patologiche<br />

dei legami istituiti e della regressione della<br />

leadership e delle organizzazioni. È in<strong>di</strong>spensabile,<br />

pertanto, che un me<strong>di</strong>co, uno psicologo o un datore<br />

<strong>di</strong> lavoro sappiano <strong>di</strong>stinguere una normale confl ittualità<br />

da un caso <strong>di</strong> mobbing.<br />

52<br />

Approfon<strong>di</strong>menti tematici<br />

“Molto spazio è stato concesso allo stress lavorocorrelato<br />

che è materia, per molti aspetti, connessa a<br />

quella del mobbing soprattutto quanto a caratteristiche<br />

del fenomeno ed alle conseguenze che si sostanziano,<br />

in entrambi i casi, nel danno alla salute e nella<br />

scelta <strong>di</strong> abbandonare il posto <strong>di</strong> lavoro, magari con<br />

le <strong>di</strong>missioni.<br />

<strong>La</strong> risposta dei soggetti vittime <strong>di</strong> stress, così<br />

come <strong>di</strong> mobbing, è assolutamente personale, <strong>di</strong>ffi -<br />

cilmente preve<strong>di</strong>bile e <strong>di</strong>pende dall’in<strong>di</strong>viduo, considerato<br />

che è possibile registrare <strong>di</strong>etro stimoli uguali,<br />

reazioni del tutto <strong>di</strong>fferenti a seconda delle vittime<br />

nei confronti delle quali simili azioni sono <strong>di</strong>rette,<br />

risultando parecchie le variabili.<br />

Ed allora perché non includere anche il mobbing<br />

tra i rischi da lavoro facendolo rientrare a pieno titolo<br />

tra le voci previste per la loro valutazione, analogamente<br />

allo stress lavoro-correlato?<br />

Perché non investire <strong>di</strong> responsabilità particolari,<br />

anche in materia <strong>di</strong> mobbing, tutti i soggetti della sicurezza?”<br />

(Belsito, 2012, p. 236).<br />

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI<br />

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al fenomeno del mobbing, Comitato delle Pari Opportunità<br />

degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Firenze, University Press,<br />

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KERNBERG O. F., Le Relazioni nei Gruppi, Raffaello<br />

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LEYMANN H., The Content and Development of<br />

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SARTRE J. P., Le mani sporche, MIMESIS, Milano-<br />

U<strong>di</strong>ne, 2010<br />

SPINELLI B., Quando il citta<strong>di</strong>no <strong>di</strong>venta un clandestino,<br />

in “<strong>La</strong> Repubblica”, 11 Aprile 2012


<strong>La</strong> <strong>capacità</strong> <strong>negativa</strong><br />

<strong>dello</strong> <strong>psicoterapista</strong> <strong>di</strong> <strong>gruppo</strong><br />

Penso all’asfalto delle strade. In particolare,<br />

quello dei marciapie<strong>di</strong>, dove si passeggia<br />

con velocità. Mi sovviene pensare a quei fi ori<br />

gialli, un po’ spampanati e ai fi ori della<br />

rucola. A volte ci sono spighe <strong>di</strong> grano.<br />

Nella mia mente, l’immagine è chiara: vedo<br />

l’asfalto, quello nero, scuro, pieno <strong>di</strong> petrolio...sempre<br />

uguale. Al bordo, o in una crepa,<br />

una spaccatura, tra l’asfalto e il marmo<br />

del marciapiede: quei fi ori.<br />

Quanto è grande la voglia della vita <strong>di</strong> uscire,<br />

<strong>di</strong> farsi sentire, <strong>di</strong> venire fuori, à tout<br />

prix, anche nell’impossibilità ragionevole<br />

delle cose, delle con<strong>di</strong>zioni.<br />

Chi ci scommetterebbe in inverno che in<br />

quella crepa c’è un fi ore, ci sarà una vita?<br />

Chi è pronto a scommetterci?<br />

Forse non c’è neanche bisogno <strong>di</strong> crederci:<br />

<strong>La</strong> vita si manifesta da sola.<br />

Avevo scritto <strong>di</strong> getto questa rifl essione il 10<br />

maggio 2002 a Trets, un paesino vicino Marsiglia.<br />

Mi confronto a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> tempo con nuove<br />

rifl essioni suscitate dalle giornate <strong>di</strong> incontroscambio<br />

con Clau<strong>di</strong>o Neri e in me si sviluppano<br />

rappresentazioni, similitu<strong>di</strong>ni e metafore legate<br />

alla terra, agli alberi e al ritmo delle stagioni, che<br />

accompagneranno l’intero svolgimento <strong>dello</strong> scritto.<br />

Quanto letto e ascoltato da Neri, mi ha spesso<br />

richiamato alla mente immagini <strong>di</strong> nascita, <strong>di</strong> creazione,<br />

<strong>di</strong> uno stato nascente <strong>di</strong> cose in cui non<br />

si può stabilire il momento preciso, il passaggio<br />

netto tra ciò che non c’era, o non si vedeva, e la<br />

nascita <strong>dello</strong> stesso.<br />

Così come la sopravvivenza <strong>di</strong> ogni essere<br />

vivente <strong>di</strong>pende dalla sua <strong>capacità</strong> <strong>di</strong> percepire il<br />

proprio ambiente e <strong>di</strong> rispondervi adeguatamente,<br />

le piante sono in grado <strong>di</strong> percepire il cambiamento<br />

delle stagioni e <strong>di</strong> adattarsi alle <strong>di</strong>fferenze tra il clima<br />

invernale e quello estivo. In inverno, ad esempio,<br />

gli alberi, per non perdere in misura eccessiva<br />

la loro linfa attraverso le foglie, le lasciano cadere.<br />

Questo mi fa pensare all’economia psichica e ai<br />

Approfon<strong>di</strong>menti tematici<br />

Dott.ssa Giusi D’Apolito - Manfredonia (FG)<br />

meccanismi <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa, in particolare alla scissione,<br />

alla rimozione o alla censura. Analogamente, con<br />

l’analista e in <strong>gruppo</strong> si passa attraverso varie fasi,<br />

si può vedere l’avvicendarsi <strong>di</strong> varie stagioni.<br />

A volte, il paziente arriva affettivamente congelato,<br />

è in pieno inverno; a volte, il <strong>gruppo</strong> attraversa<br />

vari tipi <strong>di</strong> clima, passa da un’atmosfera<br />

calda ad altre sconosciute e nascenti; altre volte<br />

ancora, qualcuno si stacca e va via.<br />

Clarissa Pinkola Estés, poetessa e psicoanalista,<br />

ne “Il giar<strong>di</strong>niere dell’anima” racconta come<br />

la vita si ripete, si rinnova e, per quanto calpestata,<br />

sra<strong>di</strong>cata o torturata, essa possiede l’inestinguibile<br />

facoltà <strong>di</strong> rigenerarsi se solo si coltivano la speranza<br />

e l’attesa.<br />

L’analista può essere paragonato ad un esperto<br />

giar<strong>di</strong>niere: recide i rami che appesantiscono la<br />

pianta e ne favorisce possibili percorsi attraverso<br />

la nascita <strong>di</strong> nuove gemme. A volte crea degli innesti.<br />

Anche i sogni anticipano stati emotivi, nascite<br />

o rinascite psichiche, elaborazioni, signifi cati, che<br />

solo in seguito, in un secondo momento, <strong>di</strong>ventano<br />

nostri aspetti consapevoli e/o integrati.<br />

Prendendo in considerazione l’assetto mentale<br />

<strong>dello</strong> <strong>psicoterapista</strong> <strong>di</strong> <strong>gruppo</strong>, Neri in<strong>di</strong>vidua<br />

l’importanza <strong>di</strong> un atteggiamento <strong>di</strong> lavoro <strong>di</strong> ricerca<br />

aperto, che vede nascere in quel momento<br />

qualcosa che non fi nisce. Si tratta della <strong>capacità</strong><br />

<strong>di</strong> mantenersi in un atteggiamento <strong>di</strong> ricerca e <strong>di</strong><br />

recezione <strong>di</strong> signifi cati. “Questo permette il ciclo<br />

<strong>di</strong> nuove cose”. Permette a ciò che non è ancora<br />

avvenuto e a ciò che non si sa, <strong>di</strong> accadere.<br />

<strong>La</strong> matrice gruppale è un’area mentale comune<br />

attraversata da forze ed è importante che il campo<br />

del <strong>gruppo</strong> rimanga “aperto”: aperto all’imprevisto,<br />

a qualcosa <strong>di</strong> inatteso, ad esperienze affettive<br />

ed emozionali che possono nascere nel <strong>gruppo</strong>.<br />

In questo senso si può parlare <strong>di</strong> un’altra realtà,<br />

ipotizzata 1 , che non è percepibile con i sensi, ma<br />

1 Bateson: “Anche la forza <strong>di</strong> gravità non è altro che<br />

un principio esplicativo. Newton non ha scoperto la<br />

forza <strong>di</strong> gravità, l’ha inventata; ha inventato un prin-<br />

53


54<br />

che esiste e “attingere a questa realtà è importante<br />

perché in essa e attraverso <strong>di</strong> essa si attivano forze<br />

importanti”.<br />

L’analista deve allontanare pensieri e ipotesi<br />

che emergono e se riesce a fare questo, non preoccupandosi<br />

<strong>di</strong> interpretare 2 , o <strong>di</strong> capirne il senso,<br />

ma lasciando comunicare sequenze <strong>di</strong> pensiero<br />

senza relazione tra loro, consentirà il raggiungimento<br />

<strong>di</strong> uno stato <strong>di</strong> quiete “da cui può scaturire<br />

un atteggiamento creativo” (Corrao). Neri: “Se<br />

il terapeuta è in grado <strong>di</strong> creare uno spazio tra i<br />

membri del <strong>gruppo</strong>, poi il resto lo fanno da soli.”<br />

Vi è uno spazio vitale che intercorre tra le ra<strong>di</strong>ci<br />

nelle piante e la terra che le avvolge, nutrendole.<br />

<strong>La</strong> terra permette che le ra<strong>di</strong>ci si “autogenerino” e<br />

affon<strong>di</strong>no più in profon<strong>di</strong>tà. <strong>La</strong> terra non invade le<br />

piante, non entra invasivamente nelle ra<strong>di</strong>ci, ma<br />

crea un ambiente accogliente affi nché trovino nel<br />

loro abitat/humus, il modo migliore <strong>di</strong> svilupparsi<br />

e manifestarsi ciascuno per la propria specie.<br />

Allo stesso modo, il lavoro terapeutico non è<br />

conoscere <strong>di</strong> più, lasciarsi andare ad uno stato confusivo<br />

<strong>di</strong> sensi che permette la <strong>capacità</strong> <strong>negativa</strong>.<br />

Durante un seminario Neri C. afferma: “Non<br />

si tratta <strong>di</strong> conoscenza in senso prelogico, ma <strong>di</strong><br />

attivazione <strong>di</strong> recettività o <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> essere<br />

attraversati, colpiti da un fenomeno e <strong>di</strong> riconoscere<br />

nel fenomeno stesso una <strong>di</strong>namicità evolutiva.”<br />

Il terapeuta non deve emettere dei giu<strong>di</strong>zi o<br />

dare dei consigli, deve con<strong>di</strong>videre, rappresentare,<br />

in<strong>di</strong>viduare fantasie più profonde, trasgressioni o<br />

aspetti <strong>di</strong> personalità. “Noi forniamo un atteggiamento<br />

che permette nell’ambito del nostro lavoro<br />

<strong>di</strong> esprimerle, viverle, capirle e non giu<strong>di</strong>carle.<br />

Non siamo persone che portano una migliore<br />

morale, possiamo portare minore angoscia”. (Neri<br />

C.)<br />

E ancora: “Il lavoro psicoanalitico non è comprensione,<br />

spiegazione ma attivazione <strong>di</strong> forze non<br />

evolute o sconosciute o incistate”.<br />

cipio esplicativo che stabilisce un nesso fra certe regolarità<br />

osservabili e una visione del mondo che a lui<br />

sembrava ragionevole, convincente, affascinante”.<br />

Con ciò si fa riferimento al principio secondo cui la<br />

conoscenza può essere esplorata ed esplicata attraverso<br />

delle ipotesi.<br />

2 Bion: “Lo psicoanalista deve esercitare la sua intuizione<br />

in modo tale che essa non venga danneggiata<br />

dall’intrusione della memosia, del desiderio e della<br />

comprensione”.<br />

Approfon<strong>di</strong>menti tematici<br />

Gli strumenti non sono né i sensi né la conoscenza.<br />

Ci si può solo mettere all’unisono con questa<br />

<strong>di</strong>mensione e ciò si può fare mettendo la mente<br />

in una posizione <strong>di</strong> oscurità. “<strong>La</strong> <strong>capacità</strong> <strong>negativa</strong><br />

è aprire nel <strong>gruppo</strong> uno spazio perché questa<br />

<strong>di</strong>mensione possa emergere, <strong>di</strong> qualcosa che evolve<br />

ma non ha preso ancora una forma. Il contatto<br />

con queste forze ha <strong>di</strong> per sé un valore terapeutico,<br />

come partecipare all’evoluzione <strong>di</strong> qualcosa”.<br />

Silvia Vegetti Finzi <strong>di</strong>ce: “Ma poiché non vi<br />

è senso dell’accadere separato dalle storie che lo<br />

narrano, mi <strong>di</strong>spongo piuttosto all’ascolto. L’analisi<br />

inizia così...”.<br />

A proposito del processo <strong>di</strong> cambiamento<br />

vorrei concludere con le parole <strong>di</strong> Ledvinka: “Ricordate<br />

come cresce il legno: la parte centrale del<br />

tronco è la parte più vecchia ed è quella che muore<br />

prima. Quanto più l’albero è vecchio, tanto più<br />

il tronco è cavo e la vita si sposta nella periferia.<br />

Quella parte morta <strong>di</strong> legno, che sparisce, è come<br />

la vostra vita passata che viene colmata attraverso<br />

il karma.<br />

Quanto più il vecchio viene <strong>di</strong>strutto e abbandonato,<br />

tanto più la nuova esperienza è giovane,<br />

fresca e luminosa. Ancora una volta vi invito a lasciare<br />

cadere il passato e ad accogliere il nuovo. Il<br />

vecchio, non lo <strong>di</strong>menticate, è stato creato da voi,<br />

così come il nuovo viene creato da voi. Fate attenzione:<br />

usate la vostra consapevolezza. Non usate<br />

la vostra forza creatrice per ricostruire continuamente<br />

il vecchio. <strong>La</strong>sciate che muoia.”<br />

Bibliografi a<br />

Anzieu D., Il <strong>gruppo</strong> e l’inconscio, ed. Borla,<br />

Roma, 1976<br />

Estés C.P., Il giar<strong>di</strong>niere dell’anima, ed Frassinelli,<br />

1996<br />

Ikeda D., I misteri <strong>di</strong> nascita e morte, ed, Esperia,<br />

Milano, 1998<br />

Ledvinka F., Ascolta il tuo cuore, ed. Me<strong>di</strong>terranee,<br />

1996<br />

Neri C., <strong>La</strong> <strong>capacità</strong> <strong>negativa</strong> <strong>dello</strong> <strong>psicoterapista</strong><br />

<strong>di</strong> <strong>gruppo</strong>, Appunti Seminario SGAI, 2007<br />

Neri C., Gruppo, ed. Borla, Roma, 1996<br />

Rivista Italiana <strong>di</strong> Gruppoanalisi, Il signifi cato<br />

<strong>di</strong> “senza memoria e desiderio” <strong>di</strong> Bion, ed.<br />

FrancoAngeli, Milano,Vol. XX - n. 3/2006<br />

Vigetti Finzi S., Il bambino della notte, Arnaldo<br />

Mondadori E<strong>di</strong>tore, Milano, 2001<br />

Violante a., Potatura & innesti, ed. Zeus, <strong>La</strong> Spezia,<br />

2001.


Approfon<strong>di</strong>menti tematici<br />

Formazione del volontario<br />

in Cure palliative<br />

Dr.ssa Ivana Romanello - Psicologa Psicoterapeuta, Fondazione ANT ITALIA ONLUS<br />

Ogni esperienza <strong>di</strong> malattia<br />

si svolge lungo tre <strong>di</strong>mensioni<br />

principali, tra loro strettamente<br />

correlate: la <strong>di</strong>mensione biologica,<br />

quella psichica e quella sociorelazionale.<br />

Nell’ambito oncologico,<br />

più che mai, la <strong>di</strong>mensione<br />

psicosociale svolge un ruolo fondamentale.<br />

<strong>La</strong> <strong>di</strong>agnosi e i trattamenti del<br />

tumore sono eventi che precipitano<br />

sugli in<strong>di</strong>vidui, rompono i loro<br />

equilibri personali e<br />

familiari, determinano<br />

situazioni <strong>di</strong><br />

grave stress a livello<br />

somato-psichico.<br />

<strong>La</strong> <strong>di</strong>agnosi <strong>di</strong> tumore,<br />

infatti, attiva<br />

sempre le angosce<br />

<strong>di</strong> morte da parte<br />

dei pazienti e dei<br />

familiari, invertendo<br />

la normale tendenza<br />

del pensiero<br />

umano che è quella<br />

della progettualità<br />

futura, dell’esserci<br />

sempre con le<br />

abilità adeguate,<br />

dell’aver tempo<br />

<strong>di</strong> compiere le proprie cose e <strong>di</strong><br />

“risolvere”i propri legami; pone,<br />

anche, la fatica <strong>di</strong> seguire un iter<br />

terapeutico complesso, stressante,<br />

fatto <strong>di</strong> visite, controlli, chemioterapie.<br />

Ancor <strong>di</strong> più ciò è vero se<br />

ci si trova ad uno sta<strong>di</strong>o avanzato<br />

<strong>di</strong> malattia e si è stati posti, in<br />

maniera più o meno esplicita, <strong>di</strong><br />

fronte alla prospettiva, un po’ paradossale,<br />

che “non c’è più niente<br />

da fare”. E’qui che, in realtà, si<br />

apre il campo delle cure palliative<br />

ovvero <strong>di</strong> cure che possano per-<br />

mettere alla persona e ai suoi familiari<br />

<strong>di</strong> affrontare quest’ultima<br />

fase della vita con <strong>di</strong>gnità sia sul<br />

piano fi sico che su quello psicologico.<br />

<strong>La</strong> malattia oncologica in fase<br />

avanzata pone la persona <strong>di</strong> fronte<br />

ad una crisi dell’idea <strong>di</strong> se stesso<br />

( da persona sana, a persona malata<br />

vicina alla morte), ad una crisi<br />

della prospettiva futura (non c’è<br />

più progettualità possibile), ad una<br />

crisi del senso della propria vita<br />

(non sono più utile a nessuno).<br />

Anche a livello familiare ci sono<br />

scossoni importanti: cambiano,<br />

per esempio, i ruoli (per es.: chi<br />

farà ciò che il paziente faceva?),<br />

cambia la comunicazione (spesso<br />

non si può più parlare in modo autentico,<br />

si cerca <strong>di</strong> controllare le<br />

proprie emozioni per proteggersi<br />

a vicenda), cambia la prospettiva<br />

<strong>di</strong> ciascuno perché ci si confronta<br />

anche con la precarietà della propria<br />

vita.<br />

Tutto questo è vissuto in maniera<br />

<strong>di</strong>fferente a seconda, poi,<br />

dell’età del paziente (è sicuramente<br />

<strong>di</strong>verso se si tratta <strong>di</strong> una<br />

persona giovane magari ancora<br />

incompiuta nella propria vita, da<br />

una persona più anziana che ha già<br />

realizzato tante cose); dalla personalità<br />

(ci sono persone che accettano<br />

<strong>di</strong> più l’essere <strong>di</strong>pendenti, altre<br />

che si sentono profondamente<br />

inutili a vivere questa con<strong>di</strong>zione<br />

“down”); dal ruolo<br />

in famiglia (è<br />

<strong>di</strong>verso se si tratta<br />

<strong>di</strong> un genitore che<br />

assolveva tanti<br />

compiti <strong>di</strong> responsabilità<br />

a cui non<br />

può più adempiere,<br />

da una persona più<br />

anziana con meno<br />

compiti evolutivi),<br />

dalla durata della<br />

malattia (<strong>di</strong>verso è<br />

se un paziente combatte<br />

la malattia da<br />

<strong>di</strong>verso tempo e in<br />

qualche modo è<br />

stanco ed ha avuto<br />

la possibilità <strong>di</strong> accettare<br />

quanto gli sta accadendo,<br />

da un paziente che invece non<br />

ha potuto fare nessun trattamento<br />

perché ineffi cace rispetto alla<br />

natura del suo tumore), dalla performance<br />

indotta dalla malattia<br />

(ci sono tumori che portano via la<br />

persona molto prima dell’effettiva<br />

<strong>di</strong>partita: per es. alcuni tumori cerebrali).<br />

I vissuti familiari anche cambiano<br />

a seconda <strong>dello</strong> sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong><br />

vita della famiglia (spesso per<br />

esempio nelle famiglie giovani<br />

55


intervengono sempre le famiglie<br />

d’origine nella cura e nella gestione<br />

della malattia, creando così un<br />

contesto più complicato attorno al<br />

paziente), del modo <strong>di</strong> comunicare<br />

all’interno <strong>di</strong> essa (ci sono famiglie<br />

che da sempre hanno rapporti<br />

più fred<strong>di</strong>, per cui, il non parlare<br />

degli aspetti <strong>di</strong> sofferenza è piuttosto<br />

naturale, mentre per altre famiglie<br />

segna un cambiamento che<br />

genera ulteriore sofferenza), dalle<br />

storie familiari (ci sono famiglie<br />

che si portano <strong>di</strong>etro confl itti che<br />

si rinnovano in queste circostanze,<br />

oppure, si portano <strong>di</strong>etro tanti<br />

traumi, per cui c’è una percezione<br />

ancor più amplifi cata del dramma<br />

che si sta vivendo).<br />

In tutti i casi, la sofferenza<br />

la fa da padrona ed è importante<br />

riuscire a costruire una rete <strong>di</strong><br />

aiuto attorno al paziente e alla sua<br />

famiglia che possa permetterne<br />

l’espressione e la cura, in vista <strong>di</strong><br />

un adattamento possibile attorno<br />

alla morte.<br />

<strong>La</strong> rete deve contemplare relazioni<br />

d’aiuto effi caci: la relazione<br />

d’aiuto può <strong>di</strong>ventare tale quando<br />

l’operatore è in grado <strong>di</strong> costruire<br />

un percorso <strong>di</strong> cura con il paziente<br />

e la sua famiglia che contempli gli<br />

aspetti fi sici del malessere insieme<br />

a quelli emozionali e interpersonali.<br />

Non esiste cura del corpo<br />

senza cura dell’anima. Ciò che<br />

cura, infatti, non è mai questo farmaco,<br />

quella tecnica, o la singola<br />

terapia. Il vero potere curativo sta<br />

nel legame, nella relazione che si<br />

sviluppa tra i sistemi impegnati<br />

nel processo <strong>di</strong> cura.<br />

Agli operatori “professionisti”<br />

(me<strong>di</strong>ci, infermieri, psicologi)<br />

impegnati in questo percorso, si<br />

affi ancano da tempo anche i volontari<br />

che offrono il proprio aiuto.<br />

Il volontario <strong>di</strong>venta “un amico<br />

<strong>di</strong> famiglia” attento e generoso, e<br />

come tale si mette al servizio dei<br />

bisogni del paziente e della sua fa-<br />

56<br />

miglia <strong>di</strong>ventando un amico prezioso<br />

con cui si possono con<strong>di</strong>videre<br />

“gioie e dolori”e a cui si può<br />

chiedere anche dei favori pratici.<br />

Dunque, il volontario nelle<br />

cure palliative <strong>di</strong>viene un testimone<br />

e un portavoce <strong>di</strong> una fase delicatissima<br />

della vita, e si confronta<br />

in prima persona con la drammaticità<br />

della morte. L’impatto<br />

emozionale è quin<strong>di</strong> particolarmente<br />

duro ed è per questo che la<br />

formazione <strong>di</strong>venta un momento<br />

in<strong>di</strong>spensabile per chi con entusiasmo<br />

e motivazione vuole offrire<br />

il proprio aiuto. Spesso, infatti,<br />

la motivazione alla base è data da<br />

esperienze <strong>di</strong> sofferenza passata<br />

che se da una parte avvicinano a<br />

chi chiede aiuto, dall’altra confondono,<br />

inducendo a comportamenti<br />

non rispondenti ai reali bisogni<br />

dei pazienti e delle loro famiglie.<br />

Il fare volontariato può per<br />

esempio essere un modo inconscio<br />

per con<strong>di</strong>videre o elaborare la<br />

propria sofferenza, o per riempire<br />

i “propri vuoti”, non per de<strong>di</strong>carsi<br />

veramente ai bisogni <strong>di</strong> chi chiede<br />

aiuto. Ciò induce a grossolani<br />

errori relazionali che possono<br />

<strong>di</strong>ventare frustranti esperienze <strong>di</strong><br />

aiuto, sia per i volontari che per i<br />

pazienti. In virtù <strong>di</strong> ciò la formazione<br />

del volontario si pone come<br />

un’importante momento <strong>di</strong> rifl essione<br />

sulla propria vita, sul proprio<br />

modo <strong>di</strong> essere e sul contesto<br />

in cui si vorrà operare.<br />

Presupposto fondamentale<br />

<strong>di</strong>viene il saper riconoscere e<br />

guardare ai propri comportamenti<br />

defi nendoli come reazioni emozionali<br />

a ciò che gli altri fanno o<br />

<strong>di</strong>cono. Ciò, infatti, è particolarmente<br />

importante nelle relazioni<br />

d’aiuto che sono sempre attivate<br />

da uno stato <strong>di</strong> necessità, <strong>di</strong> bisogno,<br />

<strong>di</strong> sofferenza. In queste<br />

circostanze, infatti, si attivano facilmente<br />

i tratti più primitivi della<br />

personalità, essendo quelli che per<br />

Approfon<strong>di</strong>menti tematici<br />

primi sono stati utilizzati come<br />

meccanismi <strong>di</strong>fensivi durante le<br />

tappe evolutive <strong>di</strong> ciascuno. Sono<br />

proprio quei tratti che ne hanno<br />

permesso l’adattamento, ma che<br />

potrebbero non essere funzionali<br />

nell’attualità o nello specifi co rapporto<br />

interpersonale.<br />

Imparare a conoscere i propri<br />

comportamenti <strong>di</strong>viene, dunque,<br />

un’importante fattore <strong>di</strong> cura e <strong>di</strong><br />

benessere, sia per l’operatore volontario<br />

che per il paziente. Ciò<br />

signifi ca saper guardare al “proprio<br />

modo <strong>di</strong> essere”. Ma cos’è il<br />

modo <strong>di</strong> essere?<br />

Possiamo <strong>di</strong>videre il modo <strong>di</strong><br />

essere in una parte “esterna” ed in<br />

una “interna”. Per “parte esterna”<br />

si intende ciò che si vede, ovvero<br />

il modo con cui ciascuno si presenta<br />

al mondo esterno. Per “parte<br />

interna” si intende ciò che non si<br />

vede, ovvero i pensieri, le emozioni,<br />

che sono dentro una persona,<br />

e che fanno da fi ltro interpretativo<br />

della realtà. E’ il proprio<br />

punto <strong>di</strong> vista sul mondo e su ciò<br />

che vi accade. Le “due parti” sono<br />

collegate, nel senso che il proprio<br />

“punto <strong>di</strong> vista” (modo <strong>di</strong> essere<br />

“interno”) infl uenza il modo con<br />

cui ci si presenta <strong>di</strong> fronte alla realtà<br />

(modo <strong>di</strong> essere “esterno”).<br />

Inoltre, il modo <strong>di</strong> essere “interno”<br />

trova senso e signifi cato nella<br />

propria storia e cultura familiare.<br />

Lo scegliere <strong>di</strong> de<strong>di</strong>carsi agli<br />

altri fa parte del proprio modo <strong>di</strong><br />

essere e trova ragioni nella propria<br />

storia <strong>di</strong> vita. Ognuno, infatti,<br />

ha un proprio modo <strong>di</strong> affrontare,<br />

sentire, aiutare che deriva dalle<br />

vicissitu<strong>di</strong>ni della propria vita e<br />

delle generazioni passate.<br />

Per comprendere ciò possiamo<br />

rifl ettere sulle seguenti domande:<br />

Come ci siamo sentiti quando<br />

abbiamo sofferto?<br />

Come abbiamo reagito?<br />

Come siamo stati aiutati?<br />

<br />

Chi abbiamo visto soffrire?


Come ha reagito?<br />

Come è stato aiutato?<br />

E ancora, andando in<strong>di</strong>etro nel<br />

tempo:<br />

Come è stata affrontata la<br />

sofferenza dalle generazioni<br />

passate?<br />

Oggi, nel contesto <strong>di</strong> lavoro,<br />

reagiamo alla sofferenza<br />

come allora?<br />

Ci aspettiamo che il paziente<br />

reagisca allo stesso nostro<br />

modo o <strong>di</strong> chi abbiamo<br />

visto soffrire?<br />

Ci aspettiamo che il paziente<br />

chieda lo stesso tipo <strong>di</strong><br />

aiuto che avremmo chiesto<br />

noi?<br />

Aiutiamo il paziente allo<br />

stesso modo <strong>di</strong> come abbiamo<br />

aiutato un nostro familiare?<br />

Aiutiamo il paziente allo<br />

stesso modo <strong>di</strong> come ci hanno<br />

aiutato in famiglia?<br />

Aiutiamo il paziente allo<br />

stesso modo <strong>di</strong> come abbiamo<br />

visto aiutare un familiare?<br />

Rispondendo a queste domande<br />

ci accorgeremmo che il modo <strong>di</strong><br />

sentire, reagire e affrontare la sofferenza,<br />

e quello che ci si aspetta<br />

dal paziente, è specifi co per ognuno<br />

<strong>di</strong> noi. Esso può essere uguale<br />

a ciò che c’è stato tramandato o<br />

anche opposto, come una reazione<br />

a un modo <strong>di</strong> fare che è sembrato<br />

giusto, e quin<strong>di</strong>, da ripetere o,<br />

al contrario, ingiusto ed errato e,<br />

quin<strong>di</strong>, da cambiare.<br />

In questo senso ciascuno, operatore<br />

volontario o paziente, ha<br />

un proprio modo <strong>di</strong> sentire ed affrontare<br />

il dolore che non sempre<br />

si “incontrano”. Entrando ancora<br />

più nello specifi co, chi si occupa<br />

della sofferenza degli altri, spesso,<br />

se ne è già occupato nella propria<br />

famiglia d’origine. In questo<br />

caso <strong>di</strong>venta opportuno rifl ettere<br />

sulle seguenti domande:<br />

Come se n’è occupato?<br />

Perché se ne è occupato<br />

proprio lui/lei?<br />

Che cosa si porta <strong>di</strong>etro <strong>di</strong><br />

questa esperienza?<br />

Può occuparsene allo stesso<br />

modo con altre persone?<br />

Spesso, inconsapevolmente, si<br />

crede <strong>di</strong> sì, ma in realtà non è proprio<br />

così. Esemplifi cando, all’interno<br />

dell’analoga motivazione<br />

che è quella <strong>di</strong> lenire le sofferenze<br />

<strong>di</strong> un familiare, si possono ritrovare<br />

due tipi <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento:<br />

l’uno riguarda l’aspettativa <strong>di</strong><br />

avere una sorta <strong>di</strong> applauso, come<br />

<strong>di</strong>re: “il mio modo <strong>di</strong> aiutare farà<br />

stare bene gli altri e loro me lo<br />

riconosceranno”; l’altro riguarda<br />

quello <strong>di</strong> dare senso a se stessi,<br />

come <strong>di</strong>re: “aiutando gli altri, loro<br />

staranno meglio ed io mi sentirò<br />

utile”.<br />

In entrambi i casi, l’operatore<br />

volontario si muoverà, inconsapevolmente,<br />

in linea con il suo<br />

appren<strong>di</strong>mento primario. Ma che<br />

rischi si corrono quando questi<br />

appren<strong>di</strong>menti non sono consapevoli<br />

e <strong>di</strong>ventano rigi<strong>di</strong>?<br />

Nel primo tipo <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento,<br />

l’operatore volontario non<br />

accetterà che il paziente possa<br />

chiedere una forma <strong>di</strong> aiuto <strong>di</strong>versa<br />

dal proprio modo <strong>di</strong> operare,<br />

che ritiene ineccepibile. Si sentirà<br />

dunque offeso e non apprezzato, e<br />

fi nirà per allontanarsi dal paziente.<br />

Non potrà così “far tesoro” delle<br />

critiche ricevute per sintonizzarsi<br />

con lui/lei. Nel secondo tipo <strong>di</strong><br />

appren<strong>di</strong>mento, l’operatore volontario<br />

sarà troppo <strong>di</strong>sponibile ad<br />

ogni richiesta, fi nendo per essere<br />

ipercoinvolto nella vicenda emozionale<br />

e perdendo, così, quella<br />

<strong>di</strong>stanza necessaria a far sì che il<br />

paziente possa “poggiarsi sulla<br />

sua spalla”.<br />

Questi rappresentano i due<br />

poli estremi <strong>di</strong> un continuum al<br />

cui interno possono trovarsi <strong>di</strong>-<br />

Approfon<strong>di</strong>menti tematici<br />

verse sfumature. In ogni caso<br />

sono importanti elementi che con<strong>di</strong>zionano<br />

la relazione d’aiuto. Il<br />

riconoscerli aiuta a non esserne<br />

con<strong>di</strong>zionati, nel senso <strong>di</strong> poter<br />

entrare nell’universo <strong>di</strong> chi chiede<br />

aiuto più liberamente, cercando<br />

<strong>di</strong> rispondere alle esigenze del<br />

paziente, non inconsapevolmente<br />

alle proprie.<br />

I temi trattati dallo psicologo,<br />

dal me<strong>di</strong>co, dall’infermiere e<br />

dai volontari stessi che hanno già<br />

esperienza, riguardano dunque:<br />

il contesto delle cure palliative,<br />

il processo <strong>di</strong> malattia, la relazione<br />

d’aiuto, la comunicazione,<br />

l’abbandono e l’accanimento terapeutico,<br />

le relazioni familiari.<br />

I temi sono trattati con lezioni<br />

frontali ed esperienziali: si lavora<br />

soprattutto sul riconoscimento e il<br />

racconto delle proprie emozioni,<br />

delle proprie sofferenze e del proprio<br />

modo <strong>di</strong> essere oltre che della<br />

propria famiglia. In questo modo,<br />

la formazione proposta permette<br />

<strong>di</strong> rendere i “buoni propositi” del<br />

volontario in “buone pratiche” <strong>di</strong><br />

aiuto attraverso la con<strong>di</strong>visione<br />

e l’analisi delle proprie “visione<br />

cieche” in <strong>gruppo</strong>.<br />

Il <strong>gruppo</strong>, poi, <strong>di</strong>venta “il luogo<br />

sicuro”dove ci si può raccontare<br />

e con<strong>di</strong>videre, preparando,<br />

poi, il volontario a fare questo<br />

anche dopo, quando, entrando più<br />

a contatto con il paziente e la sua<br />

famiglia, ne vive tutta l’esperienza<br />

drammatica. Il <strong>gruppo</strong> è rappresentato<br />

anche dall’equipè degli<br />

operatori che a loro volta, partecipano<br />

con i <strong>di</strong>versi punti <strong>di</strong> vista<br />

e integrano gli uni con gli altri le<br />

proprie competenze. Si crea, così,<br />

un circolo virtuoso per entrambi,<br />

volontari ed operatori, che possono<br />

trovare un luogo <strong>di</strong> con<strong>di</strong>visione<br />

e rifl essione importante e<br />

affrontare al meglio le richieste<br />

date dall’assistere i pazienti e le<br />

loro famiglie.<br />

57


Bibliografi a<br />

ANDREOLI V., Capire il dolore.<br />

Perché la sofferenza lasci spazio<br />

alla gioia, BUR, Agosto 2007<br />

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CARLI L. (a cura <strong>di</strong>), Dalla <strong>di</strong>ade<br />

alla famiglia. I legami <strong>di</strong> attaccamento<br />

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Raffaello Cortina E<strong>di</strong>tore, 1999<br />

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DE FALCO F., Psicologia in oncologia,<br />

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1997<br />

MORASSO G., DI LEO S. (2002), Il<br />

paziente in fase avanzata: aspetti<br />

psico-relazionali, in MERCA-<br />

DANTE S., RIPAMONTI C.<br />

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in oncologia. Aspetti clinici,<br />

assistenziali e organizzativi,<br />

Masson, Milano<br />

ONNIS L. (A cura <strong>di</strong>), Legami che<br />

creano, legami che curano.<br />

Attaccamento: una teoria ponte<br />

per le psicoterapie, Bollati<br />

Boringhieri, Torino, Settembre<br />

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2004<br />

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JACKSON D.D. (1967) Pragmatica<br />

della comunicazione, tr.<br />

it. Astrolabio, Roma, 1971.<br />

58<br />

Approfon<strong>di</strong>menti tematici<br />

Analgesia e Anestesia Ipnotica<br />

in Phacoemulsifi cation<br />

Dott. Mirco Turco<br />

Introduzione<br />

L’ipnosi e la terapia ipnotica appaiono approcci strategici per la risoluzione<br />

<strong>di</strong> svariate problematiche psicologiche ed al contempo costituiscono<br />

anche strumenti elettivi nella pratica me<strong>di</strong>ca in generale e in<br />

me<strong>di</strong>cina <strong>di</strong> urgenza, chirurgia, ostetricia, odontoiatria, malattie gravi.<br />

Questo versante però è ancora poco conosciuto e <strong>di</strong>ffuso in Italia. Esistono,<br />

inoltre, evidenze sull’applicabilità dell’ipnosi nella terapia antalgica,<br />

nell’analgesia e nell’anestesia (Antonelli, 2003; De Bene<strong>di</strong>ttis e<br />

Poggi, 1989; Derbyshire et al, 2004; Elkins et al, 2006; Feldman, 2004;<br />

Hilgard e Hilgaard, 1994; Hofbauer et al, 2001; Luchetti, 2004; Porter,<br />

Davis e Keefe, 2007; Price, 1996; Turco, 2011; Wik et al, 1999).<br />

Scopo del presente lavoro è illustrare come in ambito microchirurgico<br />

si possa incidere positivamente sui livelli <strong>di</strong> ansia e stress pre-operatorio<br />

e si possano far condurre interventi peculiari, attraverso analgesia<br />

e anestesia ipnotica. Nello specifi co, è stata applicata la tecnica <strong>di</strong><br />

analgesia ed anestesia ipnotica nella phacoemulsifi cation. Per phacoemulsifi<br />

cation si intende un tipo <strong>di</strong> chirurgia della cataratta, attraverso<br />

irrigazioni, ultrasuoni ed aspirazioni. Di norma, per la procedura <strong>di</strong> facoemulsifi<br />

cazione la tecnica anestesiologica più utilizzata è la anestesia<br />

topica che può essere associata a quella intracamerulare.<br />

<strong>La</strong> maggior paura per i pazienti che si sottopongono ad intervento <strong>di</strong><br />

cataratta è rappresentata dalla possibilità <strong>di</strong> sentire dolore, <strong>di</strong> muovere<br />

l’occhio, <strong>di</strong> non riuscire a stare fermi per un tempo suffi ciente.<br />

Durante la procedura i pazienti sperimentano spesso le seguenti sensazioni:<br />

no light perception (4.6%), light perception (97.7%), one or<br />

more colours (95.5%), fl ashes of light (77.3%), movements (90.9%), instruments<br />

(61.4%), surgeon’s hands/fi ngers (56.8%), surgeon (47.7%)<br />

and change in brightness of light (90.9%). Il senso <strong>di</strong> <strong>di</strong>sagio e paura<br />

può aumentare signifi cativamente per l’intervento del secondo occhio.<br />

Anche se quasi tutti i pazienti riferiscono al chirurgo <strong>di</strong> aver paura <strong>di</strong><br />

provare quelle sensazioni durante il secondo intervento e un counseling<br />

pre-operatorio potrebbe servire a ridurre questo stato <strong>di</strong> ansia, soltanto<br />

una piccolissima, quasi nulla, percentuale <strong>di</strong> chirurghi mette in atto<br />

questo sistema.<br />

Il presente lavoro sottolinea, ancora nuovamente, le possibilità strategiche<br />

e pragmatiche <strong>di</strong> un supporto <strong>di</strong> tipo psicologico in contesti<br />

ospedalizzati o prettamente <strong>di</strong> tipo me<strong>di</strong>co.<br />

Precisazioni etimologiche ed evidenze scientifi che<br />

L’ipnosi è mo<strong>di</strong>fi cazione transitoria <strong>di</strong> stati fi siologici e <strong>di</strong> sensazioni,<br />

<strong>di</strong> percezioni, pensieri, memorie e comportamenti. Durante l’ipnosi<br />

si assiste ad una mo<strong>di</strong>fi cazione temporanea e funzionale delle sensazioni,<br />

delle percezioni, dei pensieri, della consapevolezza, della memoria<br />

e dei comportamenti. <strong>La</strong> trance ipnotica è strettamente correlata alla fi -<br />

siologia ed alla struttura del sistema nervoso centrale ed autonomo ed è<br />

connessa con tratti personologici, con le aspettative del soggetto, con il


contesto e con la qualità della relazione con l’ipnotista<br />

(Arnold, 1988; De Bene<strong>di</strong>ttis, 1980; Del Castello<br />

e Casilli, 2007, Erickson e Rossi, 1982; Loriedo et al,<br />

2002; Pacori, 2009; Rossi, 1989; Turco, 2011).<br />

L’ipnosi svolge un ruolo attivo e pragmatico nel<br />

controllo del dolore, ad esempio, a partire da strategie<br />

<strong>di</strong> defocalizzazione dell’attenzione. <strong>La</strong> con<strong>di</strong>zione<br />

ipnotica sarebbe in grado <strong>di</strong> modulare dei sistemi<br />

sensoriali afferenti, sopprimendo anche alcuni<br />

rifl essi segmentari locali. Essa è, comunque, legata<br />

al livello <strong>di</strong> ipnotizzabilità del soggetto. L’ipnosi sarebbe<br />

idonea per alleviare la componente sensoriale<br />

<strong>di</strong>scriminativa dell’esperienza dolorosa oltre alla<br />

componente affettiva (Antonelli, 2003; De Bene<strong>di</strong>ttis<br />

e Poggi, 1989; Derbyshire et al, 2004; Elkins et<br />

al, 2006; Feldman, 2004; Hilgard e Hilgaard, 1994;<br />

Hofbauer et al, 2001; Luchetti, 2004; Porter, Davis<br />

e Keefe, 2007; Price, 1996; Turco, 2011; Wik et al,<br />

1999).<br />

Altri stu<strong>di</strong> specialistici (Antonelli e Marini,<br />

1992; Antonelli, 2005; De Bene<strong>di</strong>ttis e Sironi, 1986;<br />

Ecclestone t al, 2002; Faymonville et al, 2003; Farrel,<br />

<strong>La</strong>ird e Egan, 2005; hilgard, 1994; Hofbaueret al,<br />

1994; Luchetti, 2006; pagano, Akots e Wall, 1988;<br />

Petrovic e Ingvar, 2002; Price, 1996; Rainville et al,<br />

1997; 1999; rainville e Price, 2003Singer et al, 2004;<br />

Turco, 2011; Wik et al, 1999) raggruppano gli effetti<br />

prodotti dall’anelgesia/anestesia ipnotica: <strong>di</strong>ssociazione<br />

funzionale centrale sul neopallio , anzi, doppia<br />

<strong>di</strong>ssociazione, a livello sia della corteccia somatosensoriale<br />

primaria, sia delle classiche aree limbiche<br />

corticali, come suggerito dalla variazione degli EEG<br />

in analgesia ipnotica a livello <strong>di</strong> onde gamma (32-<br />

100 Hz) relative allo scalpo prefrontale; inibizione<br />

spinale <strong>di</strong>scendente sul rifl esso nocicettivo R-III,<br />

inibito per 2/3, con percezione del dolore ridotta<br />

a 1/4; reinterpretazione cognitiva dell’esperienza<br />

dolorosa; <strong>di</strong>sattivazione autonomica centrale, evidenziata<br />

in pupillometria ;inibizione delle capacita’<br />

propriocettive generali, come il senso della posizione<br />

; alterazione della mappa del dolore, con mo<strong>di</strong>fi ca<br />

sia della percezione <strong>dello</strong> stimolo algogeno sia della<br />

sua localizzazione; effetto soverchiante il placebo,<br />

e basato su meccanismi neurali <strong>di</strong>fferenti da quelli<br />

implicati nei processi <strong>di</strong> <strong>di</strong>strazione o <strong>di</strong> riduzione<br />

dell’attenzione; variazioni del fl usso ematico a livello<br />

corticale e cingolare (subcorticale), come rivelato<br />

dalla PET su pazienti ipnotizzati sofferenti <strong>di</strong> fi bromialgia;<br />

coinvolgimento dei centri corticali cingolati<br />

nella modulazione del dolore acuto e cronico; coinvolgimento<br />

corticale anteriore e cerebellare posteriore<br />

se si usano suggestioni <strong>di</strong> aspettativa e <strong>di</strong> certezza<br />

Approfon<strong>di</strong>menti tematici<br />

nell’analgesia; coinvolgimento corticale me<strong>di</strong>ano e<br />

ippocampale se si usano suggestioni ansiogene <strong>di</strong> incertezza<br />

sul dolore.<br />

Evidenze elettroencefaliche mostrano come la<br />

con<strong>di</strong>zione ipnotica produce una riduzione dell’attività<br />

funzionale emisferica sinistra ed una implementazione<br />

<strong>di</strong> quella emisferica destra. <strong>La</strong> riduzione<br />

dell’attività corticale prefrontale sembra essere una<br />

caratteristica <strong>di</strong> tutti gli stati alterati <strong>di</strong> coscienza.<br />

L’ipnosi, quin<strong>di</strong>, non è solo suggestione.<br />

Gli stu<strong>di</strong>, le ricerche e le sperimentazioni condotte<br />

negli ultimi cinquant’anni, <strong>di</strong>mostrano che l’ipnosi<br />

è in grado <strong>di</strong> ridurre o eliminare un vasto numero<br />

<strong>di</strong> dolori, sia sperimentalmente (dolore ischemico, da<br />

pressione, da freddo, da caldo, da stimolazione elettrica),<br />

che clinicamente.<br />

Tipologia <strong>di</strong> intervento<br />

Lo stu<strong>di</strong>o condotto mira sostanzialmente ad evidenziare<br />

che la pratica ipnotica è frutto soprattutto<br />

<strong>di</strong> abilità relazionali e comunicative e che le stesse<br />

possono generare delle sensibili mo<strong>di</strong>fi cazioni <strong>dello</strong><br />

stato <strong>di</strong> coscienza, tali da produrre una vera e propria<br />

“fenomenologia” ipnotica (Erickson e Rossi, 1982;<br />

Pacori, 2009; Turco, 2011). Da rilevare anche che i<br />

pazienti che si sottopongono ad un intervento <strong>di</strong> cataratta,<br />

palesano un certo stato <strong>di</strong> ansia, riscontrabile<br />

attraverso feedback neuro-comportamentali (es. agitazione<br />

psicomotoria, stress, aggressività verbale, irrequietezza<br />

ecc) e che tale stato, attraverso induzioni<br />

ipnotiche tende sostanzialmente a ridursi.<br />

Lo stesso stu<strong>di</strong>o mira, inoltre, a <strong>di</strong>mostrare che<br />

l’ipnosi funziona anche se non si parla <strong>di</strong> ipnosi. <strong>La</strong><br />

scelta velata e strategica <strong>di</strong> non parlare <strong>di</strong> procedura<br />

ipnotica è giustifi cata soprattutto dalla considerazione<br />

del fattore culturale e dall’età me<strong>di</strong>a dei pazienti.<br />

Parlare <strong>di</strong> ipnosi in soggetti che hanno me<strong>di</strong>amente<br />

70 anni, con un livello <strong>di</strong> scolarità me<strong>di</strong>o-bassa,<br />

avrebbe prodotto un ulteriore stato <strong>di</strong> agitazione.<br />

Tale procedura “contraria”, poiché, solitamente<br />

si asserisce che già parlare dell’ipnosi e dei fenomeni<br />

ipnotici produrrebbe già dei cambiamenti o favorirebbe<br />

una certa pre<strong>di</strong>sposizione, palesa nuovamente<br />

che la pratica ipnotica non è solo suggestione.<br />

Campione <strong>di</strong> riferimento e caratteristiche<br />

I pazienti scelti per la procedura ipnotica e per<br />

l’intervento con anestesia ipnotica sono stati selezionati<br />

attraverso alcune risposte ipnotiche palesate che<br />

hanno evidenziato un livello suffi ciente <strong>di</strong> suscettibilità<br />

ipnotica (fi ssazione <strong>dello</strong> sguardo, catalessia, automatismi,<br />

ritardo nelle risposte) o <strong>di</strong> assorbimento.<br />

59


Il <strong>gruppo</strong> sottoposto a procedura <strong>di</strong> anestesia<br />

ipnotica è composto da 17 pazienti: 12 maschi e 5<br />

femmine. Me<strong>di</strong>a età maschi: 72 anni. Me<strong>di</strong>a età femmine:<br />

71 anni. Il 50% del campione <strong>di</strong> riferimento<br />

ha avuto già precedente esperienza operatoria <strong>dello</strong><br />

stesso tipo all’altro occhio (cataratta). In soli 3 pazienti<br />

si è ridotto la quantità <strong>di</strong> anestetico. Nel restante<br />

campione non è stato assolutamente utilizzato.<br />

Descrizione della procedura<br />

Fase <strong>di</strong> selezione<br />

durante<br />

le operazioni <strong>di</strong><br />

vestizione, preparazione<br />

e attesa.<br />

Nella stanza<br />

il <strong>gruppo</strong> <strong>di</strong><br />

persone in fase<br />

pre-operatoria<br />

è me<strong>di</strong>amente<br />

composto da 5<br />

persone. Osservazione,<br />

primo<br />

contatto e prime<br />

procedure<br />

<strong>di</strong> induzione ipnotica<br />

attraverso comunicazione verbale e coerenza<br />

comunicativa non verbale. Utilizzo <strong>di</strong> rapport, calibrazione<br />

e guida. Utilizzo <strong>di</strong> un linguaggio abilmente<br />

vago o Milton Model e utilizzo <strong>di</strong> coman<strong>di</strong> nascosti<br />

e suggestioni ipnotiche <strong>di</strong> tipo “ecologico”. Utilizzo<br />

dei truismi e delle metafore. In tal senso, pur partendo<br />

da una procedura standard defi nita «analgesia<br />

a guanto (Del Castello e Casilli, 2007) si è proceduto<br />

sempre tenendo conto della soggettività e della<br />

singolare esperienza. Durata delle prime induzioni:<br />

circa 15 minuti.<br />

In una fase successiva, i pazienti, transitano in un<br />

altro ambiente nel quale sostano circa 10 minuti ulteriori<br />

prima dell’intervento. Accompagnati a sedersi<br />

attendono in silenzio. In tale fase “delicata” si “rinforzano”<br />

le suggestioni ipnotiche anche e soprattutto<br />

attraverso comunicazione non verbale o “ancore”.<br />

Ultima fase: passaggio nella sala operatoria e assunzione<br />

della posizione per l’intervento. In tale fase<br />

la presenza dell’ipnotista è solo da “spettatore”. <strong>La</strong><br />

presenza <strong>dello</strong> stesso è però palesata e percepita dal<br />

paziente. A fi ne intervento (durata me<strong>di</strong>a 10 minuti),<br />

i pazienti vengono riaccompagnati in sala <strong>di</strong> attesa<br />

per ricevere istruzioni sulla cura e ultime informazioni.<br />

In tale fase si registra una signifi cativa fenomenologia<br />

ipnotica.<br />

60<br />

Approfon<strong>di</strong>menti tematici<br />

Risultati<br />

In primis, il 100% del campione sperimenta<br />

analgesia/anestesia ipnotica. Nessuno ha percepito il<br />

dolore durante l’intervento. Il 50% sperimenta una<br />

contrazione temporale. Il tempo me<strong>di</strong>o percepito<br />

dell’intervento è cioè ridotto. Ritardo temporale ed<br />

economia nei movimenti sono le altre risposte più<br />

frequenti registrate. Si riporta, <strong>di</strong> seguito, tabella riassuntiva<br />

fenomenologia ipnotica.<br />

Tab. 1 – Fenomenologia ipnotica.<br />

Rifl essioni conclusive<br />

L’ipnosi è uno stato naturale, uno strumento utile<br />

nella pratica clinica psicologica e me<strong>di</strong>ca, una forma<br />

elettiva <strong>di</strong> comunicazione e al contempo, una strategia<br />

pragmatica e poliedrica.<br />

Le applicazioni dell’ipnosi in ambito me<strong>di</strong>co trascendono,<br />

inoltre, la mera applicazione clinica. <strong>La</strong><br />

presenza <strong>di</strong> un professionista in campo psicologico,<br />

infatti, <strong>di</strong> un esperto <strong>di</strong> comunicazione e ipnosi, ha<br />

permesso <strong>di</strong> constatare, un netto miglioramento del<br />

“clima ospedaliero” attraverso un approccio <strong>di</strong> deme<strong>di</strong>calizzazione<br />

del rapporto con gli utenti/pazienti.<br />

Anche questa non sembra una scoperta eccezionale<br />

per quanti si occupano <strong>di</strong> psicologia ma è sorprendente<br />

come gli specialisti oculisti coinvolti nella sperimentazione<br />

abbiano colto in modo inequivocabile<br />

tale miglioramento.<br />

Contrariamente alle aspettative e ad alcune rifl<br />

essioni, l’ipnosi è applicabile anche con persone<br />

anziane, soprattutto se consideriamo, nel caso specifi<br />

co, l’età me<strong>di</strong>a dei 70 anni. Anzi, in un certo senso,<br />

le induzioni ipnotiche sono state facilitate e dunque<br />

“ancorate” tenendo conto proprio del vissuto degli<br />

utenti stessi, ricco <strong>di</strong> esperienze, sensazioni, ricor<strong>di</strong>,<br />

vissuti.<br />

Oltre ad ovvi ed opportuni approfon<strong>di</strong>menti, in


un imme<strong>di</strong>ato futuro, la pratica ipnotica dovrebbe<br />

trovare senza dubbio una maggiore applicazione,<br />

poiché procedura preziosa per il benessere psicofi -<br />

sico, poiché forma elettiva e strategica <strong>di</strong> comunicazione<br />

e soprattutto perché “stato naturale” che non<br />

comporta in alcun modo effetti nocivi o collaterali.<br />

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61


62<br />

A tutti noi sembra facile <strong>di</strong>re amore, per meglio<br />

<strong>di</strong>re, amore è una <strong>di</strong> quelle parole che usiamo,<br />

più o meno tutti, a volte anche con una certa <strong>di</strong>sinvoltura,<br />

come se tutti noi fossimo certi <strong>di</strong> sapere <strong>di</strong><br />

che cosa stiamo parlando.<br />

Da un punto <strong>di</strong> vista in superfi cie, ci pare un<br />

concetto univoco, se<strong>di</strong>mentato ormai da tempo nel<br />

collettivo, uguale per tutti.<br />

Salvo poi scoprire, alla prima occasione, che<br />

ognuno <strong>di</strong> noi ha una sua idea dell’amore, a volte<br />

nemmeno tanto precisa, e comunque, l’idea <strong>di</strong><br />

amore non si sovrappone, quasi mai, alla lettera<br />

nemmeno con l’idea <strong>di</strong> amore della persona con<br />

cui, <strong>di</strong> solito, ci accompagniamo nella vita. In genere<br />

lo identifi chiamo con un rapporto <strong>di</strong> coppia, a<br />

prescindere da quale coppia.<br />

Con<strong>di</strong>zionati fortemente da una cultura giudaico-cristiana<br />

e da stereotipi culturali, siamo abituati<br />

a pensare e concepire l’amore come un affare<br />

privato tra due persone, non <strong>di</strong> rado costellato da<br />

una <strong>di</strong>screta dose <strong>di</strong> possessività.<br />

Ebbene non è per tutti così, ci sono in<strong>di</strong>vidui<br />

che amano in modo <strong>di</strong>verso, che possono avere relazioni<br />

multiple <strong>di</strong> cui in parte tutti possono essere<br />

consapevoli e in cui tutti trovano, per certi versi,<br />

il loro spazio, e non è solo una questione <strong>di</strong> insod<strong>di</strong>sfazione,<br />

