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Elena dell'Agnese La mascolinità del cowboy nel cinema western ...

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<strong>La</strong> questione <strong>del</strong>la <strong>mascolinità</strong>, o meglio quella <strong>del</strong>la costruzione <strong>del</strong>la <strong>mascolinità</strong><br />

attraverso una serie di confronti o di riti di passaggio, è, secondo alcuni autori, uno dei<br />

temi centrali che accomunano gran parte dei testi riconducibili al genere “<strong>western</strong>”<br />

(Mitchell, 1996). Si tratta di un percorso formativo che prevede l’acquisizione di un<br />

determinato pacchetto di competenze (Peek, 2003): “farsi uomini”, in un mondo in cui<br />

contano solamente le capacità individuali, significa imparare a conoscere e, di<br />

conseguenza, imparare a dominare. Il processo prevede l’acquisizione <strong>del</strong> controllo e<br />

<strong>del</strong> dominio sopra la natura (che bisogna imparare a conoscere per poter sopravvivere in<br />

essa, per trarne sostentamento, e per difendersi dai nemici che vi allignano, serpenti a<br />

sonagli e indiani compresi), ma anche l’apprendimento <strong>del</strong>le tecniche per andare a<br />

cavallo (il piedidolci, ovviamente, va a piedi) e per controllare la mandria. Bisogna<br />

inoltre saper dominare l’Altro, cui si è superiori “naturalmente” (come l’indiano, o il<br />

messicano), o “culturalmente” (come l’inglese). Bisogna saper dominare se stessi, senza<br />

lasciarsi prendere dall’ira, dalla sete di vendetta, dall’avidità, e bisogna anche imparare<br />

a dominare il proprio corpo, che può talora subire orribili violenze. Soprattutto, bisogna<br />

imparare a porsi al di sopra dei pari (cioè degli altri americani): ciò significa saper<br />

cavalcare meglio, sparare più veloci, usare il lazo con facilità, imponendo così la<br />

propria superiorità sui <strong>cowboy</strong> meno capaci, su “quelli di città”, su quelli <strong>del</strong>l’Est, che<br />

non solo non sanno cavalcare, ma sono spesso rappresentati come deboli, effeminati,<br />

troppo curati, nevrotici e malaticci, o perversamente cattivi 22 .<br />

Poiché si tratta di un percorso di apprendimento che ha a che fare con abilità ritenute<br />

esclusivamente “maschili”, la sfida si gioca solo fra maschi, in un mondo che esclude le<br />

donne, ponendole non solo al di fuori dei diritti di eguaglianza (come i negri e gli<br />

indiani), ma addirittura al di fuori <strong>del</strong>l’agone competitivo (il processo di costruzione<br />

<strong>del</strong>la femminilità non è mai preso in considerazione: le donne devono solo saper stare in<br />

casa e aspettare, mentre per acquisire lo status di eroi gli uomini devono compiere <strong>del</strong>le<br />

imprese e avere successo).<br />

In questo processo di produzione <strong>del</strong>l’immaginario <strong>del</strong> West come di un agone fra soli<br />

uomini, la rappresentazione filmica ha giocato un ruolo fondamentale. Nel mo<strong>del</strong>lo<br />

letterario suggerito da Il Virginiano, infatti, la natura verbale <strong>del</strong> testo consente di<br />

introdurre un Io narrante: un “turista” <strong>del</strong>l’Est che visita il Wyoming, incontra il<br />

<strong>cowboy</strong> e ne racconta le vicende, costantemente contrapponendo la prestanza fisica e la<br />

pronta intelligenza di quello con le proprie inadeguatezze. Grazie a questo artificio<br />

narrativo, lo sguardo ammirato di un altro personaggio maschile attribuisce al<br />

Virginiano lo status di eroe anche davanti al lettore, senza imporre la necessità di una<br />

specifica prestazione di successo. In tal modo, il <strong>cowboy</strong>, la cui superiorità viene<br />

decantata senza bisogno di metterla alla prova, non ha bisogno di altri competitori<br />

maschili e può essere protagonista di una storia d’amore.<br />

Nella narrazione <strong>cinema</strong>tografica, invece, il ruolo <strong>del</strong>l’Io narrante è quasi sempre<br />

sostituito da quello dalla macchina da presa. Solo attraverso lo svolgersi <strong>del</strong>la trama, il<br />

<strong>cowboy</strong> può dimostrare le proprie capacità sociali (e, in forma traslata, anche quelle<br />

politiche); mentre le sue caratteristiche fisiche possono essere descritte allo spettatore<br />

solo attraverso l’indugiare <strong>del</strong>l’obiettivo. Poiché la sostanza eroica <strong>del</strong> <strong>cowboy</strong> non<br />

consiste <strong>nel</strong>la sua abilità di seduttore, ma piuttosto <strong>nel</strong>la sua capacità di insegnare alla<br />

società a seguire le regole <strong>del</strong>l’uguaglianza sociale e <strong>del</strong>la democrazia politica, le trame<br />

<strong>cinema</strong>tografiche vengono così ad essere imperniate su performance di competenza,<br />

riducendo le vicende amorose a ingredienti marginali. Il percorso di costruzione <strong>del</strong>la<br />

22 Le biografie di Theodore Roosevelt raccontano di come il futuro presidente, nato in una ricca famiglia<br />

<strong>del</strong>l’Est, ma innamorato sin da bambino dei miti <strong>del</strong>l’Ovest, si fosse guadagnato, non appena giunto<br />

<strong>nel</strong>l’Ovest, il poco lusinghiero soprannome di “quattrocchi”, riuscendo poi a liberarsene solo in seguito ad<br />

un vivace intervento in una rissa da saloon.

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