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ho venduto il mio tempo per fare i regali di natale - Altervista

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ifiuto della guerra ci sono stati. Il 4 novembre qualcuno ha già passeggiato sotto i portici <strong>di</strong> via<br />

Roma con un cartello appeso al collo nel quale <strong>di</strong>chiara che non <strong>di</strong> festa ma <strong>di</strong> lutto si tratta. Ci sono<br />

stati anche processi. L’Italia, allora un po’ ‘lazzarona’, urlava urlava ma poi tutti a casa, a ripetere<br />

gli stanchi rituali che i me<strong>di</strong>a reclamizzavano. Le vie dei cambiamenti profon<strong>di</strong> <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>mente sono<br />

<strong>di</strong> massa ed indolori. Pinna, segretario <strong>di</strong> Capitini, fondatore del Movimento nonviolento italiano<br />

aveva conosciuto <strong>il</strong> carcere e la repressione da parte delle autorità m<strong>il</strong>itari <strong>per</strong> <strong>il</strong> suo rifiuto <strong>di</strong><br />

indossare la <strong>di</strong>visa. Fummo insieme nel 1967 in un campeggio <strong>di</strong> nonviolenti a Montoggio.<br />

Fui inviato, allora, <strong>per</strong>ché ritenuto più ‘presentab<strong>il</strong>e’ in quanto insegnante, a chiedere<br />

l’autorizzazione <strong>per</strong> la manifestazione alla Questura <strong>di</strong> Torino. Fui ricevuto ed un graduato, che<br />

stendeva la richiesta, rimase imbarazzato quando <strong>di</strong>chiarai che non una <strong>per</strong>sona specifica od<br />

un’organizzazione comunicava l’intento <strong>di</strong> manifestare ma un gruppo <strong>di</strong> beatniks. Si fece s<strong>il</strong>labare <strong>il</strong><br />

nome e credo che nella patrie questure quella fu la prima volta che ufficialmente, su documenti,<br />

apparve <strong>il</strong> nome, troppo complicato <strong>per</strong> i questurini e <strong>per</strong> i lettori frettolosi dei quoti<strong>di</strong>ani nazionali,<br />

<strong>per</strong> cui fu più fac<strong>il</strong>e, da destra come da sinistra, ironizzare sui ‘capelloni’, che non erano<br />

catalogab<strong>il</strong>i, non votavano, non si schieravano nell’agone politico (3).<br />

La manifestazione fu vietata. Ci si radunò, allora, ‘capelloni’ provenienti da <strong>di</strong>verse città, forse un<br />

centinaio, in piazza Castello, dove campeggia <strong>il</strong> Palazzo Madama (la Madama reale che scatenò la<br />

repressione dei Valdesi), e, accanto, un sinistro complesso monumentale de<strong>di</strong>cato al Duca d’Aosta<br />

che mostra m<strong>il</strong>itari <strong>di</strong> varie armi. Per evitare <strong>il</strong> <strong>di</strong>vieto a <strong>di</strong>ffondere volantini non autorizzati ci si<br />

coprì con ponc<strong>ho</strong> <strong>di</strong> lenzuola sui quali stavano scritti slogan <strong>di</strong> pace e contro la guerra in Viet-nam.<br />

Noi pensavamo che essendo ‘abiti’ non rientravano nella stampa e quin<strong>di</strong> erano tacitamente<br />

<strong>per</strong>messi. Ci accampammo sulla grande base in marmo scuro del monumento, in s<strong>il</strong>enzio, a<br />

testimonianza del fatto che non tutti accettavano come lecita la violenza della guerra. Arrivò la<br />

Polizia e caricò. Non reagimmo e praticammo la resistenza passiva, facendoci, cioè, trascinare via<br />

ad uno ad uno. Fummo schedati e r<strong>il</strong>asciati. Un gruppo <strong>di</strong> noi continuò la manifestazione sotto<br />

forma <strong>di</strong> scio<strong>per</strong>o della fame in un locale <strong>per</strong>iferico, che scoprimmo, poi, essere un club gay.<br />