<strong>di</strong> frustrazione da mènage <strong>di</strong> coppia o<br />

quant’altro.<br />

Stante a numerose ricerche sull’argomento circa<br />

l’80% dei tra<strong>di</strong>menti vengono scoperti, ma un<br />

dato ancor più singolare, che ci obbliga ad una rifl<br />

essione è quello riferito a circa il 70% dei casi in<br />

cui le coppie uffi ciali sopravvivono all’intrusione<br />

<strong>di</strong> una terza persona e, soprattutto, non si separano.<br />

Molte persone intraprendono una psicoterapia<br />

o una analisi in seguito al tra<strong>di</strong>mento, sia che<br />

l’abbiano subito, sia che l’abbiano agito, poiché<br />

per loro rappresenta comunque un evento che si<br />

costella attraverso un <strong>di</strong>sagio; <strong>di</strong> solito seguono<br />

mutamenti improvvisi nella coppia, che si accompagnano<br />

ai classici sensi <strong>di</strong> colpa ed ad una inevi-<br />

Approfon<strong>di</strong>menti tematici<br />

L’o<strong>di</strong>erna leggerezza del tra<strong>di</strong>re...<br />

Una lett ura psicologico analitica<br />

Dott. Rosario Puglisi, Psicologo analista C.I.P.A. (Centro Italiano <strong>di</strong> Psicologia Analitica)<br />

Didatta e docente C.I.P.A., Membro I.A.A.P. (International Association for Analytical Psychology)<br />

Dirigente psicologo psicoterapeuta DSM ASL/Lecce c/o CSM <strong>di</strong> Casarano<br />

tabile conseguente crisi in<strong>di</strong>viduale.<br />

Così come è stato descritto da molti autori il<br />

tra<strong>di</strong>mento è come una tempesta che sra<strong>di</strong>ca tutto<br />

ciò che si è costruito, portando con se un forte senso<br />

<strong>di</strong> angoscia, oserei <strong>di</strong>re, <strong>di</strong> vera e propria morte<br />

psichica, <strong>di</strong> solito logora l’esistenza delle persone<br />

coinvolte che hanno un urgente bisogno <strong>di</strong> un<br />

ra<strong>di</strong>cale rinnovamento, pena il lento deca<strong>di</strong>mento<br />

affettivo nei singoli in<strong>di</strong>vidui.<br />

Nel mondo Greco a <strong>di</strong>fferenza del nostro, la<br />

parte istintiva e Panica della vita non veniva sedata,<br />

o repressa, a <strong>di</strong>scapito dell’intellettualizzazione,<br />

come invece spesso avviene nel mondo<br />

moderno; contrariamente a quanto accade oggi, in<br />

passato, questa parte istintiva e Panica conviveva<br />

nel quoti<strong>di</strong>ano.<br />

Infatti l’espressione fi sica, simbolica o rituale<br />

delle forze paniche, come avveniva, per esempio<br />

nei riti misterici, era fondamentale per mantenere<br />

un equilibrio psichico in<strong>di</strong>spensabile alla vita<br />

dell’uomo.<br />

Come afferma James Hillman, da un punto <strong>di</strong><br />

vista della maturazione psichica in<strong>di</strong>viduale e <strong>di</strong><br />

coppia, il tra<strong>di</strong>mento, in qualsiasi forma esso si<br />

manifesti, appare quantomeno necessario.<br />

Ma perché per noi analisti il tra<strong>di</strong>mento rappresenta<br />

una tappa necessaria da un punto <strong>di</strong> vista<br />

della maturazione psichica?<br />

Innanzitutto perché sembra che cambiamento<br />

e fallimento siano profondamente legati e quin<strong>di</strong> se<br />

non attraversiamo il fallimento, l’errore, la ferita,<br />

la <strong>di</strong>sillusione non saremo in grado né <strong>di</strong> guarire,<br />

né <strong>di</strong> proseguire per la nostra strada.<br />

Di solito se veniamo tra<strong>di</strong>ti possiamo arrabbiarci,<br />

deprimerci, andarcene o rimanere, ma comunque<br />

vada la nostra fi ducia, le nostre sicurezze,<br />

la nostra felicità non saranno mai più riposte ciecamente<br />

sul partner in maniera assoluta, come se egli<br />

fosse un nostro prolungamento.<br />

Solo in questo modo la persona tra<strong>di</strong>ta potrà<br />

uscire da una qualche forma <strong>di</strong> <strong>di</strong>pendenza o <strong>di</strong><br />

delega al partner e iniziare un percorso <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vi-


duazione per sé stessa.<br />

Parafrasando Jung l’in<strong>di</strong>vidualità richiede il<br />

coraggio <strong>di</strong> essere soli e <strong>di</strong> opporsi ad un mondo<br />

che tra<strong>di</strong>sce e banalizza.<br />

Ma vorrei soffermarmi, rifl ettendo assieme a<br />

voi, sul concetto <strong>di</strong> leggerezza preso a prestito dal<br />

libro postumo <strong>di</strong> Italo Calvino Lezioni Americane.<br />

Sei proposte per il prossimo millennio, e<strong>di</strong>to in numerosissime<br />

ristampe, nello specifi co quando Italo<br />

Calvino scrive e cito:<br />

“In certi momenti mi sembrava che il mondo<br />

stesse <strong>di</strong>ventando tutto <strong>di</strong> pietra: una lenta pietrifi -<br />

cazione più o meno avanzata a seconda delle persone<br />

e dei luoghi, ma che non risparmiava nessun<br />

aspetto della vita. Era come se nessuno potesse<br />

sfuggire allo sguardo della Medusa …… L’unico<br />

eroe capace <strong>di</strong> tagliare la testa della Medusa è<br />

Perseo, che vola coi sandali alati, Perseo che non<br />

rivolge il suo sguardo sul volto della Gorgone ma<br />

solo sull’immagine rifl essa nello scudo <strong>di</strong> bronzo.”<br />

(1)<br />

Perseo si sostiene su ciò che vi è <strong>di</strong> più leggero<br />

in natura, i venti e le nuvole; ma soprattutto spinge<br />

il suo sguardo su ciò che può rivelarglisi solo in<br />

una visione in<strong>di</strong>retta, in un immagine catturata da<br />

uno specchio.<br />

Parafrasando Calvino, Perseo viene in soccorso<br />

nella nostra rifl essione, per tagliare la testa <strong>di</strong><br />

Medusa/tra<strong>di</strong>mento senza lasciarci pietrifi care.<br />

Il mio modesto ruolo, con<strong>di</strong>zionato dalla mia<br />

professione <strong>di</strong> analista, non è quello <strong>di</strong> mostrarmi<br />

dabbene o ipocrita, ma quello <strong>di</strong> proporre una<br />

attenta analisi <strong>di</strong> squarci <strong>di</strong> realtà e <strong>di</strong> sollevare,<br />

soprattutto, interrogativi su noi stessi e sulle nostre<br />

certezze.<br />

Approfon<strong>di</strong>menti tematici<br />

Credo che dobbiamo prima <strong>di</strong> tutto<br />

chiederci ognuno <strong>di</strong> noi cosa inten<strong>di</strong>amo<br />

per tra<strong>di</strong>mento. E, soprattutto, con<br />

onesta intellettuale, chiederci se siamo<br />

proprio sicuri che un solo amore ci basti?<br />

Ovviamente non è il tentativo <strong>di</strong> stimolare<br />

nuovi appetiti magari legati al<br />

sogno <strong>di</strong> una forma <strong>di</strong> comportamento<br />

<strong>di</strong>ssoluto e neanche la traduzione pratica<br />

<strong>di</strong> una vecchia battuta <strong>di</strong> Zsa Zsa<br />

Gabon, attrice ungherese naturalizzata<br />

statunitense, famosa per aver lavorato<br />

con registi del calibro <strong>di</strong> Orson Welles,<br />

John Huston e Vincent Minnelli,<br />

frase questa secondo la quale ogni<br />

donna avrebbe bisogno “<strong>di</strong> un uomo<br />

comprensivo e tenero, <strong>di</strong> un uomo appassionato,<br />

<strong>di</strong> un uomo che paghi lo shopping e, soprattutto,<br />

che tutti questi uomini non si incontrano mai”.<br />

Semmai è il tentativo <strong>di</strong> capire l’o<strong>di</strong>erno tra<strong>di</strong>re<br />

nella coppia attraverso due chiavi <strong>di</strong> lettura:<br />

1)<br />

2)<br />

la prima legata, a mio avviso, ad una sorta<br />

<strong>di</strong> ritorno all’antico, riferendomi al mondo<br />

greco costellato dalle forze paniche e dai<br />

riti misterici;<br />

la seconda chiave <strong>di</strong> lettura è proprio la<br />

leggerezza, presa a prestito da Calvino, che<br />

eviterebbe così la pietrifi cazione.<br />

E’ su principi come questi che si basa un fenomeno<br />

emergente che costella soprattutto i giovani<br />

e non solo, e che, con un orribile neologismo, i<br />

sociologi hanno battezzato con il termine <strong>di</strong> “poliamorismo”.<br />

Certo, nulla <strong>di</strong> nuovo sotto questo cielo, gli<br />

amori multipli non sono una cosa nuova, sono da<br />

sempre esistiti, tuttavia è il nuovo modo <strong>di</strong> gestire<br />

i comportamenti e gli agiti dei protagonisti, con le<br />

conseguenti emozioni che prendono corpo in tutto<br />

questo, che, a mio avviso, rende il fenomeno del<br />

tutto nuovo ed interessante.<br />

Non so se defi nirla una fortuna o cos’altro, ma<br />

il “poliamorismo” è uno stile <strong>di</strong> vita minoritario<br />

ma in rapida crescita anche nel nostro paese.<br />

Parafrasando Elisabeth Sheff, sociologa statunitense<br />

che è stata tra le prime a stu<strong>di</strong>are il fenomeno,<br />

si può defi nire poliamore una relazione aperta<br />

non monogamica, in cui le persone coinvolte sono<br />

a conoscenza <strong>di</strong> quanto avviene tra i <strong>di</strong>versi partner<br />

e, soprattutto, uomini e donne hanno ruoli assolutamente<br />

paritari. (2)<br />

63


64<br />

E qui sono doverosi i <strong>di</strong>stinguo. A <strong>di</strong>spetto<br />

delle apparenze, il poliamorismo ha poco a che<br />

vedere con i classici triangoli lui/lei/amante della<br />

tra<strong>di</strong>zione borghese. <strong>La</strong> parola chiave per defi nire<br />

questa relazione è “franchezza” anche se il grado<br />

<strong>di</strong> coinvolgimento del proprio partner e la quantità<br />

delle informazioni scambiate, possono variare.<br />

Altro <strong>di</strong>stinguo e quello <strong>di</strong> non aver nulla a che<br />

vedere con il classico scambio <strong>di</strong> coppia o con il<br />

semplice libertinaggio. Qui non si parla <strong>di</strong> avventure<br />

e non si tratta solo <strong>di</strong> sesso, ma <strong>di</strong> una vera e<br />

propria relazione caratterizzata da scambi emotivi,<br />

più o meno, signifi cativi.<br />

Altro <strong>di</strong>stinguo è quello <strong>di</strong> non avere niente a<br />

che fare con le regole della poligamia islamica, anche<br />

se, ad onor del vero, in questo caso sarebbe più<br />

corretto parlare <strong>di</strong> poliginia, dato che la relazione è<br />

costituita da un solo uomo con più mogli.<br />

Curiosamente a quanto dovrebbe accadere,<br />

sono soprattutto i sociologi a stu<strong>di</strong>are il fenomeno<br />

del poliamorismo nell’o<strong>di</strong>erna società, dove vengono<br />

analizzate <strong>di</strong> più le variabili comportamentali<br />

rispetto alle notevoli implicazioni emotive.<br />

Tuttavia esiste un’interessante ricerca condotta<br />

nel 1982 da due psicologi americani, Hymer e Rubin,<br />

che hanno chiesto ad un <strong>gruppo</strong> <strong>di</strong> colleghi <strong>di</strong><br />

immaginare il profi lo psicologico dei poliamoristi.<br />

Ebbene per il 24% degli psicologi intervistati questo<br />

stile <strong>di</strong> vita in<strong>di</strong>cherebbe un timore dell’impegno<br />

e dell’intimità.<br />

Per il 7% degli intervistati questo stile potrebbe<br />

nascondere un problema <strong>di</strong> identità, mentre per<br />

il 15% sosteneva che alla base c’è solo una insod<strong>di</strong>sfazione<br />

del proprio matrimonio.<br />

<strong>La</strong> realtà sembrerebbe ancora più banale, se<br />

si mettono a confronto altri stu<strong>di</strong> sull’argomento<br />

condotti da altri, che <strong>di</strong>mostrano come i protagonisti<br />

<strong>di</strong> questo stile <strong>di</strong> vita non sono poi tanto <strong>di</strong>versi<br />

dalla me<strong>di</strong>a della popolazione.<br />

Non<strong>di</strong>meno resta il problema della gelosia.<br />

Come scrive la Sheff e cito: “Avere partner multipli<br />

è relativamente facile, accettare che una persona<br />

che amiamo stia con qualcuno oltre che con noi<br />

lo è molto meno …… <strong>La</strong> gelosia esiste anche nei<br />

poliamoristi, la <strong>di</strong>fferenza è che non viene considerata<br />

una componente dell’amore, ma una manifestazione<br />

<strong>di</strong> inciviltà da tenere a bada …… L’idea<br />

è che qualcosa che rende felice chi amiamo non<br />

può farci male.” (2)<br />

Come sostiene Serena Anderlini d’Onofrio,<br />

docente dell’Università <strong>di</strong> Puerto Rico e ricercatri-<br />

Approfon<strong>di</strong>menti tematici<br />

ce sul poliamorismo e la transculturalità, famosa<br />

per quello che è poi <strong>di</strong>ventato un manifesto <strong>di</strong> un<br />

nuovo modo <strong>di</strong> intendere le relazioni amorose e il<br />

rapporto con l’ambiente, “L’amore è un arte, non<br />

un istinto, e bisogna imparare a coltivarlo…anche<br />

la gelosia si può superare…… certo serve molta<br />

sincerità soprattutto con se stessi che è la cosa più<br />

<strong>di</strong>ffi cile”. (3)<br />

Per quanto riguarda i fi gli sono molti a pensare<br />

che se una relazione “poli” è ben riuscita garantisce<br />

ai bambini, specie per i più piccoli, una dose<br />

extra <strong>di</strong> attenzione e presenza <strong>di</strong> adulti responsabili<br />

su cui fare affi damento oltre ai vantaggi pratici<br />

che derivano dalla possibilità <strong>di</strong> con<strong>di</strong>videre<br />

incombenze domestiche e spese <strong>di</strong> casa.<br />

E poi, conclude la Anderlini, non importa quanti<br />

partner si abbiano, ogni relazione a modo suo è<br />

unica, c’è uno scambio <strong>di</strong> emozioni, memorie, che<br />

possiamo solo avere con quella persona.<br />

Ad aiutarci ulteriormente in questa nostra rifl<br />

essione ci viene in soccorso la natura, nello specifi<br />

co, una specie <strong>di</strong> scimmie dette bonobo, il cui<br />

nome scientifi co della specie è Pan paniscus, unica<br />

specie, insieme alla specie dei Pan troglodytes appartenente<br />

al <strong>gruppo</strong> Pan, con il quale, in genere,<br />

si defi niscono i primati della famiglia Hominidae,<br />

detti comunemente scimpanzé.<br />

Secondo alcuni stu<strong>di</strong>osi la società dei bonobo<br />

è improntata sulla pacifi ca convivenza. Infatti, il<br />

professor Frans de Waal, uno psicologo che ha de<strong>di</strong>cato<br />

molto tempo allo stu<strong>di</strong>o dei bonobo, afferma<br />

che questi primati sono spesso capaci <strong>di</strong> altruismo,<br />

compassione, empatia, gentilezza, pazienza<br />

e sensibilità (4).<br />

<strong>La</strong> ragione <strong>di</strong> ciò, secondo il professor de Waal,<br />

sarebbe l’eccezionale propensione dei bonobo a<br />

praticare sesso ricreativo, ovvero non riproduttivo,


attività che appianerebbe le tensioni all’interno del<br />

<strong>gruppo</strong> e che ridurrebbe la tendenza a <strong>di</strong>fendere<br />

violentemente il territorio del branco.<br />

L’esuberante sessualità dei bonobo, che è stata<br />

spesso accostata ai comportamenti umani, sarebbe<br />

una forma evoluta <strong>di</strong> comunicazione sociale, ed è<br />

uno degli aspetti più <strong>di</strong>scussi tra stu<strong>di</strong>osi del comportamento<br />

<strong>di</strong> questi primati.<br />

Gli stu<strong>di</strong> specifi ci sulla sessualità dei bonobo<br />

nel loro ambiente naturale risultano signifi cativamente<br />

<strong>di</strong>fferenti rispetto a quelli condotti sugli<br />

esemplari in cattività, come a sottolinear l’importanza<br />

dell’ambiente in cui si vive, e non mostrano<br />

comportamenti eccezionali rispetto alle altre specie,<br />

se si eccettua il fatto che i bonobo talvolta si<br />

accoppino ventre contro ventre.<br />

Vorrei concludere questo mio intervento mantenendo<br />

la leggerezza presa a prestito da Calvino<br />

su un argomento molto impegnativo qual è appunto<br />

il tra<strong>di</strong>re, con un racconto breve <strong>di</strong> Kafka dal<br />

titolo “Il cavaliere del secchio” con il quale Calvino<br />

pensava <strong>di</strong> chiudere la sua conferenza sulla<br />

Leggerezza.<br />

“E’ un breve racconto in prima persona scritto nel<br />

1917 e il suo punto <strong>di</strong> partenza è evidentemente una<br />

situazione ben reale in quell’inverno <strong>di</strong> guerra, il<br />

più terribile per l’impero austriaco: la mancanza<br />

<strong>di</strong> carbone Il narratore esce con secchio vuoto in<br />

cerca <strong>di</strong> carbone per la stufa Per la strada il secchio<br />

gli fa da cavallo, anzi lo solleva all’altezza<br />

dei primi piani e lo trasporta ondeggiando come<br />

sulla groppa d’un cammello la bottega del carbonaio<br />

è sotterranea e il cavaliere del secchio è<br />

troppo alto; stenta a farsi intendere dall’uomo che<br />

sarebbe pronto ad accontentarlo, mentre la moglie<br />

non lo vuole sentire Lui li supplica <strong>di</strong> dargli una<br />

palata del carbone più scadente, anche se non<br />

può pagare subito la moglie del carbonaio si slega<br />

il grembiule e scaccia l’intruso come caccerebbe<br />

una mosca Il secchio è così leggero che vola via<br />

col suo cavaliere, fi no a perdersi oltre le montagna<br />

<strong>di</strong> Ghiaccio”. (1)<br />

Come scrive Calvino, molti dei racconti <strong>di</strong> Kafka<br />

sono misteriosi e questo lo è in particolare. A<br />

me piace l’idea <strong>di</strong> come la leggerezza, illustrata da<br />

Calvino nella sua stesura della conferenza, anche<br />

attraverso il racconto <strong>di</strong> Kafka, possa articolare un<br />

ulteriore possibilità per poter rifl ettere su un tema<br />

complesso e tragico come è appunto il tra<strong>di</strong>re e<br />

spero <strong>di</strong> aver potuto offrire non tanto decaloghi o<br />

Approfon<strong>di</strong>menti tematici<br />

defi nizioni quanto semmai spunti <strong>di</strong> ragionamento<br />

e magari la possibilità, come accaduto a Perseo, <strong>di</strong><br />

padroneggiare quel volto tremendo della Medusa/<br />

tra<strong>di</strong>mento tenendolo ben custo<strong>di</strong>to in un sacco<br />

dopo la decapitazione, così come prima Perseo lo<br />

aveva vinto guardandolo nello specchio.<br />

Dunque è sempre in un rifi uto della visione<br />

<strong>di</strong>retta che sta la forza <strong>di</strong> Perseo, ma non in un<br />

rifi uto della realtà del mondo dei mostri in cui gli è<br />

toccato vivere, quali, nel nostro caso, tra<strong>di</strong>menti e<br />

gelosie. Una realtà che Perseo porta con sé e che<br />

assume come far<strong>dello</strong>.<br />

Come sostiene lo stesso Calvino, leggendo<br />

Ovi<strong>di</strong>o nelle Metamorfosi è possibile cogliere nei<br />

versi <strong>di</strong> quest’opera quanta delicatezza d’animo<br />

sia necessaria per essere un Perseo, vincitore <strong>di</strong><br />

mostri.<br />

“Perché la ruvida sabbia non sciupi la testa<br />

anguicrinita, egli rende soffi ce il terreno con uno<br />

strato <strong>di</strong> foglie, vi stende sopra dei ramoscelli nati<br />

sott’acqua e vi depone la testa <strong>di</strong> Medusa a faccia<br />

in giù”… Calvino continuando commenta: “Mi<br />

sembra che la leggerezza <strong>di</strong> cui Perseo è l’eroe<br />

non potrebbe essere meglio rappresentata che<br />

da questo gesto <strong>di</strong> rinfrescante gentilezza verso<br />

quell’essere mostruoso e tremendo ma anche in<br />

qualche modo deteriorabile, fragile Ma la cosa<br />

più inaspettata è il miracolo che ne segue: i ramoscelli<br />

marini a contatto con la Medusa si trasformano<br />

in coralli, e le ninfe per adornarsi <strong>di</strong> coralli<br />

accorrono e avvicinano ramoscelli ed alghe alla<br />

terribile testa.” (1)<br />

E qui, in accordo con Calvino, in questo incontro<br />

<strong>di</strong> immagini sin qui riproposte, così cariche<br />

spero <strong>di</strong> fascini, non vorrei ulteriormente sciuparle<br />

tentando commenti o interpretazioni ulteriori.<br />

Riferimenti bibliografi ci<br />

(1) Italo Calvino, Lezioni americane. Sei proposte<br />

per il prossimo millennio, Arnoldo Mondatori<br />

E<strong>di</strong>tore, Milano 1993.<br />

(2) Elisabeth Sheff, Polyamorous<br />

Women, Sexual<br />

Subjectivity and Power, Journal of Contemporary<br />

Ethnography June 2005 vol. 34 n. 3, 251-<br />

283<br />

(3) Serena Anderlini d’Onofrio, Gaia and the politics<br />

of love. Note for a Poly Planet, North Atlantic<br />

Books, 2009<br />

(4) Frans de Waal “ Putting the Altruism Back into<br />

Altruism: The Evolution of Empathy” , Annual<br />

Review of Psychology , Vol. 59: 279-300.<br />

65


66<br />

Psicologia dell’Affi do e dell’Adozione<br />

L’adozione nella prospett iva<br />

dell’att accamento: un focus sui padri<br />

Dott.ssa Francesca Chiriatti<br />

<strong>La</strong>urea Specialistica in Psicologia Dinamica e Clinica dell’Infanzia, Adolescenza e Famiglia<br />

Università “Sapienza” <strong>di</strong> Roma<br />

Introduzione<br />

Negli ultimi anni il tema<br />

dell’adozione ha suscitato l’interesse<br />

<strong>di</strong> molti stu<strong>di</strong>osi in conseguenza<br />

delle importanti implicazioni<br />

che tale processo ha sullo<br />

sviluppo del singolo, del sistema<br />

familiare e sociale.<br />

Con l’adozione si determina<br />

una <strong>di</strong>mensione riparativa e<br />

trasformativa, in base alla quale<br />

esperienze interattive positive e<br />

successive alla prima infanzia<br />

possono favorire le rielaborazione<br />

<strong>di</strong> vissuti negativi precoci (Van Ijzendoorn,<br />

Golberg, Kroonenberg,<br />

Frenkel, 1992).<br />

Essa si costituisce come un<br />

processo nel quale la sicurezza e<br />

la stabilità <strong>di</strong> cui si fanno garanti<br />

i genitori adottivi comportano la<br />

riorganizzazione del sistema <strong>di</strong><br />

attaccamento favorendo una revisione<br />

dei modelli operativi interni,<br />

ovvero delle rappresentazioni<br />

sul sé e sulle relazioni con gli altri<br />

che derivano dalle interazioni<br />

quoti<strong>di</strong>ane con i propri caregiver<br />

(Bretherton, Munholland 2008).<br />

Queste interazioni favoriranno<br />

l’interruzione della trasmissione<br />

intergenerazionale dell’insicurezza<br />

e riorienteranno i percorsi<br />

<strong>di</strong> sviluppo dei bambini posti<br />

in adozione (Schofi eld, Beek,<br />

2005).<br />

Questo articolo tra spunto da<br />

un lavoro <strong>di</strong> ricerca bibliografi ca<br />

che si prefi gge <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are le rappresentazioni<br />

dell’attaccamento<br />

dei bambini adottati e il ruolo<br />

svolto in particolare dai padri<br />

adottivi in tale processo <strong>di</strong> riorganizzazione,<br />

attraverso la lettura<br />

e l’analisi <strong>di</strong> alcuni tra i più recenti<br />

stu<strong>di</strong> che fanno riferimento<br />

al processo adottivo e alle sue<br />

implicazioni nello sviluppo del<br />

bambino.<br />

Innanzitutto credo sia necessario<br />

sottolineare come l’adozione<br />

ponga in risalto problemi<br />

complessi, ma anche una serie <strong>di</strong><br />

opportunità.<br />

Alla luce delle attuali conoscenze<br />

sulla prima infanzia si<br />

comprende come il <strong>di</strong>stacco dalla<br />

vicinanza e dalle cure dei genitori<br />

naturali e il passaggio a quelle<br />

dei genitori adottivi possano provocare<br />

una rottura signifi cativa<br />

nell’esperienza e nella continuità.<br />

Le età <strong>di</strong>verse e i <strong>di</strong>versi sta<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

sviluppo determinano il modo in<br />

cui i neonati, i bambini piccoli e<br />

gli adolescenti intendono il signifi<br />

cato <strong>di</strong> essere adottati. Questo<br />

processo <strong>di</strong> attribuzione <strong>di</strong> signifi<br />

cati <strong>di</strong>venta particolarmente<br />

complesso nei casi in cui i bambini<br />

sperimentano forme gravi <strong>di</strong><br />

deprivazione, con conseguenti effetti<br />

sui processi <strong>di</strong> organizzazione<br />

comportamentale e cognitiva<br />

(Juffer e Van IJzendoorn, 2005).<br />

Il processo <strong>di</strong> adattamento del<br />

bambino adottato al nuovo contesto<br />

familiare e la probabilità che si<br />

determinino <strong>di</strong>sturbi successivi è,<br />

infatti, con<strong>di</strong>zionato da vari fattori<br />

quali l’età al momento del collocamento<br />

(da cui la <strong>di</strong>stinzione<br />

tra baby-adopted e late-adopted),<br />

la presenza <strong>di</strong> esperienze negati-<br />

ve preadottive, <strong>di</strong> trascuratezza,<br />

abuso e deprivazione, il numero<br />

<strong>di</strong> cambiamenti <strong>di</strong> ambiente extrafamiliare<br />

vissuti.<br />

Tuttavia sono numerose le ricerche<br />

che sottolineano come lo<br />

stile <strong>di</strong> attaccamento interiorizzato<br />

possa mo<strong>di</strong>fi carsi sulla base<br />

delle nuove relazioni vissute dai<br />

soggetti (Juffer, Van IJzendoorn,<br />

2006).<br />

I bambini adottati realizzano<br />

un sorprendente recupero e,<br />

con l’aiuto dei genitori adottivi,<br />

riescono a colmare sotto molti<br />

aspetti lo svantaggio iniziale. In<br />

questo modo l’adozione mette in<br />

luce la plasticità nello sviluppo<br />

della prima infanzia e la fl essibilità<br />

dei bambini adottati grazie<br />

all’inserimento in famiglia (Rosnati,<br />

2010).<br />

In questa prospettiva l’adozione<br />

si confi gura davvero come<br />

un’occasione favorevole alla crescita<br />

per quei bambini che sono<br />

privi <strong>di</strong> un contesto familiare adeguato,<br />

consentendo nelle <strong>di</strong>verse<br />

aree <strong>dello</strong> sviluppo un consistente<br />

recupero, benché non sempre<br />

completo.<br />

Adozione e Attaccamento<br />

<strong>La</strong> teoria dell’attaccamento<br />

crea un ponte fra la psicologia<br />

generale e la teoria clinica <strong>di</strong><br />

orientamento psico<strong>di</strong>namico, ponendosi<br />

in questo modo, in una<br />

posizione quasi unica tra le teorie<br />

psicoanalitiche.<br />

Negli ultimi decenni, essa ha<br />

infl uenzato sempre più la ricerca


e la visione classica della psicopatologia<br />

<strong>dello</strong> sviluppo, dando<br />

maggiormente attenzione alle<br />

funzioni interpersonali rispetto<br />

allo stu<strong>di</strong>o della mente in<strong>di</strong>viduale<br />

(Dozier, Stovall, Albus, 2008).<br />

Bowlby è stato fra i primi a<br />

riconoscere che il bambino fa il<br />

proprio ingresso nel mondo essendo<br />

già pre<strong>di</strong>sposto a partecipare<br />

all’interazione sociale. Egli<br />

ha posto l’accento sul bisogno<br />

del bambino <strong>di</strong> un ininterrotto<br />

(sicuro) attaccamento precoce<br />

alla madre, ritenendo che il bambino<br />

che non ne poteva <strong>di</strong>sporre<br />

fosse incline a mostrare segni <strong>di</strong><br />

deprivazione parziale (eccessivo<br />

bisogno <strong>di</strong> amore o <strong>di</strong> vendetta,<br />

grossolano senso <strong>di</strong> colpa e depressione)<br />

o <strong>di</strong> deprivazione totale<br />

(abulia, mutacismo, ritardo<br />

nello sviluppo e successivamente<br />

segni <strong>di</strong> superfi cialità, assenza <strong>di</strong><br />

veri sentimenti, mancanza <strong>di</strong> concentrazione,<br />

tendenza all’inganno<br />

e al furto compulsivo).<br />

Nel caso dell’adozione e della<br />

costruzione dei sistemi <strong>di</strong> attaccamento<br />

tra genitori adottivi e fi gli<br />

le informazioni presenti in letteratura<br />

non sono univoche.<br />

Le indagini relative alla formazione<br />

dei sistemi <strong>di</strong> attaccamento<br />

dei bambini adottati hanno<br />

spesso evidenziato la presenza<br />

<strong>di</strong>sturbi, in particolare del <strong>di</strong>sturbo<br />

reattivo dell’attaccamento<br />

(Zeanah, et. al., 2004), assenza<br />

<strong>di</strong> attaccamento con socievolezza<br />

in<strong>di</strong>scriminata (Chisholm, Carter,<br />

Ames, Morison, 1995), presenza<br />

maggiore <strong>di</strong> forme <strong>di</strong> attaccamento<br />

<strong>di</strong>sorganizzato (Marcovitch,<br />

1997).<br />

L’aver sperimentato precoci<br />

separazioni, per<strong>di</strong>te dei genitori,<br />

abbandoni o maltrattamenti, può<br />

incidere <strong>negativa</strong>mente sulle relazioni<br />

successive alla collocazione<br />

adottiva. Diversi autori (Toth,<br />

Cicchetti, Macfi e, Emde, 1997;<br />

Ayoub, Fischer, O’Connor, 2003)<br />

infatti, ritengono che i bambini<br />

che hanno subito una qualsiasi<br />

forma <strong>di</strong> maltrattamento, abuso<br />

fi sico e psicologico, negligenza<br />

e abbandono, sono inclini a sviluppare<br />

delle rappresentazioni<br />

negative <strong>di</strong> sé e dei genitori, in<br />

base alle quali verrà interpretata<br />

anche la relazione con i genitori<br />

adottivi. Tuttavia, la crescente<br />

letteratura relativa alla relazioni<br />

<strong>di</strong> attaccamento alternative implicate<br />

dall’adozione suggerisce che<br />

il processo <strong>di</strong> costruzione dell’attaccamento<br />

in tali situazioni sia<br />

simile a quello dei bambini non<br />

adottati.<br />

Particolarmente utile per lo<br />

stu<strong>di</strong>o dei sistemi rappresentativi<br />

relativi all’attaccamento, è l’in<strong>di</strong>viduazione<br />

<strong>di</strong> gruppi <strong>di</strong> bambini<br />

post-istituzionalizzati, la cui analisi<br />

offre un’esperienza unica per<br />

spiegare l’infl uenza che la deprivazione<br />

precoce ha sui successivi<br />

processi <strong>di</strong> sviluppo (Gunnar,<br />

Pollak, 2007).<br />

In questo senso è stata prestata<br />

attenzione ad una serie <strong>di</strong><br />

fattori quali, il tempo trascorso<br />

nell’istituzione e l’età del bambino<br />

al momento dell’adozione, alla<br />

presenza <strong>di</strong> esperienze relazionali<br />

con altre famiglie adottive, prima<br />

del defi nitivo collocamento nel<br />

nuovo nucleo familiare (Gunnar<br />

et al., 2007) e alla gravità delle<br />

con<strong>di</strong>zioni vissute in orfanotrofi o<br />

(Merz e McCall 2010). Alcuni<br />

stu<strong>di</strong> (Feeney, 2007; Vorria, Papaligoura,<br />

Dunn, van IJzendoorn,<br />

Steele, Kontopoulou, et.al., 2003;<br />

Zeanah, Smyke, Koga, Carlson,<br />

e the BEIP Core Group, 2005)<br />

hanno confermato la presenza <strong>di</strong><br />

conseguenze negative nello sviluppo<br />

<strong>di</strong> un positivo legame <strong>di</strong><br />

attaccamento nei bambini istituzionalizzati,<br />

che presentavano<br />

tassi elevati <strong>di</strong> attaccamento insicuro<br />

e in particolare forme <strong>di</strong> at-<br />

Psicologia dell’Affi do e dell’Adozione<br />

taccamento <strong>di</strong>sorganizzato. Altri<br />

(Farina Leifer, Chasnoff 2004)<br />

hanno in<strong>di</strong>viduato dei legami tra<br />

la qualità dell’attaccamento e lo<br />

stress manifestato dai genitori<br />

adottivi, la cui gravità correlava<br />

<strong>negativa</strong>mente con la formazione<br />

<strong>di</strong> un attaccamento sicuro e con le<br />

<strong>di</strong>ffi coltà comportamentali manifestate<br />

dai bambini.<br />

Sulla base <strong>di</strong> queste analisi<br />

viene posta in luce l’importanza<br />

della con<strong>di</strong>zione psicologica dei<br />

genitori adottivi, che incide sulla<br />

qualità dell’attaccamento del<br />

bambino e sulle <strong>di</strong>ffi coltà a livello<br />

comportamentale, portando a<br />

in<strong>di</strong>viduare una signifi cativa correlazione<br />

tra lo stato della mente<br />

dei genitori adottivi e il sistema <strong>di</strong><br />

attaccamento sviluppato dai bambini<br />

nel periodo post-adottivo.<br />

I bambini con storie <strong>di</strong> maltrattamento<br />

e adottati tar<strong>di</strong>vamente<br />

con più facilità costruiscono storie<br />

prive <strong>di</strong> elementi basati sulla<br />

realtà, in cui prevalgono comportamenti<br />

<strong>di</strong> evitamento; presenza<br />

<strong>di</strong> fantasie catastrofi che, risposte<br />

bizzarre e atipiche, in cui gli<br />

adulti sono rappresentati perlopiù<br />

come rifi utanti, aggressivi e in<strong>di</strong>fferenti.<br />

Queste fantasie tendono a<br />

persistere anche nei due anni successivi<br />

l’adozione.<br />

L’enfasi delle recenti ricerche<br />

è posta quin<strong>di</strong> sui meccanismi<br />

tramite cui i modelli operativi interni<br />

dei bambini (in particolare<br />

late-adopted) possano mo<strong>di</strong>fi carsi<br />

a seguito del posizionamento<br />

post-adottivo. È stato <strong>di</strong>mostrato<br />

(Steele, Hodges, Kaniuk, Steele,<br />

H., 2010) come, accanto a rappresentazioni<br />

negative, manifestate<br />

dalla presenza <strong>di</strong> fantasie catastrofi<br />

che, comportamenti bizzarri<br />

e aggressivi, che tendevano a<br />

persistere nel tempo, è possibile<br />

formare rappresentazioni sicure<br />

legate alle esperienze con i nuovi<br />

caregivers. Questo dato permette<br />

67


<strong>di</strong> comprendere come tutto ciò<br />

che viene vissuto precocemente<br />

infl uenza profondamente lo sviluppo<br />

dei soggetti, tendendo a<br />

persistere nel tempo senza necessariamente<br />

precludere la possibilità<br />

<strong>di</strong> costruire nuove rappresentazioni<br />

sulla base <strong>di</strong> successive<br />

interazioni positive, caratterizzate<br />

da stabilità e attenzione ai bisogni<br />

del bambino.<br />

Uno stato sicuro-autonomo<br />

della mente da parte dei genitori<br />

adottivi permette altresì l’emergere<br />

nel bambino <strong>di</strong> altre caratteristiche<br />

positive, quali ricerca <strong>di</strong> aiuto,<br />

contatto relazionale, maggiore autostima,<br />

facilita il formarsi della<br />

relazione all’interno della famiglia<br />

adottiva, stimola la costruzione<br />

<strong>di</strong> un processo <strong>di</strong> attribuzione<br />

<strong>di</strong> signifi cati, ed è un buon pre<strong>di</strong>ttore<br />

delle <strong>capacità</strong> metacognitive<br />

del bambino.<br />

È solo in questo senso che<br />

l’adozione si confi gura come un<br />

processo <strong>di</strong> graduale rielaborazione<br />

dei propri sistemi relazionali,<br />

così come dei comportamenti e<br />

della memoria (Pietromonaco,<br />

Greenwood, Feldman e Barrett,<br />

2004), favorendo allo stesso tempo<br />

una trasmissione intergenerazionale<br />

dei pattern <strong>di</strong> attaccamento<br />

secondo modalità analoghe<br />

a quelle riscontrate nelle <strong>di</strong>ade<br />

biologiche genitore-bambino e il<br />

raggiungimento <strong>di</strong> un’autentica<br />

<strong>di</strong>mensione trasformativa.<br />

Il Padre secondo la teoria<br />

dell’attaccamento: un focus sui<br />

padri adottivi<br />

Gli stu<strong>di</strong> che si sono occupati<br />

<strong>di</strong> defi nire le modalità tramite cui<br />

si strutturano i legami <strong>di</strong> attaccamento<br />

tra caregiver e bambino,<br />

hanno fatto prevalentemente riferimento<br />

alla fi gura materna, ponendo<br />

il padre in una con<strong>di</strong>zione<br />

secondaria e incerta.<br />

Le analisi circa la relazione <strong>di</strong><br />

68<br />

attaccamento tra padre e fi glio e lo<br />

stesso pensiero <strong>di</strong> Bowlby rispetto<br />

all’importanza del ruolo paterno<br />

nella costruzione <strong>di</strong> un attaccamento<br />

sicuro con il fi glio, si sono<br />

mo<strong>di</strong>fi cate nel corso del tempo in<br />

linea con le pubblicazioni effettuate<br />

in tale ambito.<br />

Stu<strong>di</strong>ando le modalità <strong>di</strong> interazione<br />

implicate nella formazione<br />

dell’attaccamento tra padre e<br />

fi glio, sono state identifi cate quattro<br />

<strong>di</strong>verse fasi, ognuna dominata<br />

da questioni specifi che ed associata<br />

a cambiamenti nelle concettualizzazioni<br />

relative al costrutto<br />

dell’attaccamento (Bretherton,<br />

2010).<br />

<strong>La</strong> prima fase si è concentrata<br />

sull’analisi delle funzioni paterne<br />

e sul possibile ruolo inteso in termini<br />

<strong>di</strong> subalternità, che il padre<br />

verrebbe a svolgere come fi gura<br />

<strong>di</strong> attaccamento, rispetto alla madre.<br />

Appartengono a questa fase<br />

gli stu<strong>di</strong> condotti in Uganda dalla<br />

Ainsworth (1963, 1967), e in<br />

Scozia da Schaffer ed Emerson<br />

(1964), da cui emerse che la presenza<br />

<strong>di</strong> una relazione <strong>di</strong> attaccamento<br />

padre-fi glio era abbastanza<br />

comune, anche nei casi in cui i<br />

bambini interagivano poco con il<br />

proprio genitore. Tuttavia, nella<br />

maggior parte dei casi la madre risultò<br />

essere la fi gura signifi cativa<br />

<strong>di</strong> riferimento, in modo particolare<br />

quando il bambino era stanco,<br />

affamato o ammalato.<br />

Il ritmo <strong>di</strong> ricerca sull’attaccamento<br />

padre-bambino è accelerato<br />

quando sono stati avviati una serie<br />

<strong>di</strong> stu<strong>di</strong> sistematici per risolvere i<br />

problemi sollevati dall’ipotesi<br />

della gerarchia dell’attaccamento.<br />

Sulla base degli stu<strong>di</strong> condotti<br />

in quegli anni da <strong>La</strong>mb (1976) si<br />

rende evidente come le relazioni<br />

padre-bambino e madre-bambino<br />

possano comportare <strong>di</strong>versi tipi<br />

<strong>di</strong> esperienze per i fi gli, con conseguente<br />

infl uenza sullo sviluppo<br />

Psicologia dell’Affi do e dell’Adozione<br />

della personalità fi n dalla prima<br />

infanzia: i padri risultarono essere<br />

destinatari <strong>di</strong> più comportamenti<br />

affi liativi (sorrisi, con<strong>di</strong>visione <strong>di</strong><br />

giochi) rispetto alle madri, maggiormente<br />

impegnate nei processi<br />

<strong>di</strong> accu<strong>di</strong>mento.<br />

Gli stu<strong>di</strong> longitu<strong>di</strong>nali condotti<br />

da <strong>La</strong>mb (1976, 1977, 1987)<br />

aprono alla terza fase <strong>di</strong> ricerche,<br />

prevalentemente interessate<br />

all’analisi della qualità del rapporto<br />

genitori-fi gli e dei pattern che<br />

me<strong>di</strong>ano il processo <strong>di</strong> trasmissione<br />

intergenerazionale dell’attaccamento.<br />

Analizzando le interazioni<br />

<strong>di</strong>a<strong>di</strong>che tra madre-fi glio e padrefi<br />

glio, <strong>La</strong>mb (1977) ha osservato<br />

che molti bambini classifi cati<br />

come insicuri nella relazione con<br />

la madre, potevano al contrario<br />

essere considerati sicuri nella relazione<br />

con il padre e viceversa.<br />

Inoltre la sicurezza presente nella<br />

relazione con il padre non ha mostrato<br />

alcuna infl uenza osservabile<br />

sulla relazione tra il bambino e la<br />

madre, così come la sicurezza nel<br />

rapporto con la madre, aveva un<br />

peso trascurabile sulla relazione<br />

del bambino con il padre.<br />

Questi <strong>di</strong>fferenti risultati riscontrati<br />

nella formazione delle<br />

relazioni <strong>di</strong> attaccamento al padre<br />

e alla madre, sono stati oggetto <strong>di</strong><br />

numerose indagini longitu<strong>di</strong>nali,<br />

condotte soprattutto in Gran Bretagna,<br />

Israele, Stati Uniti e Germania<br />

e coincidono con la quarta<br />

fase degli stu<strong>di</strong> relativi all’attaccamento<br />

nei riguar<strong>di</strong> del padre.<br />

In questi stu<strong>di</strong> è stato evidenziato<br />

come la sensibilità paterna<br />

possa essere considerata un potente<br />

pre<strong>di</strong>ttore dei comportamenti <strong>di</strong><br />

attaccamento e delle caratteristiche<br />

<strong>di</strong> personalità dei fi gli (Grossmann,<br />

Grossmann, e Kindler,<br />

2005).<br />

I bambini possono formare un<br />

legame stabile <strong>di</strong> attaccamento nei


confronti dei padri e tale legame<br />

ha un’infl uenza profonda sul loro<br />

successivo sviluppo in <strong>di</strong>verse<br />

aree, quali ad esempio il successo<br />

scolastico e il funzionamento<br />

psico-sociale (Howard, Lefever,<br />

Borkowski, e Whitman, 2006;<br />

Roopnarine, Krishnakumar, Metindogan,<br />

e Evans, 2006).<br />

Questa infl uenza paterna<br />

sull’attaccamento del bambino è<br />

stabile nel tempo, facilita i processi<br />

<strong>di</strong> esplorazione e <strong>di</strong> conoscenza<br />

dell’ambiente e supporta l’ipotesi<br />

relativa al maggiore sostegno offerto<br />

dai padri soprattutto durante<br />

la fase <strong>di</strong> sperimentazione dei<br />

fi gli (Grossmann, Grossmann,<br />

Fremmer-Bombik, Sheuerer-Englisch,<br />

e Zimmerman, 2002).<br />

Dai risultati degli stu<strong>di</strong> facenti<br />

riferimento al mo<strong>dello</strong> gerarchico<br />

dell’attaccamento, è emerso<br />

che i padri fungono da modelli<br />

<strong>di</strong> attaccamento preferenziale del<br />

bambino in circa il 5-20% dei casi<br />

(Freeman, Brown, 2001). <strong>La</strong> variabilità<br />

nell’uso delle fi gure paterne<br />

come fi gure signifi cative, è<br />

attribuita a <strong>di</strong>versi fattori:<br />

•<br />

•<br />

l’età e il genere dei bambini:<br />

i fi gli maschi scelgono i padri<br />

come fi gure signifi cative <strong>di</strong> riferimento<br />

in misura maggiore<br />

delle femmine, e questo si verifi<br />

ca preferenzialmente dalla<br />

tarda infanzia all’adolescenza.<br />

Meno frequentemente nella<br />

prima infanzia e nella giovane<br />

età adulta si va incontro alla<br />

scelta del padre come fi gura<br />

preferenziale <strong>di</strong> attaccamento<br />

(Doherty, Feeney, 2004);<br />

apertura nella comunica-<br />

zione: considerata un fattore<br />

essenziale per la formazione<br />

<strong>di</strong> un attaccamento sicuro,<br />

soprattutto tra padri e fi glie,<br />

e per la riduzione del rischio<br />

della messa in atto <strong>di</strong> rapporti<br />

sessuali precoci e non<br />

protetti in età adolescenzia-<br />

Psicologia dell’Affi do e dell’Adozione<br />

le (Hutchinson, Cederbaum,<br />

2011);<br />

• coparenting supportivo:<br />

facilita<br />

lo sviluppo <strong>di</strong> una maggiore<br />

sensibilità paterna nei<br />

confronti dei fi gli, una maggiore<br />

tendenza a spendersi<br />

nella relazione con questi e<br />

nella risoluzione delle problematiche<br />

legate al ciclo <strong>di</strong> vita.<br />

<strong>La</strong> presenza <strong>di</strong> un adeguato<br />

supporto e sostegno tra i coniugi<br />

è risultata essere signifi<br />

cativamente correlata ad una<br />

minore percezione <strong>dello</strong> stress<br />

familiare e ad una più elevata<br />

percezione dell’effi cacia<br />

dei comportamenti messi in<br />

essere nei confronti dei fi gli<br />

(Brown, Schoppe-Sullivan,<br />

Mangelsdorf, Neff, 2010);<br />

• stress e presenza <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zioni<br />

socio-economiche svantaggiate:<br />

bambini provenienti<br />

da famiglie più confl ittuali,<br />

con padri fi sicamente ostili<br />

e stressati per le con<strong>di</strong>zioni<br />

economiche precarie, manifestano<br />

una maggiore angoscia<br />

e reattività in relazione alla<br />

rabbia degli adulti. In particolare<br />

si possono manifestare<br />

<strong>di</strong>ffi coltà nei processi <strong>di</strong> regolazione<br />

emotiva e a livello<br />

comportamentale fi no a forme<br />

conclamate <strong>di</strong> <strong>di</strong>sturbo della<br />

condotta e iperattività (Coley,<br />

Carrano, Lewis-Bizan, 2011);<br />

• residenza:<br />

padri aventi uno<br />

stato sicuro-autonomo delle<br />

mente tendono a vivere con<br />

i propri fi gli e questi con più<br />

facilità sviluppano forma <strong>di</strong><br />

attaccamento sicuro, a <strong>di</strong>fferenza<br />

dei padri aventi delle<br />

rappresentazioni insicure del<br />

proprio mo<strong>dello</strong> <strong>di</strong> attaccamento,<br />

i cui bambini con più<br />

facilità vanno incontro a forme<br />

<strong>di</strong> attaccamento ansiosoambivalente<br />

(Howard, 2010).<br />

Uno stato della mente sicuro-<br />

autonomo da parte del padre, facilita<br />

lo sviluppo <strong>di</strong> forme <strong>di</strong> attaccamento<br />

sicuro nel bambino. Tale<br />

sicurezza infl uenza notevolmente<br />

anche la qualità della relazione<br />

con i pari: bambini sicuri nella<br />

relazione con il padre (e non con<br />

la madre) presentano un maggior<br />

numero <strong>di</strong> amicizie reciproche,<br />

una maggiore competenza in vari<br />

ambiti e utilizzano modalità <strong>di</strong> interazione<br />

più <strong>di</strong>rette (Verissimo,<br />

Santos, Vaughn, Torres, et.al.,<br />

2011).<br />

Al contrario l’insicurezza<br />

correla con una maggiore <strong>di</strong>sorganizzazione<br />

nell’attaccamento<br />

del fi glio. Una fi gura paterna,<br />

vista come promotrice <strong>di</strong> benessere<br />

psicologico, deve avere la<br />

caratteristica <strong>di</strong> conservarsi nel<br />

tempo, come mo<strong>dello</strong>, punto <strong>di</strong><br />

riferimento, sostegno e guida.<br />

Queste considerazioni confermano<br />

l’ipotesi (Madsen, Lind,<br />

Munck, 2007), secondo cui un<br />

uomo può rifl ettere gli stati interni<br />

del fi glio e quin<strong>di</strong> sviluppare<br />

uno degli aspetti essenziali della<br />

“costellazione paterna”.<br />

Confronto tra padri adottivi e non<br />

adottivi: Alcuni autori suggeriscono<br />

che la ricerca nel campo<br />

dell’adozione piuttosto che focalizzarsi<br />

sui processi <strong>di</strong> sviluppo<br />

del bambino dovrebbe allargare<br />

il campo all’indagine delle <strong>di</strong>namiche<br />

familiari (Brodzinsky, Palacius,<br />

2005).<br />

Un ruolo particolare favorente<br />

la me<strong>di</strong>azione e la costruzione<br />

del legame tra i membri della famiglia<br />

adottiva è svolto dai padri.<br />

Alcuni stu<strong>di</strong> (Sobol, Delaney,<br />

Earn, 1994; Levy-Shiff, Zoran,<br />

Shulman, 1997) hanno rilevato<br />

che i padri adottivi sono più emozionalmente<br />

vicini ai loro fi gli<br />

rispetto a quelli non-adottivi e la<br />

qualità del rapporto genitore-fi -<br />

glio rappresenta un fattore <strong>di</strong> pro-<br />

69


tezione nel processo <strong>di</strong> adozione<br />

(Rosnati, 2005).<br />

Questi padri ponendosi come<br />

“terzi” (oggetti) si fanno garanti<br />

del funzionamento psicologico<br />

più maturo da parte del bambino,<br />

posto nella con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> integrare<br />

