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Jean Améry. INTELLETTUALE A AUSCHWITZ. Bollati Boringhieri ...

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non sapevate o eravate troppo giovani o addirittura non ancora nati? Avreste dovuto aprire gli<br />

occhi, la vostra gioventù non è un salvacondotto e rompete con vostro padre.<br />

Devo ripropormi l'interrogativo cui avevo brevemente accennato nella mia analisi dei risentimenti:<br />

sono forse psicologicamente disturbato, soffro magari di un male incurabile, di una forma di<br />

isteria? La domanda è puramente retorica. La risposta l'ho trovata da molto tempo ed è assai<br />

concisa. Il mio tormento non è provocato da una nevrosi, bensì da una realtà su cui ho attentamente<br />

riflettuto. Non erano allucinazioni isteriche né il "verrecke!", né i commenti della gente, secondo<br />

la quale se non vi fosse stato qualche fondato sospetto, gli ebrei non sarebbero stati trattati con<br />

tanta durezza. «Se li arrestano qualcosa devono aver combinato», disse una sana operaia<br />

socialdemocratica a Vienna. «Che crudeltà quello che stanno facendo agli ebrei, mais enfin...»,<br />

ragionava a Bruxelles un tale animato da spirito umanitario e patriottico. Ne devo per forza<br />

dedurre che non sono e non ero disturbato, e che la nevrosi va attribuita agli avvenimenti storici.<br />

I folli sono gli altri, e io mi aggiro smarrito fra loro, come un savio che nel corso di una visita<br />

in una clinica psichiatrica improvvisamente perda di vista medici e infermieri. Essendo<br />

immediatamente eseguibile, la sentenza pronunciata contro di me dai folli risulta pienamente<br />

vincolante, e la mia chiarezza di spirito invece del tutto priva di rilevanza.<br />

Le mie riflessioni volgono al termine. Dopo aver chiarito come mi muovo nel mondo, è forse giunto<br />

il momento di spiegare in quali rapporti sono con quelli della mia stirpe, gli ebrei. Ma siamo<br />

veramente imparentati? Gli esiti cui può giungere uno studioso delle razze in merito a questo o<br />

quel mio tratto somatico ebraico, possono avere una qualche importanza se mi vengo a trovare nel<br />

bel mezzo di una massa che - dàgli, dàgli addosso! - pratica la caccia agli ebrei. E' privo di<br />

significato quando sono solo con me stesso o fra ebrei. Ho un naso da ebreo? Potrebbe rivelarsi una<br />

calamità nel momento in cui - dàgli addosso! - iniziasse la caccia. Ma non stabilisce alcun nesso<br />

con alcun altro naso da ebreo del mondo. L'aspetto esteriore da ebreo che forse, non so, mi è<br />

proprio, è un problema che riguarda gli altri, e diviene anche il mio solo nel rapporto oggettivo<br />

che essi stabiliscono con me. Se anche sembrassi uscito dal libro di Johann von Leer "Juden sehen<br />

dich an", il fatto non avrebbe per me alcuna realtà soggettiva e fra me e i miei simili ebrei<br />

determinerebbe forse una identità di destino ma non una comunanza positiva. Non resta quindi che il<br />

rapporto spirituale, o meglio il rapporto percepito al livello di coscienza, fra ebrei, ebraismo e<br />

me.<br />

Ho già anticipato che si tratta di un non-rapporto. Con gli ebrei in quanto ebrei non condivido<br />

quasi nulla: non la lingua, non la tradizione culturale, non i ricordi d'infanzia. Nel Vorarlberg,<br />

in Austria, viveva un tale, proprietario di un ristorante e di una macelleria, del quale mi<br />

raccontavano che parlava correntemente l'ebraico. Era il mio bisnonno. Non l'ho mai conosciuto e<br />

deve essere morto quasi cent'anni fa. Prima della catastrofe il mio interesse per l'ebraismo e gli<br />

ebrei era a tal punto limitato che oggi non saprei dire nel modo più assoluto chi dei conoscenti di<br />

allora fosse ebreo e chi no. Risulterebbe vano ogni tentativo di ritrovare nella storia ebraica la<br />

mia storia, nella cultura ebraica un mio patrimonio, nel folclore ebraico le mie personali<br />

reminiscenze. L'ambiente in cui mi sono mosso negli anni in cui si scopre il proprio io non era<br />

ebraico e questo non lo si può annullare. In ogni caso l'inutilità della ricerca di un me stesso<br />

ebraico non impedisce che mi senta solidale con tutti gli ebrei minacciati di questo mondo.<br />

Apprendo dal giornale che a Mosca sarebbe stata scoperta una panetteria illegale per la produzione<br />

del pane azzimo ebraico e che il panettiere sarebbe stato arrestato. Come genere alimentare, ai<br />

tradizionali mazzot degli ebrei tutto sommato preferisco le fette di segale. Tuttavia il modo di<br />

procedere delle autorità sovietiche mi turba, anzi mi indigna. Negli Stati Uniti un qualche<br />

country-club, a quanto pare non accetta soci ebrei. In nessun caso vorrei far parte di questa<br />

squallida associazione, tuttavia mi schiero a fianco degli ebrei che chiedono di potersi iscrivere.<br />

Che un qualche uomo di stato arabo pretenda di cancellare Israele dalla carta geografica mi<br />

colpisce profondamente, sebbene non abbia mai visitato lo stato di Israele e non abbia la minima<br />

inclinazione ad andarci a vivere. La solidarietà con tutti gli ebrei minacciati nella loro libertà,<br />

nella parità di diritti o addirittura nella loro esistenza fisica è "anche" ma "non solo" una<br />

reazione all'antisemitismo, che secondo Sartre non è un'opinione, ma la predisposizione e la<br />

disponibilità al crimine del genocidio: essa è parte della mia persona ed è un'arma nella lotta per<br />

riconquistare la dignità. Solo quando, pur senza essere ebreo nel senso di una determinazione<br />

positiva, sarò ebreo nella coscienza e nell'accettazione del verdetto universale emesso contro gli<br />

ebrei e infine sarò parte attiva nel processo d'appello storico, solo allora potrò pronunciare la<br />

parola libertà.<br />

La solidarietà di fronte alla minaccia è tutto ciò che mi lega ai miei contemporanei ebrei, ai<br />

credenti come ai non credenti, a quelli di tendenze nazionali come a quelli favorevoli<br />

all'assimilazione. Per loro significa poco o nulla. Per me e per la mia continuità tuttavia<br />

significa molto, forse più della mia comprensione dei libri di Proust, della mia fedeltà ai<br />

racconti di Schnitzler, del mio amore per il paesaggio fiammingo. Senza Proust e Schnitzler e i<br />

pioppi piegati dai venti del Mare del Nord, sarei più povero di quanto non sia, ma sarei pur sempre<br />

un uomo. Senza il sentimento di affinità con i minacciati sarei un esule dalla realtà che rinuncia<br />

a sé stesso.<br />

Sottolineo la parola realtà, perché in ultima analisi è questa che conta per me. L'antisemitismo

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