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IL LIBRO DEGLI ASTROLABI - Nicola Severino

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<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong><br />

<strong>IL</strong> <strong>LIBRO</strong><br />

<strong>DEGLI</strong> <strong>ASTROLABI</strong><br />

La storia dell’Astrolabio da Tolomeo a Regiomontano<br />

Roccasecca, 1994


PREFAZIONE<br />

L'Astrolabio - uno strumento tanto nominato quanto sconosciuto. Uno strumento che per<br />

la sua maneggevolezza e versatilità ha contribuito grandemente alla diffusione delle<br />

nozioni astronomiche dal mondo islamico a quello cristiano e che pur non trova nei trattati<br />

di storia delle scienze lo spazio che gli competerebbe. Si sa bene che la storiografia dello<br />

sviluppo del pensiero scientifico non usa far riferimento agli strumenti tecnici - nemmeno<br />

i più importanti - che hanno accompagnato e consentito il progresso delle conoscenze; ma<br />

anche nelle storie incentrate sulle tecnicge, all'Astrolabio viene dedicato non più di<br />

qualche cenno. Ciò in gran parte è attribuibile alla scarsità di fonti moderne cui attingere<br />

ampie informazioni storiche su tale strumento; alla scarsezza cioè delle fonti di seconda<br />

mano cui sono soliti attingere i trattatisti.<br />

Un'opera come questa di <strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong>, frutto di paziente ricerca condotta spesso su<br />

codici e rari testi a stampa - quasi incunabuli - consultati in prestigiose biblioteche ed in<br />

primo luogo in quella di Montecassino, fornisce una base importante per colmare in<br />

avvenire tale lacuna. Innanzi tutto infatti offre una panoramica sullo sviluppo di questo<br />

strumento nel mondo latino e sulla letteratura inerente; in secondo luogo fornisce informazioni<br />

specifiche, perfino su realizzazioni finora ignorate, indubbiamente preziose per gli<br />

studiosi che vogliano acculturarsi sull'argomento e tenerne conto nelle loro indagini<br />

storiche. Come dice l'Autore nella premessa, certe lacune di informazione palesate da studiosi<br />

di storia delle scienze appaiono sorprendenti: ad esempio, nella voce Astrolabio<br />

dell'Enciclopedia Italiana non si fa cenno di una versione dell'Astrolabio importante come<br />

quella sferica.<br />

Preziosa infine per gli studiosi professionisti l'amplia bibliografia che chiude la trattazione.<br />

Lodevole l'iniziativa di annettere in appendice anche una riedizione dell'elenco<br />

degli Astrolabi piani esistenti nelle varie raccolte del mondo pubblicata da J. Derek Price<br />

nel 1955 su Archives Internationales d'Histoire des Sciences.<br />

Non esiste, a mia conoscenza, un trattato italiano moderno sull'astrolabio. Le informazioni<br />

in merito, in italiano, si ricavano solo da voci di enciclopedie o da articoli di rivista<br />

per lo più a carattere specifico. Il presente lavoro costituisce una fonte d'informazioni,<br />

un source book stimolante per colmare la lacuna. Una storia generale dell'Astrolabio, a<br />

livello non specialistico, ritengo che sarebbe culturalmente rilevante, data l'importanza e<br />

la diffusione che questo versatile strumento ha avuto lungo il medioevo. Importanza non<br />

solo scientifica, ma anche - e forse precipuamente - pratica, quale efficientissimo ausilio<br />

didattico e quale agilissimo strumento per la determinazione dell'ora, diurna e notturna,<br />

e della latitudine. Uno strumento che ha accompagnato ed in parte sostenuto il risorgere<br />

culturale dell'Occidente dopo i secoli bui dell'alto medioevo. Spero vivamente che qualche<br />

studioso si senta stimolato a porre mano a tale opera.<br />

Dobbiamo per questo essere grati alla rara competenza, alla certosina pazienza, allo<br />

scrupoloso impegno di <strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong>. Grazie per il contributo di informazioni, ma<br />

soprattutto grazie per l'esempio di amore verso la memoria storica, memoria così carente<br />

nelle giovani generazioni di cultori, professionisti e dilettanti, del sapere scientifico.<br />

Piero Tempesti


PREMESSA<br />

Il presente lavoro racchiude in un succinto resoconto la misteriosa storia,<br />

ancora in parte inesplorata, di uno strumento astronomico tra i più popolari<br />

dell'antichità: l'astrolabio. La motivazione che mi ha spinto a scrivere questo<br />

testo ha un movente facile da interpretare: una ingiustificata carenza di pubblicazioni<br />

in merito che interessa (purtroppo) esclusivamente l'Italia. I<br />

grandi trattati sull'astrolabio e la sua storia sono ormai consultabili solo<br />

presso qualche importante biblioteca, sebbene non siano neanche troppo vecchi,<br />

come l'insostituibile lavoro di Henry Michel, Traité de l'astrolabe, pubblicato<br />

a Parigi nel 1947, e la Astrolabes of the World, di R.T. Gunther, pubblicata<br />

a Oxford nel 1932.<br />

Fino a qualche decennio fa si assisteva alla pubblicazione in Italia di alcuni<br />

articoli importanti di materiale storico inedito, utilizzato anche per l'importante<br />

lavoro di catalogazione degli strumenti che di tanto in tanto venivano,<br />

e vengono tutt'ora, scoperti in vari luoghi o collezioni private. Ciò soprattutto<br />

per merito della rivista Physis, che vanta un Editore del calibro di Leo<br />

S. Olschki.<br />

L'apprezzabile sforzo però non può colmare la lacuna che deriva dall'assoluta<br />

mancanza di testi in lingua italiana sull'astrolabio e soprattutto sulla<br />

sua storia che viene regolarmente elusa nei rari articoli tecnici sulla<br />

costruzione, pubblicati su riviste più o meno popolari.<br />

L'ambizioso compito a cui vuol assolvere questo modesto lavoro, pertanto,<br />

non è quello di colmare un simile vuoto. D'altra parte chi scrive pone i propri<br />

limiti di ricercatore non professionista di fronte a un così vasto campo di<br />

ricerca, in una condizione che è come voler attraversare un'oceano sapendo<br />

appena nuotare.<br />

L'intento è allora quello di stimolare gli appassionati a ricercare le varie possibilità,<br />

al fine di costruire "imbarcazioni" sempre più consistenti che permetteranno<br />

poi di poter navigare finalmente con più facilità, e con qualche<br />

soddisfazione in più, in questo oceano di storia che accompagna la vicenda<br />

dell'astrolabio e, con esso, degli strumenti astronomici in generale.<br />

La ricerca è aperta a tutti. Ognuno, indipendentemente dal proprio bagaglio<br />

culturale, può trovare la strada che porta a nuove scoperte, segnalazioni,<br />

notizie storiche che da sole appaiono senza un preciso significato, ma che<br />

inserite nel "puzzle" storico permettono di avere una visione generale<br />

importante. Accade, infatti, che anche lo studioso si avvalga, nel suo lavoro,<br />

di immagini e notizie riprodotte in pubblicazioni affatto scientifiche perchè


ogni documentazione, anche nel suo aspetto più modesto e occasionale, è<br />

interessante e può aiutare a capire meglio alcuni aspetti storici che sono<br />

ancora oscuri.<br />

Questo "Libro degli Astrolabi" vuol far conoscere ciò che sugli astrolabi non<br />

è stato mai scritto in altre pubblicazioni italiane. E per fare questo mi sono<br />

avvalso di alcuni tra i più importanti lavori di eminenti studiosi quali<br />

Michel, Gunther, De Solla Price, Poulle, Tomba, Maddison, Millas -<br />

Vallicrosa, ed altri.<br />

Non si tratta, dunque, di un lavoro originale. Non vi sono grandi novità per<br />

gli esperti, a parte forse le notizie relative al ritrovamento e alla descrizione<br />

di uno strumento del tutto assimilabile ad un astrolabio che non ho riscontrato<br />

in nessun'altra opera e che in questa sede, pertanto, propongo come<br />

materiale storico nuovo.<br />

Semplicemente qui si parla di molti tipi di astrolabi, alcuni dai nomi mai<br />

sentiti, che sono tutt'oggi conosciuti solo ad una ristrettissima cerchia di<br />

addetti ai lavori. Forse il lettore considererà una pecca il fatto che non vengono<br />

qui riportati i metodi per costruire gli astrolabi. Questo semplicemente<br />

perchè si è ritenuto inutile riscrivere cose che altri autori italiani hanno fatto<br />

con dovizia di particolari, come in alcuni articoli apparsi una decina d'anni<br />

fa sulla rivista di Astronomia Coelum e ultimamente dall'Associazione<br />

Astronomia Cortina che ha realizzato un Astrolabio edito da Biroma.<br />

Lo stupore che ha sopreso chi scrive nel constatare che valenti studiosi italiani<br />

di storia della scienza non erano a conoscenza delle opere fondamentale<br />

sugli strumenti astronomici degli arabi del basso medioevo, di Jean Jacques<br />

e L.AM. Sédillot, pubblicate a Parigi nel secolo scorso, è una delle tante<br />

motivazioni che ha portato alla realizzazione di questo libro. L'iniziativa si<br />

è resa necessaria poi quando si è rilevato che neanche l'articolo "Astrolabio"<br />

dell'Enciclopedia Italiana fa cenno ad uno strumento tanto importante<br />

quanto sconosciuto a molti studiosi, quale l'astrolabio sferico.<br />

Se il lettore, sfogliando queste pagine, rimarrà sorpreso nell'apprendere di<br />

una vasta gamma di strumenti astrolabici in gran parte sconosciuti al pubblico<br />

dei semplici appassionati, e nello stesso tempo troverà interessanti le<br />

notizie storiche riportate, questo lavoro avrà adempiuto al suo scopo. Ed è<br />

quanto l'autore si augura con tutto il cuore.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong>


RINGRAZIAMENTI<br />

Per la stesura di questo libro desidero rivolgere un particolare<br />

ringraziamento al Padre Gregorio, Bibliotecario della Biblioteca<br />

dell'Abbazia di Montecassino; all'Ing. Salvo De Meis per avermi<br />

sostenuto moralmente e per i preziosi consigli che mi inoltra come<br />

fossi un suo discepolo; al Prof. Piero Tempesti per aver letto il<br />

manoscritto e i miei articoli di Gnomonica, nonchè per la preziosissima<br />

consulenza scientifica; al Fisico Dott. Edmondo Marianeschi<br />

per la sincera amicizia e per i consigli che mi rivolge come un padre;<br />

al Sig. Andrea Girardi di Torino per la preziosa collaborazione;<br />

infine al Dott. Walter Ferreri, Direttore scientifico della rivista<br />

Nuovo Orione, a Ferdinando Cancelli, a Riccardo Anselmi, a Don<br />

Alberto Cintio, a tutti i miei collaboratori ed amici gnomonisti.<br />

Questo libro è dedicato<br />

a mia moglie Daniela e a mia<br />

figlia Altea.


1<br />

Quando si parla di astrolabi, il nostro primo pensiero<br />

è rivolto al mondo arabo. Il collegamento non<br />

è forzato, ed è più che giustificato quando si consideri<br />

che furono proprio i popoli arabi, nell'ambito<br />

dell'ambizioso progetto di recupero della cultura<br />

scientifica alessandrina, cominciato con il<br />

califfato di al-Raschid, i grandi maestri e inventori<br />

di innumerevoli tipi di astrolabi. Essi raggiunsero<br />

un così alto livello in questo campo, attorno al XII-<br />

XIII secolo, che l'Europa non ebbe mai la fortuna di<br />

conoscere, e ancora oggi le loro opere e i pochi<br />

strumenti che ci sono pervenuti non finiscono mai<br />

di stupirci per la precisione, la semplicità, l'eleganza<br />

e l'amore col quale furono costruiti.<br />

L'astrolabio è sicuramente uno degli strumenti più<br />

geniali concepiti nel campo della strumentaria<br />

astronomica antica. Rientra nel dominio di questa<br />

scienza, come della Gnomonica. Con l'astrolabio si<br />

possono insegnare facilmente i rudimenti dell'astronomia:<br />

la sfera celeste e tutti i circoli celesti ad<br />

essa abbinati, la posizione delle stelle e dei pianeti,<br />

ma anche con precisione le diverse ore del giorno,<br />

come un orologio solare, e della notte, se usato<br />

come un notturlabio. E oltre a queste, anche altri<br />

momenti importanti del giorno, come alcune<br />

preghiere in uso presso i popoli arabi.<br />

L'astrolabio è quindi uno strumento interdisciplinare<br />

la cui utilità è a tutti nota e tuttavia le sue<br />

origini, la sua storia e le diverse tipologie dei modelli<br />

costruiti, non sempre godono della stessa notorietà.<br />

Ma cos'è l'astrolabio per noi, in una società come<br />

quella di oggi, e cos'era invece per gli uomini dell'anno<br />

Mille, e soprattutto per quelli che vissero in<br />

tempi successivi, fino al secolo XV? A questa<br />

domanda si sarebbe tentati di rispondere che per i<br />

primi un simile strumento potrebbe essere sia<br />

un'interessante giocattolo con cui trascorrere magicamente<br />

alcune ore, sia una fonte preziosissima di<br />

dettagli storici e tecnici che apre le porte su un<br />

mondo scientifico a tratti inesplorato, quale il<br />

medio evo; per gli antichi, invece, e ancor di più<br />

per gli uomoni che ne fecero l'uso più appropriato<br />

attorno a mille anni fa, (non certo la povera gente<br />

INTRODUZIONE<br />

che conosceva solo gli indicibili stenti con i quali<br />

procurarsi a malapena il cibo necessario alla<br />

sopravvivenza) era come il nostro orologio da<br />

polso, la nostra calcolatrice. Uno strumento portatile<br />

che entrava nelle bisacce, insieme ai libri, che<br />

non mancava a nessun viaggiatore.<br />

In qualsiasi luogo dove la cultura non fosse stata<br />

dimenticata, si trovava l'astrolabio, così come la<br />

sfera armillare e i quadranti astronomici con gli<br />

orologi solari e vari altri strumenti gnomonici (si<br />

pensi che Abelardo, sposo di Eloisa, chiamò il suo<br />

primogenito col nome di "Astrolabio"!). Ma il<br />

primo era lo strumento per eccelenza perchè con<br />

esso era possibile effettuare, praticamente, quasi<br />

tutte le operazioni che permettevano gli altri.<br />

Ecco che emerge parte della genialità costruttiva:<br />

l'astrolabio inglobava nelle sue piccole dimensioni<br />

le caratteristiche di moltissimi strumenti messi<br />

assieme, tanto che poteva essere usato indifferentemente<br />

e con successo nei problemi di navigazione,<br />

topografia (con opportune modifiche,<br />

come il poco noto mesolabio) gnomonica (in generale<br />

per conoscere l'ora sia di giorno che di notte<br />

e, come in uso nei popoli arabi, anche per avere gli<br />

istanti di alcuni momenti importanti corrispondenti<br />

alle principali preghiere) e soprattutto nei<br />

calcoli di astronomia di posizione.<br />

Sulla scorta di queste brevi ed ovvie considerazioni<br />

è facile capire il motivo dello strepitoso successo<br />

che accompagna l'astrolabio per più di sette<br />

secoli, almeno dal IX al XVIII, durante i quali le più<br />

fertili menti della scienza impegnarono parte del<br />

loro tempo a cercare di migliorare e perfezionare<br />

sempre più i modelli allora in uso.<br />

Volendo essere precisi, bisognerebbe dire: dal IX<br />

all'XI secolo gli Arabi si impegnarono ad inventare<br />

e costruire una lunga serie di modelli di astrolabi,<br />

di cui alcuni, come si vedrà, risultano a tutt'oggi<br />

quasi sconosciuti; e dal secolo XI al XVI gli studiosi<br />

occidentali si occuparono di tradurre e divulgare<br />

gli studi effettuati dagli Arabi. A riprova di quanto<br />

appena detto, basti osservare un eccezionale astrolabio<br />

costruito dall'astronomo Giovanni<br />

Regiomontano (sec. XV) in Roma nel 1462, per il<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

1


Cardinale Bessarione, per constatare che, seppure<br />

di squisita fattura e con uno stile costruttivo<br />

latineggiante, rispetta in tutto e per tutto le caratteristiche<br />

dei vecchi modelli arabi la cui forma era<br />

divenuta ormai definitiva sin dalla fine del XIII<br />

secolo.<br />

2<br />

Gli strumenti gnomonici nel Medio Evo.<br />

Resterà utile, per questo studio, una breve<br />

panoramica di storia della Gnomonica relativa alla<br />

strumentazione per la misurazione del tempo nei<br />

secoli attorno all'anno Mille. Ma per prima cosa<br />

dobbiamo chiederci quale tipo di ore erano in uso<br />

in quei tempi. E a questa domanda si può rispondere<br />

subito. Nelle campagne, i contadini e gli artigiani<br />

misuravano il tempo con molta approssimazione,<br />

semplicemente prendendo dei facili<br />

punti di riferimento, ai quali rapportare la<br />

posizione del Sole in cielo, e questi potevano<br />

essere i picchi delle montagne più alte, l'ombra di<br />

alcuni alberi, o quella di un bastone piantato verticalmente<br />

al suolo. Nei paesi la misurazione del<br />

tempo era stabilita dalle congregazioni ecclesiastiche<br />

che, tradizionalmente, si servivano delle ore<br />

cosiddette temporarie, cioè ore regolate sulla durata<br />

del giorno e della notte e quindi di misura diversa<br />

a seconda dell'epoca dell'anno. E' difficile stabilire<br />

in che modo venivano annunciate le ore prima dell'anno<br />

Mille, ma è verosimile l'ipotesi che esse fossero<br />

richiamate con l'uso delle campane, probabilmente<br />

dopo essere state lette su clessidre, orologi<br />

solari o ad acqua di vario genere. Il sistema delle<br />

ore ineguali, quindi, cioè le ore temporarie - chiamate<br />

dagli arabi Ezemenie - era quello generalmente<br />

accettato dal grosso della popolazione,<br />

attorno all'anno Mille. Fu solo verso l'inizio del<br />

XIV secolo che cominciò a farsi strada<br />

nell'Occidente Cristiano il sistema delle ore<br />

equinoziali, cioè delle ore eguali, o astronomiche -<br />

chiamate dagli arabi Muzzewine - attualmente in<br />

uso. I grandi campanili, le torri con gli enormi<br />

orologi meccanici scandivano ormai il tempo<br />

astronomico, più utile nella sua uniformità ai mercanti,<br />

agli artigiani, ai viandanti, in contrapposizione<br />

delle ore canoniche e temporarie, cioè il<br />

tempo dei chierici, caparbiamente utilizzato, per-<br />

chè fondamentale negli Uffici religiosi delle comunità<br />

monastiche, almeno fino al Capitolo Generale<br />

del 1429.<br />

Ma quali erano gli strumenti per misurare il<br />

tempo? Le informazioni al riguardo sono veramente<br />

poche. E' quasi inspiegabile, l'assoluta mancanza<br />

di notizie sul come misuravano il tempo gli<br />

uomini del Medio Evo, nelle tantissime opere che<br />

pure ci sono pervenute. L'erudito benedettino<br />

Augusto Calmet (sec. XVIII) ha speso buona parte<br />

dei suoi studi nel cercare di scoprire qualche commentario<br />

redatto dai suoi predecessori, in cui si<br />

trovassero descritti i metodi pratici per la misurazione<br />

del tempo. Ma a parte qualche sporadica<br />

informazione a carattere generale, egli non riuscì a<br />

trovare nulla di specifico. Dobbiamo, pertanto,<br />

accontentarci delle poche informazioni che ci<br />

provengono da ritagli di opere, le più diverse, e<br />

soprattutto dalle fonti scientifiche del tempo.<br />

Cominceremo col dire che dopo <strong>Severino</strong> Boezio e<br />

Cassiodoro, i metodi per la misurazione del tempo<br />

rimasero sostanzialmente gli stessi, senza alcun<br />

miglioramento. Si ricorda brevemente che Boezio e<br />

Cassiodoro ci lasciarono in alcune lettere le uniche<br />

testimonianze del VI secolo d.C., relative alla<br />

costruzione di qualche orologio ad acqua e solare.<br />

Esse sono importanti, proprio perchè in quell'epoca<br />

si ebbe una decadenza generale (i famosi secoli<br />

bui del Medio Evo) su tutti i fronti delle scienze,<br />

che durò almeno fino al IX secolo. L'unico faro<br />

intellettuale che ha guidato gli studiosi di tutto l'alto<br />

medioevo, era il monaco inglese Beda il<br />

Venerabile, vissuto a cavallo tra il VII ed VIII secolo.<br />

Purtroppo, nelle sue opere non si riscontrano<br />

progressi decisivi nella misurazione del tempo, a<br />

parte forse gli studi sulla datazione della Pasqua<br />

che era l'argomento più importante dell'epoca.<br />

Beda fa riferimento a sistemi di computo delle ore<br />

del giorno attraverso la misurazione dell'ombra<br />

data dalla statura (media) di un uomo, metodo in<br />

uso già nel III secolo a.C. e per tradizione fino al<br />

secolo XVI inoltrato. E' solo nelle glosse alle opere<br />

di Beda, di alcuni secoli successive, che si vede la<br />

descrizione di uno strumento ancora più antico:<br />

l'emisfero. Una superficie concava nel cui interno<br />

vi erano disegnati i circoli orari, dei solstizi e degli<br />

equinozi. E' quanto meno incredibile che nelle<br />

vastissime opere di un erudito quale Beda, non si<br />

faccia neppure cenno agli orologi solari che avevano<br />

scandito il tempo ai Greci e ai Romani e ai<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