vari aspetti della propria<br />

esperienza e <strong>di</strong> raggiungere un<br />

maggior livello <strong>di</strong> consapevolezza<br />

rispetto a sé stesso. Qualora<br />

questo non si verifi casse il bambino<br />

sarà portato ad assumere tutti<br />

gli oggetti parentali nella propria<br />

mente andando incontro a fenomeni<br />

<strong>di</strong> esplosione e <strong>di</strong>sintegrazione.<br />

Il rischio è la produzione <strong>di</strong><br />

processi <strong>di</strong> pensiero frammentati,<br />

dovuti alla tendenza del bambino<br />

a rompere con il proprio passato,<br />

andando incontro a una <strong>di</strong>sfunzione<br />

del sé e delle relazioni con<br />

gli altri (Hindle, Shulman, 2008).<br />

Il ruolo svolto dal padre adottivo,<br />

<strong>di</strong>venta fondamentale nel<br />

momento in cui pone le basi per il<br />

mantenimento del legame con la<br />

storia e i vissuti del bambino.<br />

Ciò che appartiene alla storia<br />

dei singoli, da una parte le rappresentazioni<br />

del bambino e dall’altra<br />

quelle dei coniugi, è integrato<br />

e inserito in un nuovo spazio, basato<br />

sulla con<strong>di</strong>visione e il rispetto<br />

reciproco. Il padre adottivo è<br />

colui che opera questo passaggio:<br />

favorisce la costruzione dei legami<br />

tra i membri della famiglia e<br />

tra questi e l’esterno. Il riuscire a<br />

essere consapevoli delle proprie<br />

mancanze permette <strong>di</strong> entrare in<br />

contatto con il dolore del bambino<br />

e la formazione <strong>di</strong> strutture<br />

familiari accoglienti e sensibili.<br />

In questo senso è stato più<br />

volte riscontrato come i padri<br />

adottivi siano più coinvolti nella<br />

cura dei fi gli rispetto ai padri biologici.<br />

Nonostante le <strong>di</strong>ffi coltà inerenti<br />

il processo legato all’adozione,<br />

essi sono in grado <strong>di</strong> percepire<br />

70<br />

bassi livelli <strong>di</strong> stress, maggior sostegno<br />

da parte della propria rete<br />

relazionale e una migliore qualità<br />

dei rapporti coniugali (intesa<br />

in termini <strong>di</strong> comunicazione più<br />

aperta e un maggiore percezione<br />

del supporto esterno). A questi<br />

elementi si aggiungono un più<br />

basso livello <strong>di</strong> ansia rispetto ai<br />

padri biologici, nonostante percepiscano<br />

più problemi comportamentali<br />

e socio-emozionali nei<br />

loro bambini (Rosnati e Barni,<br />

2006). Facendo leva su risorse<br />

personali e <strong>di</strong> relazione i padri<br />

adottivi rispondono ai fattori <strong>di</strong><br />

stress con atteggiamenti meno<br />

autoritari e più autorevoli, a <strong>di</strong>fferenza<br />

dei padri biologici più<br />

portati ad assumere uno stile educativo<br />

e comunicativo autoritario<br />

o comportamenti <strong>di</strong> evitamento<br />

della relazione, come il ritiro.<br />

Nelle famiglie adottive, la presenza<br />

<strong>di</strong> forme adeguate <strong>di</strong> coinvolgimento<br />

paterno è fortemente<br />

e positivamente correlata con il<br />

funzionamento psico-sociale attuale<br />

(Schwartz e Finley, 2005),<br />

con l’autostima e lo sviluppo <strong>di</strong><br />

forme <strong>di</strong> attaccamento sicuro nei<br />

bambini e migliori <strong>capacità</strong> nella<br />

regolazione delle emozioni (Crockenberg,<br />

Leerkes, 2000).<br />

Padri sicuri sono capaci <strong>di</strong><br />

formulare delle narrative coerenti,<br />

in cui è possibile rintracciare<br />

la presenza <strong>di</strong> <strong>capacità</strong> rifl essive,<br />

fondamentali per l’attribuzione<br />

<strong>di</strong> signifi cato all’esperienza traumatica<br />

vissuta dal bambino e per<br />

la creazione <strong>di</strong> modelli rappresentazionali<br />

capaci <strong>di</strong> fungere da<br />

cuscinetto contro successive <strong>di</strong>ffi<br />

coltà <strong>di</strong> adattamento (Passmore,<br />

Fogarty, Bourke, Baker-Evans,<br />

2005).<br />

Conclusioni<br />

Lo stu<strong>di</strong>o della famiglia adottiva<br />

offre numerosi spunti <strong>di</strong> rifl<br />

essione, soprattutto per coloro<br />

Psicologia dell’Affi do e dell’Adozione<br />

che si occupano delle tematiche<br />

relative all’attaccamento.<br />

Questi stu<strong>di</strong> consentono <strong>di</strong><br />

focalizzare l’attenzione sulla relazione<br />

tra i protagonisti dell’adozione,<br />

al fi ne <strong>di</strong> comprendere le<br />

modalità attraverso cui il bambino<br />

perviene a una riorganizzazione<br />

dei propri modelli rappresentazionali.<br />

Numerose ricerche<br />

hanno sottolineato la funzione<br />

adattiva e riparatrice svolta dal<br />

contesto post-adottivo, la <strong>di</strong>versità<br />

nei modelli <strong>di</strong> caregiving che<br />

favoriscono il passaggio da forme<br />

<strong>di</strong> attaccamento <strong>di</strong>sorganizzato a<br />

modelli sicuri <strong>di</strong> attaccamento,<br />

l’importanza dei tempi che occorre<br />

rispettare perché si possa andare<br />

incontro a questo cambiamento<br />

e i comportamenti e i meccanismi<br />

neurobiologici che me<strong>di</strong>ano tale<br />

recupero.<br />

Perché l’adozione possa essere<br />

considerata un fattore <strong>di</strong> protezione<br />

nel processo <strong>di</strong> crescita del<br />

bambino, è necessario considerare<br />

lo stato della mente dei genitori<br />

adottivi e i modelli <strong>di</strong> caregiving<br />

che mettono in atto nei confronti<br />

del fi glio. L’acquisizione della teoria<br />

della mente è parte <strong>di</strong> un processo<br />

intersoggettivo fra il bambino<br />

e il genitore (Fonagy, Gergely,<br />

Jurist, Target, 2002) in cui un caregiver<br />

sensibile può collegare il<br />

focus sulla realtà fi sica e lo stato<br />

interno, in modo suffi ciente perché<br />

il bambino identifi chi le contingenze<br />

fra la prima e il secondo,<br />

pervenendo alla conclusione che<br />

la relazione con il caregiver conferisce<br />

signifi cato ai suoi stati interni<br />

<strong>di</strong> credenza o <strong>di</strong> desiderio.<br />

<strong>La</strong> presenza <strong>di</strong> uno stato autonomo<br />

della mente, infatti, è essenziale,<br />

per facilitare il formarsi<br />

della relazione e la costruzione<br />

<strong>di</strong> un processo <strong>di</strong> attribuzione <strong>di</strong><br />

signifi cati, nel caso <strong>di</strong> genitori<br />

adottivi che hanno a che fare con<br />

bambini che spesso hanno avuto


esperienze traumatiche, quali lutti<br />

o deprivazioni. Queste considerazioni<br />

hanno portato i ricercatori a<br />

ipotizzare l’importanza <strong>di</strong> incentivare<br />

interventi atti a incrementare<br />

la sensibilità nelle modalità <strong>di</strong><br />

caregiving utilizzate, pervenendo<br />

a risultati positivi in termini <strong>di</strong><br />

aumento della sicurezza del bambino<br />

nell’attaccamento e favorendo<br />

allo stesso tempo un migliore<br />

adattamento al contesto adottivo<br />

(Juffer, Bakermans-Kranenburg,<br />

Van IJzendoorn, 2008).<br />

Ulteriori e approfon<strong>di</strong>te indagini<br />

dovrebbero essere condotte<br />

sulle <strong>di</strong>fferenze nelle modalità <strong>di</strong><br />

interazione nei riguar<strong>di</strong> del bambino<br />

messe in essere da parte dei<br />

genitori.<br />

Cercare <strong>di</strong> analizzare il ruolo<br />

svolto dal padre adottivo all’interno<br />

della famiglia adottiva e<br />

in relazione al fi glio è risultato<br />

particolarmente <strong>di</strong>ffi cile, data la<br />

relativa mancanza <strong>di</strong> materiale<br />

attualmente pubblicato e <strong>di</strong> ricerche<br />

volte ad analizzare specifi catamente<br />

l’importanza <strong>di</strong> questa<br />

fi gura, in maniera in<strong>di</strong>pendente<br />

da quella materna.<br />

Il padre è fi n dalla nascita<br />

coinvolto nella cura e nella crescita<br />

dei fi gli. Questo coinvolgimento<br />

è particolarmente importante<br />

nel caso dei padri adottivi<br />

e facilita il positivo adattamento<br />

del bambino al nuovo contesto<br />

familiare.<br />

Le maggiori <strong>capacità</strong> <strong>di</strong> accu<strong>di</strong>mento<br />

manifestate dai padri<br />

adottivi potrebbero essere<br />

comprese analizzando la relativa<br />

mancanza <strong>di</strong> vissuti <strong>di</strong> esclusione<br />

normalmente presenti a seguito<br />

della gravidanza e percepiti dai<br />

padri biologici come eventi particolarmente<br />

<strong>di</strong>ffi cili da superare,<br />

che richiedono il <strong>di</strong>spen<strong>di</strong>o <strong>di</strong> numerose<br />

energie utilizzate per sostenere<br />

la <strong>di</strong>ade madre-bambino.<br />

Nell’adozione, l’impegno dei<br />

Psicologia dell’Affi do e dell’Adozione<br />

genitori adottivi abbraccia l’orizzonte<br />

della “generatività sociale”<br />

(Erikson, 1982). Questo facilita la<br />

costruzione <strong>di</strong> reti <strong>di</strong> relazioni con<br />

l’esterno, il mantenimento dei legami<br />

con il passato del bambino e<br />

la creazione della nuova relazione,<br />

da parte dei padri adottivi.<br />

<strong>La</strong> ricerca sul padre è ancora<br />

relativamente recente e negli<br />

stu<strong>di</strong> presenti si fa largo uso <strong>di</strong><br />

modelli teorici e tecnici sviluppati<br />

per l’analisi della genitorialità<br />

materna.<br />

In conclusione, se per alcuni<br />

aspetti, il presente elaborato ha<br />

raggiunto i suoi obiettivi cercando<br />

<strong>di</strong> scindere le <strong>di</strong>namiche relative<br />

alla transizione alla paternità<br />

biologica da quelle della paternità<br />

adottiva, per altri versi rimangono<br />

ancora inesplorate delle aree importanti.<br />

<strong>La</strong> conoscenza <strong>di</strong> ulteriori<br />

aspetti legati alle caratteristiche<br />

del padre adottivo, potrebbe agevolare<br />

la creazione <strong>di</strong> interventi<br />

mirati alla comprensione delle<br />

caratteristiche <strong>di</strong> caregiving che<br />

me<strong>di</strong>ano la formazione del sistema<br />

<strong>di</strong> attaccamento tra padri e<br />

fi gli adottati. Allo stesso tempo<br />

queste conoscenze faciliterebbero<br />

in fase pre-adottiva, il processo <strong>di</strong><br />

valutazione della coppia, facendo<br />

leva sulle caratteristiche specifi -<br />

che richieste ai coniugi e in fase<br />

post-adottiva, l’eventuale creazione<br />

<strong>di</strong> programmi <strong>di</strong> intervento<br />

volti a prevenire il formarsi <strong>di</strong><br />

psicopatologie gravi nei bambini.<br />

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73


Introduzione<br />

Il nuovo Rapporto statistico della Commissione<br />

per le Adozioni Internazionali sui Fascicoli dal 1°<br />

gennaio al 31 <strong>di</strong>cembre 2011, curato dall’Istituto<br />

per gli Innocenti <strong>di</strong> Firenze 1 , presenta l’evoluzione<br />

dell’adozione internazionale in Italia nel 2011 con la<br />

stessa ricchezza <strong>di</strong> dati e informazioni dei rapporti<br />

degli anni precedenti e con un più approfon<strong>di</strong>to apparato<br />

grafi co al fi ne <strong>di</strong> facilitare la lettura e l’inquadramento<br />

del fenomeno.<br />

Le informazioni che hanno permesso la realizzazione<br />

del rapporto sono state desunte dai fascicoli<br />

dei minori stranieri autorizzati all’ingresso e alla residenza<br />

permanente nel nostro Paese e inserite nella<br />

banca dati della Commissione per le adozioni internazionali.<br />

Nel 2011 le adozioni internazionali realizzate da<br />

coppie residenti in Italia sono state più <strong>di</strong> 4.000, con<br />

una lieve fl essione, rispetto al 2010, principalmente<br />

dovuta al rallentamento o sospensione <strong>di</strong> attività in<br />

alcuni Paesi asiatici, che stanno approntando nuove<br />

<strong>di</strong>sposizioni in materia <strong>di</strong> adozione internazionale, a<br />

seguito della ratifi ca della Convenzione de L’Aja.<br />

Tra i Paesi europei lo Stato che ha registrato un<br />

consistente calo delle adozioni è l’Ucraina, dove un<br />

numero inferiore <strong>di</strong> famiglie, rispetto al passato, ha<br />

in<strong>di</strong>rizzato il proprio progetto adottivo.<br />

In Italia cresce l’informazione e la consapevolezza,<br />

nelle famiglie così come negli operatori, dei reali<br />

bisogni dei bambini per i quali i singoli Paesi d’origine<br />

decidono <strong>di</strong> cercare una soluzione all’abbandono<br />

con l’adozione internazionale.<br />

<strong>La</strong> <strong>di</strong>minuzione delle <strong>di</strong>chiarazioni <strong>di</strong> <strong>di</strong>sponibilità<br />

presentate ai tribunali per i minorenni e il conseguente<br />

calo del numero <strong>di</strong> decreti <strong>di</strong> idoneità, verifi -<br />

cato negli ultimi anni, non <strong>di</strong>pende solo da ragioni<br />

economiche, ma anche e fortemente dalla <strong>di</strong>ffusione<br />

dell’informazione sull’effettiva realtà dell’adozione.<br />

1 Commissione per le Adozioni Internazionali (2012).<br />

Dati e prospettive nelle Adozioni internazionali. Rapporto<br />

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74<br />

Psicologia dell’Affi do e dell’Adozione<br />

4.022 i minori stranieri adott ati<br />

da 3.154 coppie italiane nel 2011:<br />

dati, implicazioni e prospett ive<br />

Dott. Salvatore Nuzzo<br />

Sul fronte estero, cresce il numero dei Paesi che<br />

aderiscono uffi cialmente o comunque si avvicinano<br />

a quello che si suole defi nire “sistema Aja”, facendo<br />

propri i principi fondamentali espressi nella Convenzione<br />

del 1993 e nella Convenzione <strong>di</strong> New York del<br />

1989: questo signifi ca maggiori garanzie <strong>di</strong> tutela per<br />

i bambini, per le famiglie biologiche e per le famiglie<br />

adottive.<br />

In numerosi Paesi tra<strong>di</strong>zionalmente d’origine, a<br />

ciò si aggiunge il progressivo miglioramento delle<br />

con<strong>di</strong>zioni economiche e sociali.<br />

In questi Paesi si rafforzano, anno dopo anno, la<br />

motivazione e la sensibilità all’adozione nazionale,<br />

che conseguentemente portano alla riduzione del<br />

numero delle adozioni internazionali e alla loro crescente<br />

complessità, con la proposta <strong>di</strong> bambini più<br />

gran<strong>di</strong>celli, <strong>di</strong> fratrie anche numerose e <strong>di</strong> minori con<br />

bisogni speciali.<br />

L’Italia è il principale Paese d’accoglienza per<br />

la maggior parte dei Paesi d’origine appartenenti al<br />

“sistema Aja”: particolarmente evidente è in Europa,<br />

dove l’Italia accoglie il maggior numero <strong>di</strong> bambini<br />

provenienti da Bulgaria, Lettonia, Lituania, Moldova,<br />

Polonia, Slovacchia, Ungheria, e in America<br />

<strong>La</strong>tina, dove l’Italia rappresenta il principale Paese<br />

d’accoglienza per i bambini provenienti da Bolivia,<br />

Brasile, Cile, Colombia, Costa Rica, Perù.<br />

1. Le coppie adottive<br />

Le coppie che, in possesso del decreto <strong>di</strong> idoneità,<br />

hanno portato a termine con successo l’iter adottivo<br />

negli anni che vanno dal 2000 al 2011 sono state<br />

29.060, con un andamento temporale che evidenzia<br />

un numero <strong>di</strong> coppie adottive costantemente superiore<br />

alle 3mila unità, con un massimo <strong>di</strong> 3.241 nel<br />

2010.<br />

<strong>La</strong> ripartizione territoriale delle coppie che hanno<br />

richiesto l’autorizzazione all’ingresso in Italia <strong>di</strong><br />

minori stranieri, nel periodo 16 novembre 2000 - 31<br />

<strong>di</strong>cembre 2011, in valori assoluti evidenzia che la<br />

Lombar<strong>di</strong>a è la regione con il maggior numero <strong>di</strong><br />

coppie adottanti (5.837); seguono il Veneto (3.053),<br />

la Toscana (2.660), il <strong>La</strong>zio (2.613), l’Emilia-Roma-


gna (2.174) e la Campania, prima regione meri<strong>di</strong>onale<br />

(1.883).<br />

Nel 2011 hanno portato a termine positivamente<br />

il percorso adottivo 3.154 coppie italiane.<br />

Il 97% circa delle coppie che hanno portato a termine<br />

una procedura adottiva nel 2011 sono state <strong>di</strong>chiarate<br />

idonee dal Tribunale per i minorenni, mentre<br />

il restante 3% circa delle coppie è stato ritenuto idoneo<br />

a seguito <strong>di</strong> ricorso in Corte d’appello.<br />

Le coppie adottive del 2011 nel 78,5% dei casi<br />

<strong>di</strong>sponevano <strong>di</strong> un decreto <strong>di</strong> idoneità generico: un<br />

dato in aumento rispetto al 74,7% del 2010.<br />

Le coppie in possesso <strong>di</strong> un decreto mirato 2 passano<br />

dal 22,5% del 2010 al 17,3% del 2011. Rispetto<br />

al 2010 aumentano al 4,2% le coppie adottive in possesso<br />

<strong>di</strong> un decreto <strong>di</strong> idoneità “nominativo” 3 .<br />

Anche nel 2011 si conferma l’età piuttosto elevata<br />

delle coppie adottanti, registrata nel 2010: l’età<br />

me<strong>di</strong>a dei mariti, alla data del decreto <strong>di</strong> idoneità, è<br />

stata <strong>di</strong> 42,4 anni e quella delle mogli <strong>di</strong> 40,4 anni.<br />

<strong>La</strong> classe <strong>di</strong> età prevalente tanto per i mariti<br />

(36,5%) quanto per le moglie (35,9%) è quella dei<br />

40-44 anni. Solamente lo 0,4% dei mariti e l’1,4%<br />

delle mogli ha meno <strong>di</strong> 30 anni, mentre oltre un quarto<br />

dei mariti (28,2%) e il 17,1% delle mogli hanno<br />

più <strong>di</strong> 45 anni.<br />

Poiché l’età me<strong>di</strong>a al matrimonio in Italia è <strong>di</strong><br />

poco superiore ai 31 anni per gli uomini e ai 30 per<br />

le donne, ne consegue che le coppie adottive italiane<br />

iniziano il percorso che le porterà ad adottare un minore<br />

straniero dopo circa 7-8 anni <strong>di</strong> matrimonio.<br />

Le famiglie adottive che hanno anche fi gli naturali<br />

sono fortemente minoritarie rispetto al totale<br />

delle coppie adottive. Questo dato è costante nel corso<br />

degli anni, con oscillazioni non signifi cative nel<br />

periodo preso in considerazione dal monitoraggio.<br />

Nel 2011 quasi 9 coppie adottanti su 10 (87,19%)<br />

non hanno fi gli, mentre le altre coppie ne hanno 1<br />

(10,65%) o più <strong>di</strong> 1 (2,15%).<br />

Relativamente al numero <strong>di</strong> minori adottati nel<br />

2011, oltre 3 coppie su 4 (76,89%) adottano 1 minore,<br />

il 18,99% adotta 2 minori e il 4,12% 3 o più minori:<br />

ciò signifi ca un lieve aumento, rispetto al 2010,<br />

delle coppie che adottano 1 solo minore e <strong>di</strong> quelle<br />

che adottano 2 minori, mentre <strong>di</strong>minuiscono le coppie<br />

che hanno adottato 3 o più minori.<br />

2 Si intende per “mirato” un provve<strong>di</strong>mento in cui si<br />

danno alcune in<strong>di</strong>cazioni più o meno specifi che sulla<br />

<strong>di</strong>sponibilità delle coppie (per es. lo stato <strong>di</strong> salute, una<br />

particolare età).<br />

3 S intende per “nominativo” un provve<strong>di</strong>mento nel<br />

quale viene fatto riferimento a uno specifi co bambino.<br />

Psicologia dell’Affi do e dell’Adozione<br />

Relativamente al livello <strong>di</strong> istruzione si conferma<br />

la netta prevalenza <strong>di</strong> coniugi con un titolo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o<br />

<strong>di</strong> scuola me<strong>di</strong>a superiore (il 48,2% sia dei mariti sia<br />

delle mogli). Seguono i coniugi con titolo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o<br />

universitario (il 32,9% dei mariti e il 38,4% delle<br />

mogli) e quelli con titolo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> scuola me<strong>di</strong>a<br />

inferiore (il 18,2% dei mariti e il 12,5% delle mogli).<br />

I coniugi adottanti sprovvisti <strong>di</strong> titolo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o o<br />

in possesso della sola licenza elementare rappresentano<br />

l’1% circa sia tra i mariti sia tra le mogli.<br />

Questi dati confermano dunque, nella stessa misura<br />

del 2010, un livello culturale delle coppie adottanti<br />

più elevato rispetto a quello della popolazione<br />

italiana nel suo complesso, ancora più evidente per le<br />

mogli rispetto ai mariti.<br />

Quanto alle professioni, tra le coppie che hanno<br />

adottato nel 2011, il 25,2% dei mariti e il 30,8% delle<br />

mogli svolgono una professione <strong>di</strong> tipo intellettuale<br />

a elevata specializzazione. Seguono, per i mariti, le<br />

professioni tecniche (21,3%), gli artigiani (17,6%),<br />

gli impiegati (14,3%), quin<strong>di</strong> le professioni qualifi -<br />

cate nelle attività commerciali e nei servizi (9,7%).<br />

Tra le mogli, il 20,9% svolge una professione impiegatizia,<br />

il 20,2% una professione tecnica, l’8,2%<br />

un’attività commerciale e/o nei servizi. Le casalinghe<br />

rappresentano l’11% dei casi.<br />

2. Le motivazioni all’adozione<br />

Per quanto concerne la motivazione che sta alla<br />

base della decisione <strong>di</strong> adottare un bambino straniero,<br />

attraverso lo stu<strong>di</strong>o delle relazioni psicosociali,<br />

che analizzano la storia personale e il percorso maturativo<br />

delle coppie, sono state ricavate tre categorie<br />

principali <strong>di</strong> motivazione.<br />

<strong>La</strong> motivazione più frequente all’adozione è legata<br />

all’infertilità 4 della coppia. Tra le coppie che<br />

hanno concluso l’adozione nel 2011, l’88,2% ha<br />

scelto <strong>di</strong> iniziare il percorso adottivo a causa della<br />

propria <strong>di</strong>ffi coltà <strong>di</strong> procreare; nell’anno 2010 è stato<br />

registrato l’85,1% e nell’anno 2009 l’80,6%.<br />

<strong>La</strong> seconda categoria, “conoscenza del minore”,<br />

riguarda le coppie che hanno sperimentato una positiva<br />

esperienza <strong>di</strong> accoglienza <strong>di</strong> un bambino stra-<br />

4 Il termine “infertilità” in<strong>di</strong>ca qui qualunque problema<br />

<strong>di</strong> carattere fi sico che <strong>di</strong> fatto impe<strong>di</strong>sce il concepimento:<br />

quin<strong>di</strong>, oltre all’infertilità della donna, dell’uomo<br />

o della coppia, sono comprese anche l’incompatibilità<br />

biologica dei partner (ad esempio il fatto che un eventuale<br />

concepimento comporti rischi genetici), la menopausa<br />

precoce e la <strong>di</strong>ffi coltà <strong>di</strong> portare a termine la<br />

gravidanza.<br />

75


niero che, per motivi <strong>di</strong> risanamento, viene in Italia<br />

dai Paesi dell’Est colpiti dalla catastrofe nucleare <strong>di</strong><br />

Chernobyl, con soggiorni che normalmente prevedono<br />

una permanenza nel periodo estivo e una durante<br />

le vacanze natalizie. <strong>La</strong> percentuale <strong>di</strong> tali adozioni è<br />

stata nel 2011 pari al 6,2%, contro il 5,2% del 2010<br />

e l’1,4% del 2009.<br />

Una terza motivazione rilevata è ascrivibile al<br />

desiderio adottivo, ovvero a quella che potrebbe<br />

essere letta come solidarietà verso uno o più bambini<br />

in <strong>di</strong>ffi coltà. Il 2,5% delle coppie ha sottolineato<br />

agli operatori il desiderio <strong>di</strong> adottare un minore (nel<br />

2010: 4,9% e nel 2009: 9,1%).<br />

Nel 3,1% circa dei casi le relazioni psicosociali<br />

analizzate non riportavano alcuna in<strong>di</strong>cazione circa<br />

la motivazione all’adozione.<br />

3. I bambini adottati<br />

Nel 2011 sono stati autorizzati all’ingresso in Italia<br />

4.022 minori stranieri, a fronte dei 4.130 dell’anno<br />

precedente, con un decremento del 2,6%.<br />

I dati relativi al 2011 confermano la sostanziale<br />

stabilità delle adozioni internazionali in Italia in<br />

questi ultimi anni. Le adozioni <strong>di</strong> minori stranieri in<br />

Italia si collocano intorno alla soglia delle 4mila unità<br />

dal 2008, con il superamento <strong>di</strong> questa soglia nel<br />

2010 e una sua sostanziale conferma nel 2011.<br />

Nel periodo compreso tra il 16 novembre 2000<br />

e il 31 <strong>di</strong>cembre 2011 i minori stranieri autorizzati<br />

all’ingresso in Italia a scopo adottivo sono stati<br />

36.117. Questi minori sono stati adottati da 29.060<br />

coppie, con una me<strong>di</strong>a <strong>di</strong> 1,24 bambini per coppia.<br />

Nell’anno 2011 il numero me<strong>di</strong>o <strong>di</strong> minori adottati<br />

per coppia è stato <strong>di</strong> 1,28 bambini, in leggero<br />

aumento rispetto alla me<strong>di</strong>a <strong>di</strong> 1,27 minori adottati<br />

per coppia del 2010. Questo dato conferma che il numero<br />

me<strong>di</strong>o <strong>di</strong> minori adottati per coppia è prossimo<br />

al tasso <strong>di</strong> fecon<strong>di</strong>tà delle coppie italiane, che è pari<br />

a circa 1,4 fi gli per donna.<br />

L’analisi territoriale dei dati conferma la tendenza<br />

manifestatasi dal 2009, ovvero il maggior peso<br />

delle regioni meri<strong>di</strong>onali 5 , pur in un panorama in cui<br />

le regioni centro-settentrionali sono in netta predominanza.<br />

Nel 2011 le coppie lombarde hanno richiesto<br />

l’autorizzazione all’ingresso a scopo adottivo <strong>di</strong> 723<br />

minori, il valore assoluto più alto, seguite da quelle<br />

laziali (422 minori), toscane (363 minori) e campane<br />

(333). Il <strong>La</strong>zio si conferma dunque la seconda regione<br />

per numero <strong>di</strong> minori adottati.<br />

5 Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria,<br />

Sicilia e Sardegna.<br />

76<br />

Psicologia dell’Affi do e dell’Adozione<br />

Il peso delle regioni meri<strong>di</strong>onali passa dal 28,8%<br />

del 2010 al 30% del 2011. <strong>La</strong> regione che tra il 2010<br />

e il 2011 ha fatto registrare l’incremento maggiore <strong>di</strong><br />

minori adottati, in sintonia con il dato delle coppie<br />

adottanti, è la Sicilia (+36 minori), seguita dall’Emilia-Romagna<br />

(+29 minori), dall’Abruzzo (+20 minori)<br />

e dal Trentino-Alto A<strong>di</strong>ge (+13).<br />

Le regioni che invece hanno avuto un decremento<br />

signifi cativo <strong>di</strong> minori adottati sono la Lombar<strong>di</strong>a<br />

(-71 minori), la Puglia (-27 minori) e la Liguria (-25<br />

minori).<br />

4. I Paesi <strong>di</strong> provenienza dei minori adottati<br />

Passando a esaminare la provenienza dei minori<br />

stranieri entrati in Italia nel 2011 per adozione, il<br />

Paese <strong>di</strong> origine da cui è arrivato il maggior numero<br />

<strong>di</strong> minori è ancora, come nel 2010, la Federazione<br />

Russa, con 781 minori autorizzati all’ingresso, pari<br />

al 19,42% del totale.<br />

Seguono la Colombia con 554 minori (13,77%),<br />

il Brasile con 304 minori (7,56%), l’Ucraina con 297<br />

(7,38%), l’Etiopia con 296 (7,36%), la Polonia con<br />

181 (4,50%) e l’In<strong>di</strong>a con 148 (3,68%).<br />

Complessivamente, da questi sette Paesi sono<br />

giunti in Italia nel 2011 2.561 minori, pari al 64%<br />

del totale dei minori autorizzati all’ingresso a scopo<br />

adottivo nel corso dell’anno.<br />

<strong>La</strong> <strong>di</strong>saggregazione delle autorizzazioni all’ingresso<br />

per continente <strong>di</strong> provenienza dei minori evidenzia<br />

un lieve incremento del numero dei minori<br />

provenienti dai Paesi europei, che nel 2011 rappresentano<br />

il 44,7% del totale, a fronte del 43,7% del<br />

2010.<br />

Un incremento consistente si è rilevato anche nel<br />

numero <strong>di</strong> minori provenienti dall’Africa, passati dal<br />

10,7% al 13,1% del totale. Il numero dei minori provenienti<br />

dall’Asia è invece <strong>di</strong>minuito, passando dal<br />

18,2% del 2010 al 15,3% del 2011; è calato lievemente<br />

anche il numero <strong>di</strong> minori stranieri provenienti<br />

dall’America <strong>La</strong>tina, passato dal 27,3% del 2010<br />

al 26,9% del 2011.<br />

Considerando l’intero decennio, si è progressivamente<br />

ridotto il numero dei minori provenienti<br />

dall’Europa, che passano dal 60,9% del 2001 a circa<br />

il 45% del 2011, con il conseguente aumento dei minori<br />

provenienti dagli altri continenti.<br />

I minori provenienti dall’America <strong>La</strong>tina passano<br />

dal 21,8% del 2001 al 26,9% del 2011, i minori<br />

asiatici dall’8,4% al 15,3% e quelli <strong>di</strong> origine africana<br />

dal 4,8% al 13,1%.<br />

I bambini adottati nel 2011 sono per il 57,5%<br />

maschi e per il 42,5% femmine.<br />

L’età me<strong>di</strong>a è stata <strong>di</strong> 6,1 anni, in lieve aumento<br />

rispetto al dato registrato nel 2010 (pari a 6 anni). Più


precisamente, oltre un terzo dei bambini adottati nel<br />

2011 (36,1%) ha un’età compresa fra 1 e 4 anni, il<br />

45,2% fra 5 e 9 anni, il 13,3% pari o superiore a 10<br />

anni, mentre solo il 5,4% è sotto l’anno d’età.<br />

Le età me<strong>di</strong>e più elevate, per i Paesi con più<br />

<strong>di</strong> 20 adozioni, si registrano tra i minori adottati in<br />

Bielorussia (14,8 anni), in Messico (9,4 anni), in Lituania<br />

(8,5 anni), in Ucraina (8,4 anni) e in Polonia<br />

(8,3 anni); le età me<strong>di</strong>e più basse si riscontrano nelle<br />

adozioni realizzate in Nigeria (2,5 anni), in Sri <strong>La</strong>nka<br />

(2,3 anni), in Mali e in Vietnam (1,5 anni), nella<br />

Corea del Sud (0,8 anni).<br />

Infi ne, nel 2011 è ulteriormente aumentato il numero<br />

<strong>di</strong> bambini adottati nei Paesi che hanno ratifi cato<br />

la Convenzione de L’Aja (56,2%) rispetto a quelli<br />

provenienti da Paesi non ratifi canti (43,8%).<br />

5. Bambini adottati nel 2011 con bisogni particolari<br />

e/o speciali<br />

<strong>La</strong> percentuale <strong>di</strong> minori stranieri con bisogni<br />

speciali segnalati adottati nel 2011 è pari al 13,4%,<br />

con una lieve fl essione rispetto ai dati del 2010<br />

(15,5%).<br />

<strong>La</strong> tendenza risulta in linea con gli anni precedenti<br />

riguardo ai continenti <strong>di</strong> origine e ai casi registrati:<br />

il maggior numero <strong>di</strong> bambini con bisogni segnalati<br />

proviene dall’Europa (27,8%); seguono Asia,<br />

America e Africa.<br />

Come evidenziato anche negli anni precedenti a<br />

livello metodologico, i dati riportano la <strong>di</strong>stinzione<br />

<strong>di</strong> base tra bisogni speciali e bisogni particolari.<br />

Con l’espressione “bisogni speciali” si intendono<br />

le situazioni caratterizzate da patologie gravi e<br />

spesso insanabili, come frequentemente sono quelle<br />

neurologiche e mentali; nel caso <strong>di</strong> “bisogni particolari”,<br />

si presuppone un recupero nel corso del tempo,<br />

con una guarigione totale o, comunque,<br />

uno sviluppo fi sico e psicologico tale da consentire<br />

un inserimento sociale autonomo.<br />

Comunemente tali caratteristiche sono in<strong>di</strong>cate<br />

nei decreti <strong>di</strong> idoneità come “<strong>di</strong>sabilità lievi e reversibili”.<br />

<strong>La</strong> complessità della materia trattata rende necessaria<br />

una serie <strong>di</strong> considerazioni in<strong>di</strong>spensabili per la<br />

comprensione del fenomeno.<br />

Un primo elemento da considerare riguarda la<br />

percentuale <strong>di</strong> atten<strong>di</strong>bilità del dato monitorato. Frequentemente<br />

le in<strong>di</strong>cazioni riportate nei fascicoli dei<br />

minori adottan<strong>di</strong> non sono corrette e/o complete, in<br />

quanto redatte da personale non me<strong>di</strong>co, bensì <strong>di</strong> assistenza.<br />

In questi casi, sono riportati principalmente<br />

i sintomi manifestati e non, invece, vere e proprie<br />

<strong>di</strong>agnosi <strong>di</strong> patologie.<br />

Ancora, gli standard informativi sono <strong>di</strong>versi,<br />

Psicologia dell’Affi do e dell’Adozione<br />

sia per qualità sia per quantità, a seconda del Paese<br />

<strong>di</strong> origine del minore adottato: la raccolta dei dati è<br />

pertanto più atten<strong>di</strong>bile e più dettagliata per bambini<br />

provenienti da un Paese piuttosto che da un altro.<br />

Infi ne, la rilevazione dei bisogni speciali o particolari<br />

è effettuata esclusivamente su quanto emerge<br />

dalla documentazione esistente al momento dell’adozione,<br />

rimanendo esclusi i casi in cui le problematiche<br />

sanitarie si manifestino solamente una volta che<br />

il minore è in Italia.<br />

Complessivamente, il dato globale è sicuramente<br />

sottostimato rispetto al numero effettivo <strong>di</strong> bambini<br />

con bisogni, sia particolari sia speciali.<br />

<strong>La</strong> costante e attenta <strong>di</strong>samina <strong>di</strong> ogni singolo<br />

fascicolo ha permesso, nel corso degli anni, <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare<br />

<strong>di</strong>agnosi <strong>di</strong> massima incidenza per ogni<br />

continente.<br />

In Europa, la maggior parte dei casi segnalati <strong>di</strong><br />

bisogni speciali o particolari riguarda bambini caratterizzati<br />

da “ritardo psicologico e/o psicomotorio”,<br />

spesso causato da precoce e lunga istituzionalizzazione<br />

in ambienti inidonei e con scarsa stimolazione.<br />

I minori provenienti dai Paesi del Centro e Sud<br />

America soffrono più frequentemente <strong>di</strong> malattie e<br />

bisogni attribuibili a carenze <strong>di</strong> nutrizione. <strong>La</strong> <strong>di</strong>agnosi<br />

si presenta molto simile anche per i bambini<br />

originari dell’Africa dove peraltro - così come in<br />

Asia - una delle cause più comuni <strong>di</strong> malattia è la<br />

scarsità <strong>di</strong> igiene.<br />

<strong>La</strong> fascia d’età in cui i bisogni speciali o particolari<br />

si manifestano più frequentemente è quella<br />

compresa tra 1 e 4 anni, con una percentuale pari al<br />

15.4%, seguita dalla fascia 5-9 anni.<br />

6. Gli Enti Autorizzati<br />

Nel 2011 gli Enti autorizzati che hanno seguito le<br />

coppie italiane per l’adozione <strong>di</strong> almeno un bambino<br />

straniero sono stati 63 sul totale dei 65 Enti autorizzati.<br />

Gli Enti autorizzati, alla data del 31 <strong>di</strong>cembre<br />

2011, erano presenti sul territorio nazionale con 215<br />

se<strong>di</strong> operative. Il maggior numero <strong>di</strong> se<strong>di</strong> è presente<br />

nel <strong>La</strong>zio e nella Lombar<strong>di</strong>a (31 se<strong>di</strong> ciascuno); segue<br />

la Toscana (21 se<strong>di</strong>).<br />

Nel 2011, gli enti autorizzati, nel complesso,<br />

hanno seguito me<strong>di</strong>amente 18,7 adozioni per sede. I<br />

dati <strong>di</strong>saggregati per regione evidenziano che la Basilicata,<br />

con 38 minori adottati per sede, è la regione<br />

con il maggior numero <strong>di</strong> adozioni per sede.<br />

Seguono l’Umbria con 30,5, la Campania con<br />

27,8, il Veneto con 24,9, la Calabria con 23,4, la<br />

Lombar<strong>di</strong>a con 23,3 e la Liguria con 20,3 minori<br />

adottati per sede presente sul territorio regionale.<br />

77


7. Il percorso del bambino: dall’abbandono<br />

all’adozione<br />

I bambini provenienti dall’Africa e dal Sud-Est<br />

asiatico nella maggioranza dei casi sono stati abbandonati<br />

dai genitori biologici presso ospedali o altre<br />

strutture, mentre nei Paesi dell’Europa dell’Est e<br />

dell’America <strong>La</strong>tina il motivo più frequente per cui<br />

i bambini sono sottoposti alla tutela <strong>dello</strong> Stato è la<br />

per<strong>di</strong>ta della potestà genitoriale.<br />

Partendo dalla motivazione <strong>di</strong> abbandono più<br />

frequente, il Rapporto 2011 ha cercato <strong>di</strong> delineare il<br />

percorso del bambino prima dell’adozione in ognuno<br />

dei principali Paesi <strong>di</strong> origine.<br />

Federazione Russa<br />

Anche nel 2011 la Federazione Russa è risultato il<br />

Paese d’origine nel quale è stato realizzato il maggior<br />

numero <strong>di</strong> adozioni. Nell’80,9% dei casi i bambini<br />

russi adottati in Italia erano stati posti sotto la<br />

tutela <strong>dello</strong> Stato dopo che i genitori biologici erano<br />

stati <strong>di</strong>chiarati inidonei a curarsene e, pertanto, destituiti<br />

della potestà genitoriale. Tale percentuale è signifi<br />

cativamente aumentata rispetto al 2010 (74,4%)<br />

e al 2009 (68,2%).<br />

Il tempo me<strong>di</strong>o che un minore russo adottato nel<br />

2011 aveva prima trascorso in istituto è stato <strong>di</strong> circa<br />

2 anni, come quello che è trascorso dal momento<br />

in cui è stato inserito in banca dati al momento<br />

dell’ingresso in Italia. Il dato, che rispecchia quanto<br />

è emerso anche nella rilevazione del 2010, potrebbe<br />

in<strong>di</strong>care che le procedure <strong>di</strong> destituzione della potestà<br />

genitoriale sono avviate non appena il bambino è<br />

posto sotto la tutela dei Servizi sociali.<br />

Il tempo me<strong>di</strong>o invece che trascorre da quando il<br />

bambino è abbinato a una coppia italiana fi no all’autorizzazione<br />

all’ingresso è <strong>di</strong> 4 mesi.<br />

Colombia<br />

Nel 2011 la Colombia è stato il secondo Paese <strong>di</strong> provenienza<br />

dei minori adottati in Italia (554). Nei dati<br />

relativi all’anno 2011 il motivo che ha comportato<br />

l’attivazione della tutela <strong>dello</strong> Stato a favore del minore<br />

è stato nel 93,9% dei casi la per<strong>di</strong>ta della potestà<br />

genitoriale.<br />

Nel 2011, in me<strong>di</strong>a il bambino colombiano adottato<br />

da una famiglia italiana aveva trascorso in istituto o<br />

in affi damento 31 mesi, a fronte dei 34 mesi del 2010<br />

e dei 39 mesi del 2009. <strong>La</strong> signifi cativa permanenza<br />

in istituto può essere spiegata con il fatto che frequentemente<br />

si tratta <strong>di</strong> gruppi <strong>di</strong> due, tre e anche<br />

quattro fratelli e <strong>di</strong> bambini con bisogni speciali, per<br />

i quali è certamente più <strong>di</strong>ffi cile in<strong>di</strong>viduare una famiglia<br />

in grado <strong>di</strong> accoglierli.<br />

78<br />

Psicologia dell’Affi do e dell’Adozione<br />

Dalla data della per<strong>di</strong>ta della patria potestà a quella<br />

dell’ingresso in Italia passa poi poco meno <strong>di</strong> 1<br />

anno. Dalla data <strong>di</strong> abbinamento fi no all’autorizzazione<br />

all’ingresso trascorrono in me<strong>di</strong>a 4 mesi, con<br />

un tempo <strong>di</strong> permanenza della famiglia nel Paese <strong>di</strong><br />

circa 45 giorni.<br />

Brasile<br />

Nel 90,1% dei casi, la ragione per cui i bambini<br />

brasiliani adottati nel 2011 da coppie italiane sono<br />

entrati nel circuito dell’adozione è stata la per<strong>di</strong>ta<br />

della potestà genitoriale, a causa <strong>di</strong> maltrattamenti o<br />

abusi o per gravi trascuratezze da parte dei genitori<br />

biologici. Per questo, frequentemente i bambini sono<br />

collocati in strutture <strong>di</strong> accoglienza, dove trascorrono<br />

anche più <strong>di</strong> 3 anni, prima <strong>di</strong> essere fi nalmente<br />

adottati.<br />

<strong>La</strong> procedura <strong>di</strong> indagine che ha portato al deca<strong>di</strong>mento<br />

della per<strong>di</strong>ta della potestà genitoriale ha avuto,<br />

nel caso dei bambini brasiliani entrati in Italia nel<br />

2011, una durata me<strong>di</strong>a <strong>di</strong> 25 mesi.<br />

Infi ne, dalla data dell’abbinamento alla coppia italiana<br />

fi no all’autorizzazione all’ingresso sono trascorsi,<br />

nel 2011, in me<strong>di</strong>a 7 mesi, con un tempo <strong>di</strong> permanenza<br />

della famiglia in Brasile pari a 40/50 giorni.<br />

Ucraina<br />

<strong>La</strong> motivazione dell’abbandono più frequente dei<br />

minori adottati in Ucraina è stata, anche per l’anno<br />

2011, la per<strong>di</strong>ta della potestà genitoriale (85,5%).<br />

Il tempo me<strong>di</strong>o che intercorre da quando il bambino<br />

viene accolto in istituto a quando entra in Italia con<br />

i nuovi genitori è <strong>di</strong> 33 mesi. <strong>La</strong> lunga durata della<br />

permanenza del minore in istituto si ricollega, almeno<br />

in parte, al fatto che, per essere can<strong>di</strong>dato all’adozione<br />

internazionale, ogni bambino deve essere registrato<br />

presso la banca dati centralizzata per i minori<br />

privi <strong>di</strong> tutela genitoriale per 12 mesi. In questo lasso<br />

<strong>di</strong> tempo, gli organi statali verifi cano la possibilità<br />

<strong>di</strong> attivare un’adozione nazionale. Solo nel caso in<br />

cui ciò non sia stato possibile, il minore può essere<br />

adottato da una coppia straniera.<br />

Il periodo che intercorre tra lo spirare dei suddetti<br />

12 mesi e l’effettivo ingresso in Italia è stato, per le<br />

adozioni concluse nel 2011, pari a 35 mesi: si tratta<br />

<strong>di</strong> un periodo molto più lungo <strong>di</strong> quello rilevato nel<br />

2010, pari a 20 mesi.<br />

Il tempo che intercorre tra l’abbinamento e l’autorizzazione<br />

all’ingresso in Italia è stato me<strong>di</strong>amente <strong>di</strong> 2<br />

mesi sia nel 2011 sia nel 2010.<br />

Etiopia<br />

L’Etiopia è il primo Paese <strong>di</strong> origine del continente<br />

africano per le adozioni realizzate da coppie ita-


liane. Le ragioni più frequenti per le quali i bambini<br />

etiopi entrano sotto la tutela <strong>dello</strong> Stato sono l’abbandono<br />

materiale e la rinuncia da parte dei genitori<br />

naturali (45,9%). L’abbandono spesso è conseguenza<br />

del decesso dei genitori biologici e dell’impossibilità<br />

della famiglia allargata a prendersene cura, optando<br />

perciò per la rinuncia alla tutela.<br />

Dalla data in cui il bambino viene abbandonato fi no<br />

al momento del suo ingresso in Italia intercorre un<br />

tempo me<strong>di</strong>o <strong>di</strong> 17 mesi.<br />

Dall’abbinamento all’ingresso in Italia passano<br />

me<strong>di</strong>amente 7 mesi, così come già riscontrato nel<br />

2010.<br />

In<strong>di</strong>a<br />

Nel 2011 i bambini provenienti dall’In<strong>di</strong>a sono stati<br />

148. Il motivo principale per cui questi minori erano<br />

entrati sotto la tutela <strong>dello</strong> Stato è rappresentato<br />

dall’abbandono fi sico e materiale (95,9%).<br />

I tempi <strong>di</strong> permanenza dei minori in<strong>di</strong>ani in istituto<br />

sono piuttosto elevati. Dalla data <strong>di</strong> inserimento nella<br />

struttura d’accoglienza alla data <strong>di</strong> autorizzazione<br />

all’ingresso in Italia è stata registrata un’attesa me<strong>di</strong>a<br />

<strong>di</strong> 39 mesi: ciò signifi ca che un bambino in<strong>di</strong>ano trascorre<br />

in istituto (o molto più raramente presso una<br />

famiglia affi dataria) un periodo <strong>di</strong> oltre 3 anni.<br />

In questa prolungata permanenza in istituto, una parte<br />

considerevole è costituita dal tempo che passa dalla<br />

data dell’abbinamento all’ingresso in Italia. Questo<br />

periodo ha avuto una durata <strong>di</strong> 19 mesi nel 2009, <strong>di</strong><br />

24 mesi nel 2010 e <strong>di</strong> 17 mesi nel 2011.<br />

Repubblica democratica del Congo<br />

Nell’anno 2011 sono stati 123 i bambini provenienti<br />

dalla Repubblica Democratica del Congo.<br />

Nel 2011 il tempo intercorso dall’abbandono materiale<br />

all’autorizzazione all’ingresso in Italia dei bambini<br />

congolesi è stato <strong>di</strong> 32 mesi. Il tempo dalla data<br />

<strong>di</strong> abbandono all’adozione è <strong>di</strong> circa 22 mesi.<br />

Me<strong>di</strong>amente sono 11 i mesi che intercorrono dall’abbinamento<br />

all’ingresso del bambino in Italia.<br />

Repubblica delle Filippine<br />

Nel 2011 sono stati autorizzati all’ingresso 26 bambini<br />

provenienti dalle Filippine. Il motivo per cui i<br />

bambini entrano sotto la protezione statale è nel<br />

76,9% dei casi l’abbandono. Frequentemente i genitori<br />

sono sconosciuti: questa circostanza è tenuta<br />

in specifi ca considerazione da parte dell’Autorità fi -<br />

lippina, che chiede alle coppie aspiranti all’adozione<br />

<strong>di</strong> rendersi <strong>di</strong>sponibili ad accogliere anche bambini<br />

“with no background information”, ossia “abbandonati”,<br />

“trovatelli”.<br />

Nei 12 casi in cui la documentazione fornita ha per-<br />

Psicologia dell’Affi do e dell’Adozione<br />

messo l’indagine, è emerso che, in me<strong>di</strong>a, i bambini<br />

sono stati inseriti in istituto 39 mesi prima della data<br />

dell’autorizzazione all’ingresso in Italia. In un<strong>di</strong>ci<br />

casi, dalla data dell’abbinamento dell’autorizzazione<br />

all’ingresso in Italia sono passati 5 mesi.<br />

8. Il percorso della coppia: dal conferimento<br />

dell’incarico all’Ente all’autorizzazione all’ingresso<br />

del bambino adottato<br />

Il tempo me<strong>di</strong>o del percorso adottivo, adottivo,<br />

dal conferimento dell’incarico a un Ente autorizzato<br />

fi no al rilascio dell’autorizzazione all’ingresso in Italia,<br />

si è stabilizzato in poco più <strong>di</strong> 2 anni.<br />

Nel 2011 il tempo me<strong>di</strong>o del percorso adottivo è<br />

stato <strong>di</strong> 25 mesi, dunque un mese in meno rispetto al<br />

2009 e al 2010 e due mesi in meno rispetto al dato<br />

registrato nel 2008.<br />

Il 22,5% delle adozioni si sono perfezionate entro<br />

un anno dal conferimento dell’incarico (nel 2010<br />

tale percentuale era pari al 27%), mentre il 42,5%<br />

delle adozioni ha avuto una durata superiore all’anno<br />

e inferiore ai due anni (nel 2010 era il 35%).<br />

Solo il 14,9% delle procedure ha richiesto un<br />

tempo compreso tra i due e i tre anni (nel 2010 era<br />

il 16,4%) e il 20,1 % delle adozioni si sono concluse<br />

dopo un’attesa <strong>di</strong> oltre tre anni (2010 -21%).<br />

Il dato relativo al tempo me<strong>di</strong>o che intercorre dal<br />

conferimento dell’incarico fi no all’autorizzazione<br />

all’ingresso in Italia <strong>di</strong>venta più signifi cativo se defi -<br />

nito in relazione a ciascun Paese d’origine.<br />

Per la Federazione Russa, primo Paese <strong>di</strong> origine<br />

per le adozioni nel 2011 (come anche nel 2010<br />

e nel 2009), il periodo <strong>di</strong> attesa me<strong>di</strong>o dalla data del<br />

conferimento dell’incarico alla data dell’autorizzazione<br />

all’ingresso è stato, nel 2011, pari a 18 mesi,<br />

con un decremento rispetto ai tre anni precedenti (nel<br />

2008 la durata me<strong>di</strong>a <strong>di</strong> attesa era <strong>di</strong> 26 mesi).<br />

Il secondo Paese <strong>di</strong> provenienza dei minori adottati<br />

in Italia nel 2011, così come nel 2010, è stato<br />

la Colombia. I tempi me<strong>di</strong> <strong>di</strong> attesa in questo Paese<br />

sono stati sostanzialmente stabili nel corso degli ultimi<br />

sei anni. Il tempo me<strong>di</strong>o che intercorre dalla data<br />

del conferimento dell’incarico all’ente alla data <strong>di</strong><br />

autorizzazione all’ingresso è variato, nel corso degli<br />

anni, da 25 a 27 mesi.<br />

Sud<strong>di</strong>videndo in fasce il tempo me<strong>di</strong>o <strong>di</strong> attesa, si<br />

osserva che il 29,2% delle adozioni del 2011 si è<br />

concluso entro l’anno dal conferimento dell’incarico<br />

all’ente, il 33,6% in un lasso <strong>di</strong> tempo compreso tra<br />

13 e 24 mesi, il 14,6% tra 25 e 36 mesi e il 22,6% ha<br />

superato i 36 mesi <strong>di</strong> attesa.<br />

Un altro Paese dell’America <strong>La</strong>tina da cui l’Italia<br />

accoglie un numero elevato <strong>di</strong> minori è il Brasile.<br />

L’attesa me<strong>di</strong>a è più o meno costante negli anni, <strong>di</strong><br />

79


poco inferiore ai 2 anni Dalla sud<strong>di</strong>visione temporale<br />

delle adozioni concluse nel 2011 per fasce, risulta<br />

che il 23% delle procedure si è concluso entro<br />

1 anno, il 45,4% ha avuto una durata compresa tra<br />

13 e 24 mesi, il 10,9% si è concluso entro 3 anni e il<br />

20,7% ha avuto un’attesa superiore a 3 anni.<br />

Il quarto Paese <strong>di</strong> origine del 2011 è stato l’Ucraina,<br />

con 297 minori adottati e autorizzati all’ingresso<br />

in Italia. In questo Paese i tempi <strong>di</strong> attesa sono notevolmente<br />

<strong>di</strong>minuiti rispetto agli anni precedenti.<br />

I tempi me<strong>di</strong> degli anni passati hanno risentito del rior<strong>di</strong>no<br />

a livello politico e amministrativo delle competenze<br />

istituzionali riguardanti l’adozione internazionale.<br />

Per quanto riguarda la durata dell’attesa nel<br />

2011 ben l’87,9% delle coppie ha concluso l’adozione<br />

entro 2 anni dalla data del conferimento incarico.<br />

Inoltre si sottolinea la <strong>di</strong>minuzione della percentuale<br />

delle coppie che hanno atteso oltre 3 anni, passata dal<br />

19,2% del 2010 al 7,4% del 2011.<br />

L’Etiopia si riconferma primo Paese <strong>di</strong> provenienza<br />

del continente africano. Il tempo me<strong>di</strong>o <strong>di</strong><br />

attesa negli ultimi anni è sempre stato inferiore a 24<br />

mesi attestandosi nel 2011 a 18 mesi.<br />

Le procedure adottive concluse entro 24 mesi dal<br />

conferimento <strong>di</strong> incarico all’ente autorizzato corrispondono<br />

a una percentuale pari all’85,9% del totale.<br />

Solo sei casi hanno richiesto un tempo superiore<br />

ai 3 anni, casi che possiamo ipotizzare essere stati<br />

caratterizzati da qualche problema molto specifi co e<br />

non generalizzabile.<br />

Per quanto riguarda l’In<strong>di</strong>a, i dati riguardanti il<br />

periodo dell’attesa degli ultimi sei anni variano da un<br />

minimo <strong>di</strong> 26 mesi nel 2007 fi no a un massimo <strong>di</strong> 31<br />

mesi registrati sia nel 2006 sia nell’ultimo biennio.<br />

Il numero <strong>di</strong> minori adottati non ha subito variazioni<br />

<strong>di</strong> rilievo anche se registriamo un lieve incremento<br />

nell’ultimo anno <strong>di</strong> rilevazione.<br />

Nell’anno 2011 solo una adozione è stata conclusa<br />

entro 12 mesi dal conferimento all’ente. È stato<br />

consistente (30,4%) anche il numero <strong>di</strong> adozioni che<br />

hanno richiesto più <strong>di</strong> 36 mesi <strong>di</strong> attesa.<br />

<strong>La</strong> Repubblica Democratica del Congo si posiziona<br />

al settimo posto con 123 adozioni concluse.<br />

Dai dati emerge come la me<strong>di</strong>a per la conclusione <strong>di</strong><br />

un’adozione sia inferiore a 2 anni e che dal 2006 al<br />

2011 ci sia stato un costante incremento della durata<br />

della procedura passando da 8 a 19 mesi contestualmente<br />

al costante incremento del numero delle adozioni,<br />

da 10 nel 2006 a 123 nel 2011.<br />

Il maggior numero <strong>di</strong> adozioni realizzate (48,8%) si<br />

colloca nel periodo compreso tra 13 e 24 mesi; indubbiamente<br />

signifi cativa (31,7%) è anche la fascia<br />

riguardante le procedure concluse entro 12 mesi.<br />

L’ottavo Paese <strong>di</strong> provenienza dei minori autoriz-<br />

80<br />

Psicologia dell’Affi do e dell’Adozione<br />

zati all’ingresso in Italia nel 2011 è stato la Repubblica<br />

delle Filippine con 26 adozioni concluse.<br />

Dai dati emerge che il tempo me<strong>di</strong>o <strong>di</strong> attesa è <strong>di</strong> circa<br />

