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<strong>in</strong> questo caso del telefon<strong>in</strong>o e dei suoi strumenti di autocorrezione, quasi<br />

fosse un superego giusto e puntiglioso – piuttosto che un <strong>in</strong>conscio dispettoso<br />

– che censura o piuttosto riord<strong>in</strong>a i miei pensieri e desideri. Altro che<br />

<strong>in</strong>tenzione nascosta! Se <strong>in</strong> un tempo prenumerico il lapsus avrebbe potuto<br />

far immag<strong>in</strong>are che al momento di scrivere stavo furtivamente pensando<br />

magari a più di una persona, adesso l’algoritmo di correzione riord<strong>in</strong>a le<br />

mie possibilità di desiderio, ricordandomi che l’occorrenza più frequente è<br />

il vi, piuttosto che il ti – trovando peraltro una curiosa omologia con le reali<br />

abitud<strong>in</strong>i sessuali dei nostri contemporanei, dove avere più di un legame<br />

alla volta, o trovarsi con più di un partner alla volta, non è né <strong>in</strong>frequente<br />

né socialmente riprovevole come un tempo: <strong>in</strong>somma riord<strong>in</strong>ando e suggerendo<br />

la possibilità più frequente e opportuna al mio desiderio. E forse<br />

è proprio questo che gli algoritmi ci vogliono dire giorno dopo giorno, che<br />

sono loro il nostro nuovo motore oscuro, il nostro nuovo abisso <strong>in</strong>conscio,<br />

che la formazione storica dell’<strong>in</strong>conscio, quello di Freud e della sua<br />

progenie, quello che mediava tra le tante istanze che ci tormentavano, ha<br />

fatto il suo tempo, non serve più, sono superate la sua stessa esistenza e<br />

consistenza, come sono superate le nevrosi, ora che anche disagio psichico<br />

e psicologico sono entrati a pieno titolo nel regno dei numeri, sono<br />

cioè ormai completamente farmacologizzati, ovvero ridotti a modelli di<br />

comportamento, profili, tipologie operative, che una volta riconosciuti e<br />

<strong>in</strong>casellati, zac, facilmente li possiamo disattivare, proprio perché riusciamo<br />

a <strong>in</strong>serirli <strong>in</strong> un algoritmo di riabilitazione o a riscriverli secondo una<br />

corretta procedura di guarigione (c’è chi pensa addirittura che <strong>in</strong> questo<br />

modo si guarirà dall’omosessualità). Insomma, gli algoritmi stanno cercando<br />

onestamente di dirci che loro sono venuti per sostituirsi al nostro<br />

caro vecchio pulsare <strong>in</strong>conscio, che rottameranno, per usare un term<strong>in</strong>e<br />

alla moda, quell’<strong>in</strong>gombrante e capricciosa ragnatela che portavamo dentro<br />

di noi – e dentro cui a volte rimanevamo impigliati –, ma noi niente, non<br />

ne vogliamo sapere. Siamo restii a ascoltare, malgrado i tanti aedi della<br />

tecnologia, la loro voce che ci assicura una presente e futura libertà da<br />

ogni disord<strong>in</strong>e, imprevisto, problema irresolubile. Chissà poi perché? Sarà<br />

che ancora siamo troppo legati ai nostri lapsus, o piuttosto alla paura di<br />

perdere la loro comoda compagnia, e forse anche soggiogati dalla paura di<br />

abbandonarci ai nostri io r<strong>in</strong>novati dalla tecnologia, per capire che i lapsus<br />

non esisteranno più nel nostro futuro, perché il nostro futuro non avrà più<br />

spazio per i rebus della psiche, ma solo per errori che si correggeranno,<br />

magari da soli, attivando le corrette procedure. Perché errare è umano,<br />

e anche con gli algoritmi alla nostra guida non potremmo farne a meno.<br />

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