IL LIBRO DEGLI ASTROLABI - Nicola Severino
IL LIBRO DEGLI ASTROLABI - Nicola Severino
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<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong><br />
<strong>IL</strong> <strong>LIBRO</strong><br />
<strong>DEGLI</strong> <strong>ASTROLABI</strong><br />
La storia dell’Astrolabio da Tolomeo a Regiomontano<br />
Roccasecca, 1994
PREFAZIONE<br />
L'Astrolabio - uno strumento tanto nominato quanto sconosciuto. Uno strumento che per<br />
la sua maneggevolezza e versatilità ha contribuito grandemente alla diffusione delle<br />
nozioni astronomiche dal mondo islamico a quello cristiano e che pur non trova nei trattati<br />
di storia delle scienze lo spazio che gli competerebbe. Si sa bene che la storiografia dello<br />
sviluppo del pensiero scientifico non usa far riferimento agli strumenti tecnici - nemmeno<br />
i più importanti - che hanno accompagnato e consentito il progresso delle conoscenze; ma<br />
anche nelle storie incentrate sulle tecnicge, all'Astrolabio viene dedicato non più di<br />
qualche cenno. Ciò in gran parte è attribuibile alla scarsità di fonti moderne cui attingere<br />
ampie informazioni storiche su tale strumento; alla scarsezza cioè delle fonti di seconda<br />
mano cui sono soliti attingere i trattatisti.<br />
Un'opera come questa di <strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong>, frutto di paziente ricerca condotta spesso su<br />
codici e rari testi a stampa - quasi incunabuli - consultati in prestigiose biblioteche ed in<br />
primo luogo in quella di Montecassino, fornisce una base importante per colmare in<br />
avvenire tale lacuna. Innanzi tutto infatti offre una panoramica sullo sviluppo di questo<br />
strumento nel mondo latino e sulla letteratura inerente; in secondo luogo fornisce informazioni<br />
specifiche, perfino su realizzazioni finora ignorate, indubbiamente preziose per gli<br />
studiosi che vogliano acculturarsi sull'argomento e tenerne conto nelle loro indagini<br />
storiche. Come dice l'Autore nella premessa, certe lacune di informazione palesate da studiosi<br />
di storia delle scienze appaiono sorprendenti: ad esempio, nella voce Astrolabio<br />
dell'Enciclopedia Italiana non si fa cenno di una versione dell'Astrolabio importante come<br />
quella sferica.<br />
Preziosa infine per gli studiosi professionisti l'amplia bibliografia che chiude la trattazione.<br />
Lodevole l'iniziativa di annettere in appendice anche una riedizione dell'elenco<br />
degli Astrolabi piani esistenti nelle varie raccolte del mondo pubblicata da J. Derek Price<br />
nel 1955 su Archives Internationales d'Histoire des Sciences.<br />
Non esiste, a mia conoscenza, un trattato italiano moderno sull'astrolabio. Le informazioni<br />
in merito, in italiano, si ricavano solo da voci di enciclopedie o da articoli di rivista<br />
per lo più a carattere specifico. Il presente lavoro costituisce una fonte d'informazioni,<br />
un source book stimolante per colmare la lacuna. Una storia generale dell'Astrolabio, a<br />
livello non specialistico, ritengo che sarebbe culturalmente rilevante, data l'importanza e<br />
la diffusione che questo versatile strumento ha avuto lungo il medioevo. Importanza non<br />
solo scientifica, ma anche - e forse precipuamente - pratica, quale efficientissimo ausilio<br />
didattico e quale agilissimo strumento per la determinazione dell'ora, diurna e notturna,<br />
e della latitudine. Uno strumento che ha accompagnato ed in parte sostenuto il risorgere<br />
culturale dell'Occidente dopo i secoli bui dell'alto medioevo. Spero vivamente che qualche<br />
studioso si senta stimolato a porre mano a tale opera.<br />
Dobbiamo per questo essere grati alla rara competenza, alla certosina pazienza, allo<br />
scrupoloso impegno di <strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong>. Grazie per il contributo di informazioni, ma<br />
soprattutto grazie per l'esempio di amore verso la memoria storica, memoria così carente<br />
nelle giovani generazioni di cultori, professionisti e dilettanti, del sapere scientifico.<br />
Piero Tempesti
PREMESSA<br />
Il presente lavoro racchiude in un succinto resoconto la misteriosa storia,<br />
ancora in parte inesplorata, di uno strumento astronomico tra i più popolari<br />
dell'antichità: l'astrolabio. La motivazione che mi ha spinto a scrivere questo<br />
testo ha un movente facile da interpretare: una ingiustificata carenza di pubblicazioni<br />
in merito che interessa (purtroppo) esclusivamente l'Italia. I<br />
grandi trattati sull'astrolabio e la sua storia sono ormai consultabili solo<br />
presso qualche importante biblioteca, sebbene non siano neanche troppo vecchi,<br />
come l'insostituibile lavoro di Henry Michel, Traité de l'astrolabe, pubblicato<br />
a Parigi nel 1947, e la Astrolabes of the World, di R.T. Gunther, pubblicata<br />
a Oxford nel 1932.<br />
Fino a qualche decennio fa si assisteva alla pubblicazione in Italia di alcuni<br />
articoli importanti di materiale storico inedito, utilizzato anche per l'importante<br />
lavoro di catalogazione degli strumenti che di tanto in tanto venivano,<br />
e vengono tutt'ora, scoperti in vari luoghi o collezioni private. Ciò soprattutto<br />
per merito della rivista Physis, che vanta un Editore del calibro di Leo<br />
S. Olschki.<br />
L'apprezzabile sforzo però non può colmare la lacuna che deriva dall'assoluta<br />
mancanza di testi in lingua italiana sull'astrolabio e soprattutto sulla<br />
sua storia che viene regolarmente elusa nei rari articoli tecnici sulla<br />
costruzione, pubblicati su riviste più o meno popolari.<br />
L'ambizioso compito a cui vuol assolvere questo modesto lavoro, pertanto,<br />
non è quello di colmare un simile vuoto. D'altra parte chi scrive pone i propri<br />
limiti di ricercatore non professionista di fronte a un così vasto campo di<br />
ricerca, in una condizione che è come voler attraversare un'oceano sapendo<br />
appena nuotare.<br />
L'intento è allora quello di stimolare gli appassionati a ricercare le varie possibilità,<br />
al fine di costruire "imbarcazioni" sempre più consistenti che permetteranno<br />
poi di poter navigare finalmente con più facilità, e con qualche<br />
soddisfazione in più, in questo oceano di storia che accompagna la vicenda<br />
dell'astrolabio e, con esso, degli strumenti astronomici in generale.<br />
La ricerca è aperta a tutti. Ognuno, indipendentemente dal proprio bagaglio<br />
culturale, può trovare la strada che porta a nuove scoperte, segnalazioni,<br />
notizie storiche che da sole appaiono senza un preciso significato, ma che<br />
inserite nel "puzzle" storico permettono di avere una visione generale<br />
importante. Accade, infatti, che anche lo studioso si avvalga, nel suo lavoro,<br />
di immagini e notizie riprodotte in pubblicazioni affatto scientifiche perchè
ogni documentazione, anche nel suo aspetto più modesto e occasionale, è<br />
interessante e può aiutare a capire meglio alcuni aspetti storici che sono<br />
ancora oscuri.<br />
Questo "Libro degli Astrolabi" vuol far conoscere ciò che sugli astrolabi non<br />
è stato mai scritto in altre pubblicazioni italiane. E per fare questo mi sono<br />
avvalso di alcuni tra i più importanti lavori di eminenti studiosi quali<br />
Michel, Gunther, De Solla Price, Poulle, Tomba, Maddison, Millas -<br />
Vallicrosa, ed altri.<br />
Non si tratta, dunque, di un lavoro originale. Non vi sono grandi novità per<br />
gli esperti, a parte forse le notizie relative al ritrovamento e alla descrizione<br />
di uno strumento del tutto assimilabile ad un astrolabio che non ho riscontrato<br />
in nessun'altra opera e che in questa sede, pertanto, propongo come<br />
materiale storico nuovo.<br />
Semplicemente qui si parla di molti tipi di astrolabi, alcuni dai nomi mai<br />
sentiti, che sono tutt'oggi conosciuti solo ad una ristrettissima cerchia di<br />
addetti ai lavori. Forse il lettore considererà una pecca il fatto che non vengono<br />
qui riportati i metodi per costruire gli astrolabi. Questo semplicemente<br />
perchè si è ritenuto inutile riscrivere cose che altri autori italiani hanno fatto<br />
con dovizia di particolari, come in alcuni articoli apparsi una decina d'anni<br />
fa sulla rivista di Astronomia Coelum e ultimamente dall'Associazione<br />
Astronomia Cortina che ha realizzato un Astrolabio edito da Biroma.<br />
Lo stupore che ha sopreso chi scrive nel constatare che valenti studiosi italiani<br />
di storia della scienza non erano a conoscenza delle opere fondamentale<br />
sugli strumenti astronomici degli arabi del basso medioevo, di Jean Jacques<br />
e L.AM. Sédillot, pubblicate a Parigi nel secolo scorso, è una delle tante<br />
motivazioni che ha portato alla realizzazione di questo libro. L'iniziativa si<br />
è resa necessaria poi quando si è rilevato che neanche l'articolo "Astrolabio"<br />
dell'Enciclopedia Italiana fa cenno ad uno strumento tanto importante<br />
quanto sconosciuto a molti studiosi, quale l'astrolabio sferico.<br />
Se il lettore, sfogliando queste pagine, rimarrà sorpreso nell'apprendere di<br />
una vasta gamma di strumenti astrolabici in gran parte sconosciuti al pubblico<br />
dei semplici appassionati, e nello stesso tempo troverà interessanti le<br />
notizie storiche riportate, questo lavoro avrà adempiuto al suo scopo. Ed è<br />
quanto l'autore si augura con tutto il cuore.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong>
RINGRAZIAMENTI<br />
Per la stesura di questo libro desidero rivolgere un particolare<br />
ringraziamento al Padre Gregorio, Bibliotecario della Biblioteca<br />
dell'Abbazia di Montecassino; all'Ing. Salvo De Meis per avermi<br />
sostenuto moralmente e per i preziosi consigli che mi inoltra come<br />
fossi un suo discepolo; al Prof. Piero Tempesti per aver letto il<br />
manoscritto e i miei articoli di Gnomonica, nonchè per la preziosissima<br />
consulenza scientifica; al Fisico Dott. Edmondo Marianeschi<br />
per la sincera amicizia e per i consigli che mi rivolge come un padre;<br />
al Sig. Andrea Girardi di Torino per la preziosa collaborazione;<br />
infine al Dott. Walter Ferreri, Direttore scientifico della rivista<br />
Nuovo Orione, a Ferdinando Cancelli, a Riccardo Anselmi, a Don<br />
Alberto Cintio, a tutti i miei collaboratori ed amici gnomonisti.<br />
Questo libro è dedicato<br />
a mia moglie Daniela e a mia<br />
figlia Altea.
1<br />
Quando si parla di astrolabi, il nostro primo pensiero<br />
è rivolto al mondo arabo. Il collegamento non<br />
è forzato, ed è più che giustificato quando si consideri<br />
che furono proprio i popoli arabi, nell'ambito<br />
dell'ambizioso progetto di recupero della cultura<br />
scientifica alessandrina, cominciato con il<br />
califfato di al-Raschid, i grandi maestri e inventori<br />
di innumerevoli tipi di astrolabi. Essi raggiunsero<br />
un così alto livello in questo campo, attorno al XII-<br />
XIII secolo, che l'Europa non ebbe mai la fortuna di<br />
conoscere, e ancora oggi le loro opere e i pochi<br />
strumenti che ci sono pervenuti non finiscono mai<br />
di stupirci per la precisione, la semplicità, l'eleganza<br />
e l'amore col quale furono costruiti.<br />
L'astrolabio è sicuramente uno degli strumenti più<br />
geniali concepiti nel campo della strumentaria<br />
astronomica antica. Rientra nel dominio di questa<br />
scienza, come della Gnomonica. Con l'astrolabio si<br />
possono insegnare facilmente i rudimenti dell'astronomia:<br />
la sfera celeste e tutti i circoli celesti ad<br />
essa abbinati, la posizione delle stelle e dei pianeti,<br />
ma anche con precisione le diverse ore del giorno,<br />
come un orologio solare, e della notte, se usato<br />
come un notturlabio. E oltre a queste, anche altri<br />
momenti importanti del giorno, come alcune<br />
preghiere in uso presso i popoli arabi.<br />
L'astrolabio è quindi uno strumento interdisciplinare<br />
la cui utilità è a tutti nota e tuttavia le sue<br />
origini, la sua storia e le diverse tipologie dei modelli<br />
costruiti, non sempre godono della stessa notorietà.<br />
Ma cos'è l'astrolabio per noi, in una società come<br />
quella di oggi, e cos'era invece per gli uomini dell'anno<br />
Mille, e soprattutto per quelli che vissero in<br />
tempi successivi, fino al secolo XV? A questa<br />
domanda si sarebbe tentati di rispondere che per i<br />
primi un simile strumento potrebbe essere sia<br />
un'interessante giocattolo con cui trascorrere magicamente<br />
alcune ore, sia una fonte preziosissima di<br />
dettagli storici e tecnici che apre le porte su un<br />
mondo scientifico a tratti inesplorato, quale il<br />
medio evo; per gli antichi, invece, e ancor di più<br />
per gli uomoni che ne fecero l'uso più appropriato<br />
attorno a mille anni fa, (non certo la povera gente<br />
INTRODUZIONE<br />
che conosceva solo gli indicibili stenti con i quali<br />
procurarsi a malapena il cibo necessario alla<br />
sopravvivenza) era come il nostro orologio da<br />
polso, la nostra calcolatrice. Uno strumento portatile<br />
che entrava nelle bisacce, insieme ai libri, che<br />
non mancava a nessun viaggiatore.<br />
In qualsiasi luogo dove la cultura non fosse stata<br />
dimenticata, si trovava l'astrolabio, così come la<br />
sfera armillare e i quadranti astronomici con gli<br />
orologi solari e vari altri strumenti gnomonici (si<br />
pensi che Abelardo, sposo di Eloisa, chiamò il suo<br />
primogenito col nome di "Astrolabio"!). Ma il<br />
primo era lo strumento per eccelenza perchè con<br />
esso era possibile effettuare, praticamente, quasi<br />
tutte le operazioni che permettevano gli altri.<br />
Ecco che emerge parte della genialità costruttiva:<br />
l'astrolabio inglobava nelle sue piccole dimensioni<br />
le caratteristiche di moltissimi strumenti messi<br />
assieme, tanto che poteva essere usato indifferentemente<br />
e con successo nei problemi di navigazione,<br />
topografia (con opportune modifiche,<br />
come il poco noto mesolabio) gnomonica (in generale<br />
per conoscere l'ora sia di giorno che di notte<br />
e, come in uso nei popoli arabi, anche per avere gli<br />
istanti di alcuni momenti importanti corrispondenti<br />
alle principali preghiere) e soprattutto nei<br />
calcoli di astronomia di posizione.<br />
Sulla scorta di queste brevi ed ovvie considerazioni<br />
è facile capire il motivo dello strepitoso successo<br />
che accompagna l'astrolabio per più di sette<br />
secoli, almeno dal IX al XVIII, durante i quali le più<br />
fertili menti della scienza impegnarono parte del<br />
loro tempo a cercare di migliorare e perfezionare<br />
sempre più i modelli allora in uso.<br />
Volendo essere precisi, bisognerebbe dire: dal IX<br />
all'XI secolo gli Arabi si impegnarono ad inventare<br />
e costruire una lunga serie di modelli di astrolabi,<br />
di cui alcuni, come si vedrà, risultano a tutt'oggi<br />
quasi sconosciuti; e dal secolo XI al XVI gli studiosi<br />
occidentali si occuparono di tradurre e divulgare<br />
gli studi effettuati dagli Arabi. A riprova di quanto<br />
appena detto, basti osservare un eccezionale astrolabio<br />
costruito dall'astronomo Giovanni<br />
Regiomontano (sec. XV) in Roma nel 1462, per il<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />
1
Cardinale Bessarione, per constatare che, seppure<br />
di squisita fattura e con uno stile costruttivo<br />
latineggiante, rispetta in tutto e per tutto le caratteristiche<br />
dei vecchi modelli arabi la cui forma era<br />
divenuta ormai definitiva sin dalla fine del XIII<br />
secolo.<br />
2<br />
Gli strumenti gnomonici nel Medio Evo.<br />
Resterà utile, per questo studio, una breve<br />
panoramica di storia della Gnomonica relativa alla<br />
strumentazione per la misurazione del tempo nei<br />
secoli attorno all'anno Mille. Ma per prima cosa<br />
dobbiamo chiederci quale tipo di ore erano in uso<br />
in quei tempi. E a questa domanda si può rispondere<br />
subito. Nelle campagne, i contadini e gli artigiani<br />
misuravano il tempo con molta approssimazione,<br />
semplicemente prendendo dei facili<br />
punti di riferimento, ai quali rapportare la<br />
posizione del Sole in cielo, e questi potevano<br />
essere i picchi delle montagne più alte, l'ombra di<br />
alcuni alberi, o quella di un bastone piantato verticalmente<br />
al suolo. Nei paesi la misurazione del<br />
tempo era stabilita dalle congregazioni ecclesiastiche<br />
che, tradizionalmente, si servivano delle ore<br />
cosiddette temporarie, cioè ore regolate sulla durata<br />
del giorno e della notte e quindi di misura diversa<br />
a seconda dell'epoca dell'anno. E' difficile stabilire<br />
in che modo venivano annunciate le ore prima dell'anno<br />
Mille, ma è verosimile l'ipotesi che esse fossero<br />
richiamate con l'uso delle campane, probabilmente<br />
dopo essere state lette su clessidre, orologi<br />
solari o ad acqua di vario genere. Il sistema delle<br />
ore ineguali, quindi, cioè le ore temporarie - chiamate<br />
dagli arabi Ezemenie - era quello generalmente<br />
accettato dal grosso della popolazione,<br />
attorno all'anno Mille. Fu solo verso l'inizio del<br />
XIV secolo che cominciò a farsi strada<br />
nell'Occidente Cristiano il sistema delle ore<br />
equinoziali, cioè delle ore eguali, o astronomiche -<br />
chiamate dagli arabi Muzzewine - attualmente in<br />
uso. I grandi campanili, le torri con gli enormi<br />
orologi meccanici scandivano ormai il tempo<br />
astronomico, più utile nella sua uniformità ai mercanti,<br />
agli artigiani, ai viandanti, in contrapposizione<br />
delle ore canoniche e temporarie, cioè il<br />
tempo dei chierici, caparbiamente utilizzato, per-<br />
chè fondamentale negli Uffici religiosi delle comunità<br />
monastiche, almeno fino al Capitolo Generale<br />
del 1429.<br />
Ma quali erano gli strumenti per misurare il<br />
tempo? Le informazioni al riguardo sono veramente<br />
poche. E' quasi inspiegabile, l'assoluta mancanza<br />
di notizie sul come misuravano il tempo gli<br />
uomini del Medio Evo, nelle tantissime opere che<br />