3 anni ed è stato costante fi n dal 2006. <strong>La</strong> percentuale<br />

più elevata è quella relativa alla fascia superiore<br />

a 3 anni <strong>di</strong> attesa (69,2%). Il 26,9% delle procedure<br />

si conclude tra 25 e 36 mesi e solo un’adozione si è<br />

conclusa entro 2 anni.<br />

9. I decreti <strong>di</strong> idoneità<br />

I decreti <strong>di</strong> idoneità emessi dai tribunali per i<br />

minorenni negli anni 2006-2010 e pervenuti alla<br />

Commissione per le adozioni internazionali (dato<br />

aggiornato al 31 <strong>di</strong>cembre 2011) sono stati 6.237 nel<br />

2006, 5.635 nel 2007, 5.045 nel 2008, 4.509 nel 2009<br />

e 4.277 nel 2010.<br />

Quanto al 2011, alla data del 31 <strong>di</strong>cembre 2011<br />

erano giunti alla Commissione per le adozioni internazionali<br />

3.179 decreti <strong>di</strong> idoneità (il dato è parziale<br />

e se ne prevede il congruo aumento conformemente<br />

a quanto verifi cato negli anni passati).<br />

Le coppie in possesso del decreto <strong>di</strong> idoneità<br />

emesso nel periodo 2006-2010 che non hanno conferito<br />

l’incarico a un ente autorizzato sono state 8.2111,<br />

a fronte <strong>di</strong> 25.703 decreti <strong>di</strong> idoneità complessivamente<br />

emessi nel medesimo periodo. Dunque, ben<br />

il 31,9% delle coppie <strong>di</strong>chiarate idonee all’adozione<br />

internazionale non ha conferito l’incarico a un ente<br />

autorizzato, con conseguente sopravvenuta ineffi cacia<br />

dei relativi decreti <strong>di</strong> idoneità.<br />

<strong>La</strong> percentuale dei decreti <strong>di</strong> idoneità seguiti da<br />

conferimento <strong>di</strong> incarico a un ente autorizzato è però<br />

progressivamente aumentata negli ultimi anni, arrivando<br />

a superare il 72% per i decreti emessi nell’anno<br />

2010.<br />

Le coppie in possesso <strong>di</strong> decreto <strong>di</strong> idoneità,<br />

emesso nel periodo 2006-2010, che hanno conferito<br />

incarico a un ente autorizzato (al netto delle revoche<br />

agli enti) al 31 <strong>di</strong>cembre 2011 sono state 14.994. Le<br />

coppie in possesso <strong>di</strong> decreto <strong>di</strong> idoneità emesso fra<br />

il 2006 e il 2010 che hanno portato a termine l’adozione<br />

sono state 9.796 (pari al 56% <strong>di</strong> tutte quelle che<br />

avevano conferito l’incarico agli enti autorizzati; la<br />

percentuale sale al 65,3%, se si considera il numero<br />

dei conferimenti <strong>di</strong> incarico al netto delle revoche).<br />

Nel complesso, le coppie in possesso <strong>di</strong> un decreto<br />

<strong>di</strong> idoneità emesso nell’arco temporale 2006-2010<br />

hanno realizzato un’adozione in Europa nel 38,2%<br />

dei casi, in Asia nel 24,2% dei casi, in America <strong>La</strong>tina<br />

nel 22,3% e in Africa nel 15,2%.<br />

Conclusioni<br />

L’anno 2011 ha riconfermato l’Italia come Stato<br />

<strong>di</strong> grande accoglienza per i tanti minori in attesa <strong>di</strong>


una famiglia dai vari Paesi del mondo.<br />

Come emerge dal Rapporto statistico, i minori<br />

in stato <strong>di</strong> adottabilità sono sempre più gran<strong>di</strong>: l’età<br />

me<strong>di</strong>a raggiunta nel 2011 è <strong>di</strong> 6,1 anni. Sono bambini<br />

spesso portatori <strong>di</strong> problematiche sanitarie specifi -<br />

che: i minori con bisogni speciali e particolari entrati<br />

nel nostro Paese nel corso del 2011 sono stati 639, e<br />

cioè il 13,4% <strong>di</strong> tutti i minori adottati e autorizzati a<br />

entrare in Italia.<br />

Ma in alcuni Paesi dell’Est europeo la percentuale<br />

<strong>di</strong> minori con bisogni segnalati adottati dalle<br />

coppie italiane sale fi no al 40 %. Ed è sempre alta<br />

(23%) la percentuale delle coppie che hanno adottato<br />

gruppi <strong>di</strong> due o più fratelli.<br />

Questi dati confermano la crescente <strong>di</strong>sponibilità<br />

maturata dalle nostre coppie nel corso degli anni,<br />

dando prova <strong>di</strong> una consapevolezza del signifi cato<br />

dell’adozione come delle caratteristiche e dei bisogni<br />

dei bambini.<br />

Gli operatori pubblici e privati, dei Servizi del<br />

territorio e degli Enti autorizzati, che hanno formato<br />

e seguito le coppie dal primo passo fi no alla realizzazione<br />

del progetto adottivo, hanno il merito <strong>di</strong> questo<br />

processo evolutivo verso un’accoglienza così signifi -<br />

cativa, che <strong>di</strong>stingue nettamente le coppie italiane da<br />

quelle degli altri Paesi.<br />

Restano ancora molto alti i costi dell’adozione<br />

internazionale che, insieme con la sua complessità,<br />

possono spiegare la rinuncia <strong>di</strong> tante coppie a conferire<br />

il mandato a un Ente autorizzato.<br />

Stante l’età me<strong>di</strong>a dei bambini che entrano in<br />

Italia per adozione, risultano fondamentali la formazione<br />

degli operatori dei Servizi territoriali, degli<br />

Enti autorizzati e dei Tribunali per i minorenni e il<br />

maggior coinvolgimento della scuola, responsabile<br />

dell’accoglienza e della loro integrazione.<br />

Per noi Psicologi <strong>di</strong>viene imprescin<strong>di</strong>bile una<br />

preparazione più specifi ca considerato che le caratteristiche<br />

dei bambini adottabili hanno subito gran<strong>di</strong><br />

cambiamenti nel corso degli ultimi anni e che sempre<br />

più frequentemente, dai Paesi <strong>di</strong> provenienza, vengono<br />

segnalati per l’adozione minori che presentano<br />

“bisogni speciali”, riconducibili a <strong>di</strong>versi e, a volte,<br />

concomitanti fattori critici quali:<br />

• l’età avanzata del bambino all’arrivo in famiglia<br />

(6/7 anni e oltre);<br />

• il <strong>gruppo</strong> <strong>di</strong> due o più fratelli;<br />

• l’essere cresciuto in contesti altamente inadeguati<br />

o in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> grave pregiu<strong>di</strong>zio,<br />

sperimentando specifi che esperienze traumatiche,<br />

quali il maltrattamento, la grave trascuratezza,<br />

la violenza assistita e l’abuso sessuale,<br />

che hanno dato luogo ad un funzionamento psicologico<br />

e comportamentale fortemente proble-<br />

Psicologia dell’Affi do e dell’Adozione<br />

matico;<br />

• la presenza <strong>di</strong> problematiche <strong>di</strong> salute e/o<br />

<strong>di</strong>sabilità, non reversibili e/o che richiedono<br />

interventi sanitari importanti e prolungati.<br />

E’ evidente che un bambino con bisogni speciali<br />

richiede interventi me<strong>di</strong>ci, fi sici e <strong>di</strong> sviluppo, senza<br />

i quali non sarà in grado <strong>di</strong> raggiungere il suo pieno<br />

potenziale. Dovrà trovare, pertanto, una famiglia<br />

adottiva amorosa e desiderosa <strong>di</strong> prendersene cura,<br />

una famiglia chiamata a compiti molto complessi che<br />

richiedono accompagnamento e sostegno adeguati.<br />

Proprio la delicatezza e la complessità del compito<br />

che spetta ai genitori adottivi che dovranno<br />

costruire una relazione nutriente e riparativa con il<br />

bambino e, parallelamente, accompagnarlo e sostenerlo<br />

nell’affrontare, oltre che le consuete sfi de della<br />

crescita, le specifi che questioni che caratterizzano<br />

l’adozione, denominate da Marco Chistolini temi<br />

sensibili dell’adozione (TSA). Essi sono:<br />

1. l’informazione sull’essere stati adottati;<br />

2. la rottura del legame con i genitori naturali<br />

(l’abbandono) ed il confronto con il passato;<br />

3. la costruzione <strong>di</strong> una positiva identità <strong>di</strong> genitori<br />

adottivi;<br />

4. la costruzione <strong>di</strong> una equilibrata identità etnica;<br />

5. la costruzione <strong>di</strong> una buona relazione <strong>di</strong> attaccamento<br />

bambino-genitori;<br />

6. l’inserimento a scuola e nel contesto sociale;<br />

7. la presenza <strong>di</strong> traumi specifi ci.<br />

In questo <strong>di</strong>ffi cile compito è importante che i<br />

genitori adottivi possano contare sull’accompagnamento<br />

e sul sostegno, adeguato e competente, degli<br />

operatori psicosociali.<br />

Se le problematiche e i bisogni del bambino sono<br />

assai <strong>di</strong>versifi cati, è importante che il sostegno sia<br />

organizzato in modo da essere fl essibile e sappia calibrare,<br />

in qualità e quantità, gli interventi sulla base<br />

delle specifi che esigenze <strong>di</strong> ciascun nucleo familiare.<br />

Il sostegno può svolgersi, perciò, su due <strong>di</strong>fferenti<br />

livelli <strong>di</strong> lavoro:<br />

1. “sostegno standard”, che trova la sua motivazione<br />

nel fatto che tutte le famiglie adottive,<br />

a prescindere dalle loro caratteristiche, si<br />

trovano ad affrontare alcuni temi impegnativi,<br />

per i quali è necessario che siano seguite e sostenute;<br />

2. sostegno da attivare sulla base <strong>di</strong> specifi che<br />

esigenze presentate dal nucleo adottivo.<br />

Quest’ultima <strong>di</strong>mensione risponde ad una logica<br />

“sartoriale” che costruisce il suo prodotto sulla base<br />

dei bisogni specifi ci del cliente (Chistolini), che vanno<br />

perciò accuratamente valutati in vista del progetto<br />

<strong>di</strong> intervento.<br />

81


82<br />

(Questo lavoro è una versione<br />

abbreviata <strong>di</strong> una ben più ampia<br />

ricerca effettuata nel 2011<br />

presso il reparto <strong>di</strong> Nefrologia<br />

ed Emo<strong>di</strong>alisi dell’Ospedale<br />

Regionale “F. Miulli” <strong>di</strong> Acquaviva<br />

delle Fonti).<br />

L’Insuffi cienza renale cronica<br />

(IRC) è una malattia <strong>di</strong> grande<br />

impatto sulla sanità pubblica<br />

principalmente per due motivi:<br />

-<br />

-<br />

il numero dei pazienti è<br />

sempre in costante aumento;<br />

il trattamento <strong>di</strong>alitico, è<br />

una terapia ad alto costo<br />

sociale ed economico (il<br />

paziente <strong>di</strong>alizzato è costretto<br />

ad interrompere la<br />

propria attività a giorni<br />

alterni per 4-5 ore).<br />

Allo stato attuale, a livello<br />

nazionale, per la mancanza<br />

<strong>di</strong> un progetto <strong>di</strong> screening, si<br />

conosce solo la prevalenza e<br />

l’incidenza dell’I.R.C. in fase<br />

terminale.<br />

Nel 2004, il Registro Italiano<br />

<strong>di</strong> Dialisi e Trapianto, ha<br />

censito 43986 pazienti uremici<br />

in trattamento <strong>di</strong>alitico con una<br />

prevalenza <strong>di</strong> 760 persone per<br />

milione. I nuovi pazienti per<br />

l’anno 2004 erano 9312 con un<br />

tasso <strong>di</strong> incidenza <strong>di</strong> 161 persone<br />

per milione.<br />

Alla luce <strong>di</strong> questi dati<br />

l’I.R.C. rappresenta oggi una<br />

patologia sempre più rilevante,<br />

Psicologia Ospedaliera<br />

Un’indagine sulle conseguenze<br />

psicologiche dei pazienti emo<strong>di</strong>alizzati<br />

del reparto <strong>di</strong> Nefrologia ed Emo<strong>di</strong>alisi<br />

sia dal punto <strong>di</strong> vista psicologico,<br />

sociale che economico. È quin<strong>di</strong><br />

d’estrema importanza ogni intervento<br />

che può evitare o rallentare<br />

la progressione dell’I.R.C. In<br />

assenza del trapianto <strong>di</strong> rene, è<br />

causa <strong>di</strong> morte sicura e la <strong>di</strong>alisi è<br />

l’unica terapia possibile capace <strong>di</strong><br />

tenere in vita il paziente.<br />

<strong>La</strong> per<strong>di</strong>ta della funzione renale<br />

e della possibilità della minzione,<br />

l’inizio del trattamento <strong>di</strong>alitico,<br />

la “per<strong>di</strong>ta” del proprio ruolo<br />

sociale, familiare, lavorativo, associate<br />

allo stato <strong>di</strong> <strong>di</strong>pendenza nei<br />

confronti della “macchina” per la<br />

<strong>di</strong>alisi, degli operatori e dei familiari,<br />

favoriscono la comparsa <strong>di</strong><br />

problemi psicologici, anche <strong>di</strong> una<br />

certa gravità (Trabucco, 2001).<br />

A questi vissuti, si aggiungono<br />

quelli dovuti alla cronicità della<br />

malattia, alle limitazioni nel mangiare<br />

e nel bere, al timore <strong>di</strong> non<br />

farcela, <strong>di</strong> rimanere da soli, ecc.<br />

Tali problematiche, che in misura<br />

<strong>di</strong>versa coinvolgono tutti i pazienti,<br />

compaiono precocemente, sono<br />

inevitabili e tendono a rimanere<br />

costanti nel tempo. Il <strong>di</strong>sagio psicologico<br />

che ne consegue, quando<br />

rimane irrisolto, produce un aumento<br />

della sofferenza psicologica<br />

che si esprime a più livelli e<br />

una lievitazione dei costi globali<br />

del trattamento <strong>di</strong>alitico.<br />

I malati reagiscono attraverso i<br />

sintomi (astenia, insonnia, prurito,<br />

dolori, ipotensione, ecc.); me<strong>di</strong>ante<br />

comportamenti (mancanza <strong>di</strong><br />

Dott.ssa Rosanna Romano<br />

Psicologa Specializzanda in Psicoterapia<br />

collaborazione, “crisi” durante<br />

la <strong>di</strong>alisi, ecc.); con <strong>di</strong>sturbi<br />

della compliance (rifi uto della<br />

<strong>di</strong>eta, del controllo del peso,<br />

dell’assunzione <strong>di</strong> farmaci,<br />

ecc.); infi ne, attraverso forme<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>sadattamento (ansietà, depressione,<br />

altri scompensi psicologici,<br />

ecc.). Anche i familiari<br />

ne risentono, in particolare il<br />

caregiver.<br />

Il rapporto operatore-paziente<br />

si complica e nel <strong>gruppo</strong><br />

degli operatori emergono contrasti,<br />

<strong>di</strong>scor<strong>di</strong>e, formazione<br />

<strong>di</strong> sottogruppi, demotivazione,<br />

ineffi cienza, assenteismo e,<br />

nelle situazioni più complesse,<br />

la sindrome del burn-out (sindrome<br />

della “candela esaurita”<br />

tipicamente sperimentata dai<br />

professionisti d’aiuto che lavorano<br />

in campo sanitario, me<strong>di</strong>ci,<br />

infermieri, ecc. qualora queste<br />

non rispondano in maniera<br />

adeguata ai carichi eccessivi <strong>di</strong><br />

stress che il loro lavoro li porta<br />

ad assumere).<br />

L’inter<strong>di</strong>pendenza tra il<br />

<strong>di</strong>sagio emotivo, le reazioni<br />

<strong>di</strong>sadattate dei pazienti e le<br />

<strong>di</strong>ffi coltà degli operatori è stata<br />

ipotizzata ma mai adeguatamente<br />

stu<strong>di</strong>ata ed approfon<strong>di</strong>ta<br />

(Trabucco, 2001). E’ molto importante<br />

chiedersi, allora, come<br />

viene percepita la qualità <strong>di</strong> vita<br />

<strong>di</strong> tali pazienti e quali sono gli<br />

aspetti psicologici fortemente<br />

correlati alla malattia e all’età


del paziente?<br />

Sulla scia <strong>di</strong> quanto appena<br />

affermato è nato il mio stu<strong>di</strong>o<br />

<strong>di</strong> ricerca, partendo da una<br />

specifi ca richiesta del Responsabile<br />

della U.O.S. <strong>di</strong> Emo<strong>di</strong>alisi<br />

dell’Ospedale Regionale “F.<br />

Miulli”, il Dott. Carlo Lomonte,<br />

<strong>di</strong> indagare in tale realtà quali<br />

fossero i bisogni psicologici dei<br />

circa 80 pazienti che affl uiscono<br />

sistematicamente in codesto<br />

centro per tre o più volte la<br />

settimana. L’indagine porterà,<br />

laddove possibile, alla realizzazione<br />

<strong>di</strong> interventi <strong>di</strong> miglioramento<br />

nell’ottica dell’aumento<br />

della qualità della vita degli<br />

stessi utenti.<br />

A tal fi ne ho richiesto allo<br />

stesso Ente un periodo <strong>di</strong> volontariato<br />

da Marzo ad Agosto<br />

2011, durante il quale ho condotto<br />

questa indagine sud<strong>di</strong>videndola<br />

in tre fasi: ricerca e<br />

costruzione degli strumenti <strong>di</strong><br />

indagine (questionari ed intervista),<br />

somministrazione e analisi<br />

dei dati.<br />

Scopi<br />

<strong>La</strong> presente ricerca si pone<br />

l’obiettivo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are ed evidenziare,<br />

presso lo stesso reparto<br />

<strong>di</strong> Emo<strong>di</strong>alisi, lo stato emotivo<br />

e psicologico, la qualità <strong>di</strong><br />

vita dei pazienti <strong>di</strong>alizzati, attraverso<br />

l’utilizzo <strong>di</strong> strumenti<br />

psico<strong>di</strong>agnostici vali<strong>di</strong>.<br />

Un altro obiettivo è ottenere<br />

dati atten<strong>di</strong>bili da poter correlare<br />

con possibili azioni <strong>di</strong> miglioramento<br />

future.<br />

Campione e strumenti<br />

Il campione è esclusivamente<br />

clinico lasciando piena<br />

libertà nella partecipazione ai<br />

soggetti. Inizialmente esso era<br />

costituito da un numero più elevato<br />

<strong>di</strong> soggetti, circa 90, che<br />

nell’andare avanti della ricerca si<br />

sono ritirati perché poco motivati<br />

e stanchi. <strong>La</strong> ricerca è stata avviata<br />

conoscendo singolarmente ogni<br />

paziente del Centro spiegando<br />

loro il mio ruolo e l’obiettivo della<br />

mia ricerca e somministrando i<br />

questionari.<br />

Per poterli conoscere tutti ed<br />

esporgli il mio stu<strong>di</strong>o è stato necessario<br />

un periodo iniziale <strong>di</strong><br />

circa un mese. Nel frattempo, ho<br />

posto la mia attenzione su quali<br />

fossero le loro esigenze, le loro richieste<br />

per renderli protagonisti <strong>di</strong><br />

tutta quanta la ricerca che si sarebbe<br />

realizzata nei mesi successivi e<br />

per poter raccogliere le informazioni<br />

necessarie per la costruzione<br />

<strong>di</strong> un’intervista semi-strutturata.<br />

In parallelo, ho ricercato attentamente<br />

numerosi articoli scientifi<br />

ci che dessero un contributo al<br />

mio lavoro e che potessero aprire<br />

la strada ad altre problematiche<br />

che i pazienti del centro <strong>di</strong> Emo<strong>di</strong>alisi<br />

dell’Ospedale “Miulli” non<br />

avevano espresso nei colloqui.<br />

Così come evidenziato dalla<br />

letteratura scientifi ca, alcuni<br />

tra i principali ed urgenti bisogni<br />

psicologici nei pazienti <strong>di</strong>alizzati<br />

sono l’ansia che ho misurato con<br />

lo STAI. Tale strumento è compo-<br />

Psicologia Ospedaliera<br />

sto da 20 items (da 1 a 20) che<br />

valutano l’ansia <strong>di</strong> stato su scala<br />

Likert da 1 (per nulla) a 4 (moltissimo)<br />

visto come costrutto<br />

che indaga gli attuali stati d’animo<br />

e altri venti (da 21 a 40) che<br />

valutano l’ansia <strong>di</strong> tratto sempre<br />

su scala Likert da 1 (quasi mai)<br />

a 4 (quasi sempre) visto come<br />

costrutto che indaga lo stato<br />

d’animo abituale del soggetto<br />

(Spielberger, 1989, 1996).<br />

Il secondo bisogno riscontrato,<br />

è stato la depressione<br />

misurata attraverso la BECK<br />

DEPRESSION INVENTORY<br />

(BDI); uno strumento composto<br />

da 21 items su scala Likert a<br />

quattro punti (da 0 a 3) (Beck e<br />

Steer, 1993).<br />

Un terzo bisogno emerso,<br />

è stato lo stress misurato attraverso<br />

lo PSYCHOLOGICAL<br />

DISTRESS INVENTORY<br />

(PDI); uno strumento costituito<br />

sia nella versione femminile sia<br />

maschile da 13 items su scala<br />

Likert da 1 (per nulla) a 5 (moltissimo)<br />

(Servizio <strong>di</strong> Psicologia<br />

dell’INRC <strong>di</strong> Genova, 2004).<br />

Un quarto bisogno in<strong>di</strong>viduato<br />

nella letteratura scientifi<br />

ca, è stato il miglioramento<br />

della qualità <strong>di</strong> vita investigato<br />

83


84<br />

col Questionario sullo stato <strong>di</strong><br />

salute SF-36; esso è uno strumento<br />

composto da 36 items su<br />

scala Likert. Il punteggio nella<br />

risposta cambia in base alla<br />

domanda (Apolone, Mosconi e<br />

Ware Jr, 1997).<br />

Successivamente ho proceduto<br />

alla costruzione <strong>di</strong> un’intervista<br />

semi-strutturata inserendo<br />

al suo interno tutte quelle<br />

problematiche psicologhe <strong>di</strong> cui<br />

non esistevano test strutturati ad<br />

hoc e raccogliendo anche dati<br />

anagrafi ci e clinici dei pazienti<br />

che sono stati favorevoli alla<br />

somministrazione dei questionari<br />

per la ricerca. L’intervista<br />

comprende una premessa iniziale<br />

in cui ho esposto la fi nalità<br />

<strong>dello</strong> stu<strong>di</strong>o, la legge per la tutela<br />

della privacy e dove li ringrazio<br />

per la loro cortese collaborazione;<br />

nelle pagine successive<br />

ho raccolto, i dati anagrafi ci dei<br />

partecipanti (cognome, nome,<br />

data <strong>di</strong> nascita, comune <strong>di</strong> residenza,<br />

titolo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o, ecc.);<br />

nella seconda parte domande<br />

circa i mesi o gli anni in cui si è<br />

in <strong>di</strong>alisi, la frequenza settimanale<br />

e la durata della seduta, se<br />

il paziente è stato mai trapianto,<br />

la presenza <strong>di</strong> altre patologie<br />

da quando hanno cominciato<br />

l’emo<strong>di</strong>alisi e poi ho concluso<br />

con l’enunciazione <strong>di</strong> altre problematiche<br />

sorte in correlazione<br />

alla <strong>di</strong>alisi come la <strong>di</strong>ffi coltà ad<br />

integrare tutti i cambiamenti<br />

legati all’immagine corporea<br />

e <strong>di</strong> se stesso, la per<strong>di</strong>ta della<br />

minzione, l’apprensione per<br />

l’occlusione improvvisa della<br />

fi stola artero-venosa o del catetere<br />

venoso centrale, mancanza<br />

<strong>di</strong> una fi gura professionale <strong>di</strong><br />

sostegno e <strong>di</strong> supporto, <strong>di</strong>ffi coltà<br />

ad accettare il nuovo stile <strong>di</strong><br />

vita <strong>di</strong>sarmonico, cambiamento<br />

nella professione a causa della<br />

malattia cronica, <strong>di</strong>ffi coltà a mantenere<br />

la propria autonomia fi sica<br />

e psicologica o altre espresse liberamente<br />

dal paziente.<br />

Risultati<br />

Questo stu<strong>di</strong>o è nato con<br />

l’obiettivo <strong>di</strong> indagare se si sono<br />

sviluppate e quali sono le problematiche<br />

psicologiche nei pazienti<br />

che fanno emo<strong>di</strong>alisi presso il<br />

centro dell’Ospedale “Miulli” <strong>di</strong><br />

Acquaviva delle Fonti.<br />

Dai risultati della ricerca è<br />

emerso una percentuale molto<br />

alta dei soggetti fa <strong>di</strong>alisi tre volte<br />

alla settimana, mentre un numero<br />

molto esiguo si reca più frequentemente<br />

presso il Centro a fare terapia,<br />

ossia a giorni alterni. Solo<br />

circa il 28% dei partecipanti ha<br />

subito un trapianto con una durata<br />

me<strong>di</strong>a <strong>di</strong> 11-15 anni, mentre il<br />

restante 72% non ha avuto questa<br />

possibilità e ha effettuato dall’inizio<br />

della patologia la <strong>di</strong>alisi.<br />

In me<strong>di</strong>a, i pazienti hanno riportato<br />

almeno due problematiche<br />

psicologiche associate all’esperienza<br />

della <strong>di</strong>alisi. Più precisamente,<br />

l’item che ha ottenuto la<br />

percentuale più alta è stato la<br />

“preoccupazione rispetto al proprio<br />

stato <strong>di</strong> salute”, seguito dalla<br />

“<strong>di</strong>pendenza dalla macchina<br />

dell’emo<strong>di</strong>alisi”, “per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> interesse<br />

e piacere nello svolgimento<br />

delle normali attività” e “apprensione<br />

per occlusione improvvisa/<br />

accesso vascolare”, “<strong>di</strong>ffi coltà a<br />

mantenere l’autonomia personale<br />

e psicologica” e “cambiamento<br />

immotivato dell’umore”. Tali risposte<br />

non hanno bisogno tanto<br />

<strong>di</strong> esser commentate, in quanto è<br />

facile dedurre come i pazienti <strong>di</strong>alizzati<br />

sono molto preoccupati per<br />

quello che riguarda il proprio stato<br />

<strong>di</strong> salute soprattutto quando devono<br />

effettuare la seduta <strong>di</strong>alitica.<br />

Come ho potuto constatare,<br />

Psicologia Ospedaliera<br />

durante le ore <strong>di</strong> <strong>di</strong>alisi, i pazienti<br />

chiamavano spesso infermieri<br />

e/o me<strong>di</strong>ci per esser rassicurati<br />

o trovare conferma circa<br />

le proprie sensazioni fi siche ed<br />

emotive, pensieri e paure sviluppate<br />

osservando la macchina<br />

dell’emo<strong>di</strong>alisi e i loro compagni<br />

<strong>di</strong> stanza. Tale atteggiamento<br />

sta ad evidenziare la presenza<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>ffi coltà e <strong>di</strong> paure vissute<br />

costantemente dai pazienti a livello<br />

psicologico a conseguenza<br />

<strong>di</strong> tale patologia. Per tale<br />

motivo sarebbe importante un<br />

percorso <strong>di</strong> sostegno, supporto e<br />

<strong>di</strong> accettazione <strong>di</strong> tale situazione<br />

immo<strong>di</strong>fi cabile, se non per<br />

alcuni anni con un trapianto <strong>di</strong><br />

rene, da parte <strong>di</strong> una fi gura professionale<br />

specializzata in ciò,<br />

ossia lo psicologo.<br />

Più marcati sono stati i sintomi<br />

<strong>di</strong> stress psicologico misurati<br />

con il PDI. Il punteggio riportato,<br />

infatti, in<strong>di</strong>ca la presenza<br />

<strong>di</strong> un certo grado <strong>di</strong> <strong>di</strong>sagio<br />

psicologico che potrebbe manifestarsi<br />

con <strong>di</strong>ffi coltà rispetto<br />

alla gestione delle emozioni e<br />

dei rapporti con gli altri. Anche<br />

i sintomi depressivi misurati<br />

attraverso il BDI sono degni<br />

<strong>di</strong> attenzione, in quanto in<strong>di</strong>cativi<br />

<strong>di</strong> una depressione lieve.<br />

Quanto appena affermato non<br />

fa altro che avvallare ancora <strong>di</strong><br />

più l’importanza della presenza<br />

della fi gura <strong>dello</strong> psicologo per<br />

poter accompagnare i pazienti<br />

verso uno stato <strong>di</strong> benessere e <strong>di</strong><br />

consapevolizzazione della propria<br />

patologia.<br />

Dai risultati della ricerca<br />

è emersa una correlazione positiva<br />

tra ansia <strong>di</strong> stato e ansia<br />

<strong>di</strong> tratto nello STAI in<strong>di</strong>cativa<br />

del fatto che i soggetti che<br />

hanno un’elevata ansia <strong>di</strong> tratto<br />

hanno anche punteggi elevati<br />

per l’ansia <strong>di</strong> stato. È emerso,


inoltre, che entrambi i punteggi<br />

<strong>di</strong> STAI, PDI e BDI sono tutti<br />

correlati positivamente tra loro<br />

in modo statisticamente signifi -<br />

cativo. In altre parole, punteggi<br />

elevati <strong>di</strong> ansia sono associati a<br />

punteggi elevati <strong>di</strong> depressione,<br />

così come misurata con il BDI e<br />

punteggi elevati <strong>di</strong> stress psicologico,<br />

così come misurato con il<br />

PDI. Invece, gli stessi strumenti<br />

mostrano una correlazione <strong>negativa</strong><br />

signifi cativa con molte<br />

delle sottoscale dell’SF-36. Si<br />

tratta <strong>di</strong> un dato coerente, e in<br />

parte atteso, in quanto punteggi<br />

elevati all’SF-36 in<strong>di</strong>cano uno<br />

stato <strong>di</strong> benessere psicologico;<br />

pertanto le correlazioni negative<br />

emerse con gli altri strumenti<br />

in<strong>di</strong>cano che punteggi elevati <strong>di</strong><br />

benessere sono associati <strong>negativa</strong>mente<br />

a punteggi elevati <strong>di</strong><br />

depressione, ansia e stress.<br />

Per quanto concerne il confronto<br />

tra gruppi, sono stati calcolati<br />

dei t test. Un primo confronto<br />

ha riguardato il genere.<br />

È stato verifi cato, cioè, se gli<br />

uomini e le donne del campione<br />

abbiano riportato <strong>di</strong>fferenti<br />

punteggi negli strumenti somministrati.<br />

Le analisi effettuate<br />

non hanno mostrato <strong>di</strong>fferenze<br />

tra uomini e donne ad eccezione<br />

della Scala Attività Fisica<br />

dell’SF-36, nella quale gli uomini<br />

hanno ottenuto punteggi<br />

signifi cativamente superiori<br />

(in<strong>di</strong>cativi <strong>di</strong> un buon livello<br />

<strong>di</strong> funzionalità fi sica) rispetto a<br />

quelli delle donne.<br />

Al fi ne <strong>di</strong> verifi care l’infl uenza<br />

del trattamento <strong>di</strong>alitico sullo<br />

stato <strong>di</strong> benessere psicologico<br />

dei pazienti, questi ultimi sono<br />

stati sud<strong>di</strong>visi in due gruppi:<br />

pazienti che effettuano la <strong>di</strong>alisi<br />

fi no a tre volte a settimana e pazienti<br />

che effettuano la <strong>di</strong>alisi più<br />

<strong>di</strong> tre volte a settimana. L’unica<br />

variabile psicologica per la quale<br />

è stata rilevata una <strong>di</strong>fferenza<br />

tra questi due gruppi è la scala<br />

Attività Sociali dell’SF-36 con i<br />

pazienti che effettuano la <strong>di</strong>alisi<br />

più <strong>di</strong> tre volte a settimana con<br />

punteggi più elevati. Tale risultato<br />

potrebbe essere in<strong>di</strong>cativo<br />

del fatto che all’aumento del<br />

numero <strong>di</strong> sedute <strong>di</strong>alitiche settimanali<br />

aumenta la <strong>capacità</strong> <strong>di</strong><br />

esercitare e <strong>di</strong> condurre le normali<br />

attività sociali senza alcuna<br />

interferenza dovuta a problemi<br />

fi sici e/o emotivi. Esso potrebbe<br />

apparire un esito apparentemente<br />

contrad<strong>di</strong>torio, ma invece<br />

non lo è affatto; in quanto più<br />

i soggetti sono in ospedale per<br />

fare <strong>di</strong>alisi e maggiori sono le<br />

possibilità <strong>di</strong> elaborare positivamente<br />

quanto gli è accaduto<br />

attraverso il confronto con altri<br />

soggetti che hanno la loro stessa<br />

patologia. Se ci fosse, però, un<br />

sostegno psicologico adeguato<br />

tale situazione sarebbe presente<br />

in tutti i pazienti <strong>di</strong>alizzati anche<br />

in quello che hanno livelli <strong>di</strong> ansia,<br />

depressione elevati e anche<br />

una personalità che potremmo<br />

defi nire “fragile”.<br />

Un’altra variabile legata alla<br />

patologia renale che è stata considerata,<br />

è l’aver o meno subito<br />

un trapianto. Sono stati calcolati<br />

dei t test considerando come<br />

variabile in<strong>di</strong>pendente l’aver o<br />

non aver subito un trapianto e<br />

come variabili <strong>di</strong>pendenti i punteggi<br />

ottenuti ai test psicologici.<br />

I risultati ottenuti in<strong>di</strong>cano che<br />

i pazienti che hanno subito un<br />

trapianto presentano punteggi<br />

<strong>di</strong> ansia <strong>di</strong> stato più bassi rispetto<br />

a quelli che invece non<br />

hanno avuto questa esperienza.<br />

Differenze tra i due gruppi sono<br />

emerse anche per le seguenti<br />

scale dell’SF-36: Attività Fisica,<br />

Dolore Fisico, Salute in Ge-<br />

Psicologia Ospedaliera<br />

nerale e Ruolo e Stato Emotivo.<br />

Per tutte queste scale, i pazienti<br />

che hanno subito un trapianto<br />

hanno riportato dei punteggi più<br />

alti (in<strong>di</strong>cativi <strong>di</strong> un maggiore<br />

benessere) rispetto a coloro che<br />

non hanno subito il trapianto.<br />

Sulla base dei punteggi ottenuti<br />

al BDI, i pazienti sono stati<br />

sud<strong>di</strong>visi in due gruppi. È emersa,<br />

attraverso un confronto tra<br />

gruppi con il t test, una <strong>di</strong>fferenza<br />

statisticamente signifi cativa<br />

tra ‘depressi’ e ‘non depressi”<br />

rispetto al numero <strong>di</strong> problematiche<br />

psicologiche presentate. I<br />

pazienti classifi cati come ‘depressi’<br />

hanno infatti riportato<br />

un numero maggiore <strong>di</strong> problematiche<br />

psicologiche rispetto ai<br />

pazienti ‘non depressi’.<br />

I limiti che tale stu<strong>di</strong>o presenta<br />

e che potrebbe creare delle<br />

<strong>di</strong>ffi coltà nella generalizzazione<br />

dei dati a tutta la popolazione<br />

<strong>di</strong>alizzata sono stati: l’esiguità<br />

del campione, la mancanza <strong>di</strong><br />

un <strong>gruppo</strong> <strong>di</strong> controllo che potesse<br />

fungere da confronto per<br />

i risultati ottenuti, la modalità<br />

<strong>di</strong> somministrazione dei test (a<br />

casa o durante la seduta <strong>di</strong>alitica<br />

con altri pazienti che ascoltavano<br />

e che potevano creare in<br />

quest’ultimi un certo imbarazzo<br />

e/o vergogna), l’assenza <strong>di</strong> una<br />

<strong>di</strong>agnosi formale; ciò potrebbe<br />

mettere in <strong>di</strong>scussione il fatto<br />

che i pazienti abbiamo o meno<br />

sviluppato problematiche psicologiche<br />

a seguito dell’entrata in<br />

<strong>di</strong>alisi e che fossero pregresse.<br />

Alla luce <strong>di</strong> quanto detto fi -<br />

nora, si può concludere il lavoro<br />

<strong>di</strong>cendo che la presenza <strong>dello</strong><br />

psicologo è importante per poter<br />

alleviare e accompagnare il<br />

paziente verso un’elaborazione<br />

e un’accettazione <strong>di</strong> alcuni vissuti<br />

e stati emotivi negativi e dal<br />

quale non riesce a liberarsi e che<br />

85


86<br />

Grafi co 1: Problematiche psicologiche connesse alla <strong>di</strong>alisi<br />

la <strong>di</strong>alisi ha fatto emergere. Si<br />

potrebbe pensare <strong>di</strong> proporre un<br />

percorso supportivo preventivo<br />

già in uno sta<strong>di</strong>o pre-<strong>di</strong>alitico<br />

severo e che potrebbe portare <strong>di</strong><br />

lì a poco al trovarsi “<strong>di</strong>pendente”<br />

dalla macchina della <strong>di</strong>alisi,<br />

a dei ritmi <strong>di</strong> vita <strong>di</strong>fferenti e<br />

<strong>di</strong>ffi cili da accettare, restrizioni<br />

alimentari, ecc. che possono<br />

condurre ad uno stato ansioso<br />

e depressivo lieve ma anche, in<br />

alcuni casi, grave.<br />

Tali sintomi sono anche<br />

dovuti al fatto che il paziente<br />

quando arriva in <strong>di</strong>alisi non conosce<br />

quello a cui va incontro,<br />

non sa che il trapianto del rene<br />

non è per tutta la vita ma ha una<br />

durata limitata nel tempo e che<br />

potrebbe avere delle complicazioni<br />

(come tumori, infezioni,<br />

ecc.) pur conducendo uno stile<br />

<strong>di</strong> vita correttissimo. Questa<br />

scoperta può accompagnare il<br />

paziente verso uno stato gene-<br />

rale <strong>di</strong> malessere psico-fi sico e<br />

una mancanza <strong>di</strong> motivazione<br />

per reagire a tutto ciò.<br />

Quello che accade nel paziente<br />

avviene anche nella famiglia<br />

che non è in grado, pur<br />

volendo, <strong>di</strong> aiutare e “stare vicino”<br />

al proprio caro perché anche<br />

per loro è una realtà molto <strong>di</strong>ffi<br />

cile da accettare. Quin<strong>di</strong>, bisogna<br />

sostenere psicologicamente<br />

il paziente e la sua famiglia e<br />

fornirgli gli strumenti per poter<br />

affrontare tutto ciò e questo può<br />

essere fatto solo con la presenza<br />

<strong>di</strong> una fi gura professionale specializzata<br />

a ciò.<br />

Riferimenti bibliografi ci<br />

APOLONE G., MOSCONI P.,<br />

WARE JR, J. E. (1997). Questionario<br />

sullo stato <strong>di</strong> salute<br />

SF-36. Guerini e associati.<br />

BECK A. T. E STEER R. A.<br />

(1993). B.D.I. Beck Depression<br />

Inventory. The Psychological<br />

Corporation.<br />

Psicologia Ospedaliera<br />

MORASSO G, COSTANTINI M,<br />

BARACCO G, BORREANI<br />

C, CAPELLI M. (2004). Assessing<br />

psychological <strong>di</strong>stress<br />

in cancer patients: validation<br />

of a self-administered questionnaire.<br />

Oncology.<br />

SERVIZIO DI PSICOLOGIA<br />

DELL’ISTITUTO NAZIO-<br />

NALE PER LA RICERCA<br />

SUL CANCRO DI GENOVA<br />

(INRC) (2004). Psychological<br />

Distress Inventory.<br />

SPIELBERGER C. D. (1989-<br />

1996). State-Trait Anxiety<br />

Inventory Forma Y. Organizzazioni<br />

Speciali.<br />

TRABUCCO G., CORDIOLI N.,<br />

LOSCHIAVO C., MASCHIO<br />

S., FERRARI G. (2001). The<br />

experential world of hemo<strong>di</strong>alysis<br />

patients at the beginning<br />

and after twenty years of<br />

treatment: psychological and<br />

nursering consideration. IV<br />

Internat. Conference Psychonefrology,<br />

New York City.


Psicologia Scolastica<br />

“<strong>La</strong> motivazione che orienta<br />

la realizzazione <strong>di</strong> sé”<br />

“Non esiste vento favorevole per il marinaio<br />

che non sa dove andare”<br />

Premessa<br />

<strong>La</strong> motivazione, “[..] confi gurazione organizzata<br />

<strong>di</strong> esperienze soggettive che consente <strong>di</strong> spiegare<br />

l’inizio, la <strong>di</strong>rezione, l’intensità e la persistenza <strong>di</strong><br />

un comportamento <strong>di</strong>retto ad uno scopo” (De Beni e<br />

Moè, 2000), si caratterizza come il cuore propulsore<br />

dell’agire umano.<br />

Sin dalla nascita, infatti, gli in<strong>di</strong>vidui manifestano<br />

dei «bisogni» universali, defi niti anche motivazioni<br />

intrinseche, che possono essere infl uenzate<br />

dall’ambiente sociale (stili educativi <strong>di</strong> insegnanti,<br />

operatori e/o genitori) e da variabili interpersonali<br />

(atteggiamenti e comportamenti).<br />

Molte teorie psicologiche hanno affermato che<br />

si nasce curiosi (Berlyne, 1971), con il bisogno <strong>di</strong><br />

sentirsi competenti, <strong>di</strong> scegliere e dare una <strong>di</strong>rezione<br />

alla propria vita (Deci e Ryan, 1985), <strong>di</strong> vivere esperienze<br />

in cui ci si sente gratifi cati per l’attività stessa<br />

che si sta svolgendo, e non solo per il risultato.<br />

Tali rifl essioni sono particolarmente pertinenti<br />

se si fa riferimento alla preadolescenza lì dove i<br />

ragazzi si confrontano con una molteplicità <strong>di</strong> cambiamenti<br />

ma, al contempo, affrontano un compito<br />

evolutivo importante: lo sviluppo del concetto <strong>di</strong> Sé<br />

e la costruzione <strong>di</strong> un’identità stabile ed integrata<br />

(Erikson, 1982).<br />

Il concetto <strong>di</strong> sé permette all’in<strong>di</strong>viduo <strong>di</strong> adottare<br />

un particolare punto <strong>di</strong> vista da cui osservare<br />

il mondo, è il riferimento attraverso cui me<strong>di</strong>are le<br />

esperienze sociali e organizzare il proprio comportamento<br />

verso gli altri. Il sé e la sua conseguente<br />

e graduale consapevolezza “ha un ruolo chiave in<br />

Dott.sse Aresta Pasqualina*, Centrone Rosa Anna**, Cuoccio Chiara***,<br />

Dagostino Cinzia****, D’Alessandro Palma*****, Maggio Santa******<br />

quanto determina le modalità con le quali ognuno <strong>di</strong><br />

noi costruisce la realtà e quali esperienze cercare per<br />

mantenere l’immagine che noi abbiamo <strong>di</strong> noi stessi”<br />

(cit. in Lo sviluppo sociale, H. R. Shaffer, 1998).<br />

Nel processo <strong>di</strong> costruzione della propria identità,<br />

la scuola, primario agente formativo insieme al<br />

nucleo familiare, svolge un ruolo peculiare in quanto<br />

è proprio al suo interno che l’adolescente sperimenta<br />

<strong>di</strong>namiche relazionali utili al rafforzamento della<br />

consapevolezza del sé. Tra le sue fi nalità, essa mira a<br />

promuovere l’equilibrio tra aspetti emotivi e cognitivi:<br />

l’esperienza d’imparare infatti è permeata dalle<br />

spinte motivazionali e affettive <strong>di</strong> coloro che sono<br />

impegnati nella relazione <strong>di</strong> insegnamento-appren<strong>di</strong>mento.<br />

In generale, la scuola è considerata come un contesto<br />

in cui si realizzano <strong>di</strong>versi compiti <strong>di</strong> sviluppo<br />

che costituiscono “punti <strong>di</strong> svolta” scolastici ma<br />

anche identitari dell’adolescente: la scelta del tipo<br />

<strong>di</strong> scuola da frequentare e il momento <strong>di</strong> passaggio<br />

fra cicli scolastici e, in particolare fra scuola me<strong>di</strong>a<br />

inferiore e scuola me<strong>di</strong>a superiore.<br />

<strong>La</strong> scelta scolastica da attuare, costituisce, in<br />

molti casi, il momento fi nale <strong>di</strong> un lungo e spesso<br />

articolato processo <strong>di</strong> rifl essione che l’adolescente fa<br />

su se stesso e sul proprio progetto <strong>di</strong> vita, talvolta<br />

supportato dagli adulti (genitori, insegnanti, esperti<br />

<strong>di</strong> orientamento), e più spesso in solitu<strong>di</strong>ne. In altri<br />

casi, ci auguriamo pochi, la scelta segue vie “obbligatorie”<br />

per i ragazzi che, in base al contesto (amici,<br />

genitori, risorse economiche, opportunità logistiche,<br />

ecc.) sono in qualche modo “obbligati” verso <strong>di</strong>rezioni<br />

che forse personalmente non avrebbero scelto.<br />

Anche il passaggio fra cicli scolastici <strong>di</strong>versi si<br />

confi gura come momento particolarmente critico<br />

* Psicologa, Specializzanda in Psicoterapia cognitivo-comportamentale;<br />

** Psicologa clinica <strong>dello</strong> Sviluppo e delle Relazioni;<br />

*** Psicologa, Specializzanda in Psicoterapia sistemico-relazionale;<br />

**** Psicologa-Psicoterapeuta sistemico-relazionale;<br />

***** Psicologa clinica <strong>dello</strong> Sviluppo e delle Relazioni;<br />

****** Psicologa, Specializzanda in Psicoterapia sistemico-relazionale.<br />

87


nella carriera scolastica e nella vita <strong>di</strong> un ragazzo che<br />

sovente si ritrova a rivedere i criteri su cui ha fondato<br />

l’esperienza scolastica precedente e ad in<strong>di</strong>viduare<br />

nuove strategie cognitive, ma anche relazionali e sociali<br />

per meglio affrontare il cambiamento.<br />

Aspetto importante è quello legato alla motivazione<br />

ad apprendere: è utile infatti in questa fase<br />

comprendere quali siano le motivazioni dei ragazzi e<br />

come fare per sostenerle e incrementarle. Pontecorvo<br />

(1999), riferendosi ai preadolescenti frequentanti<br />

la scuola me<strong>di</strong>a inferiore, parla <strong>di</strong> una motivazione<br />

<strong>di</strong> “orientamento alla realizzazione <strong>di</strong> sé, collegata<br />

alle profonde trasformazioni legate all’identità <strong>di</strong><br />

genere che si realizzano in questa fase”. Nel periodo<br />

pre-adolescenziale, infatti, il ragazzo si proietta<br />

nel futuro e formula un progetto <strong>di</strong> vita, attraverso il<br />

confronto con i pari e il graduale processo <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenziazione<br />

dagli adulti signifi cativi.<br />

A fronte delle suddette rifl essioni, la scuola ha<br />

il compito <strong>di</strong> pre<strong>di</strong>sporre interventi <strong>di</strong> tipo specialistico<br />

funzionali a favorire negli studenti processi<br />

<strong>di</strong> consapevolezza del sé in<strong>di</strong>spensabili anche per la<br />

conoscenza del proprio mondo interiore. Agli psicologi<br />

viene chiesto perciò <strong>di</strong> intervenire onde fornire<br />

gli opportuni stimoli-sostegni alla <strong>di</strong>ffi cile problematica.<br />

88<br />

“ORIENTA…MENTE”<br />

Un progetto pilota nella scuola secondaria <strong>di</strong><br />

primo grado<br />

Obiettivi<br />

L’obiettivo della nostra esperienza è stato quel-<br />

Psicologia Scolastica<br />

lo <strong>di</strong> fornire agli studenti strumenti necessari all’incremento<br />

della motivazione e allo sviluppo <strong>di</strong> un<br />

atteggiamento positivo nei confronti della scuola in<br />

generale. Siamo certe che entrambi i fattori costituiscono<br />

una guida per le future scelte scolastico/professionali,<br />

affi nchè siano il più possibile gratifi canti<br />

e consone sia alle proprie aspettative che alle proprie<br />

pre<strong>di</strong>sposizioni e/o attitu<strong>di</strong>ni.<br />

Campione<br />

Il campione è composto da 156 studenti <strong>di</strong> sei<br />

classi terze dell’Istituto <strong>di</strong> scuola me<strong>di</strong>a inferiore<br />

“De Renzio” <strong>di</strong> Bitonto.<br />

Strumenti<br />

Sono stati adoperati strumenti<br />

<strong>di</strong> valutazione qualitativi<br />

e quantitativi. Nello specifi co,<br />

per la valutazione quantitativa<br />

è stato somministrato un test<br />

sulla motivazione allo stu<strong>di</strong>o<br />

(AMOS 8-15; C. Cornol<strong>di</strong>, R.<br />

De Beni, C. Zamperlin, C. Meneghetti,<br />

2005).<br />

L’AMOS è una batteria standar<strong>di</strong>zzata che ha lo<br />

scopo <strong>di</strong> rilevare abilità e motivazioni allo stu<strong>di</strong>o al<br />

fi ne <strong>di</strong> avviare un percorso volto<br />

a rendere gli studenti più «effi -<br />

caci» e motivati; la batteria si<br />

focalizza su <strong>di</strong>versi fattori:<br />

<br />

metacognitivi (cono-<br />

scenza delle strategie e utilità<br />

attribuita ad esse da parte <strong>dello</strong><br />

studente);<br />

strategici (autoregolazione,<br />

consapevolezza e coerenza<br />

strategica)<br />

cognitivi ( attenzione,<br />

lettura, comprensione e memoria)<br />

<br />

emotivo-motivazio-<br />

nali (convinzioni sulla propria<br />

intelligenza, fi ducia nelle proprie<br />

<strong>capacità</strong>, obiettivi <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento,<br />

stile attributivo<br />

nelle situazioni <strong>di</strong> successo o<br />

insucesso).<br />

L’importanza della motivazione allo stu<strong>di</strong>o risiede<br />

nella infl uenza che essa esercita sullo stile <strong>di</strong><br />

appren<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> ciascun studente. Essere motivati<br />

allo stu<strong>di</strong>o e saper stu<strong>di</strong>are incide signifi cativamente<br />

sulla <strong>capacità</strong> dell’adolescente <strong>di</strong> inserirsi


in modo attivo e consapevole nel contesto culturale<br />

e sociale, realizzando le proprie aspettative<br />

e potenzialità.<br />

Abbiamo utilizzato specifi camente tre strumenti<br />

presenti all’interno della batteria AMOS: il QAS<br />

(Questionario sull’Approccio allo Stu<strong>di</strong>o), il QC<br />

(Questionario su convinzioni) e il QA (Questionario<br />

sulle attribuzioni).<br />

Il QAS fornisce informazioni essenziali su sette<br />

<strong>di</strong>mensioni dell’approccio allo stu<strong>di</strong>o che infl uiscono<br />

signifi cativamente sui risultati dell’appren<strong>di</strong>mento:<br />

1.<br />

2.<br />

3.<br />

4.<br />

5.<br />

6.<br />

7.<br />

motivazione: <strong>di</strong>mensione fondamentale<br />

dell’appren<strong>di</strong>mento che consente <strong>di</strong> perseguire<br />

gli obiettivi prefi ssati;<br />

organizzazione del lavoro personale: <strong>capacità</strong><br />

<strong>di</strong> dare or<strong>di</strong>ne alle abilità <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o attraverso<br />

una pianifi cazione dei tempi <strong>di</strong> lavoro secondo<br />

gli impegni e le scadenze (Ley e Young,<br />

1998; Moè e De Beni, 2000; Wolters, 1998);<br />

elaborazione strategica del materiale <strong>di</strong> ap-<br />

pren<strong>di</strong>mento: <strong>capacità</strong> <strong>di</strong> fare collegamenti<br />

tra i contenuti, utilizzare meto<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi e<br />

personali per ricordare le informazioni rilevanti;<br />

fl essibilità <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o: tendenza ad applicare<br />

varie tecniche e strategie <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o in base al<br />

tipo <strong>di</strong> compito e/o argomento;<br />

concentrazione: <strong>capacità</strong> <strong>di</strong> mantenere l’at-<br />

tenzione per un tempo necessario a completare<br />

un compito, allontanando elementi <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>sturbo;<br />

ansia: stato emotivo che interferisce nega-<br />

tivamente con lo stu<strong>di</strong>o, rende <strong>di</strong>ffi cile la<br />

concentrazione, ostacola il ricordo <strong>di</strong> contenuti<br />

memorizzati e impe<strong>di</strong>sce <strong>di</strong> affrontare in<br />

modo sistematico compiti precedentemente<br />

programmati;<br />

atteggiamento verso la scuola: aspetto che<br />

infl uisce in modo signifi cativo sui risultati<br />

dell’appren<strong>di</strong>mento, al <strong>di</strong> là delle abilità cognitive.<br />

Succede a volte, che anche gli studenti<br />

“dotati” non stiano bene a scuola e ritengano<br />

inutile ciò che viene loro insegnato,<br />

sentano la scuola come un peso e un luogo<br />

dove stare il meno possibile.<br />

Il QC esplora gli aspetti emotivo-motivazionali<br />

dell’appren<strong>di</strong>mento, critici nelle situazioni <strong>di</strong> successo/insuccesso<br />

e legati prevalentemente a fattori<br />

interin<strong>di</strong>viduali quali la qualità del rapporto con i<br />

compagni/insegnanti e le aspettative <strong>di</strong> riuscita (positive<br />

o negative) che in generale gli adulti “avanzano”<br />

nei confronti dei propri fi gli. Nello specifi co<br />

Psicologia Scolastica<br />

sono state approfon<strong>di</strong>te le seguenti aree:<br />

1. Convinzioni personali circa la staticità o la mo<strong>di</strong>fi<br />

cabilità dell’intelligenza: teoria entitaria vs<br />

teoria incrementale. <strong>La</strong> prima teoria si riferisce<br />

ad un’idea <strong>di</strong> intelligenza poco mo<strong>di</strong>fi cabile a<br />

cui corrisponde un atteggiamento <strong>dello</strong> studente<br />

rinunciatario, evitante, ansioso e caratterizzato<br />

dal timore del giu<strong>di</strong>zio nei confronti<br />

delle proprie <strong>capacità</strong>; la seconda teoria invece<br />

considera l’intelligenza “<strong>di</strong>namica”, che si<br />

evolve con l’esperienza e l’esercizio.<br />

2. <strong>La</strong> convinzione relativa alla fi ducia nei propri<br />

livelli intellettivi e nelle proprie abilità: <strong>di</strong>versi<br />

stu<strong>di</strong> hanno <strong>di</strong>mostrato che la fi ducia è un<br />

buon pre<strong>di</strong>ttore del ren<strong>di</strong>mento scolastico degli<br />

studenti (Henderson e Dweck, 1990).<br />

3. Gli obiettivi <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento: tra le mete<br />

che lo studente si pone possiamo <strong>di</strong>stinguere<br />

tra obiettivi <strong>di</strong> padronanza e <strong>di</strong> prestazione.<br />

L’obiettivo <strong>di</strong> padronanza implica che lo studente<br />

sia orientato ad acquisire le conoscenze<br />

attraverso un atteggiamento più maturo<br />

<strong>di</strong> fronte a compiti complessi. Al contrario,<br />

l’obiettivo <strong>di</strong> prestazione mira esclusivamente<br />

al conseguimento <strong>di</strong> prestazioni ottimali determinando<br />

nello studente un atteggiamento<br />

generale <strong>di</strong> ansia prestazionale <strong>di</strong>ffusa e/o <strong>di</strong><br />

preoccupazione.<br />

Il questionario QA mira ad in<strong>di</strong>viduare gli stili<br />

attributivi dei ragazzi, laddove per attribuzioni s’intendono:<br />

“i processi attraverso i quali le persone interpretano<br />

le cause degli eventi, delle azioni e dei<br />

fatti che si verifi cano nel loro ambiente” (Kelley,<br />

1967 in Amos 8-15, a cura <strong>di</strong> C. Cornol<strong>di</strong> ve<strong>di</strong> pag.<br />