2


quali Vitruvio aveva dedicato un intero capitolo<br />

della sua opera Architettura. La gnomonica era<br />

davvero caduta in disuso.<br />

I popoli arabi furono i veri depositari della scienza<br />

greca. Senza entrare nel merito di un'approfondita<br />

ricerca, diremo solo che essi nel giro di due o tre<br />

secoli non solo seppero custodire l'intero patrimonio<br />

culturale dei Greci attraverso la preservazione<br />

dei manoscritti conservati nelle biblioteche mussulmane,<br />

ma essi ebbero il merito di sfruttare al<br />

meglio il sapere ereditato nella ricerca di nuove<br />

metodologie che aprirono la strada, poi, alla quella<br />

che sarà la scienza sperimentale.<br />

Un'altra considerazione che lascia sconcertati è che<br />

nonostante la vastissima produzione di strumenti<br />

scientifici e pubblicazioni da parte degli Arabi;<br />

ancora oggi, in Occidente, queste opere sono per la<br />

maggior parte sconosciute. Giusto per fare un<br />

esempio, la traduzione dall'arabo di J.J. Sédillot,<br />

pubblicata nella seconda metà secolo scorso, del<br />

manoscritto n° 1148 di Aboul Hhassan Alì al-<br />

Marrakuschi (sec. XIII) conservato nella Biblioteca<br />

Nazionale di Parigi, da sola basta per evidenziare<br />

tutta la nostra ignoranza sulla gnomonica di quel<br />

tempo. Ai tempi nostri (1989) è stata pubblicata<br />

un'altra opera, che è la traduzione di un manoscritto<br />

di un astronomo arabo, Thabit Ibn Qurra<br />

del XIII/XIV secolo, in cui il capitolo 9 ci illustra<br />

addirittura i metodi trigonometrici per tracciare gli<br />

orologi solari che l'Occidente conoscerà solo a partire<br />

dal XVII secolo inoltrato! Inoltre, se si consultano<br />

i trattati di gnomonica del Rinascimento, i<br />

libri di Cristoforo Clavio, Valentino Pini, J. Battista<br />

Benedetto, J.B. Vimercato, Oronzio Fineo,<br />

Athanasius Kircher, e anche quelli degli autori del<br />

XVII e XVIII secolo, si può notare l'assoluta man-<br />

canza della descrizione dei tanti orologi solari<br />

inventati e descritti dagli arabi del medioevo.<br />

Come risulta evidente, l'astrolabio, pur occupando<br />

un ruolo determinante nell'attività di ricerca degli<br />

scienziati medievali, era sempre accompagnato da<br />

molti altri strumenti. E tra questi ricordiamo le<br />

moltissime varietà di quadranti astronomici, compreso<br />

quello che veniva chiamato briques, cioè un<br />

grande quadrante murale per trovare con molta<br />

precisione le altezze degli astri: la meridiana a seni<br />

che serviva a determinare l'arco di rivoluzione<br />

della sfera celeste su un orizzonte qualunque e,<br />

senza alcun calcolo, dava immediatamente le ore<br />

del giorno e della notte con la semplice osservazione<br />

dell'altezza del sole do i una stella di<br />

ascensione retta e declinazione conosciute; le sfere<br />

armillari, i globi celesti, il torquetum o triquetrum, o<br />

regolo parallattico derivato da Tolomeo, che è<br />

un'ingegnosa alternativa all'astrolabio armillare; il<br />

rectangulus che schematizzava semplicemente il<br />

torquetum, il Sestante, lo strumento dei seni e degli<br />

azimut lo strumento ai due pilastri, la Bilancia Oraria<br />

e molti altri strumenti e varianti che è impossibile<br />

riportare.<br />

Tuttavia, l'astrolabio, per la sua versatilità di<br />

impiego, e sicuramente anche per la sua caratteristica<br />

forma circolare, non conobbe mai nella storia<br />

un periodo di inutilizzo, restando lo strumento<br />

principale degli studiosi fino al Rinascimento.<br />

Tracciare una storia dell'astrolabio non è cosa<br />

facile. Nelle pagine che seguono cercheremo di<br />

mettere insieme le ipotesi di studiosi che da<br />

qualche secolo tentarono di rintracciarne le tracce<br />

già nell'antichità, e che gettarono le basi sulle quali<br />

hanno potuto agevolmente lavorare gli studiosi<br />

moderni.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

3


3<br />

STORIA DELL’<strong>ASTROLABI</strong>O<br />

L’<strong>ASTROLABI</strong>O NELLA STORIA<br />

Se sia stato proprio l'astrolabio come lo conobbero<br />

gli astronomi medievali, quello che si trova<br />

descritto nell'Almagesto di Tolomeo, è la domanda<br />

che ha sollecitato per secoli la curiosità intellettuale<br />

degli scienziati. Nonostante gli innumerevoli<br />

studi e le tantissime ipotesi scaturite su questo<br />

enigma, non abbiamo la certezza matematica con<br />

la quale poter asserire che lo strumento descritto<br />

da Tolomeo non aveva niente a che fare con l'astrolabio<br />

classico. Tuttavia, attraverso lo studio<br />

della documentazione che ci è pervenuta, possiamo<br />

dire che un'eventuale identificazione non<br />

regge in quanto lo strumento di Tolomeo era<br />

sostanzialmente una specie di sfera armillare. E' da<br />

considerare, però, che il principio della proiezione<br />

stereografica, sul quale si basa la teoria costruttiva<br />

dell'astrolabio, doveva essere già nota ai tempi di<br />

Ipparco da Nicea a cui si attribuisce anche l'uso<br />

della sfera armillare. Infatti, questi fu in grado di<br />

risolvere problemi relativi alla sfera senza la<br />

conoscenza della trigonometria sferica, probabilmente<br />

attraverso l'uso della proiezione stereografica.<br />

Questa consiste nel riportare su un piano la<br />

superficie di una sfera, cioè di tutti i suoi circoli,<br />

proiettandoli da un punto che può essere uno dei<br />

poli. Nel caso degli astrolabi, la proiezione era<br />

fatta partendo dal polo sud della sfera celeste su di<br />

un piano (foglio di carta o lamina di metallo) perpendicolare<br />

all'asse polare della sfera stessa.<br />

Tolomeo impiega questi principi nella sua opera<br />

dedicata al Planisphaerium, ma gli studiosi hanno<br />

dimostrato che egli si rifà a nozioni precedenti,<br />

probabilmente prese da Ipparco. E' da notare che<br />

già la parola planisphaerium fa pensare ad una sfera<br />

proiettata su un piano, ma sembra che Tolomeo, in<br />

quest'opera si riferisse più che altro ad uno strumento<br />

"oroscopico", che reca la posizione delle<br />

stelle su una parte chiamata "aranea", cioè "ragno",<br />

proprio come un vero astrolabio. Ma lo era?<br />

Claudio Salmasio, in Plinianae exercitationes in Caii<br />

Julii Solini Polyhstoria, 1689 (pag. 458, A, B, C, D, E,<br />

F, G), espone la questione osservando che i vasa<br />

horosopa, sono orologi solari del tipo emisferici,<br />

mentre gli "araneorum horoscopa" sono proprio<br />

degli astrolabi, come dice pure Hefestio.<br />

Purtroppo, pare non vi siano altre testimonianze<br />

per dimostrare questa ipotesi. Così, sia il<br />

Planisphaerium, sia l'Astrolabon, di Tolomeo, non si<br />

possono identificare con sicurezza con un astrolabio<br />

del tipo classico. Ricordiamo che Montucla<br />

(Storia della Matematica, tomo 1, pag. 264), è dell'opinione<br />

che "Egli (Tolomeo) immaginasse di<br />

proiettare sopra un piano la sfera, allorchè fece il<br />

catalogo delle stelle fisse; ma questi planisferi non<br />

avrebbero niente a che fare con gli astrolabi".<br />

D'altra parte Teone d'Alessandria distingue nettamente<br />

l'astrolabio piano chiamandolo "piccolo<br />

astrolabio". Inoltre, la confusione viene alimentata<br />

dal fatto che nei testi antichi la parola astrolabon,<br />

che letteralmente significa "prenditore di stelle", fu<br />

impiegata praticamente per qualsiasi strumento<br />

che servisse per l'osservazione astronomica.<br />

Nell'ambito di queste considerazioni, è interessante<br />

rilevare che le ipotesi sulla probabile realizzazione<br />

di astrolabi classici, risalgono ancora più<br />

indietro nel tempo. Infatti, alcuni studiosi hanno<br />

cercato di identificare l'orologio solare chiamato<br />

"Arachnen", citato da Vitruvio e attribuito all'astronomo<br />

Eudosso di Cnido, con un piano che ha<br />

una rete metallica mobile (aranea) con sopra incise<br />

le stelle e i circoli celesti. Questa tesi però non è<br />

suffragata da prove concrete ed è più probabile che<br />

l'arachnen fosse semplicemente un orologio solare<br />

con le linee orarie e le curve solstiziali, la cui forma<br />

ricorda quella della rete di ragno.<br />

Comunque, che Tolomeo sia stato a conoscenza<br />

dell'astrolabio piano, come ha anche dimostrato<br />

Neugebauer, è un'ipotesi molto verosimile. D'altra<br />

parte, se si pensa che il più antico testo sull'astrolabio<br />

piano che ci è pervenuto è quello del filosofo<br />

Giovanni Filopono (VI sec. d.C.), in cui l'astrolabio<br />

è costituito essenzialmente da un disco, ovvero un<br />

timpano per una data latitudine, sul quale figurano<br />

la proiezione dell'orizzonte, i cerchi di uguale<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

4


altezza sullo stesso e quelli ad essi perpendicolari;<br />

su questo ruota un secondo disco traforato che<br />

reca la proiezione dell'eclittica, semplificata in un<br />

cerchio anzichè in un'ellisse, con le relative stelle,<br />

indicate dalla "rete". Ma, come è stato dimostrato,<br />

questo libro risulta essere una versione tarda del<br />

trattato di Teone alessandrino (metà del IV sec.<br />

a.C.), pervenutoci attraverso una versione leggermente<br />

modificata in un testo di Severo Sebokht<br />

(VII secolo d.C.). E', quindi, lecito pensare che tutti<br />

abbiano attinto ad una sola fonte, peraltro tanto<br />

autorevole quale poteva essere quella di Tolomeo.<br />

fig. 1<br />

4 Etimologia dell'astrolabio e le antiche<br />

opinioni sul Parapegma<br />

Il matematico canonico Giuseppe Settele, nel suo<br />

articolo Illustrazione di un antico Astrolabio, pubblicato<br />

nel primi anni del secolo scorso, così sintetizzò<br />

l'enigma dell'origine dell'astrolabio:<br />

"...Tolomeo nel lib. 5 dell'Almagesto, al capitolo 1,<br />

ci descrive una macchina da lui costruita e utile<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

5


per trovare la posizione del Sole, della Luna, e<br />

degli altri astri, e per seguire il moto degli stessi;<br />

era questa una specie di sfera armillare, perchè<br />

composta da più circoli, aveva i suoi traguardi, che<br />

allora facevan le veci di telescopio, e si chiamava<br />

astrolabio (astrolabon), parola che deriva da<br />

astron (astrum) e lambanw (consequor).<br />

Nell'Enciclopedia metodica (di Diderot,<br />

D'Alembert - nda), all'articolo "Astrolabe"; nel<br />

tomo I, pag.567 della "Storia dell'Astronomia" di<br />

Bailly, e nel tomo I, pag. 306 della "Storia della<br />

Matematica" di Montucla, si riporta che la macchina,<br />

in seguito chiamata Astrolabio, è proprio quella<br />

descritta da Tolomeo nel suo Almagesto...".<br />

Naturalmente, Settele si oppone a queste<br />

asserzioni rilevando che la "macchina" di Tolomeo<br />

non era altro che l'armilla meridiana (descritta anche<br />

da Proclo in Hypotyposis astronomicarum positionum),<br />

un anello di metallo diviso in 360°, con<br />

un'altro circolo concentrico mobile con due pinnule,<br />

infisso su di un pilastro e posto perpendicolarmente<br />

al piano del meridiano che serviva a<br />

determinare l'obliquità dell'eclittica e, in genere, a<br />

misurare l'altezza degli astri.<br />

"Non credo - scrive il Settele - che questa macchina<br />

potesse dare origine a quella che poi, per antonomasia,<br />

fu chiamata Astrolabio, perchè l'Astrolabio,<br />

nei tempi posteriori, era propriamente la<br />

proiezione della sfera sul piano, come può rilevarsi<br />

dai diversi passi della lettera di Sinesio a Poenio<br />

sul Dono dell'astrolabio".<br />

A questo proposito si deve notare che la lettera di<br />

Sinesio a Peonio (circa 410 d.C.), ritenuta da certi<br />

autori moderni responsabile di aver tratto in<br />

inganno gli studiosi del passato che hanno<br />

attribuito, sulla base di questa, l'invenzione dell'astrolabio<br />

a Tolomeo o addirittura ad Ipparco,<br />

non aveva ingannato invece il Settele che pure<br />

scriveva all'inizio dell'Ottocento.<br />

Secondo Settele, altri autori sostenevano che<br />

Vitruvio nominò nella sua Architettura (Lib. 9,<br />

cap.7), una parola che avrebbe dovuto indicare un<br />

astrolabio: "...Quorum inventa secuti, syderum et<br />

occasus, et ortus, tempestatumque significatus,<br />

Eudoxus, Eudemon, Callixtus, Melo, Philippus,<br />

Hipparchus, Aratus, caeterique ex Astrologia, parapegmatum<br />

disciplinis invenerunt, et eas posterius<br />

explicatas reliquerunt...". In cui la parola "parapegmatum",<br />

ha dato filo da torcere agli interpreti nelle<br />

varie epoche, ed il Settele espone la questione così:<br />

"... Il Baldi, appresso il Filandro ed il Barbaro dice:<br />

certè de astrolabiis, dioptris, armillis, radiis, et<br />

coeteris ejuscemodi intelligi debere".<br />

Il Perrault nella nota al detto passo di Vitruvio<br />

vuole che la frase "parapegmatum disciplinis" debba<br />

intendersi per "l'uso degli strumenti che servono nelle<br />

osservazioni astronomiche". Mentre Claudio<br />

Salmasio, crede che "parapegma" stia ad indicare<br />

una lastra di rame sulla quale vi sono incise una<br />

serie di linee relative al percorso delle stelle sulla<br />

sfera celeste ed altre indicazioni astronomiche. In<br />

questo caso la parola "parapegma" sarebbe usata<br />

per discernere propriamente gli strumenti scientifici<br />

(parapegmi) per lo studio del cielo. Il Settele<br />

approva questa tesi in quanto il termine, la cui<br />

origine è evidentemente greca, significa letteralmente<br />

"una cosa inchiodata, e fermata", che porta<br />

a pensare all'"unione di più pezzi", come possono<br />

essere appunto le lastre di rame simili agli strumenti<br />

per l'osservazione astronomica, o proprio le<br />

lastre che compongono un astrolabio del tipo classico.<br />

Infatti, Berardo Galiani, traduce<br />

"Parapegmatum disciplinis" in "colla scienza degli<br />

Astrolabii", senza che abbia dimostrato con ciò la<br />

verità della propria conclusione.<br />

Altri autori, sebbene non del tutto apertamente,<br />

ma tacitamente, evitano di identificare il<br />

"Parapegma" con l'Astrolabio. Così, Dionisio<br />

Petavio (Auctar. L.2, Cap.8) chiama "parapegmata"<br />

quelle tabelle sulle quali venivano registrate le<br />

osservazioni celesti e meteorologiche. Francesco<br />

Bianchini (de Kalend. et cyclo Caesaris) dà al calendario<br />

cesariano anche il nome di "parapegma".<br />

Montucla, dice che Democrito scrisse delle effemeridi<br />

chiamate "parapegmi", come fecero successivamente<br />

Eudosso, Ipparco e Tolomeo. Premesse<br />

le ipotesi a favore e contro l'identificazione della<br />

parola "parapegma" in "astrolabio", Settele espone<br />

il suo pensiero:<br />

"Il Filandro e il Vossio ne derivano l'etimologia dal<br />

verbo greco paraphgniw "idest adpingo, sive<br />

affigo": era dunque il parapegma una macchina<br />

risultante da più pezzi riuniti e sovrapposti l'uno<br />

all'altro. Gli antichi, quindi, chiamavano con<br />

"parapegmata", o "pegma", le macchine propriamente<br />

dette, e non le semplici lamine su cui erano<br />

incise le osservazioni. Difatti, Teone chiama<br />

pinacaz queste lastre e non "parapegmata". Il<br />

"Siderum et occasus et ortus", per Vitruvio poteva<br />

ottenersi appunto con delle macchine che facili-<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

