Accesso aperto all'opera (PDF) - Firenze University Press
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elena sibilio<br />
di testi quanto l’insieme delle «regole» che determinano, secondo sanzioni<br />
rigorose, la scelta di quei testi e il controllo su di essi.<br />
al di là di quelli che sono effettivamente gli oggetti nel canone, sui<br />
quali oggi sembra essere in corso una vera e propria guerra che confuta<br />
l’ideale intellettuale del consenso, sembra comunque che il significato del<br />
termine «canone» sia quantomeno duplice: esso è al tempo stesso una lista<br />
di oggetti letterari e l’insieme delle regole formali necessarie alla selezione<br />
di quegli oggetti, quelle stesse regole il rispetto delle quali da parte di<br />
un’opera ne determina la canonicità, ossia, circolarmente, l’adeguatezza a<br />
far parte del canone. Potremmo dunque tentare di dare una nostra definizione:<br />
il canone letterario è il risultato di una selezione di testi ritenuti<br />
portatori di valori (etici, estetici), effettuata sulla base di rigide regole formali;<br />
tale selezione viene poi ordinata a formare un racconto che, tramite<br />
l’eliminazione degli elementi barbari e incontenibili, crea un’apparenza di<br />
linearità e soprattutto di ineluttabilità nell’andamento di una tradizione<br />
che lega senza cesure un passato intelligibile a un futuro prevedibile, passando<br />
per un presente problematico ma in ultima istanza controllabile.<br />
nell’atto stesso di far presente che il canone e la canonicità sono conseguenze,<br />
e non premesse, della ricezione di un’opera, quel canone si trasforma<br />
in un racconto costruito a posteriori e con carattere retroattivo che costituisce<br />
i suoi testi come tradizione sulla base delle necessità di un determinato<br />
momento storico e di un ancor più determinato gruppo sociale e culturale.<br />
il canone altro non è che un’invenzione istituzionale, lo strumento privilegiato<br />
dell’élite accademica, lo scudo dietro al quale essa tenta di difendere<br />
il suo statuto di privilegio. se «[...] the modern belief that canonical texts<br />
are inherently rich and various in meaning develops from the need among<br />
professional critics and educators to justify their supervision of reading<br />
practices» 11 , diventa evidente perché l’ipotesi del canone come racconto a<br />
posteriori di quella stessa critica non possa essere facilmente accettata negli<br />
ambienti universitari, poiché essa significa la messa in discussione definitiva<br />
del potere finora detenuto da quella metaclasse costituita dagli intellettuali<br />
accademici. in altre parole, il canone non è, come si è voluto credere,<br />
né una categoria etica, la famosa lista di rappresentanza di una civiltà, né<br />
una categoria di valore estetico universale; piuttosto, il canone si rivela per<br />
niente altro che un’ennesima categoria di controllo nel senso foucaultiano<br />
del termine, il cui compito normativo, tanto più efficace quanto più nascosto<br />
se non addirittura negato, consiste nel tentare di riportare alla normalità<br />
di un ordine sicuro e atempore l’inaccettabile differenza.<br />
2. Sulle tracce di una parola: due millenni di canone<br />
Per comprendere appieno le ragioni di una scelta terminologica, niente<br />
è più efficace che ripercorrere la storia dell’uso di un vocabolo. Per quanto<br />
riguarda il termine «canone», quella storia copre ben oltre due millenni,<br />
e ci mette di fronte ad un’antichità che difficilmente si coniuga con l’attuale<br />
variabilità di significato della parola e del concetto. non essendo un