99) al fi ne <strong>di</strong> comprendere il mondo e le sue regole<br />

e poterlo meglio controllare (Heider, 1958). Le<br />

cause <strong>di</strong> cui sopra sono classifi cabili sulla base <strong>di</strong><br />

tre <strong>di</strong>mensioni: locus of control interno vs esterno<br />

(Heider, 1958), stabilità (Weiner e altri, 1971), controllabilità<br />

(Weiner, 1985).<br />

Nello specifi co gli studenti si sono confrontati<br />

con le seguenti attribuzioni:<br />

Impegno personale: causa interna, instabile,<br />

controllabile;<br />

Abilità: causa interna, vissuta come stabile e<br />

incontrollabile;<br />

Aiuto: causa esterna, instabile, controllabile;<br />

Compito: causa esterna, vissuta come stabile<br />

e incontrollabile (es. il compito <strong>di</strong> matematica<br />

sarà sempre <strong>di</strong>ffi cile!)<br />

Fortuna: causa esterna, instabile e incontrollabile.<br />

89


I <strong>di</strong>fferenti tipi <strong>di</strong> attribuzioni producono effetti<br />

sul piano della motivazione e della fi ducia in se<br />

stessi e sulle aspettative future. Molti stu<strong>di</strong> ritengono<br />

che l’attribuzione più funzionale all’appren<strong>di</strong>mento<br />

sia quella riferita all’impegno personale: il risultato<br />

positivo viene attribuito a qualcosa <strong>di</strong> interno al<br />

soggetto, che può essere da lui controllato e gestito.<br />

Tale attribuzione interna permette l’aumento della fi -<br />

ducia nelle proprie <strong>capacità</strong> e mette il soggetto nelle<br />

con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> porsi aspettative positive nei confronti<br />

delle performance future. Lo studente che attribuisce<br />

le performance scolastiche al proprio impegno<br />

strategico persiste maggiormente anche su compiti<br />

più complessi, presenta una maggiore autostima e in<br />

caso <strong>di</strong> successo prova orgoglio e sod<strong>di</strong>sfazione, due<br />

elementi importanti che fungono da rinforzo per affrontare<br />

anche le “prove” della vita.<br />

Un aspetto importante della motivazione è quin<strong>di</strong><br />

non solo il perseguire degli scopi, ma mantenerli<br />

nonostante gli insuccessi, cercando le strategie più<br />

opportune per raggiungerli senza dovervi rinunciare.<br />

L’uso dell’AMOS è risultato particolarmente<br />

utile per l’emergere delle componenti metacognitive<br />

dell’appren<strong>di</strong>mento: dalla nostra esperienza infatti<br />

è emerso quanto i ragazzi, per la prima volta in<br />

assoluto si siano confrontati con le proprie concezioni<br />

entitarie o <strong>di</strong>namiche sull’intelligenza in generale<br />

e sulla propria. Tale rifl essione ha fatto si che<br />

si prendesse consapevolezza <strong>di</strong> quanto determinati<br />

pensieri “automatici” (“la mia intelligenza è quella<br />

e non posso cambiarla!”) infi cino <strong>negativa</strong>mente le<br />

prestazioni dando origine a un circolo vizioso negativo<br />

che dalla cognizione (“non posso migliorare”)<br />

giunge alla prestazione (performance <strong>negativa</strong>). A<br />

completare questo circolo vizioso<br />

subentrano stati emotivi caratterizzati<br />

da emozioni <strong>di</strong>sfunzionali quali<br />

l’ansia, la frustrazione e l’impotenza<br />

appresa. <strong>La</strong> presa <strong>di</strong> consapevolezza<br />

dei ragazzi delle molteplici infl uenze<br />

metacognitive sul loro stile <strong>di</strong><br />

appren<strong>di</strong>mento ha riguardato anche<br />

il fenomeno dell’ “Effetto Pigmalione”<br />

e/o “Profezia che si autoavvera”.<br />

Infatti grazie alle varie <strong>di</strong>scussioni<br />

condotte attraverso i focus group<br />

è emersa la tendenza <strong>di</strong>ffusa degli<br />

alunni ad omologarsi alle aspettative<br />

dei propri insegnanti e/o dei propri<br />

genitori, spesso negative, che provocavano<br />

comportamenti rinunciatari,<br />

Fig. 1<br />

90<br />

Psicologia Scolastica<br />

evitanti e demotivati nei confronti non solo <strong>dello</strong> stu<strong>di</strong>o<br />

ma anche dei propri progetti futuri.<br />

Tra gli strumenti <strong>di</strong> valutazione qualitativa, i<br />

focus group e il brainstorming sono stati molto importanti<br />

anche perche’ hanno favorito il confronto e<br />

la con<strong>di</strong>visione dei <strong>di</strong>versi vissuti. I ragazzi hanno<br />

appreso che il metodo <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento non deve<br />

essere inteso come mero strumento volto a sod<strong>di</strong>sfare<br />

le richieste della scuola ma come strumento che<br />

prepara loro alle numerose sfi de della vita.<br />

Risultati<br />

Da un’analisi quantitativa dei risultati è emerso<br />

come, al questionario QAS (Questionario sull’Approccio<br />

allo Stu<strong>di</strong>o) (Fig. 1) la motivazione, l’organizzazione<br />

del lavoro personale e l’elaborazione<br />

strategica del materiale si collocano al <strong>di</strong> sopra della<br />

me<strong>di</strong>a del campione normativo. A questo risultato<br />

non sempre corrisponde un legame causa-effetto tra<br />

motivazione e ren<strong>di</strong>mento scolastico, perché i fattori<br />

che infl uenzano le motivazioni sono molteplici e per<br />

la maggior parte dei casi <strong>di</strong> natura interpersonale: si<br />

pensi alle aspettative spesso <strong>di</strong>sfunzionali degli insegnanti/genitori<br />

che producono una percezione <strong>di</strong><br />

bassa autostima nell’alunno (Effetto Pigmalione), un<br />

clima relazionale teso e/o competitivo, stati d’ansia e<br />

<strong>di</strong> preoccupazione per prove o esami.<br />

L’elemento dell’ansia si colloca anch’esso a<br />

un livello lievemente superiore alla me<strong>di</strong>a ma non<br />

in termini statisticamente signifi cativi. Tale dato<br />

sarebbe giustifi cato da rari picchi particolarmente<br />

signifi cativi. Nel complesso questo risultato potrebbe<br />

rimandare ad un contesto scolastico che genera<br />

comportamenti più “orientati al risultato” (ansia<br />

da prestazione), piuttosto che alla padronanza del-


le conoscenze. Come già accennato,<br />

gli stati d’ansia interferiscono<br />

<strong>negativa</strong>mente sullo stu<strong>di</strong>o, poiché<br />

possono ostacolare il ricordo dei<br />

7<br />

contenuti precedentemente memo-<br />

6<br />

rizzati, infl uenzare la co<strong>di</strong>fi ca e la<br />

selezione delle informazioni con<br />

5<br />

effetti sulla fl essibilità circa le stra-<br />

4<br />

tegie utilizzate negli appren<strong>di</strong>menti<br />

3<br />

(Naveh-Benjamin, 1991). Sebbe-<br />

2<br />

ne non particolarmente signifi cativa<br />

la fl essibilità, nel nostro campione,<br />

1<br />

risulta infatti lievemente inferiore<br />

0<br />

alla norma. Infi ne, l’atteggiamento<br />

generale che i ragazzi assumono nei<br />

confronti della scuola è risultato positivo.<br />

MEDIE DEI VALORI<br />

<strong>La</strong> valutazione del questionario QC (Questionario<br />

sulle Convinzioni) (Fig. 2) ha evidenziato come<br />

un numero <strong>di</strong> studenti lievemente superiore alla me<strong>di</strong>a<br />

aderisca alla teoria incrementale dell’intelligenza.<br />

Tale dato risulta positivo in quanto tale credenza<br />

favorirebbe negli studenti buone aspettative <strong>di</strong> riuscita<br />

(sèlf-effi cacy) e, <strong>di</strong> conseguenza, l’incremento<br />

della motivazione.<br />

Per quanto concerne la fi ducia nelle proprie <strong>capacità</strong>,<br />

dal grafi co si evincono valori lievemente al <strong>di</strong><br />

sotto della norma, probabilmente interpretabili alla<br />

luce del fenomeno dell’Effetto Pigmalione. Inoltre<br />

è emerso che la fi ducia nelle proprie <strong>capacità</strong> sia un<br />

fattore inversamente proporzionale ai vissuti <strong>di</strong> ansia:<br />

i picchi <strong>di</strong> ansia si sono riscontrati infatti negli<br />

stessi ragazzini che presentavano scarsa fi ducia nelle<br />

proprie <strong>capacità</strong>.<br />

Per quanto concerne gli obiettivi <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento:<br />

padronanza vs prestazione è emerso che i<br />

ragazzi del nostro campione si prefi ggono prevalen-<br />

DATI QA (Questionario sulle Attribuzioni)<br />

impegno caso impegno caso<br />

successo insuccesso<br />

temente obiettivi <strong>di</strong> padronanza, dato quest’ultimo,<br />

che correla positivamente con la dominanza della<br />

teoria incrementale dell’intelligenza.<br />

Infi ne, analizzando i dati quantitativi del QA<br />

(Questionario sulle attribuzioni) si rileva che il campione<br />

mostra una maggiore attribuzione “interna”<br />

(impegno) rispetto a quella “esterna” (caso) sia nelle<br />

situazioni <strong>di</strong> successo che in quelle <strong>di</strong> insuccesso:<br />

ciò signifi ca che i ragazzi attribuiscono prevalentemente<br />

i propri successi/insuccessi all’impegno e alla<br />

persistenza riposta nei compiti e non al caso o a situazioni<br />

fortuite.<br />

Conclusioni<br />

Il percorso con i ragazzi si è concluso con la<br />

somministrazione <strong>di</strong> un Questionario d’orientamento,<br />

costruito ad hoc, da cui sono emerse le seguenti<br />

aree problematiche:<br />

•<br />

•<br />

Fig. 2<br />

Psicologia Scolastica<br />

CATEGORIE QA<br />

valori delle terze me<strong>di</strong>a<br />

valori normativi<br />

<strong>di</strong>ffusi vissuti <strong>di</strong> incertezza e/o confusione<br />

in merito al proprio futuro scolastico e/o<br />

personale;<br />

necessità <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>re ulteriormente le<br />

questioni legate all’orientamento sia<br />

con le psicologhe sia con i docenti.<br />

Dal Questionario <strong>di</strong> gra<strong>di</strong>mento<br />

circa il servizio offerto, è emerso<br />

quanto i ragazzi, per la prima volta, si<br />

siano sentiti compresi riguardo le loro<br />

molteplici perplessità e soprattutto, si<br />

siano avantaggiati dalla con<strong>di</strong>visione<br />

con gli altri pari. Hanno con<strong>di</strong>viso<br />

vissuti emotivi caratterizzati prevalentemente<br />

da ansia nei confronti<br />

del futuro e incertezza <strong>di</strong>ffusa sia nei<br />

confronti degli obiettivi scolastici, su<br />

cui gravano anche le attese <strong>di</strong> genitori<br />

91


e/o insegnanti, sia nei confronti <strong>di</strong> progetti <strong>di</strong> vita<br />

personali.<br />

E’ stato interessante constatare quanto essi, talvolta<br />

implicitamente, richiedessero maggiore empatia<br />

e supporto da parte della famiglia, della scuola<br />

e dell’ambiente sociale in generale ma al contempo<br />

riven<strong>di</strong>cassero una dose <strong>di</strong> autonomia nel compiere<br />

le proprie scelte. Sono infatti emerse,<br />

in alcuni <strong>di</strong> loro, motivazioni autonome<br />

rispetto alle attese degli adulti, che<br />

inevitabilmente complicavano le scelte<br />

scolastiche/professionali future.<br />

Il nostro obiettivo è stato pertanto<br />

quello <strong>di</strong> favorire un percorso <strong>di</strong> orientamento<br />

alla scoperta <strong>di</strong> sé e delle<br />

proprie attitu<strong>di</strong>ni, desideri, aspirazioni,<br />

in<strong>di</strong>spensabile per la realizzazione<br />

<strong>di</strong> scelte quanto più serene possibili,<br />

orientate alla realizzazione personale.<br />

A fronte della presa <strong>di</strong> consapevolezza<br />

della complessità e importanza <strong>di</strong><br />

tali scelte all’interno <strong>di</strong> un più articolato<br />

percorso <strong>di</strong> vita, il risultato certamente<br />

più sod<strong>di</strong>sfacente per noi formatori, ma<br />

probabilmente anche per i ragazzi, è<br />

stato <strong>di</strong> natura metacognitiva.<br />

Utilizzando la metafora del viaggio<br />

quale immagine affascinante ed avventurosa<br />

della propria vita, i ragazzi hanno preso consapevolezza<br />

dell’importanza <strong>di</strong> inserire nel proprio<br />

zaino “degli attrezzi” un insegnamento che deriva<br />

da una nota citazione <strong>di</strong> Seneca che qui riportiamo<br />

parafrasata: “la vita conduce per mano chi la segue,<br />

persistendo pertanto con tenacia nel raggiungere i<br />

propri obiettivi, mentre trascina chi le si oppone e<br />

non fa nulla per cambiare”.<br />

Bibliografi a<br />

1. A. Pedon, R. Maeran (2002), Psicologia e mondo<br />

del lavoro, LED, Milano<br />

2. F. Rovetto, P. Moderato (2006), Progetti d’intervento<br />

psicologico. Idee, suggestioni e suggerimenti<br />

per la pratica professionale. McGraw-Hill,<br />

Milano.<br />

3. E. Confalonieri (1999), <strong>La</strong> scuola come spazio <strong>di</strong><br />

vita per l’adolescente, in O. Liverta Sempio, E.<br />

Confalonieri, G. Scaratti (a cura <strong>di</strong>) L’abbandono<br />

scolastico. Aspetti culturali, cognitivi, affettivi, R.<br />

Cortina, Milano.<br />

4. C. Cornol<strong>di</strong> (2007), Diffi coltà e <strong>di</strong>sturbi dell’appren<strong>di</strong>mento,<br />

Il Mulino, Bologna.<br />

5. D. E. Berlyne (1971), Confl itto, attivazione e cre-<br />

92<br />

Psicologia Scolastica<br />

atività, Angeli, Milano.<br />

6. E. Deci, R. Ryan (1985), Intrinsic motivation<br />

and self-determination in human behaviour, New<br />

York.<br />

7. E.H. Erikson (1982), The Life Cycle Completed.<br />

A Review, Norton & Co., New York (tr. It. I cicli<br />

della vita, Armando, Roma 1977)<br />

8. M. Naveh-Benjamin (1991), A comparison of<br />

training programs intended for <strong>di</strong>fferent types of<br />

test-anxious students: Further support for an information<br />

processing model, «Journal of Educational<br />

Psychology», vol. 83,pp. 134-139.<br />

9. C. Pontecorvo, Manuale <strong>di</strong> psicologia dell’educazione,<br />

Il Mulino , Bologna<br />

10. Henderson V. e Dweck C. S. (1990) Achievement<br />

and motivation in adolescence: A new model and<br />

data. In S. Feldman e G. Elliot (a cura <strong>di</strong>), At the<br />

threshold: The developing adolescent, Cambridge,<br />

MA, Harvard University Press.<br />

11. Weiner (1985), An attributional theory of achievement<br />

motivation and emotion, «Psychological<br />

Review»,vol. 92, pp. 548-573<br />

12. Weiner B., Frieze I.H., Kukla A., Reed L., Rest S.<br />

e Rosenbaum R.M. (1971), Perceiving the causes<br />

of success and failure, Morristown, NJ, General<br />

Learning Press.<br />

13. Aggiungere testo Mecacci “manuale <strong>di</strong> psicologia<br />

generale”<br />

14. H. Rudolph Schaffer (1998), “Lo sviluppo sociale”,<br />

Milano, Raffaello Cortina E<strong>di</strong>tore.


1. Un progetto <strong>di</strong> sostegno alla genitorialità<br />

nella prima infanzia<br />

Nell’ultimo anno e mezzo si è svolto nel territorio<br />

leccese un progetto, chiamato “Medea”, <strong>di</strong><br />

sostegno e prevenzione alle problematiche legate<br />

alla gravidanza e al post-partum che ha visto la<br />

collaborazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi Enti ed Istituzioni locali<br />

grazie al fi nanziamento dell’Otto per Mille della<br />

Chiesa Valdese <strong>di</strong> Roma.<br />

<strong>La</strong> nascita <strong>di</strong> un bambino, infatti, rappresenta<br />

un complesso momento <strong>di</strong> transizione nella vita <strong>di</strong><br />

una donna, un frenetico momento <strong>di</strong> adattamento<br />

alle sfi de che derivano dal nuovo ruolo. Per molte<br />

questo periodo è reso ancora più complesso dalla<br />

depressione post-partum, <strong>di</strong>sturbo dell’umore la<br />

cui sintomatologia è presente in circa il 10-15%<br />

delle neomamme e spesso non riconosciuta e riferita<br />

per una riluttanza implicita a comunicarne i<br />

sintomi in campo me<strong>di</strong>co-sanitario e quin<strong>di</strong> spesso<br />

vissuta in silenzio all’interno del proprio contesto<br />

sociale.<br />

<strong>La</strong> depressione post-partum non rappresenta un<br />

<strong>di</strong>sturbo omogeneo, ma può presentarsi con una<br />

costellazione <strong>di</strong> sintomi molto <strong>di</strong>fferenti, come:<br />

o Disturbi del sonno/dell’alimentazione;<br />

o Ansia/Insicurezza e sensazione <strong>di</strong> essere so-<br />

praffatta dal nuovo ruolo;<br />

o <strong>La</strong>bilità emotiva;<br />

o Confusione mentale e <strong>di</strong>ffi coltà <strong>di</strong> concentra-<br />

zione e regolazione dei propri processi cognitivi;o<br />

Per<strong>di</strong>ta del senso <strong>di</strong> sé e percezione <strong>di</strong> cambia-<br />

mento <strong>di</strong> aspetti della propria identità;<br />

o Senso <strong>di</strong> colpa/vergogna relativi alla percezio-<br />

ne <strong>di</strong> non essere una brava madre;<br />

o Pensieri suicidari o <strong>di</strong> autolesionismo come<br />

unica via <strong>di</strong> fuga dalla depressione.<br />

E’ quin<strong>di</strong> stato necessario colmare il vuoto as-<br />

Notizie dal Terrotorio<br />

“Medea”: progett o sperimentale<br />

<strong>di</strong> intervento volto al sostegno delle<br />

madri dal 4° mese <strong>di</strong> gravidanza<br />

al primo anno del bambino<br />

Dott.ssa Francesca Giordano, psicoterapeuta<br />

Dott. Guido Scopece, psicoterapeuta in formazione<br />

sistenziale nel quale si trovano le neomamme, creando<br />

un luogo e un tempo dove genitori e neonati<br />

potessero ricevere attenzione, sostegno collettivo<br />

e in<strong>di</strong>viduale.<br />

Infatti, la necessità <strong>di</strong> prevenire situazioni <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>sagio emotivo, relazionale e sociale ha portato<br />

alla formulazione <strong>di</strong> un progetto globale e integrato<br />

fra i servizi che operano con i minori e le loro<br />

famiglie, con l’intento <strong>di</strong> aiutare i genitori a <strong>di</strong>venire<br />

consapevoli delle loro <strong>capacità</strong>, attraverso il<br />

potenziamento <strong>di</strong> risorse e abilità già possedute.<br />

2. Dal problema al progetto<br />

Il progetto Medea, unico vincitore in Puglia,<br />

ideato e realizzato da due associazioni <strong>di</strong> giovani<br />

professionisti, APOS e MIRROR, che dal 2008-09<br />

operano nel settore socio-sanitario e no-profi t, ha<br />

avuto appunto come obiettivo quello <strong>di</strong> monitorare,<br />

dal quarto mese <strong>di</strong> gravidanza fi no al primo anno<br />

<strong>di</strong> vita del bambino, 20 gestanti presenti sul territorio<br />

dell’ASL/Lecce afferenti al servizio psicologico,<br />

al fi ne <strong>di</strong> prevenire ed eventualmente trattare le<br />

principali problematiche legate alla maternità. Tale<br />

scopo è stato perseguito attraverso l’attivazione <strong>di</strong><br />

un centro da <strong>di</strong>cembre 2010 a luglio 2012, collegato<br />

in rete con le Unità Operative <strong>di</strong> Ginecologia<br />

e Ostetricia, Pe<strong>di</strong>atria e <strong>di</strong> Psicologia Ospedaliera<br />

dell’Asl/Le, che ha operato per mezzo <strong>di</strong> incontri<br />

<strong>di</strong> <strong>gruppo</strong>, sostegno alle famiglie, trattamenti<br />

psicologici specifi ci, assistenza legale, fungendo<br />

anche da me<strong>di</strong>atore per il collegamento dei benefi<br />

ciari con i servizi territoriali esistenti (assistenti<br />

sociali, asili nido pubblici, consultori, centri <strong>di</strong> salute<br />

mentale, etc.).<br />

Il progetto si è realizzato in due fasi:<br />

1. Diffusione dell’iniziativa, attivazione<br />

dell’equipe multiprofessionale e del lavoro<br />

<strong>di</strong> rete, organizzazione e raccordo,<br />

93


94<br />

2.<br />

con la produzione <strong>di</strong> materiale cartaceo<br />

informativo;<br />

Costruzione <strong>di</strong> spazi <strong>di</strong> ascolto e rifl essio-<br />

ne accoglienti per offrire una presenzasostegno<br />

non intrusiva né generatrice <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>pendenza nella costruzione del rapporto<br />

relazionale.<br />

Il progetto si è proposto <strong>di</strong> ridurre quin<strong>di</strong> la<br />

percentuale <strong>di</strong> rischio <strong>di</strong> sviluppare problematiche<br />

psicologiche legate alla gravidanza, quali:<br />

- Stati confusionali ad insorgenza precoce<br />

- Disturbi post traumatici da stress<br />

- Disturbi della relazione madre-bambino<br />

- Disturbi d’ansia (Disturbo da attachi <strong>di</strong> panico,<br />

Disturbo Ossessivo Compulsivo)<br />

- Disturbi dell’umore (Baby blues, Depressione<br />

post-partum)<br />

- Psicosi puerperali<br />

Abbiamo oltresì sperimentato che le richieste<br />

<strong>di</strong> consulenza e aiuto erano relative a situazioni<br />

che non presentavano una patologia conclamata <strong>di</strong><br />

tipo neurologico o psichiatrico, ma che sottendevano<br />

problematiche <strong>di</strong> tipo emotivo, relazionale e<br />

sociale.<br />

Altro punto <strong>di</strong> impatto sul territorio è stato<br />

l’aiuto materiale fornito alle famiglie svantaggiate<br />

per sostenere le spese caratterizzanti il periodo<br />

post-natale. Non a caso, il secondo ma non<br />

secondario obiettivo è stato quello <strong>di</strong> fornire un<br />

sostegno economico e sociale prima <strong>di</strong> tutto alle<br />

famiglie monogenitoriali e a quelle svantaggiate<br />

in genere, partecipando alle gravose spese <strong>di</strong> allevamento<br />

dei loro fi gli con il contributo materiale<br />

<strong>di</strong> prodotti alimentari e sanitari per l’infanzia (180<br />

pacchi <strong>di</strong> pannolini e 46 confezioni <strong>di</strong> latte in polvere),<br />

offrendo alle mamme un corso <strong>di</strong> ginnastica<br />

post-partum gratuito <strong>di</strong> 2 mesi e un corso base <strong>di</strong><br />

massaggio neo-natale.<br />

Gli Strumenti ed azioni avviate sono state:<br />

1)<br />

2)<br />

3)<br />

un punto <strong>di</strong> ascolto psicologico presso la<br />

sede comunale <strong>di</strong> via Repubblica n°40 a<br />

Lecce grazie all’intervento della dott.ssa<br />

Francesca Giordano e del dott. Guido Scopece<br />

con incontri mensili <strong>di</strong> due ore circa;<br />

servizio <strong>di</strong> assistenza legale riguardo la tu-<br />

tela della maternità e paternità, legata alla<br />

conciliazione famiglia-lavoro grazie alla<br />

partecipazione dell’avv. Pierluigi Saracino;<br />

intervento psichiatrico per eventuale trattamento<br />

farmacologico con la <strong>di</strong>sponibilità<br />

Notizie dal Terrotorio<br />

del dott. Sergio Longo;<br />

4) modulazione dell’intervento tramite collaborazione<br />

in rete con i servizi del territorio<br />

competenti;<br />

5) convenzioni con esercizi commerciali del<br />

settore infanzia;<br />

6) convenzione con la palestra Atena Energy<br />

Club <strong>di</strong> Merine per l’attivazione del corso<br />

<strong>di</strong> ginnastica post-partum nei mesi <strong>di</strong> ottobre<br />

e novembre 2011 gratuito per le mamme<br />

afferenti al progetto;<br />

7) collaborazione con l’Amministrazione comunale<br />

<strong>di</strong> Lecce e l’ASL/Le.<br />

<strong>La</strong> modalità <strong>di</strong> accesso alle iniziative è stata<br />

spontanea da parte dei destinatari o su segnalazione<br />

<strong>di</strong> Pe<strong>di</strong>atri, Ginecologi e degli Specialisti<br />

ospedalieri.<br />

Per i Percorsi Diagnostici si è scelto la modalità<br />

<strong>di</strong> colloqui strutturati <strong>di</strong> <strong>gruppo</strong> ed in<strong>di</strong>viduali<br />

e la somministrazione <strong>di</strong> due test specifi ci, il<br />

Postpartum Depression Screening Scale (PDSS) e<br />

il Parenting Stress Index (PSI) <strong>di</strong> Giunti O.S.<br />

Le informazioni raccolte sono state registrate<br />

in cartaceo, in un database de<strong>di</strong>cato e nella reportistica<br />

<strong>di</strong> sintesi.<br />

<strong>La</strong> scelta <strong>di</strong> incontri <strong>di</strong> <strong>gruppo</strong> è stata considerata<br />

la più idonea per colmare il bisogno <strong>di</strong> quasi<br />

tutte le donne nel primo periodo <strong>di</strong> gravidanza <strong>di</strong><br />

prendere contatto con altre donne che vivono la<br />

stessa esperienza, per scambiare informazioni,<br />

con<strong>di</strong>videre timori, avere incoraggiamenti, confrontarsi<br />

su conoscenze ad esperienze per imparare<br />

a deco<strong>di</strong>fi care i segnali comportamentali del<br />

bambino.<br />

Il mo<strong>dello</strong> teorico che è stato seguito a questo<br />

proposito prende in considerazione i fattori che<br />

possono determinare comportamenti genitoriali<br />

<strong>di</strong>sfunzionali, postulando che lo stress totale sperimentato<br />

da un genitore possa essere funzione <strong>di</strong><br />

certe caratteristiche salienti del bambino, del genitore<br />

stesso e <strong>di</strong> variabili situazionali <strong>di</strong>rettamente<br />

correlate con la genitorialità (ve<strong>di</strong> Figura 1).<br />

Le caratteristiche dei bambini considerate<br />

fattori <strong>di</strong> stress connessi alla genitorialità possono<br />

essere variabili legate al temperamento (come<br />

l’Adattabilità, la Richiestività, l’Umore e la Distraibilità/Iperattività)<br />

oppure fattori interattivi<br />

riferite alle aspettative dei genitori e al sentirsi<br />

rinforzati dal loro bambino, che implicano un impatto<br />

sulla personalità del genitore e sul suo senso<br />

<strong>di</strong> sé.


Figura 1. Mo<strong>dello</strong> teorico <strong>di</strong> Abi<strong>di</strong>n, 1992<br />

Le componenti del mo<strong>dello</strong> relative alla personalità<br />

e alla patologia dei genitori consistono<br />

invece in variabili come la Depressione, il Senso<br />

<strong>di</strong> competenza e l’Attaccamento genitoriale come<br />

investimento intrinseco che il genitore fa sul proprio<br />

ruolo, tra loro interconnesse e <strong>di</strong>rettamente<br />

collegate con il livello <strong>di</strong> stress e l’impatto sull’attaccamento.<br />

Infi ne, le quattro sottoscale situazionali considerate<br />

importanti fattori nel contribuire al livello<br />

<strong>di</strong> stress genitoriale sono state lo Stato Coniugale,<br />

l’Isolamento, la Salute e la Restrizione <strong>di</strong> Ruolo,<br />

ossia l’impatto dell’essere genitori sulla libertà in<strong>di</strong>viduale<br />

e su altri ruoli.<br />

Infatti, la gravidanza è la storia <strong>di</strong> due corpi:<br />

il corpo materno, contenitore visibile, e il corpo<br />

del bambino, contenuto (a lungo) invisibile. Le<br />

<strong>di</strong>namiche psicologiche che si attivano durante la<br />

gravidanza portano la donna a mettersi a confronto<br />

proprio con la <strong>capacità</strong> <strong>di</strong> percepirsi come un<br />

contenitore solido e capace <strong>di</strong> accogliere il bambino<br />

al suo interno.<br />

I cambiamenti fi sici, ormonali, emotivi e sentimentali<br />

che avvengono nel corso del primo trimestre<br />

impongono alla futura mamma un periodo<br />

<strong>di</strong> adattamento, durante il quale la donna prende<br />

coscienza del suo nuovo stato e rivolge l’attenzione<br />

al proprio interno, alla costruzione dell’idea<br />

<strong>di</strong> sé come madre.<br />

Notizie dal Terrotorio<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista psicologico, particolarmente<br />

delicato è il periodo che va dalla fi ne del primo<br />

trimestre all’inizio del secondo, quando vengono<br />

meno le <strong>capacità</strong> <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa e <strong>di</strong> autocontrollo (regressione<br />

affettiva) e riemergono confl itti emotivi,<br />

pensieri, problemi ed esigenze che, in con<strong>di</strong>zioni<br />

normali, sono sepolti nel profondo dell’inconscio.<br />

Si può affermare che la gravidanza rappresenta per<br />

la donna un periodo <strong>di</strong> “crisi maturativa”, ovvero<br />

un momento evolutivo <strong>di</strong> rielaborazione dei precedenti<br />

confl itti infantili e degli equilibri psichici<br />

stabilizzatisi nel corso degli anni. Tale crisi può<br />

assumere una connotazione positiva <strong>di</strong> maturazione<br />

o, al contrario, può far emergere una intensa<br />

vulnerabilità, che apre a possibili rischi sul piano<br />

psichico. Le donne che hanno raggiunto un buon<br />

equilibrio psichico sono in grado <strong>di</strong> affrontare<br />

meglio la gravidanza e la maternità e tale stato <strong>di</strong><br />

benessere si ripercuoterà in maniera signifi cativa<br />

anche sul legame madre-bambino e sullo sviluppo<br />

psichico e somatico del bambino stesso.<br />

Queste problematiche iniziali <strong>di</strong> regressione<br />

affettiva rappresentano pertanto un momento delicato<br />

ma anche produttivo per il rafforzamento del<br />

rapporto <strong>di</strong> coppia, perché offrono la possibilità <strong>di</strong><br />

uno scambio profondo <strong>di</strong> pensieri e sentimenti del<br />

tutto particolari, che scomparirà poche settimane<br />

dopo il parto, quando si ricostituiranno le <strong>di</strong>fese<br />

abituali che ognuno mette in atto nei confronti della<br />

realtà esterna.<br />

Il secondo trimestre <strong>di</strong> gravidanza è solitamen-<br />

95


96<br />

te paragonato ad un’autentica luna <strong>di</strong> miele: l’insicurezza<br />

lascia il posto ad un sentimento <strong>di</strong> tranquillità,<br />

i sintomi dei malesseri fi sici scompaiono e<br />

la donna inizia costruire un’immagine mentale del<br />

bambino, grazie anche alla percezione dei movimenti<br />

fetali che <strong>di</strong>ventano la conferma della sua<br />

presenza e ai cambiamenti visibili del corpo che si<br />

trasforma. Ascoltando e rispondendo ai movimenti<br />

del proprio bambino, inizia<br />

ad instaurarsi un <strong>di</strong>alogo affettivo<br />

tra madre e fi glio e si creano<br />

le basi per la nascita <strong>di</strong> una<br />

relazione in cui dovrà trovare<br />

spazio anche il futuro papà. È<br />

in questo periodo che a volte<br />

nelle donne affi ora il senso <strong>di</strong><br />

responsabilità per le eventuali<br />

ripercussioni sul feto dei propri<br />

stati d’animo e soprattutto <strong>dello</strong><br />

stress.<br />

Con l’inizio dell’ultimo trimestre<br />

e, in particolare, dell’ultimo<br />

mese <strong>di</strong> gravidanza, la<br />

donna si trova <strong>di</strong> fronte a nuove<br />

mo<strong>di</strong>fi cazioni fi siologiche: il<br />

feto aumenta <strong>di</strong> peso e <strong>di</strong> volume,<br />

le contrazioni fi siologiche<br />

si possono accentuare, possono<br />

comparire nuovi <strong>di</strong>sturbi fi sici<br />

(stanchezza, <strong>di</strong>sturbi della circolazione,<br />

<strong>di</strong>sturbi del sonno,<br />

ecc) e il corpo deve adattarsi a nuovi cambiamenti.<br />

<strong>La</strong> donna comincia a provare sentimenti ambivalenti<br />

nei confronti dell’evento-nascita: desidera intensamente<br />

l’arrivo del bambino ma, al contempo,<br />

aumenta la paura. Si intensifi cano ansie e timori e<br />

la donna si chiede: “Come sarà il parto?”, “Resisterò<br />

al dolore?”, “Come sarà il bambino?”…<br />

<strong>La</strong> paura per il dolore e la <strong>capacità</strong> o meno <strong>di</strong><br />

sopportarlo e superarlo accompagnano quest’ultimo<br />

periodo. Il timore del dolore fi sico e della<br />

propria <strong>capacità</strong> <strong>di</strong> affrontarlo porta in sé anche il<br />

dolore emotivo per la separazione e il concludersi<br />

della relazione privilegiata che madre e feto hanno<br />

vissuto durante tutti i mesi della gravidanza.<br />

<strong>La</strong> nascita <strong>di</strong> un fi glio rappresenta dunque un<br />

evento <strong>di</strong> intensità tale da con<strong>di</strong>zionare l’emotività<br />

della futura madre, che può essere pervasa da<br />

ansie, paure e dubbi <strong>di</strong> varia natura che, se non<br />

opportunamente ascoltati, possono produrre effetti<br />

negativi sulla madre stessa ma anche sul feto, che<br />

Notizie dal Terrotorio<br />

dalla madre riceve non solo nutrimento fi sico, ma<br />

anche emotivo.<br />

3. Verifi ca al termine del progetto<br />

Gli interventi dell’equipe multiprofessionale<br />

nelle sue articolazioni sono stati monitorati da un<br />

lavoro <strong>di</strong> verifi ca fi nalizzato a valutare l’effi cacia<br />

del progetto, prevedendo momenti <strong>di</strong> revisioneriprogettazione<br />

mensile tra i<br />

collaboranti allo stesso. Infatti,<br />

in<strong>di</strong>catori <strong>di</strong> verifi ca in<br />

itinere sono stati un’analisi<br />

quali-quantitativa delle prestazioni<br />

offerte e la valutazione<br />

dell’incidenza sul territorio<br />

dell’iniziativa proposta, con<br />

l’eventuale adozione <strong>di</strong> elementi<br />

correttivi. D’altra parte,<br />

in<strong>di</strong>catori <strong>di</strong> verifi ca al termine<br />

del progetto sono stati un’analisi<br />

quali-quantitativa delle prestazioni<br />

offerte e in<strong>di</strong>catori <strong>di</strong><br />

sintesi in rapporto all’affl uenza<br />

ai servizi, nonché la somministrazione<br />

<strong>di</strong> test psico<strong>di</strong>agnostici<br />

<strong>di</strong> esito.<br />

Dall’analisi globale è stato<br />

possibile desumere che il progetto<br />

è stato adeguato a quanto<br />

previsto in fase <strong>di</strong> programmazione<br />

e congruente tra le<br />

attività previste e quelle realizzate, tra le attività<br />

realizzate e gli obiettivi <strong>di</strong> risultato, raggiungendo<br />

così il target auspicato.<br />

Riferimenti bibliografi ci<br />

Abi<strong>di</strong>n, R.R. (1992). The determinants of parenting<br />

behavior. Journal of Clinical Psychology,<br />

21, 407-412;<br />

Abi<strong>di</strong>n, R.R., Jenkins, C.L., McGaughey, M.C.<br />

(1992). The relationship of early family variables<br />

to children’s subsequent behavioral adjustment.<br />

Journal of Clinical Child Psychology,<br />

21, 60-69;<br />

Abi<strong>di</strong>n, R.R., Wilfong, E. (1989). Parenting stress<br />

and its relationship to child health care. Children’s<br />

Health Care, 18, 114-117;<br />

Abi<strong>di</strong>n, R.R. (2010). PSI- Parenting Stress Index.<br />

Giunti O.S.<br />

Beck, C.T. e Gable, R.K. (2010). PDSS- Postpartum<br />

Depression Screening Scale. Giunti O.S.


Introduzione<br />

Il mio lavoro <strong>di</strong> tesi ha analizzato il tema dell’interruzione<br />

<strong>di</strong> gravidanza volontaria e terapeutica dal<br />

punto <strong>di</strong> vista sia delle motivazioni sia dei vissuti e<br />

dei risvolti psicologici della donna che la richiede.<br />

L’aborto, proibito e ritenuto punibile dal Co<strong>di</strong>ce<br />

Rocco del 1930 in cui era defi nito «delitto contro<br />

l’integrità e sanità della stirpe», eccetto quando si<br />

qualifi cava come terapeutico, è stato ammesso con<br />

la legge 22 maggio 1978 n. 194.<br />

Il nutrito <strong>di</strong>battito tra rappresentanti del mondo<br />

femminile, uomini politici, sociologi, psicologi, moralisti,<br />

me<strong>di</strong>ci e osservatori del costume ha arricchito<br />

il tema delle più ampie sfaccettature. Esso ha un così<br />

elevato potenziale <strong>di</strong> denuncia delle contrad<strong>di</strong>zioni e<br />

dei legami che sul piano sociale ed economico gravano<br />

ancora il ruolo della donna, che risulta artifi -<br />

cioso chiedersi se attenga, come problema specifi co,<br />

alla sfera del singolo in<strong>di</strong>viduo o della responsabilità<br />

collettiva.<br />

Il mondo della sessualità della donna nelle sue<br />

possibili articolazioni - sessualità vissuta per se stessa,<br />

concepimento, maternità ed aborto - costituisce<br />

la “cerniera” tra due livelli: quello collegato al suo<br />

essere sociale, all’ambito professionale e quello collegato<br />

alla sua più profonda identità femminile che<br />

le chiede anche <strong>di</strong> essere, secondo una buona tra<strong>di</strong>zione,<br />

compagna ideale e ottima madre. Lo scarto<br />

tra la possibilità <strong>di</strong> poter vivere in modo più libero<br />

la sessualità, che la cultura o<strong>di</strong>erna sembra proporre<br />

e consentire, e la <strong>di</strong>mensione più profonda dei vissuti,<br />

ancora legati al passato, gravati dei tabù e del<br />

senso <strong>di</strong> colpa, ancora oppressi dalla regola sociale<br />

interiorizzata che vuole la donna al servizio della riproduzione,<br />

ci dà la misura reale del confl itto tra tali<br />

livelli.<br />

Obiettivo principale del mio lavoro <strong>di</strong> tesi è stato<br />

quello <strong>di</strong> indagare in profon<strong>di</strong>tà le motivazioni e i<br />

vissuti dell’interruzione <strong>di</strong> gravidanza a quasi trenta<br />

anni dall’approvazione della legge 194, soprattutto<br />

analizzare se si confi guri come un lutto da elabora-<br />

Spunti da Tesi <strong>di</strong> <strong>La</strong>urea e/o Specializzazione<br />

Vissuti e implicazioni psicologiche<br />

dell’interruzione volontaria e terapeutica<br />

<strong>di</strong> gravidanza. Un contributo alla ricerca<br />

dott.ssa Gianna Mangeli<br />

Psicologa ISBEM, Area Formazione - Mesagne (BR)<br />

re, come una per<strong>di</strong>ta o semplicemente una rinuncia.<br />

Inoltre, la donna che vi incorre può essere in grado<br />

<strong>di</strong> elaborare un tale evento da sola o sente il bisogno<br />

<strong>di</strong> ascolto e supporto?<br />

LETTERATURA A CONFRONTO<br />

Visione sociopsicologica e culturale dell’aborto<br />

Trattando il tema dell’aborto volontario non si<br />

possono scindere i vissuti intrapsichici e in<strong>di</strong>viduali<br />

da quelli culturali della società cui la donna appartiene<br />

in un determinato momento storico, compresi i<br />

meccanismi psicologici che regolano la formazione<br />

delle rappresentazioni sociali, le attribuzioni, la formazione<br />

<strong>di</strong> impressioni.<br />

Per capire i comportamenti e le scelte in<strong>di</strong>viduali<br />

in tema <strong>di</strong> aborto, bisogna porre attenzione<br />

anche all’infl uenza degli atteggiamenti collettivi e<br />

alla pressione esercitata, per ragioni economiche e<br />

politiche, in tempi <strong>di</strong>versi, sull’istituto familiare per<br />

incoraggiare o <strong>di</strong>sincentivare la maternità. Bisogna,<br />

cioè, considerare il signifi cato sociale del bambino.<br />

Kellerhals e Pasini in<strong>di</strong>viduano tre momenti storici<br />

in cui il bambino ha avuto ruoli e funzioni <strong>di</strong>versi.<br />

Nel primo il bambino è considerato come un valore<br />

socioeconomico certo: nei ceti meno abbienti<br />

in termini <strong>di</strong> braccia lavorative in grado <strong>di</strong> aiutare<br />

il padre, in quelli abbienti come erede del patrimonio<br />

familiare e del sistema <strong>di</strong> signifi cati e simboli ad<br />

esso connessi. Questo momento corrisponde ad una<br />

visione fondamentalista dell’embrione, cioè fi n dal<br />

concepimento esiste un essere umano.<br />

Il secondo momento è defi nito dalla <strong>di</strong>minuzione<br />

delle sue funzioni materiali e da immagini tra<strong>di</strong>zionali<br />

dell’embrione.<br />

Il terzo momento è caratterizzato dalla funzione<br />

affettiva e “gratuita” del bambino contemporaneo per<br />

la coppia o per la madre, dalla sua debole visibilità<br />

sociale e da un’immagine razionale dell’embrione:<br />

si ha vita umana solo se i suoi “autori” ne prendono<br />

coscienza in quanto tale. Essi <strong>di</strong>ventano i giu<strong>di</strong>ci<br />

97


principali, o meglio esclusivi, dell’interruzione o del<br />

proseguimento <strong>di</strong> una gravidanza.<br />

In un’ottica sociopsicologica si ritiene che il vissuto<br />

dell’aborto coinvolga varie <strong>di</strong>mensioni: dalla<br />

contraccezione mancata o fallita al signifi cato psicologico<br />

della gravidanza indesiderata ai motivi presi<br />

in considerazione per abortire.<br />

Il desiderio e il rifi uto della maternità:<br />

Analisi Psico<strong>di</strong>namica<br />

<strong>La</strong> teoria psicoanalitica ha de<strong>di</strong>cato grande spazio<br />

alla psicologia della donna, soprattutto allo sviluppo<br />

della sua sessualità e della sua vocazione alla<br />

maternità. Come conseguenza del fatto <strong>di</strong> aver considerato<br />

normale ed universale il desiderio <strong>di</strong> fi gli,<br />

nell’ambito psicoanalitico è stato giu<strong>di</strong>cato “anormale”<br />

il loro rifi uto. L’aborto è stato stu<strong>di</strong>ato come<br />

gravidanza mancata, evidenziando i meccanismi patologici<br />

<strong>di</strong> crescita e i confl itti inconsci. <strong>La</strong> maggior<br />

parte della psicoanalisi, soprattutto nell’ambito della<br />

Psicologia dell’Io, ha fatto riferimento alla nozione<br />

<strong>di</strong> istinto e <strong>di</strong> sentimento materno.<br />

Come sottolinea Lisa Baruffi , l’indagine psicoanalitica<br />

non ha chiarito la relazione tra le fantasie<br />

infantili della nascita, del parto, della generazione e<br />

la loro <strong>capacità</strong> <strong>di</strong> motivare la donna adulta ad avere<br />

o non avere fi gli. Molti stu<strong>di</strong>osi oggi si chiedono se<br />

l’atteggiamento materno e la spinta alla riproduzione<br />

siano una tendenza innata o <strong>di</strong>pendano dall’esperienza<br />

relazionale e dai valori collettivi.<br />

Antonio Imbasciati, nel descrivere il lungo processo<br />

<strong>di</strong> sviluppo attraverso il quale la donna acquisisce<br />

la maturità sessuale e si forma una propria personalità,<br />

riprende il concetto Kleiniano <strong>di</strong> “oggetti<br />

interni”. Nella mente delle bambine vi è una naturale<br />

pre<strong>di</strong>sposizione a pensare che i bambini vengano<br />

fuori dalla mamma e sono invi<strong>di</strong>ati perché la bambina<br />

non li possiede. Ella li vorrebbe avere e, nello<br />

stesso tempo, li vorrebbe annientare nel corpo stesso<br />

della madre.<br />

Da qui prendono origine i timori della donna, anche<br />

adulta, circa l’interno del proprio corpo. Tutto<br />

<strong>di</strong>pende da come nella mente della bambina si alternano<br />

i momenti schizoparanoi<strong>di</strong>, con angosce persecutorie,<br />

e momenti <strong>di</strong> riparazione, e da come questi<br />

continueranno, nel corso <strong>dello</strong> sviluppo, a prevalere<br />

l’uno sull’altro. Le apprensioni, che in una certa<br />

misura tutte le donne in gravidanza hanno circa il<br />

fatto che il bambino possa nascere deforme, sono in<br />

funzione del fatto che tutte hanno avuto questa situazione<br />

persecutoria, cioè tutte le bambine, poi donne,<br />

hanno avuto la paura che dentro il loro corpo non po-<br />

98<br />

Spunti da Tesi <strong>di</strong> <strong>La</strong>urea e/o Specializzazione<br />

tessero esserci cose ben fatte ma solo mostri. Se tali<br />

angosce sono rimaste troppo forti e soprattutto non<br />

affrontate da un suffi ciente lavoro riparativo, l’apprensione<br />

può <strong>di</strong>ventare così pesante da condurre a<br />

un rifi uto della gravidanza stessa.<br />

Circa il confronto con la madre, l’angoscia che<br />

ne deriva <strong>di</strong>pende dal modo in cui è impostata tutta<br />

la relazione madre-fi glia e da come è affrontato il<br />

problema della fusione-separazione con lei.<br />

Oltre alla minaccia del “nemico interno”, ruolo<br />

non trascurabile ha la cultura e il “mo<strong>dello</strong> della<br />

femminilità” dominante in un certo momento storico<br />

sulla “minaccia dall’esterno”.<br />

Sindrome Post-Abortiva e reazioni positive<br />

all’aborto<br />

Molti stu<strong>di</strong>osi ritengono che l’esperienza abortiva<br />

possa procurare danni fi sici ed effetti psicologici<br />

negativi, in<strong>di</strong>cati con il termine “Sindrome<br />

Post-Abortiva (Post-Abortion Syndrome - PAS)”. <strong>La</strong><br />

PAS è considerata far parte del più ampio <strong>gruppo</strong> <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>sturbi in<strong>di</strong>cati come “Disturbo post-traumatico da<br />

stress” (DPTS) all’interno del DSM-IV.<br />

Gli ostacoli alla sua identifi cazione clinica sono:<br />

il mascheramento delle risposte emotive sia durante<br />

la procedura che nei successivi contatti con le fi gure<br />

professionali; l’espressione del dolore con manifestazioni<br />

comportamentali o con complicazioni psicosomatiche,<br />

per cui viene confusa con altri <strong>di</strong>sturbi;<br />

sentimenti ambivalenti o contrari all’aborto da parte<br />

del counselor.<br />

Le fi gure professionali della “Wetside Pregnancy<br />

Resource Center” hanno in<strong>di</strong>viduato tre componenti<br />

della Sindorme Post Abortiva:<br />

1) Iperattivazione,<br />

la persona è in permanente sta-<br />

to <strong>di</strong> allerta per la minaccia <strong>di</strong> pericoli. I sintomi<br />

sono: attacchi d’ansia, irritabilità, rabbia, comportamento<br />

aggressivo, <strong>di</strong>ffi coltà <strong>di</strong> concentrazione,<br />

ipervigilanza, <strong>di</strong>ffi coltà nel dormire,<br />

reazioni psicologiche durante l’esposizione a<br />

situazioni che simbolizzano o ricordano aspetti<br />

dell’esperienza.<br />

2) Intrusione,<br />

la ri-esperienza dell’evento in momenti<br />

inaspettati, con pensieri intrusivi, fl ashbacks<br />

e incubi.<br />

3) Costrizione,<br />

che include paralisi emotiva e ten-<br />

tativi <strong>di</strong> negare o evitare stimoli associati al trauma.<br />

Si manifesta con: in<strong>capacità</strong> <strong>di</strong> richiamare<br />

l’aborto o importanti parti <strong>di</strong> esso; rottura <strong>di</strong> relazioni,<br />

soprattutto <strong>di</strong> quelle con persone coinvolte<br />

nella decisione; evitamento <strong>di</strong> bambini;<br />

interesse <strong>di</strong>minuito per le precedenti attività.