6


tassero l'osservazione, cioè i "parapegmi". Da tutto<br />

ciò, pare che si deduca che il "parapegma" di<br />

Vitruvio fosse uno strumento astronomico. Che<br />

fosse però proprio l'astrolabio ne ho qualche dubbio...Il<br />

mio sentimento è che sotto il nome di "parapegma"<br />

debba assolutamente intendersi uno strumento<br />

qualunque col quale potesse osservarsi il<br />

moto degli astri, e non le tabelle, sulle quali le<br />

osservazioni si registravano. Secondo alcuni (si<br />

veda Horn-D'Arturo, Piccola Enc. Astronomica) il<br />

"parapegma" era un calendario astro-meteorologico.<br />

Forse è interessante ricordare l'eccezionale ritrovamento<br />

di una nave greca affondata circa 100 anni<br />

a.C. presso l'isola di Cerigotto, tra il Peloponneso e<br />

Creta. Da essa furono tratte stupendi reperti archeologici,<br />

tra cui tre frammenti di bronzo. Derek J. de<br />

Solla Price, ritiene che essi facessero parte di un<br />

unico strumento che doveva servire alla navigazione,<br />

in quanto permetteva l'osservazione<br />

degli istanti del sorgere e tramontare di determinate<br />

stelle. Doveva essere composto da più di dieci<br />

ruote con denti triangolari e una scala divisa in<br />

gradi. Inoltre vi erano dei cerchi concentrici che si<br />

muovevano separatamente. Come si vede, questo<br />

strano strumento, antesignano dell'astrolabio,<br />

potrebbe avere anche qualcosa di assimilabile a ciò<br />

che allora chiamavano "parapegma", almeno<br />

restando nel significato letterale del termine.<br />

5<br />

Un astrolabio dimenticato<br />

Parleremo ora di uno strumento del tutto assimilabile<br />

ad un astrolabio, sebbene a prima vista sia<br />

difficile accettarlo come tale, che con tutta probabilità<br />

fu conosciuto anche dagli Arabi. E' d'obbligo<br />

precisare che, a parer nostro, lo strumento di cui<br />

andiamo trattando non risulta essere stato ricordato<br />

nelle opere degli autori moderni relative agli<br />

astrolabi. Considerata, invece, l'importanza che<br />

tale oggetto può meritare nel campo degli strumenti<br />

scientifici dell'antichità, come ha fatto giustamente<br />

rilevare il suo "scopritore", dobbiamo concludere<br />

che la mancanza di citazioni e descrizioni<br />

dello stesso, sia dovuta al fatto che lo strumento fu<br />

dimenticato e mai più rammentato. Per questa<br />

ragione, lo presentiamo come una novità nella sto-<br />

ria dell'astrolabio e degli strumenti scientifici in<br />

genere. E dobbiamo ancora una volta elogiare il<br />

merito del Matematico Giuseppe Settele che appena<br />

avuta la segnalazione da un collega, ne comprese<br />

immediatamente l'importanza, e ne diede<br />

subito una precisissima descrizione, l'unica che ci è<br />

rimasta. Tanto più importante, quanto si consideri<br />

che ad oggi si sono di nuovo perse le tracce dello<br />

strumento, e forse questa volta definitivamente.<br />

La scoperta e la descrizione di questo prezioso<br />

strumento, non solo si aggiunge alle poche fonti<br />

storiche a nostra disposizione, sulla memoria degli<br />

strumenti astronomici degli antichi, ma ci porta<br />

addirittura alla conoscenza di uno strumento<br />

nuovo, mai visto prima, che può identificarsi con<br />

un astrolabio semisferico. Precisiamo che tale<br />

monumento può con ragione definirsi, almeno etimologicamente,<br />

astrolabio (prenditore di stelle), in<br />

quanto è sicuramente uno strumento usato per calcoli<br />

di natura astronomica e calendariale.<br />

Giuseppe Settele, precedentemente citato,<br />

descrisse questo strumento in un articolo del 1817.<br />

Noi seguiremo passo passo le sue parole, tanto più<br />

che questo è l'unico documento in nostro possesso.<br />

Un emisfero convesso di rame (figg. 2 e 3) del<br />

diametro di circa 13.5 centimetri, circondato da un<br />

orlo, ovvero una zona piana sempre di rame larga<br />

qualche centimetro. Questa zona è divisa nella<br />

parte sottostante in 16 spazi uguali e da altrettante<br />

linee tendenti verso il centro del mezzo globo. In<br />

ciascuno di questi spazi vi è riportato un numero<br />

romano dall'I, progressivamente fino al XVI. Tra<br />

gli spazi indicati dai numeri III e V si legge distindamente<br />

"ORIIS", che facilmente si traduce in<br />

Oriens. Alla distanza di 90 gradi da questo punto,<br />

cioè tra gli spazi VIII e VIIII vi sono tracce di<br />

alcune lettere, ma di queste si riesce a discernere<br />

soltanto una B all'inizio, e una S alla fine. E ciò fa<br />

pensare che la parola intera debba leggersi Boreas.<br />

Nell'altro quarto di circolo, cioè tra gli spazi XII e<br />

XIII, dove si dovrebbe trovare l'Occidente, in quanto<br />

è il punto opposto all'Oriente, non si scorge<br />

alcun indizio di lettere, e forse non vi sono mai<br />

state, come ipotizza Settele che ebbe a vedere il<br />

monumento da vicino, che è in quella parte oltretutto<br />

ben conservato. Nella parte opposta a Boreas,<br />

cioè tra gli spazi I e XVI, il "grafito" è molto deteriorato<br />

e quindi inintelligibile, ma per analogia con<br />

gli altri punti, si suppone che vi fosse incisa la<br />

parola Meridies.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

7


fig. 2<br />

fig. 3<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

8


La superficie convessa del monumento è conservata<br />

abbastanza bene e il Settele rileva che su un<br />

ipotetico arco di cerchio condotto dalla zona orizzontale<br />

dove è la scritta meridies, fino alla sommità<br />

del semicerchio, si trova un foro a circa 44<br />

gradi dal piano orizzontale. Tale foro è il centro di<br />

quattro zone circolari (come si vede dalle figure 2 e<br />

3) concentriche divise ciascuna in 12 parti (dal foro<br />

centrale). La prima di queste, cominciando dall'interno,<br />

porta i nomi dei segni dello Zodiaco, indicati<br />

dalle sole tre prime lettere del loro nome, come<br />

ARI. TAV. GEM., eccetera, lo Scorpione però ha<br />

un'ortografia che indica la decadenza della lingua<br />

latina, poichè è scritto ISC, al posto di SCO. Nella<br />

seconda vi sono i nomi dei mesi del Calendario<br />

romano, i quali sono disposti, relativamente ai<br />

segni dello Zodiaco, secondo l'uso degli antichi, in<br />

quanto corrispondono ai segni in cui si trova il<br />

Sole al principio di ogni mese e non a quelli in cui<br />

entra in quel mese. Anche i nomi dei mesi sono<br />

indicati dalle prime tre lettere, come IAN. FEB.<br />

MAR., e si vede che Novembre ha NOB. invece che<br />

NOV. Le dodici divisione della terza zona, come si<br />

vede, sono a loro volta suddivise ciascuna in sei<br />

spazi da cinque piccole linee. L'ultima zona, riporta<br />

solo la lettera K, ad ogni principio di divisione.<br />

All'interno delle divisioni si notano le parole<br />

AEQV. e sotto VE, e nella parte opposta AEQV. e<br />

sotto AV. Poi sulla linea del meridiano vi è BRU. e<br />

nella zona settentrionale, verso il centro si legge<br />

LIS, parola mancante dell'inizio.<br />

Questa è la descrizione del monumento come fu<br />

visto dal Settele, il quale non mancava di nascondere<br />

la sua meraviglia per il fatto di non sapere da<br />

dove questo fosse venuto fuori: "Non si sa dove, nè<br />

quando sia stato trovato questo pregevole istrumento<br />

astronomico; il nostro Collega il Ch. Sig. Avvocato Fea<br />

lo vide in Siena, ove il possessore del medesimo, che non<br />

ne conosceva l'importanza, lo condannò a servire di<br />

base ad una testina antica di bronzo, per altro di ottima<br />

maniera, ma che ingombrava in gran parte il grafito<br />

della parte convessa: il prelodato Sig. Avv. Fea però<br />

avendo anche da quel poco, che rimaneva allo scoperto,<br />

saputo rilevarne il pregio, fece togliervi l'inutile ornato,<br />

e restituì agli amatori delle antichità un monumento,<br />

che senza questo suo impegno sarebbe ancora, e forse lo<br />

sarebbe stato anche per sempre, sepolto nell'oblivione...".<br />

Il Settele prosegue la sua relazione trovando una<br />

giusta spiegazione per ogni segno ed incisione che<br />

presenta il monumento. Così, secondo il suo studio,<br />

il bordo orizzontale, riporta 16 divisioni<br />

uguali che andrebbero ad indicare le 16 ore<br />

equinoziali del giorno più lungo dell'anno alla latitudine<br />

di circa 49 gradi che è quella per la quale fu<br />

concepito tale strumento, e nella quale il giorno del<br />

Solstizio estivo è all'incirca di 16 ore. Nondimeno,<br />

egli si fa scrupolo di precisare che gli antichi usavano<br />

comunemente le ore dette temporarie, oppure<br />

ineguali, per il fatto che esse, dividendo il giorno<br />

sempre in dodici parti uguali, risultavano essere<br />

durante tutto l'anno più corte o più lunghe, a seconda<br />

della stagione. Ma le ore equinoziali, sebbene<br />

non sempre per uso civile, erano anch'esse<br />

conosciute fin dall'antichità, come si può leggere in<br />

Plinio e in Ipparco, ed erano queste chiamate dai<br />

Greci col nome di "Isemerine". Dobbiamo precisare,<br />

però che le ore temporarie, erano quelle comunemente<br />

in uso nella vita civile sia dei Greci che dei<br />

Romani, e per tutto l'alto Medioevo. Le ore<br />

equinoziali furono d'impiego quasi esclusivo per<br />

gli studi astronomici e furono introdotte comunemente<br />

nell'uso civile, mentre le ore antiche temporarie<br />

lentamente scomparivano, solo a cominciare<br />

dal XII-XIII secolo.<br />

Secondo Settele, lo strumento che descrive serviva<br />

anche per passare agevolmente dalle ore<br />

equinoziali alle ore temporarie e viceversa. E<br />

questo non fa altro che confermare l'ipotesi di un<br />

uso dello strumento prevalentemente per calcoli<br />

astronomici.<br />

Nella parte convessa, la lettera K, premessa alle<br />

dodici suddivisioni dell'ultima zona, naturalmente<br />

dovrebbe indicare le Calende di ciascun mese. Le<br />

suddivisioni interne, dovute alle cinque lineette<br />

per parte, dovrebbero poter significare che ogni<br />

mese è stato diviso in sei parti di cinque giorni<br />

l'una. Ma in questo modo si avrebbe l'anno di soli<br />

360 giorni e il Settele giustifica questo asserendo<br />

che in quei tempi non si precorreva una precisione<br />

maggiore in macchine come questa.<br />

Avendo nella zona dei mesi le scritte Luglio e<br />

Agosto, si rileva che il monumento non dev'essere<br />

anteriore all'epoca in cui furono introdotti questi<br />

nomi. Ancora più internamente si scorgono i segni<br />

dello Zodiaco, disposti normalmente come nella<br />

sfera celeste.<br />

Dallo studio dell'ortografia riportata sopra la<br />

calotta sferica, il Settele prova che lo strumento<br />

dovette essere costruito verso la metà del III seco-<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

9


lo della nostra era.<br />

Le operazioni che possono effettuarsi con questo strumento<br />

egli le immagina in questo modo: "Per fa vedere<br />

l'uso delle 16 divisioni sulla zona orizzontale, immaginiamo,<br />

che nello spazio compreso da questa zona vi<br />

fosse una lastra circolare divisa in più circoli concentrici<br />

con un indice mobile attorno al centro. Suppongasi il<br />

primo circolo diviso in 12 parti, e le divisioni si comincino<br />

a contare dal punto assegnato al "Meridies"<br />

andando verso oriente: è evidente che messo l'indice a<br />

qualunque di queste divisioni, si avranno ridotte in ore<br />

"equinoziali" le ore "ineguali" del giorno del solstizio<br />

estivo, e messo l'indice alle divisioni della zona, si<br />

conoscerà a quante ore "civili" corrispondano tante ore<br />

"equinoziali", se poi in un altro circolo si divida in 12<br />

parti la sola metà della circonferenza, si avranno in ore<br />

"equinoziali" le ore "ineguali", e viceversa le ore<br />

"ineguali" ridotte in "equinoziali" nel giorno del solstizio<br />

d'inverno: questa seconda divisione ci darà in ore<br />

"equinoziali" le ore "civili" della notte del solstizio estivo,<br />

e la prima ci mostrerà le ore "ineguali" della notte<br />

in ore "eguali" per il solstizio invernale. Ripetendo<br />

questa operazione colle dovute modificazioni per altri<br />

tempi dell'anno, si potranno sempre ottenere in ore<br />

"equinoziali" le ore "civili", e le "civili" in<br />

"equinoziali", del giorno e della notte, per quei giorni<br />

per i quali sono stati descritti i circoli.<br />

Il Settele, giustifica questa sua ipotesi oltretutto<br />

dicendo: "Questa costruzione non me la sono<br />

immaginata del tutto, poichè la trovo indicata in<br />

Proclo Diacono astronomo del V secolo, il quale ci<br />

ha lasciato un lungo, e ben intralciato trattato sull'astrolabio;;;<br />

e lo stesso procedimento lo ritrovo in<br />

Gemma Frisio".<br />

Lasciata la descrizione della zona orizzontale, egli<br />

passa a spiegare l'uso della parte convessa dello<br />

strumento. Per curiosità si ricorda che Settele mal<br />

volentieri colloca questo strumento nella "classe<br />

degli Astrolabi" denunciando, nel suo articolo citato,<br />

il desiderio di collocare lo stesso in una classe di<br />

strumenti più "nobili".<br />

"Nel centro delle zone circolari s'intenda collocato un<br />

indice mobile che con la sua punta arrivi alla zona che<br />

riporta le divisioni di 6 in 6. Facendo passare questo<br />

indice successivamente da una divisione all'altra, darà<br />

all'incirca la "longitudine del sole" per ogni cinque<br />

giorni.<br />

Nel vertice dell'emisfero s'immagini adattato un altro<br />

indice, curvato secondo la curvatura dell'emisfero, e che<br />

comprenda 90 gradi: questi gradi si segnino sopra<br />

l'indicato indice, cominciando a contarli dal piano orizzontale,<br />

ci darà questo la "massima altezza del sole"<br />

sopra l'orizzonte di 5 in 5 giorni, facendolo passare<br />

sopra il punto che occupa il Sole in quei giorni nel zodiaco.<br />

Se poi si aggiunga un terzo indice, che giri attorno al<br />

polo, curvato secondo la convessità dell'emisfero, potrà<br />

questo indicarci la declinazione del sole per i giorni ivi<br />

segnati; e se inoltre suppongasi, che questo indice possa<br />

scorrere, onde la sua estremità possa adattarsi a qual<br />

giorno si voglia, ci darà il "parallelo" che percorre il<br />

Sole in quel dato giorno, e quindi le "ampiezze ortive, ed<br />

occidue": e se la sua estremità sia munita di una punta<br />

perpendicolare alla sfera, si potrà ottenere il "luogo del<br />

Sole" nel suo parallelo, allorchè questa punta non getterà<br />

alcun'ombra, e si avrà così la "distanza del Sole dal<br />

meridiano"...<br />

Il Settele non si dispensa dall'aggiungere alla<br />

macchina qualsiasi un altro congegno, a quelli già<br />

descritti, che possa esser utile nella ricerca di dati<br />

astronomici; tuttavia non gli riesce di poter<br />

dimostrare se tali congegni fossero un tempo<br />

davvero appartenuti allo strumento. D'altra parte,<br />

la sua forma porta in modo naturale a fare le considerazioni<br />

del nostro autore il quale giustifica le<br />

sue ipotesi, dovendo supplire alle parti mancanti e<br />

dovendo classificare il suo monumento tra gli<br />

astrolabi: "Tutte queste cose devono ottenersi dagli<br />

astrolabi, e facilmente si deducono da quanto si è conservato<br />

sul nostro monumento, onde non è del tutto<br />

arbitraria la mia costruzione...".<br />

Infine, l'autore si cruccia di dare una spiegazione al<br />

fatto che i trattati degli antichi astronomi (Sinesio,<br />

Proclo), erano su astrolabi costruiti in piano orizzontale,<br />

mentre lo strumento da lui descritto è un<br />

mezzo globo. Ma siccome la datazione lo colloca<br />

alla metà del III secolo d.C., prima cioè degli scritti<br />

sull'astrolabio piano che conosciamo, egli suppone<br />

che in quei tempi poteva essere anche questa<br />

la forma dei primi astrolabi. Tanto più che sia<br />

Sinesio che Proclo parlano dei loro astrolabi come<br />

strumenti da essi perfezionati, sulla base quindi di<br />

antichi modelli più scomodi per le pratiche operazioni.<br />

Da parte nostra facciamo rilevare che questo singolarissimo<br />

strumento, del tutto assimilabile ad un<br />

antico astrolabio, fu forse conosciuto dagli<br />

astronomi arabi che lo mutarono nell'astrolabio<br />

"Camillah", descritto per esempio nel codice 1147<br />

di Aboul Hhassan Alì al-Marrakushi, nel XIII seco-<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

10


lo. Inoltre, è probabilmente da questi tipi di strumenti<br />

che gli arabi ottenero l'astrolabio propriamente<br />

"sferico", di cui parleremo più avanti.<br />

Non sappiamo con precisione chi realizzò i primi<br />

rudimentali astrolabi piani, o planisferici, e nemmeno<br />

in quale anno. L'unica indagine che ci resta<br />

da fare è quella di cercarne le tracce nella cronologia<br />

delle opere antiche dedicate a questo strumento.<br />

Come abbiamo già visto, l'ipotesi che l'astrolabon<br />

descritto da Tolomeo nel suo Almagesto fosse<br />

proprio l'astrolabio che conosciamo, è stata abbandonata,<br />

soprattutto quando si è scoperto che anche<br />

Proclo, nel suo poco chiaro trattato, identifica l'astrolabon<br />

di Tolomeo con la semplice sfera armillare.<br />

Inoltre, Teone di Alessandria, chiama l'astrolabio<br />

piano "piccolo astrolabio", forse proprio per indicare<br />

la nuova invenzione di proiettare, e quindi<br />

rimpicciolire su di un piccolo piano orizzontale i<br />

circoli celesti altrimenti rappresentati dalla classica<br />

armilla.<br />

Giovanni Filopono, nel V secolo d.C., lo chiama già<br />

semplicemente "astrolabio". Altri autori fanno rilevare<br />

che nelle prime fasi dello sviluppo di questo<br />

strumento, c'è un cambiamento che riguarda il<br />

bordo circolare esterno: nel Planisphaerium di<br />

Tolomeo, come nella Lettera di Sinesio sul "Dono<br />

dell'Astrolabio", e probabilmente anche nel<br />

precitato trattato di Sebokht, il bordo esterno rappresenta<br />

il circolo antartico della sfera celeste, con<br />

le stelle osservabili dalle parti più inabitabili del<br />

mondo. Negli strumenti posteriori, fabbricati fino<br />

a qualche secolo fa, lo stesso bordo coincide con il<br />

solstizio d'inverno (tropico del capricorno); in tal<br />

caso le stelle a sud di questo non possono essere<br />

osservate.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

11


GLI <strong>ASTROLABI</strong> ARABI<br />

6L'Opera di Aboul Hhassan.<br />

Gli Arabi sono da lodare in quanto furono i veri<br />

depositari della scienza antica e per aver riacceso il<br />

fuoco sacro che si era estinto nei secoli. L. AM.<br />

Sédillot (probabilmente figlia di Jean Jacques<br />

Sédillot), nel suo libro citato, afferma che gli Arabi<br />

non si sforzarono mai di divulgare il proprio patrimonio<br />

culturale che avevano raccolto e le loro<br />

acquisizioni scientifiche; cioè essi non trasmisero<br />

agli altri popoli ciò che avevano saputo ereditare<br />

dalla scienza antica e ciò che avevano conquistato<br />

con le proprie metodologie innovative, soprattutto<br />

nell'Astronomia.<br />

Quest'affermazione non sembra condivisibile. Fu il<br />

mondo Occidentale, Cristiano, a rifiutare - nei secoli<br />

dal V al X - ostinatamente il patrimonio culturale<br />

dell'antichità pagana, appunto perchè pagana.<br />

E ciò sia nei testi originali greci sia nel tramite delle<br />

traduzioni arabe, opera del demonio. Questo<br />

atteggiamento mutò solo più tardi, tanto che la<br />

prima traduzione latina dell'Almagesto si ebbe nel<br />

1175.<br />

Conseguenza di ciò è il ritardo di secoli con cui ci<br />

sono arrivate le opere degli arabi, le loro invenzioni.<br />

E questo si sente ancora oggi, quando si<br />

pensi che la maggior parte dei manoscritti che<br />

"Colui che ignora la storia della scienza<br />

si priva dell'esperienza dei secoli,<br />

si mette nella posizione del primo inventore,<br />

cadendo in ogni sorta di errore,<br />

con questa differenza,<br />

che i primi errori furono necessari e utili,<br />

e per conseguenza sono più che scusabili,<br />

mentre la ripetizione degli stessi errori<br />

che non sono più necessari,<br />

porta ad una inutile sterilità per gli altri,<br />

e sono vergognosi per se stessi".<br />

Cousin "Cours d'histoire de la philosophie", 1828<br />

furono pubblicati dal decimo secolo in poi, non<br />

sono stati ancora tradotti e commentati!<br />

"C'est le sort des peuples qui renouent le fil des<br />

connaissance humaines", continua Sédillot.<br />

Conosciamo bene alcune opere di alcuni astronomi,<br />

tra i più importanti, ma ci sono ignote quelle di<br />

tantissimi altri, e con essi i trattati di Gnomonica,<br />

di cui non sappiamo quasi niente. Quelli sull'astrolabio<br />

hanno avuto forse più fortuna, in quanto<br />

sono stati oggetto d'interesse di molti studiosi di<br />

tutte le epoche e nazioni.<br />

In questo semplice lavoro seguiremo la strada già<br />

spianata dall'illustre Jean Jacques Sédillot, che per<br />

nostra fortuna tradusse pazientemente il manoscritto<br />

n° 1148 della Biblioteca Nazionale di Parigi,<br />

che è l'originale scritto dall'astronomo arabo Aboul<br />

Hhassan Alì al-Marrakushi. Questo trattato è<br />

molto importante per la storia degli strumenti scientifici<br />

che furono costruiti durante il basso<br />

medioevo. Riteniamo, oltretutto, che quest'opera<br />

sia stata poco divulgata e per questo poco conosciuta,<br />

se non ad un piccolo grappolo di addetti ai<br />

lavori.<br />

Sédillot, in effetti, traduce e commenta quanto<br />

scrisse Hhassan al-Marrakushi su innumerevoli<br />

strumenti per l'osservazione astronomica e per la<br />

misurazione del tempo. Tant'è vero che il manoscritto<br />

1147 della stessa Biblioteca Nazionale di<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

