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Elena dell'Agnese La mascolinità del cowboy nel cinema western ...

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<strong>cinema</strong>tografico, un chiaro oggetto di piacere estetico. A questo proposito, scrive<br />

Mitchell (1996, pp. 156-159, n.t.), il <strong>western</strong> non si limita a mostrare uomini attraenti,<br />

ma si sofferma su determinate caratteristiche, considerate essenziali <strong>nel</strong> <strong>del</strong>ineare la loro<br />

<strong>mascolinità</strong>, quali gli occhi chiari e taglienti, la mascella forte, il corpo e la figura ben<br />

<strong>del</strong>ineati; cosicché “non solo rappresenta un genere <strong>cinema</strong>tografico che consente di<br />

guardare gli uomini, ma addirittura fa sì che quello sguardo diventi uno dei suoi aspetti<br />

essenziali…diventa cioè un genere che sembra focalizzato proprio su quello: guardare<br />

gli uomini”.<br />

Dunque, quello sguardo sugli uomini rappresenta uno dei canoni distintivi, anche se non<br />

apertamente dichiarati, <strong>del</strong> genere <strong>western</strong>. In questo modo, il genere soddisfa uno dei<br />

principali piaceri offerti dal <strong>cinema</strong>, ovvero quella che in termini freudiani viene<br />

definita come “scopofilia”. Tuttavia, ne rappresenta una forma abbastanza distintiva e<br />

specifica. Infatti, secondo la critica femminista tradizionale (Mulvey, 1975), lo sguardo<br />

<strong>cinema</strong>tografico si svolge usualmente fra un maschio che guarda/attivo e una femmina<br />

guardata/passiva, e presuppone una forma di investimento fra chi guarda e desidera<br />

possedere, e chi viene guardato, che invece rappresenta l’oggetto <strong>del</strong> desiderio. Anche<br />

<strong>nel</strong> caso <strong>del</strong> <strong>western</strong>, l’occhio <strong>del</strong>lo spettatore è implicitamente pensato come un occhio<br />

maschile (Neale, 1983). Però, lo sguardo <strong>cinema</strong>tografico intercorre fra un uomo che<br />

guarda (lo spettatore) e un altro uomo che viene guardato (il <strong>cowboy</strong>). In questo caso, il<br />

soggetto che guarda non desidera possedere l’oggetto guardato, ma di identificarsi in<br />

modo narcisistico con lui, cioè di diventare l’oggetto stesso.<br />

<strong>La</strong> bellezza fisica non è quella femminile, ma quella maschile. Tuttavia, è una bellezza<br />

che non viene esibita come oggetto erotico. Al contrario, il timore che possa insorgere<br />

un interesse sessuale <strong>nel</strong>lo sguardo di un maschio nei confronti di un altro maschio è<br />

stato costantemente fugato, <strong>nel</strong> <strong>cinema</strong> mainstream, da un lato non mostrando mai il<br />

corpo maschile all’interno di un qualsiasi contesto che possa suggerire un atteggiamento<br />

erotico (ed è per quello che i <strong>cowboy</strong> fanno sempre il bagno con il cappello!)<br />

(Pumphrey, …), dall’altro inserendo una ricorrente omofobia nei temi e negli accenti.<br />

In questo modo, il <strong>western</strong> riesce a soddisfare la scopofilia <strong>del</strong>lo spettatore, il cui<br />

meccanismo di identificazione narcisistica viene ad essere esaltato proprio dalla<br />

costruzione <strong>del</strong> <strong>cowboy</strong> come eroe semplice e fatto-da-sé, da un lato, e come icona<br />

nazionale dall’altro; e <strong>nel</strong> contempo mantiene rigorosamente la <strong>mascolinità</strong><br />

eterosessuale come termine strutturante, sia in relazione alla donna, sia in relazione a<br />

qualsiasi “deviazione” di carattere omosessuale (Neale, 1983). Tramite lo stesso<br />

meccanismo di identificazione narcisistica, si spiega la fascinazione verso il mo<strong>del</strong>lo di<br />

<strong>mascolinità</strong> randagia e solitaria rappresentata dalla persona di John Wayne, una<br />

<strong>mascolinità</strong> che si avverte in qualche modo costantemente minacciata dalla donna, dalla<br />

società e dalla legge, ossia da tutti i fattori che fanno sì che la frontiera si chiuda, per<br />

lasciare il posto alla comunità dei sedentari.<br />

Cowboy alternativi<br />

<strong>La</strong> figura <strong>del</strong> <strong>cowboy</strong> sembra essere scolpita in maniera tanto incisiva <strong>nel</strong>la cultura<br />

popolare americana da essere scarsamente ridisegnabile, sia per quello che riguarda i<br />

connotati estetici, sia in relazione alle caratteristiche di razza e di genere. Il <strong>cinema</strong><br />

hollywoodiano infatti si è raramente mostrato capace di offrire <strong>del</strong> <strong>cowboy</strong> una versione<br />

più vicina alla realtà storica di quella <strong>del</strong> tall, slim American codificata dall’immagine<br />

<strong>del</strong> mito. Cosicché, persino i <strong>western</strong> revisionisti degli anni settanta, come quelli<br />

“transculturali” degli anni novanta, pur essendo mirati ad offrire <strong>del</strong>la frontiera una<br />

lettura meno eroica di quella tradizionalmente proposta dalla cultura popolare, non

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