Bisogna, però, precisare che, sebbene la PAS sia<br />

in<strong>di</strong>cata da molti psicologi tra le conseguenze gravi<br />

dell’aborto, altri sostengono che essa non sia stata<br />

ancora scientifi camente riconosciuta.<br />

Inoltre, così come molti stu<strong>di</strong>osi hanno sostenuto<br />

l’esistenza <strong>di</strong> <strong>di</strong>sturbi post-abortivi severi, molti altri<br />

ritengono ci siano anche risposte positive. Il periodo<br />

più stressante è, per questi autori, quello che precede<br />

l’aborto, mentre subito dopo vengono sperimentate<br />

emozioni positive più fortemente <strong>di</strong> quelle negative.<br />

Le donne a più alto rischio sono quelle con problemi<br />

emotivi o psichici già esistenti.<br />

Pre<strong>di</strong>ttori psicosociali dell’adattamento<br />

all’aborto<br />

Gli stu<strong>di</strong>osi dei fattori che pre<strong>di</strong>cono le reazioni<br />

psicologiche all’aborto hanno considerato principalmente<br />

i processi cognitivi coinvolti nella sua<br />

elaborazione, ritenendo che possano meglio essere<br />

comprese in una cornice <strong>di</strong> normale stress e coping<br />

piuttosto che in un mo<strong>dello</strong> della psicopatologia. Le<br />

ricerche sull’impatto <strong>di</strong> eventi stressanti si focalizzano<br />

sui fattori che me<strong>di</strong>ano le risposte allo stress.<br />

Negli stu<strong>di</strong> sulle attribuzioni causali è emerso<br />

che i fattori maggiormente in<strong>di</strong>cati dalle partecipanti<br />

erano quelli interni rispetto a quelli esterni e che,<br />

tra i primi, le attribuzioni al carattere erano correlate<br />

con un coping peggiore.<br />

L’autoeffi cacia è stata misurata sia negli effetti<br />

<strong>di</strong>retti sul coping successivo all’aborto sia come<br />

variabile in grado <strong>di</strong> me<strong>di</strong>are il peso <strong>di</strong> altri fattori<br />

sull’adattamento allo stesso. Nel primo caso, è stata<br />

confermata l’ipotesi che le donne con aspettative <strong>di</strong><br />

coping più alte prima della procedura abortiva, cioè<br />

con un grado <strong>di</strong> autoeffi cacia alto, avessero un coping<br />

migliore, mentre quelle con aspettative basse<br />

avessero un umore peggiore e fossero più depresse.<br />

Nel secondo caso, l’autoeffi cacia me<strong>di</strong>ava gli effetti<br />

del supporto sociale percepito, <strong>di</strong> variabili <strong>di</strong> personalità,<br />

della elasticità personale o <strong>capacità</strong> <strong>di</strong> recupero.<br />

Hanno rilievo anche gli eventi che seguono un<br />

aborto: la <strong>di</strong>ffi coltà <strong>di</strong> rimanere nuovamente incinta,<br />

la per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> un bambino, o un malessere catastrofi<br />

co.<br />

Per concludere, le donne ad alto rischio <strong>di</strong> conseguenze<br />

psicologiche negative dopo un aborto sono<br />

quelle che: terminano una gravidanza voluta o signifi<br />

cativa, percepiscono mancanza <strong>di</strong> supporto da<br />

partner o genitori, sono combattute e poco sicure<br />

della decisione <strong>di</strong> abortire, hanno basse aspettative<br />

<strong>di</strong> coping positivo, si autocolpevolizzano per la gra-<br />

Spunti da Tesi <strong>di</strong> <strong>La</strong>urea e/o Specializzazione<br />

vidanza.<br />

Aspetti psicologici legati all’esperienza<br />

particolare dell’Aborto Terapeutico<br />

Per Aborto Terapeutico si intende l’interruzione<br />

volontaria <strong>di</strong> gravidanza, spesso quest’ultima pianifi<br />

cata e desiderata, dopo il primo semestre in seguito<br />

alla <strong>di</strong>agnosi <strong>di</strong> malformazioni o malattie congenite<br />

nel feto oppure laddove il portarla a termine comporti<br />

dei rischi per la salute fi sica o psichica della donna<br />

così come espresso nell’art. 6 della L. 194/1978.<br />

In Italia e in molti Paesi europei l’aborto nel secondo<br />

trimestre <strong>di</strong> gravidanza viene praticato tramite<br />

l’induzione <strong>di</strong> parto con prostaglan<strong>di</strong>ne somministrate<br />

per via parenterale o per via intra-vaginale. Questa<br />

procedura determina un basso grado <strong>di</strong> complicanze<br />

fi siche materne e consente la possibilità <strong>di</strong> verifi che<br />

della morfologia fetale, soprattutto utile in caso <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>agnosi prenatale ecografi ca <strong>di</strong> anomalie strutturali.<br />

Per contro, i tempi <strong>di</strong> espletamento del parto abortivo<br />

sono notevolmente lunghi, con me<strong>di</strong>e <strong>di</strong> do<strong>di</strong>ci<br />

ore. Ciò comporta indubbiamente un forte e gravoso<br />

coinvolgimento emozionale all’evento da parte della<br />

paziente e del suo nucleo familiare e, nonostante un<br />

eventuale supporto farmacologico antidolorifi co, ansiolitico<br />

e psicologico, l’esperienza è senza dubbio<br />

drammatica.<br />

<strong>La</strong> per<strong>di</strong>ta con cui la donna deve fare i conti è<br />

non soltanto quella del bambino sognato e idealizzato,<br />

ma anche, soprattutto per le prime gravidanze, la<br />

per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> una parte <strong>di</strong> sé, cioè dell’identità <strong>di</strong> madre<br />

che cominciava, se non proprio a costituirsi, perlomeno<br />

a intravedersi e della conferma narcisistica che<br />

questo comportava. Accanto alla realtà dei cambiamenti<br />

corporei e del feto, la <strong>di</strong>mensione affettiva e<br />

fantastica viene costantemente sollecitata dall’assistenza<br />

me<strong>di</strong>ca, attraverso la <strong>di</strong>agnostica e le terapie<br />

prenatali.<br />

In caso <strong>di</strong> rilevazione <strong>di</strong> malformazioni o <strong>di</strong> malattia,<br />

la stessa realtà del feto può contribuire a riattivare<br />

nella coppia angosce genetiche ed il temuto<br />

bambino delle fantasie più profonde.<br />

Angosce riguardanti la propria integrità e vissuti<br />

persecutori possono, in molti casi, dare origine a depressione<br />

soprattutto per quelle donne dotate <strong>di</strong> una<br />

più fragile e incompleta identità del Sé e del proprio<br />

ruolo sessuale. A ciò può aggiungersi il senso<br />

<strong>di</strong> colpa e <strong>di</strong> vergogna associato al <strong>di</strong>fetto genetico.<br />

Accanto alla colpa, per la coppia, <strong>di</strong> essere portatrice<br />

del <strong>di</strong>fetto genetico si associa la realizzazione che il<br />

loro tentativo <strong>di</strong> generare un bambino sano è fallito.<br />

99


100<br />

ANALISI EMPIRICA<br />

Metodo<br />

<strong>La</strong> ricerca condotta per indagare le motivazioni e<br />

i vissuti dominanti dell’aborto, sia volontario sia terapeutico,<br />

ha avuto lo scopo <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare le variabili<br />

che maggiormente <strong>di</strong>stinguono le due esperienze<br />

e quelle che maggiormente infl uiscono sull’elaborazione<br />

dei vissuti nella fase post-abortiva. Obiettivo<br />

non era quello <strong>di</strong> verifi care ipotesi sulla relazione <strong>di</strong><br />

causa-effetto tra precise variabili contestuali e/o <strong>di</strong><br />

personalità, bensì quello <strong>di</strong> analizzare in profon<strong>di</strong>tà<br />

i vissuti più intimi. Idea <strong>di</strong> fondo era che una maggiore<br />

elaborazione e con<strong>di</strong>visione dell’evento e dei<br />

vissuti interiori ad esso connessi fossero legati ad un<br />

migliore processo <strong>di</strong> superamento dell’evento.<br />

Il lavoro empirico è stato realizzato con la somministrazione<br />

<strong>di</strong> interviste semi-strutturate. Ai dati<br />

raccolti è stato applicato un software <strong>di</strong> Analisi del<br />

Contenuto e una griglia <strong>di</strong> valutazione dei meccanismi<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa usati nel parlato.<br />

Sono stati intervistati tre gruppi <strong>di</strong> donne: in due<br />

<strong>di</strong> questi esse hanno interrotto la gravidanza rispettivamente<br />

nel primo e nel secondo trimestre, nel terzo,<br />

<strong>di</strong> controllo, l’hanno portata regolarmente a termine<br />

con la nascita dei bambini. L’evento, l’aborto o la<br />

nascita, si era verifi cato da Giugno 2005 a Dicembre<br />

2005. Le donne avevano un’età compresa tra i 28 e<br />

i 42 anni.<br />

Campione<br />

I soggetti erano 14 donne che avevano effettuato<br />

i loro interventi <strong>di</strong> parto o <strong>di</strong> interruzione <strong>di</strong> gravidanza<br />

nella I Clinica <strong>di</strong> Ostetricia e Ginecologia del<br />

Policlinico <strong>di</strong> Bari. Di queste: cinque avevano portato<br />

la gravidanza regolarmente a termine, tre avevano<br />

effettuato un’interruzione volontaria (IVG) nel<br />

primo trimestre, sei un’interruzione terapeutica (IG)<br />

nel secondo trimestre per problemi legati al feto (1<br />

caso per assunzione <strong>di</strong> farmaci da parte della madre<br />

nel corso delle prime settimane <strong>di</strong> gestazione, 3<br />

casi per Trisomia 21 o Sindrome <strong>di</strong> Down, 1 caso<br />

per Trisomia 13 o Sindrome <strong>di</strong> Pateau, 1 caso per<br />

malformazione degli organi interni).<br />

Inizialmente l’elenco dei tre gruppi <strong>di</strong> donne da<br />

contattare era più numeroso. Durante il contatto telefonico<br />

si sono verifi cati sia rifi uti a partecipare sia<br />

impossibilità <strong>di</strong> reperire alcune pazienti.<br />

Già a partire da questi dati si possono fare delle<br />

considerazioni signifi cative. Rapportando il numero<br />

<strong>di</strong> donne che per ogni <strong>gruppo</strong> ha rifi utato <strong>di</strong> parlare<br />

della propria esperienza al totale delle donne contat-<br />

Spunti da Tesi <strong>di</strong> <strong>La</strong>urea e/o Specializzazione<br />

tate si notano subito importanti <strong>di</strong>fferenze: il 23%<br />

<strong>di</strong> rifi uti nel <strong>gruppo</strong> delle interruzioni terapeutiche<br />

contro il 47% delle interruzioni volontarie. Questo<br />

scarto può essere interpretato come una resistenza da<br />

parte delle donne <strong>di</strong> questo ultimo <strong>gruppo</strong> a raccontare<br />

il proprio vissuto. Tra le motivazioni riportate<br />

dominante era, infatti, quella <strong>di</strong> non volerlo rivivere.<br />

Particolare è il caso delle tre donne che hanno rimandato<br />

più volte l’appuntamento senza presentarsi: è<br />

evidente che <strong>di</strong>etro la <strong>di</strong>sponibilità manifesta a parlare<br />

ci fosse la voglia reale <strong>di</strong> non farlo senza tuttavia<br />

ammetterlo o rifi utare apertamente, nascondendo ad<br />

altri e soprattutto a se stesse la <strong>di</strong>ffi coltà del vissuto<br />

personale dell’evento. <strong>La</strong> percentuale più bassa <strong>di</strong> rifi<br />

uti del <strong>gruppo</strong> delle interruzioni terapeutiche in<strong>di</strong>ca<br />

una maggior apertura delle donne ad elaborare i propri<br />

vissuti. <strong>La</strong> loro <strong>di</strong>sponibilità era subito evidente<br />

al momento dei contatti telefonici in cui le risposte<br />

frequenti sono state: “Si, così almeno ne parlo!”. Infi<br />

ne, nel <strong>gruppo</strong> delle donne che avevano partorito<br />

la percentuale dei rifi uti è stata del 36%, in<strong>di</strong>cando<br />

l’assenza sia <strong>di</strong> un blocco sia <strong>di</strong> una forte necessità <strong>di</strong><br />

parlare circa un’esperienza, come quella della nascita<br />

<strong>di</strong> un bambino, ritenuta normale e or<strong>di</strong>naria.<br />

Procedura<br />

Le donne sono state contattate telefonicamente<br />

chiedendo la loro <strong>di</strong>sponibilità a rispondere ad alcune<br />

domande per una ricerca garantendo il mantenimento<br />

dell’anonimato.<br />

Le interviste sono state somministrate faccia a<br />

faccia ed erano organizzate in domande aperte raggruppate<br />

in <strong>di</strong>verse aree tematiche: informazioni<br />

anagrafi che, signifi cato attribuito alla gravidanza,<br />

processo decisionale, reazioni post-abortive, supporto<br />

sociale, cambiamenti nelle relazioni affettive,<br />

chiusura. Nelle interviste per le interruzioni terapeutiche<br />

c’erano anche domande sul tipo <strong>di</strong> malformazione<br />

<strong>di</strong>agnosticata e sulle informazioni (chiare vs<br />

incerte) date dal personale me<strong>di</strong>co. <strong>La</strong> durata delle<br />

interviste variava dai venti ai trenta minuti circa. Il<br />

contenuto è stato registrato e poi trascritto.<br />

<strong>La</strong> trascrizione è stata sottoposta prima ad un<br />

software <strong>di</strong> Analisi del Contenuto in dotazione presso<br />

l’Università degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Bari, il T-LAB 1 , per<br />

1 Il T-LAB è un software che offre strumenti <strong>di</strong> statistica<br />

testuale orientate ad evidenziare relazioni <strong>di</strong> inter<strong>di</strong>pendenza<br />

tra le variabili atte a costruire ipotesi interpretative<br />

e a supportare argomentazioni basate sull’uso<br />

<strong>di</strong> inferenze <strong>di</strong> tipo abduttivo. I risultati sono sempre<br />

tabelle e/o grafi ci che, in modo interattivo, mostrano


osservare le occorrenze delle parole maggiormente<br />

presenti nelle risposte delle donne e poi le è stata applicata<br />

la Defense Mechanism Rating Scale (DMRS)<br />

<strong>di</strong> J. Christopher Perry per in<strong>di</strong>viduare nelle espressioni<br />

<strong>di</strong>scorsive i meccanismi <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa più usati.<br />

<strong>La</strong> DMRS prende in esame 27 meccanismi <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>fesa sud<strong>di</strong>visi in sette livelli, dove a livelli gerarchicamente<br />

più bassi corrispondono una più alta<br />

sintomatologia <strong>di</strong> <strong>di</strong>sturbi psichici e un minor adattamento<br />

sociale 2 .<br />

Risultati<br />

Usando il T-LAB sono state osservate solo le<br />

occorrenze delle parole maggiormente presenti in<br />

ogni <strong>gruppo</strong> <strong>di</strong> donne intervistate (Tabella 1, Tabella<br />

2, Tabella 3). Le occorrenze permettono <strong>di</strong> fare inferenze<br />

fondate sull’osservazione <strong>di</strong> somiglianze e<br />

<strong>di</strong>fferenze tra i sottoinsiemi.<br />

Osservando attentamente le tre tabelle, la prima<br />

considerazione riguarda la quantità delle parole usate<br />

nei vari gruppi e il contrasto più forte è quello tra<br />

le IVG e le IG: nel primo caso il parlato è piuttosto<br />

breve ed essenziale mentre nel secondo è abbastanza<br />

lungo e ricco <strong>di</strong> termini.<br />

Una seconda considerazione riguarda la parola<br />

con il maggior numero <strong>di</strong> occorrenze per ogni <strong>gruppo</strong>:<br />

mentre per le donne che hanno partorito è “bambino”,<br />

segno che il <strong>di</strong>scorso ruota essenzialmente<br />

attorno all’argomento del bambino che nasce, nel<br />

<strong>gruppo</strong> delle interruzioni volontarie la prima parola<br />

è “persona”, quasi ad in<strong>di</strong>care che l’evento coinvolge<br />

principalmente se stesse, infi ne nel <strong>gruppo</strong> delle<br />

interruzioni terapeutiche nella prima riga compare<br />

“<strong>di</strong>re”, verbo rappresentativo della forte necessità <strong>di</strong><br />

output <strong>di</strong> analisi statistiche, orientate a ricostruire i signifi<br />

cati contestuali delle parole e ad esplorare somiglianze<br />

e <strong>di</strong>fferenze tra le varie unità <strong>di</strong> analisi. Ciò permette<br />

<strong>di</strong> fare inferenze sul signifi cato contestuale delle<br />

parole per il fatto che le reciproche relazioni tra le unità<br />

<strong>di</strong> analisi possono essere rappresentate come matrici (o<br />

tabelle) i cui valori numerici in<strong>di</strong>cano fenomeni <strong>di</strong> occorrenza<br />

e co-occorrenza.<br />

2 Essa prevede tre <strong>di</strong>verse possibilità <strong>di</strong> valutazione:<br />

- qualitativa: esamina la presenza/assenza della <strong>di</strong>fesa;<br />

- quantitativa:determina la frequenza con cui una certa<br />

<strong>di</strong>fesa è o è stata usata. E’ molto utile negli stu<strong>di</strong> longitu<strong>di</strong>nali<br />

per monitorare il cambiamento nel tempo<br />

dell’assetto <strong>di</strong>fensivo in<strong>di</strong>viduale;<br />

- del livello <strong>di</strong> maturità: i singoli processi <strong>di</strong>fensivi sono<br />

articolati in una progressione gerarchica che prevede i 7<br />

livelli <strong>di</strong> maturità/adattamento.<br />

Spunti da Tesi <strong>di</strong> <strong>La</strong>urea e/o Specializzazione<br />

Tabella 1 – Occorrenze delle parole<br />

nel <strong>gruppo</strong> delle Partorienti .<br />

Tabella 2 – Occorrenze<br />

delle parole nel <strong>gruppo</strong><br />

delle IVG.<br />

PARTO IVG<br />

Bambino 54 Parto 11 Persona 13<br />

Gravidanza 27 Primo 10 Pensare 12<br />

Mese 24 Vita 10 Parlare 12<br />

Marito 21 Felice 10 Donna 11<br />

Figli 18 Normale 9 Scelta 10<br />

Vedere 16 Famiglia 8 Bambino 10<br />

Bello 15 Casa 8 Esperienza 10<br />

Senti re 14 Partorire 8 Rimanere 10<br />

Pensare 13 Tempo 8 Senti re 10<br />

Tranquillo 13 Dire 8 Prendere 9<br />

Problemi 12 Capitare 8<br />

Figlio 12 Decisione 8<br />

parlare e con<strong>di</strong>videre le proprie esperienze.<br />

<strong>La</strong> terza considerazione si riferisce alla varietà<br />

delle parole che emerge dal confronto delle tabelle.<br />

Si può vedere come nella tabella delle gravidanze<br />

portate a termine siano presenti parole che evocano<br />

subito l’immagine della serenità familiare. Nella tabella<br />

delle interruzioni volontarie le parole maggiormente<br />

usate in<strong>di</strong>cano un’esperienza che è capitata<br />

e sulla quale è stata presa una decisione senza altri<br />

signifi cativi attorno. E’ degna <strong>di</strong> nota sia l’assenza<br />

delle parole “gravidanza”, “aborto”, “marito”, evidenza<br />

<strong>di</strong> un evento che non viene percepito né defi<br />

nito apertamente come tale, sia l’assenza <strong>di</strong> parole<br />

che descrivono sensazioni o stati d’animo, chiara<br />

testimonianza <strong>di</strong> un’esperienza descritta in modo<br />

esclusivamente razionale. Nel <strong>gruppo</strong>, invece, delle<br />

interruzioni terapeutiche sono numerose sia le parole<br />

che descrivono emozioni e stati d’animo sia le parole<br />

che connotano la presenza <strong>di</strong> una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong><br />

con<strong>di</strong>visione dell’evento, tra cui “chiedere”, “sostegno”,<br />

“nostro”. Importante è la presenza degli altri<br />

signifi cativi: “marito”, “suocero”, “madre”, “sorella”,<br />

“famiglia”. Le parole “aborto” e “feto”, mancanti<br />

nel <strong>gruppo</strong> precedente, qui vengono apertamente<br />

pronunciate, insieme a “pancia”, “parto”, “nascere”:<br />

l’interruzione avviene infatti al secondo trimestre<br />

101


<strong>di</strong> gravidanza, in cui la pancia è già pronunciata, e<br />

attraverso l’induzione al parto e alla “nascita” del fi -<br />

glio che non è ancora un bambino ma un feto.<br />

Tutto ciò partendo solo dall’assunto che le parole<br />

ripetute più spesso <strong>di</strong>ano buone in<strong>di</strong>cazioni sugli<br />

argomenti maggiormente sviluppati e importanti per<br />

il soggetto. Ciò sembra essere in genere abbastanza<br />

vero, tuttavia uno stesso termine, usato in contesti<br />

<strong>di</strong>versi, può avere signifi cati <strong>di</strong>fferenti, per cui può<br />

essere fuorviante considerare le parole prese singo-<br />

larmente.<br />

A partire da queste prime<br />

considerazioni mi è sembrato<br />

opportuno verifi care se, nelle<br />

interviste, insieme alla fl ui<strong>di</strong>tà<br />

dell’eloquio e alla ricchezza <strong>di</strong><br />

contenuto, ci fosse anche l’uso<br />

<strong>di</strong> meccanismi <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa più<br />

adattivi <strong>di</strong> altri in situazioni <strong>di</strong><br />

stress e traumi come l’aborto.<br />

Qui <strong>di</strong> seguito viene presentato<br />

l’elenco dei meccanismi <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>fesa organizzati nei sette livelli<br />

secondo la griglia <strong>di</strong> valutazione<br />

<strong>di</strong> Perry.<br />

102<br />

Tabella 3 – Occorrenze delle parole nel <strong>gruppo</strong> delle IG.<br />

Spunti da Tesi <strong>di</strong> <strong>La</strong>urea e/o Specializzazione<br />

IG<br />

Dire 66 Vivere 24 Figli 17 Nostro 13 Aborto 10 Rischio 8<br />

Marito 50 Prendere 24 Dott ore 17 Donna 13 Tranquillo 10 Tenere 8<br />

Bambino 49 Ripetere 22 Vita 17 Ospedale 12 Normale 10 Suocero 8<br />

Pensare 43 Famiglia 22 Setti mana 16 Succedere 12 Bisogno 10 Madre 8<br />

Vedere 40 Situazione 20 Riuscire 16 <strong>La</strong>sciare 11 Brutt o 10 Sorella 8<br />

Parlare 35 Capitare 19 Interruzione 16 Sperare 11 Decisione 9 Me<strong>di</strong>co 8<br />

Senti re 34 Problema 19 Chiedere 15 Pancia 11 Cambiare 9 Rispett o 8<br />

Gravidanza 31 Subìto 19 Sostegno 15 Piangere 11 Rabbia 9 Tenere 8<br />

Rimanere 31 Nascere 18 Rapporto 15 Portare 10 Arrivare 9 Morfologico 8<br />

Persona 27 Incinta 18 Preferire 14 Diffi cile 10 Soff rire 9 Feto 8<br />

Scelta 26 Figlio 18 Problemi 14 Preoccupare 10 Credo 9 Parto 8<br />

Mese 25 Capire 18 Prendere 14 Dolore 10 Spiegare 9<br />

7. DIFESE MATURE<br />

AFFILIAZIONE<br />

ALTRUISMO<br />

ANTICIPAZIONE<br />

UMORISMO<br />

AUTOAFFERMAZIONE<br />

AUTOOSSERVAZIONE<br />

SUBLIMAZIONE<br />

REPRESSIONE<br />

6. DIFESE OSSESSIVE<br />

ISOLAMENTO<br />

INTELLETTUALIZZAZIONE<br />

ANNULLAMENTO RETROATTIVO<br />

5. ALTRE DIFESE NEVROTICHE<br />

RIMOZIONE<br />

DISSOCIAZIONE<br />

FORMAZIONE REATTIVA<br />

SPOSTAMENTO<br />

E’ stata fatta dapprima una valutazione qualitativa<br />

delle <strong>di</strong>fese e poi del livello <strong>di</strong> maturità per ognuno<br />

dei tre gruppi delle donne intervistate.<br />

Dalla prima valutazione (numero <strong>di</strong> <strong>di</strong>fese usate<br />

da ciascuna donna) è emerso che le <strong>di</strong>fese maggiormente<br />

presenti nei tre gruppi sono l’Intellettualizzazione<br />

e l’Annullamento Retroattivo, in particolare<br />

la prima più nel <strong>gruppo</strong> delle IG e la seconda più<br />

nel <strong>gruppo</strong> delle IVG. In quest’ultimo <strong>gruppo</strong> sono<br />

fortemente presenti anche lo Spostamento, la Nega-<br />

4. DIFESE NARCISISTICHE<br />

ONNIPOTENZA<br />

IDEALIZZAZIONE<br />

SVALUTAZIONE<br />

3. DIFESE DI DINIEGO<br />

NEGAZIONE<br />

PROIEZIONE<br />

RAZIONALIZZAZIONE<br />

ALTRE:<br />

FANTASIA<br />

2. DIFESE BORDERLINE<br />

SCISSIONE (immagine dell’oggett o)<br />

SCISSIONE (imma<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> se)<br />

IDENTIFICAZIONE PROIETTIVA<br />

1. DIFESE DI ACTING<br />

ACTING OUT<br />

AGGRESSIONE PASSIVA<br />

IPOCONDRIASI


zione, la Razionalizzazione. Nei gruppi delle partorienti<br />

e delle IG compaiono esempi <strong>di</strong> Affi liazione<br />

e Altruismo, completamente assenti in quello delle<br />

IVG. Infi ne, nel <strong>gruppo</strong> delle IG, si trovano altre <strong>di</strong>fese<br />

appartenenti al settimo livello: Anticipazione,<br />

Autoosservazione e Repressione.<br />

Dalla seconda valutazione emergono le singole<br />

posizioni sulla scala gerarchica, cioè il punteggio<br />

globale <strong>di</strong> maturità delle <strong>di</strong>fese (1 = basso, 7 = alto),<br />

le cui me<strong>di</strong>e sono rappresentate nel Grafi co 1: 5,78<br />

nel <strong>gruppo</strong> delle partorienti, 3,75 in quello delle IVG<br />

e 6,3 in quello delle IG. Risulta subito evidente come<br />

la posizione più bassa è del <strong>gruppo</strong> delle IVG, cioè<br />

tra le <strong>di</strong>fese <strong>di</strong> <strong>di</strong>niego e quelle narcisistiche, mentre<br />

la posizione più alta è del <strong>gruppo</strong> <strong>di</strong> IG, tra le <strong>di</strong>fese<br />

ossessive e le <strong>di</strong>fese mature.<br />

Livelli <strong>di</strong> <strong>di</strong>fese<br />

7<br />

6<br />

5<br />

4<br />

3<br />

2<br />

1<br />

0<br />

Grafi co 1<br />

Discussione<br />

L’interruzione <strong>di</strong> gravidanza è un evento che riguarda<br />

un alto numero <strong>di</strong> donne e che per molte <strong>di</strong><br />

loro si rivela doloroso e <strong>di</strong>ffi cile da superare. Poiché<br />

non è stato utilizzato un campione molto ampio <strong>di</strong><br />

donne che fosse rappresentativo della popolazione<br />

<strong>di</strong> chi ha abortito, i dati raccolti non hanno pretesa<br />

<strong>di</strong> generalizzabilità dei risultati ottenuti con le interviste<br />

in profon<strong>di</strong>tà, tuttavia permettono, riferiti<br />

esclusivamente ai pochi casi esaminati, <strong>di</strong> sintetizzare<br />

in modo approssimativo i contenuti delle risposte<br />

in merito alle aree tematiche indagate e a suggerire<br />

spunti <strong>di</strong> rifl essione e <strong>di</strong> ricerca per ulteriori e future<br />

Spunti da Tesi <strong>di</strong> <strong>La</strong>urea e/o Specializzazione<br />

MEDIE DEI LIVELLI DI MATURITA'GLOBALE<br />

PARTO IVG<br />

Gruppi <strong>di</strong> donne<br />

IG<br />

ricerche da realizzare su larga scala per ottenere risultati<br />

più signifi cativi.<br />

Dai risultati ottenuti con la DMRS, il <strong>gruppo</strong> <strong>di</strong><br />

donne incorse nelle IG usava <strong>di</strong>fese più adattive rispetto<br />

agli altri due gruppi e le sue risposte erano<br />

veri e propri resoconti <strong>di</strong> tipo retrospettivo, nel senso<br />

che raccontavano l’evento e allo stesso tempo raccontavano<br />

anche la ricostruzione che esse stavano<br />

facendo dell’evento, cioè quale signifi cato gli attribuivano<br />

e quale impatto emotivo aveva avuto su <strong>di</strong><br />

loro. Al contrario, nel <strong>gruppo</strong> delle IVG, le <strong>di</strong>fese<br />

sono ad un livello globale <strong>di</strong> maturità piuttosto basso.<br />

Infatti, le risposte sono essenziali e sono prive <strong>di</strong><br />

elaborazioni sia cognitive sia emotive.<br />

Analizziamo le aree tematiche in cui si sud<strong>di</strong>videvano<br />

le domande. Sul signifi cato della gravidanza,<br />

sia nel <strong>gruppo</strong> delle<br />

partorienti sia delle<br />

IG essa era voluta in<br />

3 casi su 5, ma ben<br />

accetta in tutte le<br />

situazioni con reazioni<br />

<strong>di</strong> felicità. Nel<br />

<strong>gruppo</strong> delle IVG<br />

essa era accidentale<br />

in tutti e tre i casi<br />

con reazioni <strong>di</strong> sorpresa<br />

e tentativi <strong>di</strong><br />

giustifi cazione della<br />

casualità della gravidanza:<br />

- “Non me l’aspettavo<br />

assolutamente<br />

perché comunque<br />

sono stata molto attenta”<br />

- “Uno shock, […] È successo durante una festa,<br />

non eravamo neanche luci<strong>di</strong>”<br />

Circa il supporto sociale sia le donne partorienti<br />

sia quelle del <strong>gruppo</strong> delle IG hanno usufruito <strong>di</strong><br />

una vasta rete <strong>di</strong> sostegno e con<strong>di</strong>visione dei vissuti<br />

connessi all’evento, soprattutto tra i familiari. Invece<br />

delle donne incorse nell’IVG, solo quella sposata ha<br />

parlato della situazione con il marito ed i familiari,<br />

mentre le due donne nubili l’hanno con<strong>di</strong>visa solo<br />

con una persona fi data tenendola nascosta a tutti gli<br />

altri.<br />

Tra le motivazioni addotte sulla scelta <strong>di</strong> abortire,<br />

nel <strong>gruppo</strong> delle IVG prevalgono la relazione accidentale<br />

con il padre e l’assenza <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zioni socioeconomiche<br />

favorevoli alla crescita <strong>di</strong> un bambino,<br />

mentre nel <strong>gruppo</strong> delle IG: in 2 casi l’impossibilità<br />

103


<strong>di</strong> sopravvivenza del bambino, in 3 (i casi <strong>di</strong> Sindrome<br />

<strong>di</strong> Down) il non voler far crescere un bambino<br />

con scarsa autonomia in una società come la nostra<br />

e il non voler lasciare poi il peso della sua assistenza<br />

agli altri fi gli.<br />

Per quanto riguarda la presenza <strong>di</strong> cambiamenti<br />

nelle relazioni affettive delle donne intervistate,<br />

quelle che hanno partorito riportano solo un iniziale<br />

periodo <strong>di</strong> trascuratezza del marito per de<strong>di</strong>carsi alla<br />

cura dei neonati ed un ritorno alla normalità dopo<br />

i primi due mesi circa, mentre tra quelle incorse<br />

nell’IG solo 2 riportano <strong>di</strong> aver avuto un temporaneo<br />

allontanamento emotivo dal marito.<br />

In merito alle reazioni post-abortive, nel <strong>gruppo</strong><br />

delle IVG le donne hanno dato risposte molto brevi<br />

e generiche, senza approfon<strong>di</strong>re l’impatto emotivo<br />

dell’evento o negandolo del tutto. Nel <strong>gruppo</strong> delle<br />

IG le reazioni sono state così descritte:<br />

- “Evitavo i contatti con tutti”<br />

- “Non volevo più uscire <strong>di</strong> casa, infatti, uscita<br />

dall’ospedale per un mese son rimasta a casa, non<br />

uscivo più, non sono andata al lavoro per un mese,<br />

comunque non volevo vedere bambini, non volevo<br />

vedere donne incinte, ma non perché avevo qualcosa<br />

contro <strong>di</strong> loro perché comunque loro avevano quello<br />

che avevo io che comunque non era più in me quin<strong>di</strong><br />

tanta amarezza, e tanta rabbia […] I primi giorni<br />

quando mi facevo la doccia comunque mi guardavo<br />

allo specchio, non vedevo più la pancia, ed era<br />

brutto, era molto brutto, anche il seno, il fatto <strong>di</strong> vederlo<br />

comunque crescere perché il mio corpo stava<br />

cambiando e per me è stato tragico perché è stato<br />

bruttissimo quello che ho passato”<br />

- “<strong>La</strong> prima notte non riuscivo a dormire, non lo so,<br />

non mi è mai successo, vedevo i mostri davanti a<br />

me”<br />

- “Cercavo il silenzio cioè non volevo parlare […]<br />

I primi 2-3 giorni era come se non fosse successo<br />

niente […] Avevo la mente vuota, <strong>di</strong> ritorno a casa,<br />

sono passata nella fase depressiva dove spesso piangevo”<br />

Nell’area <strong>di</strong> chiusura dell’intervista, alla domanda<br />

sulla scelta fatta, sia le donne incorse nell’IVG<br />

che nell’IG rifarebbero la stessa cosa convinte sia<br />

stata una decisione giusta tranne una <strong>di</strong> questo ultimo<br />

<strong>gruppo</strong> che, tornando in<strong>di</strong>etro, terrebbe il bambino<br />

“così com’è”.<br />

Possibile spunto <strong>di</strong> rifl essione riguarda il ruolo<br />

svolto dalla con<strong>di</strong>visione sociale dell’evento sull’elaborazione<br />

<strong>dello</strong> stesso, cioè se sia il parlarne ad altri<br />

a favorire l’azione del pensare e la ricostruzione<br />

dell’esperienza oppure se quest’ultima sia dovuta<br />

104<br />

Spunti da Tesi <strong>di</strong> <strong>La</strong>urea e/o Specializzazione<br />

a caratteristiche <strong>di</strong> personalità, in<strong>di</strong>pendentemente<br />

dalla presenza fi sica <strong>di</strong> altri con cui confrontarsi. Sarebbe<br />

interessante anche indagare le reazioni postabortive<br />

sulla base delle <strong>di</strong>verse <strong>di</strong>agnosi prenatali,<br />

cioè quanto incide la certezza della non sopravvivenza<br />

del bambino rispetto ad altre anomalie meno<br />

gravi, come la Sindrome <strong>di</strong> Down, sul superamento<br />

della situazione oppure sul senso <strong>di</strong> colpa. Inoltre,<br />

aspetto molto importante da indagare nei suoi effetti<br />

a breve e a lungo termine è il tipo <strong>di</strong> intervento<br />

cui si sottopongono le donne per interrompere la<br />

gravidanza. Se nel primo trimestre, cioè nelle IVG,<br />

esso avviene con anestesia totale e raschiamento<br />

del contenuto uterino, nel secondo trimestre, ossia<br />

nelle IG, avviene con induzione al parto. L’impatto<br />

emotivo è stato confermato nelle interviste, facendo<br />

emergere un aspetto assente in letteratura e fondamentale<br />

invece nel presente lavoro: proprio il momento<br />

dell’espulsione del feto, cioè il parto, aspetto<br />

comparso costante in ogni intervista:<br />

- “Si muoveva quin<strong>di</strong> è quello che quando ci penso<br />

cioè non penso tanto all’altra gravidanza ma a questa<br />

si e non c’è giorno che io non ci pensi […] Cioè<br />

l’ho visto il bambino poi […] È un vero e proprio<br />

parto, io poi non avevo provato la cosa del parto<br />

quin<strong>di</strong> è stato in quel contesto brutto, questo è qualcosa<br />

che ti rimane”<br />

- “Mi son sentita molto male insomma, ecco male,<br />

un parto avuto però … non hai … hai subito una<br />

cosa che però non t’ha portato a niente”<br />

- “ Tu fai un parto vero e proprio poi alla fi ne non ti<br />

rimane niente, tu esci dalla sala parto una <strong>di</strong>sperata,<br />

una pazza e se non trovi veramente la forza <strong>di</strong> reagire<br />

tu <strong>di</strong>venti pazza da un momento all’altro”<br />

- “ Ho impresso nella mente e fi sicamente proprio le<br />

sensazioni sulla pelle, il caldo <strong>di</strong> quel momento, il<br />

freddo dopo, proprio addosso, non saprei come spiegarle<br />

però io lo sento”<br />

Dalle trascrizioni sopra riportate emerge un<br />

contrasto psicologicamente e simbolicamente molto<br />

forte tra la vita e la morte, ossia un decidere <strong>di</strong><br />

“far nascere” per “far morire”. Ulteriore fattore <strong>di</strong><br />

stress è l’attesa, a volte anche lunga <strong>di</strong> giorni, che le<br />

stimolazioni abbiano effetto e provochino il parto:<br />

“Purtroppo questa espulsione non è avvenuta velocemente,<br />

quin<strong>di</strong> io sono stata comunque 9 giorni<br />

qui in ospedale […] Non vedevo l’ora che fi nisse<br />

e questo non succedeva, la cosa più brutta, questo<br />

prolungarsi”<br />

L’esperienza appare, anche se con<strong>di</strong>visa con gli<br />

altri signifi cativi, riguardare intimamente solo la<br />

donna: “Non è successo niente che ha cambiato l’or-


<strong>di</strong>ne che c’era prima, è rimasta dentro <strong>di</strong> me questa<br />

cosa, si ne abbiamo parlato all’inizio che è stata più<br />

brutta, e poi non ne parli più, però poi sta là, sempre<br />

là, quin<strong>di</strong> rimane solo dentro <strong>di</strong> te”<br />

Inoltre, la modalità con cui avviene l’interruzione<br />

spesso non viene preventivamente spiegata:<br />

“Spiegare prima le cose non dopo, una volta che<br />

sono successe […] Io pensavo che dovessi andare là,<br />

che dovessi fare come il raschiamento, io pensavo<br />

una cosa del genere insomma mi addormentano, io<br />

non vedo niente, poi come sono andata in ospedale<br />

mi hanno spiegato, io sono <strong>di</strong>ventata una pazza, volevo<br />

scappare […] Il sostegno ci vuole prima, cioè<br />

spiegare prima cosa si va incontro, a me non mi era<br />

stato detto tutto questo, infatti poi quando entrai in<br />

ospedale avevo detto <strong>di</strong> farmi il taglio cesareo”.<br />

Rispetto alla letteratura c’è ancora un altro fattore<br />

che si <strong>di</strong>stingue perché, mentre nelle precedenti<br />

ricerche è emerso un sentimento <strong>di</strong> vergogna dei genitori<br />

per essere portatori del <strong>di</strong>fetto genetico, nelle<br />

interviste da me condotte c’è un atteggiamento <strong>di</strong><br />

accettazione serena della <strong>di</strong>sgrazia, ossia una concezione<br />

fatalistica della realtà che assolve i genitori da<br />

ogni senso <strong>di</strong> responsabilità e vergogna. Commento<br />

comune è stato: “Doveva andare così … E’ andata<br />

come è andata … Forse stava tutto segnato”.<br />

Si evince dunque la necessità <strong>di</strong> informazioni<br />

chiare prima e <strong>di</strong> supporto psicologico dopo, affi nché<br />

si possano in<strong>di</strong>viduare le donne maggiormente a<br />

rischio in base ai <strong>di</strong>versi fattori contestuali e <strong>di</strong> personalità<br />

che hanno inciso sulla decisione e soprattutto<br />

affi nché l’interruzione <strong>di</strong> gravidanza non resti<br />

solo un intervento me<strong>di</strong>co ma venga visto insieme<br />

a tutte le sfaccettature psicologiche e implicazioni<br />

emotive a breve e/o a lungo termine, le quali spesso<br />

cominciano a manifestarsi proprio dopo le <strong>di</strong>missioni<br />

dall’ospedale, tra le mura domestiche, laddove la<br />

donna ha bisogno <strong>di</strong> ascolto e sostegno attivi, per<br />

elaborare e superare un evento così incisivo come la<br />

per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> un bambino.<br />

CONCLUSIONI: NECESSITÀ DI ASCOLTO<br />

Il <strong>di</strong>battito sull’IVG, sia in Italia che nel mondo,<br />

ha sempre riguardato gli aspetti <strong>di</strong> tipo motivazionale,<br />

cioè le con<strong>di</strong>zioni che potessero giustifi care l’effettuazione<br />

della stessa. Ma agli psicoterapeuti non<br />

poteva sfuggire la presenza dell’IVG nelle storie cliniche<br />

<strong>di</strong> alcune pazienti e la somiglianza dei quadri<br />

sintomatologici. Quin<strong>di</strong>, almeno per la realtà statunitense,<br />

si è iniziato a impostare lavori <strong>di</strong> ricerca che<br />

indagassero il dopo-aborto, giungendo dal 1985 ad<br />

oggi a produrre più <strong>di</strong> quattrocento lavori scientifi -<br />

Spunti da Tesi <strong>di</strong> <strong>La</strong>urea e/o Specializzazione<br />

ci. Pur con i limiti dell’iniziale approssimazione si è<br />

giunti ad una prima co<strong>di</strong>fi cazione sintomatologia nel<br />

1989/90, ed è da tale data che anche in Italia si è iniziato<br />

ad affrontare la problematica del dopo-aborto<br />

per un approfon<strong>di</strong>mento della casistica. Mancano<br />

tuttavia stu<strong>di</strong> epidemiologici su vasta scala, a livello<br />

nazionale, sugli effetti psicologici dell’aborto. Ci si<br />

chiede allora se in realtà sia possibile che tale tipo <strong>di</strong><br />

sofferenza emerga e sia ascoltata.<br />

Esistono <strong>di</strong>versi fattori che possono sostenere<br />

incongruamente la <strong>di</strong>ffusa impressione che l’aborto,<br />

per la grande maggioranza delle donne, sia senza<br />

conseguenze psichiche:<br />

- la concezione che l’aborto non è una per<strong>di</strong>ta,<br />

quin<strong>di</strong> abortire non è perdere qualcosa, ma è<br />

guadagnare, è limitare certi problemi, ecc.<br />

- la considerazione della scelta abortiva come<br />

espressione <strong>di</strong> autodeterminazione e dunque<br />

catalogata fra i gesti positivi della autonomia<br />

della persona.<br />

- la complessità dei <strong>di</strong>namismi intrapsichici attivati<br />

dalle confl ittualità profonde che generano<br />

ansia e sofferenza nel vissuto post-abortivo e<br />

che non escludono la rimozione o ad<strong>di</strong>rittura<br />

il <strong>di</strong>niego, per cui può non essere imme<strong>di</strong>ato il<br />

collegamento tra l’aborto e il malessere emotivo.<br />

Per poter iniziare a programmare una lenta <strong>di</strong>minuzione<br />

del ricorso all’aborto occorre agire ad<br />

almeno tre livelli:<br />

- ricerca <strong>di</strong> base, per in<strong>di</strong>viduare sia i fattori<br />

che incidono sulla decisione <strong>di</strong> abortire e su<br />

cui bisogna intervenire effi cacemente sia le<br />

donne che abbisognano <strong>di</strong> assistenza psicosociale<br />

prima e dopo l’evento.<br />

- formazione degli operatori socio-sanitari 3 .<br />

3 L’Unità Europea <strong>di</strong> Pianifi cazione Familiare<br />

dell’OMS ha in preparazione apposito materiale fi nalizzato<br />

all’ampliamento e verifi ca delle conoscenze degli<br />

operatori socio-sanitari nei seguenti ambiti:<br />

a) conoscenza dei bisogni della popolazione<br />

b) conoscenza degli atteggiamenti e credenze della<br />

popolazione verso la procreazione e la limitazione<br />

delle nascite<br />

c) accettabilità sociale e personale della contraccezione<br />

e resistenze ad essa<br />

d) conoscenza dei <strong>di</strong>versi meto<strong>di</strong> contraccettivi sotto<br />

il profi lo psicologico e culturale oltrechè sanitario<br />

e) consapevolezza negli operatori dei propri atteggiamenti<br />

verso la pianifi cazione familiare, la maternità<br />

e il sesso<br />

105


- programmi d’intervento fi nalizzati.<br />

Negli anni Settanta la <strong>di</strong>ffusione della pillola anticoncezionale<br />

ha separato l’esercizio della sessualità<br />

da quello della procreazione. Quest’ultima è stata<br />

relegata, nel giro <strong>di</strong> una generazione, nella sfera del<br />

privato e nell’ambito del personale. Ma qui non ha<br />

trovato nessun’altra gestione. Ogni donna è sola con<br />

il suo desiderio <strong>di</strong> maternità, con le paure, le speranze,<br />

i fantasmi positivi e negativi che una eventualità<br />

così grande non può non suscitare. Spesso il desiderio<br />

<strong>di</strong> maternità rimane in gran parte inconscio ed è<br />

da questa recon<strong>di</strong>ta regione della mente che comunque<br />

cerca, sfuggendo al controllo della censura, <strong>di</strong><br />

realizzare i suoi fi ni. Quando accade che si verifi chi<br />

una gravidanza inaspettata è facile che l’angoscia,<br />

altrettanto inelaborata, venga evacuata nell’agire,<br />

piuttosto che far posto ai pensieri e accettare il dolore<br />

mentale che essi possono indurre. In tal senso la<br />

richiesta <strong>di</strong> interruzione può svolgere una funzione<br />

opposta al pensare, può costituire il tentativo onnipotente<br />

<strong>di</strong> rendere tutto, il più presto possibile, come<br />

“non avvenuto”.<br />

<strong>La</strong> maternità comporta, oltre alla preparazione<br />

<strong>di</strong> un utero accogliente, anche l’elaborazione <strong>di</strong> un<br />

grembo psichico dove il bambino che nascerà possa<br />

essere atteso, pensato e amato ancor prima <strong>di</strong> venire<br />

alla luce. Ove questo non accada, <strong>di</strong>ventano operanti<br />

le stesse con<strong>di</strong>zioni che rendono talora impossibile<br />

proseguire fi siologicamente la gravidanza. Non è in<br />

gioco una vita ma qualche cosa <strong>di</strong> molto più complesso:<br />

il rapporto tra due persone.<br />

Si è <strong>di</strong> fronte ad un vissuto straor<strong>di</strong>nariamente<br />

complesso che non assomiglia a nessun altro perché<br />

riguarda il corpo e la mente, l’in<strong>di</strong>viduo e le sue relazioni,<br />

il conscio e l’inconscio, l’ambiente storico<br />

e l’anonima continuità della specie. <strong>La</strong> maternità<br />

comporta quin<strong>di</strong> problemi in<strong>di</strong>viduali e sociali pienamente<br />

coscienti, formulabili in termini <strong>di</strong> bisogni.<br />

Bisogno <strong>di</strong> informazione, <strong>di</strong> assistenza me<strong>di</strong>ca, economica,<br />

legale, organizzativa, bisogno <strong>di</strong> formazione,<br />

<strong>di</strong> accoglienza, <strong>di</strong> supporto materiale e morale e<br />

altri ancora, che possono essere gestiti in strutture<br />

pubbliche, da operatori preparati in questo campo,<br />

sensibilizzati al rapporto umano e al rispetto dell’altro<br />

che ogni atto comunicativo richiede.<br />

Questa comprensione piena non è facile, richiede<br />

non solo formazione ma deve anche essere<br />

riconosciuta come un <strong>di</strong>ritto della donna, un <strong>di</strong>ritto<br />

autentico, per potersi proiettare nuovamente verso il<br />

f) in<strong>di</strong>viduazione, trattamento e prevenzione delle<br />

resistenze alla pianifi cazione familiare.<br />

106<br />

Spunti da Tesi <strong>di</strong> <strong>La</strong>urea e/o Specializzazione<br />

futuro che è novità <strong>di</strong> vita, creatività e maturazione<br />

personale.<br />

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107


INTRODUZIONE<br />

In ambito giu<strong>di</strong>ziario, all’interno del complesso<br />

mondo della tutela minorile, e, in particolare, nei casi<br />

sempre più <strong>di</strong>ffusi <strong>di</strong> abuso e maltrattamento all’infanzia,<br />

accade frequentemente che le <strong>di</strong>chiarazioni<br />

del minore, vittima presunta <strong>di</strong> abuso sessuale, costituisca<br />

l’elemento più signifi cativo e probante nella<br />

procedura giu<strong>di</strong>ziaria contro l’abusante. Ecco perché<br />

gli operatori che lavorano in questo campo sono molto<br />

attenti a non essere suggestivi nel loro modo <strong>di</strong> intervistare<br />

il minore e un’analisi del contenuto della<br />

testimonianza resa dal bambino <strong>di</strong>venta la base per<br />

valutarne la cre<strong>di</strong>bilità.<br />

Un testimone è considerato atten<strong>di</strong>bile e la sua<br />

testimonianza valida se è in grado <strong>di</strong> rievocare esperienze<br />

<strong>di</strong>stinte in ricor<strong>di</strong> espliciti, attraverso una descrizione<br />

narrativa dei fatti coerentemente ancorata<br />

alla <strong>di</strong>mensione spazio-temporale, ed arricchita da<br />

elementi e dettagli <strong>di</strong> contesto utili all’attribuzione<br />

e alla defi nizione <strong>di</strong> un signifi cato (Spencer & Flin,<br />

1993; Withcomb, Shapiro, & Stellwagen, 1985). Ma<br />

spesso si osserva come per alcuni bambini possa essere<br />

molto <strong>di</strong>ffi cile rievocare gli abusi subiti in modo<br />

puntuale e preciso, così che la loro testimonianza rischia<br />

<strong>di</strong> non essere considerata valida, con le conseguenze<br />

giuri<strong>di</strong>che che questo comporta.<br />

<strong>La</strong> <strong>di</strong>ffi coltà del bambino a produrre una testimonianza<br />

valida può derivare da <strong>di</strong>versi fattori. Nel<br />

mio lavoro <strong>di</strong> tesi ho indagato due fattori che possono<br />

infl uenzare il racconto dell’esperienza traumatica<br />

da parte del bambino: l’età e la presenza/assenza del<br />

Post-Traumatic Stress Disorder (PTSD). Ho preso<br />

in esame il complesso rapporto tra esperienze traumatiche<br />

nell’infanzia e qualità e caratteristiche delle<br />

narrazioni autobiografi che dei bambini in età sia prescolare<br />

che scolare.<br />

Il contenuto delle deposizioni è stato analizzato<br />

attraverso il software statistico LIWC 2007 (Linguistic<br />

Inquiry and Word Count), un programma <strong>di</strong> analisi<br />

testuale idea to da Pennebaker (2007), che fornisce<br />

un metodo effi cace per valutare e quantifi care le<br />

componenti emotive, cognitive e strutturali presenti<br />

in fi le <strong>di</strong> testo.<br />

108<br />

Spunti da Tesi <strong>di</strong> <strong>La</strong>urea e/o Specializzazione<br />

Caratt eristiche delle deposizioni testimoniali<br />

<strong>di</strong> bambini vitt ime <strong>di</strong> abuso sessuale<br />

Dott.ssa Cristina <strong>La</strong> Stella<br />

<strong>La</strong>urea Specialistica in Psicologia <strong>dello</strong> Sviluppo e della Comunicazione<br />

Università Cattolica del Sacro Cuore Milano<br />

Specializzanda in Psicoterapia sistemico-familiare<br />

LA RICERCA<br />

Ipotesi<br />

<strong>La</strong> ricerca, ponendosi in continuità con gli stu<strong>di</strong><br />

realizzati dal <strong>gruppo</strong> <strong>di</strong> ricerca del Centro <strong>di</strong> Ricerca<br />

sulle Dinamiche Evolutive ed Educative dell’Università<br />

Cattolica, <strong>di</strong>retto da Paola Di Blasio (CRIdee),<br />

che nel corso degli anni ha indagato la qualità e le<br />

caratteristiche delle narrazioni traumatiche nell’infanzia<br />

(Di Blasio, 2001; Di Blasio et al., 2005, 2010),<br />

ha inteso indagare in che modo i bambini <strong>di</strong> età prescolare/scolare<br />

e adolescenziale narrano le esperienze<br />

<strong>di</strong> abuso sessuale attraverso un’analisi testuale del<br />

contenuto <strong>di</strong> 30 deposizioni rese in Tribunale dalle<br />

giovani vittime nel corso <strong>di</strong> au<strong>di</strong>zioni protette in sede<br />

<strong>di</strong> incidente probatorio o <strong>di</strong> u<strong>di</strong>enza <strong>di</strong>battimentale.<br />

Sulla base della letteratura precedentemente analizzata,<br />

si è ipotizzato che sia l’età sia la presenza <strong>di</strong> sintomi<br />

attivi <strong>di</strong> Post-Traumatic Stress Disorder (PTSD)<br />

possano incidere in modo signifi cativo sul modo in<br />

cui i bambini narrano le esperienze traumatiche <strong>di</strong><br />

vio lenza sessuale, sull’organizzazione e sul contenuto<br />

dei loro racconti. Per quanto concerne la variabile<br />

età, si è ipotizzato che i bambini più gran<strong>di</strong> producano<br />

resoconti signifi cativamente più lunghi, ricchi<br />

<strong>di</strong> dettagli, ben organizzati da un punto <strong>di</strong> vista spazio-temporale<br />

e causale, con elementi <strong>di</strong> rifl essione<br />

metacognitiva e riferimenti a stati emotivi (Berliner,<br />

Hyman, Thomas, & Fitzgerald, 2003; Eisen, Qin, Goodman,<br />

& Davis, 2002; Poole & Lindsay, 2002; Quas<br />

& Schaaf, 2002).<br />

Per quanto concerne la variabile PTSD, si è ipotizzato<br />

che la presenza della sintomatologia posttraumatica,<br />

a causa della <strong>di</strong>ffi coltà nella regolazione<br />

affettiva che produce nell’in<strong>di</strong>viduo (Dunmore,<br />

Clark, & Ehlers, 1999; 2001), possa portare i bambini<br />

ad esprimere nelle narrazioni una maggiore quantità<br />

<strong>di</strong> contenuti emotivi negativi rispetto ai bambini in<br />

cui non si evidenzia la presenza <strong>di</strong> PTSD. Inoltre, a<br />

causa della natura traumatica dell’esperienza subita,<br />

ci si aspettava che i bambini con PTSD abbiano una<br />

maggiore <strong>di</strong>ffi coltà nell’elaborazione cognitiva e metacognitiva<br />

dell’evento, caratterizzata da in<strong>capacità</strong>


nell’esplicitare stati mentali propri e altrui (Di Blasio,<br />

2001; Di Blasio, Miragoli, & Procaccia, 2010) e soprattutto<br />

nel processamento cognitivo dei riferimenti<br />

al sé come soggetto agente della propria storia passata<br />

e della narrazione (Ehlers & Clark, 2000; Di Blasio,<br />

Miragoli, & Procaccia, 2010).<br />

Campione<br />

Il campione globale della ricerca realizzata<br />

dall’equipe del CRIdee è costituito da circa 100 deposizioni<br />

raccolte nell’arco <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi anni durante<br />

au<strong>di</strong>zioni protette, in sede <strong>di</strong> incidente probatorio o<br />

<strong>di</strong> u<strong>di</strong>enza <strong>di</strong>battimentale. Per l’elaborato <strong>di</strong> tesi ho<br />

utilizzato 30 deposizioni <strong>di</strong> bambini vittime <strong>di</strong> abuso<br />

sessuale, coinvolti in proce<strong>di</strong>menti penali che si sono<br />

conclusi con la condanna dell’imputato. All’interno<br />

del campione, le vittime <strong>di</strong> abuso sessuale sono nel<br />

50% (n = 15) <strong>di</strong> sesso femminile e nel 50% (n = 15)<br />

<strong>di</strong> sesso maschile. I bambini hanno un’età me<strong>di</strong>a al<br />

momento della deposizione <strong>di</strong> 10 anni (SD = 4 anni;<br />

range: 4-18 anni): nello specifi co, sono il 46,7% (n<br />

= 14) i bambini aventi un’età inferiore a 10 anni (età<br />

prescolare/scolare) e il 53,3% (n = 16) quelli aventi<br />

un’età superiore a 10 anni (età adolescenziale).<br />

Sul campione è stato effettuato un assessment<br />

clinico, secondo i criteri proposti dal DSM-IV-TR<br />

(2000), che ha evidenziato in 15 bambini (50%) sintomi<br />

attivi <strong>di</strong> PTSD e in 15 (50%) assenza <strong>di</strong> tale sintomatologia.<br />

Nei due gruppi (con e senza PTSD) non<br />

si rilevano <strong>di</strong>fferenze signifi cative rispetto all’età (t =<br />

1,28; gdl = 28; p = 0,21).<br />

Per quanto concerne le caratteristiche dell’esperienza<br />

traumatica, nel 30% (n = 9) l’abuso sessuale è<br />

<strong>di</strong> tipo intrafamiliare, nel 30% (n = 9) extrafamiliare e<br />

nel 40% (n = 12) le vittime hanno subito violenza sessuale<br />

sia da parte <strong>di</strong> membri familiari sia da persone<br />

esterne alla famiglia. Rispetto alla gravità delle azioni<br />

abusive, nella gran parte dei casi (63,3%, n = 19) il<br />

livello <strong>di</strong> invasività implica la penetrazione (genitale,<br />

anale e/o orale), mentre nel 36,7% (n = 11) molestie e<br />

atti <strong>di</strong> libi<strong>di</strong>ne (toccamenti, masturbazione, ecc.).<br />

Strumenti<br />

Il contenuto delle deposizioni è stato analizzato attraverso<br />

il software statistico LIWC 2007 (Linguistic<br />

Inquiry and Word Count), un programma <strong>di</strong> analisi<br />

testuale idea to da Pennebaker (2007), che fornisce un<br />

metodo effi cace per valutare e quantifi care le componenti<br />

emotive, cognitive e strutturali presenti in fi le <strong>di</strong><br />

testo. Nato nel 1983 come parte <strong>di</strong> uno stu<strong>di</strong>o esplorativo<br />

del linguaggio e del <strong>di</strong>scorso, questo software<br />

ha avuto una versione successiva nel 2001, realizzata<br />

da Pennebaker, Francis e Booth e caratterizzata da un<br />

<strong>di</strong>zionario più ampio e più moderno, fi no all’ultima<br />

Spunti da Tesi <strong>di</strong> <strong>La</strong>urea e/o Specializzazione<br />

versione del 2007, rivisitata da Pennebaker, Chung,<br />

Ireland, Gonzales e Booth, che presenta un <strong>di</strong>zionario<br />

signifi cativamente mo<strong>di</strong>fi cato e nuove opzioni.<br />

Nello specifi co, il programma permette <strong>di</strong> conteggiare,<br />

all’interno <strong>di</strong> fi le <strong>di</strong> testo singoli o multipli, il<br />

numero <strong>di</strong> parole appartenenti a ciascuna delle categorie<br />

narrative che esso prevede nella sua ultima versione.<br />

Ha un tempo <strong>di</strong> processamento <strong>di</strong> una frazione<br />

<strong>di</strong> secondo, caratterizzandosi, quin<strong>di</strong>, come un metodo<br />

veloce, effi cace e trasparente nel suo output fi nale.<br />

Il LIWC 2007 processa in modo sequenziale ogni singola<br />

parola presente nel fi le <strong>di</strong> testo; verifi ca la presenza<br />

della parola all’interno delle categorie e, se essa<br />

è presente, incrementa la categoria a cui quella parola<br />

appartiene. Le categorie originali presenti sono 80, <strong>di</strong><br />

cui la prima contiene il nome del fi le, le 4 successive<br />

sono categorie descrittive generali (conteggio totale<br />

delle parole, numero <strong>di</strong> parole per frase, percentuale<br />

<strong>di</strong> parole conteggiate dal <strong>di</strong>zionario e percentuale <strong>di</strong><br />

parole più lunghe <strong>di</strong> sei lettere); seguono 22 categorie<br />

linguistiche standard (per esempio, articoli, pronomi,<br />

verbi ausiliari, ecc.), 32 categorie riguardanti costrutti<br />

psicologici (per esempio, emozione, cognizione, processi<br />

biologici, ecc.), 7 categorie personali (per esempio,<br />

lavoro, casa, attività preferite, ecc.), 3 categorie<br />

paralinguistiche (per esempio, assensi, assenza <strong>di</strong> fl ui<strong>di</strong>tà,<br />

ecc.) e infi ne 12 categorie <strong>di</strong> punteggiatura.<br />

Procedura<br />

Le 30 deposizioni <strong>di</strong> abuso sessuale, che costituiscono<br />

il campione della ricerca, sono trascrizioni<br />

verbatim <strong>di</strong> au<strong>di</strong>o-registrazioni ottenute in sede <strong>di</strong> incidente<br />

probatorio o <strong>di</strong> u<strong>di</strong>enza <strong>di</strong>battimentale.<br />

