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Elena dell'Agnese La mascolinità del cowboy nel cinema western ...

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<strong>cinema</strong>tografiche successive. Secondo la struttura tipica <strong>del</strong> <strong>western</strong>, <strong>del</strong>ineata in modo<br />

esemplare da pellicole come Il cavaliere <strong>del</strong>la valle solitaria di G. Stevens, <strong>del</strong> 1953, o<br />

Il cavaliere pallido di Clint Eastwood, <strong>del</strong> 1985, e poi moltiplicata in centinaia di<br />

varianti, l’eroe è infatti un <strong>cowboy</strong> che viene dalla “natura”, sa sparare meglio di tutti,<br />

aiuta i cittadini onesti ma pavidi a combattere i cattivi e, dopo aver insegnato alla<br />

comunità a reggersi da sola, ritorna dal nulla da dove è venuto (Wright, 1975). In questo<br />

schema ideale, la triangolazione fra l’eroe, la comunità e i cattivi (che spesso vengono<br />

dall’Est e comunque sono “cattivi” perché avidi e pretendono di imporre i propri diritti<br />

su quelli degli altri), diventa funzionale per ribadire i valori <strong>del</strong>l’individualismo e i<br />

principi di uguaglianza “naturale” di tutti gli individui nei confronti <strong>del</strong>la proprietà <strong>del</strong>la<br />

terra (Wright, 2001).<br />

Nella narrazione di una iconografia nazionale che <strong>del</strong>la frontiera andava facendo la<br />

propria etnostoria e <strong>del</strong> “selvaggio West” il proprio etnopaesaggio, il <strong>cowboy</strong> è così<br />

emerso come la figura meglio capace di personificare la nostalgia nei confronti di un<br />

passato mitico e di una “natura” potente e incontaminata, <strong>nel</strong> contempo incarnando i<br />

valori “tipicamente americani” <strong>del</strong> saper fare, che consentono “naturalmente” di<br />

emergere all’interno di una società di uguali (Wright, 2001). Mentre il significante<br />

razziale (denotato dal colore degli occhi, dai tratti somatici, dalla statura) serviva a<br />

ricordare, in un contesto fortemente demarcato da questo punto di vista come quello<br />

degli Stati Uniti, che i diritti di eguaglianza spettano pienamente solo agli anglosassoni,<br />

mentre si applicano in modo gerarchizzante, o esclusivo, a tutti quelli che sono un po’<br />

meno “uguali” di loro (ispanici, meticci, neri, indiani).<br />

<strong>La</strong> costruzione mitica <strong>del</strong>l’eroe <strong>del</strong> West come un avventuriero nomade e individualista,<br />

dotato di una capacità eccezionale <strong>nel</strong> maneggiare le armi, che sa porsi al servizio degli<br />

altri quando necessario e poi si ritira dopo aver riparato i torti, ha inoltre una chiara<br />

leggibilità in termini di politica estera. L’evidente praticità <strong>del</strong>la metafora ha perciò<br />

consentito al <strong>cowboy</strong> di divenire un vessillo ricorrente anche <strong>del</strong>la geopolitica formale<br />

americana: da Theodore Roosevelt a Ronald Reagan, passando per Lyndon Johnson e<br />

giungere poi sino a George W. Bush, i “presidenti <strong>cowboy</strong>”, o coloro che si definivano<br />

come tali, si sono susseguiti al comando degli Stati Uniti tutte le volte che la politica<br />

internazionale spingeva ad uscire dall’isolazionismo per intraprendere posizioni più<br />

interventiste e aggressive.<br />

Il <strong>cowboy</strong> come icona maschile<br />

Se la figura <strong>del</strong> <strong>cowboy</strong> <strong>nel</strong>l’ambito <strong>del</strong>la iconografia nazionale americana costituisce<br />

una categoria abbastanza facile da decostruire, più complesso è invece tentare di<br />

spiegare le ragioni <strong>del</strong> suo successo in quanto ideale di <strong>mascolinità</strong>. Il <strong>cowboy</strong> è<br />

un’icona che va ben oltre il linguaggio <strong>del</strong>la politica: anche il marketing, la pubblicità,<br />

la moda, persino il turismo paiono non poter fare a meno di ricorrere ad una immagine<br />

maschile che sembra forgiata per compiacere tutti gli ideali <strong>del</strong>la <strong>mascolinità</strong> egemone<br />

nazionale 21 .<br />

21 Nel 1954, al fine di lanciare presso un pubblico maschile le sigarette con filtro, sino ad allora<br />

considerate femminili, il pubblicitario americano Leo Burnett pare abbia chiesto al suo gruppo di<br />

collaboratori quale fosse l’immagine più mascolina degli Stati Uniti <strong>del</strong>l’epoca. <strong>La</strong> scelta cadde in modo<br />

unanime sul <strong>cowboy</strong>, e Burnett lanciò “The Malboro Man”, la campagna pubblicitaria forse più famosa, e<br />

certamente più duratura, di tutti i tempi. E’ da notare che l’immagine <strong>del</strong> <strong>cowboy</strong>, associata al marchio di<br />

sigarette, ha avuto tanto successo da suggerire il lancio di una linea di abbigliamento sportiva con lo<br />

stesso nome e addirittura dei viaggi organizzati negli Stati Uniti (“the Malboro Country”).

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