impresa sociale - Euricse
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EFFICIENZA DELLE FORME ORGANIZZATIVE DEL “FARE” IMPRESA SOCIALE: UN CONFRONTO<br />
Adalgiso Amendola, Roberta Troisi<br />
1.2. Nella regolazione del terzo se ore è dunque in a o il progressivo<br />
aff ermarsi di un principio generale di autonomia sogge iva<br />
nella defi nizione della forma giuridico-organizzativa desiderata. Il<br />
problema è in che misura questa ampia libertà di scelta della forma<br />
organizzativa, in linea di principio assolutamente condivisibile, sia<br />
destinata a trovare applicazione operativa nel se ore nonprofi t. Ma<br />
anche di valutare in che misura l’eventuale non ada abilità di alcune<br />
forme organizzative, ad esempio, di tipo societario, alle a ività di<br />
produzione di beni e servizi di utilità <strong>sociale</strong>, possa generare, invece,<br />
distorsioni nell’accesso corre o alla legislazione premiale e di<br />
valorizzazione prevista per l’<strong>impresa</strong> <strong>sociale</strong>. Ciò rende, a nostro avviso,<br />
assolutamente cruciale, anche nel campo delle organizzazioni<br />
nonprofi t, il problema di individuare criteri e metodi di scelta tra i<br />
diversi tipi di organizzazione che siano economicamente ed organizzativamente<br />
effi cienti.<br />
Obie ivo generale del presente lavoro è, pertanto, di provare a valutare<br />
se questa opzione del legislatore di a ribuire un’ampia libertà di<br />
scelta delle forme organizzative per l’esercizio di a ività nonprofi t,<br />
e in particolare di a ività commerciali con fi nalità di utilità <strong>sociale</strong>,<br />
sia da considerarsi complessivamente effi ciente. A tal fi ne, facendo<br />
riferimento ad alcune nozioni di economia delle organizzazioni, esamineremo<br />
in che misura le principali forme giuridico-organizzative<br />
tra le quali la normativa vigente perme e di scegliere per l’esercizio<br />
di a ività di <strong>impresa</strong> <strong>sociale</strong>, si confi gurano come organizzazioni effi<br />
cienti, in rapporto ai diversi tipi di a ività di utilità <strong>sociale</strong> defi niti<br />
dalla stessa normativa.<br />
Come si dirà meglio più avanti, tra fa ori essenziali da considerare a<br />
riguardo sono, sia le fi nalità perseguite, sia la specifi ca natura dell’attività<br />
da realizzare (Grandori, 1999; Hansmann, 1980, 1988, 1990). Si<br />
tra a, appunto, degli stessi fa ori cui si riferisce il criterio funzionale<br />
della regolazione per il terzo se ore per il quale il legislatore sembra<br />
avere optato. Un primo passaggio necessario è dunque quello di<br />
provare a me ere a punto una tassonomia delle organizzazioni nonprofi<br />
t, cioè delle diverse tipologie giuridico-organizzative, previste<br />
dalla normativa vigente, in rapporto alle fi nalità - di utilità <strong>sociale</strong> o<br />
non - ed alla natura delle a ività - commerciali o non commerciali.<br />
Per procedere in tal senso si farà riferimento principalmente, ma non<br />
esclusivamente, al d.lgs. 460/1997 “Riordino della disciplina tributaria<br />
degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità<br />
<strong>sociale</strong>”, e al d.lgs. 115/2006 che ha regolato l’<strong>impresa</strong> <strong>sociale</strong>.<br />
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