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IL LIBRO DEGLI ASTROLABI - Nicola Severino

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per trovare la posizione del Sole, della Luna, e<br />

degli altri astri, e per seguire il moto degli stessi;<br />

era questa una specie di sfera armillare, perchè<br />

composta da più circoli, aveva i suoi traguardi, che<br />

allora facevan le veci di telescopio, e si chiamava<br />

astrolabio (astrolabon), parola che deriva da<br />

astron (astrum) e lambanw (consequor).<br />

Nell'Enciclopedia metodica (di Diderot,<br />

D'Alembert - nda), all'articolo "Astrolabe"; nel<br />

tomo I, pag.567 della "Storia dell'Astronomia" di<br />

Bailly, e nel tomo I, pag. 306 della "Storia della<br />

Matematica" di Montucla, si riporta che la macchina,<br />

in seguito chiamata Astrolabio, è proprio quella<br />

descritta da Tolomeo nel suo Almagesto...".<br />

Naturalmente, Settele si oppone a queste<br />

asserzioni rilevando che la "macchina" di Tolomeo<br />

non era altro che l'armilla meridiana (descritta anche<br />

da Proclo in Hypotyposis astronomicarum positionum),<br />

un anello di metallo diviso in 360°, con<br />

un'altro circolo concentrico mobile con due pinnule,<br />

infisso su di un pilastro e posto perpendicolarmente<br />

al piano del meridiano che serviva a<br />

determinare l'obliquità dell'eclittica e, in genere, a<br />

misurare l'altezza degli astri.<br />

"Non credo - scrive il Settele - che questa macchina<br />

potesse dare origine a quella che poi, per antonomasia,<br />

fu chiamata Astrolabio, perchè l'Astrolabio,<br />

nei tempi posteriori, era propriamente la<br />

proiezione della sfera sul piano, come può rilevarsi<br />

dai diversi passi della lettera di Sinesio a Poenio<br />

sul Dono dell'astrolabio".<br />

A questo proposito si deve notare che la lettera di<br />

Sinesio a Peonio (circa 410 d.C.), ritenuta da certi<br />

autori moderni responsabile di aver tratto in<br />

inganno gli studiosi del passato che hanno<br />

attribuito, sulla base di questa, l'invenzione dell'astrolabio<br />

a Tolomeo o addirittura ad Ipparco,<br />

non aveva ingannato invece il Settele che pure<br />

scriveva all'inizio dell'Ottocento.<br />

Secondo Settele, altri autori sostenevano che<br />

Vitruvio nominò nella sua Architettura (Lib. 9,<br />

cap.7), una parola che avrebbe dovuto indicare un<br />

astrolabio: "...Quorum inventa secuti, syderum et<br />

occasus, et ortus, tempestatumque significatus,<br />

Eudoxus, Eudemon, Callixtus, Melo, Philippus,<br />

Hipparchus, Aratus, caeterique ex Astrologia, parapegmatum<br />

disciplinis invenerunt, et eas posterius<br />

explicatas reliquerunt...". In cui la parola "parapegmatum",<br />

ha dato filo da torcere agli interpreti nelle<br />

varie epoche, ed il Settele espone la questione così:<br />

"... Il Baldi, appresso il Filandro ed il Barbaro dice:<br />

certè de astrolabiis, dioptris, armillis, radiis, et<br />

coeteris ejuscemodi intelligi debere".<br />

Il Perrault nella nota al detto passo di Vitruvio<br />

vuole che la frase "parapegmatum disciplinis" debba<br />

intendersi per "l'uso degli strumenti che servono nelle<br />

osservazioni astronomiche". Mentre Claudio<br />

Salmasio, crede che "parapegma" stia ad indicare<br />

una lastra di rame sulla quale vi sono incise una<br />

serie di linee relative al percorso delle stelle sulla<br />

sfera celeste ed altre indicazioni astronomiche. In<br />

questo caso la parola "parapegma" sarebbe usata<br />

per discernere propriamente gli strumenti scientifici<br />

(parapegmi) per lo studio del cielo. Il Settele<br />

approva questa tesi in quanto il termine, la cui<br />

origine è evidentemente greca, significa letteralmente<br />

"una cosa inchiodata, e fermata", che porta<br />

a pensare all'"unione di più pezzi", come possono<br />

essere appunto le lastre di rame simili agli strumenti<br />

per l'osservazione astronomica, o proprio le<br />

lastre che compongono un astrolabio del tipo classico.<br />

Infatti, Berardo Galiani, traduce<br />

"Parapegmatum disciplinis" in "colla scienza degli<br />

Astrolabii", senza che abbia dimostrato con ciò la<br />

verità della propria conclusione.<br />

Altri autori, sebbene non del tutto apertamente,<br />

ma tacitamente, evitano di identificare il<br />

"Parapegma" con l'Astrolabio. Così, Dionisio<br />

Petavio (Auctar. L.2, Cap.8) chiama "parapegmata"<br />

quelle tabelle sulle quali venivano registrate le<br />

osservazioni celesti e meteorologiche. Francesco<br />

Bianchini (de Kalend. et cyclo Caesaris) dà al calendario<br />

cesariano anche il nome di "parapegma".<br />

Montucla, dice che Democrito scrisse delle effemeridi<br />

chiamate "parapegmi", come fecero successivamente<br />

Eudosso, Ipparco e Tolomeo. Premesse<br />

le ipotesi a favore e contro l'identificazione della<br />

parola "parapegma" in "astrolabio", Settele espone<br />

il suo pensiero:<br />

"Il Filandro e il Vossio ne derivano l'etimologia dal<br />

verbo greco paraphgniw "idest adpingo, sive<br />

affigo": era dunque il parapegma una macchina<br />

risultante da più pezzi riuniti e sovrapposti l'uno<br />

all'altro. Gli antichi, quindi, chiamavano con<br />

"parapegmata", o "pegma", le macchine propriamente<br />

dette, e non le semplici lamine su cui erano<br />

incise le osservazioni. Difatti, Teone chiama<br />

pinacaz queste lastre e non "parapegmata". Il<br />

"Siderum et occasus et ortus", per Vitruvio poteva<br />

ottenersi appunto con delle macchine che facili-<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> Il Libro degli Astrolabi<br />

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