Bollettino Diocesano 2010_Testo.pdf - Webdiocesi
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___________________________________________________________ La parola del Vescovo<br />
riduce cioè la ragione umana soltanto ad una parte di essa, a quella che è tipica e<br />
propriamente adeguata all’ambito tecnico. Non esprime la compiuta ragione<br />
dell’uomo. Siamo perciò di fronte ad una incompletezza che pretende invece la<br />
esaustività.<br />
Conseguentemente, questa “nuova cultura” mette in discussione anche la stessa<br />
coscienza morale. Affermando infatti che “è razionale solo ciò che si può provare con<br />
degli esperimenti, la morale, che appartiene ad una sfera del tutto diversa, come categoria a sé<br />
sparisce e deve essere rintracciata in altro modo. Non se ne può fare a meno, questo è chiaro, e<br />
quindi, in un mondo basato sul calcolo, la si rintraccia nel calcolo pragmatico delle<br />
conseguenze. È il calcolo delle conseguenze che determina cosa bisogna considerare morale<br />
oppure no. E così la categoria di bene, come era stata per es. espressa in modo sicuramente<br />
significativo da Kant, sparisce. 3 Niente in sé è bene o male, tutto dipende dalle conseguenze che<br />
un’azione lascia prevedere.” (idem)<br />
Come dunque ci si può ben rendere conto, l’accantonamento delle radici cristiane<br />
è il segno di una cultura che assolutizza il parziale, un pensare che cerca la radicale<br />
emancipazione dell’uomo da Dio, visto come nemico e dalle radici della vita, viste<br />
come schiavitù. L’assenza della menzione delle radici cristiane non è, come<br />
potrebbe sembrare forse a prima vista ad osservatori poco attenti, espressione di<br />
una superiore tolleranza che rispetta tutte le culture senza privilegiarne alcuna,<br />
oppure che vuole salvaguardare la dignità degli atei e degli agnostici. Essa è<br />
piuttosto espressione di “una coscienza che vorrebbe vedere Dio cancellato definitivamente<br />
dalla vita pubblica dell’umanità e accantonato nell’ambito soggettivo di residue culture del<br />
passato. (idem)<br />
Qual è il punto di partenza di questa cultura o comunque il punto determinante e<br />
strutturante? Si è parlato sovente di “relativismo” 4 . Le formule sintetiche rischiano<br />
sempre ed in parte è così, di essere sommarie e generiche. Servono però almeno a<br />
dare un nome a fenomeni complessi.<br />
Con “relativismo” non si intende ovviamente che ogni cosa è “in relazione” e<br />
quindi in questo senso “relativa” agli altri e alle altre cose. Questo è un fatto<br />
talmente evidente che non può essere messo in discussione e non costituisce alcun<br />
problema. Ma non è ciò di cui si parla. Né si parla del fatto che ogni cosa trovi la<br />
sua completa individuazione anche relativamente alla sua collocazione nello spazio<br />
e nel tempo. Con la parola “relativismo” si intende piuttosto quel modo di pensare<br />
e di agire per cui non ci sono e non ci possono essere valori assoluti ed universali,<br />
punti di riferimento incrollabili e validi comunque in qualsiasi ambiente e<br />
circostanza. Non esistono verità, ogni ideale si equivale, ognuno ha il diritto di<br />
seguirlo senza alcun vincolo. Ogni cosa e ogni scelta si equivale all’altra,<br />
eventualmente può essere valutata in base alla sua efficacia concreta in ordine al<br />
3 E. Kant nella “Critica della ragion pratica”: la legge morale sancisce che il nostro comportamento deve<br />
seguire la ragione (imperativo categorico) - Agisci in modo che tu possa volere che la massima della tua<br />
azione divenga universale. - Agisci in modo da trattare l'uomo, così in te come negli altri, sempre anche<br />
come fine e non mai solo come mezzo. - Agisci in modo che la tua volontà possa istituire una<br />
legislazione universale.<br />
4 Giovanni Paolo II, Veritatis splendor, 1993, n.84<br />
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