pure ci sono pervenute. L'erudito benedettino<br />
Augusto Calmet (sec. XVIII) ha speso buona parte<br />
dei suoi studi nel cercare di scoprire qualche commentario<br />
redatto dai suoi predecessori, in cui si<br />
trovassero descritti i metodi pratici per la misurazione<br />
del tempo. Ma a parte qualche sporadica<br />
informazione a carattere generale, egli non riuscì a<br />
trovare nulla di specifico. Dobbiamo, pertanto,<br />
accontentarci delle poche informazioni che ci<br />
provengono da ritagli di opere, le più diverse, e<br />
soprattutto dalle fonti scientifiche del tempo.<br />
Cominceremo col dire che dopo <strong>Severino</strong> Boezio e<br />
Cassiodoro, i metodi per la misurazione del tempo<br />
rimasero sostanzialmente gli stessi, senza alcun<br />
miglioramento. Si ricorda brevemente che Boezio e<br />
Cassiodoro ci lasciarono in alcune lettere le uniche<br />
testimonianze del VI secolo d.C., relative alla<br />
costruzione di qualche orologio ad acqua e solare.<br />
Esse sono importanti, proprio perchè in quell'epoca<br />
si ebbe una decadenza generale (i famosi secoli<br />
bui del Medio Evo) su tutti i fronti delle scienze,<br />
che durò almeno fino al IX secolo. L'unico faro<br />
intellettuale che ha guidato gli studiosi di tutto l'alto<br />
medioevo, era il monaco inglese Beda il<br />
Venerabile, vissuto a cavallo tra il VII ed VIII secolo.<br />
Purtroppo, nelle sue opere non si riscontrano<br />
progressi decisivi nella misurazione del tempo, a<br />
parte forse gli studi sulla datazione della Pasqua<br />
che era l'argomento più importante dell'epoca.<br />
Beda fa riferimento a sistemi di computo delle ore<br />
del giorno attraverso la misurazione dell'ombra<br />
data dalla statura (media) di un uomo, metodo in<br />
uso già nel III secolo a.C. e per tradizione fino al<br />
secolo XVI inoltrato. E' solo nelle glosse alle opere<br />
di Beda, di alcuni secoli successive, che si vede la<br />
descrizione di uno strumento ancora più antico:<br />
l'emisfero. Una superficie concava nel cui interno<br />
vi erano disegnati i circoli orari, dei solstizi e degli<br />
equinozi. E' quanto meno incredibile che nelle<br />
vastissime opere di un erudito quale Beda, non si<br />
faccia neppure cenno agli orologi solari che avevano<br />
scandito il tempo ai Greci e ai Romani e ai<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />
2
quali Vitruvio aveva dedicato un intero capitolo<br />
della sua opera Architettura. La gnomonica era<br />
davvero caduta in disuso.<br />
I popoli arabi furono i veri depositari della scienza<br />
greca. Senza entrare nel merito di un'approfondita<br />
ricerca, diremo solo che essi nel giro di due o tre<br />
secoli non solo seppero custodire l'intero patrimonio<br />
culturale dei Greci attraverso la preservazione<br />
dei manoscritti conservati nelle biblioteche mussulmane,<br />
ma essi ebbero il merito di sfruttare al<br />
meglio il sapere ereditato nella ricerca di nuove<br />
metodologie che aprirono la strada, poi, alla quella<br />
che sarà la scienza sperimentale.<br />
Un'altra considerazione che lascia sconcertati è che<br />
nonostante la vastissima produzione di strumenti<br />
scientifici e pubblicazioni da parte degli Arabi;<br />
ancora oggi, in Occidente, queste opere sono per la<br />
maggior parte sconosciute. Giusto per fare un<br />
esempio, la traduzione dall'arabo di J.J. Sédillot,<br />
pubblicata nella seconda metà secolo scorso, del<br />
manoscritto n° 1148 di Aboul Hhassan Alì al-<br />
Marrakuschi (sec. XIII) conservato nella Biblioteca<br />
Nazionale di Parigi, da sola basta per evidenziare<br />
tutta la nostra ignoranza sulla gnomonica di quel<br />
tempo. Ai tempi nostri (1989) è stata pubblicata<br />
un'altra opera, che è la traduzione di un manoscritto<br />
di un astronomo arabo, Thabit Ibn Qurra<br />
del XIII/XIV secolo, in cui il capitolo 9 ci illustra<br />
addirittura i metodi trigonometrici per tracciare gli<br />
orologi solari che l'Occidente conoscerà solo a partire<br />
dal XVII secolo inoltrato! Inoltre, se si consultano<br />
i trattati di gnomonica del Rinascimento, i<br />
libri di Cristoforo Clavio, Valentino Pini, J. Battista<br />
Benedetto, J.B. Vimercato, Oronzio Fineo,<br />
Athanasius Kircher, e anche quelli degli autori del<br />
XVII e XVIII secolo, si può notare l'assoluta man-<br />
canza della descrizione dei tanti orologi solari<br />
inventati e descritti dagli arabi del medioevo.<br />
Come risulta evidente, l'astrolabio, pur occupando<br />
un ruolo determinante nell'attività di ricerca degli<br />
scienziati medievali, era sempre accompagnato da<br />
molti altri strumenti. E tra questi ricordiamo le<br />
moltissime varietà di quadranti astronomici, compreso<br />
quello che veniva chiamato briques, cioè un<br />
grande quadrante murale per trovare con molta<br />
precisione le altezze degli astri: la meridiana a seni<br />
che serviva a determinare l'arco di rivoluzione<br />
della sfera celeste su un orizzonte qualunque e,<br />
senza alcun calcolo, dava immediatamente le ore<br />
del giorno e della notte con la semplice osservazione<br />
dell'altezza del sole do i una stella di<br />
ascensione retta e declinazione conosciute; le sfere<br />
armillari, i globi celesti, il torquetum o triquetrum, o<br />
regolo parallattico derivato da Tolomeo, che è<br />
un'ingegnosa alternativa all'astrolabio armillare; il<br />
rectangulus che schematizzava semplicemente il<br />
torquetum, il Sestante, lo strumento dei seni e degli<br />
azimut lo strumento ai due pilastri, la Bilancia Oraria<br />
e molti altri strumenti e varianti che è impossibile<br />
riportare.<br />
Tuttavia, l'astrolabio, per la sua versatilità di<br />
impiego, e sicuramente anche per la sua caratteristica<br />
forma circolare, non conobbe mai nella storia<br />
un periodo di inutilizzo, restando lo strumento<br />
principale degli studiosi fino al Rinascimento.<br />
Tracciare una storia dell'astrolabio non è cosa<br />
facile. Nelle pagine che seguono cercheremo di<br />
mettere insieme le ipotesi di studiosi che da<br />
qualche secolo tentarono di rintracciarne le tracce<br />
già nell'antichità, e che gettarono le basi sulle quali<br />
hanno potuto agevolmente lavorare gli studiosi<br />
moderni.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />
3
3<br />
STORIA DELL’<strong>ASTROLABI</strong>O<br />
L’<strong>ASTROLABI</strong>O NELLA STORIA<br />
Se sia stato proprio l'astrolabio come lo conobbero<br />
gli astronomi medievali, quello che si trova<br />
descritto nell'Almagesto di Tolomeo, è la domanda<br />
che ha sollecitato per secoli la curiosità intellettuale<br />
degli scienziati. Nonostante gli innumerevoli<br />
studi e le tantissime ipotesi scaturite su questo<br />
enigma, non abbiamo la certezza matematica con<br />
la quale poter asserire che lo strumento descritto<br />
da Tolomeo non aveva niente a che fare con l'astrolabio<br />
classico. Tuttavia, attraverso lo studio<br />
della documentazione che ci è pervenuta, possiamo<br />
dire che un'eventuale identificazione non<br />
regge in quanto lo strumento di Tolomeo era<br />
sostanzialmente una specie di sfera armillare. E' da<br />
considerare, però, che il principio della proiezione<br />
stereografica, sul quale si basa la teoria costruttiva<br />
dell'astrolabio, doveva essere già nota ai tempi di<br />
Ipparco da Nicea a cui si attribuisce anche l'uso<br />
della sfera armillare. Infatti, questi fu in grado di<br />
risolvere problemi relativi alla sfera senza la<br />
conoscenza della trigonometria sferica, probabilmente<br />
attraverso l'uso della proiezione stereografica.<br />
Questa consiste nel riportare su un piano la<br />
superficie di una sfera, cioè di tutti i suoi circoli,<br />
proiettandoli da un punto che può essere uno dei<br />
poli. Nel caso degli astrolabi, la proiezione era<br />
fatta partendo dal polo sud della sfera celeste su di<br />
un piano (foglio di carta o lamina di metallo) perpendicolare<br />
all'asse polare della sfera stessa.<br />
Tolomeo impiega questi principi nella sua opera<br />
dedicata al Planisphaerium, ma gli studiosi hanno<br />
dimostrato che egli si rifà a nozioni precedenti,<br />
probabilmente prese da Ipparco. E' da notare che<br />
già la parola planisphaerium fa pensare ad una sfera<br />
proiettata su un piano, ma sembra che Tolomeo, in<br />
quest'opera si riferisse più che altro ad uno strumento<br />
"oroscopico", che reca la posizione delle<br />
stelle su una parte chiamata "aranea", cioè "ragno",<br />
proprio come un vero astrolabio. Ma lo era?<br />
Claudio Salmasio, in Plinianae exercitationes in Caii<br />
Julii Solini Polyhstoria, 1689 (pag. 458, A, B, C, D, E,<br />
F, G), espone la questione osservando che i vasa<br />
horosopa, sono orologi solari del tipo emisferici,<br />
mentre gli "araneorum horoscopa" sono proprio<br />
degli astrolabi, come dice pure Hefestio.<br />
Purtroppo, pare non vi siano altre testimonianze<br />
per dimostrare questa ipotesi. Così, sia il<br />
Planisphaerium, sia l'Astrolabon, di Tolomeo, non si<br />
possono identificare con sicurezza con un astrolabio<br />
del tipo classico. Ricordiamo che Montucla<br />
(Storia della Matematica, tomo 1, pag. 264), è dell'opinione<br />
che "Egli (Tolomeo) immaginasse di<br />
proiettare sopra un piano la sfera, allorchè fece il<br />
catalogo delle stelle fisse; ma questi planisferi non<br />
avrebbero niente a che fare con gli astrolabi".<br />
D'altra parte Teone d'Alessandria distingue nettamente<br />
l'astrolabio piano chiamandolo "piccolo<br />
astrolabio". Inoltre, la confusione viene alimentata<br />
dal fatto che nei testi antichi la parola astrolabon,<br />
che letteralmente significa "prenditore di stelle", fu<br />
impiegata praticamente per qualsiasi strumento<br />
che servisse per l'osservazione astronomica.<br />
Nell'ambito di queste considerazioni, è interessante<br />
rilevare che le ipotesi sulla probabile realizzazione<br />
di astrolabi classici, risalgono ancora più<br />
indietro nel tempo. Infatti, alcuni studiosi hanno<br />
cercato di identificare l'orologio solare chiamato<br />
"Arachnen", citato da Vitruvio e attribuito all'astronomo<br />
Eudosso di Cnido, con un piano che ha<br />
una rete metallica mobile (aranea) con sopra incise<br />
le stelle e i circoli celesti. Questa tesi però non è<br />
suffragata da prove concrete ed è più probabile che<br />
l'arachnen fosse semplicemente un orologio solare<br />
con le linee orarie e le curve solstiziali, la cui forma<br />
ricorda quella della rete di ragno.<br />
Comunque, che Tolomeo sia stato a conoscenza<br />
dell'astrolabio piano, come ha anche dimostrato<br />
Neugebauer, è un'ipotesi molto verosimile. D'altra<br />
parte, se si pensa che il più antico testo sull'astrolabio<br />
piano che ci è pervenuto è quello del filosofo<br />
Giovanni Filopono (VI sec. d.C.), in cui l'astrolabio<br />
è costituito essenzialmente da un disco, ovvero un<br />
timpano per una data latitudine, sul quale figurano<br />
la proiezione dell'orizzonte, i cerchi di uguale<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />
4
altezza sullo stesso e quelli ad essi perpendicolari;<br />
su questo ruota un secondo disco traforato che<br />
reca la proiezione dell'eclittica, semplificata in un<br />
cerchio anzichè in un'ellisse, con le relative stelle,<br />
indicate dalla "rete". Ma, come è stato dimostrato,<br />
questo libro risulta essere una versione tarda del<br />
trattato di Teone alessandrino (metà del IV sec.<br />
a.C.), pervenutoci attraverso una versione leggermente<br />
modificata in un testo di Severo Sebokht<br />
(VII secolo d.C.). E', quindi, lecito pensare che tutti<br />
abbiano attinto ad una sola fonte, peraltro tanto<br />
autorevole quale poteva essere quella di Tolomeo.<br />
fig. 1<br />
4 Etimologia dell'astrolabio e le antiche<br />
opinioni sul Parapegma<br />
Il matematico canonico Giuseppe Settele, nel suo<br />
articolo Illustrazione di un antico Astrolabio, pubblicato<br />
nel primi anni del secolo scorso, così sintetizzò<br />
l'enigma dell'origine dell'astrolabio:<br />
"...Tolomeo nel lib. 5 dell'Almagesto, al capitolo 1,<br />
ci descrive una macchina da lui costruita e utile<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />
5
per trovare la posizione del Sole, della Luna, e<br />
degli altri astri, e per seguire il moto degli stessi;<br />
era questa una specie di sfera armillare, perchè<br />
composta da più circoli, aveva i suoi traguardi, che<br />
allora facevan le veci di telescopio, e si chiamava<br />
astrolabio (astrolabon), parola che deriva da<br />
astron (astrum) e lambanw (consequor).<br />
Nell'Enciclopedia metodica (di Diderot,<br />
D'Alembert - nda), all'articolo "Astrolabe"; nel<br />
tomo I, pag.567 della "Storia dell'Astronomia" di<br />
Bailly, e nel tomo I, pag. 306 della "Storia della<br />
Matematica" di Montucla, si riporta che la macchina,<br />
in seguito chiamata Astrolabio, è proprio quella<br />
descritta da Tolomeo nel suo Almagesto...".<br />
Naturalmente, Settele si oppone a queste<br />
asserzioni rilevando che la "macchina" di Tolomeo<br />
non era altro che l'armilla meridiana (descritta anche<br />
da Proclo in Hypotyposis astronomicarum positionum),<br />
un anello di metallo diviso in 360°, con<br />
un'altro circolo concentrico mobile con due pinnule,<br />
infisso su di un pilastro e posto perpendicolarmente<br />
al piano del meridiano che serviva a<br />
determinare l'obliquità dell'eclittica e, in genere, a<br />
misurare l'altezza degli astri.<br />
"Non credo - scrive il Settele - che questa macchina<br />
potesse dare origine a quella che poi, per antonomasia,<br />
fu chiamata Astrolabio, perchè l'Astrolabio,<br />
nei tempi posteriori, era propriamente la<br />
proiezione della sfera sul piano, come può rilevarsi<br />
dai diversi passi della lettera di Sinesio a Poenio<br />
sul Dono dell'astrolabio".<br />
A questo proposito si deve notare che la lettera di<br />
Sinesio a Peonio (circa 410 d.C.), ritenuta da certi<br />
autori moderni responsabile di aver tratto in<br />
inganno gli studiosi del passato che hanno<br />
attribuito, sulla base di questa, l'invenzione dell'astrolabio<br />
a Tolomeo o addirittura ad Ipparco,<br />
non aveva ingannato invece il Settele che pure<br />
scriveva all'inizio dell'Ottocento.<br />
Secondo Settele, altri autori sostenevano che<br />
Vitruvio nominò nella sua Architettura (Lib. 9,<br />
cap.7), una parola che avrebbe dovuto indicare un<br />
astrolabio: "...Quorum inventa secuti, syderum et<br />
occasus, et ortus, tempestatumque significatus,<br />
Eudoxus, Eudemon, Callixtus, Melo, Philippus,<br />
Hipparchus, Aratus, caeterique ex Astrologia, parapegmatum<br />
disciplinis invenerunt, et eas posterius<br />
explicatas reliquerunt...". In cui la parola "parapegmatum",<br />
ha dato filo da torcere agli interpreti nelle<br />
varie epoche, ed il Settele espone la questione così:<br />
"... Il Baldi, appresso il Filandro ed il Barbaro dice:<br />
certè de astrolabiis, dioptris, armillis, radiis, et<br />
coeteris ejuscemodi intelligi debere".<br />
Il Perrault nella nota al detto passo di Vitruvio<br />
vuole che la frase "parapegmatum disciplinis" debba<br />
intendersi per "l'uso degli strumenti che servono nelle<br />
osservazioni astronomiche". Mentre Claudio<br />
Salmasio, crede che "parapegma" stia ad indicare<br />
una lastra di rame sulla quale vi sono incise una<br />
serie di linee relative al percorso delle stelle sulla<br />
sfera celeste ed altre indicazioni astronomiche. In<br />
questo caso la parola "parapegma" sarebbe usata<br />
per discernere propriamente gli strumenti scientifici<br />
(parapegmi) per lo studio del cielo. Il Settele<br />
approva questa tesi in quanto il termine, la cui<br />
origine è evidentemente greca, significa letteralmente<br />
"una cosa inchiodata, e fermata", che porta<br />
a pensare all'"unione di più pezzi", come possono<br />
essere appunto le lastre di rame simili agli strumenti<br />
per l'osservazione astronomica, o proprio le<br />
lastre che compongono un astrolabio del tipo classico.<br />
Infatti, Berardo Galiani, traduce<br />
"Parapegmatum disciplinis" in "colla scienza degli<br />
Astrolabii", senza che abbia dimostrato con ciò la<br />
verità della propria conclusione.<br />
Altri autori, sebbene non del tutto apertamente,<br />
ma tacitamente, evitano di identificare il<br />
"Parapegma" con l'Astrolabio. Così, Dionisio<br />
Petavio (Auctar. L.2, Cap.8) chiama "parapegmata"<br />
quelle tabelle sulle quali venivano registrate le<br />
osservazioni celesti e meteorologiche. Francesco<br />
Bianchini (de Kalend. et cyclo Caesaris) dà al calendario<br />
cesariano anche il nome di "parapegma".<br />
Montucla, dice che Democrito scrisse delle effemeridi<br />
chiamate "parapegmi", come fecero successivamente<br />
Eudosso, Ipparco e Tolomeo. Premesse<br />
le ipotesi a favore e contro l'identificazione della<br />
parola "parapegma" in "astrolabio", Settele espone<br />
il suo pensiero:<br />
"Il Filandro e il Vossio ne derivano l'etimologia dal<br />
verbo greco paraphgniw "idest adpingo, sive<br />
affigo": era dunque il parapegma una macchina<br />
risultante da più pezzi riuniti e sovrapposti l'uno<br />
all'altro. Gli antichi, quindi, chiamavano con<br />
"parapegmata", o "pegma", le macchine propriamente<br />
dette, e non le semplici lamine su cui erano<br />
incise le osservazioni. Difatti, Teone chiama<br />
pinacaz queste lastre e non "parapegmata". Il<br />
"Siderum et occasus et ortus", per Vitruvio poteva<br />
ottenersi appunto con delle macchine che facili-<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />
6
tassero l'osservazione, cioè i "parapegmi". Da tutto<br />
ciò, pare che si deduca che il "parapegma" di<br />
Vitruvio fosse uno strumento astronomico. Che<br />
fosse però proprio l'astrolabio ne ho qualche dubbio...Il<br />
mio sentimento è che sotto il nome di "parapegma"<br />
debba assolutamente intendersi uno strumento<br />