Per l’analisi testuale sono state selezionate e prese<br />

in considerazione solo le parti delle deposizioni relative<br />

espressamente all’esperienza <strong>di</strong> vittimizzazione<br />

sessuale: sono state eliminate le domande, i commenti<br />

dell’intervistatore e la parte iniziale dell’intervista riguardante<br />

la fase <strong>di</strong> familiarizzazione con il testimone,<br />

ed è stata mantenuta, quin<strong>di</strong>, solo la parte <strong>di</strong> racconto<br />

del bambino relativa all’abuso subìto. Sono state effettuate<br />

poi delle specifi che mo<strong>di</strong>fi che sul testo, per<br />

poterlo pre<strong>di</strong>sporre all’inserimento delle parole nel<br />

<strong>di</strong>zionario e all’analisi testuale con LIWC 2007. Successivamente,<br />

è stato costruito un vocabolario specifi<br />

co per l’analisi. Per la realizzazione del vocabolario<br />

è stato necessario considerare ogni singola parola <strong>di</strong><br />

ciascuna deposizione, inserita in or<strong>di</strong>ne alfabetico.<br />

Sono state defi nite 33 categorie ad hoc, funzionali<br />

all’analisi testuale <strong>di</strong> narrazioni traumatiche, in linea<br />

con i risultati della letteratura su questa tematica: lunghezza<br />

totale della narrazione, articoli, preposizioni,<br />

verbi al tempo presente, verbi al tempo passato, verbi<br />

al tempo futuro, aggettivi qualifi cativi, numeri e ag-<br />

109


gettivi quantifi cativi, congiunzioni, locuzioni negative,<br />

avverbi, pronomi personali e relativi, emozioni<br />

negative, emozioni positive, ansia/paura, tristezza,<br />

rabbia, concetti astratti, lessico psicologico, verbi<br />

volitivi, memoria u<strong>di</strong>tiva, memoria tattile e gustativa,<br />

riferimenti temporali, memoria visiva, riferimenti<br />

spaziali, marcatori causali, nomi <strong>di</strong> famiglia, nomi <strong>di</strong><br />

altre persone, riferimenti al sé, riferimenti <strong>di</strong> morte/<br />

violenza, parti del corpo, riferimenti sessuali, abbigliamento.<br />

Ogni singola parola del vocabolario è stata attribuita<br />

ad una o più categorie, secondo il suo ruolo<br />

grammaticale e semantico all’interno della frase.<br />

Le deposizioni sono state poi analizzate: il software<br />

LIWC 2007, calcolando automaticamente il numero<br />

totale <strong>di</strong> parole <strong>di</strong> ciascuna deposizione, offre,<br />

per ogni categoria, una percentuale, data dal rapporto<br />

tra numero totale <strong>di</strong> parole <strong>di</strong> ciascuna categoria<br />

e numero totale <strong>di</strong> parole utilizzate dal soggetto per<br />

descrivere l’esperienza traumatica; in questo modo,<br />

i risultati ottenuti con LIWC rappresentano un parametro<br />

per valutare la frequenza con cui ciascuna categoria<br />

viene utilizzata all’interno della narrazione.<br />

Infi ne, i dati ottenuti, sono stati elaborati attraverso il<br />

software statistico SPSS 16.0.<br />

Risultati<br />

1) L’infl uenza dell’età sulla narrazione<br />

Per verifi care l’infl uenza dell’età sulla modalità<br />

narrativa sono state considerate eventuali <strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong><br />

età (età prescolare/scolare vs età adolescenziale) attraverso<br />

l’analisi del t-test per campioni in<strong>di</strong>pendenti. Si<br />

commentano soltanto i risultati signifi cativi.<br />

Per quanto riguarda i bambini più gran<strong>di</strong> (<strong>di</strong> età<br />

adolescenziale), coerentemente con la letteratura, si<br />

rileva un effetto signifi cativo rispetto alla lunghezza<br />

della narrazione (t = -2,26; gdl = 28; p < 0,04): infatti,<br />

sono i bambini più gran<strong>di</strong> a fornire resoconti più<br />

lunghi rispetto ai bambini più piccoli (M = 1.530 vs M<br />

= 805). Analogamente, per quanto riguarda poi l’utilizzo<br />

<strong>di</strong> concetti astratti, si rileva la stessa infl uenza<br />

signifi cativa dell’età (t = -2,77; gdl = 28; p < 0,01):<br />

sono, infatti, i bambini più gran<strong>di</strong> a meglio padroneggiare<br />

questa categoria linguistica e cognitiva rispetto<br />

ai bambini <strong>di</strong> età prescolare/scolare (M = 0,03 vs M =<br />

0,01). Inoltre, i più gran<strong>di</strong> (età adolescenziale) appaiono<br />

maggiormente capaci <strong>di</strong> fornire una defi nizione<br />

temporale dell’evento (t = -3,30; gdl = 28; p < 0,005)<br />

e dettagli relativi alla memoria u<strong>di</strong>tiva (t = -2,04; gdl<br />

= 28; p < 0,05) rispetto ai bambini più piccoli (rispettivamente<br />

M = 0,34 vs M = 0,23 e M = 0,05 vs M =<br />

0,03).<br />

Per quanto concerne invece i bambini più piccoli<br />

(età prescolare/scolare), si rileva come essi tendano<br />

110<br />

Spunti da Tesi <strong>di</strong> <strong>La</strong>urea e/o Specializzazione<br />

maggiormente ad arricchire il loro racconto <strong>di</strong> riferimenti<br />

emotivi <strong>di</strong> tristezza (t = 2,19; gdl = 28; p <<br />

0,05) rispetto ai più gran<strong>di</strong> (M = 0,07 vs M = 0,03).<br />

Inoltre, i bambini più piccoli si <strong>di</strong>mostrano più attenti<br />

nel ricordo <strong>di</strong> elementi propri della memoria visiva<br />

(t = 2,62; gdl = 28; p < 0,02; M = 0,42 vs M = 0,31),<br />

nella descrizione narrativa delle parti del corpo (t =<br />

4,17; gdl = 28; p < 0,001; M = 0,10 vs M = 0,05) e dei<br />

riferimenti espressamente a contenuto sessuale (t =<br />

2,786; gdl = 28; p < 0,02; M = 0,12 vs M = 0,06).<br />

2) L’infl uenza del PTSD sulla narrazione<br />

È interessante, a questo punto, verifi care se il racconto<br />

traumatico riguardante un’esperienza <strong>di</strong> abuso<br />

sessuale riportato dalle vittime subisca l’infl uenza della<br />

presenza <strong>di</strong> sintomatologia post-traumatica. Il campione<br />

è costituto da 15 bambini con sintomatologia<br />

attiva <strong>di</strong> PTSD e 15 bambini che non presentano tale<br />

sintomatologia. Per verifi care le <strong>di</strong>fferenze tra i due<br />

gruppi (bambini con PTSD vs bambini senza PTSD)<br />

è stato effettuato un confronto tra me<strong>di</strong>e, attraverso<br />

il t-Test per campioni in<strong>di</strong>pendenti. Si commentano<br />

soltanto i risultati signifi cativi.<br />

Da un punto <strong>di</strong> vista grammaticale, dai dati non<br />

emergono particolari <strong>di</strong>fferenze tra i due gruppi. In<br />

particolare, si rileva una tendenza alla signifi catività<br />

rispetto all’utilizzo degli aggettivi qualifi cativi: i bambini<br />

con PTSD forniscono nei loro racconti <strong>di</strong> abuso<br />

sessuale più aggettivi qualifi cativi (t = -1,90; gdl = 28;<br />

p = 0,06) rispetto ai bambini senza PTSD (M = 0,31<br />

vs M = 0,26). Inoltre, per quanto concerne le emozioni,<br />

i nostri dati mostrano come i bambini con PTSD<br />

utilizzino termini che esprimono emozioni negative in<br />

misura signifi cativamente maggiore (t = -2, 07; gdl =<br />

28; p < 0,05) rispetto a quelli senza PTSD (M = 0,08<br />

vs M = 0,20). In particolare, vengono maggiormente<br />

impiegati termini esprimenti ansia/paura (t = -2,35;<br />

gdl = 28; p < 0,03; M = 0,07 vs M = 0,03). Infi ne,<br />

le narrazioni prodotte dai bambini con sintomi attivi<br />

PTSD risultano signifi cativamente connotate da riferimenti<br />

alla morte e alla violenza (t = -2,24; gdl =<br />

28; p < 0,05) rispetto alle narrazioni <strong>di</strong> vittime senza<br />

PTSD (M = 0,05 vs M = 0,02).<br />

Per quanto riguarda invece i bambini che non presentano<br />

sintomatologia post-traumatica, da un punto<br />

<strong>di</strong> vista grammaticale emerge una <strong>di</strong>fferenza signifi cativa<br />

tra i due gruppi nell’impiego <strong>di</strong> locuzioni negative<br />

(“non”, “niente”, “nessuno”, ecc.): nello specifi co,<br />

i bambini senza PTSD (t = 2,12; gdl = 28; p < 0,04)<br />

si <strong>di</strong>mostrano maggiormente in grado <strong>di</strong> esprimersi<br />

attraverso un’organizzazione <strong>negativa</strong> della frase e/o<br />

dei complementi rispetto ai bambini affetti da PTSD<br />

(M = 0,26 vs M = 0,17). Un dato particolarmente interessante<br />

riguarda la <strong>capacità</strong> <strong>di</strong> elaborazione cogni-


tiva dell’evento traumatico e delle emozioni ad esso<br />

connesse. I nostri dati mostrano, infatti, come i bambini<br />

senza sintomatologia post-traumatica riescano ad<br />

utilizzare con maggiore frequenza e facilità termini<br />

riguardanti il lessico psicologico (t = 2,40; gdl = 28;<br />

p < 0,03) rispetto a quelli con sintomi attivi <strong>di</strong> PTSD<br />

(M = 0,19 vs M = 0,12). Questa <strong>di</strong>fferenza appare ancora<br />

più evidente se si considera la categoria narrativa<br />

del “totale cognizione”, comprendente i termini delle<br />

attività cognitive, l’utilizzo <strong>di</strong> verbi volitivi e <strong>di</strong> concetti<br />

astratti (t = 2,52; gdl = 28; p < 0,03; M = 0,26<br />

vs M = 0,18). Infi ne, in questi bambini si riscontra<br />

una tendenza alla signifi catività rispetto ai riferimenti<br />

al sé (t = 1,93; gdl = 28; p = 0,06): i bambini senza<br />

sintomi attivi <strong>di</strong> PTSD tendono maggiormente all’interno<br />

del racconto traumatico a parlare <strong>di</strong> sé in prima<br />

persona (M = 0,34 vs M = 0,27) rispetto ai bambini<br />

con PTSD.<br />

DISCUSSIONE DEI RISULTATI<br />

I dati della ricerca sul totale delle 30 deposizioni<br />

evidenziano come le due variabili considerate (l’età<br />

e la presenza <strong>di</strong> sintomatologia post-traumatica) infl<br />

uenzano in maniera <strong>di</strong>fferente alcune delle 33 categorie<br />

narrative prese in considerazione.<br />

Per quanto concerne l’età, in accordo con gli stu<strong>di</strong><br />

condotti sulla narrazione <strong>di</strong> esperienze <strong>di</strong> abuso sessuale<br />

(Di Blasio, 2001; Di Blasio, Miragoli, & Procaccia,<br />

2010; Eisen, Qin, Goodman, & Davis, 2002;<br />

<strong>La</strong>mb, Sternberg, & Esplin, 2000; <strong>La</strong>mb, Sternberg,<br />

Orbach, Esplin, Stewart, & Mitchell, 2003), i nostri<br />

dati hanno messo in evidenza come il racconto del<br />

bambino sia infl uenzato, per alcuni aspetti, dal livello<br />

<strong>di</strong> età e dallo sviluppo cognitivo e linguistico. In<br />

particolare, i bambini più gran<strong>di</strong>, <strong>di</strong> età adolescenziale,<br />

appaiono maggiormente competenti e in grado <strong>di</strong><br />

fornire resoconti più lunghi e articolati da un punto<br />

<strong>di</strong> vista temporale rispetto a quelli <strong>di</strong> età prescolare/<br />

scolare. Infatti, con il progressivo sviluppo linguistico<br />

e cognitivo i bambini arricchiscono le proprie narrazioni<br />

autobiografi che e traumatiche, <strong>di</strong>venendo sempre<br />

più capaci <strong>di</strong> organizzare mentalmente gli eventi<br />

da un punto <strong>di</strong> vista temporale e causale, e <strong>di</strong> narrare<br />

in modo coerente e completo, producendo complessivamente<br />

testimonianze più articolate, ricche <strong>di</strong> elementi<br />

descrittivi, rifl essivi e metacognitivi (Berliner,<br />

Hyman, Thomas & Fitzgerald, 2003; Di Blasio, 2001;<br />

Eisen, Qin, Goodman, & Davis, 2002; Ghetti, Goodman,<br />

Eisen, Qin, & Davis, 2002; Howe, Cicchetti,<br />

Toth, & Cerrito, 2004).<br />

Come suggerito dalla letteratura, il ricordo più<br />

povero dei bambini piccoli, rispetto a quello dei bambini<br />

più gran<strong>di</strong> e degli adulti, può <strong>di</strong>pendere da una<br />

molteplicità <strong>di</strong> fattori: defi cit metalinguistici, <strong>capacità</strong><br />

Spunti da Tesi <strong>di</strong> <strong>La</strong>urea e/o Specializzazione<br />

narrative ancora immature e, in parte, anche da limitate<br />

strategie metacognitive <strong>di</strong> recupero (Bruck, Ceci, &<br />

Hembrook, 2002; Gordon, Baker-Ward, & Ornstein,<br />

2001; Nelson & Fivush, 2004). Le stesse considerazioni<br />

valgono, oltre che per la lunghezza della narrazione,<br />

anche per l’uso <strong>di</strong> concetti astratti: i bambini<br />

più gran<strong>di</strong>, <strong>di</strong> età adolescenziale, fanno maggiore uso<br />

<strong>di</strong> concetti astratti rispetto ai bambini più piccoli: infatti,<br />

se all’inizio il bambino usa un’intelligenza puramente<br />

senso-motoria, è solo con l’aumentare dell’età<br />

che costruisce un’intelligenza <strong>di</strong> tipo rappresentativo<br />

ed impara a padroneggiare concetti astratti ed elementi<br />

<strong>di</strong> rifl essione metacognitiva (Piaget, 1923, 1945;<br />

Vygotskij, 1930-1931, 1934).<br />

Tuttavia non emergono <strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong> età rispetto<br />

alla quantità <strong>di</strong> termini in<strong>di</strong>canti attività cognitive e <strong>di</strong><br />

verbi volitivi usati dai bambini nelle loro narrazioni:<br />

anche i bambini piccoli, che abbiano già sviluppato<br />

un’adeguata teoria della mente, sono in grado, infatti,<br />

<strong>di</strong> comprendere e riferire stati mentali propri e altrui e<br />

<strong>di</strong> utilizzare verbi in<strong>di</strong>canti la possibilità o la volontà<br />

<strong>di</strong> fare qualcosa (Brown & Pipe, 2003; Fivush, 2001;<br />

Pipe, <strong>La</strong>mb, Orbach, & Esplin, 2004).<br />

Per quanto riguarda poi i <strong>di</strong>versi canali della memoria,<br />

da cui i bambini attingono informazioni importanti<br />

per la strutturazione dei loro ricor<strong>di</strong>, quelli<br />

più piccoli, <strong>di</strong> età prescolare e scolare sembrano utilizzare<br />

maggiormente dettagli relativi alla percezione<br />

visiva rispetto a quelli più gran<strong>di</strong>, <strong>di</strong> età adolescenziale,<br />

mentre si rileva una tendenza inversa per quanto riguarda<br />

il canale u<strong>di</strong>tivo. Questo dato potrebbe essere<br />

letto alla luce <strong>dello</strong> sviluppo cognitivo per sta<strong>di</strong> previsto<br />

da Piaget (1937): dal momento che il processo <strong>di</strong><br />

categorizzazione del bambino prevede che all’inizio<br />

gli schemi siano una modalità riassuntiva delle azioni<br />

senso-motorie, è più probabile che il bambino <strong>di</strong><br />

età prescolare/scolare descriva le azioni e racconti le<br />

proprie esperienze facendo riferimento a dati concreti,<br />

percepiti a livello sensoriale soprattutto attraverso<br />

il canale visivo, più <strong>di</strong> quanto faccia il bambino più<br />

grande, <strong>di</strong> età adolescenziale, che può attingere in<br />

maniera più complessa e articolata anche da altri canali<br />

percettivi. Probabilmente per lo stesso motivo, le<br />

narrazioni dei bambini più piccoli sono più ricche <strong>di</strong><br />

termini in<strong>di</strong>canti parti del corpo e riferimenti sessuali:<br />

questi dettagli permettono ai bambini più piccoli <strong>di</strong><br />

ancorare il racconto al dato <strong>di</strong> realtà e renderlo più<br />

concreto, e quin<strong>di</strong> maggiormente fruibile e più semplice<br />

da padroneggiare a livello cognitivo. <strong>La</strong> minore<br />

quantità <strong>di</strong> riferimenti sessuali nei racconti dei bambini<br />

più gran<strong>di</strong> potrebbe essere dovuta anche ad un senso<br />

<strong>di</strong> vergogna più spiccato che essi possono provare<br />

nel raccontare tali dettagli: proprio durante l’adolescenza,<br />

infatti, si acquisisce una maggiore consapevo-<br />

111


lezza delle proprie pulsioni sessuali e dell’identità <strong>di</strong><br />

genere (Cammarella, 2002; Egan & Perry, 2001).<br />

Da un punto <strong>di</strong> vista emotivo, i dati evidenziano<br />

come sia soprattutto l’espressione della tristezza ad<br />

essere infl uenzata dall’età: sono i bambini più piccoli<br />

ad usare nelle loro narrazioni più riferimenti a<br />

tale emozione <strong>negativa</strong>. Una possibile spiegazione<br />

potrebbe essere ricondotta al fatto che i bambini più<br />

gran<strong>di</strong> siano maggiormente in grado <strong>di</strong> utilizzare strategie<br />

<strong>di</strong>fensive <strong>di</strong> coping più complesse rispetto ai<br />

più piccoli. L’età, infatti, risulta essere un pre<strong>di</strong>ttore<br />

signifi cativo per l’espressione <strong>di</strong> emozioni negative<br />

oltre che per i riferimenti <strong>di</strong> morte/violenza.<br />

Infi ne, è interessante anche segnalare come non<br />

siano emerse <strong>di</strong>fferenze signifi cative per ciò che riguarda<br />

altre categorie narrative: tali risultati in<strong>di</strong>cano<br />

che, sebbene l’età infl uenzi la <strong>capacità</strong> del bambino <strong>di</strong><br />

fornire un resoconto narrativo completo e dettagliato,<br />

essa non infl uenza però l’abilità del minore <strong>di</strong> fornire<br />

un racconto atten<strong>di</strong>bile della propria esperienza traumatica.<br />

Infatti, la letteratura evidenzia come già a 4-5<br />

anni i bambini siano in grado <strong>di</strong> costruire racconti <strong>di</strong><br />

eventi personali conformi alla struttura narrativa culturalmente<br />

appropriata, organizzata intorno agli eventi<br />

salienti, inserita in un contesto, fornita <strong>di</strong> elementi<br />

valutativi che spiegano il signifi cato <strong>di</strong> ciò che si narra<br />

(Di Blasio, 2001).<br />

Per quanto concerne il PTSD, anch’esso infl uenza<br />

alcune categorie narrative nel racconto <strong>di</strong> abuso sessuale<br />

reso dai bambini. Innanzitutto le narrazioni dei<br />

bambini con sintomatologia post-traumatica presentano<br />

una quantità signifi cativamente minore <strong>di</strong> termini<br />

esprimenti attività cognitive. Questo interessante<br />

dato può essere letto alla luce delle conseguenze che<br />

il PTSD genera sulla <strong>capacità</strong> del bambino traumatizzato<br />

<strong>di</strong> elaborare gli eventi a livello cognitivo e<br />

conferma ulteriormente come il trauma, rappresentato<br />

dall’abuso sessuale subito, possa provocare nel<br />

bambino un rilevante malfunzionamento cognitivo<br />

(van der Kolk, 1996; van der Kolk & Fisler, 1995;<br />

van der Kolk, Van der Hart, & Marmar, 1996), che si<br />

rifl ette, all’interno della narrazione, in una <strong>di</strong>ffi coltà<br />

a mentalizzare e a dare un signifi cato agli eventi. Il<br />

PTSD risulta, infatti, pre<strong>di</strong>ttore signifi cativo per le<br />

categorie narrative relative alle attività cognitive. Il<br />

malfunzionamento a livello cognitivo si traduce anche<br />

in una <strong>di</strong>ffi coltà a riferirsi al sé come soggetto<br />

agente: i bambini con PTSD usano nelle loro narrazioni<br />

meno espressioni <strong>di</strong> autoriferimento rispetto ai<br />

bambini senza PTSD. <strong>La</strong> memoria del trauma, infatti,<br />

risulta compromessa proprio riguardo a se stessi (Di<br />

Blasio, 2001; Ehlers & Clark, 2000; Halligan, Michael,<br />

Clark, & Ehlers, 2003; Di Blasio, Miragoli, & Procaccia,<br />

2010); i bambini traumatizzati manifestano un<br />

112<br />

Spunti da Tesi <strong>di</strong> <strong>La</strong>urea e/o Specializzazione<br />

senso <strong>di</strong> <strong>di</strong>sorientamento, per cui i loro resoconti possono<br />

risultare meno ancorati al contesto attuale e al<br />

sé, rispetto a quelli prodotti da soggetti che, per quanto<br />

siano vittime <strong>di</strong> trauma, presentano un senso <strong>di</strong> sé<br />

maggiormente solido (Conway & Pleydell-Pearce,<br />

1997). Le maggiori <strong>di</strong>ffi coltà sia nell’espressione <strong>di</strong><br />

attività cognitive sia nel riferirsi al sé come soggetto<br />

agente possono, infatti, essere una conseguenza delle<br />

<strong>di</strong>ffi coltà <strong>di</strong> regolazione affettiva (Dunmore, Clark, &<br />

Ehlers, 2001) o dell’alternarsi dei sintomi <strong>di</strong> reviviscenza<br />

e <strong>di</strong> evitamento del trauma (Van der Kolk &<br />

Fiesler, 1995; Van der Kolk, 1996), che impe<strong>di</strong>scono<br />

un’elaborazione completa delle esperienze traumatiche.<br />

Emergono ulteriori <strong>di</strong>fferenze signifi cative tra i<br />

racconti dei bambini con e senza sintomatologia posttraumatica<br />

rispetto alle categorie narrative che concernono<br />

la tonalità emotiva del racconto: i nostri dati<br />

mostrano come i bambini con PTSD tendano ad utilizzare<br />

maggiormente termini che esprimono emozioni<br />

negative, soprattutto per quanto concerne l’espressione<br />

<strong>di</strong> ansia e <strong>di</strong> paura, e riferimenti <strong>di</strong> morte e <strong>di</strong><br />

violenza. Questo risultato può essere spiegato alla<br />

luce <strong>dello</strong> scompenso dell’equilibrio emotivo che il<br />

trauma può creare nelle vittime: l’impatto traumatico<br />

può essere talmente forte e pervasivo da determinare<br />

un’alterazione psicobiologica del sistema cerebrale<br />

e delle consuete modalità <strong>di</strong> percezione ed elaborazione<br />

cognitiva delle emozioni (Ford, 2005). Per cui<br />

frequentemente si assiste negli in<strong>di</strong>vidui traumatizzati<br />

ad un’alternanza dei sintomi <strong>di</strong> reviviscenza e <strong>di</strong> evitamento<br />

del trauma (Van der Kolk & Fiesler, 1995;<br />

Van der Kolk, 1996) e ad una generale <strong>di</strong>sregolazione<br />

affettiva.<br />

CONCLUSIONI<br />

In conclusione, la presente ricerca ha mostrato<br />

come sia l’età sia la presenza/assenza <strong>di</strong> PTSD siano<br />

due variabili cruciali <strong>di</strong> cui bisogna tener conto quando<br />

si valutano le narrazioni <strong>di</strong> abuso sessuale fornite<br />

dai bambini all’interno del contesto forense. Le narrazioni<br />

dei bambini più piccoli sembrano essere più<br />

brevi, più povere a livello cognitivo e più cariche <strong>di</strong><br />

elementi concreti tratti dal canale visivo; mentre la<br />

presenza del PTSD sembra incidere <strong>negativa</strong>mente<br />

sulla <strong>capacità</strong> del bambino <strong>di</strong> elaborare l’evento traumatico<br />

a livello cognitivo e porta la vittima ad esprimere<br />

maggiormente le emozioni negative, soprattutto<br />

<strong>di</strong> ansia/paura, connesse al trauma.<br />

Ecco perché i resoconti dei bambini più piccoli o<br />

gravemente traumatizzati possono essere considerati<br />

meno cre<strong>di</strong>bili, compromettendo l’atten<strong>di</strong>bilità del<br />

testimone; e in un contesto come quello giuri<strong>di</strong>co, in<br />

cui spesso la testimonianza del minore è l’unica pro-


va contro l’abusante, questo dato deve essere preso<br />

seriamente in considerazione dagli operatori che lavorano<br />

in questo campo.<br />

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113


RIASSUNTO<br />

Il presente articolo, tratto da un<br />

lavoro <strong>di</strong> tesi in Psicologia sociale<br />

<strong>di</strong> Comunità, si propone <strong>di</strong> descrivere<br />

teoricamente e <strong>di</strong> utilizzare<br />

sperimentalmente una metodologia<br />

<strong>di</strong> ricerca-azione partecipata,<br />

defi nita Photovoice (Wang, 1998),<br />

per promuovere lo sviluppo del<br />

Senso <strong>di</strong> Comunità (McMillan e<br />

Chavis, 1986) e del sentimento <strong>di</strong><br />

Empowerment (Rappaport, 1981;<br />

Levine e Perkins, 1987) in una<br />

piccola comunità <strong>di</strong> studenti universitari.<br />

INTRODUZIONE<br />

<strong>La</strong> tecnica Photovoice (Wang<br />

e Burris, 1994) è uno strumento<br />

<strong>di</strong> ricerca-azione partecipata,<br />

utilizzato per capire quali sono<br />

le caratteristiche che rendono un<br />

ambiente <strong>di</strong> vita adeguato al raggiungimento<br />

del benessere degli<br />

in<strong>di</strong>vidui e della comunità in cui<br />

essi vivono. Tale metodologia<br />

si rivolge <strong>di</strong>rettamente a coloro<br />

che fanno parte dei contesti sotto<br />

analisi, che quin<strong>di</strong> si presume ne<br />

siano i maggiori conoscitori, dando<br />

loro la possibilità <strong>di</strong> rifl ettere<br />

sulle risorse della comunità e sui<br />

mo<strong>di</strong> in cui queste possono essere<br />

usate per risolvere i problemi<br />

che la comunità stessa si trova ad<br />

affrontare. L’innovazione <strong>di</strong> questa<br />

tecnica sta nel fatto che essa<br />

propone la possibilità <strong>di</strong> generare<br />

idee e permette <strong>di</strong> esprimersi<br />

senza la necessità <strong>di</strong> saper padroneggiare<br />

specifi ci linguaggi e specifi<br />

che competenze linguistiche.<br />

Inoltre, Photovoice permette agli<br />

114<br />

Spunti da Tesi <strong>di</strong> <strong>La</strong>urea e/o Specializzazione<br />

<strong>La</strong> promozione del senso <strong>di</strong> comunità<br />

e dell’empowerment att raverso esperienze<br />

<strong>di</strong> ricerca-azione con la tecnica Photovoice<br />

in<strong>di</strong>vidui <strong>di</strong> acquisire o accrescere<br />

il livello <strong>di</strong> empowerment in<strong>di</strong>viduale<br />

e collettivo: questo metodo<br />

rappresenta un nuovo modo <strong>di</strong><br />

“dare voce” a coloro che spesso<br />

sono esclusi dai processi decisionali<br />

offrendo loro l’opportunità <strong>di</strong><br />

mostrare attraverso le immagini<br />

(spesso scattate da loro stessi), la<br />

loro visione della comunità, delle<br />

risorse in essa presenti, dei problemi<br />

maggiormente sentiti e delle<br />

modalità maggiormente effi caci<br />

per risolverli.<br />

Questa tecnica può avere un<br />

forte impatto a più livelli sui partecipanti,<br />

prima <strong>di</strong> tutto perché<br />

permette <strong>di</strong> conoscere una specifi<br />

ca realtà così come viene realmente<br />

vissuta dall’interno; inoltre<br />

è in grado <strong>di</strong> alimentare la consapevolezza<br />

<strong>di</strong> alcuni aspetti legati<br />

alla comunità <strong>di</strong> appartenenza,<br />

dei problemi principali sentiti dai<br />

suoi membri e delle risorse che è<br />

possibile attivare per risolverli.<br />

Questa consapevolezza dovrebbe<br />

portare i partecipanti a sperimentare<br />

un maggior senso <strong>di</strong> controllo<br />

sulle questioni che infl uenzano<br />

la propria vita e a sviluppare un<br />

maggior senso <strong>di</strong> responsabilità<br />

nei confronti dei problemi della<br />

comunità, delineati in modo con<strong>di</strong>viso<br />

dai membri della stessa e<br />

accompagnati da proposte <strong>di</strong> soluzione<br />

che poggiano sulle risorse<br />

presenti al suo interno.<br />

<strong>La</strong> chiave <strong>di</strong> lettura <strong>di</strong> tale<br />

strumento è racchiusa nel termine<br />

stesso, coniato da Caroline Wang,<br />

composto dalla parola Photo e<br />

dall’acronimo Voice: “Voicing our<br />

Dott.ssa Monica Mezzi<br />

In<strong>di</strong>vidual and Collective Experience”;<br />

come suggerisce il nome,<br />

Photovoice fornisce ai partecipanti<br />

l’opportunità <strong>di</strong> sentirsi presi in<br />

considerazione, <strong>di</strong> poter rappresentare<br />

e migliorare la propria comunità<br />

utilizzando il linguaggio<br />

delle immagini, <strong>di</strong> poter contare e<br />

<strong>di</strong> potersi esprimere.<br />

Affi dando la macchina fotografi<br />

ca, strumento principale <strong>di</strong><br />

tale metodologia, nelle mani dei<br />

membri della comunità le persone<br />

coinvolte in un progetto Photovoice<br />

sono messe nella con<strong>di</strong>zione<br />

<strong>di</strong> esprimere le proprie<br />

esperienze, costruire e confermare<br />

le loro <strong>capacità</strong>, commentare<br />

le loro esperienze e conoscenze,<br />

sviluppare competenze sociali ed<br />

una maggiore comprensione delle<br />

sfumature e della complessità della<br />

realtà sociale che li circonda,<br />

dei problemi istituzionali, della<br />

vita politica e così via (Scacciaferro,<br />

Goode & Frausto, 2009),<br />

tutto questo proprio attraverso<br />

l’impatto emotivo e concreto del<br />

linguaggio fotografi co, andando a<br />

ricoprire un ruolo importante durante<br />

l’intero processo <strong>di</strong> analisi e<br />

<strong>di</strong> ricerca fi no alla presentazione<br />

dei risultati e dell’attivazione del<br />

cambiamento sociale (Wilson,<br />

N., Dasho, S., Martin, A., et al.,<br />

2007).<br />

Le qualità <strong>di</strong> questa tecnica<br />

sono varie: il suo utilizzo si è mostrato<br />

particolarmente vantaggioso<br />

nel coinvolgere i giovani nella<br />

ricerca poiché si tratta <strong>di</strong> un metodo<br />

familiare e facile da padroneggiare,<br />

accattivante e centrato sul


partecipante; prevede la possibilità<br />

per i partecipanti <strong>di</strong> sentirsi apprezzati<br />

e presi sul serio, fornisce<br />

autonomia narrativa e produce un<br />

prodotto tangibile; si tratta <strong>di</strong> un<br />

utile supporto per aiutare i giovani<br />

ad approfon<strong>di</strong>re anche questioni<br />

astratte-simboliche (Dennis, Gaulocher,<br />

Carpiano & Brown, 2008;<br />

Santinello, Facci, Lenzi, Aleotti<br />

& Cristini,2008; Green & Kloos,<br />

2009).<br />

Caroline Wang (2006) sostiene<br />

che l’uso della macchina fotografi<br />

ca favorisca una maggiore<br />

autostima e un maggior senso <strong>di</strong><br />

competenza. Inoltre, la libertà narrativa<br />

incoraggia l’autonomia dei<br />

partecipanti, aspetti fondamentali<br />

del processo <strong>di</strong> Empowerment in<strong>di</strong>viduale.<br />

Scattare fotografi e alla loro<br />

comunità e poi <strong>di</strong>scutere in <strong>gruppo</strong><br />

sul loro signifi cato, permette ai<br />

giovani <strong>di</strong> rifl ettere su chi sono e<br />

su chi vogliono essere: le <strong>di</strong>scussioni<br />

<strong>di</strong> <strong>gruppo</strong>, luogo <strong>di</strong> confronto<br />

e rifl essione, negoziazione e<br />

con<strong>di</strong>visione <strong>di</strong> esperienze, favoriscono<br />

lo sviluppo <strong>di</strong> competenze<br />

sociali ed in generale dell’identità<br />

del giovane. Ancora più importanza<br />

ai fi ni dell’attivazione del<br />

processo <strong>di</strong> empowerment in<strong>di</strong>viduale<br />

e collettivo, sta nella con<strong>di</strong>visione<br />

delle immagini e delle rifl<br />

essioni con gli altri membri della<br />

comunità e nel contatto con coloro<br />

che occupano ruoli decisionali, ai<br />

quali vengono riportati i risultati<br />

<strong>di</strong> questo scambio <strong>di</strong> opinioni e<br />

punti <strong>di</strong> vista. In un progetto Photovoice,<br />

il ruolo del ricercatore è<br />

quello del facilitatore del processo<br />

<strong>di</strong> produzione della conoscenza:<br />

egli ha il compito <strong>di</strong> accompagnare<br />

citta<strong>di</strong>ni, operatori e politici<br />

durante il percorso e <strong>di</strong> favorire la<br />

comprensione della loro situazione<br />

e le possibilità <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>fi carla.<br />

Questa tipologia <strong>di</strong> ricercaazione<br />

fa riferimento ai principi<br />

Spunti da Tesi <strong>di</strong> <strong>La</strong>urea e/o Specializzazione<br />

<strong>di</strong> Freire (1972), secondo cui per<br />

favorire il cambiamento sociale è<br />

essenziale aiutare gli in<strong>di</strong>vidui ad<br />

accedere alle informazioni e incrementare<br />

la loro consapevolezza e<br />

comprensione delle determinanti<br />

del loro benessere.<br />

Caroline Wang ha utilizzato<br />

questa tecnica con <strong>di</strong>versi attori<br />

sociali: donne delle campagne<br />

cinesi, adulti senza fi ssa <strong>di</strong>mora,<br />

donne afroamericane che vivono<br />

in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> povertà, giovani<br />

rifugiati in Bosnia, persone con<br />

<strong>di</strong>sabilità, lavoratori immigrati<br />

e, in generale, con persone che<br />

vivono in luoghi e con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong>sagiati.<br />

In uno dei primi progetti condotto<br />

con le donne <strong>di</strong> un villaggio<br />

rurale in Cina, Wang e colleghi<br />

(Wang, Burris e Xiang, 1996)<br />

hanno utilizzato le fotografi e e le<br />

rifl essioni prodotte dalle donne<br />

del villaggio per aiutarle a comprendere<br />

quale fosse un modo per<br />

migliorare il loro stile <strong>di</strong> vita; in<br />

seguito, sempre attraverso le fotografi<br />

e, hanno cercato <strong>di</strong> trasmettere<br />

ai politici cinesi e alla società<br />

ciò che queste donne avevano documentato,<br />

ovvero le con<strong>di</strong>zioni<br />

<strong>di</strong> salute e i problemi principali<br />

della comunità a cui appartengono.<br />

Queste prime esperienze mostrano<br />

l’effi cacia comunicativa<br />

<strong>dello</strong> strumento, che si è rivelato<br />

in grado <strong>di</strong> catturare alcune realtà<br />

dal punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> chi le vive<br />

quoti<strong>di</strong>a-namente, permettendo <strong>di</strong><br />

far sentire la propria voce al resto<br />

della comunità e ai responsabili<br />

politici.<br />

Mentre la tecnica del photovoice<br />

ha ampiamente <strong>di</strong>mostrato<br />

la sua forza nel far emergere problematiche<br />

con<strong>di</strong>vise da gruppi<br />

svantaggiati e nel farle conoscere<br />

al resto della comunità, si è prestata<br />

meno attenzione alla valutazione<br />

effettiva dell’impatto che<br />

l’utilizzo <strong>di</strong> questa metodologia<br />

ha sui partecipanti. Sono pochi<br />

i ricercatori che hanno iniziato a<br />

includere aspetti <strong>di</strong> valutazione<br />

dell’impatto sui partecipanti dei<br />

progetti che utilizzano questo<br />

strumento: in questo scenario si<br />

inseriscono due ricerche condotte<br />

da Santinello (Santinello, 2008;<br />

Santinello e Mastrilli, 2010).<br />

<strong>La</strong> prima ricerca aveva l’obiettivo<br />

<strong>di</strong> coinvolgere alcuni studenti<br />

universitari in un’esperienza <strong>di</strong><br />

photovoice fi nalizzata a proporre<br />

l’insegnamento dell’utilizzo <strong>di</strong><br />

tale tecnica all’interno del corso<br />

<strong>di</strong> <strong>La</strong>urea in Psicologia clinica <strong>di</strong>namica<br />

(Università degli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

Padova), ottenere una descrizione<br />

realistica della con<strong>di</strong>zione della<br />

vita studentesca partendo proprio<br />

dal punto <strong>di</strong> vista degli studenti<br />

e, infi ne, provare a capire se, attivando<br />

processi <strong>di</strong> questo tipo, si<br />

sarebbe potuto indurre un senso <strong>di</strong><br />

empowerment. Nella prima fase<br />

<strong>di</strong> lavoro i partecipanti si sono conosciuti,<br />

il facilitatore ha chiarito<br />

obiettivi e fasi del lavoro, si è avviata<br />

una breva spiegazione delle<br />

implicazioni etiche legate all’uso<br />

della macchina fotografi ca, e si<br />

è chiesto ad ogni partecipante <strong>di</strong><br />

analizzare e descrivere (attraverso<br />

tre foto) la vita all’università, gli<br />

aspetti maggiormente apprezzati e<br />

quelli che si sarebbero voluti cambiare.<br />

<strong>La</strong> seconda fase si è svolta<br />

in tre incontri in cui ciascuno<br />

studente ha presentato le proprie<br />

foto al <strong>gruppo</strong>, spiegando i motivi<br />

per i quali le aveva scelte e in che<br />

modo quelle immagini si legavano<br />

all’università. Su queste descrizioni<br />

si è avviata una <strong>di</strong>scussione<br />

rispetto ai signifi cati emersi, analizzando<br />

le situazioni segnalate,<br />

i motivi che giustifi cavano certe<br />

con<strong>di</strong>zioni, le azioni da condurre<br />

e il possibile ruolo degli studenti<br />

nella risoluzione delle specifi che<br />

problematiche.<br />

Ciascun incontro si è concluso<br />

115


con la scelta con<strong>di</strong>visa <strong>di</strong> cinque<br />

foto che sintetizzassero il pensiero<br />

del <strong>gruppo</strong>. <strong>La</strong> terza e ultima<br />

fase del progetto ha riguardato<br />

la <strong>di</strong>ffusione al pubblico dei lavori<br />

e ha impegnato gli studenti<br />

nella realizzazione <strong>di</strong> una mostra<br />

allestita nell’atrio della facoltà <strong>di</strong><br />

Psicologia, luogo molto visibile<br />

che ha permesso agli studenti <strong>di</strong><br />

rendere visibile il proprio punto <strong>di</strong><br />

vista alle autorità accademiche e<br />

al resto dei colleghi universitari.<br />

Sebbene l’esperienza abbia avuto<br />

un signifi cato prioritariamente <strong>di</strong>dattico,<br />

i ricercatori hanno tenuto<br />

opportuno valutarne l’impatto su<br />

coloro che l’hanno sperimentata.<br />

Si sono considerati i prodotti degli<br />

studenti (le fotografi e scelte<br />

per la mostra) e si sono valutate<br />

le risposte a un questionario volto<br />

a indagare la sod<strong>di</strong>sfazione rispetto<br />

all’esperienza e la percezione<br />

<strong>di</strong> potere derivante dal percorso<br />

svolto. Infi ne si sono considerate<br />

le opinioni espresse da alcuni<br />

studenti coinvolti in un’intervista<br />

semi-strutturata, fi nalizzata a raccogliere<br />

suggerimenti rispetto alla<br />

modalità <strong>di</strong> conduzione del seminario.<br />

<strong>La</strong> maggior parte degli studenti<br />

ha considerato il seminario<br />

uno strumento utile per la professione<br />

futura, permettendo loro <strong>di</strong><br />

acquisire nuove conoscenze e <strong>di</strong><br />

accrescere abilità e competenze.<br />

Per quanto riguarda la mostra fi -<br />

nale, dalle immagini si delinea un<br />

quadro complesso, al cui interno<br />

trovano spazio apprezzamenti,<br />

critiche, ma anche suggerimenti<br />

originali. Il photovoice ha messo<br />

in luce anche le sensazioni<br />

più personali degli studenti: così<br />

sono emersi smarrimento causato<br />

dall’estrema frammentazione<br />

degli insegnamenti ed incertezza<br />

per il futuro lavorativo. È emersa,<br />

inoltre, la loro voglia <strong>di</strong> stare insieme,<br />

<strong>di</strong> vivere appieno l’università<br />

non solo come luogo <strong>di</strong> for-<br />

116<br />

Spunti da Tesi <strong>di</strong> <strong>La</strong>urea e/o Specializzazione<br />

mazione, ma anche come luogo<br />

<strong>di</strong> aggregazione. Dal questionario<br />

sulla sod<strong>di</strong>sfazione dell’esperienza<br />

si evince che circa il 90% degli<br />

intervistati ritiene <strong>di</strong> aver acquisito<br />

una conoscenza molto più approfon<strong>di</strong>ta<br />

della vita universitaria,<br />

soprattutto grazie al confronto<br />

con altri studenti e allo scambio <strong>di</strong><br />

opinioni avvenuto in aula a partire<br />

dalle fotografi e selezionate.<br />

Coerentemente con i principi<br />

dell’empowerment, questo progetto<br />

si proponeva <strong>di</strong> condurre<br />

i partecipanti a pensare <strong>di</strong> poter<br />

intervenire per il miglioramento<br />

della con<strong>di</strong>zione degli studenti,<br />

sia nel contesto accademico che<br />

nella vita <strong>di</strong> tutti i giorni. Sembra,<br />

in effetti, che la partecipazione al<br />

progetto photovoice sia stata in<br />

grado <strong>di</strong> alimentare la percezione<br />

<strong>di</strong> potere che gli studenti possiedono<br />

nella risoluzione delle problematiche<br />

che li riguardano e ne<br />

infl uenzano la quoti<strong>di</strong>anità.<br />

Nella seconda ricerca, Santinello<br />

e colleghi (2010) hanno<br />

voluto indagare i seguenti obiettivi:<br />

fotografare i consumi <strong>di</strong> bevande<br />

alcoliche e sostanze illecite<br />

da parte <strong>di</strong> giovani tra i 13 e i 24<br />

anni, in un territorio comprendente<br />

ventotto comuni della provincia<br />

<strong>di</strong> Treviso, analizzare quali sono i<br />

fattori <strong>di</strong> rischio e protezione presenti<br />

nei <strong>di</strong>versi contesti e mettere<br />

in luce alcuni comportamenti e<br />

stili <strong>di</strong> vita dei giovani, valutare<br />

secondo un’ottica partecipativa i<br />

bisogni e le risorse in riferimento<br />

al tema affrontato, promuovere<br />

una rifl essione critica tra i giovani<br />

e un cambiamento locale circa<br />

l’uso e l’abuso <strong>di</strong> alcol e <strong>di</strong> sostanze<br />

psicotrope illegali. Alla fi ne<br />

dell’esperienza ai partecipanti è<br />

stata somministrata una intervista<br />

semi-strutturata per raccogliere<br />

alcuni elementi <strong>di</strong> rifl essione sul<br />

progetto. I partecipanti sono giunti<br />

alla realizzazione dell’evento/<br />

mostra allestito nel mese <strong>di</strong> giugno<br />

2009, nel quale erano previsti<br />

momenti <strong>di</strong> <strong>di</strong>battito e rifl essione<br />

rivolti alla citta<strong>di</strong>nanza. L’invito<br />

alla mostra è stato rivolto a tutti<br />

i citta<strong>di</strong>ni, ai politici locali, alle<br />

realtà associative ed alle fi gure<br />

ecclesiastiche, occasione per<br />

con<strong>di</strong>videre il lavoro svolto e<br />

porre l’attenzione sulla proposta<br />

<strong>di</strong> cambiamento emersa dai partecipanti.<br />

Dalle tematiche trattate<br />

nelle <strong>di</strong>scussioni sulle fotografi e<br />

emergono numerosi “ostacoli”<br />

in grado <strong>di</strong> provocare una sorta<br />

<strong>di</strong> interruzione biografi ca (solitu<strong>di</strong>ne,<br />

eccessiva valorizzazione<br />

dell’apparenza, aspettative degli<br />

altri, bisogno <strong>di</strong> essere accettati<br />

e paura <strong>di</strong> non riuscire). Inoltre,<br />

sono emersi elementi descrittivi<br />

legati alle nuove <strong>di</strong>pendenze e<br />

agli stili <strong>di</strong> vita o<strong>di</strong>erni caratterizzati<br />

da una eccessiva tecnologia<br />

(vengono messe in risalto le <strong>di</strong>fferenze<br />

tra i vecchi e i nuovi intrattenimenti<br />

dei giovani, la tendenza<br />

all’isolamento e la mancanza <strong>di</strong><br />

contatto favorita dall’eccessivo<br />

utilizzo del computer).<br />

Tra i fattori protettivi emersi<br />

dall’analisi partecipata viene<br />

evidenziata una visione positiva<br />

della vita, la passione per lo<br />

sport, la partecipazione a gruppi<br />

<strong>di</strong> associazionismo e volontariato,<br />

attività creative. Particolarmente<br />

interessanti gli elementi propositivi<br />

che emergono dalle <strong>di</strong>scussioni<br />

<strong>di</strong> <strong>gruppo</strong>: alcuni giovani invitano<br />

a un momento <strong>di</strong> rifl essione come<br />

attività costruttiva per trovare la<br />

via giusta ed avere le idee chiare,<br />

altri sottolineano l’importanza del<br />

rapporto con la scuola e con gli<br />

insegnanti; in altri casi è emersa<br />

una sensibilità generazionale dei<br />

partecipanti che nell’ipotizzare<br />

possibili attività, hanno incluso<br />

uno spazio per gli anziani, per le<br />

famiglie, per i bambini oltre che<br />

per i ragazzi del paese. Nelle in-


terviste i partecipanti hanno riportato<br />

soprattutto elementi positivi<br />

circa il progetto in cui sono stati<br />

coinvolti, esprimendo sod<strong>di</strong>sfazione<br />

circa i risultati ottenuti in<br />

particolare per l’attività fotografi -<br />

ca. In questa ricerca il photovoice<br />

è stato affi ancato ad altri dati raccolti<br />

attraverso i focus group e i<br />

questionari: sono stati evidenziati<br />

alcuni fattori <strong>di</strong> rischio e protettivi<br />

specifi ci del territorio in questione.<br />

Tra i fattori collegati alle<br />

caratteristiche in<strong>di</strong>viduali sembra<br />

che le sostanze e l’alcol svolgano<br />

un ruolo importante come facilitatore<br />

socio-relazionale rispetto<br />

all’appartenenza al <strong>gruppo</strong>.<br />

Un altro aspetto fondamentale<br />

messo in evidenza dalla ricerca<br />

sul territorio è relativo alla<br />

relazione in famiglia: un rapporto<br />

genitori-fi gli basato sulla fi ducia<br />

risulta essere uno dei principali<br />

fattori protettivi. Il rapporto con<br />

gli insegnanti è il terzo elemento<br />

messo in luce dallo stu<strong>di</strong>o che si<br />

delinea come fattore protettivo<br />

rispetto all’utilizzo <strong>di</strong> sostanze.<br />

L’ultimo fattore messo in luce dalla<br />

ricerca, riguarda il quartiere o<br />

il luogo dove si vive: la percezione<br />

dell’inadeguatezza del proprio<br />

quartiere o paese è una variabile<br />

correlata positivamente al consumo<br />

<strong>di</strong> sostanze per gli adolescenti.<br />

Ne consegue sia la necessità <strong>di</strong><br />

promuovere ed aumentare negli<br />

adulti la conoscenza ed il livello<br />

<strong>di</strong> co-responsabilità nel proporre<br />

modelli <strong>di</strong> stile <strong>di</strong> vita sia il bisogno<br />

<strong>di</strong> occasioni <strong>di</strong> socialità alternative,<br />

come proposto più volte<br />

dai partecipanti photovoice. In<br />

questo quadro, anche nell’Università<br />

degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Bari, nell’ambito<br />

dell’esame <strong>di</strong> Psicologia Sociale<br />

<strong>di</strong> Comunità del corso <strong>di</strong> laurea<br />

in Psicologia Clinica, è stata avviato<br />

un piccolo progetto concepito<br />

come esperimento <strong>di</strong>dattico che<br />

ha permesso <strong>di</strong> impadronirsi del-<br />

Spunti da Tesi <strong>di</strong> <strong>La</strong>urea e/o Specializzazione<br />

la logica sottostante all’uso della<br />

tecnica Photovoice e <strong>di</strong> sperimentare<br />

personalmente alcuni effetti<br />

<strong>di</strong> un’esperienza in questo ambito<br />

<strong>di</strong> ricerca-azione.<br />

LA RICERCA: Il nostro lavoro<br />

si è proposto <strong>di</strong> stimolare il senso<br />

<strong>di</strong> comunità e <strong>di</strong> incrementare<br />

l’auto-percezione dei partecipanti<br />

rispetto al loro grado <strong>di</strong> competenze<br />

e potere acquisiti. <strong>La</strong> ricerca<br />

ha avuto inizio a novembre 2010<br />

con la defi nizione <strong>di</strong> strategie,<br />

obiettivi e degli strumenti utilizzati<br />

nel progetto. Tale ricerca ha<br />

avuto come obiettivi promuovere<br />

la <strong>di</strong>scussione attorno a temi <strong>di</strong><br />

interesse comune, scelti dai partecipanti;<br />

rendere attivi i giovani nel<br />

proporre soluzioni concrete sulla<br />

base delle loro esigenze e dei loro<br />

progetti; verifi care se un’esperienza<br />

<strong>di</strong> Photovoice, se pur affrontata<br />

in una semplice esercitazione<br />

universitaria, potesse produrre<br />

effetti sul senso <strong>di</strong> appartenenza<br />

e sul senso <strong>di</strong> comunità dei partecipanti;<br />

valutare la percezione <strong>di</strong><br />

accrescimento delle proprie competenze<br />

a seguito dell’esperienza<br />

da parte dei partecipanti.<br />

I partecipanti al progetto sono<br />

24 studentesse (età compresa tra i<br />

22 e i 26 anni, M=23,3, DS=1,2),<br />

iscritte al primo anno del corso <strong>di</strong><br />

laurea L.M. Psicologia Clinica,<br />

presso l’Università degli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

Bari Aldo Moro.<br />

L’intero progetto si è sviluppato<br />

in tre macro fasi. Prima <strong>di</strong><br />

tutto si è presentato il progetto<br />

alla classe, durante una lezione<br />

del corso <strong>di</strong> laurea in Psicologia<br />

Sociale <strong>di</strong> Comunità, durante la<br />

quale sono state raccolte le adesioni.<br />

Successivamente è stato<br />

de<strong>di</strong>cato un momento al Workshop<br />

formativo con le partecipanti,<br />

in cui sono stati presentati<br />

la metodologia Photovoice e le<br />

sue potenzialità, le modalità <strong>di</strong><br />

svolgimento, gli obiettivi. Inoltre<br />

si è affrontato il <strong>di</strong>scorso sulla<br />

privacy ed etica dell’uso della<br />

fotocamera e sono state introdotte<br />

domande guida e <strong>di</strong>scussioni <strong>di</strong><br />

approfon<strong>di</strong>mento. Nella seconda<br />

fase sono state raccolte e <strong>di</strong>scusse<br />

liberamente una serie <strong>di</strong> proposte<br />

tematiche (Bullismo, Integrazione,<br />

Volontariato, Rapporto Intergenerazionale)<br />

che sono confl uite<br />

in una categoria sovraor<strong>di</strong>nata<br />

chiamata “Benessere e malessere<br />

nella città”. Aver puntato su questo<br />

tema generale ha consentito <strong>di</strong><br />

in<strong>di</strong>viduare un momento pubblico<br />

<strong>di</strong> presentazione all’interno del<br />

convegno “Empatia e benessere<br />

nelle relazioni” 1 .<br />

Una volta defi nite le aree tematiche<br />

<strong>di</strong> intervento, l’intero<br />

<strong>gruppo</strong> <strong>di</strong> studentesse si è <strong>di</strong>viso<br />

in quattro sotto-gruppi, composto<br />

da sei partecipanti ciascuno,<br />

ognuno dei quali si è concentrato<br />

maggiormente su una proposta tematica<br />

in particolare. Successivamente<br />

è stato attivato un forum online<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>scussione per affi ancare a<br />

sostenere l’attività dei sottogruppi<br />

e in questo quadro sono stati defi -<br />

niti quesiti ampi volti a stimolare<br />

1 Il Convegno su “Empatia e Benessere<br />

nelle relazioni” (Bari, 31 marzo<br />

2011) organizzato dalla cattedra<br />

<strong>di</strong> Psicologia Sociale <strong>di</strong> Comunità<br />

dell’Università degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Bari,<br />

con il contributo<strong>di</strong> Università degli<br />

Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Bari, Miur (PRIN 2007-<br />

2009: n.2007PJYAKF_003 Coord.<br />

Naz. A.Palmonari, Università <strong>di</strong> Bologna,<br />

Resp.Scient. U. R. Di Bari C.<br />

Serino); AIP-Sezione <strong>di</strong> Psicologia<br />

Sociale; Casa E<strong>di</strong>trice il Mulino Bologna<br />

e col patrocinio <strong>di</strong> Università<br />

degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Bari, AIP, Or<strong>di</strong>ne degli<br />

