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Jean Améry. INTELLETTUALE A AUSCHWITZ. Bollati Boringhieri ...

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mentre scucchiaio la zuppa da una lattina. Non ero in grado di definirmi con precisione, perché mi<br />

erano stati confiscati passato e origine, perché non vivevo in una casa ma nella baracca numero tal<br />

dei tali, perché avevo anche un secondo nome, Israel, un nome che non mi avevano dato i miei<br />

genitori ma un tale di nome Globke. Non era una buona cosa. Ma non era nemmeno esiziale. Perché io<br />

ero, se non un passato e un presente decifrabili, in ogni caso un futuro: magari un uomo che uccide<br />

un luogotenente generale, magari un operaio a New York? un colono in Australia, uno scrittore di<br />

lingua francese a Parigi, un "clochard" che sul lungosenna se la spassa con una bottiglia di<br />

acquavite.<br />

Chi invece invecchia esaurisce il proprio credito Il suo orizzonte si avvicina, i suoi domani e<br />

dopodomani non posseggono più né forza né certezza. E' solo ciò che è. L'avvenire non lo circonda<br />

più e quindi non è più nemmeno in lui. Non può richiamarsi a un divenire. Al mondo mostra un nudo<br />

Essere. Tuttavia egli può sussistere se, equilibrato in questo Essere, esiste un Essere stato.<br />

Vede, dice l'anziano il cui Essere privo di futuro ha in sé un Essere stato non sconfessato<br />

socialmente, vede, Lei magari scorge solo il piccolo contabile, il pittore mediocre, l'asmatico che<br />

arranca su per le scale. Lei scorge solo ciò che sono, non ciò che sono stato. Ma anche ciò che<br />

"sono stato" determina il mio Io, e Le posso quindi giurare sul mio onore che il mio professore di<br />

matematica riponeva grandi speranze in me, che la mia prima mostra riscosse critiche eccellenti,<br />

che ero un buono sciatore. La pregherei di aggiungere anche questo all'immagine che si fa di me.<br />

Accetti la dimensione del mio passato, altrimenti sarei fortemente incompleto. Non è vero, o non è<br />

del tutto vero, che l'uomo è solo ciò che ha realizzato. Non è del tutto esatto ciò che ha detto<br />

Sartre, ossia che per una vita che volga al termine, la fine sia la verità dell'inizio. E' stata<br />

un'esistenza meschina? Forse. Ma non lo fu in tutte le sue tappe. Le mie potenzialità di allora<br />

sono parte di me quanto il mio successivo fallimento o insufficiente riuscire. Mi sono ritirato nel<br />

passato, in lui ho trovato un rifugio, vivo in pace; grazie, non me la passo male. Queste<br />

all'incirca le parole di chi ha diritto al proprio passato.<br />

L'esule dal Terzo Reich non potrà mai pronunciarle, nemmeno pensarle. Volge indietro lo sguardo<br />

essendo il futuro qualcosa cui vanno incontro solo i giovani e che quindi spetta solo a loro - e<br />

non riesce a scorgersi in nessun luogo. Giace irriconoscibile fra le rovine degli anni che vanno<br />

dal 1933 al 1945 . E non da oggi. Ricordo assai bene quei commercianti ebrei dall'animo semplice<br />

che all'inizio dell'esilio, quando popolavano le sale d'attesa di consolati esotici, facevano<br />

appello alla posizione sociale che avevano da poco perduto in Germania. Uno era stato proprietario<br />

di una grande ditta di confezioni a Dortmund, l'altro di un rinomato negozio di porcellane a Bonn,<br />

il terzo aveva addirittura avuto la nomina a Consigliere di commercio ed era membro del Tribunale<br />

commerciale. Lasciarono da parte in fretta le loro spacconate e abbassarono la testa come gli altri<br />

che mai avevano tenuto in mano una banconota da mille marchi. Capirono con sorprendente velocità<br />

che i clienti di Dortmund o di Bonn nel 1933 avevano annullato tutti gli ordini. Il loro passato<br />

inteso come fenomeno sociale era stato revocato dalla società; in queste condizioni era impossibile<br />

conservarlo ancora come proprietà psicologica soggettiva. E tanto più invecchiavano, tanto più<br />

grave diveniva per loro la perdita, anche se a New York o a Tel Aviv erano tornati a commerciare<br />

con successo in abiti o stoviglie, il che, sia detto per inciso, riuscì solo a un numero<br />

relativamente limitato fra loro.<br />

Per altri invece non si trattava di merci, ma dell'effimero patrimonio spirituale e in questo caso<br />

la perdita di ciò che era stato portava con sé l'imbarbarimento totale del mondo. Un fatto, questo,<br />

che solo chi al momento della emigrazione era già anziano non riconobbe esattamente. Nel campo di<br />

Gurs nella Francia meridionale, dove nel 1941 mi trovai per qualche mese, era internato, quasi<br />

settantenne, il poeta Alfred Mombert, di Karlsruhe, all'epoca assai noto, che a un amico scrisse:<br />

"Tutto scivola via da me, come una forte pioggia... Ho dovuto abbandonare tutto, proprio tutto.<br />

L'appartamento, sigillato dalla Gestapo. Consentito portare con sé cento, dicasi cento, marchi. Nel<br />

giro di qualche ora alla stazione, con mia sorella settantaduenne e con tutta la popolazione<br />

ebraica del Baden e del Palatinato, compreso il lattante e il più anziano vegliardo, e poi il<br />

trasporto, via Marsiglia, Tolosa verso i Bassi Pirenei in un grande campo d'internamento... Chissà<br />

se a un altro poeta tedesco è mai successo qualcosa di simile?"<br />

Di queste frasi quasi insopportabili a noi interessano solo la prima e l'ultima: fra le due<br />

affermazioni c'è una contraddizione che ha in sé tutta la problematicità del nostro esilio e la cui<br />

soluzione non poteva certo venire da un uomo anziano, morto in Svizzera un anno dopo avere scritto<br />

la lettera. Tutto scivolava via come una forte pioggia, non lo si può negare. Il passato del poeta<br />

neoromantico Alfred Mombert, autore del volume "Der himmlische Zecher", defluì dal mondo il giorno<br />

in cui il settantenne di nome Alfred Israel Mombert venne deportato da Karlsruhe, e nessuna mano si<br />

levò in sua difesa. E tuttavia, quando l'irreparabile era ormai avvenuto, egli si definì un «poeta<br />

tedesco». Nella baracca di Gurs, affamato, tormentato dai parassiti, forse angariato da un ignaro<br />

gendarme del regime di Vichy, non avrebbe in nessun caso potuto riconoscere quanto molti di noi<br />

poterono comprendere solo in anni di intense riflessioni e indagini: e cioè che poeta tedesco può<br />

essere solo colui che non solo compone "in tedesco", ma "per" i tedeschi, per loro esplicito<br />

desiderio; che quando tutto scivola via, scompaiono anche le ultime tracce del passato. A ripudiare

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