qualunque col quale potesse osservarsi il<br />
moto degli astri, e non le tabelle, sulle quali le<br />
osservazioni si registravano. Secondo alcuni (si<br />
veda Horn-D'Arturo, Piccola Enc. Astronomica) il<br />
"parapegma" era un calendario astro-meteorologico.<br />
Forse è interessante ricordare l'eccezionale ritrovamento<br />
di una nave greca affondata circa 100 anni<br />
a.C. presso l'isola di Cerigotto, tra il Peloponneso e<br />
Creta. Da essa furono tratte stupendi reperti archeologici,<br />
tra cui tre frammenti di bronzo. Derek J. de<br />
Solla Price, ritiene che essi facessero parte di un<br />
unico strumento che doveva servire alla navigazione,<br />
in quanto permetteva l'osservazione<br />
degli istanti del sorgere e tramontare di determinate<br />
stelle. Doveva essere composto da più di dieci<br />
ruote con denti triangolari e una scala divisa in<br />
gradi. Inoltre vi erano dei cerchi concentrici che si<br />
muovevano separatamente. Come si vede, questo<br />
strano strumento, antesignano dell'astrolabio,<br />
potrebbe avere anche qualcosa di assimilabile a ciò<br />
che allora chiamavano "parapegma", almeno<br />
restando nel significato letterale del termine.<br />
5<br />
Un astrolabio dimenticato<br />
Parleremo ora di uno strumento del tutto assimilabile<br />
ad un astrolabio, sebbene a prima vista sia<br />
difficile accettarlo come tale, che con tutta probabilità<br />
fu conosciuto anche dagli Arabi. E' d'obbligo<br />
precisare che, a parer nostro, lo strumento di cui<br />
andiamo trattando non risulta essere stato ricordato<br />
nelle opere degli autori moderni relative agli<br />
astrolabi. Considerata, invece, l'importanza che<br />
tale oggetto può meritare nel campo degli strumenti<br />
scientifici dell'antichità, come ha fatto giustamente<br />
rilevare il suo "scopritore", dobbiamo concludere<br />
che la mancanza di citazioni e descrizioni<br />
dello stesso, sia dovuta al fatto che lo strumento fu<br />
dimenticato e mai più rammentato. Per questa<br />
ragione, lo presentiamo come una novità nella sto-<br />
ria dell'astrolabio e degli strumenti scientifici in<br />
genere. E dobbiamo ancora una volta elogiare il<br />
merito del Matematico Giuseppe Settele che appena<br />
avuta la segnalazione da un collega, ne comprese<br />
immediatamente l'importanza, e ne diede<br />
subito una precisissima descrizione, l'unica che ci è<br />
rimasta. Tanto più importante, quanto si consideri<br />
che ad oggi si sono di nuovo perse le tracce dello<br />
strumento, e forse questa volta definitivamente.<br />
La scoperta e la descrizione di questo prezioso<br />
strumento, non solo si aggiunge alle poche fonti<br />
storiche a nostra disposizione, sulla memoria degli<br />
strumenti astronomici degli antichi, ma ci porta<br />
addirittura alla conoscenza di uno strumento<br />
nuovo, mai visto prima, che può identificarsi con<br />
un astrolabio semisferico. Precisiamo che tale<br />
monumento può con ragione definirsi, almeno etimologicamente,<br />
astrolabio (prenditore di stelle), in<br />
quanto è sicuramente uno strumento usato per calcoli<br />
di natura astronomica e calendariale.<br />
Giuseppe Settele, precedentemente citato,<br />
descrisse questo strumento in un articolo del 1817.<br />
Noi seguiremo passo passo le sue parole, tanto più<br />
che questo è l'unico documento in nostro possesso.<br />
Un emisfero convesso di rame (figg. 2 e 3) del<br />
diametro di circa 13.5 centimetri, circondato da un<br />
orlo, ovvero una zona piana sempre di rame larga<br />
qualche centimetro. Questa zona è divisa nella<br />
parte sottostante in 16 spazi uguali e da altrettante<br />
linee tendenti verso il centro del mezzo globo. In<br />
ciascuno di questi spazi vi è riportato un numero<br />
romano dall'I, progressivamente fino al XVI. Tra<br />
gli spazi indicati dai numeri III e V si legge distindamente<br />
"ORIIS", che facilmente si traduce in<br />
Oriens. Alla distanza di 90 gradi da questo punto,<br />
cioè tra gli spazi VIII e VIIII vi sono tracce di<br />
alcune lettere, ma di queste si riesce a discernere<br />
soltanto una B all'inizio, e una S alla fine. E ciò fa<br />
pensare che la parola intera debba leggersi Boreas.<br />
Nell'altro quarto di circolo, cioè tra gli spazi XII e<br />
XIII, dove si dovrebbe trovare l'Occidente, in quanto<br />
è il punto opposto all'Oriente, non si scorge<br />
alcun indizio di lettere, e forse non vi sono mai<br />
state, come ipotizza Settele che ebbe a vedere il<br />
monumento da vicino, che è in quella parte oltretutto<br />
ben conservato. Nella parte opposta a Boreas,<br />
cioè tra gli spazi I e XVI, il "grafito" è molto deteriorato<br />
e quindi inintelligibile, ma per analogia con<br />
gli altri punti, si suppone che vi fosse incisa la<br />
parola Meridies.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />
7
fig. 2<br />
fig. 3<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />
8
La superficie convessa del monumento è conservata<br />
abbastanza bene e il Settele rileva che su un<br />
ipotetico arco di cerchio condotto dalla zona orizzontale<br />
dove è la scritta meridies, fino alla sommità<br />
del semicerchio, si trova un foro a circa 44<br />
gradi dal piano orizzontale. Tale foro è il centro di<br />
quattro zone circolari (come si vede dalle figure 2 e<br />
3) concentriche divise ciascuna in 12 parti (dal foro<br />
centrale). La prima di queste, cominciando dall'interno,<br />
porta i nomi dei segni dello Zodiaco, indicati<br />
dalle sole tre prime lettere del loro nome, come<br />
ARI. TAV. GEM., eccetera, lo Scorpione però ha<br />
un'ortografia che indica la decadenza della lingua<br />
latina, poichè è scritto ISC, al posto di SCO. Nella<br />
seconda vi sono i nomi dei mesi del Calendario<br />
romano, i quali sono disposti, relativamente ai<br />
segni dello Zodiaco, secondo l'uso degli antichi, in<br />
quanto corrispondono ai segni in cui si trova il<br />
Sole al principio di ogni mese e non a quelli in cui<br />
entra in quel mese. Anche i nomi dei mesi sono<br />
indicati dalle prime tre lettere, come IAN. FEB.<br />
MAR., e si vede che Novembre ha NOB. invece che<br />
NOV. Le dodici divisione della terza zona, come si<br />
vede, sono a loro volta suddivise ciascuna in sei<br />
spazi da cinque piccole linee. L'ultima zona, riporta<br />
solo la lettera K, ad ogni principio di divisione.<br />
All'interno delle divisioni si notano le parole<br />
AEQV. e sotto VE, e nella parte opposta AEQV. e<br />
sotto AV. Poi sulla linea del meridiano vi è BRU. e<br />
nella zona settentrionale, verso il centro si legge<br />
LIS, parola mancante dell'inizio.<br />
Questa è la descrizione del monumento come fu<br />
visto dal Settele, il quale non mancava di nascondere<br />
la sua meraviglia per il fatto di non sapere da<br />
dove questo fosse venuto fuori: "Non si sa dove, nè<br />
quando sia stato trovato questo pregevole istrumento<br />
astronomico; il nostro Collega il Ch. Sig. Avvocato Fea<br />
lo vide in Siena, ove il possessore del medesimo, che non<br />
ne conosceva l'importanza, lo condannò a servire di<br />
base ad una testina antica di bronzo, per altro di ottima<br />
maniera, ma che ingombrava in gran parte il grafito<br />
della parte convessa: il prelodato Sig. Avv. Fea però<br />
avendo anche da quel poco, che rimaneva allo scoperto,<br />
saputo rilevarne il pregio, fece togliervi l'inutile ornato,<br />
e restituì agli amatori delle antichità un monumento,<br />
che senza questo suo impegno sarebbe ancora, e forse lo<br />
sarebbe stato anche per sempre, sepolto nell'oblivione...".<br />
Il Settele prosegue la sua relazione trovando una<br />
giusta spiegazione per ogni segno ed incisione che<br />
presenta il monumento. Così, secondo il suo studio,<br />
il bordo orizzontale, riporta 16 divisioni<br />
uguali che andrebbero ad indicare le 16 ore<br />
equinoziali del giorno più lungo dell'anno alla latitudine<br />
di circa 49 gradi che è quella per la quale fu<br />
concepito tale strumento, e nella quale il giorno del<br />
Solstizio estivo è all'incirca di 16 ore. Nondimeno,<br />
egli si fa scrupolo di precisare che gli antichi usavano<br />
comunemente le ore dette temporarie, oppure<br />
ineguali, per il fatto che esse, dividendo il giorno<br />
sempre in dodici parti uguali, risultavano essere<br />
durante tutto l'anno più corte o più lunghe, a seconda<br />
della stagione. Ma le ore equinoziali, sebbene<br />
non sempre per uso civile, erano anch'esse<br />
conosciute fin dall'antichità, come si può leggere in<br />
Plinio e in Ipparco, ed erano queste chiamate dai<br />
Greci col nome di "Isemerine". Dobbiamo precisare,<br />
però che le ore temporarie, erano quelle comunemente<br />
in uso nella vita civile sia dei Greci che dei<br />
Romani, e per tutto l'alto Medioevo. Le ore<br />
equinoziali furono d'impiego quasi esclusivo per<br />
gli studi astronomici e furono introdotte comunemente<br />
nell'uso civile, mentre le ore antiche temporarie<br />
lentamente scomparivano, solo a cominciare<br />
dal XII-XIII secolo.<br />
Secondo Settele, lo strumento che descrive serviva<br />
anche per passare agevolmente dalle ore<br />
equinoziali alle ore temporarie e viceversa. E<br />
questo non fa altro che confermare l'ipotesi di un<br />
uso dello strumento prevalentemente per calcoli<br />
astronomici.<br />
Nella parte convessa, la lettera K, premessa alle<br />
dodici suddivisioni dell'ultima zona, naturalmente<br />
dovrebbe indicare le Calende di ciascun mese. Le<br />
suddivisioni interne, dovute alle cinque lineette<br />
per parte, dovrebbero poter significare che ogni<br />
mese è stato diviso in sei parti di cinque giorni<br />
l'una. Ma in questo modo si avrebbe l'anno di soli<br />
360 giorni e il Settele giustifica questo asserendo<br />
che in quei tempi non si precorreva una precisione<br />
maggiore in macchine come questa.<br />
Avendo nella zona dei mesi le scritte Luglio e<br />
Agosto, si rileva che il monumento non dev'essere<br />
anteriore all'epoca in cui furono introdotti questi<br />
nomi. Ancora più internamente si scorgono i segni<br />
dello Zodiaco, disposti normalmente come nella<br />
sfera celeste.<br />
Dallo studio dell'ortografia riportata sopra la<br />
calotta sferica, il Settele prova che lo strumento<br />
dovette essere costruito verso la metà del III seco-<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />
9
lo della nostra era.<br />
Le operazioni che possono effettuarsi con questo strumento<br />
egli le immagina in questo modo: "Per fa vedere<br />
l'uso delle 16 divisioni sulla zona orizzontale, immaginiamo,<br />
che nello spazio compreso da questa zona vi<br />
fosse una lastra circolare divisa in più circoli concentrici<br />
con un indice mobile attorno al centro. Suppongasi il<br />
primo circolo diviso in 12 parti, e le divisioni si comincino<br />
a contare dal punto assegnato al "Meridies"<br />
andando verso oriente: è evidente che messo l'indice a<br />
qualunque di queste divisioni, si avranno ridotte in ore<br />
"equinoziali" le ore "ineguali" del giorno del solstizio<br />
estivo, e messo l'indice alle divisioni della zona, si<br />
conoscerà a quante ore "civili" corrispondano tante ore<br />
"equinoziali", se poi in un altro circolo si divida in 12<br />
parti la sola metà della circonferenza, si avranno in ore<br />
"equinoziali" le ore "ineguali", e viceversa le ore<br />
"ineguali" ridotte in "equinoziali" nel giorno del solstizio<br />
d'inverno: questa seconda divisione ci darà in ore<br />
"equinoziali" le ore "civili" della notte del solstizio estivo,<br />
e la prima ci mostrerà le ore "ineguali" della notte<br />
in ore "eguali" per il solstizio invernale. Ripetendo<br />
questa operazione colle dovute modificazioni per altri<br />
tempi dell'anno, si potranno sempre ottenere in ore<br />
"equinoziali" le ore "civili", e le "civili" in<br />
"equinoziali", del giorno e della notte, per quei giorni<br />
per i quali sono stati descritti i circoli.<br />
Il Settele, giustifica questa sua ipotesi oltretutto<br />
dicendo: "Questa costruzione non me la sono<br />
immaginata del tutto, poichè la trovo indicata in<br />
Proclo Diacono astronomo del V secolo, il quale ci<br />
ha lasciato un lungo, e ben intralciato trattato sull'astrolabio;;;<br />
e lo stesso procedimento lo ritrovo in<br />
Gemma Frisio".<br />
Lasciata la descrizione della zona orizzontale, egli<br />
passa a spiegare l'uso della parte convessa dello<br />
strumento. Per curiosità si ricorda che Settele mal<br />
volentieri colloca questo strumento nella "classe<br />
degli Astrolabi" denunciando, nel suo articolo citato,<br />
il desiderio di collocare lo stesso in una classe di<br />
strumenti più "nobili".<br />
"Nel centro delle zone circolari s'intenda collocato un<br />
indice mobile che con la sua punta arrivi alla zona che<br />
riporta le divisioni di 6 in 6. Facendo passare questo<br />
indice successivamente da una divisione all'altra, darà<br />
all'incirca la "longitudine del sole" per ogni cinque<br />
giorni.<br />
Nel vertice dell'emisfero s'immagini adattato un altro<br />
indice, curvato secondo la curvatura dell'emisfero, e che<br />
comprenda 90 gradi: questi gradi si segnino sopra<br />
l'indicato indice, cominciando a contarli dal piano orizzontale,<br />
ci darà questo la "massima altezza del sole"<br />
sopra l'orizzonte di 5 in 5 giorni, facendolo passare<br />
sopra il punto che occupa il Sole in quei giorni nel zodiaco.<br />
Se poi si aggiunga un terzo indice, che giri attorno al<br />
polo, curvato secondo la convessità dell'emisfero, potrà<br />
questo indicarci la declinazione del sole per i giorni ivi<br />
segnati; e se inoltre suppongasi, che questo indice possa<br />
scorrere, onde la sua estremità possa adattarsi a qual<br />
giorno si voglia, ci darà il "parallelo" che percorre il<br />
Sole in quel dato giorno, e quindi le "ampiezze ortive, ed<br />
occidue": e se la sua estremità sia munita di una punta<br />
perpendicolare alla sfera, si potrà ottenere il "luogo del<br />
Sole" nel suo parallelo, allorchè questa punta non getterà<br />
alcun'ombra, e si avrà così la "distanza del Sole dal<br />
meridiano"...<br />
Il Settele non si dispensa dall'aggiungere alla<br />
macchina qualsiasi un altro congegno, a quelli già<br />
descritti, che possa esser utile nella ricerca di dati<br />
astronomici; tuttavia non gli riesce di poter<br />
dimostrare se tali congegni fossero un tempo<br />
davvero appartenuti allo strumento. D'altra parte,<br />
la sua forma porta in modo naturale a fare le considerazioni<br />
del nostro autore il quale giustifica le<br />
sue ipotesi, dovendo supplire alle parti mancanti e<br />
dovendo classificare il suo monumento tra gli<br />
astrolabi: "Tutte queste cose devono ottenersi dagli<br />
astrolabi, e facilmente si deducono da quanto si è conservato<br />
sul nostro monumento, onde non è del tutto<br />
arbitraria la mia costruzione...".<br />
Infine, l'autore si cruccia di dare una spiegazione al<br />
fatto che i trattati degli antichi astronomi (Sinesio,<br />
Proclo), erano su astrolabi costruiti in piano orizzontale,<br />
mentre lo strumento da lui descritto è un<br />
mezzo globo. Ma siccome la datazione lo colloca<br />
alla metà del III secolo d.C., prima cioè degli scritti<br />
sull'astrolabio piano che conosciamo, egli suppone<br />
che in quei tempi poteva essere anche questa<br />
la forma dei primi astrolabi. Tanto più che sia<br />
Sinesio che Proclo parlano dei loro astrolabi come<br />
strumenti da essi perfezionati, sulla base quindi di<br />
antichi modelli più scomodi per le pratiche operazioni.<br />
Da parte nostra facciamo rilevare che questo singolarissimo<br />
strumento, del tutto assimilabile ad un<br />
antico astrolabio, fu forse conosciuto dagli<br />
astronomi arabi che lo mutarono nell'astrolabio<br />
"Camillah", descritto per esempio nel codice 1147<br />
di Aboul Hhassan Alì al-Marrakushi, nel XIII seco-<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />
10
lo. Inoltre, è probabilmente da questi tipi di strumenti<br />
che gli arabi ottenero l'astrolabio propriamente<br />
"sferico", di cui parleremo più avanti.<br />
Non sappiamo con precisione chi realizzò i primi<br />
rudimentali astrolabi piani, o planisferici, e nemmeno<br />
in quale anno. L'unica indagine che ci resta<br />
da fare è quella di cercarne le tracce nella cronologia<br />
delle opere antiche dedicate a questo strumento.<br />
Come abbiamo già visto, l'ipotesi che l'astrolabon<br />
descritto da Tolomeo nel suo Almagesto fosse<br />
proprio l'astrolabio che conosciamo, è stata abbandonata,<br />
soprattutto quando si è scoperto che anche<br />
Proclo, nel suo poco chiaro trattato, identifica l'astrolabon<br />
di Tolomeo con la semplice sfera armillare.<br />
Inoltre, Teone di Alessandria, chiama l'astrolabio<br />
piano "piccolo astrolabio", forse proprio per indicare<br />
la nuova invenzione di proiettare, e quindi<br />
rimpicciolire su di un piccolo piano orizzontale i<br />
circoli celesti altrimenti rappresentati dalla classica<br />
armilla.<br />
Giovanni Filopono, nel V secolo d.C., lo chiama già<br />
semplicemente "astrolabio". Altri autori fanno rilevare<br />
che nelle prime fasi dello sviluppo di questo<br />
strumento, c'è un cambiamento che riguarda il<br />
bordo circolare esterno: nel Planisphaerium di<br />
Tolomeo, come nella Lettera di Sinesio sul "Dono<br />
dell'Astrolabio", e probabilmente anche nel<br />
precitato trattato di Sebokht, il bordo esterno rappresenta<br />
il circolo antartico della sfera celeste, con<br />
le stelle osservabili dalle parti più inabitabili del<br />
mondo. Negli strumenti posteriori, fabbricati fino<br />
a qualche secolo fa, lo stesso bordo coincide con il<br />
solstizio d'inverno (tropico del capricorno); in tal<br />
caso le stelle a sud di questo non possono essere<br />
osservate.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />
11
GLI <strong>ASTROLABI</strong> ARABI<br />
6L'Opera di Aboul Hhassan.<br />
Gli Arabi sono da lodare in quanto furono i veri<br />
