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Jean Améry. INTELLETTUALE A AUSCHWITZ. Bollati Boringhieri ...

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"erano" se prescindiamo dalla patologia sessuale e cerchiamo di valutare gli aguzzini in base alle<br />

categorie della "filosofia", chiamiamola così, del marchese de Sade. Il sadismo inteso nel senso<br />

originario del termine, come concezione del mondo de-viato, è diverso dal sadismo descritto nei<br />

manuali di psicologia, diverso anche dall'interpretazione che del sadismo dà l'analisi freudiana.<br />

Citeremo quindi l'antropologo francese Georges Bataille che ha riflettuto a fondo sull'eccentrico<br />

marchese. Alla fine ci accorgeremo forse che non erano solo i miei tormentatori a riferirsi<br />

marginalmente a una filosofia sadica, ma che il nazionalsocialismo nella sua globalità era<br />

caratterizzato non tanto dal marchio di un «totalitarismo» difficilmente definibile, quanto da<br />

quello del "sadismo".<br />

Secondo Georges Bataille, il sadismo non va interpretato nei termini della patologia sessuale,<br />

bensì a livello psicologico-esistenziale: in questo senso si configura come radicale negazione<br />

dell'altro da sé, come negazione al tempo stesso del principio sociale e del principio di realtà.<br />

Un mondo in cui trionfino supplizio, distruzione e morte non può esistere, è evidente. Ma al sadico<br />

non importa la perpetuazione del mondo. Anzi: vuole annullare questo mondo, e nella negazione del<br />

suo simile, che per lui in un senso ben preciso è anche l'«inferno», intende realizzare la propria<br />

totale sovranità. Il prossimo è reso carne e nel farne carne già condotto nei pressi della morte;<br />

se necessario sarà infine sospinto oltre il confine della morte, nel Nulla. Così facendo il<br />

torturatore e assassino realizza la propria carnalità distruttiva, senza tuttavia che egli in essa<br />

si perda totalmente, come accade al torturato: quando vuole, infatti, egli può smettere di<br />

torturare. L'urlo di dolore e di morte dell'altro dipende da lui, egli è signore sulla carne e<br />

sullo spirito, sulla vita e la morte. La tortura appare così come un rovesciamento totale del mondo<br />

sociale, nel quale possiamo vivere solo se concediamo la vita anche al prossimo, se dominiamo la<br />

tendenza espansiva del nostro io, se mitighiamo la sua sofferenza. Nel mondo della tortura invece<br />

l'uomo sussiste solo nell'annientamento dell'altro. Una leggera pressione della mano avvezza<br />

all'uso dello strumento di tortura è sufficiente per trasformare l'altro, compresa la sua testa,<br />

nella quale magari sono conservati Kant e Hegel e tutte le Nove sinfonie e "Il mondo come volontà e<br />

rappresentazione", in un maialetto che urla terrorizzato mentre viene portato al macello. Il<br />

torturatore stesso a questo punto - quando tutto si è concluso, quando egli si è espanso nel corpo<br />

del suo simile e ha estinto ciò che era il suo spirito - può fumare una sigaretta oppure fare<br />

colazione oppure, se lo desidera, immergersi nel mondo come volontà e rappresentazione.<br />

Quando furono stanchi di torturare, quei tali di Breendonk si accontentarono della sigaretta e<br />

sicuramente lasciarono in pace il vecchio Schopenhauer. Non per questo il male che mi avevano<br />

inflitto era banale. Erano, se si vuole, degli ottusi burocrati della tortura. E tuttavia erano<br />

anche molto di più, lo capivo dai loro volti seri, tesi, non certo enfiati dal piacere sessuale<br />

sadico, bensì concentrati nell'autorealizzazione omicida. Con tutta l'anima svolgevano il loro<br />

incarico che implicava potere, dominio sullo spirito e sulla carne, trasgressione nell'illimitata<br />

autoespansione. Non ho dimenticato anche che vi furono momenti in cui provai una vergognosa<br />

ammirazione per la torturante sovranità che esercitavano sulla mia persona. Chi è in grado di<br />

ridurre un uomo così completamente a corpo e a piagnucolante preda della morte, non è forse un dio<br />

o almeno un semidio?<br />

Malgrado lo sforzo concentrato della tortura questa gente non dimenticava naturalmente la sua<br />

professione. Erano sbirri, ed era questo il mestiere in cui erano esperti. Continuavano quindi a<br />

pormi domande, sempre le stesse: complici, indirizzi, luoghi d'incontro. Per sgomberare ogni<br />

dubbio, ammetto subito di avere solo avuto molta fortuna, grazie al fatto che il nostro gruppo,<br />

proprio in vista del possibile tentativo di estorcerci informazioni, era organizzato assai bene. Io<br />

semplicemente non sapevo quanto a Breendonk si voleva sapere da me. Se invece dei nomi di battaglia<br />

fossi stato a conoscenza dei nomi veri, sarebbe forse, anzi certamente, successo un disastro e a<br />

questo punto sarei considerato il codardo che magari sono, e il traditore che potenzialmente già<br />

ero. In realtà io non opposi l'eroico silenzio che s'addice a un uomo in una situazione simile e<br />

del quale spesso si legge (per inciso: quasi sempre in resoconti di persone prive di esperienza<br />

diretta). Io parlavo. Mi accusavo, inventando, di fantastici delitti contro lo stato, dei quali<br />

ancora oggi non so come possano essere venuti in mente a quel fagotto penzolante che ero.<br />

Evidentemente speravo che dopo ammissioni tanto gravi un colpo ben assestato sul cranio avrebbe<br />

messo fine al tormento, spedendomi rapidamente all'altro mondo o almeno facendomi cadere in uno<br />

stato d'incoscienza. Quest'ultima ipotesi infine si verificò: per il momento era finita perché gli<br />

sgherri rinunciarono a risvegliarmi: le sciocchezze che avevo dato loro ad intendere tenevano<br />

occupate le loro stupide menti.<br />

Per il momento era finita. Ma non è ancora finita. Penzolo ancora, ventidue anni dopo, con le<br />

braccia slogate, ansimo e mi autoaccuso. Nessuna «rimozione» è possibile. Si può forse rimuovere<br />

una voglia sulla nostra pelle? Si può procedere a un intervento di chirurgia plastica, ma la pelle<br />

che verrà trapiantata al suo posto non è la pelle nella quale un essere umano possa sentirsi a<br />

proprio agio.<br />

Della tortura non ci si libera, così come non cessa di assillarci l'interrogativo circa le<br />

possibilità e i limiti di sopportazione. Ne ho parlato con numerosi compagni e ho cercato di<br />

immedesimarmi in molteplici esperienze. E' vero che l'uomo valoroso resiste? Non ne sono certo.<br />

Facciamo l'esempio di quel giovane aristocratico belga convertitosi al comunismo, considerato una

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