12


Parigi, comprende un vero e proprio trattato di<br />

Gnomonica, specifico sugli orologi solari piani e<br />

portatili degli arabi, in uso nel XII secolo. Seguire<br />

l'ottima traccia di Sédillot, quindi, che pubblicò la<br />

sua traduzione verso la metà del secolo scorso, ci<br />

permette di divulgare il suo contenuto almeno<br />

nelle parti relative all'astrolabio.<br />

Gli strumenti descritti con dovizia di particolari da<br />

Aboul Hhassan, sono l'astrolabio sferico e il<br />

Chamilah. Ma facendo un elenco delle specie di<br />

astrolabi che l'astronomo arabo ci ha tramandato<br />

nel suo manoscritto, possiamo renderci conto già<br />

della presenza di strumenti attualmente sconosciuti:<br />

Astrolabi citati da Aboul Hhassan:<br />

1) Astrolabio Sferico<br />

2) Astrolabio Chamilah<br />

3) Astrolabio Planisferico propriamente detto.<br />

4) Astrolabio planisferico Mesatirah<br />

a) su un piano parallelo ad un orizzonte dato;<br />

b) su un piano parallelo al meridiano;<br />

5) Astrolabio Meridionale;<br />

6) Astrolabio Settentrionale e Meridionale (varie<br />

specie) ;<br />

7) Astrolabio Zaourakhi;<br />

8) Astrolabio in cui le zone non dipendono dalla<br />

proiezione;<br />

9) Astrolabio al-kamil, o il perfetto;<br />

10) Astrolabio Lineare di Nasir-eddin Thousi;<br />

11) Astrolabio Chekasiah;<br />

12) Astrolabio Shafiah di Arzachel.<br />

13) Astrolabio conico<br />

14) Astrolabio cilindrico<br />

Gli arabi sono stati i migliori costruttori di astrolabi.<br />

Le loro tecniche divennero così raffinate in<br />

questo campo da indurre a soprannominare i<br />

costruttori di questi strumenti con lo stesso termine<br />

di Astrolabio. Astharlabi è quindi il soprannome<br />

che portano molti astronomi arabi del<br />

medioevo. Di questo abbiamo delle testimonianze<br />

dirette, come quella di Ibn Iounis che cita con elogio<br />

Ali ben Isa al-Asterlabi e Ahmed ben Ali de<br />

Wasith.<br />

Tra le opere più antiche che ci sono pervenute sull'astrolabio,<br />

è da citare la traduzione curata da<br />

Oronzio Fineo (sec. XVI) di un piccolo trattato di<br />

Meshallah, il quale fiorì verso l'anno 815 d.C.<br />

Mentre Hyde cita frequentemente un trattato analogo<br />

di Alfragano, di cui però non esiste una<br />

traduzione, e non ci è pervenuta nessuna copia<br />

dell'originale.<br />

Sédillot menziona anche quello che pare possa<br />

essere il più antico esemplare di astrolabio planisferico<br />

conosciuto. Risale al 912 della nostra era e fu<br />

costruito dal figlio del califfo al-Moktafi Billah.<br />

7L'astrolabio planisferico<br />

(propriamente detto).<br />

L'astrolabio planisferico, così come ci è stato<br />

descritto da Aboul Hhassan, si divide in tre parti<br />

distinte. La prima parte comprende la faccia e il<br />

dorso dell'astrolabio. La faccia (facies astrolabiiwadjh)<br />

(fig.4) è ordinariamente divisa in 360 gradi,<br />

con passo di 10 gradi, e anche in 24 ore; queste incisioni<br />

sono riportate sulla parte che si chiama lembo<br />

dell'astrolabio (limbus astrolabii); la concavità nella<br />

quale questo lembo si trova adagiato e sul quale<br />

vengono aggiunte le altre "planches", cioè le altre<br />

lamine, si chiama madre dell'astrolabio (mater astrolabii).<br />

Il dorso dell'astrolabio (dorsum astrolabii) (fig.9) contiene<br />

vari cerchi concentrici che in genere rappresentano:<br />

1° i gradi delle altezze di dieci in dieci, o di cinque<br />

in cinque, fino a novanta per qualche quadrante; 2°<br />

i gradi dello zodiaco di dieci in dieci, fino a trenta<br />

per qualche segno; 3° i nomi dei dodici segni zodiacali;<br />

4° i giorni dell'anno per qualche mese; 5° i<br />

nomi dei dodici mesi. All'interno si possono tracciare<br />

gli archi delle ore ineguali o temporarie, il<br />

quadrato dell'umbra versa et recta, ed altre cose<br />

ancora.<br />

La seconda parte si compone di una o più tavolette<br />

piane dette shafiah (in latino tympanum), sulle quali<br />

sono riportati gli almucantarat (circuli progressionum)<br />

con suddivisione di sei gradi, dall'orizzonte<br />

fino allo zenit; il primo di questi almucantarat è<br />

l'orizzonte "retto" o "obliquo" che separa l'emisfero<br />

superiore dall'emisfero inferiore. Infine sono riportati<br />

gli azimut (circuli verticales), mentre i due<br />

diametri che si intersecano ad angolo retto sulla<br />

tavoletta, rappresentano la linea meridiana e<br />

l'orizzonte retto. Inoltre, si riportano i due tropici e<br />

il cerchio equinoziale e al di sotto gli archi delle ore<br />

ineguali e la linea del crepuscolo e dell'aurora<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

13


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15


<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

16


(linea crepuscolina). Volendo, si possono ancora<br />

tracciare, su altre lamine, le stesse indicazioni, ma<br />

per una latitudine diversa.<br />

La terza parte dell'astrolabio planisferico è il<br />

"ragno" (aranea, rete, volvellum) (fig.10) che gli<br />

arabi chiamano Alancabuth, il quale contiene i dodici<br />

segni dello zodiaco con i loro gradi, di cinque in<br />

cinque, o di dieci in dieci, e la posizione delle stelle<br />

fisse, di cui le più importanti sono indicate da una<br />

speciale dentellatura (al-muri). I segni e le stelle che<br />

si trovano dentro il cerchio equinoziale e al centro<br />

dell'astrolabio sono settentrionali e quelli che sono<br />

al di fuori dal parallelo del capricorno sono meridionali.<br />

Diversi pezzi completano lo strumento. Questi<br />

sono l'alidada, o traversa (mediclinium, regula, sive<br />

volvella) (fig.12), composta di due pinnule; un lato<br />

passa per il centro dell'astrolabio, lungo una linea<br />

retta chiamata linea di direzione (linea fiduciae).<br />

Viene infine l'anello di sospensione (armilla suspensoria)<br />

(figg.13-14), chiamato alanthica, alphantia o abalantica;<br />

poi l'ansa e l'alhabos di Koebelius, o armilla<br />

reflexa), a cui è atttaccato l'anello superiore all'astrolabio,<br />

come una placca circolare fissata sullo<br />

strumento.<br />

Al centro dell'astrolabio si trova un foro (almehan)<br />

che attraversa tutto lo strumento, quindi la rete<br />

con tutte le lamine. Questo foro è di forma rotonda,<br />

come un cerchio (alphelath) (fig.15); in questo<br />

foro si mette un perno (l'alchitot) (fig.16) che consiste<br />

in una vite a dado, oppure il perno viene fissato<br />

da una piccola chiavetta detta "il cavallo"<br />

(l'alpherath) (fig.17) che passa attraverso la punta di<br />

esso.<br />

8<br />

Le stelle fisse sull'alancabuth<br />

Uno studio effettuato da Sédillot su un astrolabio<br />

cofico menzionato nella grande opera della<br />

Description de l'Egypte, e conservato molto bene, dà<br />

un'idea di come erano le parti di un astrolabio settentrionale.<br />

Questo strumento è rappresentato<br />

nella fig. 9. Sull'alancabuth si trovano 26 stelle i cui<br />

nomi sono i seguenti:<br />

1. Il Serpente;<br />

2. La Serpentaria;<br />

3. L'Aquila volante;<br />

4. Il calcagno;<br />

5. Arturo;<br />

6. Il Piede posteriore dell'Orsa Maggiore;<br />

7. Il Piede anteriore dell'Orsa Maggiore;<br />

8. Aiouk (Capella);<br />

9.Ridfe (le stelle della costellazione del Cigno);<br />

10. Alghol;<br />

11. Menkhib al-feres (la spalla del cavallo);<br />

12. L'aquila ricadente (Lyra);<br />

13. Fekka (la Corona settentrionale);<br />

14. Aldebaran;<br />

15. Menkhib (la spalla del Gigante - Orione);<br />

16. Algomeisha (Procione);<br />

17. Le due Serre (probabilmente la Criniera del<br />

Leone, Regolo);<br />

18. La coda del capricorno;<br />

19. La coda della Balena;<br />

20. Il Ventre della Balena;<br />

21. Rigel;<br />

22. Alabor (Sirio);<br />

23. L'Hydra;<br />

24. L'estremità della coppa;<br />

25. L'Epi (costell. della Vergine);<br />

26. Il Cuore dello Scorpione.<br />

Inoltre, sugli astrolabi, come su tutti gli strumenti<br />

gnomonici, gli arabi segnavano alcune curve corrispondenti<br />

a dei particolari momenti della giornata<br />

e di preghiera. Per esempio, nell'astrolabio di cui<br />

stiamo parlando, vi era l'indicazione dello Zaoual,<br />

la linea del mezzo giorno, quella del cDohre o<br />

Zhore, che è il momento più caldo della giornata;<br />

infine quella dell'Ashre, ovvero la linea del crepuscolo<br />

e dell'aurora.<br />

All'astrolabio planisferico, Aboul Hhassan, associa<br />

l'astrolabio chiamato Mesatirah, di cui distingue<br />

quattro specie: le prime due sono tracciate su un<br />

piano parallelo ad un orizzonte dato; mentre le<br />

altre due sono tracciate su di un piano parallelo al<br />

meridiano. Questo strumento non porta i punti<br />

della proiezione dell'eclittica, ma reca invece gli<br />

almucantarat, gli azimut, l'equatore e i suoi paralleli,<br />

il polo visibile, gli archi di rivoluzione della<br />

sfera e delle stelle fisse.<br />

Inoltre, bisogna distinguere gli astrolabi a seconda<br />

della suddivisione in gradi dei cerchi interni di<br />

altezza, cioè gli almucantarat. Tenendo conto del<br />

loro numero si ha:<br />

1) Astrolabium solipartium (tamm): astrolabio detto<br />

anche "completo" con 90 cerchi ciscuno dei quali<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

17


isponde ad un grado;<br />

2) Astrolabium bipartium (nis fi): astrolabio con 45<br />

cerchi di 2 gradi ciascuno;<br />

3) Astrolabium tripartium (thulthi): con 30 cerchi;<br />

4) Astrolabium quimpartium (khumsi): con 18 cerchi;<br />

5) Astrolabium sex partium (sudsi): con 15 cerchi;<br />

9L'astrolabio Meridionale<br />

risparmiandoci di descriverlo dettagliatamente,<br />

ricorderemo che è uguale a quello settentrionale,<br />

con la sola differenza che il polo della proiezione<br />

stereografica invece di essere il polo sud, è, questa<br />

volta, il polo nord.<br />

10<br />

L'astrolabio Settentrionale e Meridionale<br />

Anche di questo ci sono varie specie. La prima è<br />

chiamata Tabli (tympanum) comprendente i segni<br />

dello zodiaco come si vede nella fig. 19; Le stelle<br />

tracciate nella parte superiore della lamina sono:<br />

1. Spica;<br />

2. Sirio;<br />

3. il fiume;<br />

4. al-Sharfah;<br />

e le stelle tracciate nella parte superiore sono:<br />

5. l'Aquila ricadente;<br />

6. la "dama" del Cigno;<br />

7. Arturo.<br />

Nella seconda specie (fig. 20), chiamata al-asi (il<br />

mirto) e nella terza (fig. 21), detta al-serathani ( il<br />

gambero), i dodici segni zodiacali, come si vede,<br />

sono disposti diversamente. Aboul Hhassan, nel<br />

manoscritto 1148, fol. 90, menziona altre sei astrolabi<br />

di questo genere:<br />

1) il Sadafi (la conca) - fig. 22;<br />

2) il Berdjesdani (Porta segno?) fig. 23;<br />

3) il Bisathi (il tappeto ?), fig. 24;<br />

4) il Tsouri (il Toro), fig. 25;<br />

5) il Djamousi (il bufalo), fig. 26;<br />

6) il Selhafi ( la tartaruga), fig. 27;<br />

La fig. 28 riproduce l'alancabuth dell'astrolabio che<br />

Hhassan chiama Schachaichi (l'anemone).<br />

11<br />

L'astrolabio Zaourakhi<br />

E' detto anche "Scaphée" (Boat-astrolabe). Si traccia<br />

su una lamina (shafiah) i tre cerchi paralleli, i dodici<br />

segni zodiacali,, le stelle fisse, gli almucantarat,<br />

gli azimut, le ore ineguali e le ore eguali, etc. (fig.<br />

29). Uno dei primi costruttori pare sia stato l'arabo<br />

Ahmad al-Sidizi nei primi anni dell'XI secolo.<br />

12<br />

L'astrolabio indipendente dalla proiezione<br />

viene distinto in alcune specie. In uno i dodici<br />

segni zodiacali sono piazzati su una linea diritta<br />

che passa per il polo; nel secondo si trovano su una<br />

linea retta tangente ad uno dei paralleli riportati;<br />

in un terzo, i segni sono disposti a forma di elica,<br />

proprio come l'orologio solare denominato "hélice"<br />

(fig. 30-31-32).<br />

13 L'astrolabio al-kamil (il perfetto).<br />

Questo astrolabio riporta, oltre ai tracciati che<br />

abbiamo già elencato per gli altri strumenti, il cerchio<br />

dell'equazione del Sole.<br />

Per quanto riguarda gli altri astrolabi nominati,<br />

Sédillot non riporta la descrizione di Aboul<br />

Hhassan e quindi non siamo in grado di spiegarli.<br />

14 Astrolabio Shafiah di Arzachel<br />

Come si è visto, gli astrolabi settentrionali classici<br />

avevano le lamine che erano calcolate ognuna per<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

18


fig. 18 fig. 19 Tabli<br />

fig. 21 al-serathani<br />

fig. 20 al-asi<br />

fig. 22 sadafi<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

19


fig. 28 Schachaichi<br />

fig. 24 Bisathi<br />

fig. 23 Berdiesdani<br />

fig. 25 Tsouri fig. 26 Djamousi<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

20


fig. 27 Selhafi<br />

fig. 29 Astrolabio Zaourakhi<br />

fig. 28 bis Alancabuth al-asi<br />

fig. 28 Alancabuth del Tabli<br />

fig. 30<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

21


fig. 31<br />

Astrolabio indipendente dalla proiezione<br />

fig. 32<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

22


una determinata latitudine. Quindi, per potersene<br />

servire a diverse latitudini era necessario cambiare<br />

continuamente le lamine. L'arabo spagnolo az-<br />

Zarqali, latinizzato in Arzachel, inventò verso la<br />

fine dell'anno Mille, un astrolabio "universale" che<br />

poteva servire a diverse latitudini, senza cabiare<br />

lamina.<br />

Per fare questo, ideò un procedimento in cui<br />

l'osservatore si pone in uno dei punti del Primo<br />

Verticale (Est, od Ovest dell'orizzonte) e il piano di<br />

proiezione coincide con il piano del coluro solstiziale,<br />

ovvero del meridiano passante per i punti<br />

solstiziali. Ottenne ciò per mezzo della proiezione<br />

stereografica orizzontale. Aboul Hhassan ci fornisce<br />

il nome di Arzachel in una forma forse più<br />

precisa: Abou-Ishac Ibrahim ben-Yahia al-<br />

Razcalah, o al-Zarcalah.<br />

Naturalmente anche su questo punto, molti studiosi<br />

non si trovano d'accordo. Per esempio<br />

d'Herbelot, nel sec. XVIII dice semplicemente che<br />

il termine zarcalah indica uno strumento che ha<br />

tratto il nome dal suo inventore. Nel Catalogus<br />

Codicum orientalium Biblioth. Acad. Lugduno Batavae<br />

(vol.III, 1865, p. 96), si legge "Tractatus de tabula<br />

Zarcalitica auctore Abu Ishak Ibrahim ibn Jahja an-<br />

Nakkasch, vulgo Ibnoz- Zarkalah (al-Kortobi)". Gli orientalisti<br />

confermano che la "tavoletta" che si trova<br />

nei vari manoscritti sparsi nelle biblioteche è proprio<br />

lo strumento nominato "Shafiah", ma a questo<br />

proposito il discorso diventerebbe lungo e complicato.<br />

Noi ricorderemo il manoscritto latino n° 7195,<br />

della Biblioteca Nazionale di Parigi, segnalato da<br />

Sédillot, che fornisce una traduzione del trattato<br />

originale scritto dallo stesso Arzachele, sulla<br />

costruzione di questo astrolabio universale.<br />

Il foglio 89 comincia così: "Incipit compositio tabulae<br />

quae Saphea dicitur sive astrolabium Arzachelis". C'è<br />

poi il manoscritto latino n° 7295 "Instrumentum<br />

sapheae magistri Johannis de Lineriis" che contiene la<br />

descrizione di uno strumento ugualmente nominato<br />

"shafiah" e attribuito a Johannes de Lineriis che<br />

visse a Parigi verso la fine del XIV secolo.<br />

Sédillot menziona un esemplare di Saphea perfettamente<br />

conservato nella Biblioteca Nazionale di<br />

Parigi e acquistato successivamente da Jomard.<br />

Questo strumento faceva parte della collezione di<br />

Schultz (fig. 33). Forse il più antico esemplare di<br />

shafiah è l'astrolabio costruito da Muhammad ibn<br />

al-'Aama iri in Siviglia nel 1216 d.C. (enciclopedia<br />

Treccani) illustrato nelle figg. 35-36.<br />

Al-Zarkali chiamò "al-abbadiya" il suo nuovo strumento,<br />

in onore di al-Mustamid b. 'Abbad, re di<br />

Siviglia nella seconda metà dell'XI secolo. Una<br />

variazione della Saphaea è il cosiddetto "Safiha<br />

shakaziya”, o shakariya, di cui non abbiamo nessuna<br />

precisa informazione.<br />

Hhassan si sofferma ancora su un altro strumento<br />

che è una specie di shafiah, costruito nel 1337 d.C.<br />

Su una faccia di questo strumento, nei pressi dell'anello<br />

di sospensione, si legge "Strumento che riunisce<br />

le operazioni e le latitudini - (il che è in perfetto<br />

accordo con lo scopo dello strumento di<br />

Arzachele) - costruito e collaudato da Ali ben Ibrahim<br />

Almuthim". E sulla seconda faccia "Per lo Sceicco Ali<br />

ben Mohammed Al- Derbendi, anno 738", cioè 1337<br />

d.C. Sull'"alancabuth" sono segnati i nomi di 58<br />

stelle.<br />

Infine egli parla ancora di qualche strumento<br />

assimilabile alla Shafiah di Arzachele, e che nomina<br />

Chekasiah; quindi passa alla descrizione della<br />

cosiddetta bacchetta di Nasir-eddin Thousi, altrimenti<br />

detto Astrolabio Lineare (fig. 34).<br />

Questo grande astronomo arabo, morto attorno al<br />

1213, ideò l'astrolabio lineare, dal vago aspetto di<br />

un regolo calcolatore che pur essendo molto più<br />

semplice dell'astrolabio piano, era meno preciso, e<br />

per questo non ebbe molta fortuna. Egli ne<br />

descrisse la costruzione e l'uso nella sua opera in<br />

persiano intitolata Bait Babhfil astarlab.<br />

15L'astrolabio<br />

Chamilah<br />

Si compone di una semisfera incavata, che deve<br />

essere realizzata con molta esattezza. Il centro<br />

della superficie convessa coincide con quello della<br />

superficie concava. La circonferenza massima<br />

della semisfera rappresenta il cerchio massimo<br />

dell'orizzonte che viene diviso in 360 parti uguali.<br />

Un anello diviso in quattro facce coincide con il<br />

cerchio dell'orizzonte, diviso nello stesso modo.<br />

Una shafiah di rame, di forma rotonda avente una<br />

circonferenza uguale a quella del cerchio dell'orizzonte,<br />

completa lo strumento nelle sue parti essenziali.<br />

Su questo strumento si tracciano gli azimut e gli<br />

almucantarat suddivisi in gradi; infine si mette<br />

presso la circonferenza del shafiah, un cerchio che<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