depositari della scienza antica e per aver riacceso il<br />
fuoco sacro che si era estinto nei secoli. L. AM.<br />
Sédillot (probabilmente figlia di Jean Jacques<br />
Sédillot), nel suo libro citato, afferma che gli Arabi<br />
non si sforzarono mai di divulgare il proprio patrimonio<br />
culturale che avevano raccolto e le loro<br />
acquisizioni scientifiche; cioè essi non trasmisero<br />
agli altri popoli ciò che avevano saputo ereditare<br />
dalla scienza antica e ciò che avevano conquistato<br />
con le proprie metodologie innovative, soprattutto<br />
nell'Astronomia.<br />
Quest'affermazione non sembra condivisibile. Fu il<br />
mondo Occidentale, Cristiano, a rifiutare - nei secoli<br />
dal V al X - ostinatamente il patrimonio culturale<br />
dell'antichità pagana, appunto perchè pagana.<br />
E ciò sia nei testi originali greci sia nel tramite delle<br />
traduzioni arabe, opera del demonio. Questo<br />
atteggiamento mutò solo più tardi, tanto che la<br />
prima traduzione latina dell'Almagesto si ebbe nel<br />
1175.<br />
Conseguenza di ciò è il ritardo di secoli con cui ci<br />
sono arrivate le opere degli arabi, le loro invenzioni.<br />
E questo si sente ancora oggi, quando si<br />
pensi che la maggior parte dei manoscritti che<br />
"Colui che ignora la storia della scienza<br />
si priva dell'esperienza dei secoli,<br />
si mette nella posizione del primo inventore,<br />
cadendo in ogni sorta di errore,<br />
con questa differenza,<br />
che i primi errori furono necessari e utili,<br />
e per conseguenza sono più che scusabili,<br />
mentre la ripetizione degli stessi errori<br />
che non sono più necessari,<br />
porta ad una inutile sterilità per gli altri,<br />
e sono vergognosi per se stessi".<br />
Cousin "Cours d'histoire de la philosophie", 1828<br />
furono pubblicati dal decimo secolo in poi, non<br />
sono stati ancora tradotti e commentati!<br />
"C'est le sort des peuples qui renouent le fil des<br />
connaissance humaines", continua Sédillot.<br />
Conosciamo bene alcune opere di alcuni astronomi,<br />
tra i più importanti, ma ci sono ignote quelle di<br />
tantissimi altri, e con essi i trattati di Gnomonica,<br />
di cui non sappiamo quasi niente. Quelli sull'astrolabio<br />
hanno avuto forse più fortuna, in quanto<br />
sono stati oggetto d'interesse di molti studiosi di<br />
tutte le epoche e nazioni.<br />
In questo semplice lavoro seguiremo la strada già<br />
spianata dall'illustre Jean Jacques Sédillot, che per<br />
nostra fortuna tradusse pazientemente il manoscritto<br />
n° 1148 della Biblioteca Nazionale di Parigi,<br />
che è l'originale scritto dall'astronomo arabo Aboul<br />
Hhassan Alì al-Marrakushi. Questo trattato è<br />
molto importante per la storia degli strumenti scientifici<br />
che furono costruiti durante il basso<br />
medioevo. Riteniamo, oltretutto, che quest'opera<br />
sia stata poco divulgata e per questo poco conosciuta,<br />
se non ad un piccolo grappolo di addetti ai<br />
lavori.<br />
Sédillot, in effetti, traduce e commenta quanto<br />
scrisse Hhassan al-Marrakushi su innumerevoli<br />
strumenti per l'osservazione astronomica e per la<br />
misurazione del tempo. Tant'è vero che il manoscritto<br />
1147 della stessa Biblioteca Nazionale di<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />
12
Parigi, comprende un vero e proprio trattato di<br />
Gnomonica, specifico sugli orologi solari piani e<br />
portatili degli arabi, in uso nel XII secolo. Seguire<br />
l'ottima traccia di Sédillot, quindi, che pubblicò la<br />
sua traduzione verso la metà del secolo scorso, ci<br />
permette di divulgare il suo contenuto almeno<br />
nelle parti relative all'astrolabio.<br />
Gli strumenti descritti con dovizia di particolari da<br />
Aboul Hhassan, sono l'astrolabio sferico e il<br />
Chamilah. Ma facendo un elenco delle specie di<br />
astrolabi che l'astronomo arabo ci ha tramandato<br />
nel suo manoscritto, possiamo renderci conto già<br />
della presenza di strumenti attualmente sconosciuti:<br />
Astrolabi citati da Aboul Hhassan:<br />
1) Astrolabio Sferico<br />
2) Astrolabio Chamilah<br />
3) Astrolabio Planisferico propriamente detto.<br />
4) Astrolabio planisferico Mesatirah<br />
a) su un piano parallelo ad un orizzonte dato;<br />
b) su un piano parallelo al meridiano;<br />
5) Astrolabio Meridionale;<br />
6) Astrolabio Settentrionale e Meridionale (varie<br />
specie) ;<br />
7) Astrolabio Zaourakhi;<br />
8) Astrolabio in cui le zone non dipendono dalla<br />
proiezione;<br />
9) Astrolabio al-kamil, o il perfetto;<br />
10) Astrolabio Lineare di Nasir-eddin Thousi;<br />
11) Astrolabio Chekasiah;<br />
12) Astrolabio Shafiah di Arzachel.<br />
13) Astrolabio conico<br />
14) Astrolabio cilindrico<br />
Gli arabi sono stati i migliori costruttori di astrolabi.<br />
Le loro tecniche divennero così raffinate in<br />
questo campo da indurre a soprannominare i<br />
costruttori di questi strumenti con lo stesso termine<br />
di Astrolabio. Astharlabi è quindi il soprannome<br />
che portano molti astronomi arabi del<br />
medioevo. Di questo abbiamo delle testimonianze<br />
dirette, come quella di Ibn Iounis che cita con elogio<br />
Ali ben Isa al-Asterlabi e Ahmed ben Ali de<br />
Wasith.<br />
Tra le opere più antiche che ci sono pervenute sull'astrolabio,<br />
è da citare la traduzione curata da<br />
Oronzio Fineo (sec. XVI) di un piccolo trattato di<br />
Meshallah, il quale fiorì verso l'anno 815 d.C.<br />
Mentre Hyde cita frequentemente un trattato analogo<br />
di Alfragano, di cui però non esiste una<br />
traduzione, e non ci è pervenuta nessuna copia<br />
dell'originale.<br />
Sédillot menziona anche quello che pare possa<br />
essere il più antico esemplare di astrolabio planisferico<br />
conosciuto. Risale al 912 della nostra era e fu<br />
costruito dal figlio del califfo al-Moktafi Billah.<br />
7L'astrolabio planisferico<br />
(propriamente detto).<br />
L'astrolabio planisferico, così come ci è stato<br />
descritto da Aboul Hhassan, si divide in tre parti<br />
distinte. La prima parte comprende la faccia e il<br />
dorso dell'astrolabio. La faccia (facies astrolabiiwadjh)<br />
(fig.4) è ordinariamente divisa in 360 gradi,<br />
con passo di 10 gradi, e anche in 24 ore; queste incisioni<br />
sono riportate sulla parte che si chiama lembo<br />
dell'astrolabio (limbus astrolabii); la concavità nella<br />
quale questo lembo si trova adagiato e sul quale<br />
vengono aggiunte le altre "planches", cioè le altre<br />
lamine, si chiama madre dell'astrolabio (mater astrolabii).<br />
Il dorso dell'astrolabio (dorsum astrolabii) (fig.9) contiene<br />
vari cerchi concentrici che in genere rappresentano:<br />
1° i gradi delle altezze di dieci in dieci, o di cinque<br />
in cinque, fino a novanta per qualche quadrante; 2°<br />
i gradi dello zodiaco di dieci in dieci, fino a trenta<br />
per qualche segno; 3° i nomi dei dodici segni zodiacali;<br />
4° i giorni dell'anno per qualche mese; 5° i<br />
nomi dei dodici mesi. All'interno si possono tracciare<br />
gli archi delle ore ineguali o temporarie, il<br />
quadrato dell'umbra versa et recta, ed altre cose<br />
ancora.<br />
La seconda parte si compone di una o più tavolette<br />
piane dette shafiah (in latino tympanum), sulle quali<br />
sono riportati gli almucantarat (circuli progressionum)<br />
con suddivisione di sei gradi, dall'orizzonte<br />
fino allo zenit; il primo di questi almucantarat è<br />
l'orizzonte "retto" o "obliquo" che separa l'emisfero<br />
superiore dall'emisfero inferiore. Infine sono riportati<br />
gli azimut (circuli verticales), mentre i due<br />
diametri che si intersecano ad angolo retto sulla<br />
tavoletta, rappresentano la linea meridiana e<br />
l'orizzonte retto. Inoltre, si riportano i due tropici e<br />
il cerchio equinoziale e al di sotto gli archi delle ore<br />
ineguali e la linea del crepuscolo e dell'aurora<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />
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(linea crepuscolina). Volendo, si possono ancora<br />
tracciare, su altre lamine, le stesse indicazioni, ma<br />
per una latitudine diversa.<br />
La terza parte dell'astrolabio planisferico è il<br />
"ragno" (aranea, rete, volvellum) (fig.10) che gli<br />
arabi chiamano Alancabuth, il quale contiene i dodici<br />
segni dello zodiaco con i loro gradi, di cinque in<br />
cinque, o di dieci in dieci, e la posizione delle stelle<br />
fisse, di cui le più importanti sono indicate da una<br />
speciale dentellatura (al-muri). I segni e le stelle che<br />
si trovano dentro il cerchio equinoziale e al centro<br />
dell'astrolabio sono settentrionali e quelli che sono<br />
al di fuori dal parallelo del capricorno sono meridionali.<br />
Diversi pezzi completano lo strumento. Questi<br />
sono l'alidada, o traversa (mediclinium, regula, sive<br />
volvella) (fig.12), composta di due pinnule; un lato<br />
passa per il centro dell'astrolabio, lungo una linea<br />
retta chiamata linea di direzione (linea fiduciae).<br />
Viene infine l'anello di sospensione (armilla suspensoria)<br />
(figg.13-14), chiamato alanthica, alphantia o abalantica;<br />
poi l'ansa e l'alhabos di Koebelius, o armilla<br />
reflexa), a cui è atttaccato l'anello superiore all'astrolabio,<br />
come una placca circolare fissata sullo<br />
strumento.<br />
Al centro dell'astrolabio si trova un foro (almehan)<br />
che attraversa tutto lo strumento, quindi la rete<br />
con tutte le lamine. Questo foro è di forma rotonda,<br />
come un cerchio (alphelath) (fig.15); in questo<br />
foro si mette un perno (l'alchitot) (fig.16) che consiste<br />
in una vite a dado, oppure il perno viene fissato<br />
da una piccola chiavetta detta "il cavallo"<br />
(l'alpherath) (fig.17) che passa attraverso la punta di<br />
esso.<br />
8<br />
Le stelle fisse sull'alancabuth<br />
Uno studio effettuato da Sédillot su un astrolabio<br />
cofico menzionato nella grande opera della<br />
Description de l'Egypte, e conservato molto bene, dà<br />
un'idea di come erano le parti di un astrolabio settentrionale.<br />
Questo strumento è rappresentato<br />
nella fig. 9. Sull'alancabuth si trovano 26 stelle i cui<br />
nomi sono i seguenti:<br />
1. Il Serpente;<br />
2. La Serpentaria;<br />
3. L'Aquila volante;<br />
4. Il calcagno;<br />
5. Arturo;<br />
6. Il Piede posteriore dell'Orsa Maggiore;<br />
7. Il Piede anteriore dell'Orsa Maggiore;<br />
8. Aiouk (Capella);<br />
9.Ridfe (le stelle della costellazione del Cigno);<br />
10. Alghol;<br />
11. Menkhib al-feres (la spalla del cavallo);<br />
12. L'aquila ricadente (Lyra);<br />
13. Fekka (la Corona settentrionale);<br />
14. Aldebaran;<br />
15. Menkhib (la spalla del Gigante - Orione);<br />
16. Algomeisha (Procione);<br />
17. Le due Serre (probabilmente la Criniera del<br />
Leone, Regolo);<br />
18. La coda del capricorno;<br />
19. La coda della Balena;<br />
20. Il Ventre della Balena;<br />
21. Rigel;<br />
22. Alabor (Sirio);<br />
23. L'Hydra;<br />
24. L'estremità della coppa;<br />
25. L'Epi (costell. della Vergine);<br />
26. Il Cuore dello Scorpione.<br />
Inoltre, sugli astrolabi, come su tutti gli strumenti<br />
gnomonici, gli arabi segnavano alcune curve corrispondenti<br />
a dei particolari momenti della giornata<br />
e di preghiera. Per esempio, nell'astrolabio di cui<br />
stiamo parlando, vi era l'indicazione dello Zaoual,<br />
la linea del mezzo giorno, quella del cDohre o<br />
Zhore, che è il momento più caldo della giornata;<br />
infine quella dell'Ashre, ovvero la linea del crepuscolo<br />
e dell'aurora.<br />
All'astrolabio planisferico, Aboul Hhassan, associa<br />
l'astrolabio chiamato Mesatirah, di cui distingue<br />
quattro specie: le prime due sono tracciate su un<br />
piano parallelo ad un orizzonte dato; mentre le<br />
altre due sono tracciate su di un piano parallelo al<br />
meridiano. Questo strumento non porta i punti<br />
della proiezione dell'eclittica, ma reca invece gli<br />
almucantarat, gli azimut, l'equatore e i suoi paralleli,<br />
il polo visibile, gli archi di rivoluzione della<br />
sfera e delle stelle fisse.<br />
Inoltre, bisogna distinguere gli astrolabi a seconda<br />
della suddivisione in gradi dei cerchi interni di<br />
altezza, cioè gli almucantarat. Tenendo conto del<br />
loro numero si ha:<br />
1) Astrolabium solipartium (tamm): astrolabio detto<br />
anche "completo" con 90 cerchi ciscuno dei quali<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />
17
isponde ad un grado;<br />
2) Astrolabium bipartium (nis fi): astrolabio con 45<br />
cerchi di 2 gradi ciascuno;<br />
3) Astrolabium tripartium (thulthi): con 30 cerchi;<br />
4) Astrolabium quimpartium (khumsi): con 18 cerchi;<br />
5) Astrolabium sex partium (sudsi): con 15 cerchi;<br />
9L'astrolabio Meridionale<br />
risparmiandoci di descriverlo dettagliatamente,<br />
ricorderemo che è uguale a quello settentrionale,<br />
con la sola differenza che il polo della proiezione<br />
stereografica invece di essere il polo sud, è, questa<br />
volta, il polo nord.<br />
10<br />
L'astrolabio Settentrionale e Meridionale<br />
Anche di questo ci sono varie specie. La prima è<br />
chiamata Tabli (tympanum) comprendente i segni<br />
dello zodiaco come si vede nella fig. 19; Le stelle<br />
tracciate nella parte superiore della lamina sono:<br />
1. Spica;<br />
2. Sirio;<br />
3. il fiume;<br />
4. al-Sharfah;<br />
e le stelle tracciate nella parte superiore sono:<br />
5. l'Aquila ricadente;<br />
6. la "dama" del Cigno;<br />
7. Arturo.<br />
Nella seconda specie (fig. 20), chiamata al-asi (il<br />
mirto) e nella terza (fig. 21), detta al-serathani ( il<br />
gambero), i dodici segni zodiacali, come si vede,<br />
sono disposti diversamente. Aboul Hhassan, nel<br />
manoscritto 1148, fol. 90, menziona altre sei astrolabi<br />
di questo genere:<br />
1) il Sadafi (la conca) - fig. 22;<br />
2) il Berdjesdani (Porta segno?) fig. 23;<br />
3) il Bisathi (il tappeto ?), fig. 24;<br />
4) il Tsouri (il Toro), fig. 25;<br />
5) il Djamousi (il bufalo), fig. 26;<br />
6) il Selhafi ( la tartaruga), fig. 27;<br />
La fig. 28 riproduce l'alancabuth dell'astrolabio che<br />
Hhassan chiama Schachaichi (l'anemone).<br />
11<br />
L'astrolabio Zaourakhi<br />
E' detto anche "Scaphée" (Boat-astrolabe). Si traccia<br />
su una lamina (shafiah) i tre cerchi paralleli, i dodici<br />
segni zodiacali,, le stelle fisse, gli almucantarat,<br />
gli azimut, le ore ineguali e le ore eguali, etc. (fig.<br />
29). Uno dei primi costruttori pare sia stato l'arabo<br />
Ahmad al-Sidizi nei primi anni dell'XI secolo.<br />
12<br />
L'astrolabio indipendente dalla proiezione<br />
viene distinto in alcune specie. In uno i dodici<br />
segni zodiacali sono piazzati su una linea diritta<br />
che passa per il polo; nel secondo si trovano su una<br />
linea retta tangente ad uno dei paralleli riportati;<br />
in un terzo, i segni sono disposti a forma di elica,<br />
proprio come l'orologio solare denominato "hélice"<br />
(fig. 30-31-32).<br />
13 L'astrolabio al-kamil (il perfetto).<br />
Questo astrolabio riporta, oltre ai tracciati che<br />
abbiamo già elencato per gli altri strumenti, il cerchio<br />
dell'equazione del Sole.<br />
Per quanto riguarda gli altri astrolabi nominati,<br />
Sédillot non riporta la descrizione di Aboul<br />
Hhassan e quindi non siamo in grado di spiegarli.<br />
14 Astrolabio Shafiah di Arzachel<br />
Come si è visto, gli astrolabi settentrionali classici<br />
avevano le lamine che erano calcolate ognuna per<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />
18
fig. 18 fig. 19 Tabli<br />
fig. 21 al-serathani<br />
fig. 20 al-asi<br />
fig. 22 sadafi<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />
19
fig. 28 Schachaichi<br />
fig. 24 Bisathi<br />
fig. 23 Berdiesdani<br />
fig. 25 Tsouri fig. 26 Djamousi<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />
20
fig. 27 Selhafi<br />
fig. 29 Astrolabio Zaourakhi<br />
fig. 28 bis Alancabuth al-asi<br />
fig. 28 Alancabuth del Tabli<br />
fig. 30<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />
21
fig. 31<br />
Astrolabio indipendente dalla proiezione<br />
fig. 32<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />
22
una determinata latitudine. Quindi, per potersene<br />
servire a diverse latitudini era necessario cambiare<br />
continuamente le lamine. L'arabo spagnolo az-<br />
Zarqali, latinizzato in Arzachel, inventò verso la<br />
fine dell'anno Mille, un astrolabio "universale" che<br />
poteva servire a diverse latitudini, senza cabiare<br />
lamina.<br />
Per fare questo, ideò un procedimento in cui<br />
l'osservatore si pone in uno dei punti del Primo<br />
Verticale (Est, od Ovest dell'orizzonte) e il piano di<br />
proiezione coincide con il piano del coluro solstiziale,<br />
ovvero del meridiano passante per i punti<br />
solstiziali. Ottenne ciò per mezzo della proiezione<br />
stereografica orizzontale. Aboul Hhassan ci fornisce<br />
il nome di Arzachel in una forma forse più<br />
precisa: Abou-Ishac Ibrahim ben-Yahia al-<br />
Razcalah, o al-Zarcalah.<br />
Naturalmente anche su questo punto, molti studiosi<br />
non si trovano d'accordo. Per esempio<br />
d'Herbelot, nel sec. XVIII dice semplicemente che<br />
il termine zarcalah indica uno strumento che ha<br />
tratto il nome dal suo inventore. Nel Catalogus<br />
Codicum orientalium Biblioth. Acad. Lugduno Batavae<br />
(vol.III, 1865, p. 96), si legge "Tractatus de tabula<br />
Zarcalitica auctore Abu Ishak Ibrahim ibn Jahja an-<br />
Nakkasch, vulgo Ibnoz- Zarkalah (al-Kortobi)". Gli orientalisti<br />
confermano che la "tavoletta" che si trova<br />
nei vari manoscritti sparsi nelle biblioteche è proprio<br />
lo strumento nominato "Shafiah", ma a questo<br />
proposito il discorso diventerebbe lungo e complicato.<br />
Noi ricorderemo il manoscritto latino n° 7195,<br />
della Biblioteca Nazionale di Parigi, segnalato da<br />
Sédillot, che fornisce una traduzione del trattato<br />
originale scritto dallo stesso Arzachele, sulla<br />