Psicologi della Puglia. L’iniziativa<br />

si è inserita nella “Settimana del benessere<br />

psicologico in Puglia” (4-10<br />

aprile 2011) promossa dall’Or<strong>di</strong>ne<br />

degli Psicologi della Puglia.<br />

117


la rifl essione e l’iniziativa delle<br />

partecipanti 2 . In tali incontri si è<br />

avuto modo <strong>di</strong> sviluppare anche<br />

un <strong>di</strong>alogo critico per l’in<strong>di</strong>viduazione<br />

<strong>di</strong> fotografi e con<strong>di</strong>vise da<br />

ciascun <strong>gruppo</strong>, giungendo alle<br />

selezione <strong>di</strong> 6 fotografi e per ogni<br />

sotto-categoria.<br />

Completata la selezione delle<br />

fotografi e e la rifl essione collettiva,<br />

ha avuto inizio la terza fase <strong>di</strong><br />

defi nizione del piano organizzativo<br />

per la mostra fi nale, arrivando<br />

alla sua realizzazione.<br />

L’invito alla mostra durante<br />

il convegno è stato rivolto a tutti<br />

i citta<strong>di</strong>ni, come occasione per<br />

porre attenzione sul lavoro svolto<br />

e con<strong>di</strong>videre i punti <strong>di</strong> vista delle<br />

partecipanti con gli altri membri<br />

della comunità studentesca e<br />

con fi gure professionali esterne<br />

all’università.<br />

Come strumento <strong>di</strong> misura è<br />

stato impiegato, nella fase iniziale<br />

dell’esperienza e nella fase conclusiva,<br />

l’In<strong>di</strong>ce del senso <strong>di</strong> comunità<br />

(McMillan, Chavis, 1986),<br />

che misura le quattro <strong>di</strong>mensioni<br />

del senso <strong>di</strong> comunità (appartenenza,<br />

infl uenza sociale, integrazione<br />

e sod<strong>di</strong>sfazione dei bisogni,<br />

connessione emotiva). Inoltre è<br />

stato utilizzato un breve questionario<br />

composto da tre domande<br />

relative a grado <strong>di</strong> sod<strong>di</strong>sfazione<br />

ottenuto dalla partecipazione<br />

al progetto, coesione percepita,<br />

auto-percezione delle competenze<br />

apprese.<br />

RISULTATI<br />

- Analisi del laboratorio photovoice:<br />

L’idea <strong>di</strong> sud<strong>di</strong>videre<br />

2 Sul ruolo delle comunità blended<br />

nell’appren<strong>di</strong>mento collaborativo si<br />

veda Albanese, O., Ligorio, M.B.,<br />

Zanetti, A. (2011), Identità, appren<strong>di</strong>mento<br />

e comunità virtuali, strumenti<br />

e attività on<strong>di</strong>ne, Franco Angeli,<br />

Milano.<br />

118<br />

Spunti da Tesi <strong>di</strong> <strong>La</strong>urea e/o Specializzazione<br />

la macro-tematica “Benessere e<br />

Malessere nella società” in quattro<br />

sottotematiche è scaturita dal<br />

bisogno delle partecipanti <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>re<br />

i vari temi emersi nelle<br />

<strong>di</strong>scussioni preliminari. Ciascun<br />

<strong>gruppo</strong> si è impegnato a fornire<br />

delle fotografi e molto interessanti,<br />

a volte anche simboliche e<br />

astratte, attraverso cui ciascuno ha<br />

espresso il proprio punto <strong>di</strong> vista<br />

con<strong>di</strong>videndolo visivamente con<br />

le altre partecipanti. Dalla tematica<br />

Integrazione, sono scaturite<br />

<strong>di</strong>scussioni inerenti la necessità <strong>di</strong><br />

aprirsi all’altro, <strong>di</strong> promuovere la<br />

libertà <strong>di</strong> espressione.<br />

Per quanto riguarda la tematica<br />

Rapporto Intergenerazionale,<br />

il <strong>gruppo</strong> ha proposto immagini<br />

simboliche mettendo in luce il<br />

contrasto tra le due generazioni<br />

(solitu<strong>di</strong>ne degli anziani, bisogno<br />

<strong>di</strong> sentirsi ancora utili; necessità<br />

<strong>di</strong> emancipazione dei giovani,<br />

affermazione dei propri <strong>di</strong>ritti,<br />

smarrimento per il loro futuro).<br />

Le partecipanti alla tematica<br />

Volontariato si sono impegnate<br />

in una <strong>di</strong>scussione in cui hanno<br />

constatato che il problema principale<br />

è dovuto alla mancanza <strong>di</strong><br />

sovvenzioni comunali per le associazioni<br />

<strong>di</strong> volontariato che, spesso,<br />

sono costrette a auto-sovvenzionarsi,<br />

senza<br />

molta speranza<br />

<strong>di</strong> sopravvivere.<br />

Le loro <strong>di</strong>scussioni<br />

sono state<br />

volte a mostrare<br />

dal loro punto <strong>di</strong><br />

vista, alla comunità<br />

intera, quello<br />

che non va per<br />

lanciare spunti<br />

<strong>di</strong> rifl essione affi<br />

nché ci sia un<br />

maggior interessamento<br />

da parte <strong>di</strong> “chi comanda”.<br />

Per quanto riguarda l’ultima<br />

tematica affrontata, il Bullismo, le<br />

ragazze evidenziano sin dalle prime<br />

<strong>di</strong>scussioni le <strong>di</strong>ffi coltà della<br />

scuola e della famiglia a vivere e<br />

riconoscere il problema. In questo<br />

<strong>gruppo</strong> sono emerse molte situazioni<br />

personali ed emotive, la cui<br />

con<strong>di</strong>visione ha portato ad un affi<br />

atamento maggiore del <strong>gruppo</strong>.<br />

Le partecipanti evidenziano l’importanza<br />

<strong>di</strong> intervenire nelle scuole<br />

con progetti <strong>di</strong> prevenzione.<br />

- Senso <strong>di</strong> Comunità: E’ stata effettuata<br />

un’analisi con il test T <strong>di</strong><br />

student per campioni <strong>di</strong>pendenti<br />

dei punteggi ottenuti dalla me<strong>di</strong>a<br />

delle risposte ai 12 item dell’In<strong>di</strong>ce<br />

del Senso <strong>di</strong> Comunità (Mc-<br />

Millan, Chavis, 1986), somministrato<br />

ad inizio e a conclusione<br />

del progetto. Il risultato ottenuto<br />

dalla valutazione conferma l’ipotesi<br />

<strong>di</strong> partenza <strong>di</strong> miglioramento:<br />

i dati rilevano che c’è stato un<br />

signifi cativo incremento nel punteggio<br />

ottenuto al questionario sul<br />

senso <strong>di</strong> comunità in generale nel<br />

campione dalla fase 1 alla fase 2<br />

(T(23)= -4,435, p


so <strong>di</strong> Comunità, a conclusione<br />

dell’esperienza alle partecipanti<br />

è stata somministrata un questionario,<br />

come si è già detto, per indagare<br />

l’effi cacia dell’intero progetto<br />

sull’auto-percezione delle<br />

competenze acquisite e sul senso<br />

<strong>di</strong> appartenenza al <strong>gruppo</strong> partecipante.<br />

Le partecipanti hanno riportato<br />

elementi positivi circa la loro<br />

partecipazione al progetto defi -<br />

nendolo alternativo, originale. Per<br />

quanto riguarda la sod<strong>di</strong>sfazione<br />

ottenuta rispetto alla possibilità<br />

<strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>re e rivalutare le<br />

tematiche affrontate nel progetto,<br />

il 100% delle partecipanti si ritiene<br />

sod<strong>di</strong>sfatta. Stesso risultato si<br />

è ottenuto alla domanda inerente<br />

la loro sensazione <strong>di</strong> sentirsi<br />

maggiormente competenti nelle<br />

tematiche affrontate e <strong>di</strong> sentirsi<br />

più interessate ad impegnarsi attivamente<br />

per dare un contributo<br />

personale.<br />

Per quanto riguarda l’ultima<br />

domanda, che richiedeva <strong>di</strong> esaminare<br />

se la partecipazione alla ricerca<br />

avesse consentito al <strong>gruppo</strong><br />

<strong>di</strong> sentirsi facenti parte <strong>di</strong> un <strong>gruppo</strong><br />

più coeso, il 79% delle studentesse<br />

ha risposto positivamente,<br />

mentre il 21% ha affermato che la<br />

coesione si è maggiormente sentita<br />

nei sottogruppi tematici e meno<br />

nel macro-<strong>gruppo</strong>, specialmente<br />

a causa del<br />

poco tempo a <strong>di</strong>sposizione<br />

per gli <br />

incontri<br />

faccia a faccia con tutte<br />

<br />

le partecipanti.<br />

Fig.2 Risposte al questionario<br />

fi nale <strong>di</strong> autovalutazione:percentuali<br />

delle risposte sul<br />

totale dei partecipanti.<br />

DISCUSSIONE<br />

Quando si svilup-<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

Spunti da Tesi <strong>di</strong> <strong>La</strong>urea e/o Specializzazione<br />

pa un progetto photovoice con i<br />

giovani è fondamentale stimolare<br />

i partecipanti ad esprimere la loro<br />

voce e trovare soluzioni e alternative<br />

alle problematiche evidenziate,<br />

ma è anche auspicabile, se non<br />

proprio necessario, coinvolgere<br />

adulti infl uenti e non, che supportino<br />

il lavoro dei partecipanti,<br />

li gui<strong>di</strong>no nella formulazione <strong>di</strong><br />

obiettivi chiari e potenzialmente<br />

realizzabili, che riconoscano<br />

e valorizzino le competenze e le<br />

attività dei giovani supportandoli<br />

a “fare la <strong>di</strong>fferenza”.<br />

Inoltre è opportuno che<br />

all’evento fi nale partecipino i cosiddetti<br />

“decisori sociali”, personalità<br />

politiche e amministrative,<br />

che hanno la possibilità <strong>di</strong> aiutare<br />

la comunità a rendere concrete le<br />

alternative proposte dalla stessa.<br />

Il limite maggiore <strong>di</strong> questo tipo<br />

<strong>di</strong> metodologia riguarda proprio<br />

il passaggio all’azione concreta,<br />

al cambiamento, che non <strong>di</strong>pende<br />

solo dalla qualità del lavoro<br />

svolto, ma anche e soprattutto dal<br />

coinvolgimento attivo degli organi<br />

decisionali (Santinello,M., et.<br />

al., 2009).<br />

Tuttavia, pur essendo l’esperienza<br />

appena descritta caratterizzata<br />

da una fi nalità prevalentemente<br />

<strong>di</strong>dattica e dall’obiettivo<br />

<strong>di</strong> condurre un’esercitazione sulla<br />

tecnica del photovoice, i risultati<br />

qui <strong>di</strong>scussi sottolineano la potenza<br />

della metodologia che sembra<br />

aver prodotto anche in questo piccolo<br />

<strong>gruppo</strong> <strong>di</strong> studenti gli effetti<br />

previsti <strong>di</strong> coesione e aumento del<br />

senso <strong>di</strong> appartenenza, sviluppo<br />

<strong>di</strong> empowerment e <strong>capacità</strong> <strong>di</strong><br />

partecipazione, sod<strong>di</strong>sfazione dei<br />

bisogni. Naturalmente il momento<br />

<strong>di</strong> comunicazione pubblica che è<br />

stato in<strong>di</strong>viduato non copriva tutti<br />

gli obiettivi <strong>di</strong> un progetto <strong>di</strong> photovoice<br />

più strutturato che, come<br />

si è detto, prevede anche un momento<br />

<strong>di</strong> confronto <strong>di</strong> interlocuzione<br />

con i decisori, le pubbliche<br />

amministrazioni e gli interlocutori<br />

della più ampia comunità.<br />

In ogni caso, si deduce che il<br />

Photovoice si rivela una metodologia<br />

signifi cativamente effi cace<br />

nel lavoro delle comunità e sarebbe<br />

opportuno trovare un modo<br />

per migliorare la trasmissione dei<br />

risultati e dei contenuti alle fi gure<br />

politiche decisionali, in modo<br />

da arrivare alla concretizzazione<br />

dell’azione. In prospettiva però i<br />

risultati qui descritti incoraggiano<br />

a utilizzare questo strumento in<br />

progetti più ampi e più articolati.<br />

BIBLIOGRAFIA:<br />

Albanese, O., Logorio, M.B., Zanetti,<br />

A. 2011, Identità, appren<strong>di</strong>-<br />

<br />

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119


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McMillan, D.W., & Chavis, D.M. tory needs assessment with youth<br />

Secondo i dati provvisori del bilancio demografi<br />

co della popolazione residente, sono 546.607<br />

gli iscritti in anagrafe per nascita nel 2011, circa 15<br />

mila in meno rispetto al 2010. Il calo delle nascite<br />

è da attribuire soprattutto alla <strong>di</strong>minuzione dei nati<br />

da genitori entrambi italiani e dei nati da coppie<br />

miste. I nati da genitori entrambi stranieri, invece,<br />

sono aumentati, anche se in misura più contenuta<br />

rispetto agli anni precedenti, e ammontano a 79<br />

mila (il 14,5% del totale dei nati). Se a questi si<br />

sommano anche i nati da coppie miste si ottengono<br />

106 mila nati da almeno un genitore<br />

straniero (il 19,4% del totale<br />

delle nascite). Considerando la<br />

composizione per citta<strong>di</strong>nanza<br />

delle madri straniere, ai primi<br />

posti per numero <strong>di</strong> fi gli si confermano<br />

le rumene (18.484 nati<br />

nel 2011), al secondo le marocchine<br />

(13.340), al terzo le albanesi<br />

(9.916) e al quarto le cinesi<br />

(5.282). Quasi il 7% dei nati nel<br />

2011 ha una madre <strong>di</strong> almeno 40<br />

anni, mentre prosegue la <strong>di</strong>minu-<br />

120<br />

Spunti da Tesi <strong>di</strong> <strong>La</strong>urea e/o Specializzazione<br />

Notizie Varie<br />

ISTAT<br />

14 novembre 2012<br />

Natalità e fecon<strong>di</strong>tà della popolazione residente<br />

zione dei nati da madri <strong>di</strong> età inferiore a 25 anni<br />

(il 10,9% del totale). Sono circa 134 mila i nati da<br />

genitori non coniugati nel 2011, valore in linea con<br />

quello dell’anno precedente. Tuttavia, a causa della<br />

forte <strong>di</strong>minuzione dei nati da coppie coniugate il<br />

loro peso relativo è aumentato dal 23,6% del 2010<br />

al 24,5% del 2011. Diminuisce il numero me<strong>di</strong>o<br />

<strong>di</strong> fi gli per donna a 1,39 (1,30 fi gli per le citta<strong>di</strong>ne<br />

italiane e 2,04 le straniere).<br />

Nati italiani e stranieri della popolazione residente<br />

in Italia. Anni 1995-2011, valori assoluti


Notizie dalla Regione Puglia<br />

7 novembre 2012<br />

Proroga al 2013<br />

del Piano<br />

Regionale<br />

Politiche Sociali<br />

2009-2011<br />

Con delibera<br />

n. 2155/2012 la<br />

Giunta regionale<br />

ha approvato<br />

l’estensione del<br />

II° ciclo <strong>di</strong> programmazione<br />

sociale, riferito<br />

al triennio<br />

2009-2011, a<br />

tutto il 2013,<br />

per dare la possibilità<br />

agli Ambiti<br />

territoriali <strong>di</strong><br />

attivare i servizi<br />

programmati e<br />

non ancora posti<br />

in essere, ovvero<br />

per dare continuità ai servizi già avviati, al<br />

fi ne <strong>di</strong> assicurare la continuità assistenziale agli<br />

utenti.<br />

Contestualmente sono stati approvati i criteri<br />

<strong>di</strong> assegnazione e <strong>di</strong> riparto del fondo premiale,<br />

ossia <strong>di</strong> risorse fi nanziarie aggiuntive, per il<br />

II° triennio <strong>di</strong> cui trattasi.<br />

<strong>La</strong> Giunta infi ne ha demandato al Servizio<br />

Programmazione Sociale e Integrazione Sociosanitaria<br />

l’approvazione <strong>di</strong> apposite linee guida<br />

in attuazione del provve<strong>di</strong>mento n.2155/2012,<br />

per fornire agli Ambiti territoriali i necessari in<strong>di</strong>rizzi<br />

per l’aggiornamento della rispettiva programmazione<br />

sociale in relazione alle risorse<br />

aggiuntive assegnate agli Ambiti medesimi.<br />

L’atto <strong>di</strong> giunta è pubblicato nel Bollettino<br />

uffi ciale regionale n.160 del 7 novembre 2012.<br />

Nota <strong>di</strong> rifl essione e <strong>di</strong> stimolo<br />

A proposito<br />

del bambino <strong>di</strong><br />

Citt adella (Pd)<br />

Riceviamo e volentieri pubblichiamo, con la speranza<br />

che si attivi un forum tra i colleghi sugli aspetti<br />

problematici che vengono evidenziati dalla rifl essione<br />

del dott. Beppe <strong>La</strong>tilla, Consigliere dell’Or<strong>di</strong>ne.<br />

Gentili colleghi, era nella mie intenzioni avanzare<br />

qualche rifl essione sui danni che spesso i bambini<br />

ricevono dagli adulti attraverso le istituzioni<br />

pubbliche, private,i professionisti del settore, e gli<br />

stessi adulti genitori, che costituiscono comunque,<br />

l’elemento maggiormente responsabile per quanto ci<br />

riguarda in or<strong>di</strong>ne al fattaccio me<strong>di</strong>atico avvenuto in<br />

questi giorni.<br />

Prendo per l’appunto spunto dalla nota del <strong>gruppo</strong><br />

della Aimmf-nazionale per sottolineare che la<br />

PAS è il capro espiatorio <strong>di</strong> una situazione molto più<br />

profonda che può portare a tale degenerazione nel<br />

rapporto confl ittuale <strong>di</strong> genitori separati, che si stanno<br />

separando o che sono anche <strong>di</strong>vorziati.<br />

<strong>La</strong> PAS è la punta dell’iceberg, <strong>di</strong> alcune particolari<br />

situazioni <strong>di</strong> confl itto in cui i genitori sono molto<br />

<strong>di</strong>sturbati sul piano affettivo e del proprio equilibrio<br />

emotivo. Certo non possiamo tralasciare <strong>di</strong> considerare<br />

che l’affi datario spesso è in una posizione <strong>di</strong> privilegio<br />

rispetto all’altro genitore in quanto gestisce<br />

in modo <strong>di</strong>retto la crescita e l’educazione del proprio<br />

fi glio o fi gli, anche se assume maggiori responsabilità.<br />

Il problema è già tale nella sua sostanza nel momento<br />

della segnalazione al Tribunale minorile o<br />

or<strong>di</strong>nario, pertanto è necessario partire da quel momento<br />

per valutare in rete l’entità delle problematiche,<br />

il rischio reale che incorrono i fi gli <strong>di</strong> situazioni<br />

<strong>di</strong> separazione, bisogna assolutamente accompagnare<br />

sia i minori che gli adulti in tale percorso.<br />

Ciò vuol <strong>di</strong>re che i Servizi Sociali Comunali, attrezzati<br />

<strong>di</strong> una èquipe psicosociale adeguata (preciso<br />

psicologi ed educatori, unitamente alle assistenti<br />

sociali che già esistono abbondantemente rispetto<br />

alle percentuali delle fi gure prima dette), devono da<br />

subito mettere in atto una strategia che preveda dei<br />

momenti importanti:<br />

121


1. l’accoglienza e l’ascolto<br />

<strong>di</strong> chi solleva il problema<br />

(adulto/genitore che si separa<br />

o adulto genitore che<br />

subisce la separazione);<br />

2. contestualizzazione del<br />

problema, della entità del<br />

confl itto e della con<strong>di</strong>zione<br />

emotiva degli istanti:<br />

3. supporto imme<strong>di</strong>ato agli<br />

stessi sulle modalità <strong>di</strong><br />

conoscenza o <strong>di</strong> comportamento<br />

nei confronti dei<br />

loro fi gli, in concreto accompagnarli<br />

al percorso <strong>di</strong><br />

separazione, con possibili<br />

tentativi <strong>di</strong> conciliazione;<br />

4. considerare essenziale e<br />

prioritario la tutela del minore<br />

prima, durante e dopo<br />

la separazione.<br />

<strong>La</strong> convinzione essenziale <strong>di</strong><br />

esperti soprattutto è che i problemi<br />

delle separazioni, degli affi <strong>di</strong> e<br />

dei confl itti matrimoniali devono<br />

essere trattati in primis sotto il<br />

profi lo psicologico-sociale e non<br />

psichiatrico-patologico in quanto<br />

possiamo incorrere in errori <strong>di</strong> valutazione<br />

<strong>di</strong>agnostica e prognostica<br />

gravissimi, come quello che è<br />

successo al bambino <strong>di</strong> Padova.<br />

Il bambino in questo percorso<br />

alla “separazione assistita” deve<br />

essere considerato prima <strong>di</strong> tutto<br />

e <strong>di</strong> tutti.<br />

Accanto al lavoro dei Servizi,<br />

che farebbero bene ad evitare il<br />

più possibile <strong>di</strong> coinvolgere o <strong>di</strong><br />

far coinvolgere il Tribunale, mettendo<br />

in atto le prime strategie<br />

<strong>di</strong> sostegno ai soggetti interessati<br />

o meglio che fanno richiesta <strong>di</strong><br />

aiuto.<br />

<strong>La</strong> Pas, quin<strong>di</strong>, esiste non è<br />

una invenzione, ma bisogna sapere<br />

fare una appropriata <strong>di</strong>agnosi e<br />

riportarla in un contesto <strong>di</strong> coppia<br />

probabilmente già problematico<br />

da tempo prima della separazione,<br />

o che gli adulti interessati possano<br />

già avere problemi importanti <strong>di</strong><br />

122<br />

personalità o esasperata inadeguatezza<br />

genitoriale.<br />

Bisogna, pertanto, stare molto<br />

attenti: mi rivolgo a me professionista<br />

esperto prima <strong>di</strong> fare valutazioni<br />

<strong>di</strong> questa natura, e se così<br />

fosse esprimerle in équipe psico<br />

me<strong>di</strong>co specialista. Ciò è veramente<br />

importante per non procurare<br />

danni serissimi al bambino,<br />

non potendo negare quanto sia facilmente<br />

con<strong>di</strong>zionabile e <strong>di</strong>pendente<br />

dalle fi gure genitoriali, in<br />

special modo da quelle dominanti<br />

in quel contesto.<br />

Non solo, ma tale <strong>di</strong>storsione<br />

spesso induce o potrebbe indurre<br />

i Tribunali, soprattutto quelli or<strong>di</strong>nari,<br />

carenti nelle interpretazioni<br />

del vissuto del minore, o meglio<br />

che hanno presente prevalentemente,<br />

come riferimento da giu<strong>di</strong>care,<br />

la coppia in confl itto <strong>di</strong> separazione<br />

a prescindere dalla tutela<br />

del fi glio o dei fi gli.<br />

In sostanza quello che è avvenuto<br />

a quel bambino è frutto <strong>di</strong><br />

errori, <strong>di</strong> metodo, <strong>di</strong> valutazione,<br />

<strong>di</strong> approcci specialistici sbagliati<br />

e <strong>di</strong> contrad<strong>di</strong>zioni, se si pensa<br />

che alla madre<br />

del bambino si<br />

è sospesa la potestà<br />

pur avendo<br />

l’affidamento<br />

<strong>di</strong> fatto, o forse<br />

per sentenza <strong>di</strong><br />

separazione.<br />

A questo<br />

punto o il tribunaleminorile<br />

<strong>di</strong>chiara la<br />

incompetenza,<br />

altrimenti dovrebbe<br />

adottare<br />

altri sistemi o<br />

approcci meno<br />

traumatici, non entrando nel gioco<br />

perverso della manipolazione<br />

genitoriale delle colpe, che rischia<br />

<strong>di</strong> agire <strong>di</strong> fatto in termini <strong>di</strong> tutela<br />

<strong>di</strong> uno degli adulti, attraverso una<br />

Nota <strong>di</strong> rifl essione e <strong>di</strong> stimolo<br />

decisione <strong>di</strong> legge metodologica<br />

<strong>di</strong>sumana e aggressiva, intempestiva<br />

e molto, ma molto traumatica<br />

nei confronti del minore che,<br />

in un attimo, è vittima non solo dei<br />

genitori, ma anche della giustizia<br />

che dovrebbe invece tutelarlo in<br />

tali situazioni, dell’effetto me<strong>di</strong>atico<br />

(quando gli organi istituzionali<br />

<strong>di</strong> controllo della giustizia si<br />

decideranno ad intervenire vietando<br />

tali obbrobriose strumentalizzazioni<br />

me<strong>di</strong>atiche??!!).<br />

Ricordo che, comunque, esiste<br />

una normativa internazionale<br />

e nazionale che tutela la sicurezza<br />

e l’incolumità psicofi sica del minore.<br />

E’ bene una buona volta per<br />

tutte che se la giustizia ha sbagliato<br />

debba essere punita, se i tecnici<br />

professionisti hanno sbagliato<br />

debba essere puniti, se gli operatori<br />

delle forze dell’or<strong>di</strong>ne hanno<br />

sbagliato debbano essere puniti.<br />

Ma prima <strong>di</strong> tutto questo, è<br />

importante rifl ettere che tale <strong>di</strong>sastro<br />

si può evitare se si lavora in<br />

sinergia e se umilmente si riconoscono<br />

le colpe e se i servizi sociali<br />

si servono <strong>di</strong> una équipe composta<br />

soprattutto <strong>di</strong> psicologi, educatori<br />

e assistenti sociali per affrontare<br />

tali problemi sia in front offi ce, sia<br />

in back offi ce, e che polizia e ma-


gistratura qualche volta si mettano<br />

in <strong>di</strong>scussione costruttiva, soprattutto<br />

i componenti dei tribunali<br />

or<strong>di</strong>nari e della separazione.<br />

Concludo per invocare i nostri<br />

vali<strong>di</strong>ssimi Giu<strong>di</strong>ci del Tribunale<br />

per i minorenni (con i quali<br />

ho percorso tanti anni <strong>di</strong> profi cuo<br />

lavoro con atteggiamento asettico<br />

ma profondamente umano accogliendo<br />

e tutelando il minore nel<br />

civile e nel penale, quasi sempre<br />

vittima immolata del comportamento<br />

irresponsabile degli adulti)<br />

a fare <strong>di</strong> tutto, ogni azione possibile,<br />

insieme a noi giu<strong>di</strong>ci onorari<br />

e l’Associazione nazionale magistrati<br />

minorili, affi nchè i Tribunali<br />

per i minorenni continuino<br />

ad esistere, e che esista in accezione<br />

più ampia il TRIBUNALE<br />

Formazione a <strong>di</strong>stanza<br />

Il Consiglio dell’Or<strong>di</strong>ne degli Psicologi della Puglia<br />

offre, esclusivamente agli Psicologi iscritti in<br />

Puglia, la possibilità <strong>di</strong> iscriversi gratuitamente<br />

ad uno dei seguenti corsi FAD ECM:<br />

Corso 1 RISK MANAGEMENT: ERRORI ED<br />

INCIDENTI NELL’AMBIENTE SANITARIO<br />

30 Cre<strong>di</strong>ti ECM - Durata: 20 Ore<br />

Corso 2 I NUOVI PARADIGMI DELLA CO-<br />

MUNICAZIONE IN SANITÀ: DAL MALATO<br />

AI MASS E NEW MEDIA<br />

18 Cre<strong>di</strong>ti ECM - Durata: 12 ore<br />

Corso 3 MEDICINA E ASSISTENZA SANI-<br />

TARIA MULTIETNICA: CORRETTA GE-<br />

STIONE E COMUNICAZIONE TRA CUL-<br />

TURE DIVERSE<br />

18 Cre<strong>di</strong>ti ECM - Durata: 12 ore<br />

PER LA FAMIGLIA, eliminando<br />

quelle sezioni speciali del tribunale<br />

or<strong>di</strong>nario che sicuramente non<br />

sono culturalmente e mentalmente,<br />

oltre che per ruolo e materie<br />

<strong>di</strong> cui si occupano, pre<strong>di</strong>sposti<br />

a mettersi nei panni del minore e<br />

che molto spesso procurano danni<br />

anche irreparabili.<br />

<strong>La</strong> magistratura, tutte le forze<br />

<strong>di</strong> polizia, l’or<strong>di</strong>ne degli avvocati<br />

e dei me<strong>di</strong>ci, nonchè degli psicologi<br />

e degli assistenti sociali e gli<br />

educatori, devono intraprendere<br />

un percorso formativo in sinergia<br />

e devono far prevedere dagli organi<br />

preposti la presenza <strong>di</strong> psicologi<br />

o <strong>di</strong> altre fi gure professionali fondamentali<br />

nell’ascolto del minore<br />

che, anche in questa occasione,<br />

è stato <strong>di</strong>menticato o non esiste<br />

Nota <strong>di</strong> rifl essione e <strong>di</strong> stimolo<br />

come persona.<br />

Agli esperti psichiatri o anche<br />

altri colleghi psicoterapeuti<br />

chiederei <strong>di</strong> pensare o, meglio, <strong>di</strong><br />

orientarsi verso la Pas dopo un’attenta<br />

valutazione <strong>di</strong>agnostica e in<br />

casi molto particolari dai presupposti<br />

patologici, considerato che<br />

questi sono problemi sociali, <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>sadattamento, <strong>di</strong> confl ittualità<br />

che non necessariamente devono<br />

essere collocati nella patologia<br />

mentale o trattati come tali...<br />

Scusate... ma spero <strong>di</strong> aver<br />

dato un piccolo contributo, dando<br />

la mia <strong>di</strong>sponibilità ad ogni azione<br />

nell’interesse esclusivo del minore,<br />

e nel mettermi in <strong>di</strong>scussione<br />

insieme a voi in ogni momento.<br />

Buon lavoro a tutti, dott. Beppe<br />

<strong>La</strong>tilla.<br />

Iniziative del Consiglio Regionale dell’Or<strong>di</strong>ne<br />

Corsi FaD ECM GRA TUITI<br />

Corso 4 IL PROBLEMA DOLORE: BASI<br />

NEUROFISIOPATOLOGICHE, EPIDEMIO-<br />

LOGIA, ASPETTI DIAGNOSTICI E TERA-<br />

PEUTICI<br />

18 Cre<strong>di</strong>ti ECM - Durata: 12 ore<br />

I corsi sono erogati da SalusNet: il progetto è <strong>di</strong><br />

Federsanità per la formazione ECM FAD.<br />

Come usufruire dell’offerta<br />

So può gratuitamente partecipare ad uno solo dei<br />

corsi in<strong>di</strong>cati. Per usufruire dell’offerta occorre<br />

collegarsi a http://www.salusnet.it/convenzione_<br />

psicologi_puglia.asp<br />

Prima <strong>di</strong> iscriversi è possibile visionare la presentazione<br />

dei corsi nella pagina dell’Or<strong>di</strong>ne degli<br />

Psicologi della Puglia pubblicata in SalusNet.<br />

<strong>La</strong> Segreteria dell’Or<strong>di</strong>ne non si occuperà <strong>di</strong><br />

nessuna attività inerente alla formazione FAD.<br />

Per qualsiasi informazione bisognerà rivolgervi<br />

<strong>di</strong>rettamente al Provider.<br />

123


Conclusasi la 76esima e<strong>di</strong>zione della Fiera del<br />

Levante <strong>di</strong> Bari, è tempo <strong>di</strong> bilanci. E’ tempo <strong>di</strong> bilanci<br />

anche per il nostro Or<strong>di</strong>ne che, per la prima<br />

volta, ha avuto parte attiva all’interno del Pa<strong>di</strong>glione<br />

istituzionale 152 della Regione Puglia, nuovamente<br />

de<strong>di</strong>cato al tema del <strong>La</strong>voro. Occorre parlare <strong>di</strong> numeri:<br />

110.<br />

Tanti gli utenti che nei 6 giorni <strong>di</strong> attività hanno<br />

richiesto l’assistenza <strong>di</strong> un professionista Psicologo<br />

del <strong>La</strong>voro, offertosi <strong>di</strong> erogare gratuitamente il servizio<br />

<strong>di</strong> “CV-Check” all’interno <strong>dello</strong> spazio fi eristico<br />

appositamente destinato.<br />

Tante le domande e le <strong>di</strong>ffi coltà rilevate nell’utilizzo<br />

<strong>dello</strong> “strumento” Curriculum, che mentre nella<br />

visione comune è <strong>di</strong> semplice ed intuitiva compilazione,<br />

si rivela in realtà essere ancora ostico ed a<br />

tratti incomprensibile.<br />

Tanti i curricula non aggiornati, gli errori commessi<br />

nella declinazione delle attività formative, delle<br />

esperienze professionali e molti quelli commessi<br />

nel descrivere le proprie competenze, soprattutto<br />

sociali ed organizzative o nel <strong>di</strong>stinguere tra competenze<br />

tecniche ed informatiche. Numerose, infi ne,<br />

le domande poste sulla fi rma <strong>di</strong>gitale, sulla compilazione<br />

della tabella delle Lingue conosciute, su quale<br />

format <strong>di</strong> curriculum compilare.<br />

Nella settimana della Campionaria, presso la<br />

postazione dell’Or<strong>di</strong>ne, giovani e meno giovani<br />

hanno dunque avuto la possibilità <strong>di</strong> avere risposte<br />

e supporto nella stesura <strong>di</strong> uno strumento concepito<br />

per essere in<strong>di</strong>spensabile per l’ingresso nel Mondo<br />

del <strong>La</strong>voro. Il Curriculum però è un mezzo che non<br />

garantisce occupazione, ma determina la possibilità<br />

<strong>di</strong> autopresentarsi al “sistema azienda” in maniera<br />

effi cace e che obbliga ad una rifl essione personale<br />

circa le proprie aspettative e le possibili traiettorie<br />

professionali.<br />

Il Curriculum Vitae et Stu<strong>di</strong>orum, contiene in sé,<br />

infatti, il bagaglio delle esperienze formative, lavorative<br />

e “<strong>di</strong> vita” che ci caratterizzano non più per il<br />

solo titolo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o, ma anche in termini <strong>di</strong> risorse<br />

(personali e professionali) in grado <strong>di</strong> fornire valore<br />

aggiunto per un’eventuale can<strong>di</strong>datura in un contesto<br />

lavorativo, rappresentando quin<strong>di</strong> un passaporto<br />

necessario per rendersi appetibili in un Mercato del<br />

124<br />

Iniziative del Consiglio Regionale dell’Or<strong>di</strong>ne<br />

Gruppo <strong>di</strong> <strong>La</strong>voro Sviluppo della Professione<br />

Fiera del Levante 2012:<br />

bilancio <strong>di</strong> una esperienza<br />

<strong>La</strong>voro sempre più competitivo.<br />

Nel contesto socio-economico attuale, che pone<br />

il “fare rete” come possibilità per fronteggiare la crisi<br />

e in cui, come affermava Steve Jobs “la creatività sta<br />

nel connettere le cose”, si rende sempre più necessario<br />

un bilancio <strong>di</strong> competenze che possa permettere<br />

“l’integrazione” attraverso il riconoscimento della<br />

propria identità e delle proprie competenze.<br />

L’Unione Europea già nella Relazione congiunta<br />

del Consiglio e della Commissione sull’attuazione<br />

del programma <strong>di</strong> lavoro «Istruzione e formazione<br />

2010» - «Competenze chiave per un mondo in<br />

trasformazione» [Gazzetta Uffi ciale C 117/01 del<br />

06.05.2010], sottolineava l’importanza dell’applicazione<br />

pratica delle competenze chiave trasversali<br />

(competenza <strong>di</strong>gitale, competenze «imparare a<br />

imparare», competenze sociali e civiche, spirito <strong>di</strong><br />

iniziativa e <strong>di</strong> impren<strong>di</strong>torialità e consapevolezza<br />

culturale) come processo inelu<strong>di</strong>bile per lo sviluppo<br />

<strong>di</strong> una carriera professionale.<br />

Il bilancio del servizio offerto è <strong>di</strong> assoluto successo,<br />

sia per la sod<strong>di</strong>sfazione espressa dall’utenza,<br />

sia per la positiva collaborazione con i colleghi delle<br />

altre realtà istituzionali presenti all’interno del Pa<strong>di</strong>glione,<br />

sia per il riconoscimento, ottenuto sul campo<br />

in qualità <strong>di</strong> professionisti dell’Orientamento al<br />

<strong>La</strong>voro.<br />

<strong>La</strong> sfi da per il futuro, come Gruppo <strong>di</strong> <strong>La</strong>voro, è<br />

affrontare i nuovi scenari relativi all’Orientamento<br />

Professionale, ciascuno per la sua area <strong>di</strong> competenza,<br />

operando sempre meglio, ricercando l’eccellenza<br />

nella professione, stabilendo traguar<strong>di</strong> realistici, con<br />

l’auspicio che tali azioni possano essere non più occasionali,<br />

ma sistematiche e consolidate.<br />

Il Gruppo <strong>di</strong> <strong>La</strong>voro: Dott. Giuseppe Luigi Palma -<br />

Presidente Or<strong>di</strong>ne Psicologi della Regione Puglia<br />

Dott. Antonio Di Gioia - Consigliere e Coor<strong>di</strong>natore<br />

Gruppo <strong>di</strong> <strong>La</strong>voro<br />

Dott. Giuseppe <strong>La</strong>tilla - Consigliere<br />

Dott. Nicola Armenise<br />

Dott.ssa Francesca Izzo<br />

Dott. Fabrizio <strong>La</strong>mpugnano<br />

Dott.ssa Sabina Pistillo<br />

Dott.ssa Na<strong>di</strong>a Siragusa<br />

Dott. Valerio Vastarella


Autore: Vincenzo Ampolo<br />

Titolo: Oltre la Coscienza<br />

Or<strong>di</strong>naria.<br />

Ritmi Miti Sostanze<br />

Terapie<br />

E<strong>di</strong>tore: Kurumuni, Lecce<br />

Anno: 2012<br />

Pagine: 154<br />

Prezzo: € 15,00<br />

C’è da registrare, tra le attività<br />

istituzionali dei Servizi<br />

per le Tossico<strong>di</strong>pendenze, un<br />

crescente interesse per gli Stati<br />

Mo<strong>di</strong>fi cati <strong>di</strong> Coscienza, tanto<br />

d’aver promosso, in <strong>di</strong>verse<br />

realtà territoriali, Convegni e<br />

Ricerche specifi che, anche in<br />

collaborazione con le Università<br />

e con gli Insegnamenti interessati<br />

a questi argomenti.<br />

Se Georges <strong>La</strong>passade,<br />

professore emerito <strong>di</strong> Etnografi a e Scienze<br />

dell’Educazione presso l’Università <strong>di</strong> Parigi<br />

VIII e stu<strong>di</strong>oso dei fenomeni <strong>di</strong> “Transe”, è stato<br />

l’ispiratore ed il maggiore protagonista <strong>di</strong> queste<br />

ricerche, da Bologna a Rimini, da Torino a Lecce,<br />

pure il suo amore per il Salento e per i suoi riti<br />

gli ha agevolato una perio<strong>di</strong>ca permanenza, che ha<br />

portato alla creazioni <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi gruppi <strong>di</strong> lavoro<br />

impegnati su più fronti e aspetti dei fenomeni <strong>di</strong>ssociativi,<br />

non necessariamente patologici.<br />

L’autore del libro, che ha seguito <strong>La</strong>passade<br />

in <strong>di</strong>verse ricerche, <strong>di</strong> cui dà conto nel seguente<br />

testo, ha inoltre indagato aspetti ine<strong>di</strong>ti, come la<br />

<strong>di</strong>ssociazione creativa e le terapie capaci <strong>di</strong> indurre<br />

trance, o transe come le chiama <strong>La</strong>passade, a<br />

fi ni terapeutici.<br />

Riportiamo le parole <strong>di</strong> Leonardo Montecchi,<br />

psichiatra del Ser.T. <strong>di</strong> Rimini, che fi rma l’introduzione<br />

del volume:<br />

“Attenzione quello che viviamo non esaurisce la<br />

realtà, ci <strong>di</strong>ce Vincenzo Ampolo con le sue ricerche:<br />

ci sono molteplici stati <strong>di</strong> coscienza, non solo<br />

quello or<strong>di</strong>nario e questi stati non sono ‘irrazionalità’,<br />

malattie mentali da catalogare in un qual-<br />

Novità in libreria<br />

che manuale <strong>di</strong>agnostico statistico e da espungere<br />

come anomalie dal mondo or<strong>di</strong>nato e noioso della<br />

vita quoti<strong>di</strong>ana.<br />

Queste ricerche ci confermano che gli stati mo<strong>di</strong>fi<br />

cati <strong>di</strong> coscienza, che stanno oltre la coscienza<br />

or<strong>di</strong>naria, non sono <strong>di</strong>sturbi descritti da una qualche<br />

psicopatologia, ma risorse vitali (…) Ma tutti<br />

sappiamo che l’organizzazione del mondo della<br />

vita attuale ha trasformato e trasforma questi stati<br />

in segni <strong>di</strong> squilibrio mentale. Si tratta dunque <strong>di</strong><br />

ritrovare le strade, <strong>di</strong> aprire i varchi.<br />

In particolare mi sembra che la per<strong>di</strong>ta<br />

dell’accesso a quello che Henry Corbin<br />

ha chiamato il mundus immaginalis:<br />

l’immaginale, sia il tema che attraversa<br />

il lavoro <strong>di</strong> Ampolo”.<br />

Riattivare la coscienza immaginativa,<br />

che è precipitata nell’appiattimento<br />

dell’unica <strong>di</strong>mensione in cui viviamo<br />

per gran parte del nostro tempo, <strong>di</strong>venta<br />

così una priorità per l’uomo contemporaneo<br />

affamato <strong>di</strong> transiti creativi, <strong>di</strong><br />

vacanze della coscienza, <strong>di</strong> estasi e <strong>di</strong><br />

incanti, che evitino tuttavia il naufragio,<br />

le <strong>di</strong>pendenze o le <strong>di</strong>ssociazioni<br />

patologiche.<br />

E’ sempre Montecchi a sottolineare: “Il punto<br />

centrale, in queste esperienze come nelle esperienze<br />

dei movimenti che hanno sperimentato forme<br />

<strong>di</strong>ssociative senza essere guidati da caste sacerdotali,<br />

è come fare a mantenere il “cogito <strong>di</strong> transe”<br />

cioè a non perdere la coscienza <strong>di</strong> stare sperimentando.<br />

Come fare a mantenere il ricordo dell’esperienza<br />

e a non entrare nell’amnesia. E’ necessario<br />

entrare nel concetto <strong>di</strong> gruppalità che ci permette<br />

<strong>di</strong> pensare alla costellazione identitaria senza perdersi,<br />

così come è fondamentale formarsi ad una<br />

<strong>di</strong>ssociazione strumentale, come la chiamava Josè<br />

Bleger, questo signifi ca che l’uscita dallo stato <strong>di</strong><br />

coscienza or<strong>di</strong>naria non solo non è impossibile ma<br />

ci si può formare a questa esperienza senza <strong>di</strong>ventare<br />

una chiesa o una setta”.<br />

A questo proposito il libro, seguendo tracce <strong>di</strong><br />

antichi o nuovi percorsi, riporta tutta una serie <strong>di</strong><br />

tecniche terapeutiche, capaci <strong>di</strong> agevolare l’esplorazione<br />

<strong>di</strong> territori non facilmente accessibili ad<br />

uno stato <strong>di</strong> coscienza or<strong>di</strong>nario, che <strong>di</strong>ventano<br />

meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> lavoro nella realtà istituzionale e nella<br />

formazione <strong>di</strong> operatori socio-sanitari consapevoli.<br />

125


ORARI DI RICEVIMENTO<br />

DEI CONSIGLIERI<br />

Tutti gli iscritti possono essere ricevuti dai Consiglieri<br />

dell’Or<strong>di</strong>ne, facendone richiesta telefonica<br />

ai componenti del Consiglio interessati,<br />

oppure alla Segreteria o per e-mail.<br />

Per le cariche elettive gli orari <strong>di</strong> ricevimento<br />

sono i seguenti:<br />

Presidente: Dr. Giuseppe Luigi Palma<br />

martedì ore 16:30 - 18:00<br />

Vice Presidente:Dr. Vincenzo Gesualdo<br />

lunedì ore 16:00 - 19:00<br />

Segretario: Dr.ssa Carla Vulcano<br />

venerdì ore 15:30 - 18:30<br />

Tesoriere: Dr.ssa Aida De Leonar<strong>di</strong>s<br />

martedì ore 16:30 - 18:00<br />

SPORTELLO DEI CONSULENTI<br />

Previo appuntamento da fi ssare contattando la<br />

Segreteria dell’Or<strong>di</strong>ne, ogni iscritto può usufruire<br />

della:<br />

consulenza fi scale-tributaria<br />

(Dott. Giuseppe Nardelli):<br />

martedì dalle ore 10.00 alle ore 13.00<br />

e dalle ore 15.30 alle ore 17.00<br />

consulenza legale-amministrativa<br />

(Avv. Antonio Nichil):<br />

martedì dalle ore 15.30 alle ore 17.30<br />

126<br />

Notizie dalla Segreteria<br />

Sede: Via Fratelli Sorrentino N° 6, int. 6 Piano 3°<br />

(<strong>di</strong> fronte all’ingresso della Stazione Ferroviaria da Via Capruzzi)<br />

Orari <strong>di</strong> apertura al pubblico della Segreteria:<br />

lunedì, mercoledì e venerdì dalle ore 10:00 alle 12:00<br />

martedì e giovedì dalle ore 15:30 alle 17:30<br />

Telefono: 080 5421037 - Fax: 080 5508355<br />

In<strong>di</strong>rizzo del Sito Internet dell’Or<strong>di</strong>ne: http: www.psicologipuglia.it<br />

In<strong>di</strong>rizzi e-mail dell’Or<strong>di</strong>ne: segreteria@psicologipuglia.it<br />

N° totale degli iscritti alla sez. A al 27 novembre 2012: 3.618<br />

N° totale degli iscritti alla sez. B al 27 novembre 2012: 9<br />

N° totale iscritti con riconoscimento per l’attività psicoterapeutica: 1.580<br />

NUOVE ISCRIZIONI<br />

Si fa presente a tutti i laureati in psicologia che<br />

per poter esercitare, a qualsiasi titolo e presso<br />

qualsiasi struttura, pubblica o privata, attività<br />

che costituiscono oggetto della professione <strong>di</strong><br />

psicologo (art. 1 Legge N° 56/89) bisogna essere<br />

iscritti all’Albo ed essere in regola con i<br />

relativi oneri associativi.<br />

Gli Psicologi che avendo superato gli esami <strong>di</strong><br />

stato vorranno iscriversi all’Albo dovranno presentare<br />

istanza, come da ALLEGATO 1 sez.<br />

A o ALLEGATO 1 sez. B, <strong>di</strong>sponibili sul sito<br />

www.psicologipuglia.it<br />

AVVISO IMPORTANTE: Il Consiglio Nazionale<br />

dell’Or<strong>di</strong>ne degli Psicologi con la delibera<br />

n. 29/2011 stabilisce le nuove modalità <strong>di</strong> iscrizione<br />

ai vari Or<strong>di</strong>ni Regionali che avverrà tenendo<br />

conto del luogo <strong>di</strong> residenza o il luogo <strong>di</strong><br />

svolgimento della professione. Gli psicologi potranno<br />

quin<strong>di</strong> iscriversi solo all’Albo regionale<br />

<strong>di</strong> appartenenza secondo i criteri suddetti.<br />

CERTIFICATO<br />

Il certifi cato è gratuito e si può riceverlo su richiesta<br />

nelle seguenti modalità:<br />

via e-mail a segreteria@psicologipuglia.it, via<br />

fax al nr. 080-5508355, personalmente presso la<br />

segreteria negli orari <strong>di</strong> ricevimento.<br />

Per ricevere per posta il certifi cato in originale


isogna allegare:<br />

60 centesimi in francobolli (costo della spe<strong>di</strong>zione<br />

con posta prioritaria) in caso <strong>di</strong> massimo<br />

due certifi cati;<br />

1,40 centesimi in francobolli (costo della<br />

spe<strong>di</strong>zione con posta prioritaria) in caso <strong>di</strong> tre<br />

o più certifi cati.<br />

CAMBIO DI RESIDENZA O VARIAZIONI<br />

DI DOMICILIO<br />

E’ necessario informare per iscritto e tempestivamente<br />

la Segreteria delle variazioni <strong>di</strong> domicilio<br />

e dei cambi <strong>di</strong> residenza.<br />

NORME PER IL TRASFERIMENTO AD<br />

ALTRI ORDINI REGIONALI<br />

1) L’iscritto può fare richiesta <strong>di</strong> trasferimento<br />

se ha trasferito la residenza in un Comune del<br />

territorio <strong>di</strong> competenza <strong>di</strong> altro Consiglio Regionale<br />

o Provinciale oppure se vi ha collocato<br />

abituale domicilio per motivi <strong>di</strong> lavoro.<br />

2) Il richiedente deve possedere i seguenti<br />

requisiti preliminari:<br />

a) non deve avere in atto o in istruttoria contenziosi<br />

o proce<strong>di</strong>menti giu<strong>di</strong>ziari, <strong>di</strong>sciplinari,<br />

amministrativi e deliberativi che lo riguardano;<br />

b) deve essere in regola<br />

con il versamento<br />

all’Or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> appartenenza<br />

della tassa annuale dell’anno<br />

in corso e <strong>di</strong> quello precedente.<br />

3) L’interessato al trasferimento<br />

deve:<br />

- presentare domanda in bollo in<strong>di</strong>rizzata<br />

al Presidente del Consiglio<br />

dell’Or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> appartenenza;<br />

- deve rendere auto<strong>di</strong>chiarazione sul cambiamento<br />

della residenza ovvero del domicilio<br />

-<br />

-<br />

-<br />

-<br />

Notizie dalla Segreteria<br />

specifi cando in tal caso l’attività professionale<br />

che viene svolta e dove, in<strong>di</strong>cando se trattasi<br />

<strong>di</strong> lavoro <strong>di</strong>pendente o <strong>di</strong> collaborazione<br />

coor<strong>di</strong>nata e continuativa, ed il nominativo<br />

dell’Ente, della Società o dell’Associazione;<br />

nel caso <strong>di</strong> lavoro <strong>di</strong>pendente va <strong>di</strong>chiarato se<br />

sia o meno consentita la libera professione;<br />

allegare copia della ricevuta del versamento<br />

della tassa annuale dell’anno in corso e <strong>di</strong><br />

quello precedente, con l’avvertenza che se la<br />

domanda è presentata nel periodo precedente<br />

al versamento della tassa annuale, si deve<br />

provvedere al pagamento della tassa presso il<br />

Consiglio il quale procederà ad effettuare il<br />

relativo sgravio;<br />

allegare la ricevuta del versamento della tassa<br />

<strong>di</strong> trasferimento <strong>di</strong> 25,82 Euro da effettuare<br />

sul c/c postale n° 15399702 intestato a:<br />

Or<strong>di</strong>ne degli Psicologi - Regione Puglia - Via<br />

F.lli Sorrentino n° 6 - 70126 Bari;<br />

allegare fotocopia del documento <strong>di</strong> identità.<br />

NORME PER LA CANCELLAZIONE<br />

DALL’ALBO<br />

<strong>La</strong> cancellazione dall’Albo viene deliberata dal<br />

Consiglio Regionale dell’Or<strong>di</strong>ne,<br />

d’uffi cio, su richiesta dell’iscritto<br />

o su richiesta del Pubblico<br />

Ministero.<br />

Nel caso <strong>di</strong> rinuncia volontaria<br />

l’iscritto deve<br />

presentare apposita istanza<br />

in carta da bollo con<br />

cui chiede la cancellazione<br />

dall’Albo, allegando la<br />

ricevuta del versamento della<br />

tassa annuale dell’anno in corso e<br />

<strong>di</strong> quello precedente e la fotocopia del proprio<br />

documento <strong>di</strong> identità.<br />

127


128<br />

Servizio gratuito <strong>di</strong><br />

Posta Elettronica Certifi cata<br />

(PEC) per gli iscritti:<br />

ATTIVAZIONE<br />

Collegandosi all’Area servizi per gli<br />

psicologi italiani del Consiglio nazionale<br />

dell’Or<strong>di</strong>ne CNOP è ora possibile attivare<br />

la casella PEC offerta gratuitamente dal<br />

Consiglio della Puglia ai propri iscritti.<br />

Una volta entrati nell’Area servizi, tra<br />

le varie funzioni presenti sul sito CNOP<br />

comparirà anche quella relativa alla<br />

Posta Elettronica Certifi cata. Per vedersi<br />

assegnare la casella PEC sarà necessario<br />

scaricare un apposito modulo, compilarlo<br />

ed inviarlo al CNOP per posta prioritaria<br />

allegando copia documento d’identità.<br />

Il CNOP, svolte tutte le procedure<br />

necessarie, provvederà ad inviare<br />

all’iscritto un apposito messaggio <strong>di</strong><br />

posta elettronica avvisando che la casella<br />

PEC è stata attivata, fornendo anche le<br />

istruzioni per l’utilizzo.<br />

Si ricorda che la casella <strong>di</strong> Posta<br />

elettronica certifi cata verrà utilizzata<br />

dall’Or<strong>di</strong>ne regionale per tutti i<br />

proce<strong>di</strong>menti uffi ciali <strong>di</strong> interesse<br />

dell’iscritto.<br />

L’informativa contenente la PEC è sul<br />

sito dell’or<strong>di</strong>ne www.psicologipuglia.it<br />

Copertina:<br />

L’Autunno (1572), Giuseppe Arcimboldo<br />

CONSIGLIO DELL’ORDINE<br />

Presidente:<br />

Palma Giuseppe Luigi<br />

Vicepresidente:<br />

Gesualdo Vincenzo<br />

Segretaria:<br />

Vulcano Carla<br />

Tesoriere:<br />

De Leonar<strong>di</strong>s Aida<br />

Consiglieri:<br />

Canniello Floriana,<br />

Ciracì Carmelo,<br />

Dell’Olio Maria,<br />

Di Gioia Antonio,<br />

Foschino Barbara<br />

Maria Grazia,<br />

Francavilla Emma,<br />

<strong>La</strong>tilla Giuseppe,<br />

Muya Milena Aurelia,<br />

Nuzzo Salvatore,<br />

Rigliaco Antonio,<br />

Sanarico Michela<br />

Psicopuglia<br />

P i li<br />

Notiziario dell’Or<strong>di</strong>ne degli Psicologi della<br />

Regione Puglia<br />

Organo ufficiale del Consiglio dell’Or<strong>di</strong>ne degli<br />

Psicologi della Regione Puglia.<br />

Via F.lli Sorrentino, 6 - Bari<br />

Autorizzazione del Tribunale <strong>di</strong> Bari<br />

n.1173 del 3/5/94.<br />

Spe<strong>di</strong>zione in abbonamento postale - art. 2<br />

comma 20/c, legge 662/96 - Filiale <strong>di</strong> Bari<br />

Direttore responsabile: Salvatore Nuzzo<br />

Redazione: Giuseppe <strong>La</strong>tilla, Antonio Montrone,<br />

Antonio Rigliaco<br />

Stampa: Tipografia SUMA<br />

Sammichele <strong>di</strong> Bari (Ba) - tel. 0808917238<br />

www.tipografiasuma.it

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