23


appresenta l'eclittica divisa in dodici parti, con i<br />

nomi dei dodici segni e le loro suddivisioni in<br />

gradi; si potrà aggiungere il quadrato delle due<br />

ombre (umbra versa - umbra recta), le ore "dei<br />

tempi", l'ombra khouarzemi, o khouarezmi, in pratica<br />

i tracciati che in genere si rappresentano sulle<br />

quarte di cerchio.<br />

Poi c'è un'alidada a due pinnule attaccata al centro<br />

della shafiah per mezzo di un asse che permette di<br />

muoverla con facilità e che serve per prendere le<br />

altezze degli astri. Infine, con una lima si ricava<br />

un'incisione sulla semisfera, a partire dall'anelli<br />

dell'orizzonte e fino al polo dell'orizzonte stesso.<br />

Questo rappresenta il circolo meridiano. Il semicerchio<br />

diviso in 180 gradi e piazzato sull'eclittica<br />

da dove comincia il punto dell'ariete (punto<br />

gamma) e quello della Bilancia, serviva a determinare<br />

l'arco del giorno e della notte, i coascendenti<br />

dei segni e l'obliquità (dell'eclittica) (figg. 37-<br />

38-39-40-41-42)<br />

Come si è accennato prima, questi strumenti,<br />

Chamilah, Chebakah, Mesatirah, ecc., sono assimilabili<br />

all'astrolabio descritto da Settele. Infatti, oltre<br />

alla forma, sono quasi identiche le operazioni di<br />

ritrovamento degli archi semidiurni e seminotturni<br />

e via dicendo.<br />

16 L'astrolabio Sferico (kurì, ukarì)<br />

E' questo uno strumento molto poco conosciuto a<br />

causa, probabilmente, della sua scarsa produzione.<br />

Aboul Hhassan ce ne dà una descrizione piuttosto<br />

buona che, tra l'altro, è forse l'unica che si conosce,<br />

oltre a delle singole citazioni in altri testi<br />

medievali, come vedremo tra breve.<br />

L'astrolabio sferico, (figg. 43-44-45-46) la cui<br />

costruzione deriva, come è evidente, dal globo<br />

celeste, si compone di due sfere "inscritte".<br />

Termine da tradurre alla buona come due "palle<br />

che stanno una dentro all'altra le cui superfici si<br />

toccano e possono ruotare indimentendemente ad<br />

un comune centro". Si traccia sulla parte circonscritta<br />

l'eclittica e l'equatore, le stelle fisse, gli<br />

almucantarat e gli azimut, le ore dei tempi e le latitudini<br />

di alcuni luoghi. Poi si costruisce un<br />

chebakah, ossia una rete, o inviluppo sul quale si<br />

riporta il polo dell'eclittica e quello dell'equatore;<br />

quindi si costruisce una linguetta la cui estremità<br />

tocca l'equatore dove si trova uno gnomone che ha<br />

la direzione del raggio della sfera.<br />

La storia di questo astrolabio è alquanto oscura. Le<br />

poche informazioni che abbiamo sono state riassunte<br />

in un unico articolo comparso su una rivista<br />

più di trent'anni fa, oggi quindi quasi sconosciuto,<br />

a cura di Francis. Maddison, del Museo di Storia<br />

della Scienza di Oxford.<br />

Egli descrive l'unico esemplare pervenutoci di<br />

astrolabio sferico. Uno strumento di origine islamica<br />

orientale, acquistato in quegli anni dal Museo<br />

di Oxford (si vedano fig. precedenti), che fu costruito<br />

nel 1480 o 1481 da un'autore finora sconosciuto,<br />

Musà.<br />

Un'accurata ricerca bibliografica ha permesso di<br />

stabilire che Al-Khwarizmi, verso la metà del secolo<br />

IX, menziona per la prima volta l'astrolabio<br />

sferico. E a tal proposito si può vedere il testo pubblicato<br />

da Carl Schoy, Alì ibn Isà. Das astrolab und<br />

sein Gebrauch, in "Isis" n. 30, vol. IX, Giugno 1927.<br />

Ma il primo vero trattato sull'astrolabio sferico è<br />

probabilmente quello di Qustà b. Lucà che visse<br />

attorno al 922 d.C. Altri scrittori islamici sullo stesso<br />

soggettu furono al-Nairizi (c.ca 922 d.C.), al-<br />

Birouni (937-1048) e, come si è visto, al-<br />

Marrakushi. Una dettagliata descrizione e sull'uso<br />

di questo astrolabio è stata curata da Isaac b. Sid,<br />

ed inclusa nei Libros del Sber de Astronomia (1276) -<br />

"Libros dell'astrolabio redondo" - voluti da Alfonso<br />

X, detto el Sabio, Re di Castiglia.<br />

Al-Nairizi considera l'astrolabio sferico superiore<br />

all'astrolabio planisferico e agli altri strumenti<br />

astronomici. Anche nei Libros del Saber, si legge un<br />

buon parere in proposito: "uno de los buenos estrumentos<br />

que fueron fechos". Tuttavia, come già detto,<br />

l'astrolabio sferico non ebbe mai quella diffusione<br />

che invece meritava e di cui godette il suo primo<br />

rivale, l'astrolabio planisferico. Infatti, nei Libros del<br />

Saber, esso era solo menzionato, senza una<br />

descrizione delle sue parti e del suo uso. Il Re<br />

Alfonso X allora ordinò a Isaac b. Sid di scrivere un<br />

nuovo libro per questo, ma la nuova Europa<br />

nascente non accolse con spirito di critica il nuovo<br />

trattato e questo soggetto passò quasi inosservato<br />

nella cultura dell'Occidente Cristiano. In effetti,<br />

poi, le difficoltà di realizzazione pratica dell'astrolabio<br />

sferico, nonchè del suo uso, molto più elevate<br />

che in quello planisferico, non fecero che<br />

diminuire l'interesse dei costruttori di strumenti<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

24


astronomici del medioevo. Tutto ciò si evidenzia,<br />

di conseguenza, nella scarsissima produzione di<br />

manoscritti europei relativi all'argomento. Ernst<br />

Zinner, nell'opera Verzeichnis der astronomischen<br />

Handschriften des deutschen Kulturgebietes - Monaco,<br />

1925 - ricorda due soli manoscritti in latino; il<br />

primo, nella State Library, manoscritto latino n.<br />

19691. I, ff 30v-32v, datato 1521. Il secondo, nella<br />

University Library, Utrecht, che reca il numero 725,<br />

ff. 206v-213v, del XV secolo. Ma si conosce, inoltre,<br />

un testo tradotto in latino sull'uso dell'astrolabio<br />

sferico nel fondo dell'archivio della Corona de<br />

Aragòn, a Barcellona. Esso è il manoscritto Ripoll<br />

225, ff. 17v-18r. Questo testo, dal titolo De horologio<br />

secundum alkoram, è inserito in un trattato, De utilitatibus<br />

astrolabii, sull'astrolabio planisferico.<br />

Millas-Vallicrosa fa risalire questo prezioso manoscritto<br />

al X secolo. Parleremo ancora, tra breve, di<br />

questo manoscritto di eccezionale interesse.<br />

Noi aggiungeremo ancora che esiste nel fondo<br />

cella Bibliotheca Laurentiana Medicea, un manoscritto<br />

sulla composizione di questo strumento<br />

scritto nel 1303 per mano di Joannem De<br />

Harlebeke de Olaus (si veda la Bibliografia alla<br />

fine di questo volume).<br />

Il diametro del globo dell'astrolabio sferico conservato<br />

nel Museo di Storia della Scienza di Oxford, è<br />

approssimativamente di 83 millimetri ed è tutto di<br />

ottone, con delle iscrizioni, le linee orarie, i meridiani,<br />

e gli almucantarat, con intervalli di 5° gradi,<br />

intarsiati d'argento. L'alhancabuth è in ottone, laminato<br />

con argento sul circolo dell'eclittica e quello<br />

dell'equatore e sul quadrante verticale, nonchè il<br />

pezzo di sospensione che è pure in ottone. Tutte le<br />

iscrizioni sono visibili sulla parte esterna dei pezzi<br />

che compongono lo strumento ed hanno carattere<br />

Kufico orientale, dello stile che era usato per gli<br />

strumenti islamici e persiani. Sul globo è riportato<br />

anche l'autore e l'anno di costruzione, nel seguente<br />

modo:<br />

amal Musà sana dfh<br />

Lavorato da Musà nell'anno 885<br />

che è l'anno dell'Egira (A.H.) il quale corrisponde<br />

all'era cristiana (A.D.) 1480/1<br />

L'alhancabuth è fornito di certi "indici" che servono<br />

per indicare 19 stelle fisse, tutte sopra il cerchio<br />

dell'eclittica, e ciascuna stella è contrassegnata con<br />

il suo nome. La rete dell'alhancabut che porta gli<br />

indicatori delle stelle, consiste in una fascia che<br />

rappresenta il circolo dell'eclittica, una piccola<br />

banda circolare parallela all'equatore che facilita le<br />

misurazioni sul circolo equatoriale, e un quadrante<br />

verticale graduato con scale numerate delle latitudini<br />

celesti e le distanze polari e zenitali. Lungo le<br />

due scale di questo quadrante vi è una scanalatura<br />

nella quale può spostarsi uno gnomone per le misure<br />

delle altezze solari. L'alhancabut è traforato nel<br />

polo equatoriale e nel polo nord dell'eclittica e la<br />

sua rete è in contatto con il globo e può muoversi<br />

sopra di esso.<br />

Le stelle dell'Alhancabuth<br />

Le stelle che sono riportate sull'alhancabuth dell'astrolabio<br />

sferico sono 19 e di queste Maddison<br />

riporta pure le coordinate eclittiche (L= Lambda,<br />

B= Beta):<br />

Sirra (L 9°, B 26°);<br />

Khadib (L 28°, B 55°);<br />

Muthallath (L 34°, B 16°);<br />

Misam (L 48°, B 41°.5);<br />

Rukba al-yamnà (L 61°, B 34°);<br />

Fawq (?) al-rukba (L 120°, B 37°);<br />

an-Nacsh (L 140°, B 45°);<br />

Fiqrat al-ulà (L 153°, B 27°);<br />

Sàqà (L 193°, B 24°);<br />

Mankib (L 208°, B 50°);<br />

Fakka (L 218°, B 45°);<br />

ar-Ramih (L 230°, B 32°);<br />

Janb (L 236°, B15°);<br />

ar-raci (L 257°, B 35°);<br />

dhanab (L 283°, B 36°);<br />

minqar (L 300°, B50°);<br />

dulfin (L 311°, B 30°);<br />

ra's al-faras ( L 316°, B 23°);<br />

unuq (L 340°, B 38°).<br />

Questi nomi non sono sempre corrispondenti ai<br />

nomi delle stelle e la loro esatta identificazione<br />

comporta molte difficoltà.<br />

Questo astrolabio sferico non è, probabilmente, un<br />

esemplare evoluto, come può dedursi dalla mancanza<br />

dei fori nel polo nord e sud. In apparenza<br />

potrebbe rappresentare uno dei modelli di astrolabi<br />

sferici di al-Biruni, ma l'esistenza dello gnomone<br />

scorrevole lungo le scale graduate del quadrante<br />

verticale, farebbe pensare ad una caratteristica<br />

costruttiva riconosciuta negli strumenti di an-<br />

Nairizi.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

25


fig. 33<br />

fig. 34 Astrolabio lineare<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

26


fig. 35 e 36 Splendido<br />

esemplare di Saphia<br />

costruito da Muhammad<br />

ibn Futuh al-Aamairi in<br />

Siviglia nel 1216 d.C.<br />

(Immagine tratta da<br />

Almerigo Da Schio, “Due<br />

astrolabi...” e riprodotta<br />

nell’Enciclopedia Italiana<br />

Treccani articolo<br />

“Astrolabio”<br />

fig. 35<br />

fig. 36<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

27


fig. 37<br />

Astrolabio “Camilah”<br />

fig. 39<br />

fig. 38<br />

fig. 40<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

28


fig. 41 Astrolabio Camilah<br />

“Mesatirah” 1a specie<br />

fig. 42 “Mesatirah” 2a specie<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

29


in senso orario,dall’alto a sinistra, figg. 43, 44, 45 e 46<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

30


L’<strong>ASTROLABI</strong>O<br />

NELL’OCCIDENTE CRISTIANO<br />

17Le<br />

traduzioni.<br />

I primi contatti degli autori cristiani con la scienza<br />

araba si fanno risalire attorno alla fine del X secolo.<br />

Quello che sappiamo in proposito ci è dato<br />

dalla conoscenza diretta delle fonti originali, e<br />

dalle storie e commenti di autori posteriori all'anno<br />

Mille. Il grande lavoro è quindi dei traduttori<br />

che si rivelano i veri pionieri della diffusione del<br />

sapere scientifico in Europa.<br />

Dal califfato di al-Mamun, gli Arabi avevano già<br />

cominciato ad ereditare, studiare, ampliare e<br />

migliorare il grande testamento scientifico lasciato<br />

dai tempi di Tolomeo. E' nel bisogno di perfezionare<br />

soprattutto le teorie astronomiche che si<br />

giustificano i grandiosi progetti che portarono alla<br />

realizzazione degli osservatori astronomici più<br />

importanti del mondo: Bagdad, fondato da Al-<br />

Ma'mun (813); il Cairo (966), fondato da Al-Hakim;<br />

Toledo (1028), fondato da Arzachele; Maragha<br />

(1200), fondato da Nasir-al-Din al-Tusi, e<br />

Samarcanda, fondato dal grande Ulugh Beg nel<br />

1420.<br />

In genere si fa iniziare la rinascita dell'astronomia<br />

anche in Europa con la traduzione dal greco<br />

dell'Almagesto di Tolomeo nel 1164, e poi dall'arabo,<br />

nella versione di Gerardo da Cremona;<br />

secondo altri ciò avviene nel 1175, oppure, secondo<br />

Weidler e Delambre, nel XIV secolo. Queste<br />

datazioni però non sono da prendersi alla lettera,<br />

in quanto non è dato sapere con precisione quando<br />

queste opere furono veramente tradotte per la<br />

prima volta e divulgate in Occidente. Infatti, si ipotizza<br />

che, probabilmente, la prima traduzione dal<br />

Greco dell'Almagesto sia quella di Giorgio di<br />

Trebisonda.<br />

1 Emmanuel Poulle, Les instruments astronomiques de l'Occident latin aux XI et XII siècles,<br />

Dal 1100 al 1120 Adelardo di Bath viaggia in<br />

Spagna e in Egitto, e traduce dall'arabo gli<br />

Elementi di Euclide facendo conoscere per la<br />

prima volta in Occidente il grande autore greco.<br />

Platone da Tivoli, religioso, traduce dall'arabo la<br />

Sfera di Teodosio e Giovanni di Siviglia fa<br />

conoscere gli Elementi di Alfragano. Rodolfo da<br />

Bruges, traduce il Planisfero di Tolomeo su una<br />

versione araba commentata da Maslem e Givanni<br />

Campano da Novara, sul finire del XIII secolo, traduce<br />

di nuovo dall'arabo gli Elementi di Euclide;<br />

Vitellione traduce l'importante opera sull'Ottica di<br />

Al-Hazen. E poi ci sono le Tavole Toledane di<br />

Arzachele (1187), sostituite con le Tavole Alfonsine<br />

(1274) e il lavoro di tantissimi altri traduttori che è<br />

impossibile riportare.<br />

Nel leggere la storia dell'acquisizione della scienza<br />

araba da parte del mondo latino, possiamo<br />

riconoscere due periodi distinti 1 : il primo, che<br />

potremmo definirlo di assimilazione, fino al XIII<br />

secolo durante il quale gli autori votati all'astronomia<br />

si sforzarono di comprendere e di esplorare<br />

con qualunque mezzo, e sfruttando tutte le possibilità<br />

che avevano a disposizione, la strumentazione<br />

astronomica degli arabi; poi, a partire dalla<br />

metà del XIII secolo, si ha un periodo caratterizzato<br />

dall'interesse delle nuove ricerche, per la diffusione<br />

eccezionale di alcuni strumenti, al quale<br />

segue un breve periodo di espansione direttamente<br />

legato al ruolo che ebbe tutto questo materiale<br />

nell'insegnamento universitario.<br />

Se lo studio degli strumenti astronomici svolto nel<br />

secondo periodo è eminentemente fruttuoso per<br />

un'adeguata valutazione della scienza medievale,<br />

quello del materiale strumentale relativo ai secoli<br />

X e XII, è essenziale, in quanto rappresenta la base<br />

sulla quale si edificherà l'astronomia universitaria.<br />

E naturalmente i due strumenti principali sono<br />

ancora l'astrolabio e il quadrante.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