costruzione di questo astrolabio universale.<br />
Il foglio 89 comincia così: "Incipit compositio tabulae<br />
quae Saphea dicitur sive astrolabium Arzachelis". C'è<br />
poi il manoscritto latino n° 7295 "Instrumentum<br />
sapheae magistri Johannis de Lineriis" che contiene la<br />
descrizione di uno strumento ugualmente nominato<br />
"shafiah" e attribuito a Johannes de Lineriis che<br />
visse a Parigi verso la fine del XIV secolo.<br />
Sédillot menziona un esemplare di Saphea perfettamente<br />
conservato nella Biblioteca Nazionale di<br />
Parigi e acquistato successivamente da Jomard.<br />
Questo strumento faceva parte della collezione di<br />
Schultz (fig. 33). Forse il più antico esemplare di<br />
shafiah è l'astrolabio costruito da Muhammad ibn<br />
al-'Aama iri in Siviglia nel 1216 d.C. (enciclopedia<br />
Treccani) illustrato nelle figg. 35-36.<br />
Al-Zarkali chiamò "al-abbadiya" il suo nuovo strumento,<br />
in onore di al-Mustamid b. 'Abbad, re di<br />
Siviglia nella seconda metà dell'XI secolo. Una<br />
variazione della Saphaea è il cosiddetto "Safiha<br />
shakaziya”, o shakariya, di cui non abbiamo nessuna<br />
precisa informazione.<br />
Hhassan si sofferma ancora su un altro strumento<br />
che è una specie di shafiah, costruito nel 1337 d.C.<br />
Su una faccia di questo strumento, nei pressi dell'anello<br />
di sospensione, si legge "Strumento che riunisce<br />
le operazioni e le latitudini - (il che è in perfetto<br />
accordo con lo scopo dello strumento di<br />
Arzachele) - costruito e collaudato da Ali ben Ibrahim<br />
Almuthim". E sulla seconda faccia "Per lo Sceicco Ali<br />
ben Mohammed Al- Derbendi, anno 738", cioè 1337<br />
d.C. Sull'"alancabuth" sono segnati i nomi di 58<br />
stelle.<br />
Infine egli parla ancora di qualche strumento<br />
assimilabile alla Shafiah di Arzachele, e che nomina<br />
Chekasiah; quindi passa alla descrizione della<br />
cosiddetta bacchetta di Nasir-eddin Thousi, altrimenti<br />
detto Astrolabio Lineare (fig. 34).<br />
Questo grande astronomo arabo, morto attorno al<br />
1213, ideò l'astrolabio lineare, dal vago aspetto di<br />
un regolo calcolatore che pur essendo molto più<br />
semplice dell'astrolabio piano, era meno preciso, e<br />
per questo non ebbe molta fortuna. Egli ne<br />
descrisse la costruzione e l'uso nella sua opera in<br />
persiano intitolata Bait Babhfil astarlab.<br />
15L'astrolabio<br />
Chamilah<br />
Si compone di una semisfera incavata, che deve<br />
essere realizzata con molta esattezza. Il centro<br />
della superficie convessa coincide con quello della<br />
superficie concava. La circonferenza massima<br />
della semisfera rappresenta il cerchio massimo<br />
dell'orizzonte che viene diviso in 360 parti uguali.<br />
Un anello diviso in quattro facce coincide con il<br />
cerchio dell'orizzonte, diviso nello stesso modo.<br />
Una shafiah di rame, di forma rotonda avente una<br />
circonferenza uguale a quella del cerchio dell'orizzonte,<br />
completa lo strumento nelle sue parti essenziali.<br />
Su questo strumento si tracciano gli azimut e gli<br />
almucantarat suddivisi in gradi; infine si mette<br />
presso la circonferenza del shafiah, un cerchio che<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />
23
appresenta l'eclittica divisa in dodici parti, con i<br />
nomi dei dodici segni e le loro suddivisioni in<br />
gradi; si potrà aggiungere il quadrato delle due<br />
ombre (umbra versa - umbra recta), le ore "dei<br />
tempi", l'ombra khouarzemi, o khouarezmi, in pratica<br />
i tracciati che in genere si rappresentano sulle<br />
quarte di cerchio.<br />
Poi c'è un'alidada a due pinnule attaccata al centro<br />
della shafiah per mezzo di un asse che permette di<br />
muoverla con facilità e che serve per prendere le<br />
altezze degli astri. Infine, con una lima si ricava<br />
un'incisione sulla semisfera, a partire dall'anelli<br />
dell'orizzonte e fino al polo dell'orizzonte stesso.<br />
Questo rappresenta il circolo meridiano. Il semicerchio<br />
diviso in 180 gradi e piazzato sull'eclittica<br />
da dove comincia il punto dell'ariete (punto<br />
gamma) e quello della Bilancia, serviva a determinare<br />
l'arco del giorno e della notte, i coascendenti<br />
dei segni e l'obliquità (dell'eclittica) (figg. 37-<br />
38-39-40-41-42)<br />
Come si è accennato prima, questi strumenti,<br />
Chamilah, Chebakah, Mesatirah, ecc., sono assimilabili<br />
all'astrolabio descritto da Settele. Infatti, oltre<br />
alla forma, sono quasi identiche le operazioni di<br />
ritrovamento degli archi semidiurni e seminotturni<br />
e via dicendo.<br />
16 L'astrolabio Sferico (kurì, ukarì)<br />
E' questo uno strumento molto poco conosciuto a<br />
causa, probabilmente, della sua scarsa produzione.<br />
Aboul Hhassan ce ne dà una descrizione piuttosto<br />
buona che, tra l'altro, è forse l'unica che si conosce,<br />
oltre a delle singole citazioni in altri testi<br />
medievali, come vedremo tra breve.<br />
L'astrolabio sferico, (figg. 43-44-45-46) la cui<br />
costruzione deriva, come è evidente, dal globo<br />
celeste, si compone di due sfere "inscritte".<br />
Termine da tradurre alla buona come due "palle<br />
che stanno una dentro all'altra le cui superfici si<br />
toccano e possono ruotare indimentendemente ad<br />
un comune centro". Si traccia sulla parte circonscritta<br />
l'eclittica e l'equatore, le stelle fisse, gli<br />
almucantarat e gli azimut, le ore dei tempi e le latitudini<br />
di alcuni luoghi. Poi si costruisce un<br />
chebakah, ossia una rete, o inviluppo sul quale si<br />
riporta il polo dell'eclittica e quello dell'equatore;<br />
quindi si costruisce una linguetta la cui estremità<br />
tocca l'equatore dove si trova uno gnomone che ha<br />
la direzione del raggio della sfera.<br />
La storia di questo astrolabio è alquanto oscura. Le<br />
poche informazioni che abbiamo sono state riassunte<br />
in un unico articolo comparso su una rivista<br />
più di trent'anni fa, oggi quindi quasi sconosciuto,<br />
a cura di Francis. Maddison, del Museo di Storia<br />
della Scienza di Oxford.<br />
Egli descrive l'unico esemplare pervenutoci di<br />
astrolabio sferico. Uno strumento di origine islamica<br />
orientale, acquistato in quegli anni dal Museo<br />
di Oxford (si vedano fig. precedenti), che fu costruito<br />
nel 1480 o 1481 da un'autore finora sconosciuto,<br />
Musà.<br />
Un'accurata ricerca bibliografica ha permesso di<br />
stabilire che Al-Khwarizmi, verso la metà del secolo<br />
IX, menziona per la prima volta l'astrolabio<br />
sferico. E a tal proposito si può vedere il testo pubblicato<br />
da Carl Schoy, Alì ibn Isà. Das astrolab und<br />
sein Gebrauch, in "Isis" n. 30, vol. IX, Giugno 1927.<br />
Ma il primo vero trattato sull'astrolabio sferico è<br />
probabilmente quello di Qustà b. Lucà che visse<br />
attorno al 922 d.C. Altri scrittori islamici sullo stesso<br />
soggettu furono al-Nairizi (c.ca 922 d.C.), al-<br />
Birouni (937-1048) e, come si è visto, al-<br />
Marrakushi. Una dettagliata descrizione e sull'uso<br />
di questo astrolabio è stata curata da Isaac b. Sid,<br />
ed inclusa nei Libros del Sber de Astronomia (1276) -<br />
"Libros dell'astrolabio redondo" - voluti da Alfonso<br />
X, detto el Sabio, Re di Castiglia.<br />
Al-Nairizi considera l'astrolabio sferico superiore<br />
all'astrolabio planisferico e agli altri strumenti<br />
astronomici. Anche nei Libros del Saber, si legge un<br />
buon parere in proposito: "uno de los buenos estrumentos<br />
que fueron fechos". Tuttavia, come già detto,<br />
l'astrolabio sferico non ebbe mai quella diffusione<br />
che invece meritava e di cui godette il suo primo<br />
rivale, l'astrolabio planisferico. Infatti, nei Libros del<br />
Saber, esso era solo menzionato, senza una<br />
descrizione delle sue parti e del suo uso. Il Re<br />
Alfonso X allora ordinò a Isaac b. Sid di scrivere un<br />
nuovo libro per questo, ma la nuova Europa<br />
nascente non accolse con spirito di critica il nuovo<br />
trattato e questo soggetto passò quasi inosservato<br />
nella cultura dell'Occidente Cristiano. In effetti,<br />
poi, le difficoltà di realizzazione pratica dell'astrolabio<br />
sferico, nonchè del suo uso, molto più elevate<br />
che in quello planisferico, non fecero che<br />
diminuire l'interesse dei costruttori di strumenti<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />
24
astronomici del medioevo. Tutto ciò si evidenzia,<br />
di conseguenza, nella scarsissima produzione di<br />
manoscritti europei relativi all'argomento. Ernst<br />
Zinner, nell'opera Verzeichnis der astronomischen<br />
Handschriften des deutschen Kulturgebietes - Monaco,<br />
1925 - ricorda due soli manoscritti in latino; il<br />
primo, nella State Library, manoscritto latino n.<br />
19691. I, ff 30v-32v, datato 1521. Il secondo, nella<br />
University Library, Utrecht, che reca il numero 725,<br />
ff. 206v-213v, del XV secolo. Ma si conosce, inoltre,<br />
un testo tradotto in latino sull'uso dell'astrolabio<br />
sferico nel fondo dell'archivio della Corona de<br />
Aragòn, a Barcellona. Esso è il manoscritto Ripoll<br />
225, ff. 17v-18r. Questo testo, dal titolo De horologio<br />
secundum alkoram, è inserito in un trattato, De utilitatibus<br />
astrolabii, sull'astrolabio planisferico.<br />
Millas-Vallicrosa fa risalire questo prezioso manoscritto<br />
al X secolo. Parleremo ancora, tra breve, di<br />
questo manoscritto di eccezionale interesse.<br />
Noi aggiungeremo ancora che esiste nel fondo<br />
cella Bibliotheca Laurentiana Medicea, un manoscritto<br />
sulla composizione di questo strumento<br />
scritto nel 1303 per mano di Joannem De<br />
Harlebeke de Olaus (si veda la Bibliografia alla<br />
fine di questo volume).<br />
Il diametro del globo dell'astrolabio sferico conservato<br />
nel Museo di Storia della Scienza di Oxford, è<br />
approssimativamente di 83 millimetri ed è tutto di<br />
ottone, con delle iscrizioni, le linee orarie, i meridiani,<br />
e gli almucantarat, con intervalli di 5° gradi,<br />
intarsiati d'argento. L'alhancabuth è in ottone, laminato<br />
con argento sul circolo dell'eclittica e quello<br />
dell'equatore e sul quadrante verticale, nonchè il<br />
pezzo di sospensione che è pure in ottone. Tutte le<br />
iscrizioni sono visibili sulla parte esterna dei pezzi<br />
che compongono lo strumento ed hanno carattere<br />
Kufico orientale, dello stile che era usato per gli<br />
strumenti islamici e persiani. Sul globo è riportato<br />
anche l'autore e l'anno di costruzione, nel seguente<br />
modo:<br />
amal Musà sana dfh<br />
Lavorato da Musà nell'anno 885<br />
che è l'anno dell'Egira (A.H.) il quale corrisponde<br />
all'era cristiana (A.D.) 1480/1<br />
L'alhancabuth è fornito di certi "indici" che servono<br />
per indicare 19 stelle fisse, tutte sopra il cerchio<br />
dell'eclittica, e ciascuna stella è contrassegnata con<br />
il suo nome. La rete dell'alhancabut che porta gli<br />
indicatori delle stelle, consiste in una fascia che<br />
rappresenta il circolo dell'eclittica, una piccola<br />
banda circolare parallela all'equatore che facilita le<br />
misurazioni sul circolo equatoriale, e un quadrante<br />
verticale graduato con scale numerate delle latitudini<br />
celesti e le distanze polari e zenitali. Lungo le<br />
due scale di questo quadrante vi è una scanalatura<br />
nella quale può spostarsi uno gnomone per le misure<br />
delle altezze solari. L'alhancabut è traforato nel<br />
polo equatoriale e nel polo nord dell'eclittica e la<br />
sua rete è in contatto con il globo e può muoversi<br />
sopra di esso.<br />
Le stelle dell'Alhancabuth<br />
Le stelle che sono riportate sull'alhancabuth dell'astrolabio<br />
sferico sono 19 e di queste Maddison<br />
riporta pure le coordinate eclittiche (L= Lambda,<br />
B= Beta):<br />
Sirra (L 9°, B 26°);<br />
Khadib (L 28°, B 55°);<br />
Muthallath (L 34°, B 16°);<br />
Misam (L 48°, B 41°.5);<br />
Rukba al-yamnà (L 61°, B 34°);<br />
Fawq (?) al-rukba (L 120°, B 37°);<br />
an-Nacsh (L 140°, B 45°);<br />
Fiqrat al-ulà (L 153°, B 27°);<br />
Sàqà (L 193°, B 24°);<br />
Mankib (L 208°, B 50°);<br />
Fakka (L 218°, B 45°);<br />
ar-Ramih (L 230°, B 32°);<br />
Janb (L 236°, B15°);<br />
ar-raci (L 257°, B 35°);<br />
dhanab (L 283°, B 36°);<br />
minqar (L 300°, B50°);<br />
dulfin (L 311°, B 30°);<br />
ra's al-faras ( L 316°, B 23°);<br />
unuq (L 340°, B 38°).<br />
Questi nomi non sono sempre corrispondenti ai<br />
nomi delle stelle e la loro esatta identificazione<br />
comporta molte difficoltà.<br />
Questo astrolabio sferico non è, probabilmente, un<br />
esemplare evoluto, come può dedursi dalla mancanza<br />
dei fori nel polo nord e sud. In apparenza<br />
potrebbe rappresentare uno dei modelli di astrolabi<br />
sferici di al-Biruni, ma l'esistenza dello gnomone<br />
scorrevole lungo le scale graduate del quadrante<br />
verticale, farebbe pensare ad una caratteristica<br />
costruttiva riconosciuta negli strumenti di an-<br />
Nairizi.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />
25
fig. 33<br />
fig. 34 Astrolabio lineare<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />
26
fig. 35 e 36 Splendido<br />
esemplare di Saphia<br />
costruito da Muhammad<br />
ibn Futuh al-Aamairi in<br />
Siviglia nel 1216 d.C.<br />
(Immagine tratta da<br />
Almerigo Da Schio, “Due<br />
astrolabi...” e riprodotta<br />
nell’Enciclopedia Italiana<br />
Treccani articolo<br />
“Astrolabio”<br />
fig. 35<br />
fig. 36<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />
27
fig. 37<br />
Astrolabio “Camilah”<br />
fig. 39<br />
fig. 38<br />
fig. 40<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />
28
fig. 41 Astrolabio Camilah<br />
“Mesatirah” 1a specie<br />
fig. 42 “Mesatirah” 2a specie<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />
29
in senso orario,dall’alto a sinistra, figg. 43, 44, 45 e 46<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />
30
L’<strong>ASTROLABI</strong>O<br />
NELL’OCCIDENTE CRISTIANO<br />
17Le<br />
traduzioni.<br />
I primi contatti degli autori cristiani con la scienza<br />
araba si fanno risalire attorno alla fine del X secolo.<br />
Quello che sappiamo in proposito ci è dato<br />
dalla conoscenza diretta delle fonti originali, e<br />
dalle storie e commenti di autori posteriori all'anno<br />
Mille. Il grande lavoro è quindi dei traduttori<br />
che si rivelano i veri pionieri della diffusione del<br />
sapere scientifico in Europa.<br />
Dal califfato di al-Mamun, gli Arabi avevano già<br />
cominciato ad ereditare, studiare, ampliare e<br />
migliorare il grande testamento scientifico lasciato<br />
dai tempi di Tolomeo. E' nel bisogno di perfezionare<br />
soprattutto le teorie astronomiche che si<br />
giustificano i grandiosi progetti che portarono alla<br />
realizzazione degli osservatori astronomici più<br />
importanti del mondo: Bagdad, fondato da Al-<br />
Ma'mun (813); il Cairo (966), fondato da Al-Hakim;<br />
Toledo (1028), fondato da Arzachele; Maragha<br />
(1200), fondato da Nasir-al-Din al-Tusi, e<br />
Samarcanda, fondato dal grande Ulugh Beg nel<br />
1420.<br />
In genere si fa iniziare la rinascita dell'astronomia<br />
anche in Europa con la traduzione dal greco<br />
dell'Almagesto di Tolomeo nel 1164, e poi dall'arabo,<br />
nella versione di Gerardo da Cremona;<br />
secondo altri ciò avviene nel 1175, oppure, secondo<br />
Weidler e Delambre, nel XIV secolo. Queste<br />
datazioni però non sono da prendersi alla lettera,<br />
in quanto non è dato sapere con precisione quando<br />
queste opere furono veramente tradotte per la<br />
prima volta e divulgate in Occidente. Infatti, si ipotizza<br />
che, probabilmente, la prima traduzione dal<br />
Greco dell'Almagesto sia quella di Giorgio di<br />
Trebisonda.<br />
1 Emmanuel Poulle, Les instruments astronomiques de l'Occident latin aux XI et XII siècles,<br />
Dal 1100 al 1120 Adelardo di Bath viaggia in<br />
Spagna e in Egitto, e traduce dall'arabo gli<br />
Elementi di Euclide facendo conoscere per la<br />
prima volta in Occidente il grande autore greco.<br />
Platone da Tivoli, religioso, traduce dall'arabo la<br />
Sfera di Teodosio e Giovanni di Siviglia fa<br />
conoscere gli Elementi di Alfragano. Rodolfo da<br />
Bruges, traduce il Planisfero di Tolomeo su una<br />
versione araba commentata da Maslem e Givanni<br />
Campano da Novara, sul finire del XIII secolo, traduce<br />
di nuovo dall'arabo gli Elementi di Euclide;<br />
Vitellione traduce l'importante opera sull'Ottica di<br />
Al-Hazen. E poi ci sono le Tavole Toledane di<br />
Arzachele (1187), sostituite con le Tavole Alfonsine<br />
(1274) e il lavoro di tantissimi altri traduttori che è<br />
impossibile riportare.<br />
Nel leggere la storia dell'acquisizione della scienza<br />
araba da parte del mondo latino, possiamo<br />
riconoscere due periodi distinti 1 : il primo, che<br />
potremmo definirlo di assimilazione, fino al XIII<br />
secolo durante il quale gli autori votati all'astronomia<br />
si sforzarono di comprendere e di esplorare<br />
con qualunque mezzo, e sfruttando tutte le possibilità<br />
che avevano a disposizione, la strumentazione<br />
astronomica degli arabi; poi, a partire dalla<br />
metà del XIII secolo, si ha un periodo caratterizzato<br />
dall'interesse delle nuove ricerche, per la diffusione<br />
eccezionale di alcuni strumenti, al quale<br />
segue un breve periodo di espansione direttamente<br />
legato al ruolo che ebbe tutto questo materiale<br />
nell'insegnamento universitario.<br />
Se lo studio degli strumenti astronomici svolto nel<br />
secondo periodo è eminentemente fruttuoso per<br />
un'adeguata valutazione della scienza medievale,<br />
quello del materiale strumentale relativo ai secoli<br />
X e XII, è essenziale, in quanto rappresenta la base<br />
sulla quale si edificherà l'astronomia universitaria.<br />
E naturalmente i due strumenti principali sono<br />
ancora l'astrolabio e il quadrante.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />
31
Il testo più antico<br />