Grazie, anche se in ritardo. Lo scio<strong>per</strong>o durò tre giorni. Alla fine giunse nuovamente la Polizia che<br />

ci portò in Centrale, registrò i nostri documenti, comp<strong>il</strong>ò un ‘foglio <strong>di</strong> via’ <strong>per</strong> i non residenti, spedì<br />

alcuni <strong>di</strong> noi in ospedale <strong>per</strong> verificare le nostre con<strong>di</strong>zioni fisiche (dovevamo essere mal messi!) e<br />

poi ci buttò fuori dalle scatole. In seguito a tale trattamento decisi <strong>di</strong> andare a Parigi in autostop con<br />

la compagna <strong>di</strong> Gesù, un già punto <strong>di</strong> riferimento dei capelloni dei Giar<strong>di</strong>ni Reali, <strong>il</strong> quale, <strong>per</strong>ò, si<br />

era def<strong>il</strong>ato evitando <strong>di</strong>giuno, pestaggio e schedatura. Dopo traversie le più <strong>di</strong>verse giunsi a Parigi,<br />

fui subito arrestato, poi r<strong>il</strong>asciato, incontrai i Provos ed altri amici <strong>di</strong> M<strong>il</strong>ano, ritornai a Torino,<br />

risalii <strong>per</strong> una seconda volta a Parigi <strong>per</strong> cercare una fanciulla scappata da casa e infine mi rintanai<br />

nella mia soffitta che dava sulla più grande piazza a fianco del Po. Feci ancora un viaggio a Roma<br />

<strong>per</strong> incontrare i redattori <strong>di</strong> un giornale giovan<strong>il</strong>e ed al ritorno, prima che iniziasse la scuola,<br />

ricevetti, portatami da Barba <strong>di</strong> Firenze (come Gesù o Ginsberg anche Barba era un nome <strong>di</strong> banda)<br />

una lettera inviatami da Fernanda Pivano che conoscevo come traduttrice dei poeti beat americani.<br />

Come si vede, Fernanda era allora impegnata sul fronte del pacifismo nonviolento. Non <strong>di</strong>sdegnava<br />

l’incontro con <strong>per</strong>sone come <strong>il</strong> sottoscritto né con altre del genere. Amica <strong>di</strong> Ginsberg, <strong>il</strong> poeta<br />

americano, s<strong>per</strong>ava <strong>di</strong> trovare tracce del suo st<strong>il</strong>e nell’ arcipelago <strong>di</strong> giovani uomini e donne che<br />

cercavano <strong>di</strong> inventarsi un nuovo st<strong>il</strong>e <strong>di</strong> vita. Fui molto emozionato. La lettera la conservo con<br />

cura, come le altre che da lei ricevetti dal 1966 al 1968. Partii imme<strong>di</strong>atamente, con un giovane<br />

amico che poi si def<strong>il</strong>ò, <strong>per</strong> M<strong>il</strong>ano. Presi <strong>il</strong> treno, <strong>per</strong> arrivare in <strong>tempo</strong>. Fu quello l’inizio <strong>di</strong> un<br />

flirt tra me e la città, più complessa <strong>di</strong> Torino ma, in qualche misura, più a<strong>per</strong>ta. Ebbi occasione <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>re a Matteo Guarnaccia, qualche <strong>tempo</strong> fa: “A M<strong>il</strong>ano ci sono gli angeli ed a Torino i cimiteri.<br />

Occorrerebbe collegare le due realtà”. Intendevo affermare che M<strong>il</strong>ano mi pareva aerea, attraversata<br />

da stimoli e collegamenti i più <strong>di</strong>versi mentre Torino era più catacombale, introversa, alchemica.<br />

Unire le due anime avrebbe aiutato <strong>il</strong> ‘movimento’ a raggiungere consapevolezze nuove, non<br />

frivole, non cogitabonde. Con Matteo e la sua dolce compagna i contatti continuano (4) e M<strong>il</strong>ano,<br />

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