31


Il testo più antico<br />

Il più antico testo in latino sull'astrolabio sembra<br />

essere quello proveniente dall'abbazia di Ripoll, in<br />

Catalogna 2 . Più precisamente, fa parte di un<br />

manoscritto copiato nel X secolo in questa abbazia,<br />

chiamato manoscritto Ripoll 225, di cui si è fatto<br />

cenno nel precedente capitolo, scritto quando era<br />

abate Arnolfo (948-970). E' interessante rilevare che<br />

l'esistenza del centro scientifico di Ripoll, e le sue<br />

origini, sono da rapportare al viaggio che fece in<br />

Catalogna, attorno al 967, il monaco Gerberto<br />

d'Aurillac, che poi sarà arcivescovo di Reims e<br />

quindi Papa Silvestro II.<br />

Da questo fatto nasce, forse, l'ipotesi che Gerberto<br />

fosse stato forse il primo studioso ad aver contribuito<br />

alla diffusione dell'astrolabio nella scienza<br />

cristiana. E una testimonianza diretta di questa diffusione,<br />

indipendente dai veri trattati sull'astrolabio<br />

che a volte non è possibile datare, si trova in<br />

una lettera di Radolf, studente a Liège, spedita<br />

verso il 1025 a Ragimbold, studente di Cologne 3 18<br />

:<br />

Radolf si dichiarava disposto ad inviare al suo<br />

amico che ne aveva fatta richiesta un astrolabio,<br />

ma pare che questo fosse solo una copia dello strumento<br />

originale forse perchè doveva servire come<br />

modello al suo corrispondente per costruirne<br />

un'altro.<br />

Non tutti gli autori sono comunque d'accordo sulla<br />

datazione del manoscritto di Ripoll. Ma sembra<br />

che dallo stile con il quale fu scritto, e considerata<br />

la scarsità di dettagli descrittivi, la datazione più<br />

attendibile sia quella che abbiamo riportato, con<br />

un margine che arriva fino alla prima metà dell'XI<br />

secolo.<br />

Secondo Derek J. de Solla Price, il più antico testo<br />

europeo sull'astrolabio (senza considerare il<br />

Libellus de mensura Astrolabii di Beda il Venerabile,<br />

che appartiene alla fine dell'antichità, ovvero all'alto<br />

medioevo) sarebbe il Sententiae astrolabii, che<br />

egli data alla seconda metà del decimo secolo,<br />

attribuito a Gerberto, in cui si descrive l'uso ma<br />

non la costruzione dello strumento.<br />

La maggior parte dei manoscritti di quell'epoca<br />

comunque riportano la descrizione, la costruzione<br />

e l'uso dell'astrolabio, ma purtroppo moltissimi<br />

sono anonimi. Uno solo di questi è formalmente<br />

attribuito al monaco Ermanno le "Boiteaux", cioè<br />

Ermanno Contratto, morto nel 1054, il quale fu<br />

abate di Reichenau. Questo manoscritto è stato<br />

pubblicato dall'abate Migne nella monumentale<br />

opera Patrologia Latina<br />

19<br />

4 . Secondo E. Poulle qui<br />

non si tratta che della sola costruzione dell'astrolabio.<br />

Il Manoscritto di Ermanno Contratto<br />

Vediamo in qualche particolare questo trattato<br />

nella traduzione del manoscritto latino Inclyti,<br />

conservato nel Monastero di S. Pietro a Salisburgo<br />

e pubblicato da Petz nel secolo XVIII 5 . L'opera si<br />

intitola B Hermanni Contracti Monachi Augiensis<br />

Ord. S. Bened. De Mensura Astrolabii Liber.<br />

Scorrendo le poche pagine di questo volumetto<br />

forse ci si può meglio rendere conto di come poteva<br />

essere un'opera sull'astrolabio che conta quasi<br />

mille anni. Per questo credo sia interessante<br />

riportare almeno i titoli dei paragrafi.<br />

Ermanno comincia con una prefazione e nel capitolo<br />

I descrive i Circoli Equinoziali, i Coluri<br />

(alcotan per gli arabi), i Solstizi e il modo per tracciarli<br />

sull'astrolabio. Inoltre, ci dice che lo strumento<br />

astrolabico armillare descritto da Tolomeo<br />

era chiamato Walzachora 6 .<br />

2 J.M. Millas-Vallicrosa, Assaig d'historia de les idees fisiques i matematiques a la Catalunya medieval, t.I, Barcellona, 1931, in<br />

8°, XV-351pp. (Estudis iniv. catalans, serie monografica, I).<br />

3 P. Tannery, A. Clerval, Une corrispondence d'écolàatres du XI siècle, in Noticies et extraits des manuscrits de la Bibliotheque<br />

nationale et autres bibliotheques, t. XXXVI, 2 p., 1901, p.487-543; si veda anche P. Tannery "Memoires scientifiques", T.V, 1922,<br />

P.229-303.<br />

4 P.L. CXLIII, 381-390; ristampato da R.T. Gunther, The Astrolabes of the world, t.II, Oxford, 1932, P. 404-408. Edizione sostituita<br />

con quella di J. Drecker, Hermannus Contractus uber das Astrolab, in "Isis", t. XVI, 1931, p. 203-212.<br />

5 R.P. Pezii, Thesauri Anecdot. Noviss. Tom. III, Pars II<br />

6 In metienda igitur subtilissimae inventionis Ptolomaei Walzachora, id est: plana sphaera, quam Astrolabium vocitamus...<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

32


Nei capitoli seguenti descrive gli almucantarat, il<br />

modo di trovare le linee orarie, l'alhancabuth, i<br />

segni zodiacali, le posizioni delle stelle di cui<br />

trascrive anche i relativi nomi arabi, la divisione<br />

dell'Umbonis (qui ipsam matrem Walzachoram), cioè<br />

la madre dell'astrolabio, la divisione dei segni, dei<br />

mesi e dei giorni e la quarta di cerchio.<br />

Infine definisce l'Alhiada (alidada) "id est: quadam<br />

regula cum duabis pinnis erectis ad rectam lineam<br />

perforatis quota lateris quadrati pars designetur,<br />

possit apparire".<br />

Nel libro II sono riprese alcune definizioni con<br />

ulteriori spiegazioni. Nel primo capitolo si tratta<br />

dell'utilità dell'astrolabio con la sua nomenclatura<br />

con l'aggiunta di varie tabelle della posizione del<br />

Sole nei segni dello zodiaco; come si trovano le ore<br />

del giorno attraverso l'altezza del sole, operazione<br />

che gli arabi chiamano "Erufamazeat"; come<br />

trovare l'ora di notte 7 ; le ore ineguali ed<br />

equinoziali con la distinzione delle ore per quattro<br />

gradi di latitudine e moltissime altre cose.<br />

In questo secondo libro è compresa la descrizione,<br />

probabilmente la prima che si conosca, dell'orologio<br />

solare denominato molto tempo dopo<br />

Meridiana del pastore; termine improprio, come si<br />

può desumere già dal fatto che non dà alcuna<br />

indicazione sul tipo di orologio solare, il quale è un<br />

cilindro come descritto da al-Marrakushi.<br />

Ermanno usa una nomenclatura più consona e<br />

sicuramente più adatta ad indicare il tipo di strumento:<br />

convertibili sciotero horologici viatorum instrumenti,<br />

che può tradursi "gnomone girevole da<br />

viaggio". Infatti, per l'uso pratico, essendo questo<br />

un orologio d'altezza, bisogna ogni volta girare lo<br />

gnomone sul cilindro fino a posizionarlo sul mese<br />

e sul giorno in cui si vuol conoscere l'ora data<br />

appunto dall'altezza del sole sull'orizzonte. In più<br />

Ermanno indica che si tratta di uno strumento portatile<br />

("viatorum").<br />

L'indice del secondo libro comprende XXI capitoli:<br />

I. De utilitatibus Astrolabii.<br />

II. Descriptio ejus perigraphiam.<br />

III. De colligendo signo et gradu Solis.<br />

IV. De inveniendo Nadair Solis.<br />

V. De concipienda Solis altitudine et certis horis<br />

diei.<br />

VI. De altitudine Stellarum et horis nocturnis.<br />

VII. De distinctione horarum per quatuor plagas.<br />

VIII. De horis aequinoctialibus et inaequalibus.<br />

IX. De partibus inaequalium horarum diei.<br />

X. De partibus inaequalium horarum noctis.<br />

XI. De indaganda quantitate Orbis diei.<br />

XII. De quantitate orbis nocturni.<br />

XIII. Quot sint horae equinoctialis diei et noctis.<br />

XIV. De percipienda vicinitate Aurorae.<br />

XV. De percipiendo quolibet tempore cujusque<br />

signi ortum et occasum.<br />

XVI. In quo signo sint stellae.<br />

XVII. De vocabulis stellarum Arabicis et Latinis.<br />

XVIII. De discretione climatum et eorum invenienda<br />

latitudine.<br />

XIX. De divisione orbis per VII climata et initiis et<br />

terminis eorum.<br />

XX. Ut scias, si restat vel praeterit Meridies.<br />

XXI. De inveniendis in dorso Astrolabii horis.<br />

Alla fine, viene riportata una specie d'appendice<br />

intitolata sempre al secondo libro, ma che non è<br />

presente in questo indice, in cui viene trattata la<br />

costruzione dell'orologio solare suddetto, altri<br />

capitoli sulla quarta di cerchio e via dicendo.<br />

Come appare evidente, in questo primo rudimentale<br />

trattato sull'astrolabio, Ermanno non tratta in<br />

particolare dell'uso pratico dello strumento pur<br />

descrivendo sporadicamente e per sommi capi,<br />

qualche operazione da farsi. E' eccezionale, invece,<br />

l'interesse storico che ha questo manoscritto in<br />

quanto ci permette di penetrare in quelle che erano<br />

le prime difficoltose traduzioni su questa materia,<br />

pubblicate in quella lontana epoca.<br />

7 Sublevato Astrolapsu tantum ipsum Alhidada coaptando torqueas quò ad usque quamlibet stellarum fixarum tunc apparentium<br />

et in Astrolapsu designatarum certa unius oculi inspectione per ambo contempleris foramina. Qua visa ejusque altitudine<br />

demonstrante Ahlidada annotata eandem altitudinem inter Almucantarath coaequa, in ipsa parte, in qua accepisti stellam.<br />

Cui altitudini in Almucantarath ejusdem stella superpone, et considera, quam horam gradus solis demonstrer: qua ipsa est,<br />

quam quaeris. Sed hoc observa, ut per Nadair Solis horas diei, per gradus Solis horas noctis discas.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

33


20 Gli errori dei primi astrolabisti.<br />

Un altro testo relativo all'uso dell'astrolabio fu<br />

pubblicato sempre da Migne e catalogato tra le<br />

opere di Ermanno Contratto, ma Bubnov lo<br />

attribuisce a Gerberto 8 .<br />

Il professor Millas-Vallicrosa, ha ricordato ancora<br />

un trattato sull'uso dell'astrolabio che Lupitus di<br />

Barcellona avrebbe tradotto dall'arabo, ma sembra<br />

che questo non sia altro che solo un frammento di<br />

un vero trattato sulla costruzione e l'uso dell'astrolabio.<br />

La terminologia utilizzata poi durante tutti i secoli<br />

a venire, relativa a tutte le parti dell'astrolabio,<br />

appartiene, secondo Poulle, al periodo universitario,<br />

a cominciare dalla fine del XIII secolo.<br />

Bisogna dire però che gran parte dei termini<br />

tradotti dall'arabo si trovano già nell'opera di<br />

Ermanno Contratto. Inoltre, i trattati dell'anno<br />

Mille sono molto rudimentali e superficiali nelle<br />

descrizioni, e molte volte addirittura inattendibili<br />

scientificamente.<br />

La descrizione contenuta nel manoscritto "Cum<br />

hominum habitationes..." 9 non dice nulla per esempio<br />

sull'armilla e, cosa ancora più grave, sulla<br />

proiezione dell'orizzonte e degli almucantarat. Il<br />

trattato sulla costruzione dell'astrolabio "Philosophi<br />

quorum sagaci studio...", che viene lo stesso<br />

attribuito a Lupitus, ignora tutto il sistema di mira:<br />

armilla, alidada a pinnule e cerchio di altezza.<br />

Ancora più allarmante è il fatto che i metodi per la<br />

costruzione sono molto inesatti, come nel caso<br />

della graduazione dello zodiaco dell'Aranea. Lo<br />

zodiaco è un cerchio obliquo in rapporto al piano<br />

di proiezione stereografica (il piano dell'equatore);<br />

quindi, la graduazione dello zodiaco diviene una<br />

graduazione ineguale. Il modo di realizzazione di<br />

questa graduazione ineguale, per la costruzione<br />

dell'astrolabio, mette in evidenza la bravura e il<br />

livello scientifico del costruttore di astrolabi: l'astrolabista.<br />

Il trattato sulla costruzione dell'astrolabio<br />

"Philosophi qui sua sapientia...", che Millàs -<br />

Vallicrosa attribuisce sempre a Lupitus, propone<br />

un metodo molto empirico che si ritrova anche<br />

negli altri testi di Lupitus e consiste nel prendere<br />

1/15 dell'arco di cerchio dell'eclittica ove si<br />

trovano i segni dell'Ariete, Toro e Gemelli; poi un<br />

terzo dei 14/15mi restanti, computati a partire dal<br />

segno dell'Ariete, per trovare la fine di questo<br />

segno; quindi si prendono i terzi di tutto l'arco per<br />

i segni del Toro, e il resto per i Gemelli. Questo<br />

metodo dà un risultato approssimativo per questi<br />

tre segni 10 , che è ancora può essere accettabile in<br />

quanto implica sostanzialmente un errore sull'applicazione<br />

del sistema della proiezione stereografica.<br />

Inoltre, questa erronea metodologia è presente in<br />

un altro trattato di Lupitus, Philosophi quorum<br />

sagaci studio..., e nel libro di Ermanno Contratto.<br />

Essi, infatti, si limitano a tracciare dal centro dello<br />

strumento delle divisioni di trenta gradi ciascuna<br />

dal lembo; in questo modo si ottiene lo stesso una<br />

graduazione ineguale dello zodiaco, ma una tale<br />

costruzione implica erroneamente che tutti i segni<br />

dello zodiaco abbiano uguali valori di ascensione<br />

retta, cioè di trenta gradi.<br />

Anche sull'uso dell'astrolabio, Poulle dichiara di<br />

trovare errori grossolani dovuti per la maggior<br />

parte all'ignoranza delle reali possibilità dello strumento.<br />

I soli problemi di cui si tratta nei libri, infatti,<br />

sono i più elementari e rudimentali: posizionare<br />

l'aranea e trovare i gradi dello zodiaco in cui si<br />

trova il Sole, oppure una stella, sull'almucantarat<br />

dell'altezza osservata, o la determinazione della<br />

durata dell'arco diurno. Problemi che vengono<br />

trattati con spiegazioni piuttosto oscure. Per esempio<br />

ecco come Lupitus insegna a prendere l'altezza<br />

del sole sull'orizzonte 11 :<br />

Dum queris scire altitudinem solis, turna dahar id est<br />

costam astrolapsus contra te, et pendeat de manu tua<br />

dextera et humerum tuum sinistrum pone contra solem,<br />

et ipsi XC alhotoi id est vel versus stent contra oculos<br />

tuo; et ipsam hahidada tantum exalta et demerge<br />

quosque radius solis transeat amba foramina, et consid-<br />

8 P.L. CXLIII, 389-404; R.T. Gunther, op. cit., p. 409-418; N. Bubnov, Gerberti postea SilvestriII papae opera mathematica (972-<br />

1003), Berlino, 1899, p. 114-147.<br />

9 Millas -Vallicrosa, op. cit., p. 308-315<br />

10 Millas-Vallicrosa, op. cit., p. 293-295<br />

11 Millas-Vallicrosa, op. cit., p. 280<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

34


era ubi stat almeri id est sumitas accuta alhidade in ipsi<br />

XC ordinibus qui sunt in daar ipsius astrolapsus. Et<br />

quod ibi statim invenies ipsa est altitudo solis in ipsa<br />

hora.<br />

Il modo di tenere l'astrolabio sospeso di faccia al<br />

Sole, con la linea della spalla parallela ai raggi del<br />

Sole, è un pò bizzarro. Infatti, si sospende l'astrolabio<br />

al pollice sinistro e si tiene faccia al Sole.<br />

La parola araba "dahar", che qui sembra apparire<br />

per la prima volta, ha un'equivalente latino che<br />

non può significare altro che il dorso dell'astrolabio.<br />

Lo stesso non può dirsi per gli equivalenti di<br />

"Alhotoi", parola che indica i gradi dell'altezza del<br />

Sole sul dorso. "Alhidada”, o hahidada, è l'alidada,<br />

vocabolo adottato dall'originale arabo; "almeri" è<br />

definito come lo "sperone" dell'"aranea" (cioè l'escrescenza<br />

del cerchio dello zodiaco nel punto in<br />

cui torna ad essere tangente al lembo dello strumento).<br />

Ma questa parola è impiegata in un altro<br />

senso da Lupitus, secondo cui dovrebbe indicare<br />

l'estremità dell'alidada che "percorre" i gradi di<br />

altezza degli astri riportati sull'astrolabio.<br />

Questi trattati del X ed XI secolo, sono una<br />

preziosa testimonianza dello sforzo compiuto<br />

dagli autori cristiani nel cercare di assimilare la<br />

teoria dell'astrolabio, e dell'entusiasmo con il quale<br />

si avvicinavano a questa scienza così nuova per<br />

loro.<br />

Un'altro manoscritto, il lat. 7412, dell'XI secolo,<br />

sempre nella Biblioteca Nazionale di Parigi, ci<br />

rende l'immagine del lavoro dei copisti latini<br />

intenti a tradurre e comprendere le opere degli<br />

arabi sull'astrolabio.<br />

Qui si possono osservare, per esempio, una serie di<br />

nuovi disegni sul dorso dell'"aranea" e dei sette<br />

timpani di un astrolabio arabo. I timpani sono tracciati<br />

ognuno per una latitudine e sono, quindi,<br />

sette, per le sette latitudini principali, dette "climati",<br />

come in uso fin dall'antichità.<br />

Tutte le graduazioni e tutte le iscrizioni sono in<br />

arabo con le relative trascrizioni in latino. Sul disegno<br />

del dorso, i nomi arabi dei segni dello zodiaco<br />

e dei mesi del calendario zodiacale sono<br />

doppiati con gli equivalenti nomi in latino; anche i<br />

nomi delle stelle dell'"aranea" sono scritti in arabo<br />

e trascritti anche in latino, o in una forma simile;<br />

per esempio, Pantacaitoz, riportato su un disegno,<br />

diventa Venter caitoz nella nomenclatura.<br />

Si può pensare, quindi, che il copista del manoscritto<br />

abbia simultaneamente trascritto il testo<br />

dall'originale arabo e riprodotto lo strumento con<br />

l'intento di restituire al mondo latino le indicazioni<br />

arabe riportate sullo stesso. Probabilmente la lista<br />

delle stelle potrebbe averla presa dai trattati di<br />

Lupitus o di Ermanno Contratto.<br />

Ma a parte tutti i manoscritti dei trattati che conosciamo<br />

sull'astrolabio, dobbiamo rilevare che sono<br />

rarissime le menzioni di questo strumento nel secolo<br />

XI. Abbiamo accennato prima alla lettera di<br />

Radolfo di Liège che informava Ragimbold di<br />

Colonia su di un suo astrolabio che fece riprodurre<br />

per averne anche una copia, ma non sappiamo<br />

come fu fatto questo modello.<br />

Così, come non si conoscono dettagli tecnici sull'astrolabio<br />

di cui si serviva Walcher, priore di<br />

Malvern in Inghilterra, per osservare l'eclisse di<br />

Luna del 18 ottobre del 1092 12 : mentre ritornava in<br />

Inghilterra dopo un viaggio a Roma durante il<br />

quale egli contemplò, ma non potè osservare scientificamente,<br />

l'eclisse di Luna del 30 ottobre del<br />

1091. Fu allora che gli venne l'idea di utilizzare<br />

l'astrolabio per determinare i tempi delle future<br />

eclissi.<br />

Ricordiamo ancora un curioso strumento, appartenente<br />

ad una collezione privata, che Destombes<br />

dichiara essere di origine catalana e risalente alla<br />

fine del X secolo 13 .<br />

Questo astrolabio non è arabo e neanche latino, ma<br />

sembra essere una sorta di prodotto ibrido, dove le<br />

graduazioni sarebbero ottenute con caratteri dell'alfabeto<br />

latino dei valori numerici, scostandosi<br />

dunque dall'usanza tradizionale, secondo un sistema<br />

originale che impronta i parametri dello strumento<br />

simultaneamente ai valori numerici dell'alfabeto<br />

arabo e greco.<br />

Lo studio di Destombes pone delle difficoltà che<br />

inducono a percorrere con prudenza la strada dell'identificazione<br />

e della spiegazione definitiva di<br />

questo strumento che, per quanto si sa, è veramente<br />

unico figlio del suo tempo.<br />

12 Ch. H. Haskins, Studies in the History of Medieval Science, 2° ed., Cambridge, 1927, in -8°, XX-411 pp.<br />

13 M. Destombes, Un astrolabe carolingien et l'origine de nos chifres, in "Arch. intern. d'hist. des sciences", t. XV, 1962, p. 3-45.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

