Gennaio/Febbraio 2011 - Associazione Nazionale Carabinieri
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Ex URSS<br />
IL 26 APRILE 1986 LA TRAGICA ESPLOSIONE DEL REATTORE N. 4<br />
Chernobyl 25 anni dopo<br />
Le conseguenze per la salute potranno protrarsi fino a 70 anni dall’evento<br />
di Davide Livocci e Kateryna Kelbus<br />
La notte del 26 aprile 1986 era da<br />
poco passata l’una quando il reattore<br />
numero 4 della centrale nucleare<br />
di Chernobyl esplose, il Tenente<br />
Vladimir Pravik era il<br />
Caposquadra del primo gruppo di Vigili del<br />
Fuoco arrivato sul luogo con il compito di spegnere<br />
un incendio causato da un semplice<br />
corto circuito. Pravik morì il 9 maggio 1986,<br />
13 giorni dopo l'esplosione e come lui morirono<br />
molte centinaia di appartenenti ai Vigili<br />
del Fuoco, alle Forze Armate ed alle Forze<br />
di Polizia in azione in quei giorni. La quantità<br />
di materiale radioattivo rilasciata dall’incidente<br />
fu massiccia; una nube tossica contaminò<br />
pesantemente Ucraina, Bielorussia e<br />
parte della Russia; sospinta dalle correnti atmosferiche,<br />
giunse ad interessare gran parte<br />
■ Monumento in menoria al disastro di Chernobyl<br />
dell’Europa. La zona che fu maggiormente<br />
esposta alle radiazioni fu quella compresa<br />
entro un raggio di 30 km dalla centrale, ora<br />
chiamata "zona di esclusione" e ancora oggi<br />
interdetta e presidiata militarmente, in cui vivevano<br />
circa 135.000 persone 48.000 delle<br />
quali nella vicinissima città di Prypjat. A causare<br />
l’incidente fu un esperimento che aveva,<br />
paradossalmente, lo scopo di verificare il<br />
funzionamento in sicurezza del reattore in<br />
condizioni di momentaneo black-out. Nel<br />
corso di questa simulazione si mischiarono<br />
fatalmente violazioni delle procedure operative<br />
ed errori umani, a cui vanno aggiunti<br />
una serie di difetti nella struttura stessa del<br />
reattore, che raggiunse nel giro di pochi secondi<br />
condizioni di estrema instabilità provocando<br />
due violente esplosioni. L’edificio fu<br />
scoperchiato e all’esterno si proiettarono tonnellate<br />
di materiale incandescente ed alta-<br />
mente radioattivo che incendiarono i fabbricati<br />
adiacenti sviluppando polveri e vapori<br />
tossici. Permangono molte ombre sugli atteggiamenti<br />
del governo sovietico che diede ufficialmente<br />
la notizia solo due giorni dopo,<br />
quando la comunità scientifica europea<br />
aveva già sollevato l’allarme per l’improvvisa<br />
registrazione di livelli di radioattività sospetti<br />
nell’aria. A ciò si unisce anche l’insufficiente<br />
informazione sul reale pericolo cui andava incontro<br />
la gran parte del personale accorso sul<br />
luogo senza adeguate misure di protezione.<br />
Parliamo dei militari accorsi a spegnere i focolai<br />
e poi dei cosiddetti "liquidatori", circa<br />
650.000 uomini che, dal 1986 al 1990 lavorarono,<br />
spesso in condizioni disumane, per<br />
bonificare e contenere i resti del reattore nel<br />
"sarcofago" in cui ancora oggi è racchiuso. Visitando<br />
i Paesi di quella che fu l’Unione Sovietica<br />
a oltre vent’anni anni dalla sua caduta<br />
24 / gennaio - febbraio <strong>2011</strong> le Fiamme d’Argento