Il più antico testo in latino sull'astrolabio sembra<br />
essere quello proveniente dall'abbazia di Ripoll, in<br />
Catalogna 2 . Più precisamente, fa parte di un<br />
manoscritto copiato nel X secolo in questa abbazia,<br />
chiamato manoscritto Ripoll 225, di cui si è fatto<br />
cenno nel precedente capitolo, scritto quando era<br />
abate Arnolfo (948-970). E' interessante rilevare che<br />
l'esistenza del centro scientifico di Ripoll, e le sue<br />
origini, sono da rapportare al viaggio che fece in<br />
Catalogna, attorno al 967, il monaco Gerberto<br />
d'Aurillac, che poi sarà arcivescovo di Reims e<br />
quindi Papa Silvestro II.<br />
Da questo fatto nasce, forse, l'ipotesi che Gerberto<br />
fosse stato forse il primo studioso ad aver contribuito<br />
alla diffusione dell'astrolabio nella scienza<br />
cristiana. E una testimonianza diretta di questa diffusione,<br />
indipendente dai veri trattati sull'astrolabio<br />
che a volte non è possibile datare, si trova in<br />
una lettera di Radolf, studente a Liège, spedita<br />
verso il 1025 a Ragimbold, studente di Cologne 3 18<br />
:<br />
Radolf si dichiarava disposto ad inviare al suo<br />
amico che ne aveva fatta richiesta un astrolabio,<br />
ma pare che questo fosse solo una copia dello strumento<br />
originale forse perchè doveva servire come<br />
modello al suo corrispondente per costruirne<br />
un'altro.<br />
Non tutti gli autori sono comunque d'accordo sulla<br />
datazione del manoscritto di Ripoll. Ma sembra<br />
che dallo stile con il quale fu scritto, e considerata<br />
la scarsità di dettagli descrittivi, la datazione più<br />
attendibile sia quella che abbiamo riportato, con<br />
un margine che arriva fino alla prima metà dell'XI<br />
secolo.<br />
Secondo Derek J. de Solla Price, il più antico testo<br />
europeo sull'astrolabio (senza considerare il<br />
Libellus de mensura Astrolabii di Beda il Venerabile,<br />
che appartiene alla fine dell'antichità, ovvero all'alto<br />
medioevo) sarebbe il Sententiae astrolabii, che<br />
egli data alla seconda metà del decimo secolo,<br />
attribuito a Gerberto, in cui si descrive l'uso ma<br />
non la costruzione dello strumento.<br />
La maggior parte dei manoscritti di quell'epoca<br />
comunque riportano la descrizione, la costruzione<br />
e l'uso dell'astrolabio, ma purtroppo moltissimi<br />
sono anonimi. Uno solo di questi è formalmente<br />
attribuito al monaco Ermanno le "Boiteaux", cioè<br />
Ermanno Contratto, morto nel 1054, il quale fu<br />
abate di Reichenau. Questo manoscritto è stato<br />
pubblicato dall'abate Migne nella monumentale<br />
opera Patrologia Latina<br />
19<br />
4 . Secondo E. Poulle qui<br />
non si tratta che della sola costruzione dell'astrolabio.<br />
Il Manoscritto di Ermanno Contratto<br />
Vediamo in qualche particolare questo trattato<br />
nella traduzione del manoscritto latino Inclyti,<br />
conservato nel Monastero di S. Pietro a Salisburgo<br />
e pubblicato da Petz nel secolo XVIII 5 . L'opera si<br />
intitola B Hermanni Contracti Monachi Augiensis<br />
Ord. S. Bened. De Mensura Astrolabii Liber.<br />
Scorrendo le poche pagine di questo volumetto<br />
forse ci si può meglio rendere conto di come poteva<br />
essere un'opera sull'astrolabio che conta quasi<br />
mille anni. Per questo credo sia interessante<br />
riportare almeno i titoli dei paragrafi.<br />
Ermanno comincia con una prefazione e nel capitolo<br />
I descrive i Circoli Equinoziali, i Coluri<br />
(alcotan per gli arabi), i Solstizi e il modo per tracciarli<br />
sull'astrolabio. Inoltre, ci dice che lo strumento<br />
astrolabico armillare descritto da Tolomeo<br />
era chiamato Walzachora 6 .<br />
2 J.M. Millas-Vallicrosa, Assaig d'historia de les idees fisiques i matematiques a la Catalunya medieval, t.I, Barcellona, 1931, in<br />
8°, XV-351pp. (Estudis iniv. catalans, serie monografica, I).<br />
3 P. Tannery, A. Clerval, Une corrispondence d'écolàatres du XI siècle, in Noticies et extraits des manuscrits de la Bibliotheque<br />
nationale et autres bibliotheques, t. XXXVI, 2 p., 1901, p.487-543; si veda anche P. Tannery "Memoires scientifiques", T.V, 1922,<br />
P.229-303.<br />
4 P.L. CXLIII, 381-390; ristampato da R.T. Gunther, The Astrolabes of the world, t.II, Oxford, 1932, P. 404-408. Edizione sostituita<br />
con quella di J. Drecker, Hermannus Contractus uber das Astrolab, in "Isis", t. XVI, 1931, p. 203-212.<br />
5 R.P. Pezii, Thesauri Anecdot. Noviss. Tom. III, Pars II<br />
6 In metienda igitur subtilissimae inventionis Ptolomaei Walzachora, id est: plana sphaera, quam Astrolabium vocitamus...<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />
32
Nei capitoli seguenti descrive gli almucantarat, il<br />
modo di trovare le linee orarie, l'alhancabuth, i<br />
segni zodiacali, le posizioni delle stelle di cui<br />
trascrive anche i relativi nomi arabi, la divisione<br />
dell'Umbonis (qui ipsam matrem Walzachoram), cioè<br />
la madre dell'astrolabio, la divisione dei segni, dei<br />
mesi e dei giorni e la quarta di cerchio.<br />
Infine definisce l'Alhiada (alidada) "id est: quadam<br />
regula cum duabis pinnis erectis ad rectam lineam<br />
perforatis quota lateris quadrati pars designetur,<br />
possit apparire".<br />
Nel libro II sono riprese alcune definizioni con<br />
ulteriori spiegazioni. Nel primo capitolo si tratta<br />
dell'utilità dell'astrolabio con la sua nomenclatura<br />
con l'aggiunta di varie tabelle della posizione del<br />
Sole nei segni dello zodiaco; come si trovano le ore<br />
del giorno attraverso l'altezza del sole, operazione<br />
che gli arabi chiamano "Erufamazeat"; come<br />
trovare l'ora di notte 7 ; le ore ineguali ed<br />
equinoziali con la distinzione delle ore per quattro<br />
gradi di latitudine e moltissime altre cose.<br />
In questo secondo libro è compresa la descrizione,<br />
probabilmente la prima che si conosca, dell'orologio<br />
solare denominato molto tempo dopo<br />
Meridiana del pastore; termine improprio, come si<br />
può desumere già dal fatto che non dà alcuna<br />
indicazione sul tipo di orologio solare, il quale è un<br />
cilindro come descritto da al-Marrakushi.<br />
Ermanno usa una nomenclatura più consona e<br />
sicuramente più adatta ad indicare il tipo di strumento:<br />
convertibili sciotero horologici viatorum instrumenti,<br />
che può tradursi "gnomone girevole da<br />
viaggio". Infatti, per l'uso pratico, essendo questo<br />
un orologio d'altezza, bisogna ogni volta girare lo<br />
gnomone sul cilindro fino a posizionarlo sul mese<br />
e sul giorno in cui si vuol conoscere l'ora data<br />
appunto dall'altezza del sole sull'orizzonte. In più<br />
Ermanno indica che si tratta di uno strumento portatile<br />
("viatorum").<br />
L'indice del secondo libro comprende XXI capitoli:<br />
I. De utilitatibus Astrolabii.<br />
II. Descriptio ejus perigraphiam.<br />
III. De colligendo signo et gradu Solis.<br />
IV. De inveniendo Nadair Solis.<br />
V. De concipienda Solis altitudine et certis horis<br />
diei.<br />
VI. De altitudine Stellarum et horis nocturnis.<br />
VII. De distinctione horarum per quatuor plagas.<br />
VIII. De horis aequinoctialibus et inaequalibus.<br />
IX. De partibus inaequalium horarum diei.<br />
X. De partibus inaequalium horarum noctis.<br />
XI. De indaganda quantitate Orbis diei.<br />
XII. De quantitate orbis nocturni.<br />
XIII. Quot sint horae equinoctialis diei et noctis.<br />
XIV. De percipienda vicinitate Aurorae.<br />
XV. De percipiendo quolibet tempore cujusque<br />
signi ortum et occasum.<br />
XVI. In quo signo sint stellae.<br />
XVII. De vocabulis stellarum Arabicis et Latinis.<br />
XVIII. De discretione climatum et eorum invenienda<br />
latitudine.<br />
XIX. De divisione orbis per VII climata et initiis et<br />
terminis eorum.<br />
XX. Ut scias, si restat vel praeterit Meridies.<br />
XXI. De inveniendis in dorso Astrolabii horis.<br />
Alla fine, viene riportata una specie d'appendice<br />
intitolata sempre al secondo libro, ma che non è<br />
presente in questo indice, in cui viene trattata la<br />
costruzione dell'orologio solare suddetto, altri<br />
capitoli sulla quarta di cerchio e via dicendo.<br />
Come appare evidente, in questo primo rudimentale<br />
trattato sull'astrolabio, Ermanno non tratta in<br />
particolare dell'uso pratico dello strumento pur<br />
descrivendo sporadicamente e per sommi capi,<br />
qualche operazione da farsi. E' eccezionale, invece,<br />
l'interesse storico che ha questo manoscritto in<br />
quanto ci permette di penetrare in quelle che erano<br />
le prime difficoltose traduzioni su questa materia,<br />
pubblicate in quella lontana epoca.<br />
7 Sublevato Astrolapsu tantum ipsum Alhidada coaptando torqueas quò ad usque quamlibet stellarum fixarum tunc apparentium<br />
et in Astrolapsu designatarum certa unius oculi inspectione per ambo contempleris foramina. Qua visa ejusque altitudine<br />
demonstrante Ahlidada annotata eandem altitudinem inter Almucantarath coaequa, in ipsa parte, in qua accepisti stellam.<br />
Cui altitudini in Almucantarath ejusdem stella superpone, et considera, quam horam gradus solis demonstrer: qua ipsa est,<br />
quam quaeris. Sed hoc observa, ut per Nadair Solis horas diei, per gradus Solis horas noctis discas.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />
33
20 Gli errori dei primi astrolabisti.<br />
Un altro testo relativo all'uso dell'astrolabio fu<br />
pubblicato sempre da Migne e catalogato tra le<br />
opere di Ermanno Contratto, ma Bubnov lo<br />
attribuisce a Gerberto 8 .<br />
Il professor Millas-Vallicrosa, ha ricordato ancora<br />
un trattato sull'uso dell'astrolabio che Lupitus di<br />
Barcellona avrebbe tradotto dall'arabo, ma sembra<br />
che questo non sia altro che solo un frammento di<br />
un vero trattato sulla costruzione e l'uso dell'astrolabio.<br />
La terminologia utilizzata poi durante tutti i secoli<br />
a venire, relativa a tutte le parti dell'astrolabio,<br />
appartiene, secondo Poulle, al periodo universitario,<br />
a cominciare dalla fine del XIII secolo.<br />
Bisogna dire però che gran parte dei termini<br />
tradotti dall'arabo si trovano già nell'opera di<br />
Ermanno Contratto. Inoltre, i trattati dell'anno<br />
Mille sono molto rudimentali e superficiali nelle<br />
descrizioni, e molte volte addirittura inattendibili<br />
scientificamente.<br />
La descrizione contenuta nel manoscritto "Cum<br />
hominum habitationes..." 9 non dice nulla per esempio<br />
sull'armilla e, cosa ancora più grave, sulla<br />
proiezione dell'orizzonte e degli almucantarat. Il<br />
trattato sulla costruzione dell'astrolabio "Philosophi<br />
quorum sagaci studio...", che viene lo stesso<br />
attribuito a Lupitus, ignora tutto il sistema di mira:<br />
armilla, alidada a pinnule e cerchio di altezza.<br />
Ancora più allarmante è il fatto che i metodi per la<br />
costruzione sono molto inesatti, come nel caso<br />
della graduazione dello zodiaco dell'Aranea. Lo<br />
zodiaco è un cerchio obliquo in rapporto al piano<br />
di proiezione stereografica (il piano dell'equatore);<br />
quindi, la graduazione dello zodiaco diviene una<br />
graduazione ineguale. Il modo di realizzazione di<br />
questa graduazione ineguale, per la costruzione<br />
dell'astrolabio, mette in evidenza la bravura e il<br />
livello scientifico del costruttore di astrolabi: l'astrolabista.<br />
Il trattato sulla costruzione dell'astrolabio<br />
"Philosophi qui sua sapientia...", che Millàs -<br />
Vallicrosa attribuisce sempre a Lupitus, propone<br />
un metodo molto empirico che si ritrova anche<br />
negli altri testi di Lupitus e consiste nel prendere<br />
1/15 dell'arco di cerchio dell'eclittica ove si<br />
trovano i segni dell'Ariete, Toro e Gemelli; poi un<br />
terzo dei 14/15mi restanti, computati a partire dal<br />
segno dell'Ariete, per trovare la fine di questo<br />
segno; quindi si prendono i terzi di tutto l'arco per<br />
i segni del Toro, e il resto per i Gemelli. Questo<br />
metodo dà un risultato approssimativo per questi<br />
tre segni 10 , che è ancora può essere accettabile in<br />
quanto implica sostanzialmente un errore sull'applicazione<br />
del sistema della proiezione stereografica.<br />
Inoltre, questa erronea metodologia è presente in<br />
un altro trattato di Lupitus, Philosophi quorum<br />
sagaci studio..., e nel libro di Ermanno Contratto.<br />
Essi, infatti, si limitano a tracciare dal centro dello<br />
strumento delle divisioni di trenta gradi ciascuna<br />
dal lembo; in questo modo si ottiene lo stesso una<br />
graduazione ineguale dello zodiaco, ma una tale<br />
costruzione implica erroneamente che tutti i segni<br />
dello zodiaco abbiano uguali valori di ascensione<br />
retta, cioè di trenta gradi.<br />
Anche sull'uso dell'astrolabio, Poulle dichiara di<br />
trovare errori grossolani dovuti per la maggior<br />
parte all'ignoranza delle reali possibilità dello strumento.<br />
I soli problemi di cui si tratta nei libri, infatti,<br />
sono i più elementari e rudimentali: posizionare<br />
l'aranea e trovare i gradi dello zodiaco in cui si<br />
trova il Sole, oppure una stella, sull'almucantarat<br />
dell'altezza osservata, o la determinazione della<br />
durata dell'arco diurno. Problemi che vengono<br />
trattati con spiegazioni piuttosto oscure. Per esempio<br />
ecco come Lupitus insegna a prendere l'altezza<br />
del sole sull'orizzonte 11 :<br />
Dum queris scire altitudinem solis, turna dahar id est<br />
costam astrolapsus contra te, et pendeat de manu tua<br />
dextera et humerum tuum sinistrum pone contra solem,<br />
et ipsi XC alhotoi id est vel versus stent contra oculos<br />
tuo; et ipsam hahidada tantum exalta et demerge<br />
quosque radius solis transeat amba foramina, et consid-<br />
8 P.L. CXLIII, 389-404; R.T. Gunther, op. cit., p. 409-418; N. Bubnov, Gerberti postea SilvestriII papae opera mathematica (972-<br />
1003), Berlino, 1899, p. 114-147.<br />
9 Millas -Vallicrosa, op. cit., p. 308-315<br />
10 Millas-Vallicrosa, op. cit., p. 293-295<br />
11 Millas-Vallicrosa, op. cit., p. 280<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />
34
era ubi stat almeri id est sumitas accuta alhidade in ipsi<br />
XC ordinibus qui sunt in daar ipsius astrolapsus. Et<br />
quod ibi statim invenies ipsa est altitudo solis in ipsa<br />
hora.<br />
Il modo di tenere l'astrolabio sospeso di faccia al<br />
Sole, con la linea della spalla parallela ai raggi del<br />
Sole, è un pò bizzarro. Infatti, si sospende l'astrolabio<br />
al pollice sinistro e si tiene faccia al Sole.<br />
La parola araba "dahar", che qui sembra apparire<br />
per la prima volta, ha un'equivalente latino che<br />
non può significare altro che il dorso dell'astrolabio.<br />
Lo stesso non può dirsi per gli equivalenti di<br />
"Alhotoi", parola che indica i gradi dell'altezza del<br />
Sole sul dorso. "Alhidada”, o hahidada, è l'alidada,<br />
vocabolo adottato dall'originale arabo; "almeri" è<br />
definito come lo "sperone" dell'"aranea" (cioè l'escrescenza<br />
del cerchio dello zodiaco nel punto in<br />
cui torna ad essere tangente al lembo dello strumento).<br />
Ma questa parola è impiegata in un altro<br />
senso da Lupitus, secondo cui dovrebbe indicare<br />
l'estremità dell'alidada che "percorre" i gradi di<br />
altezza degli astri riportati sull'astrolabio.<br />
Questi trattati del X ed XI secolo, sono una<br />
preziosa testimonianza dello sforzo compiuto<br />
dagli autori cristiani nel cercare di assimilare la<br />
teoria dell'astrolabio, e dell'entusiasmo con il quale<br />
si avvicinavano a questa scienza così nuova per<br />
loro.<br />
Un'altro manoscritto, il lat. 7412, dell'XI secolo,<br />
sempre nella Biblioteca Nazionale di Parigi, ci<br />
rende l'immagine del lavoro dei copisti latini<br />
intenti a tradurre e comprendere le opere degli<br />
arabi sull'astrolabio.<br />
Qui si possono osservare, per esempio, una serie di<br />
nuovi disegni sul dorso dell'"aranea" e dei sette<br />
timpani di un astrolabio arabo. I timpani sono tracciati<br />
ognuno per una latitudine e sono, quindi,<br />
sette, per le sette latitudini principali, dette "climati",<br />
come in uso fin dall'antichità.<br />
Tutte le graduazioni e tutte le iscrizioni sono in<br />
arabo con le relative trascrizioni in latino. Sul disegno<br />
del dorso, i nomi arabi dei segni dello zodiaco<br />
e dei mesi del calendario zodiacale sono<br />
doppiati con gli equivalenti nomi in latino; anche i<br />
nomi delle stelle dell'"aranea" sono scritti in arabo<br />
e trascritti anche in latino, o in una forma simile;<br />
per esempio, Pantacaitoz, riportato su un disegno,<br />
diventa Venter caitoz nella nomenclatura.<br />
Si può pensare, quindi, che il copista del manoscritto<br />
abbia simultaneamente trascritto il testo<br />
dall'originale arabo e riprodotto lo strumento con<br />
l'intento di restituire al mondo latino le indicazioni<br />
arabe riportate sullo stesso. Probabilmente la lista<br />
delle stelle potrebbe averla presa dai trattati di<br />
Lupitus o di Ermanno Contratto.<br />
Ma a parte tutti i manoscritti dei trattati che conosciamo<br />
sull'astrolabio, dobbiamo rilevare che sono<br />
rarissime le menzioni di questo strumento nel secolo<br />
XI. Abbiamo accennato prima alla lettera di<br />
Radolfo di Liège che informava Ragimbold di<br />
Colonia su di un suo astrolabio che fece riprodurre<br />
per averne anche una copia, ma non sappiamo<br />
come fu fatto questo modello.<br />
Così, come non si conoscono dettagli tecnici sull'astrolabio<br />
di cui si serviva Walcher, priore di<br />
Malvern in Inghilterra, per osservare l'eclisse di<br />
Luna del 18 ottobre del 1092 12 : mentre ritornava in<br />
Inghilterra dopo un viaggio a Roma durante il<br />
quale egli contemplò, ma non potè osservare scientificamente,<br />
l'eclisse di Luna del 30 ottobre del<br />
1091. Fu allora che gli venne l'idea di utilizzare<br />
l'astrolabio per determinare i tempi delle future<br />
eclissi.<br />
Ricordiamo ancora un curioso strumento, appartenente<br />