35


21Il periodo Universitario<br />

Nell'anno Mille, in definitiva, manca un'adeguato<br />

monumento letterario sul quale improntare un<br />

successivo studio sull'argomento. E la causa di ciò<br />

va ricercata nell'impossibilità in cui si trovavano i<br />

primi autori cristiani di assimilare completamente<br />

la scienza araba, e quindi l'arte dell'astrolabio a<br />

partire dalle pochissime, mediocri, traduzioni<br />

arabo-latine che vennero eseguite in quel periodo.<br />

Per ridare vita all'impulso iniziale era necessario<br />

riconsiderare il problema dalle sue radici, appunto<br />

le radici della scienza araba. Da qui nasce la seconda<br />

fase delle traduzioni delle opere degli arabi<br />

nella lingua latina, che può farsi iniziare verso il<br />

secondo quarto del XII secolo, e che sarà l'elemento<br />

determinante e decisivo che permetterà<br />

l'adozione definitiva e vantaggiosa della teoria<br />

dell'astrolabio e lo sviluppo dell'astronomia<br />

nell'Occidente.<br />

Probabilmente la traduzione di Ermanno il<br />

Dalmata (da non confondere con Ermanno<br />

Contratto) del Planisfero di Tolomeo, è decisiva nell'acquisizione<br />

generale della teoria della<br />

proiezione stereografica e della sua relativa corretta<br />

applicazione nella costruzione dell'astrolabio.<br />

Ricordiamo il grande lavoro di Giovanni di<br />

Siviglia, che traduceva Maslama; Rodolfo di<br />

Bruges che traduceva un trattato sulla costruzione<br />

dell'astrolabio di Messahalla, uno dei più importanti;<br />

le traduzioni di Platone da Tivoli dei trattati<br />

sull'uso dell'astrolabio d'Ibn al-Saffar, latinizzato<br />

in Abulcasim. Tutto ciò costituì la nuova piattaforma<br />

di lancio per la scienza dell'astrolabio.<br />

Inoltre, parallelamente ai lavori di questi traduttori,<br />

molti altri autori si sforzarono di scrivere<br />

materiale nuovo, originale, sull'astrolabio: questi<br />

sono Adelardo di Bath, intorno al 1142-1146, sulla<br />

costruzione; Raimondo di Marsiglia, verso il 1141,<br />

sulla composizione e l'uso; Roberto di Chester, nel<br />

1147, sull'uso; un certo Arialdus, sulla composizione<br />

ed uso; Abraham ibn Ezra, verso il 1158-<br />

1161, sull'uso ed altri ancora (si veda la bibliografia<br />

alla fine di questo volume).<br />

La maggior parte di questi testi sono ancora inedi-<br />

ti, e l'impressione che si ricava da essi e dai manoscritti<br />

del XII e XIII secolo è certamente quella di<br />

avere a disposizione libri in cui la teoria e la pratica<br />

dell'astrolabio è definitivamente esplorata.<br />

Inoltre, la terminologia adottata non presenta quel<br />

carattere di abusivismo letterario che con timidezza<br />

veniva riportato negli antichi manoscritti.<br />

Ormai il latino risuonava di termini arabi adottati<br />

e insostituibili: ...et sequitur alhancabuth cujus interpretatio<br />

est aranea... si legge nella traduzione di<br />

Maslama, oppure: ...post hec et sequitur alhancabuth<br />

id est aranea, da Messahalla, e ancora: ...quoddam<br />

superfluum extra circulum capricorni quod almuri arabice,<br />

latine index appelatur, da Arialdus, a proposito<br />

dell'indice che marca sull'"aranea" l'inizio del<br />

Capricorno.<br />

In questi testi, quindi, si riscontra un'esposizione<br />

scientifica migliore, più logica e molto più chiara.<br />

E' interessante, a questo proposito, mettere a confronto<br />

due pezzi sullo stesso argomento dai manoscritti<br />

di Lupitus e Arialdus 14 . Il pezzo relativo al<br />

testo di Lupitus è sulla trasformazione delle ore<br />

ineguali in ore eguali, mentre per Arialdus è<br />

trovare i numeri dei gradi di una ora ineguale. Il<br />

procedimento in entrambi i casi è lo stesso:<br />

LUPITUS. - Quomodo horas tortas facias<br />

rectas. Quando queris tornare horas tortas ad<br />

horas rectas per astrolapsum, accipe quot<br />

queris et in ultima linea horarum quas accepisti<br />

pone nadair solis, et vide ubi stat almeri, et<br />

pone ibi signum; postea circumvolve ipsum<br />

nadair solis ab ultima usque ad primum<br />

almucantarat prime hore et vide ubi stat almeri<br />

et pone ibi signum, et ipsos ordines quos ambulat<br />

almeri partire per ordinem rectarum<br />

horarum, id est per XV, et videbis quot inde<br />

colligis horas recta.<br />

ARIALDUS. - Si vis scire quot gradus habeat<br />

unaqueque hora diei, pone nadir solis super<br />

principum qualiscumque hore et nota gradum<br />

in limbo in cujus directo fuerit almuri; volvesque<br />

rethe nadir donec ad finem ejusdem<br />

hore pervenerit, et quot gradus sive partes<br />

graduum almuri pertransierit tot gradus vel<br />

partes gradum sunt illius hore. Partes vero<br />

horarum noctis cum gradu solis eodem posito<br />

et volvendo circumducto notatisque gradibus<br />

quos almuri pertransierit simili modo reperis.<br />

14 J.-M. Millas-Vallicrosa, Assaig..., p. 285 - Manoscritto latino N. 16652, fol. 36, della Biblioteca Nazionale di Parigi.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

36


Lupitus trasforma in ore eguali il tempo trascorso<br />

dall'inizio del giorno, e li legge sul timpano in ore<br />

ineguali; ma l'espressione usque ad primum almucantarat<br />

prime hore per dire la metà della linea dell'orizzonte<br />

(cioè il primo almucantarat) che è dalla<br />

parte dell'Oriente (dove si trova la prima ora), è<br />

molto ambigua. Inoltre egli per ordines, intende,<br />

come fa in altri passi dello stesso testo, i gradi del<br />

lembo; ma questa è un'espressione inusuale e d'incerto<br />

impiego.<br />

Arialdus, da parte sua, si accontenta di cercare i<br />

numeri dei gradi delle ore ineguali, poichè egli<br />

indica dopo in che modo trasformare infine le ore<br />

ineguali, in ore eguali.<br />

Tuttavia, è da rilevare che taluni autori sono ancora<br />

soggetti ad errori, come nel caso della graduazione<br />

dello zodiaco sull'"aranea" per la quale<br />

Rodolfo di Bruges e Raimondo di Marsiglia, proprio<br />

come avevano già fatto Lupitus ed Ermanno<br />

Contratto, graduano l'eclittica congiungendo il<br />

centro dello strumento alle dodici divisioni uguali<br />

del lembo, come se i dodici segni dello zodiaco<br />

avessero tutti la stessa ampiezza, o estensione, in<br />

ascensione retta.<br />

22<br />

Il trattato sull'astrolabio di<br />

Raimondo di Marsiglia<br />

Accenneremo all'opera di Raimondo di Marsiglia,<br />

di cui Emmanuel Poulle ha pubblicato uno studio<br />

e la versione originale in un suo articolo comparso<br />

sulla rivista Studi Medievali 15 . Nell'opera Liber cursum<br />

planetarum, che costituisce uno dei primi<br />

esempi nell'Occidente Cristiano di tavole astronomiche<br />

perpetue e del loro modo d'impiego,<br />

Raimondo di Marsiglia fa allusione a più riprese a<br />

un trattato sull'astrolabio che aveva scritto egli<br />

stesso in tempi precedenti.<br />

Pare che questo testo sia andato perduto, ma<br />

Poulle, scrutando nel fondo della Biblioteca<br />

Nazionale di Parigi, attesta di aver identificato in<br />

un trattato sull'astrolabio di un anonimo, e conservato<br />

senza titolo in uno scritto della seconda metà<br />

del XV secolo, il testo di Raimondo di Marsiglia.<br />

L'autore riporta due tavole di stelle: una antica,<br />

improntata sui primi trattati sull'astrolabio comparsi<br />

in Occidente sul finire del X ed XI secolo, l'altra<br />

viene presentata "secundum modernos" ed è<br />

estratta dalle tavole stellari di Arzachele. Questa<br />

informazione ha permesso gli studiosi di datare il<br />

testo originale alla prima metà del XII secolo.<br />

Inoltre, questo testo, secondo Poulle, potrebbe<br />

essere anche uno dei primissimi trattati sull'astrolabio<br />

scritti in Occidente, senza essere stato copiato<br />

o scritto sul palinsesto dei libri arabi. E' da considerare<br />

poi che l'astrolabio descritto, è uno strumento<br />

che presenta ormai la sua configurazione<br />

definitiva, senza significative variazioni, tanto che<br />

questo testo, del XII secolo, non ha niente da<br />

invidiare ad un testo del XV o XVI secolo.<br />

Il trattato di Raimondo di Marsiglia si compone di<br />

tre parti: composizione, uso astronomico e uso<br />

geometrico.<br />

E' da notare che l'autore conosce l'uso, allora<br />

nuovo, di riportare sul dorso dell'astrolabio il diagramma<br />

delle ore ineguali il cui uso lo ritiene poco<br />

utile. Egli, d'altra parte, non sa graduare l'eclittica,<br />

e scrive che gli azimut dell'equatore determinano<br />

sull'equatore e sull'eclittica degli archi uguali: sulla<br />

base di ciò egli riporta l'inizio dei segni sullo zodiaco<br />

congiungendo il centro dello strumento con<br />

l'equatore per mezzo di divisioni eguali. Seguendo<br />

questo procedimento, riporta le stelle tenendo<br />

conto delle loro coordinate eclittiche, utilizzando<br />

però le rette che sono le proiezioni degli azimut<br />

dell'equatore, e non quelle degli azimut dell'eclittica.<br />

Un tale errore, che costituisce quasi una regola<br />

nel X e XI secolo, come è evidente è frequente<br />

ancora nel XII secolo.<br />

Possiamo definire questo testo un lavoro preuniversitario.<br />

Tuttavia esso è già ricco di una ricerca<br />

letteraria che evidenzia, insieme allo stile in cui è<br />

stato redatto più che nel contenuto tecnico, la sua<br />

originalità. Un libro unico, dunque, in un periodo<br />

in cui brulicano traduzioni e copie di trattati arabi,<br />

che si pone in quella categoria di testi che, dal XIII<br />

al XIV secolo, ha avuto un ruolo fondamentale<br />

nella formazione scientifica universitaria.<br />

Indice del manoscritto:<br />

De capitulis que continebuntur in hoc opere que necessaria<br />

sunt:<br />

15 E. Poulle, Le traité d'astrolabe de Raymond de Marseille, in "Studi Medievali", Serie Terza, Anno V, fasc. II, Centro Italiano<br />

di Studi sull'alto medioevo, Spoleto, 1964 (pagg. 866-904, 6 figg. e 4 pl.).<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

37


1. Quot et que astrologum decipiant et qualiter<br />

Ptolomei astrolabium tempore sibi occasionem<br />

prebente vetustate sit viciosum factum.<br />

2. Qualiter astrolabium extrinsecus terminetur.<br />

3. Qualiter circuli interiores tres fieri debeant.<br />

4. Qualiter almucantarat fiant.<br />

5. De horis in tabula interiori dispositis.<br />

6. De rete componendo.<br />

7. De fixis stellis in rete disponendis.<br />

8. De limbo circomponendo.<br />

9. De quadrantis opere.<br />

10. De regula construenda.<br />

11. De clavo et clavi clavo.<br />

12. Qualiter ad astronomiam quis admittatur.<br />

13. De hore diei et noctis atque scendentis scientia.<br />

14. De horis naturalibus et artificialibus.<br />

15. Qualiter sciatur utrum sit meridies, ante vel<br />

post.<br />

16. De locis et gradu planetarum per astrolabium<br />

dignoscendis.<br />

17. De arcu diei et noctis.<br />

18. De domibus per astrolabium dignoscendis.<br />

19. Quantum in unaquaque regione queque signa<br />

ponantur in ortu.<br />

20. Qualiter rectus oriens cognoscatur.<br />

21. Qualiter de stellis in astrolabio positis in cujus<br />

signi quoto sit gradu cognoscat; et de quatuor<br />

numeris tam ad solem quam ad lunam pertinentibus.<br />

23<br />

Un prezioso elenco di manoscritti<br />

Nello stesso articolo, il Poulle ha inserito in una<br />

lunga nota un importantissimo lavoro di catalogazione,<br />

unico per quello che ci è dato sapere,<br />

delle edizioni dei manoscritti occidentali sull'astrolabio<br />

anteriori al secolo XV. Una lista stabilita<br />

con un ordine approssimativamente cronologico<br />

che riportiamo integralmente:<br />

· "Ad intimas summe philosophie disciplinas..." (prologo<br />

di un trattato della costruzione e dell'uso;<br />

senza dubbio di Llobet di Barcellona): N. Bubnov,<br />

Gerberti postea Silvestri II papae opera mathematica,<br />

Berlino, 1899, pp. 370-375; J.-M. Millas Vallicrosa,<br />

Assaig d'historia de les idees fisiques i matematiques a<br />

la Catalunya medieval, Barcellona, 1931, pp. 271-275.<br />

· "Quicumque vult scire hora noctium..." (sull'uso<br />

dell'astrolabio; traduzione senza dubbio di Llobet<br />

di Barcellona): J.-M. Millas Vallicrosa, ibid., pp.<br />

275-293.<br />

· "Philosophi qui sua sapientia motus siderum..." (sulla<br />

costruzione): J.-M. Millas Vallicrosa, ibid., pp. 293-<br />

295.<br />

· "Quicumque astronomice peritiam discipline..." (sull'uso;<br />

Gerberto): J.-P. Migne, Patrologia Latina,<br />

CXLIII, col. 389-404, riprodotto da R.T. Gunther,<br />

The astrolabes of the world, II, Oxford, 1932, pp. 409-<br />

418; N. Bubnov, op. cit., pp. 114-147.<br />

· "Philosophi quorum sagaci studio visibilium..."<br />

(costruzione; Llobet di Barcellona): J.-M. Villas<br />

Vallicrosa, op. cit., pp. 296-302.<br />

· "Cum hominum habitaciones equales sibi fore non<br />

patiatur..." (descrizione; Llobet di Barcellona): J.-M.<br />

Millas Vallicrosa, op. cit., pp. 308-315.<br />

· "De divisione igitur climatum que fit per almucantarath..."<br />

(descrizione ed uso; Llobet di Barcellona):<br />

J.-M. Millas Vallicrosa, op. cit., pp. 320-322.<br />

· "Jubet rex Ptolomeus bene politam fieri tabulam..."<br />

(costruzione; Llobet di Barcellona): J.-M. Millas<br />

Vallicrosa, op. cit., pp. 322-324.<br />

· "Si fuerit nobis propositum invenire quando sol quelibet..."<br />

(costruzione; testo parziale): J.-M. Millas<br />

Vallicrosa, op. cit., pp.324-327.<br />

· "In compositione astrolabii tres primum circuli scribuntur..."<br />

(costruzione della madre dell'astrolabio):<br />

J.-P. Migne, Patrologia Latina, XC, col. 955-960.<br />

Migne attribuisce questo testo a Beda.<br />

· "Herimannus Christi pauperum peripsima et philosophie<br />

tironum..." (costruzione; Ermanno Contratto):<br />

J.-P. Migne, Patrologia Latina, CXLIII, col. 381-390,<br />

riprodotto da R.T. Gunther, op. cit., II, pp. 404-408;<br />

J. Drecker, Hermannus Contractus uber das Astrolab,<br />

in "Isis", XVI (1931), pp. 203-212.<br />

· "Genera astrolabiorum duo sunt..." (sull'uso): J.-M.<br />

Millas Vallicrosa, Un nuevo tratado de astrolabio de R.<br />

Abraham ibn Ezra, in Al-Andalus, V (1940), pp. 1-29.<br />

L'attribuzione di questo testo a Abraham ibn Ezra<br />

è stata contestata da R. Levy in The autorship of a<br />

latin treatise on the astrolabe, in Speculum, XVII<br />

(1942), p. 566-569.<br />

· "Scito quod astrolabium est nomen grecum..."<br />

(costruzione ed uso); traduzione di Messahalla di<br />

Giovanni di Siviglia): incluso da G. Reisch in<br />

Margarita philosophica, che ha avuto numerose edizioni<br />

dopo il 1503; R. T. Gunther, Early science in<br />

Oxford, T.V, Chaucer and Messahalla on the astrolabe,<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

