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Jean Améry. INTELLETTUALE A AUSCHWITZ. Bollati Boringhieri ...

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ormai insensata stabilità di dimora. Gli avessi risposto che ero originario di Hohenems, non<br />

avrebbe naturalmente potuto sapere dove si trova. E la mia provenienza non era forse del tutto<br />

indifferente? I suoi antenati si erano trascinati con il loro fagotto da un villaggio all'altro<br />

nella zona di Lwow, i miei, col caffettano, tra Feldkirch e Bregenz. Non c'era più alcuna<br />

differenza. Quelli delle S.A. e delle S.S. erano un po' meno buoni dei cosacchi. E l'uomo che nel<br />

mio paese chiamavano Führer, era molto peggio dello zar. L'ebreo errante aveva più Heimat di me.<br />

Se mi è consentito dare a questo punto una prima, provvisoria risposta al nostro quesito iniziale,<br />

direi che l'uomo ha tanto più bisogno di Heimat quanto meno può portarne via con sé. Esiste infatti<br />

qualcosa come una Heimat mobile o quanto meno un surrogato della Heimat. Può essere la religione,<br />

come quella ebraica. «L'anno prossimo a Gerusalemme», si promettono sin dai tempi antichi gli ebrei<br />

durante il rito pasquale, ma non era importante raggiungere veramente la Terra Santa, era<br />

sufficiente che si pronunciasse insieme la formula e ci si sapesse uniti nella magica cerchia<br />

patria di Yahweh, il Dio della stirpe.<br />

Surrogato della Heimat può essere anche il denaro. Vedo ancora quell'ebreo di Anversa costretto nel<br />

1940 a fuggire di fronte ai tedeschi: seduto in un prato delle Fiandre, estrasse dalle scarpe i<br />

suoi dollari e si mise a contarli con severo contegno. Che fortuna per lei, avere con sé tanto<br />

denaro! gli disse pieno d'invidia un altro. Al che il primo nel suo fiammingo mescolato a yiddish<br />

dignitosamente rispose: «In dezen tijd behoord de mens bij zijn geld», in tempi come questi l'uomo<br />

deve essere dove sono i suoi soldi. Portava con sé la Heimat in buona valuta americana: "ubi dollar<br />

ibi patria".<br />

Anche fama e stima possono temporaneamente sostituirsi alla Heimat. Nel suo libro di memorie "Ein<br />

Zeitalter wird besichtigt" Heinrich Mann scrive: «Al sindaco di Parigi era stato fatto il mio nome.<br />

A braccia aperte mi venne incontro: c'est vous, l'auteur de L'Ange Bleu! Questo è stato per me<br />

l'apice della fama.» Il grande scrittore intendeva essere ironico, poiché era evidentemente offeso<br />

dal fatto che una personalità francese di lui sapesse solo che era l'autore del romanzo da cui era<br />

stato tratto il film "L'angelo azzurro". Quanto sanno essere ingrati i grandi scrittori! Heinrich<br />

Mann era al sicuro nella Heimat della fama, per quanto questa facesse spassosamente capolino dietro<br />

le gambe della Dietrich.<br />

Quanto a me, ero - sperso fra gli esuli in fila davanti alla sede del Comitato di soccorso ebraico<br />

di Anversa per ottenere il sussidio settimanale - privo di qualunque riparo. Gli scrittori di<br />

lingua tedesca emigrati allora famosi o anche solo relativamente noti - i cui documenti dell'esilio<br />

sono oggi raccolti nel volume "Verbannung" edito da Wegner-Verlag - si incontravano a Parigi,<br />

Amsterdam, Zurigo, Sanary-sur-mer, New York. Anch'essi avevano delle preoccupazioni, parlavano dei<br />

visti, dei permessi di soggiorno, dei conti degli alberghi. Ma fra loro discutevano anche dei libri<br />

di più recente pubblicazione, della riunione dell'Associazione scrittori, di un congresso<br />

antifascista internazionale. Vivevano inoltre nell'illusione di essere la voce della «Germania<br />

autentica» che all'estero poteva alzarsi alta a favore di quella Heimat che il nazionalsocialismo<br />

aveva reso schiava. Nulla di tutto ciò per noi anonimi. Non potevano distrarci con l'immaginaria<br />

Germania autentica che avremmo portato con noi, non possedevamo nessun rituale formale di una<br />

cultura tedesca conservata nell'esilio in attesa di giorni migliori. I profughi senza nome vivevano<br />

un'esistenza sociale più conforme alla realtà tedesca e internazionale: la coscienza determinata da<br />

questa esistenza consentiva, esigeva, pretendeva una più approfondita conoscenza della realtà. Essi<br />

sapevano di essere degli esuli e non i conservatori di un invisibile museo della storia spirituale<br />

tedesca. Comprendevano meglio di essere stati privati della Heimat e potevano, non disponendo di<br />

alcun surrogato mobile della stessa, riconoscere con maggior precisione quanto fosse profondo il<br />

bisogno di Heimat di un essere umano.<br />

Certo, non è gradevole essere considerato l'ultima retroguardia dell'esercito del «sangue e suolo»,<br />

e voglio quindi chiarire che mi rendo perfettamente conto dell'arricchimento e delle occasioni che<br />

l'essere senza Heimat ci offrì. So ben valutare cosa significò per me l'apertura verso il mondo<br />

offertaci dall'emigrazione. Quando andai all'estero, di Paul Eluard conoscevo a malapena il nome,<br />

mentre ritenevo fosse una importante figura letteraria uno scrittore di nome Karl Heinrich Waggerl.<br />

Ho alle spalle ventisette anni di esilio e i miei connazionali spirituali sono Proust, Sartre,<br />

Beckett. Sono però tuttora convinto che sia necessario avere connazionali nelle strade dei villaggi<br />

e delle città, se si vuole apprezzare sino in fondo i connazionali spirituali, e che un<br />

internazionalismo culturale cresce bene solo nell'humus della sicurezza nazionale. Thomas Mann<br />

viveva e discuteva nell'atmosfera internazionale anglosassone della California e scrisse con le<br />

forze dell'autoconsapevolezza nazionale il "Faustus", un romanzo esemplarmente tedesco. Si legga<br />

"Le parole" di Sartre e si raffronti questo libro con "Il traditore", l'autobiografia del suo<br />

allievo, l'esule André Gorz: in Sartre, francese purosangue, il superamento e l'assimilazione<br />

dialettica del retaggio spirituale dei Sartre e degli Schweitzer, danno valore e peso al suo<br />

internazionalismo; in Gorz, l'emigrante austriaco mezzo ebreo, l'affannosa ricerca di un'identità,<br />

dietro la quale si cela il bisogno di trovare quel radicamento nella terra natale, dal quale<br />

l'altro orgogliosamente e virilmente si affranca. Bisogna avere una Heimat per potervi rinunciare,<br />

per non averne bisogno, così come nel pensiero bisogna essere in possesso della logica formale per<br />

potere procedere oltre, verso più fertili sfere dello spirito.<br />

E' giunto il momento di spiegare quale significato attribuisca a questa entità imprescindibile che

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