22.05.2013 Views

Jean Améry. INTELLETTUALE A AUSCHWITZ. Bollati Boringhieri ...

Jean Améry. INTELLETTUALE A AUSCHWITZ. Bollati Boringhieri ...

Jean Améry. INTELLETTUALE A AUSCHWITZ. Bollati Boringhieri ...

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

necessario aggiungere come il pesante contenuto di verità della lingua madre - tanto opprimente nel<br />

paese d'esilio occupato - sia stato spaventosamente duraturo e a tutt'oggi per noi gravi sulla<br />

lingua?<br />

Il fatto che la lingua madre si mostrasse ostile, non implicò che quella straniera, in compenso, ci<br />

divenisse autenticamente amica. Essa si mostrava e si mostra riservata, e ci riceve solo per brevi<br />

visite di cortesia. Si passa a trovarla, "comme on visite des amis", il che suona diverso dal dire<br />

che si va a trovare degli amici. "La table" non sarà mai "der Tisch", nella migliore delle ipotesi<br />

la sua funzione è legata al cibo. Persino singole vocali, per quanto potessero seguire le stesse<br />

regole fisiche delle vocali tedesche, erano, e tuttora restano, estranee. Ricordo che nei primi<br />

giorni dell'esilio, ad Anversa sentii un ragazzino che consegnava il latte a domicilio, pronunciare<br />

in un olandese con forte cadenza dialettale fiamminga, un «Ja» che presentava la stessa a chiusa,<br />

affine alla o, usata in quella stessa parola anche nel dialetto della mia regione. Lo Ja era allo<br />

stesso tempo noto ed estraneo, e in quel momento compresi che nell'altra lingua sarei sempre stato<br />

un ospite appena tollerato. La posizione della bocca del ragazzo nel dire Ja non era quella che<br />

conoscevo. La porta davanti alla quale parlava era diversa dai portoni tipici della mia terra. Il<br />

cielo sopra di noi era un cielo fiammingo. Ogni lingua è parte di una realtà complessiva nei<br />

confronti della quale, se si vuole accedere alla sfera linguistica con la coscienza tranquilla e a<br />

passo sicuro, è necessario avere un ben fondato diritto di proprietà.<br />

Ho cercato di ricostruire e di capire cosa abbia significato per noi, esuli dal Terzo Reich, la<br />

perdita della Heimat e della lingua madre. S'impone tuttavia l'interrogativo - e il titolo delle<br />

mie riflessioni esige una risposta - quale significato abbia in generale, indipendentemente dal<br />

destino individuale, la Heimat per l'uomo contemporaneo. E' evidente che lo spirito dell'epoca non<br />

è favorevole al concetto di Heimat: viene subito fatto di pensare a un angusto nazionalismo, alle<br />

rivendicazioni territoriali delle associazioni di rifugiati, a nostalgie del passato. Heimat: non è<br />

forse un valore sbiadito, un concetto che ancora conserva una certa carica emotiva ma che va<br />

progressivamente svuotandosi di significato, un rimasuglio del passato, privo di riferimenti reali<br />

nella moderna società industriale? Torneremo su questo problema. Dapprima tuttavia è necessario<br />

chiarire in modo dovutamente sintetico il rapporto esistente fra "Heimat" e "Vaterland" [patria,<br />

nazione], poiché secondo una interpretazione assai diffusa si ritiene di poter ancora salvare<br />

almeno in quanto valore pittoresco, il concetto di Heimat nella sua limitatezza regionale,<br />

folcloristica, mentre appare profondamente sospetto quello di Vaterland, parola d'ordine demagogica<br />

ed espressione di ostinatezza reazionaria. "L'Europe des patries": suona male, è solo l'ossessione<br />

di un vecchio generale che in un prossimo futuro sarà spazzato dal vento della storia.<br />

Io non sono un vecchio generale. Non ho sogni di grandezza nazionale, il mio album di famiglia non<br />

comprende militari e alti funzionari dello Stato. Provo inoltre profonda avversione per le<br />

"Schützenfeste" [feste dei tiratori], per manifestazioni canore o in costume; in genere sono<br />

proprio ciò che non molto tempo addietro in Germania era definito una "Intelligenzbestie" [mostro<br />

di sapienza], e so di non essere privo di tendenze distruttive. Ma dato che sono un esperto senzapatria,<br />

oso schierarmi a favore del valore Heimat, respingo la sottile distinzione fra Heimat e<br />

Vaterland e ritengo infine che la mia generazione difficilmente possa rinunciare alle due cose, che<br />

sono poi una sola. Chi non ha un Vaterland, ossia chi non ha un rifugio in un organismo sociale<br />

indipendente e costituente un'unità statale autonoma, non ha, io credo, nemmeno una Heimat. "Kde<br />

domow muj" - dov'è la mia patria - cantavano i cechi ai tempi in cui nello Stato plurinazionale<br />

della monarchia austro-ungarica non riuscivano a individuare e a sentire la loro terra ceca - che<br />

non era uno Stato autonomo - né in quanto Heimat né in quanto Vaterland. Cantavano queste parole<br />

perché intendevano conquistare un Vaterland e così realizzare la loro Heimat. Qualcuno potrebbe<br />

obiettare che si trattava della reazione di un popolo culturalmente ed economicamente oppresso,<br />

«colonizzato» dalla maggioranza etnica tedesca esistente in Austria. Quando invece nazioni con<br />

uguali diritti, per libera scelta si uniscono in una più vasta comunità, esse possono conservare la<br />

loro Heimat, nella salvaguardia di un particolarismo regionale e linguistico, senza avere più<br />

bisogno del «Vaterland» sotto forma di Stato. Il loro Vaterland sarà più vasto: una piccola Europa<br />

domani, una grande Europa dopodomani, il mondo in un futuro non ancora riconoscibile ma che<br />

s'avvicina a grandi passi.<br />

Ho i miei dubbi. Da un lato credo di avere sperimentato con sufficiente chiarezza, come la Heimat<br />

cessi di essere tale quando non è al contempo anche Vaterland. Il mio paese mi divenne totalmente<br />

estraneo quando il 12 marzo 1938 fu privato della sua autonomia statale e annesso al Reich tedesco.<br />

Le uniformi dei poliziotti, le cassette della posta sui muri delle case, gli stemmi negli uffici<br />

pubblici, molte insegne dei negozi avevano un aspetto nuovo e persino i menu nei ristoranti<br />

presentavano piatti nuovi, a me sconosciuti. D'altro canto il Vaterland più vasto perde la sua<br />

qualità di Vaterland quando s'ingrandisce troppo oltre una dimensione ancora sperimentabile come<br />

Heimat. Allora diviene un impero che, come l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti, comunica ai suoi<br />

abitanti una coscienza e un esasperato nazionalismo imperiali. Se un domani i nordamericani<br />

dovessero conquistare tutto il continente, compresi gli stati latinoamericani, la loro coscienza<br />

imperiale rimarrebbe la stessa di oggi. Come oggi si trasferiscono dal New England nello Iowa o in<br />

California, così domani si trasferirebbero con le loro famiglie da New York a La Paz, entusiasti<br />

del fatto che tutto questo sterminato paese appartenga a loro e sia soggetto alla Casa Bianca.

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!