38


Oxford, 1929, pp. 195-231.<br />

· "Cum sit possibile Jesuri et plerumque..." (Teoria dell'astrolabio;<br />

traduzione di Ermanno il Dalmata del<br />

Planisfero di Tolomeo): Bale, 1536; Venezia, 1558;<br />

J.-L. Heiberg, Claudii Ptolomei opera que extant<br />

omnia, II, Leipzig, 1907 (Bibliotheca teubneriana),<br />

pp. 227-259.<br />

· "Primum horum armilla per quam suspenditur<br />

astrolabium..." (sull'uso; traduzione del trattato di<br />

Maslama di Giovanni di Siviglia): J.-M. Millas<br />

Vallicrosa, La traducciones orientales en les manuscritos<br />

de la biblioteca catedral de Toledo, Madrid,<br />

1942, pp. 263-284. Ff.-J. Carmody, Arabic astronomical<br />

and astrological scences in latin translation,<br />

Berkeley, 1956, p. 142, indica un altro "incipit"<br />

di questo testo: "Cum volueris facere astrolabium<br />

fac tabulam planam..." che pare corrispondere ad<br />

una parte della composizione dell'astrolabio che<br />

Millas Vallicrosa non ha pubblicato.<br />

· "Astrologie speculationis exercitium habere volentibus..."<br />

(costruzione; traduzione del trattato di<br />

Maslama a cura di Giovanni di Siviglia): J.-M.<br />

Millas Vallicrosa, Las traducciones, pp. 316-321.<br />

· "Cum volueris facere astrolabium accipe auricalcum<br />

optimum..." (costruzione; Giovanni di Siviglia): J.-<br />

M. Millas Vallicrosa, Las Traducciones, pp. 322-327<br />

(edizione parziale).<br />

· "Cum (ou Quia) plurimi ob nimian quandoque accurationem..."(sull'uso;<br />

Roberto Anglico): Pérouse,<br />

1477 (Klebs, 850.1).<br />

· "Speram in plano describere est singula puncta..."<br />

(Teoria dell'astrolabio; Jordanus Nemorarius):<br />

Bale, 1536, Venezia, 1558 (con il Planisfero di<br />

Tolomeo).<br />

· "Nostra presens intentio est artem dicere..." (composizione<br />

e uso; Pietro di Maricourt): G. Boffito e C.<br />

Melzi D'Eril, Il trattato dell'astrolabio di di Pietro di<br />

Maricourt, Firenze, 1927 (comprende solo i primi<br />

cinque capitoli della composizione).<br />

· "Universorum entium radix et origo Deus qui..."<br />

(composizione e uso; Henri Bate): Venezia, 1485<br />

(Klebs, 4.1); R.T. Gunther, The astrolabes of the world,<br />

II, pp. 368-376.<br />

· "Nomina instrumentorum astrolabi sunt hec; primum<br />

est annulus..." (sull'uso; Andalò di Negro): Ferrara,<br />

1475 (Klebs, 63.1)<br />

· "Si astrolabium facere volueris primo et ante omnia fac<br />

tabulum..." (costruzione; Andalò di Negro):<br />

Ferrara, 1475 (Klebs, 63.1).<br />

· "Quamvis de astrolabii compositione tam moderno-<br />

rum quam veterum..." (costruzione; Prosdocimo di<br />

Beldomandi): Pérouse, 1477 (Klebs, 850.1).<br />

· "Little Lewis my son I have perceived..." (Uso;<br />

Geoffroy Chaucer): Londra, 1532, etc.; W. Skeat, A<br />

treatise on the astrolabe addressed to his son<br />

Lowys by Geoffry Chaucer, Oxford, 1872 (Chaucer<br />

Society), pp. 1-60; R. T. Gunther, Chaucer and<br />

Messahalla on the astrolabe, pp. 1-131; numerose<br />

altre edizioni.<br />

· "Astrolabium grece latine dicitur acceptio stellarum..."<br />

(composizione): H. Michel, Un traité de<br />

l'astrolabe su XV siecle, in Homenaje a Millas<br />

Vallicrosa, II, Barcellona, 1956, pp. 49-67.<br />

· "Qui veult faire ung astralabe doit estre subtil ouvrier..."<br />

(Composizione; Jean Fusoris): E. Poulle, Un<br />

constructeur d'instruments astronomiques au XV<br />

siecle, Jean Fusoris, Parigi, 1963 (Bibliothèque de<br />

l'Ecole pratique des hautes études, sciences historiques<br />

et philologiques, fasc. CCCXVIII), pp. 95-<br />

108.<br />

· "Honourable chose et moult a priser aux princes..."<br />

(uso; Jean Fusoris): E. Poulle, ibid., pp. 109-124.<br />

· " Si astrolabi peritiam tenere volueris ipsam hoc<br />

modo..." (uso e costruzione; traduzione di Georges<br />

Valla del trattato di Nicephore Gregoras): Venezia,<br />

1498 (Klebs, 1012.1); Parigi, 1546, etc.<br />

· "Astrolabium ut Abraham judeus inquit omnium<br />

mathematicalium instrumentorum..." (composizione;<br />

Faber Barduvicensis; appresso al Polain): s.l.n.d.<br />

(Klebs, 386.1).<br />

· "Etsi plurima astrologie divini numinis conscie..."<br />

(Uso; Johannes Angeli): Ausbourg, 1494 (Klebs,<br />

375.1-2).<br />

· "Cum ad lunae observationes necnon stellarum haerentium<br />

coelo..." (costruzione e uso; traduzione di<br />

George Valla del trattato di Proclo): Venezia, 1498<br />

(Klebs, 1012.1); Parigi, 1546, etc.<br />

24<br />

I trattati sull'astrolabio nel<br />

"corpus" scientifico medievale.<br />

Si può dire che i trattati sull'astrolabio del XII secolo<br />

sono senza dubbio più vicini, come concezione,<br />

a quelli del periodo universitario. Si pensi alla<br />

traduzione di Giovanni di Siviglia del codice di<br />

Messahala. Le due parti relative alla composizione<br />

ed all'uso dell'astrolabio, Scito quod astrolabium est<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

39


nomen grecum... e Nomina instrumentorum astrolabii<br />

sunt hec..., testimoniano la singolare fortuna di figurare<br />

regolarmente nei programmi universitari,<br />

come elementi fondamentali di un importante<br />

"corpus" scientifico.<br />

Gli studi sui quadranti (quadrans vetus, quadrans<br />

novus, etc.) e sugli astrolabi nel XII secolo aprono<br />

l'epoca classica della fabbricazione degli strumenti<br />

astronomici. Le modifiche che saranno apportate<br />

durante il periodo universitario possono davvero<br />

considerarsi insignificanti, e gli strumenti che vengono<br />

realizzati offrono ormai la soluzione e le<br />

forme definitive che resteranno per tutto il basso<br />

medioevo e fino al Rinascimento.<br />

A giudizio degli studiosi, tutto questo materiale<br />

letterario non avrebbe altro scopo che quello pedagogico.<br />

Il caso citato di Walcher di Malvern, che<br />

osservò l'eclisse lunare del 18 ottobre 1092 con un<br />

astrolabio, sembra essere un caso isolato, adatto a<br />

soddisfare la curiosità di una mente esigente. Ma<br />

questo esempio non può testimoniare in favore di<br />

una destinazione d'uso dello strumento esclusivamente<br />

rivolta alle osservazioni.<br />

Qualche rara testimonianza di osservazioni astronomiche<br />

con l'astrolabio risale a periodi tardi del<br />

medioevo; la più antica può essere quella di Henri<br />

Bate di Malines, verso la fine del XIII secolo di cui<br />

fa allusione in un suo trattato sullo strumento.<br />

L'astrolabio, evidentemente, trovava vasta applicazione<br />

nella risoluzione di problemi di astronomia<br />

sferica più che astronomia osservativa: trovare<br />

a quale ora una stella si leva sull'orizzonte, anche<br />

se si è in pieno giorno; determinare la durata dell'arco<br />

diurno, o il punto dell'orizzonte dove sorge<br />

il Sole in un giorno qualunque dell'annno e tante<br />

altre questioni alle quali l'astrolabio offre immediatamente<br />

una soluzione.<br />

L'astronomia dell'Europa medievale aveva tra gli<br />

scopi principali, e qui l'astrologia ne è gran parte<br />

responsabile, quello di conoscere l'aspetto del cielo<br />

in un momento qualunque, passato presente o<br />

futuro.<br />

Per fare questo gli studiosi avevano due mezzi a<br />

disposizione: un mezzo empirico, cioè gli strumenti,<br />

e un mezzo matematico, cioè le tavole astronomiche.<br />

Ed è in questo contesto che l'astronomia medievale<br />

vanta, tra l'altro, il merito di aver forgiato quello<br />

che è il più geniale degli strumenti astronomici:<br />

l'astrolabio.<br />

25 L'astrolabio di Regiomontano<br />

Il sorgere delle nuove grandi scuole di artigiani in<br />

Europa, e soprattuto dei costruttori di strumenti<br />

astronomici in Germania, segna il distacco dell'astrolabio<br />

dal medioevo e l'inizio di una nuova era di<br />

abilità e progettazione nella costruzione di strumenti<br />

di precisione.<br />

J. Derek De Solla Price, descrive quello che viene<br />

considerato il primo strumento scientifico della<br />

Rinascenza: un astrolabio realizzato dalle mani del<br />

grande Jovanni Muller, detto Regiomontano (figg.<br />

51-52).<br />

Questo straordinario strumento, che presenta uno<br />

stile costruttivo nuovo e molto diverso dalla caratteristica<br />

scuola moresca e spagnola del medioevo,<br />

fu fabbricato dal grande astronomo in Roma, nel<br />

1462, in onore del Cardinale Bessarione, come è<br />

possibile dedurre dall'iscrizione dedicatoria:<br />

SVB DIVI BESSARIONIS DE<br />

CARDINE DICTI PRAESI<br />

DIO ROMAE SVRGO IO<br />

ANNI OPUS: - 1462<br />

L'astrolabio è firmato e reca un ritratto che si<br />

ritiene il solo contemporaneo del Regimontano.<br />

Questo strumento presenta una storia abbastanza<br />

travagliata. Ricorderemo solo che esisteva in Roma<br />

fino al marzo del 1848, quando passò nelle mani<br />

del Dr. Somerville. Ne fu poi possessore il grande<br />

astronomo William Herschel, e quindi il<br />

Comandante M.H. Hardcastle.<br />

E per fortuna si è mantenuto in ottimo stato di conservazione<br />

come si vede dalle figure. Le sue caratteristiche<br />

costruttive indicano che potrebbe essere<br />

stato un modello di base per la costruzione in serie<br />

dello stesso ("mass-produced"), probabilmente<br />

prodotti a Norimberga dove vi era il grande<br />

costruttore di strumenti Georg Hartmann.<br />

Il parere di Price è che questo sia il primo strumento<br />

costruito da Regiomontano e perciò il<br />

primo eseguito surante la rinascita dell'astronomia<br />

in Europa. Rappresenta, in tal caso, una vera pietra<br />

miliare che marca il progresso della scienza sul<br />

finire del medioevo e all'inizio della Rinascenza.<br />

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26Astrolabium phisicum<br />

Finora abbiamo potuto accertarci dell'esistenza di<br />

una grande varietà di strumenti astrolabici, realizzati<br />

soprattutto dagli astronomi arabi intorno al<br />

XII-XIII secolo. Ma non è finita. Prima di concludere,<br />

infatti, vorremmo dire brevemente di un curiosissimo<br />

astrolabio che per la sua rarità è davvero<br />

poco conosciuto. Nel codice man. lat. 7276 B, del<br />

XV secolo, della Bibliothèque Nationale di Parigi,<br />

viene presentato un Equatore, cioè uno strumento<br />

astronomico per la determinazione della latitudine<br />

dei pianeti, secondo un modello inventato da<br />

Guillaume Gilliszon de Wissekerke. Sull'altra faccia<br />

si trova quello che viene chiamato un<br />

Astrolabium phisicum, cioè un astrolabio il cui uso,<br />

anche se adatto alle misurazioni astronomiche, è<br />

destinato prevalentemente all'astrologia. Il probabile<br />

autore che descrive l'Equatore di Gilliszoon,<br />

Guillaume de Carpentras, è conosciuto come un<br />

valente artigiano astronomo che costruì molti strumenti<br />

astronomici e gnomonici nella seconda metà<br />

del XV secolo 16 . Egli costruì, inoltre, "due astrolabi<br />

mostranti i didici segni zodiacali e i sette pianeti,<br />

di cui uno si trova nella città di Aix e l'altro fu<br />

donato al Monsignor de Bourbon.<br />

Gli studiosi fanno notare che non è normale<br />

trovare i pianeti associati al termine astrolabio.<br />

D'altra parte, l'esistenza della rappresentazione<br />

dei pianeti sull'astrolabio, come quello donato al<br />

duca di Borbone, è suffragata da altri testi del<br />

Catalogue de la bibliothéque des ducs de Bourbon en<br />

1524, in cui si legge "Y a en ladite librarie ung astrolabium<br />

regale ou sont les mouvements de la lune, de la<br />

sphere et des sept planetes et du Dragon, le tout en<br />

leton".<br />

Ma vediamo in breve cos'è questo Astrolabium<br />

phisicum. Viene descritto nella seconda parte del<br />

manoscritto citato ed è un astrolabio semplificato<br />

per scopi astrologici. Viene chiamato anche<br />

Astrolabio medico, in quanto uno degli obiettivi<br />

principali è quello di determinare i giorni e le ore<br />

più convenienti per i salassi e le medicazioni.<br />

All'interno della graduazione del lembo in gradi<br />

ed ore eguali, le tracce sono quelle di un timpano<br />

16 Si veda in proposito G. Arnaud d'Agnel, Les copmtes du roi René, t. III (Paris, 1910)<br />

degli orizzonti; l'Aranea è ridotta al solo zodiaco<br />

(fig.53), davanti al quale è stato tracciato, attorno al<br />

centro dello strumento, un cerchio graduato con i<br />

mesi e i giorni che ha la stessa funzione del calendario<br />

zodiacale usuale sul dorso di tutti gli astrolabi.<br />

Tre regoli, di cui due sono a doppie branchie<br />

formano tra loro un angolo di 120° e un angolo di<br />

60°, giranti attorno al centro dello strumento e che<br />

servono a localizzare le "case celesti".<br />

Gli usi astronomici sono limitati alla trasformazione<br />

delle ore eguali in ore ineguali, alla determinazione<br />

dell'arco diurno o notturno, del grado<br />

ascendente e del momento del levare e sorgere del<br />

Sole. Interessante è anche la lista delle trenta stelle,<br />

date per indicazioni puramente astrologiche, di cui<br />

molte appaiono raramente nelle liste delle stelle<br />

degli astrolabi normali, come per esempio la<br />

citazione delle costellazioni Triangulus e Lupus.<br />

Un'altro strumento merita di essere ricordato.<br />

Appartiene alla collezione J.A. Billmeier, ed è conservato<br />

al Museo di Storia delle Scienze di Oxford<br />

(catalogo n° 57-84/176). Possiamo definirlo un<br />

"astrolabio-equatorio", rusalente alla fine del XV<br />

secolo, ed è identico ad un tipo descritto da<br />

Francesco Sarzosio in un suo trattato stampato nel<br />

1526. Varie circostanze inducono a pensare che<br />

questo strumento possa essere opera di Francesco<br />

Fineo, padre di Oronzo.<br />

La parte astrolabica di questo strumento (figg. 54-<br />

55-56) è composta da due timpani per due diverse<br />

latitudini. Sulla faccia del primo timpano non sono<br />

riportate nè le ore ineguali, nè le "case celesti", nè<br />

gli azimut, nè linee crepuscoline, ma solamente gli<br />

almucantarat per ogni cinque gradi, mentre l'altra<br />

faccia dello stesso timpano non riporta che le dodici<br />

"case celesti" e le loro suddivisioni per una latitudine<br />

di 45°.<br />

La prima faccia del secondo timpano riporta (latit.<br />

45°) gli almucantarat incisi per ogni cinque gradi e<br />

gli azimut; l'altra faccia è un timpano astrologico,<br />

come quello già visto di Guillaume di Wissekerke.<br />

La realizzazione di questo "timpano medico" (perchè<br />

è il timpano dell'astrolabio detto "medico") è<br />

stata basata sul principio allora in uso che<br />

l'evoluzione di una malattia subisce un corso<br />

cronologico immutabile e la medicina ha bisogno<br />

di conoscere, per le sue prescrizioni, i pianeti che<br />

dominano le differenti tappe di questo corso, e per<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

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conseguenza i gradi dello zodiaco che corrispondono<br />

a queste tappe. Piazzato quindi il grado dello<br />

zodiaco ove si trova il sole all'inizio della malattia<br />

sulla linea del mezzodì (initium morbi), si hanno<br />

direttamente i gradi dello zodiaco che si trovano<br />

su ciascuno degli "angoli" del timpano; la stessa<br />

operazione può farsi con la luna e le "case lunari"<br />

Conclusione<br />

La rinascita dell'astronomia nell'Europa del secoli<br />

XII e XIII contribuisce alla diffusione di uno strumento<br />

preciso e versatile come l'astrolabio. Dalla<br />

redazione di testi insicuri, in cui compaiono<br />

grossolani errori teorici e di costruzione, si arriva<br />

piano piano a sviluppare, durante il tardo periodo<br />

universitario, delle tecniche perfette di realizzazione<br />

grazie anche allo sviluppo delle nuove tecnologie<br />

artigiane.<br />

A questo proposito è importante sottolineare la<br />

grande difficoltà che si incontra nella classificazione<br />

e catalogazione degli astrolabi dall'anno<br />

Mille in poi, tenendo conto dei diversi particolari<br />

costruttivi che caratterizzavano le varie scuole<br />

europee. In più, è da considerare che pochissimi<br />

sono i pezzi firmati. Per esempio, non ci è giunto<br />

nessun astrolabio gotico (cioè realizzato in stile<br />

gotico) firmato - come fa rilevare Tullio Tomba in<br />

un suo articolo di qualche decennio fa 17 27<br />

-, pochissimi,<br />

uno o due, recano un monogramma quasi<br />

indecifrabile e in più ci sono le possibili modifiche<br />

avvenute nelle posizioni degli indici delle stelle, e<br />

questo rende quasi impossibile la loro datazione<br />

usuale col calcolo delle coordinate astronomiche.<br />

Dalla descrizione di Tomba dei due astrolabi latini<br />

risalenti al XIV secolo, possiamo notare i miglioramenti<br />

costruttivi apportati dagli artigiani e di cui<br />

faranno tesoro gli astrolabisti della Rinascenza:<br />

"...l'elemento degli archi trilobati è comune a quasi tutti<br />

gli strumenti delle prime scuole d'Occidente, ma qui è<br />

di una raffinatezza e di un equilibrio che troviamo ben<br />

di rado in altri esemplari insieme ad una tecnica di real-<br />

izzazione perfetta, degna del miglior professionismo...".<br />

Questi particolari, insieme con quello della sistemazione<br />

del lembo sulla madre per mezzo di<br />

spine cilindriche ribattute, si ritrovano sugli astrolabi<br />

dell'epoca, ed anche più antichi, come quello<br />

islamico del X secolo conservato nella collezione<br />

Lewis Evans di Oxford, che reca un lembo distinto<br />

dalla madre, oppure l'astrolabio gotico della<br />

collezione Michel, e l'ispano moresco della raccolta<br />

Billmeier, il gotico n° 175 della stessa ed altri 18 .<br />

Inoltre, tali particolari non si riscontrano con facilità<br />

nei testi medievali e pare che l'unico trattato che<br />

ne parli sia quello di Roberto Anglico nel capitolo<br />

"De inscriptione matris Rotule et Limbi" dei suoi rari<br />

Canones de Astrolabio, stampato a Perugia nel 1480,<br />

in cui afferma che il "Limbum seu margilabrum"<br />

deve essere adeguato al numero delle "Tabulae" e<br />

ci dà la precisa sensazione che questo pezzo costituisse<br />

un elemento a sé da potersi anche sostituire<br />

se si fosse presentata l'occasione di aumentare il<br />

numero dei timpani.<br />

Anche Peregrino di Maricourt, nella Nova compositio<br />

Astrolabii particularis (Codice Vaticano Latino<br />

1332, carta 14 r.) offre particolari costruttivi interessanti<br />

trattando di due procedimenti per la<br />

costruzione della madre e del lembo, l'uso del<br />

tornio oppure l'applicazione del lembo di una "tabula"<br />

con l'antica saldatura all'argento: "Vel aliter<br />

facies tabulam fabricari super quam limbum sibi aptum<br />

cum armilla decenter composita unges (sta per coniuges)<br />

cum argento in quo..." 19 .<br />

Sembrerà strano, ma nonostante la loro popolarità<br />

ben pochi sono gli astrolabi che si conservano in<br />

Italia, più precisamente sembrano esserne in<br />

numero non superiore ad una decina. Sempre il<br />

Tomba 20 , dà la seguente collocazione: 5 astrolabi<br />

sono conservati al Museo Copernicano di Monte<br />

Mario (Roma), 3 al Museo di Storia della Scienza di<br />

Firenze, 1 all'Osservatorio Astronomico di<br />

Bologna, 1 al Museo di Venezia.<br />

Questo probabilmente dimostra, nonostante tutto,<br />

come fossero in pochi i costruttori professionisti di<br />

astrolabi e strumenti astronomici in quell'epoca tra<br />

cui vanno ricordati i poco noti Ibrahim ibn Said as-<br />

Sahli di Valencia e Muhammed Ibn Futtuh di<br />

17 Tullio Tomba, Due astrolabi latini del XIV secolo conservati a Milano, in "Physis", VIII, 1966 - Olschki Ed., Firenze<br />

18 T. Tomba, ibid. p. 298<br />

19 T. Tomba, ibid., pp. 299-300<br />

20 T. Tomba Un astrolabio del XIV secolo di probabile origine italiana, in "Physis", anno 12, 1970, Leo S. Olschki ed. , Firenze<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

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Siviglia.<br />

Gli studiosi segnalano un declino dell'astrolabio,<br />

dopo che ebbe raggiunto il culmine del successo,<br />

attorno alla fine del XIV secolo, proprio quando si<br />

apprestava a bussare alle porte della Rinascenza. E<br />

relativamente a quel periodo si segnala il trattato<br />

di Geoffry Chaucer, Treatise on the astrolabe, del<br />

1391, quale uno degli ultimi e più lucidi lavori sull'astrolabio.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong><br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

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