altezza sullo stesso e quelli ad essi perpendicolari; su questo ruota un secondo disco traforato che reca la proiezione dell'eclittica, semplificata in un cerchio anzichè in un'ellisse, con le relative stelle, indicate dalla "rete". Ma, come è stato dimostrato, questo libro risulta essere una versione tarda del trattato di Teone alessandrino (metà del IV sec. a.C.), pervenutoci attraverso una versione leggermente modificata in un testo di Severo Sebokht (VII secolo d.C.). E', quindi, lecito pensare che tutti abbiano attinto ad una sola fonte, peraltro tanto autorevole quale poteva essere quella di Tolomeo. fig. 1 4 Etimologia dell'astrolabio e le antiche opinioni sul Parapegma Il matematico canonico Giuseppe Settele, nel suo articolo Illustrazione di un antico Astrolabio, pubblicato nel primi anni del secolo scorso, così sintetizzò l'enigma dell'origine dell'astrolabio: "...Tolomeo nel lib. 5 dell'Almagesto, al capitolo 1, ci descrive una macchina da lui costruita e utile <strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi 5
per trovare la posizione del Sole, della Luna, e degli altri astri, e per seguire il moto degli stessi; era questa una specie di sfera armillare, perchè composta da più circoli, aveva i suoi traguardi, che allora facevan le veci di telescopio, e si chiamava astrolabio (astrolabon), parola che deriva da astron (astrum) e lambanw (consequor). Nell'Enciclopedia metodica (di Diderot, D'Alembert - nda), all'articolo "Astrolabe"; nel tomo I, pag.567 della "Storia dell'Astronomia" di Bailly, e nel tomo I, pag. 306 della "Storia della Matematica" di Montucla, si riporta che la macchina, in seguito chiamata Astrolabio, è proprio quella descritta da Tolomeo nel suo Almagesto...". Naturalmente, Settele si oppone a queste asserzioni rilevando che la "macchina" di Tolomeo non era altro che l'armilla meridiana (descritta anche da Proclo in Hypotyposis astronomicarum positionum), un anello di metallo diviso in 360°, con un'altro circolo concentrico mobile con due pinnule, infisso su di un pilastro e posto perpendicolarmente al piano del meridiano che serviva a determinare l'obliquità dell'eclittica e, in genere, a misurare l'altezza degli astri. "Non credo - scrive il Settele - che questa macchina potesse dare origine a quella che poi, per antonomasia, fu chiamata Astrolabio, perchè l'Astrolabio, nei tempi posteriori, era propriamente la proiezione della sfera sul piano, come può rilevarsi dai diversi passi della lettera di Sinesio a Poenio sul Dono dell'astrolabio". A questo proposito si deve notare che la lettera di Sinesio a Peonio (circa 410 d.C.), ritenuta da certi autori moderni responsabile di aver tratto in inganno gli studiosi del passato che hanno attribuito, sulla base di questa, l'invenzione dell'astrolabio a Tolomeo o addirittura ad Ipparco, non aveva ingannato invece il Settele che pure scriveva all'inizio dell'Ottocento. Secondo Settele, altri autori sostenevano che Vitruvio nominò nella sua Architettura (Lib. 9, cap.7), una parola che avrebbe dovuto indicare un astrolabio: "...Quorum inventa secuti, syderum et occasus, et ortus, tempestatumque significatus, Eudoxus, Eudemon, Callixtus, Melo, Philippus, Hipparchus, Aratus, caeterique ex Astrologia, parapegmatum disciplinis invenerunt, et eas posterius explicatas reliquerunt...". In cui la parola "parapegmatum", ha dato filo da torcere agli interpreti nelle varie epoche, ed il Settele espone la questione così: "... Il Baldi, appresso il Filandro ed il Barbaro dice: certè de astrolabiis, dioptris, armillis, radiis, et coeteris ejuscemodi intelligi debere". Il Perrault nella nota al detto passo di Vitruvio vuole che la frase "parapegmatum disciplinis" debba intendersi per "l'uso degli strumenti che servono nelle osservazioni astronomiche". Mentre Claudio Salmasio, crede che "parapegma" stia ad indicare una lastra di rame sulla quale vi sono incise una serie di linee relative al percorso delle stelle sulla sfera celeste ed altre indicazioni astronomiche. In questo caso la parola "parapegma" sarebbe usata per discernere propriamente gli strumenti scientifici (parapegmi) per lo studio del cielo. Il Settele approva questa tesi in quanto il termine, la cui origine è evidentemente greca, significa letteralmente "una cosa inchiodata, e fermata", che porta a pensare all'"unione di più pezzi", come possono essere appunto le lastre di rame simili agli strumenti per l'osservazione astronomica, o proprio le lastre che compongono un astrolabio del tipo classico. Infatti, Berardo Galiani, traduce "Parapegmatum disciplinis" in "colla scienza degli Astrolabii", senza che abbia dimostrato con ciò la verità della propria conclusione. Altri autori, sebbene non del tutto apertamente, ma tacitamente, evitano di identificare il "Parapegma" con l'Astrolabio. Così, Dionisio Petavio (Auctar. L.2, Cap.8) chiama "parapegmata" quelle tabelle sulle quali venivano registrate le osservazioni celesti e meteorologiche. Francesco Bianchini (de Kalend. et cyclo Caesaris) dà al calendario cesariano anche il nome di "parapegma". Montucla, dice che Democrito scrisse delle effemeridi chiamate "parapegmi", come fecero successivamente Eudosso, Ipparco e Tolomeo. Premesse le ipotesi a favore e contro l'identificazione della parola "parapegma" in "astrolabio", Settele espone il suo pensiero: "Il Filandro e il Vossio ne derivano l'etimologia dal verbo greco paraphgniw "idest adpingo, sive affigo": era dunque il parapegma una macchina risultante da più pezzi riuniti e sovrapposti l'uno all'altro. Gli antichi, quindi, chiamavano con "parapegmata", o "pegma", le macchine propriamente dette, e non le semplici lamine su cui erano incise le osservazioni. Difatti, Teone chiama pinacaz queste lastre e non "parapegmata". Il "Siderum et occasus et ortus", per Vitruvio poteva ottenersi appunto con delle macchine che facili- <strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi 6