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Elena dell'Agnese La mascolinità del cowboy nel cinema western ...

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hanno mai saputo scegliere un protagonista che non fosse il solito maschio<br />

anglosassone, capace di torreggiare al di sopra di ogni situazione (fa eccezione Il<br />

piccolo grande uomo, in cui la dimensione critica nei confronti <strong>del</strong>la mitologia <strong>del</strong> West<br />

viene resa esplicita giocando, sin dal titolo, con le caratteristiche fisiche <strong>del</strong><br />

protagonista: il “piccolo” Dustin Hoffman). Se i canoni estetici sono difficilmente<br />

alterabili, più rigidi ancora risultano essere quelli razziali. Anche da questo punto di<br />

vista, i <strong>cowboy</strong> alternativi sono assai poco numerosi, e le produzioni raramente toccano<br />

la questione utilizzando interpreti di colore. Ovviamente ci sono <strong>del</strong>le eccezioni; per<br />

esempio, <strong>nel</strong> 1972, Sidney Poitier dirige e interpreta un <strong>western</strong> dichiaratamente<br />

antirazzista dal titolo Non predicare…spara; <strong>nel</strong> cast de Gli spietati, <strong>del</strong> 1992, di<br />

Eastwood appare Morgan Freeman <strong>nel</strong> ruolo di un …, e il protagonista di Wild Wild<br />

West, un <strong>western</strong> in parte comico in parte fantascientifico <strong>del</strong> 1999, è Will Smith. Il<br />

registro umoristico predomina anche in Mezzogiorno e mezzo di fuoco, <strong>del</strong> 1974, in cui<br />

l’intero genere <strong>western</strong> viene messo in satira dal regista Mel Brooks, e il <strong>cowboy</strong> nero è<br />

inserito come tocco farsesco. Ancora più rari sono stati poi i tentativi di rappresentare<br />

<strong>cowboy</strong> al femminile: come sporadico esempio si può ricordare Pronti a morire, <strong>del</strong><br />

1995, in cui Sharon Stone veste i panni di un pistolero.<br />

Un tentativo più articolato di rileggere l’immagine <strong>del</strong> <strong>cowboy</strong>, presentandone una<br />

versione estrema, ai limiti <strong>del</strong>la caricatura, è stato compiuto, al di fuori <strong>del</strong> mondo<br />

<strong>cinema</strong>tografico americano, da Sergio Leone. Il protagonista <strong>del</strong>la sua “trilogia <strong>del</strong><br />

dollaro” è infatti tanto fulgido <strong>nel</strong> suo essere alto, bello, biondo, da rappresentare quasi<br />

“una maschera” (Günsberg, 2005). Alla rappresentazione di Clint Eastwood come “iper<strong>cowboy</strong>”,<br />

Leone aggiunge poi, <strong>nel</strong>la sua opera di rivisitazione degli stereotipi <strong>del</strong> genere<br />

<strong>western</strong>, anche quella, assolutamente inusitata, di Henry Fonda <strong>nel</strong> ruolo di “cattivo” e<br />

usa frequenti close-up dei suoi celebri occhi azzurri, proprio per dimostrarne la spietata<br />

cru<strong>del</strong>tà (C’era una volta il West, 1968). <strong>La</strong> sua forza eversiva non viene tuttavia capita,<br />

e tanto meno raccolta, dalla pletora degli imitatori. Al contrario, l’esibizione di super<strong>mascolinità</strong><br />

dei suoi film diventa un mo<strong>del</strong>lo da imitare. In Italia, dei circa 400 spaghetti<br />

<strong>western</strong> girati dopo l’uscita di Per un pugno di dollari, i protagonisti sono usualmente<br />

alti e belli, talora spietati, mai spiritosi. Negli Stati Uniti, dove l’opera di Leone ha tanto<br />

successo da segnare una svolta <strong>nel</strong>l’intero genere <strong>western</strong> (Mitchell, 1996), la maschera<br />

di Eastwood viene replicata in innumerevoli pellicole dirette da altri registi (come Don<br />

Siegel) o dallo stesso attore, sino a divenire una icona <strong>cinema</strong>tografica tanto forte 26 , da<br />

essere seconda solo a quella di John Wayne 27 . Ma perde la sua carica ironica.<br />

Di fronte a questa fissità dei tratti fisici e morali <strong>del</strong> <strong>cowboy</strong>, non è strano che la<br />

questione <strong>del</strong>la eterosessualità maschile rimanga sostanzialmente indiscussa lungo tutto<br />

l’arco di vita <strong>del</strong> genere <strong>western</strong>. Al contrario, i margini di indeterminatezza aperti da<br />

un genere <strong>cinema</strong>tografico interamente centrato su vicende di uomini offrono il destro a<br />

pesanti tratti di omofobia, presenti anche quando, per una rara eccezione, la questione<br />

viene affrontata in modo esplicito (vedi L’uomo da marciapiede). Non deve perciò<br />

stupire che il meccanismo di identificazione narcisistica, se da un lato spiega il costante<br />

successo <strong>del</strong> <strong>cowboy</strong> come un mo<strong>del</strong>lo esemplare di <strong>mascolinità</strong>, dall’altro spinga a<br />

negare in maniera recisa la possibilità di esplorare le ambiguità <strong>del</strong>la vita nomade dei<br />

26 In Back to the Future III, il giovane Michael J. Fox, catapultato dall’America contemporanea all’epoca<br />

<strong>del</strong> West, si presenta agli attoniti cittadini <strong>del</strong> tempo con il nome che gli sembra più adatto al contesto:<br />

quello di Clint Eastwood.<br />

27 Nella lista <strong>del</strong>le star <strong>del</strong> <strong>cinema</strong> più amate dagli americani, che la società di ricerche di mercato Harris<br />

compila annualmente, Wayne, pur morto da molti anni, è costantemente presente, anche se la sua<br />

posizione è scivolata dal primo posto <strong>del</strong> 1995 al sesto <strong>del</strong> 2005; Eastwood è presente a sua volta, anche<br />

se sempre alle spalle di Wayne.

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