ad una collezione privata, che Destombes<br />
dichiara essere di origine catalana e risalente alla<br />
fine del X secolo 13 .<br />
Questo astrolabio non è arabo e neanche latino, ma<br />
sembra essere una sorta di prodotto ibrido, dove le<br />
graduazioni sarebbero ottenute con caratteri dell'alfabeto<br />
latino dei valori numerici, scostandosi<br />
dunque dall'usanza tradizionale, secondo un sistema<br />
originale che impronta i parametri dello strumento<br />
simultaneamente ai valori numerici dell'alfabeto<br />
arabo e greco.<br />
Lo studio di Destombes pone delle difficoltà che<br />
inducono a percorrere con prudenza la strada dell'identificazione<br />
e della spiegazione definitiva di<br />
questo strumento che, per quanto si sa, è veramente<br />
unico figlio del suo tempo.<br />
12 Ch. H. Haskins, Studies in the History of Medieval Science, 2° ed., Cambridge, 1927, in -8°, XX-411 pp.<br />
13 M. Destombes, Un astrolabe carolingien et l'origine de nos chifres, in "Arch. intern. d'hist. des sciences", t. XV, 1962, p. 3-45.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />
35
21Il periodo Universitario<br />
Nell'anno Mille, in definitiva, manca un'adeguato<br />
monumento letterario sul quale improntare un<br />
successivo studio sull'argomento. E la causa di ciò<br />
va ricercata nell'impossibilità in cui si trovavano i<br />
primi autori cristiani di assimilare completamente<br />
la scienza araba, e quindi l'arte dell'astrolabio a<br />
partire dalle pochissime, mediocri, traduzioni<br />
arabo-latine che vennero eseguite in quel periodo.<br />
Per ridare vita all'impulso iniziale era necessario<br />
riconsiderare il problema dalle sue radici, appunto<br />
le radici della scienza araba. Da qui nasce la seconda<br />
fase delle traduzioni delle opere degli arabi<br />
nella lingua latina, che può farsi iniziare verso il<br />
secondo quarto del XII secolo, e che sarà l'elemento<br />
determinante e decisivo che permetterà<br />
l'adozione definitiva e vantaggiosa della teoria<br />
dell'astrolabio e lo sviluppo dell'astronomia<br />
nell'Occidente.<br />
Probabilmente la traduzione di Ermanno il<br />
Dalmata (da non confondere con Ermanno<br />
Contratto) del Planisfero di Tolomeo, è decisiva nell'acquisizione<br />
generale della teoria della<br />
proiezione stereografica e della sua relativa corretta<br />
applicazione nella costruzione dell'astrolabio.<br />
Ricordiamo il grande lavoro di Giovanni di<br />
Siviglia, che traduceva Maslama; Rodolfo di<br />
Bruges che traduceva un trattato sulla costruzione<br />
dell'astrolabio di Messahalla, uno dei più importanti;<br />
le traduzioni di Platone da Tivoli dei trattati<br />
sull'uso dell'astrolabio d'Ibn al-Saffar, latinizzato<br />
in Abulcasim. Tutto ciò costituì la nuova piattaforma<br />
di lancio per la scienza dell'astrolabio.<br />
Inoltre, parallelamente ai lavori di questi traduttori,<br />
molti altri autori si sforzarono di scrivere<br />
materiale nuovo, originale, sull'astrolabio: questi<br />
sono Adelardo di Bath, intorno al 1142-1146, sulla<br />
costruzione; Raimondo di Marsiglia, verso il 1141,<br />
sulla composizione e l'uso; Roberto di Chester, nel<br />
1147, sull'uso; un certo Arialdus, sulla composizione<br />
ed uso; Abraham ibn Ezra, verso il 1158-<br />
1161, sull'uso ed altri ancora (si veda la bibliografia<br />
alla fine di questo volume).<br />
La maggior parte di questi testi sono ancora inedi-<br />
ti, e l'impressione che si ricava da essi e dai manoscritti<br />
del XII e XIII secolo è certamente quella di<br />
avere a disposizione libri in cui la teoria e la pratica<br />
dell'astrolabio è definitivamente esplorata.<br />
Inoltre, la terminologia adottata non presenta quel<br />
carattere di abusivismo letterario che con timidezza<br />
veniva riportato negli antichi manoscritti.<br />
Ormai il latino risuonava di termini arabi adottati<br />
e insostituibili: ...et sequitur alhancabuth cujus interpretatio<br />
est aranea... si legge nella traduzione di<br />
Maslama, oppure: ...post hec et sequitur alhancabuth<br />
id est aranea, da Messahalla, e ancora: ...quoddam<br />
superfluum extra circulum capricorni quod almuri arabice,<br />
latine index appelatur, da Arialdus, a proposito<br />
dell'indice che marca sull'"aranea" l'inizio del<br />
Capricorno.<br />
In questi testi, quindi, si riscontra un'esposizione<br />
scientifica migliore, più logica e molto più chiara.<br />
E' interessante, a questo proposito, mettere a confronto<br />
due pezzi sullo stesso argomento dai manoscritti<br />
di Lupitus e Arialdus 14 . Il pezzo relativo al<br />
testo di Lupitus è sulla trasformazione delle ore<br />
ineguali in ore eguali, mentre per Arialdus è<br />
trovare i numeri dei gradi di una ora ineguale. Il<br />
procedimento in entrambi i casi è lo stesso:<br />
LUPITUS. - Quomodo horas tortas facias<br />
rectas. Quando queris tornare horas tortas ad<br />
horas rectas per astrolapsum, accipe quot<br />
queris et in ultima linea horarum quas accepisti<br />
pone nadair solis, et vide ubi stat almeri, et<br />
pone ibi signum; postea circumvolve ipsum<br />
nadair solis ab ultima usque ad primum<br />
almucantarat prime hore et vide ubi stat almeri<br />
et pone ibi signum, et ipsos ordines quos ambulat<br />
almeri partire per ordinem rectarum<br />
horarum, id est per XV, et videbis quot inde<br />
colligis horas recta.<br />
ARIALDUS. - Si vis scire quot gradus habeat<br />
unaqueque hora diei, pone nadir solis super<br />
principum qualiscumque hore et nota gradum<br />
in limbo in cujus directo fuerit almuri; volvesque<br />
rethe nadir donec ad finem ejusdem<br />
hore pervenerit, et quot gradus sive partes<br />
graduum almuri pertransierit tot gradus vel<br />
partes gradum sunt illius hore. Partes vero<br />
horarum noctis cum gradu solis eodem posito<br />
et volvendo circumducto notatisque gradibus<br />
quos almuri pertransierit simili modo reperis.<br />
14 J.-M. Millas-Vallicrosa, Assaig..., p. 285 - Manoscritto latino N. 16652, fol. 36, della Biblioteca Nazionale di Parigi.<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />
36
Lupitus trasforma in ore eguali il tempo trascorso<br />
dall'inizio del giorno, e li legge sul timpano in ore<br />
ineguali; ma l'espressione usque ad primum almucantarat<br />
prime hore per dire la metà della linea dell'orizzonte<br />
(cioè il primo almucantarat) che è dalla<br />
parte dell'Oriente (dove si trova la prima ora), è<br />
molto ambigua. Inoltre egli per ordines, intende,<br />
come fa in altri passi dello stesso testo, i gradi del<br />
lembo; ma questa è un'espressione inusuale e d'incerto<br />
impiego.<br />
Arialdus, da parte sua, si accontenta di cercare i<br />
numeri dei gradi delle ore ineguali, poichè egli<br />
indica dopo in che modo trasformare infine le ore<br />
ineguali, in ore eguali.<br />
Tuttavia, è da rilevare che taluni autori sono ancora<br />
soggetti ad errori, come nel caso della graduazione<br />
dello zodiaco sull'"aranea" per la quale<br />
Rodolfo di Bruges e Raimondo di Marsiglia, proprio<br />
come avevano già fatto Lupitus ed Ermanno<br />
Contratto, graduano l'eclittica congiungendo il<br />
centro dello strumento alle dodici divisioni uguali<br />
del lembo, come se i dodici segni dello zodiaco<br />
avessero tutti la stessa ampiezza, o estensione, in<br />
ascensione retta.<br />
22<br />
Il trattato sull'astrolabio di<br />
Raimondo di Marsiglia<br />
Accenneremo all'opera di Raimondo di Marsiglia,<br />
di cui Emmanuel Poulle ha pubblicato uno studio<br />
e la versione originale in un suo articolo comparso<br />
sulla rivista Studi Medievali 15 . Nell'opera Liber cursum<br />
planetarum, che costituisce uno dei primi<br />
esempi nell'Occidente Cristiano di tavole astronomiche<br />
perpetue e del loro modo d'impiego,<br />
Raimondo di Marsiglia fa allusione a più riprese a<br />
un trattato sull'astrolabio che aveva scritto egli<br />
stesso in tempi precedenti.<br />
Pare che questo testo sia andato perduto, ma<br />
Poulle, scrutando nel fondo della Biblioteca<br />
Nazionale di Parigi, attesta di aver identificato in<br />
un trattato sull'astrolabio di un anonimo, e conservato<br />
senza titolo in uno scritto della seconda metà<br />
del XV secolo, il testo di Raimondo di Marsiglia.<br />
L'autore riporta due tavole di stelle: una antica,<br />
improntata sui primi trattati sull'astrolabio comparsi<br />
in Occidente sul finire del X ed XI secolo, l'altra<br />
viene presentata "secundum modernos" ed è<br />
estratta dalle tavole stellari di Arzachele. Questa<br />
informazione ha permesso gli studiosi di datare il<br />
testo originale alla prima metà del XII secolo.<br />
Inoltre, questo testo, secondo Poulle, potrebbe<br />
essere anche uno dei primissimi trattati sull'astrolabio<br />
scritti in Occidente, senza essere stato copiato<br />
o scritto sul palinsesto dei libri arabi. E' da considerare<br />
poi che l'astrolabio descritto, è uno strumento<br />
che presenta ormai la sua configurazione<br />
definitiva, senza significative variazioni, tanto che<br />
questo testo, del XII secolo, non ha niente da<br />
invidiare ad un testo del XV o XVI secolo.<br />
Il trattato di Raimondo di Marsiglia si compone di<br />
tre parti: composizione, uso astronomico e uso<br />
geometrico.<br />
E' da notare che l'autore conosce l'uso, allora<br />
nuovo, di riportare sul dorso dell'astrolabio il diagramma<br />
delle ore ineguali il cui uso lo ritiene poco<br />
utile. Egli, d'altra parte, non sa graduare l'eclittica,<br />
e scrive che gli azimut dell'equatore determinano<br />
sull'equatore e sull'eclittica degli archi uguali: sulla<br />
base di ciò egli riporta l'inizio dei segni sullo zodiaco<br />
congiungendo il centro dello strumento con<br />
l'equatore per mezzo di divisioni eguali. Seguendo<br />
questo procedimento, riporta le stelle tenendo<br />
conto delle loro coordinate eclittiche, utilizzando<br />
però le rette che sono le proiezioni degli azimut<br />
dell'equatore, e non quelle degli azimut dell'eclittica.<br />
Un tale errore, che costituisce quasi una regola<br />
nel X e XI secolo, come è evidente è frequente<br />
ancora nel XII secolo.<br />
Possiamo definire questo testo un lavoro preuniversitario.<br />
Tuttavia esso è già ricco di una ricerca<br />
letteraria che evidenzia, insieme allo stile in cui è<br />
stato redatto più che nel contenuto tecnico, la sua<br />
originalità. Un libro unico, dunque, in un periodo<br />
in cui brulicano traduzioni e copie di trattati arabi,<br />
che si pone in quella categoria di testi che, dal XIII<br />
al XIV secolo, ha avuto un ruolo fondamentale<br />
nella formazione scientifica universitaria.<br />
Indice del manoscritto:<br />
De capitulis que continebuntur in hoc opere que necessaria<br />
sunt:<br />
15 E. Poulle, Le traité d'astrolabe de Raymond de Marseille, in "Studi Medievali", Serie Terza, Anno V, fasc. II, Centro Italiano<br />
di Studi sull'alto medioevo, Spoleto, 1964 (pagg. 866-904, 6 figg. e 4 pl.).<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />
37
1. Quot et que astrologum decipiant et qualiter<br />
Ptolomei astrolabium tempore sibi occasionem<br />
prebente vetustate sit viciosum factum.<br />
2. Qualiter astrolabium extrinsecus terminetur.<br />
3. Qualiter circuli interiores tres fieri debeant.<br />
4. Qualiter almucantarat fiant.<br />
5. De horis in tabula interiori dispositis.<br />
6. De rete componendo.<br />
7. De fixis stellis in rete disponendis.<br />
8. De limbo circomponendo.<br />
9. De quadrantis opere.<br />
10. De regula construenda.<br />
11. De clavo et clavi clavo.<br />
12. Qualiter ad astronomiam quis admittatur.<br />
13. De hore diei et noctis atque scendentis scientia.<br />
14. De horis naturalibus et artificialibus.<br />
15. Qualiter sciatur utrum sit meridies, ante vel<br />
post.<br />
16. De locis et gradu planetarum per astrolabium<br />
dignoscendis.<br />
17. De arcu diei et noctis.<br />
18. De domibus per astrolabium dignoscendis.<br />
19. Quantum in unaquaque regione queque signa<br />
ponantur in ortu.<br />
20. Qualiter rectus oriens cognoscatur.<br />
21. Qualiter de stellis in astrolabio positis in cujus<br />
signi quoto sit gradu cognoscat; et de quatuor<br />
numeris tam ad solem quam ad lunam pertinentibus.<br />
23<br />
Un prezioso elenco di manoscritti<br />
Nello stesso articolo, il Poulle ha inserito in una<br />
lunga nota un importantissimo lavoro di catalogazione,<br />
unico per quello che ci è dato sapere,<br />
delle edizioni dei manoscritti occidentali sull'astrolabio<br />
anteriori al secolo XV. Una lista stabilita<br />
con un ordine approssimativamente cronologico<br />
che riportiamo integralmente:<br />
· "Ad intimas summe philosophie disciplinas..." (prologo<br />
di un trattato della costruzione e dell'uso;<br />
senza dubbio di Llobet di Barcellona): N. Bubnov,<br />
Gerberti postea Silvestri II papae opera mathematica,<br />
Berlino, 1899, pp. 370-375; J.-M. Millas Vallicrosa,<br />
Assaig d'historia de les idees fisiques i matematiques a<br />
la Catalunya medieval, Barcellona, 1931, pp. 271-275.<br />
· "Quicumque vult scire hora noctium..." (sull'uso<br />
dell'astrolabio; traduzione senza dubbio di Llobet<br />
di Barcellona): J.-M. Millas Vallicrosa, ibid., pp.<br />
275-293.<br />
· "Philosophi qui sua sapientia motus siderum..." (sulla<br />
costruzione): J.-M. Millas Vallicrosa, ibid., pp. 293-<br />
295.<br />
· "Quicumque astronomice peritiam discipline..." (sull'uso;<br />
Gerberto): J.-P. Migne, Patrologia Latina,<br />
CXLIII, col. 389-404, riprodotto da R.T. Gunther,<br />
The astrolabes of the world, II, Oxford, 1932, pp. 409-<br />
418; N. Bubnov, op. cit., pp. 114-147.<br />
· "Philosophi quorum sagaci studio visibilium..."<br />
(costruzione; Llobet di Barcellona): J.-M. Villas<br />
Vallicrosa, op. cit., pp. 296-302.<br />
· "Cum hominum habitaciones equales sibi fore non<br />
patiatur..." (descrizione; Llobet di Barcellona): J.-M.<br />
Millas Vallicrosa, op. cit., pp. 308-315.<br />
· "De divisione igitur climatum que fit per almucantarath..."<br />
(descrizione ed uso; Llobet di Barcellona):<br />
J.-M. Millas Vallicrosa, op. cit., pp. 320-322.<br />
· "Jubet rex Ptolomeus bene politam fieri tabulam..."<br />
(costruzione; Llobet di Barcellona): J.-M. Millas<br />
Vallicrosa, op. cit., pp. 322-324.<br />
· "Si fuerit nobis propositum invenire quando sol quelibet..."<br />
(costruzione; testo parziale): J.-M. Millas<br />
Vallicrosa, op. cit., pp.324-327.<br />
· "In compositione astrolabii tres primum circuli scribuntur..."<br />
(costruzione della madre dell'astrolabio):<br />
J.-P. Migne, Patrologia Latina, XC, col. 955-960.<br />
Migne attribuisce questo testo a Beda.<br />
· "Herimannus Christi pauperum peripsima et philosophie<br />
tironum..." (costruzione; Ermanno Contratto):<br />
J.-P. Migne, Patrologia Latina, CXLIII, col. 381-390,<br />
riprodotto da R.T. Gunther, op. cit., II, pp. 404-408;<br />
J. Drecker, Hermannus Contractus uber das Astrolab,<br />
in "Isis", XVI (1931), pp. 203-212.<br />
· "Genera astrolabiorum duo sunt..." (sull'uso): J.-M.<br />
Millas Vallicrosa, Un nuevo tratado de astrolabio de R.<br />
Abraham ibn Ezra, in Al-Andalus, V (1940), pp. 1-29.<br />
L'attribuzione di questo testo a Abraham ibn Ezra<br />
è stata contestata da R. Levy in The autorship of a<br />
latin treatise on the astrolabe, in Speculum, XVII<br />
(1942), p. 566-569.<br />
· "Scito quod astrolabium est nomen grecum..."<br />
(costruzione ed uso); traduzione di Messahalla di<br />
Giovanni di Siviglia): incluso da G. Reisch in<br />
Margarita philosophica, che ha avuto numerose edizioni<br />
dopo il 1503; R. T. Gunther, Early science in<br />
Oxford, T.V, Chaucer and Messahalla on the astrolabe,<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />
38
Oxford, 1929, pp. 195-231.<br />
· "Cum sit possibile Jesuri et plerumque..." (Teoria dell'astrolabio;<br />
traduzione di Ermanno il Dalmata del<br />
Planisfero di Tolomeo): Bale, 1536; Venezia, 1558;<br />
J.-L. Heiberg, Claudii Ptolomei opera que extant<br />
omnia, II, Leipzig, 1907 (Bibliotheca teubneriana),<br />
pp. 227-259.<br />
· "Primum horum armilla per quam suspenditur<br />
astrolabium..." (sull'uso; traduzione del trattato di<br />
Maslama di Giovanni di Siviglia): J.-M. Millas<br />
Vallicrosa, La traducciones orientales en les manuscritos<br />
de la biblioteca catedral de Toledo, Madrid,<br />
1942, pp. 263-284. Ff.-J. Carmody, Arabic astronomical<br />
and astrological scences in latin translation,<br />
Berkeley, 1956, p. 142, indica un altro "incipit"<br />
di questo testo: "Cum volueris facere astrolabium<br />
fac tabulam planam..." che pare corrispondere ad<br />
una parte della composizione dell'astrolabio che<br />
Millas Vallicrosa non ha pubblicato.<br />
· "Astrologie speculationis exercitium habere volentibus..."<br />
(costruzione; traduzione del trattato di<br />
Maslama a cura di Giovanni di Siviglia): J.-M.<br />
Millas Vallicrosa, Las traducciones, pp. 316-321.<br />
· "Cum volueris facere astrolabium accipe auricalcum<br />
optimum..." (costruzione; Giovanni di Siviglia): J.-<br />
M. Millas Vallicrosa, Las Traducciones, pp. 322-327<br />
(edizione parziale).<br />
· "Cum (ou Quia) plurimi ob nimian quandoque accurationem..."(sull'uso;<br />
Roberto Anglico): Pérouse,<br />
1477 (Klebs, 850.1).<br />
· "Speram in plano describere est singula puncta..."<br />
(Teoria dell'astrolabio; Jordanus Nemorarius):<br />
Bale, 1536, Venezia, 1558 (con il Planisfero di<br />
Tolomeo).<br />
· "Nostra presens intentio est artem dicere..." (composizione<br />
e uso; Pietro di Maricourt): G. Boffito e C.<br />
Melzi D'Eril, Il trattato dell'astrolabio di di Pietro di<br />
Maricourt, Firenze, 1927 (comprende solo i primi<br />
cinque capitoli della composizione).<br />
· "Universorum entium radix et origo Deus qui..."<br />
(composizione e uso; Henri Bate): Venezia, 1485<br />
(Klebs, 4.1); R.T. Gunther, The astrolabes of the world,<br />
II, pp. 368-376.<br />
· "Nomina instrumentorum astrolabi sunt hec; primum<br />
est annulus..." (sull'uso; Andalò di Negro): Ferrara,<br />
1475 (Klebs, 63.1)<br />
· "Si astrolabium facere volueris primo et ante omnia fac<br />
tabulum..." (costruzione; Andalò di Negro):<br />
Ferrara, 1475 (Klebs, 63.1).<br />
· "Quamvis de astrolabii compositione tam moderno-<br />
rum quam veterum..." (costruzione; Prosdocimo di<br />
Beldomandi): Pérouse, 1477 (Klebs, 850.1).<br />
· "Little Lewis my son I have perceived..." (Uso;<br />
Geoffroy Chaucer): Londra, 1532, etc.; W. Skeat, A<br />
treatise on the astrolabe addressed to his son<br />
Lowys by Geoffry Chaucer, Oxford, 1872 (Chaucer<br />
Society), pp. 1-60; R. T. Gunther, Chaucer and<br />
Messahalla on the astrolabe, pp. 1-131; numerose<br />
altre edizioni.<br />
· "Astrolabium grece latine dicitur acceptio stellarum..."<br />
(composizione): H. Michel, Un traité de<br />
l'astrolabe su XV siecle, in Homenaje a Millas<br />
Vallicrosa, II, Barcellona, 1956, pp. 49-67.<br />
· "Qui veult faire ung astralabe doit estre subtil ouvrier..."<br />
(Composizione; Jean Fusoris): E. Poulle, Un<br />
constructeur d'instruments astronomiques au XV<br />
siecle, Jean Fusoris, Parigi, 1963 (Bibliothèque de<br />
l'Ecole pratique des hautes études, sciences historiques<br />
et philologiques, fasc. CCCXVIII), pp. 95-<br />
108.<br />
· "Honourable chose et moult a priser aux princes..."<br />
(uso; Jean Fusoris): E. Poulle, ibid., pp. 109-124.<br />
· " Si astrolabi peritiam tenere volueris ipsam hoc<br />
modo..." (uso e costruzione; traduzione di Georges<br />
Valla del trattato di Nicephore Gregoras): Venezia,<br />
1498 (Klebs, 1012.1); Parigi, 1546, etc.<br />
· "Astrolabium ut Abraham judeus inquit omnium<br />
mathematicalium instrumentorum..." (composizione;<br />
Faber Barduvicensis; appresso al Polain): s.l.n.d.<br />
(Klebs, 386.1).<br />
· "Etsi plurima astrologie divini numinis conscie..."<br />
(Uso; Johannes Angeli): Ausbourg, 1494 (Klebs,<br />
375.1-2).<br />
· "Cum ad lunae observationes necnon stellarum haerentium<br />
coelo..." (costruzione e uso; traduzione di<br />
George Valla del trattato di Proclo): Venezia, 1498<br />
(Klebs, 1012.1); Parigi, 1546, etc.<br />
24<br />
I trattati sull'astrolabio nel<br />
"corpus" scientifico medievale.<br />
Si può dire che i trattati sull'astrolabio del XII secolo<br />
sono senza dubbio più vicini, come concezione,<br />
a quelli del periodo universitario. Si pensi alla<br />
traduzione di Giovanni di Siviglia del codice di<br />
Messahala. Le due parti relative alla composizione<br />
ed all'uso dell'astrolabio, Scito quod astrolabium est<br />
<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />
39
nomen grecum... e Nomina instrumentorum astrolabii<br />
sunt hec..., testimoniano la singolare fortuna di figurare<br />
regolarmente nei programmi universitari,<br />
come elementi fondamentali di un importante<br />
"corpus" scientifico.<br />
Gli studi sui quadranti (quadrans vetus, quadrans<br />
novus, etc.) e sugli astrolabi nel XII secolo aprono<br />
l'epoca classica della fabbricazione degli strumenti<br />
astronomici. Le modifiche che saranno apportate<br />
durante il periodo universitario possono davvero<br />
considerarsi insignificanti, e gli strumenti che vengono<br />
realizzati offrono ormai la soluzione e le<br />
forme definitive che resteranno per tutto il basso<br />
medioevo e fino al Rinascimento.<br />
A giudizio degli studiosi, tutto questo materiale<br />
letterario non avrebbe altro scopo che quello pedagogico.<br />
Il caso citato di Walcher di Malvern, che<br />
osservò l'eclisse lunare del 18 ottobre 1092 con un<br />
astrolabio, sembra essere un caso isolato, adatto a<br />
soddisfare la curiosità di una mente esigente. Ma<br />
questo esempio non può testimoniare in favore di<br />
una destinazione d'uso dello strumento esclusivamente<br />
rivolta alle osservazioni.<br />
Qualche rara testimonianza di osservazioni astronomiche<br />
con l'astrolabio risale a periodi tardi del<br />
medioevo; la più antica può essere quella di Henri<br />
Bate di Malines, verso la fine del XIII secolo di cui<br />
fa allusione in un suo trattato sullo strumento.<br />
L'astrolabio, evidentemente, trovava vasta applicazione<br />
nella risoluzione di problemi di astronomia<br />
sferica più che astronomia osservativa: trovare<br />
a quale ora una stella si leva sull'orizzonte, anche<br />
se si è in pieno giorno; determinare la durata dell'arco<br />
diurno, o il punto dell'orizzonte dove sorge<br />
il Sole in un giorno qualunque dell'annno e tante<br />
altre questioni alle quali l'astrolabio offre immediatamente<br />
una soluzione.<br />
L'astronomia dell'Europa medievale aveva tra gli<br />
scopi principali, e qui l'astrologia ne è gran parte<br />
responsabile, quello di conoscere l'aspetto del cielo<br />
in un momento qualunque, passato presente o<br />
futuro.<br />
Per fare questo gli studiosi avevano due mezzi a<br />
disposizione: un mezzo empirico, cioè gli strumenti,<br />
e un mezzo matematico, cioè le tavole astronomiche.<br />
Ed è in questo contesto che l'astronomia medievale<br />
vanta, tra l'altro, il merito di aver forgiato quello<br />
che è il più geniale degli strumenti astronomici:<br />
l'astrolabio.<br />
25 L'astrolabio di Regiomontano<br />
Il sorgere delle nuove grandi scuole di artigiani in<br />
Europa, e soprattuto dei costruttori di strumenti<br />
astronomici in Germania, segna il distacco dell'astrolabio<br />
dal medioevo e l'inizio di una nuova era di<br />
abilità e progettazione nella costruzione di strumenti<br />
di precisione.<br />
J. Derek De Solla Price, descrive quello che viene<br />
considerato il primo strumento scientifico della<br />
Rinascenza: un astrolabio realizzato dalle mani del<br />
grande Jovanni Muller, detto Regiomontano (figg.<br />
51-52).<br />
Questo straordinario strumento, che presenta uno<br />
stile costruttivo nuovo e molto diverso dalla caratteristica<br />
scuola moresca e spagnola del medioevo,<br />
fu fabbricato dal grande astronomo in Roma, nel<br />
1462, in onore del Cardinale Bessarione, come è<br />
possibile dedurre dall'iscrizione dedicatoria:<br />
SVB DIVI BESSARIONIS DE<br />
CARDINE DICTI PRAESI<br />
DIO ROMAE SVRGO IO<br />
ANNI OPUS: - 1462<br />
L'astrolabio è firmato e reca un ritratto che si<br />
ritiene il solo contemporaneo del Regimontano.<br />
Questo strumento presenta una storia abbastanza<br />
travagliata. Ricorderemo solo che esisteva in Roma<br />
fino al marzo del 1848, quando passò nelle mani<br />
del Dr. Somerville. Ne fu poi possessore il grande<br />
astronomo William Herschel, e quindi il<br />
Comandante M.H. Hardcastle.<br />
E per fortuna si è mantenuto in ottimo stato di conservazione<br />
come si vede dalle figure. Le sue caratteristiche<br />
costruttive indicano che potrebbe essere<br />
stato un modello di base per la costruzione in serie<br />
dello stesso ("mass-produced"), probabilmente<br />
prodotti a Norimberga dove vi era il grande<br />
costruttore di strumenti Georg Hartmann.<br />
Il parere di Price è che questo sia il primo strumento<br />
costruito da Regiomontano e perciò il<br />
primo eseguito surante la rinascita dell'astronomia<br />
in Europa. Rappresenta, in tal caso, una vera pietra<br />
miliare che marca il progresso della scienza sul<br />
finire del medioevo e all'inizio della Rinascenza.<br />
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26Astrolabium phisicum<br />
Finora abbiamo potuto accertarci dell'esistenza di<br />
una grande varietà di strumenti astrolabici, realizzati<br />
soprattutto dagli astronomi arabi intorno al<br />
XII-XIII secolo. Ma non è finita. Prima di concludere,<br />
infatti, vorremmo dire brevemente di un curiosissimo<br />
astrolabio che per la sua rarità è davvero<br />
poco conosciuto. Nel codice man. lat. 7276 B, del<br />
XV secolo, della Bibliothèque Nationale di Parigi,<br />
viene presentato un Equatore, cioè uno strumento<br />
astronomico per la determinazione della latitudine<br />
dei pianeti, secondo un modello inventato da<br />
Guillaume Gilliszon de Wissekerke. Sull'altra faccia<br />
si trova quello che viene chiamato un<br />
Astrolabium phisicum, cioè un astrolabio il cui uso,<br />
anche se adatto alle misurazioni astronomiche, è<br />
destinato prevalentemente all'astrologia. Il probabile<br />
autore che descrive l'Equatore di Gilliszoon,<br />
Guillaume de Carpentras, è conosciuto come un<br />
valente artigiano astronomo che costruì molti strumenti<br />
astronomici e gnomonici nella seconda metà<br />
del XV secolo 16 . Egli costruì, inoltre, "due astrolabi<br />
mostranti i didici segni zodiacali e i sette pianeti,<br />
di cui uno si trova nella città di Aix e l'altro fu<br />
donato al Monsignor de Bourbon.<br />
Gli studiosi fanno notare che non è normale<br />
trovare i pianeti associati al termine astrolabio.<br />
D'altra parte, l'esistenza della rappresentazione<br />
dei pianeti sull'astrolabio, come quello donato al<br />
duca di Borbone, è suffragata da altri testi del<br />
Catalogue de la bibliothéque des ducs de Bourbon en<br />
1524, in cui si legge "Y a en ladite librarie ung astrolabium<br />
regale ou sont les mouvements de la lune, de la<br />
sphere et des sept planetes et du Dragon, le tout en<br />
leton".<br />
Ma vediamo in breve cos'è questo Astrolabium<br />
phisicum. Viene descritto nella seconda parte del<br />
manoscritto citato ed è un astrolabio semplificato<br />
per scopi astrologici. Viene chiamato anche<br />
Astrolabio medico, in quanto uno degli obiettivi<br />
principali è quello di determinare i giorni e le ore<br />
più convenienti per i salassi e le medicazioni.<br />
All'interno della graduazione del lembo in gradi<br />
ed ore eguali, le tracce sono quelle di un timpano<br />
16 Si veda in proposito G. Arnaud d'Agnel, Les copmtes du roi René, t. III (Paris, 1910)<br />
degli orizzonti; l'Aranea è ridotta al solo zodiaco<br />
(fig.53), davanti al quale è stato tracciato, attorno al<br />
centro dello strumento, un cerchio graduato con i<br />
mesi e i giorni che ha la stessa funzione del calendario<br />
zodiacale usuale sul dorso di tutti gli astrolabi.<br />
Tre regoli, di cui due sono a doppie branchie<br />
formano tra loro un angolo di 120° e un angolo di<br />
60°, giranti attorno al centro dello strumento e che<br />
servono a localizzare le "case celesti".<br />
Gli usi astronomici sono limitati alla trasformazione<br />
delle ore eguali in ore ineguali, alla determinazione<br />
dell'arco diurno o notturno, del grado<br />
ascendente e del momento del levare e sorgere del<br />
Sole. Interessante è anche la lista delle trenta stelle,<br />
date per indicazioni puramente astrologiche, di cui<br />
molte appaiono raramente nelle liste delle stelle<br />
degli astrolabi normali, come per esempio la<br />
citazione delle costellazioni Triangulus e Lupus.<br />
Un'altro strumento merita di essere ricordato.<br />
Appartiene alla collezione J.A. Billmeier, ed è conservato<br />
al Museo di Storia delle Scienze di Oxford<br />
(catalogo n° 57-84/176). Possiamo definirlo un<br />
"astrolabio-equatorio", rusalente alla fine del XV<br />
secolo, ed è identico ad un tipo descritto da<br />
Francesco Sarzosio in un suo trattato stampato nel<br />
1526. Varie circostanze inducono a pensare che<br />
questo strumento possa essere opera di Francesco<br />
Fineo, padre di Oronzo.<br />
La parte astrolabica di questo strumento (figg. 54-<br />
55-56) è composta da due timpani per due diverse<br />
latitudini. Sulla faccia del primo timpano non sono<br />
riportate nè le ore ineguali, nè le "case celesti", nè<br />
gli azimut, nè linee crepuscoline, ma solamente gli<br />
almucantarat per ogni cinque gradi, mentre l'altra<br />
faccia dello stesso timpano non riporta che le dodici<br />
"case celesti" e le loro suddivisioni per una latitudine<br />
di 45°.<br />
La prima faccia del secondo timpano riporta (latit.<br />
45°) gli almucantarat incisi per ogni cinque gradi e<br />
gli azimut; l'altra faccia è un timpano astrologico,<br />
come quello già visto di Guillaume di Wissekerke.<br />
La realizzazione di questo "timpano medico" (perchè<br />
è il timpano dell'astrolabio detto "medico") è<br />
stata basata sul principio allora in uso che<br />
l'evoluzione di una malattia subisce un corso<br />
cronologico immutabile e la medicina ha bisogno<br />
di conoscere, per le sue prescrizioni, i pianeti che<br />
dominano le differenti tappe di questo corso, e per<br />
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47
conseguenza i gradi dello zodiaco che corrispondono<br />
a queste tappe. Piazzato quindi il grado dello<br />
zodiaco ove si trova il sole all'inizio della malattia<br />
sulla linea del mezzodì (initium morbi), si hanno<br />
direttamente i gradi dello zodiaco che si trovano<br />
su ciascuno degli "angoli" del timpano; la stessa<br />
operazione può farsi con la luna e le "case lunari"<br />
Conclusione<br />
La rinascita dell'astronomia nell'Europa del secoli<br />
XII e XIII contribuisce alla diffusione di uno strumento<br />
preciso e versatile come l'astrolabio. Dalla<br />
redazione di testi insicuri, in cui compaiono<br />
grossolani errori teorici e di costruzione, si arriva<br />
piano piano a sviluppare, durante il tardo periodo<br />
universitario, delle tecniche perfette di realizzazione<br />
grazie anche allo sviluppo delle nuove tecnologie<br />
artigiane.<br />
A questo proposito è importante sottolineare la<br />
grande difficoltà che si incontra nella classificazione<br />
e catalogazione degli astrolabi dall'anno<br />
Mille in poi, tenendo conto dei diversi particolari<br />
costruttivi che caratterizzavano le varie scuole<br />
europee. In più, è da considerare che pochissimi<br />
sono i pezzi firmati. Per esempio, non ci è giunto<br />
nessun astrolabio gotico (cioè realizzato in stile<br />
gotico) firmato - come fa rilevare Tullio Tomba in<br />
un suo articolo di qualche decennio fa 17 27<br />
-, pochissimi,<br />
uno o due, recano un monogramma quasi<br />
indecifrabile e in più ci sono le possibili modifiche<br />
avvenute nelle posizioni degli indici delle stelle, e<br />
questo rende quasi impossibile la loro datazione<br />
usuale col calcolo delle coordinate astronomiche.<br />
Dalla descrizione di Tomba dei due astrolabi latini<br />
risalenti al XIV secolo, possiamo notare i miglioramenti<br />
costruttivi apportati dagli artigiani e di cui<br />
faranno tesoro gli astrolabisti della Rinascenza:<br />
"...l'elemento degli archi trilobati è comune a quasi tutti<br />
gli strumenti delle prime scuole d'Occidente, ma qui è<br />
di una raffinatezza e di un equilibrio che troviamo ben<br />
di rado in altri esemplari insieme ad una tecnica di real-<br />
izzazione perfetta, degna del miglior professionismo...".<br />
Questi particolari, insieme con quello della sistemazione<br />
del lembo sulla madre per mezzo di<br />
spine cilindriche ribattute, si ritrovano sugli astrolabi<br />
dell'epoca, ed anche più antichi, come quello<br />
islamico del X secolo conservato nella collezione<br />
Lewis Evans di Oxford, che reca un lembo distinto<br />
dalla madre, oppure l'astrolabio gotico della<br />
collezione Michel, e l'ispano moresco della raccolta<br />
Billmeier, il gotico n° 175 della stessa ed altri 18 .<br />
Inoltre, tali particolari non si riscontrano con facilità<br />
nei testi medievali e pare che l'unico trattato che<br />
ne parli sia quello di Roberto Anglico nel capitolo<br />
"De inscriptione matris Rotule et Limbi" dei suoi rari<br />
Canones de Astrolabio, stampato a Perugia nel 1480,<br />
in cui afferma che il "Limbum seu margilabrum"<br />
deve essere adeguato al numero delle "Tabulae" e<br />
ci dà la precisa sensazione che questo pezzo costituisse<br />
un elemento a sé da potersi anche sostituire<br />
se si fosse presentata l'occasione di aumentare il<br />
numero dei timpani.<br />
Anche Peregrino di Maricourt, nella Nova compositio<br />
Astrolabii particularis (Codice Vaticano Latino<br />
1332, carta 14 r.) offre particolari costruttivi interessanti<br />
trattando di due procedimenti per la<br />
costruzione della madre e del lembo, l'uso del<br />
tornio oppure l'applicazione del lembo di una "tabula"<br />
con l'antica saldatura all'argento: "Vel aliter<br />
facies tabulam fabricari super quam limbum sibi aptum<br />
cum armilla decenter composita unges (sta per coniuges)<br />
cum argento in quo..." 19 .<br />
Sembrerà strano, ma nonostante la loro popolarità<br />
ben pochi sono gli astrolabi che si conservano in<br />
Italia, più precisamente sembrano esserne in<br />
numero non superiore ad una decina. Sempre il<br />
Tomba 20 , dà la seguente collocazione: 5 astrolabi<br />
sono conservati al Museo Copernicano di Monte<br />
Mario (Roma), 3 al Museo di Storia della Scienza di<br />
Firenze, 1 all'Osservatorio Astronomico di<br />
Bologna, 1 al Museo di Venezia.<br />
Questo probabilmente dimostra, nonostante tutto,<br />
come fossero in pochi i costruttori professionisti di<br />
astrolabi e strumenti astronomici in quell'epoca tra<br />
cui vanno ricordati i poco noti Ibrahim ibn Said as-<br />
Sahli di Valencia e Muhammed Ibn Futtuh di<br />
17 Tullio Tomba, Due astrolabi latini del XIV secolo conservati a Milano, in "Physis", VIII, 1966 - Olschki Ed., Firenze<br />
18 T. Tomba, ibid. p. 298<br />
19 T. Tomba, ibid., pp. 299-300<br />
20 T. Tomba Un astrolabio del XIV secolo di probabile origine italiana, in "Physis", anno 12, 1970, Leo S. Olschki ed. , Firenze<br />
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Siviglia.<br />
Gli studiosi segnalano un declino dell'astrolabio,<br />
dopo che ebbe raggiunto il culmine del successo,<br />
attorno alla fine del XIV secolo, proprio quando si<br />
apprestava a bussare alle porte della Rinascenza. E<br />
relativamente a quel periodo si segnala il trattato<br />
di Geoffry Chaucer, Treatise on the astrolabe, del<br />
1391, quale uno degli ultimi e più lucidi lavori sull'astrolabio.<br />
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